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Giurisprudenza
Acqua - A.T.O.
Anni: 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 -2000-87
Vedi anni:2011- 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006
Si veda anche: Urbanistica Vincoli - Aree Protette - Inquinamento - Demanio - Inquinamento - atmosferico
Argomenti: L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d.Legge Galasso - D. L.vo 29 ottobre 1999, n. 490) - L.vo n. 41/2004 - D.lgs.n. 42/2004 Inquinamento idrico, acque, tariffe, ATO ed altro
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L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d.Legge Galasso - D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) ^
Acqua - Fiumi e corsi d'acqua - Vincolo paesaggistico - Regione - Potere di escludere determinati corsi d'acqua dal vincolo - Natura - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti - L. 431/85 - D.M. 21/9/1984. Il potere esercitato dalle Regioni ai sensi dell'art. 1 quater della L. 431/85 (determinazione dei corsi d'acqua pubblici che possono essere esclusi dal vincolo paesaggistico di cui al D.M. 21/9/1984) si caratterizza per una discrezionalità particolarmente ampia, rispetto alla quale il sindacato del giudice può essere esercitato nelle circoscritte ipotesi di macroscopiche illegittimità e di incongruenze manifeste dovute a vizi logici, ad errore di fatto, a travisamento dei presupposti ovvero ad un difetto di istruttoria o ad una cattiva applicazione delle regole tecniche. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
Acque - Fascia di rispetto da pozzi di captazione delle acque - Diniego all'ampliamento di una cava - Domanda di danni - Competenza del giudice delle acque. In tema di giurisdizione sulle acque, spetta al tribunale regionale delle acque pubbliche la competenza in ordine alla domanda di risarcimento danni asseritamente derivati dal diniego all'ampliamento di una cava determinato dalla necessità di assicurare una fascia di rispetto in relazione a pozzi di captazione delle acque, e quindi in ragione, da una parte, dell'implicita utilità dei pozzi rispetto agli interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche e, dall'altra, della necessità di assicurare modalità di utilizzazione delle acque che non incidano negativamente sulla salute pubblica, evitando eventuali pericoli di inquinamento. (si veda anche: Cass. civ., sez. I, 20.01.1993, n. 656 - Cass. civ., sez. III, 01.12.2000, n. 15366 - Cass. civ., sez. I, 24.09.2002, n. 13869). Pres. Saggio A. - Rel. Piccininni C. - P.M. Sorrentino F. (Conf.) - Polata SrL c. Acquedotto Euganeo Berico ed altro. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 08/03/2005, Ordinanza n. 5045
Vincoli idrogeologici - L.R. Piemonte n. 45/1989, art. 3 - Volumi di scavo non superiori a 2.500 metri cubi - Relazione tecnico-amministrativa sulla compatibilità dell’opera - Necessità - Provvedimento di autorizzazione emanato sul presupposto della sola perizia di parte - Vizio di carenza di istruttoria. L’art. 3 della legge Regione Piemonte n. 45/1989 (contenente norme per i lavori da eseguirsi su terreni sottoposti a vincoli idrogeologici) impone al sindaco di acquisire una relazione tecnico-amministrativa sulla compatibilità dell’opera, avvalendosi dell’organo forestale competente e/o del settore prevenzione del rischio geologico, meteorologico e sismico della regione, anche per volumi di scavo non superiori a 2.500 metri cubi; solo per interventi di modesta rilevanza, comportanti la realizzazione di un volume non superiore a cento metri cubi la relazione tecnica può essere sostituita, a norma del terzo comma dell’art. 3 cit., e secondo la valutazione discrezionale dell’ente autorizzante, da una perizia asseverata allegata dal richiedente alla propria domanda. L’ammissibilità di un intervento superiore al limite suddetto deve pertanto essere accertata, con apposita relazione, da un organo tecnico (le cui eventuali prescrizioni hanno portata vincolante), integrando invece il vizio di carenza di istruttoria il provvedimento di autorizzazione alla trasformazione del suolo emanato sul presupposto della sola perizia di parte. Pres. Gomez de Ayala, Est. Vigotti - Pugliese e altro (Avv. Di Corato) c. Comune di Narzole (Avv. Dal Piaz) - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. I - 27 febbraio 2004, n. 339 Nota alla massima: L'art. 3 comma 1 della Legge Regione Piemonte n. 45/1989 non impone al Sindaco di acquisire una relazione tecnico-amministrativa sulla compatibilità dell’opera avvalendosi dell’organo forestale competente e/o del settore prevenzione del rischio geologico, meteorologico e sismico della regione anche per volumi di scavo non superiori a 2.500 metri cubi in quanto la redazione di tale relazione tecnico-amministrativa spetta al Comune, Ente delegato dall'articolo 2 comma 3 Legge Regione Piemonte n. 45/1989. Il Sindaco ha facoltà, ma non obbligo, di avvalersi dell’organo forestale competente e/o del settore prevenzione del rischio geologico, meteorologico e sismico della regione. Ottenuta la consulenza richiesta, resta comunque in capo al Comune la redazione della relazione tecnica amministrativa necessaria per l'emissione del provvedimento autorizzativo. (Dott. Luigi Andrea Bedoni - ARPA Piemonte)
Fiumi - domanda di condono - area sottoposta a vincolo paesaggistico - obbligo del parere - abilitazione all'esercizio della pesca di mestiere. Le opere realizzate sulla parte bassa del fiume Isonzo (bilancia da pesca ed annessa baracca-ricovero) insistono, come è pacifico tra le parti, su area sottoposta a vincolo paesaggistico, per cui sulla relativa domanda di condono doveva obbligatoriamente essere sentito, ex art. 32 L. 1°.2.1985 n.47, il parere della Direzione regionale della pianificazione territoriale, competente nella Regione autonoma Friuli Venezia Giulia alla tutela di detto vincolo. E' del tutto inconferente poi il possesso da parte di uno degli appellanti dell'abilitazione all'esercizio della pesca di mestiere, atteso che nella specie non viene in contestazione tale aspetto, potendosi esercitare la pesca anche senza il bilancione, ma la condonabilità o meno di opere edilizie abusive. Consiglio di Stato, sezione V, 2 ottobre 2002, n. 5173
Tutela paesistica dei fiumi e dei torrenti - elenchi acque pubbliche - definizione di torrenti e fiumi - D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - tutela degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna - il testo unico delle acque pubbliche - art. 822 cod. civ. - beni demaniali - acque fluenti - fiumi e torrenti il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi. Da una interpretazione letterale, logica e sistematica, si evince che i fiumi e i torrenti sono soggetti a tutela paesistica di per sé stessi, e a prescindere dalla iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche ha efficacia costitutiva del vincolo paesaggistico. Sul piano letterale, l’art. 82, comma 5, lett. c), D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, introdotto dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, conv. nella L. 8 agosto 1985, n. 431, assoggetta a tutela <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La previsione è stata riprodotta, con formulazione identica, nell’art. 146, comma 1, lett. c), D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali, a norma del quale sono soggetti a tutela: <<i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna>>. La collocazione delle virgole e delle congiunzioni tra le parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>> non è di per sé significativa e dirimente, al fine dell’accogliere la tesi che riferisce la iscrizione in elenco ai soli corsi d’acqua ovvero anche ai fiumi e ai torrenti. Occorre piuttosto soffermarsi sul significato delle parole <<fiumi>>, <<torrenti>>, <<corsi d’acqua>>, che va desunto dal sistema normativo complessivo, in cui si inserisce la previsione in commento, e dal significato letterale delle parole utilizzate. Sul piano strettamente letterale, il dato comune a fiumi, torrenti e corsi d’acqua, è di essere acque <<fluenti>>. Si può anche aggiungere che a rigore i <<corsi d’acqua>> sono un genere, in cui si collocano, quali specie, i fiumi e i torrenti. Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana, si apprende, infatti, che: il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo scorrere delle acque in movimento>>, ed è il <<nome generico di fiumi, torrenti, etc..>>; il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente perenne>>; mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua caratterizzato da notevoli variazioni di regime, con periodi in cui scorre gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi completamente secco>>. In tale logica, solo per le acque fluenti di minori dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche. Ulteriori argomenti esegetici a sostegno di tale tesi si colgono sul piano della interpretazione sistematica. Il testo unico delle acque pubbliche, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, all’art. 1 stabilisce che <<Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse. Le acque pubbliche sono iscritte, a cura del ministero dei lavori pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, previa la procedura da esperirsi nei modi indicati dal regolamento>>. Da tale norma si evince che la pubblicità di un’acqua discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma non costitutiva della pubblicità. Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>. Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi. Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che sono una categoria residuale, sono pubbliche se abbiano attitudine ad uso pubblico di interesse generale. In nessun caso la inserzione in elenco ha portata costitutiva della pubblicità dell’acqua, ma solo ricognitiva della attitudine dell’acqua all’uso pubblico di interesse generale. Se dunque, dal sistema normativo è dato evincere che la iscrizione di un bene in un elenco di beni pubblici non ha portata costitutiva della natura giuridica del bene medesimo, siffatta regola non può non essere stata seguita dal legislatore anche nella individuazione dei beni soggetti a vincolo paesistico. Significativo è poi l’uso, da parte della L. n. 431 del 1985, della stessa terminologia impiegata nell’art. 822 cod. civ.: in entrambe le norme si parla di fiumi e torrenti, rispetto ai quali si collocano le altre acque, per le quali si richiede, ai fini della individuazione, la iscrizione in elenco. Sicché, per fiumi e torrenti la pubblicità degli stessi esiste di per sé, in base all’art. 822 cod. civ., e conseguentemente anche il vincolo paesistico è imposto ex lege a prescindere dalla iscrizione in elenchi. Consiglio Stato Sez. VI, 04 febbraio 2002, n. 657. (vedi: sentenza per esteso)
Il limite di 150 (centocinquanta) metri (di cui all'art. 1 lett. c L. 8 agosto 1985, n. 431) deve essere calcolato dalla sponda del fiume o dal piede dell'argine. In tema di reati paesistici, il limite di 150 (centocinquanta) metri (di cui all'art. 1 lett. c L. 8 agosto 1985, n. 431) deve essere calcolato dalla sponda del fiume o dal piede dell'argine. Va altresì compresa la eventuale golena, che quale porzione del letto del fiume in tempo di piena, rappresenta, nelle finalità della norma, zona meritevole di protezione. Cass. pen., sez. III, 22 dicembre 1992, n. 12078 (ud. 10 novembre 1992), Bosi.
Calcolo della fascia di protezione di 150 metri, indicata dall`art. 1, lettera c) della L. 8 agosto 1985, n. 431. La fascia di protezione di 150 metri, indicata dall'art. 1, lettera c) della L. 8 agosto 1985, n. 431, va calcolata con riferimento alla delimitazione effettiva del corso d'acqua, cioé a partire dal ciglio di sponda, o dal piede esterno dell'argine, quando quest'ultimo esplichi una funzione analoga alla sponda nel contenere le acque di piena ordinaria. Pret. pen. Cremona, 18 ottobre 1990, Foroni e altro, in Riv. pen. 1990, 1047.
Mutamento dell'aspetto estetico e biologico di un corso d'acqua a causa di mutamenti di colore. È applicabile l'art. 1 sexies della L. 8 agosto 1985, n. 431 (cosiddetta "Legge - Galasso") anche in caso di mutamento dell'aspetto estetico e biologico di un corso d'acqua a causa di mutamenti di colore dell'elemento liquido dovuti a scarichi inquinanti. Cass. pen., sez. III, 6 dicembre 1989, n. 17010 (ud. 10 novembre 1989, n. 2697), Di Nicola.
Lo scempio paesaggistico - ambientale punito dalla L. n. 431/1985 (cosiddetta "legge - Galasso") non deve essere necessariamente commesso mediante attività urbanistico - edilizie o comunque di stravolgimento dell'assetto del territorio mediante interventi modificativi fisici e volumetrici dello stesso, potendo lo scempio attuarsi anche tramite mutamento dell'aspetto estetico e biologico di un fiume o di un lago a causa di mutamenti di colore dell'elemento liquido dovuti a scarichi inquinanti. Nel caso di specie deve essere considerato come scempio paesaggistico - ambientale con conseguente violazione del dettato della L. n. 431/1985 il mutamento dell'aspetto estetico naturale di un corso d'acqua pubblico (protetto dal vincolo paesaggistico - ambientale) in una evidente ed uniforme colorazione rosso vivo con presenze contestuali di manti di schiume maleodoranti a causa degli scarichi di sangue animale in esso riversati illecitamente da un mattatoio, dato che il vincolo protegge il bene naturale nella sua integrità globale da ogni agente degradante in senso biologico e deturpante in senso estetico. I responsabili rispondono pertanto dei reati di cui all'art. 1 sexies L. n. 431/1985 e dell'art. 734 cod. pen. in concorso con i reati previsti dalla normativa antinquinamento n. 319/1976 e successive modifiche. Pret. pen. Amelia, 23 settembre 1987, Di Nicola e altri, in Riv. pen. 1987, 1098
Inquinamento, acque in genere, tariffe, ATO ed altro ^
Acqua - Scarichi - Insediamenti civili - Allaccio alla pubblica fognatura - Osservanza del regolamento degli enti gestori - Regione Siciliana - L.R. 27/1986. Gli scarichi in pubbliche fognature di insediamenti civili di qualsiasi dimensione sono sempre ammessi, alla sola condizione dell’osservanza dei regolamenti emanati dagli enti gestori; ogni cittadino, pertanto, ha diritto di allacciare gli scarichi c.d. civili alla pubblica fognatura, nei limiti e nei modi di cui all'apposito regolamento, in Sicilia previsto dall'art. 16 della L. reg. sic. n. 27/1986 (T.A.R. Sicilia, Sez.II di Palermo, 14.11.2000 n.1187). Pres. Zingales, Est. Boscarino - T. s.r.l. (Avv. Saitta) c. Comune di Taormina (Avv. Turiano Mantica) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 13 dicembre 2005, n. 2414
Acqua - Servizio idrico integrato
- Legge n. 36/1994 - Ambiti territoriali ottimali - obbligatorietà della
definizione - Superamento del criterio delle municipalità delle singole gestioni
- Inadempimento - Intervento sostitutivo - Legittimità. La L. 5 gennaio
1994, n. 36 (legge Galli), sulla scorta del regime pubblicistico della proprietà
delle acque, ha riorganizzato i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione,
secondo ambiti territoriali ottimali, al cui interno integrare la gestione dei
servizi con la separazione delle funzioni pubbliche di organizzazione del
servizio dalle attività imprenditoriali di erogazione sulla scorta di un
omogeneo regime tariffario. Per il superamento della frammentazione delle
gestioni, la legge ha stabilito l'obbligatorietà della definizione di ambiti
territoriali ottimali in cui confluiscono tutti i comuni, così superando il
criterio delle municipalità delle singole gestioni. Secondo la legge n. 36/1994,
le Regioni sono competenti a delimitare gli ambiti territoriali ottimali e
disciplinare le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti
nel medesimo ambito ottimale, per provvedere alla gestione del servizio idrico
integrato. Gli adempimenti vengono attuati secondo precise cadenze temporali, il
cui decorso comporta l’intervento sostitutivo del Ministero delle Infrastrutture
verso le Regioni che non provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali
ottimali e delle Regioni verso gli enti locali che non procedano alla stipula
delle convenzioni previste dall'art. 24, comma 1 , l. n. 142/1990. Pres.
Santoro, Est. Lamberti - Comune di Chialamberto (Avv.ti Montanaro e Romanelli)
c. Regione Piemonte (Avv.ti Ciavarra e Pafundi) -(conferma T.A.R. PIEMONTE, Sez.
II, n. 650/2001). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 21 novembre 2005 (C.C. 18
marzo 2005), n. 6429 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acqua - Servizio idrico integrato
- Legge regione Piemonte n. 13/97 - Organizzazione del servizio idrico integrato
- Distinzione tra momento istitutivo dell’autorità d’ambito e momento
gestionale. La legge regione Piemonte n. 13/1997 distingue i due momenti di
organizzazione del servizio idrico integrato: quello istitutivo dell'Autorità
d'ambito mediante una convenzione a cui partecipano tutti gli enti riuniti in
una conferenza di servizi e quello della gestione che avviene successivamente.
Costituiscono elementi essenziali della fase preordinata alla costituzione
dell'Autorità d'ambito, le quote di rappresentatività dei componenti, le
modalità di funzionamento, le forme di consultazione degli enti contraenti, le
forme di vigilanza e di controllo, i rapporti finanziari, i reciproci obblighi e
garanzie, il termine di efficacia della convenzione. Sono di competenza
dell'Autorità d'ambito l'approvazione del programma di attuazione delle
infrastrutture e di acquisizione delle altre necessarie per l'erogazione del
servizio, il piano finanziario, la definizione del modello organizzativo e
l'individuazione delle forme di gestione del servizio idrico integrato, compresa
la salvaguardia degli organismi esistenti; gli atti di affidamento della
gestione del servizi, la determinazione delle tariffe del servizio idrico e
della destinazione dei proventi tariffari, il controllo operativo, tecnico e
gestionale sull'erogazione del servizio. Pres. Santoro, Est. Lamberti - Comune
di Chialamberto (Avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (Avv.ti
Ciavarra e Pafundi) - (conferma T.A.R. PIEMONTE, Sez. II, n. 650/2001).
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 21 novembre 2005 (C.C. 18 marzo 2005), n. 6429
(vedi: sentenza
per esteso)
Acqua - Servizio idrico integrato - Salvaguardia delle gestioni esistenti - Limiti. In materia di organizzazione del servizio idrico integrato ai sensi della L. 36/1994, la possibilità di salvaguardia delle gestioni esistenti è un fatto eventuale e derogatorio al criterio gestionale per tutto l’ambito verificabile solo in concreto e laddove una gestione già operante risponda a parametri di efficacia sul piano della qualità e dell'economicità dei servizi. Il servizio deve essere pertanto gestito di norma mediante un unico soggetto e può essere affidato ad una pluralità di soggetti gestori al solo fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali di organismi esistenti che rispondano a particolari criteri di efficienza ed economicità. Pres. Santoro, Est. Lamberti - Comune di Chialamberto (Avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (Avv.ti Ciavarra e Pafundi) - (conferma T.A.R. PIEMONTE, Sez. II, n. 650/2001). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 21 novembre 2005 (C.C. 18 marzo 2005), n. 6429 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico -
Autorizzazione allo scarico - Mutamento titolare dello scarico - Autonoma
autorizzazione - Valori limite di emissione - Art. 45 D. L.vo n. 152/99 (ora
art. 124 D.Lgs. n. 152/06. L’insediamento di una nuova attività produttiva
nel medesimo capannone facente capo a diversa persona giuridica priva di ogni
collegamento con quella precedentemente insediata, seppure avente non dissimile
oggetto sociale, impone necessariamente l'acquisizione di autonoma
autorizzazione allo scarico da emettersi a seguito di nuova valutazione
dell'attività produttiva e delle caratteristiche dello scarico. Ciò in quanto
l'autorizzazione allo scarico ex art. 45 D. Legislativo n. 152/99 (ora art. 124
del D. Lgs. n. 152/06) è necessariamente funzionale alle caratteristiche
qualitative e quantitative dello scarico, alla indicazione dei mezzi tecnici
indicati nel processo produttivo e nei sistemi di scarico nonché all'indicazione
dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori
limite di emissione (art 46 D. Lgs.vo. 152/99). Tribunale di Modena sentenza
del 3/10/2005
Acqua e inquinamento idrico - Scarichi - Punto di prelievo - Individuazione - Art. 34, c. 3, D. Lgs. 152/99 - Qualificazione di parte dell’impianto come impianto funzionalmente autonomo - Condizioni. Ai fini dell’esatta individuazione del punto di prelievo dei reflui dell’impianto di smaltimento, rilevante ai fini del controllo sull’eventuale superamento dei limiti tabellari, l’art. 34, comma 3, del D. Lgs. n. 152/1999 fissa inequivocabilmente il punto posto “subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento”. Ove lo stabilimento sia costituito da un complesso ed articolato sistema di depurazione, composto da una pluralità di passaggi intermedi prima dell’immissione delle acque nel corpo ricettore, il punto di misurazione va pertanto individuato nei tratti terminali del canale di scarico, immediatamente precedenti lo sbocco nel corpo ricettore. La provincia, ove intenda qualificare una parte dell’impianto (nello specifico, la cokeria) come funzionalmente autonomo, è tenuta a imporre preventivamente la separazione dello specifico scarico dalle acque di raffreddamento o di lavaggio, configurandolo al contempo come “parziale” ai sensi del D. Lgs. n. 152/99 oppure fissando, in sede di autorizzazione, ulteriori e più stringenti prescrizioni tecniche ex art. 45, comma 9, all’insegna della migliore tecnologia disponibile (da descriversi esattamente e, soprattutto, da individuarsi alla stregua dei principi di proporzionalità e di precauzione). Pres. Iannotta, Est. Carlotti - Provincia di Taranto (Avv.ti Braga e Semeraro) c. ILVA s.p.a. (Avv. Perli) (Conferma T.A.R. PUGLIA, Lecce n. 1007/2004) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 9 settembre 2005 (c.c. 15.3.2005), sentenza n. 4648 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Rifiuti - Deposito, abbandono o immissione di rifiuti in acque superficiali o sotterranee - Rimozione immediata - Obbligo al sindaco - Sussiste - Avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi - Art. 14 D. L.vo n.22/1997 - Nominativi dei proprietari dei terreni inquinati dalla discarica abusiva e procedura d'appalto dei lavori di rimozione dei rifiuti - Scriminante - Esclusione - Fattispecie. Nel caso di deposito o di abbandono dei rifiuti o di immissione di essi nelle acque superficiali o sotterranee l'art. 14 D. Lgs. 5 febbraio 1997 n.22 fa obbligo al sindaco di intervenire senza ritardo per la rimozione, l'avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi, ingiungendo ai soggetti obbligati - gli autori del deposito o dell'abbandono o dell'immissione in solido con il proprietario o con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area impegnata, ai quali la violazione sia imputabile anche a titolo di colpa - se noti, di provvedere alle relative operazioni entro un certo termine, decorso inutilmente il quale, procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate. Dal tenore della norma si deduce che il sindaco deve comunque procedere alla rimozione o all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti stessi qualora i soggetti obbligati non siano noti o immeditamente identificabili, fatta salva la successiva rivalsa nei loro confronti per il recupero delle somme anticipate. Sicché, deve escludersi, che la disposizione citata faccia obbligo al sindaco di attendere dall'ufficio tecnico i nomi dei proprietari dei terreni inquinati dalla discarica al fine di ordinare il risanamento di questi. L'obbligo posto a carico del sindaco riguarda l'immediato intervento per l'eliminazione dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi, sostituendosi se necessario ai soggetti obbligati, non noti o inadempienti, con diritto di rivalersi su di loro per le spese anticipate. Pertanto, il fatto che il sindaco abbia preso i nominativi dei proprietari dei terreni inquinati dalla discarica abusiva non lo esimeva dall'intervenire comunque e non lo scagiona dal reato contestato. Infine, non ha efficacia scriminante neppure la circostanza che si siano dovuti rispettare i tempi per la procedura d'appalto dei lavori di rimozione dei rifiuti, giacché il Comune avrebbe potuto provvedere con i mezzi ordinari a sua disposizione, trattandosi di un terreno non particolarmente esteso, per la pulizia del quale non era necessario l'intervento di un'impresa specializzata. (conferma Corte di appello di Catanzaro 8 luglio 2004 n.1144). CORTE DI CASSAZIONE, 7 settembre 2005 (ud. 10 giugno 2005), Sentenza n. 33034 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - ATO Idrico - Adesione dei Comuni - Obbligatorietà - Superamento della frammentazione delle gestioni - Gestione del servizio idrico integrato - Enti locali - Adempimenti - Intervento sostitutivo - L. n. 36/1994 (legge Galli) - Art. 24, c. 1 , l. n. 142/1990. Per il superamento della frammentazione delle gestioni, la legge del 5 gennaio 1994 n. 36 (legge Galli) ha stabilito l'obbligatorietà della definizione di ambiti territoriali ottimali (ATO) in cui confluiscono tutti i comuni, così superando il criterio delle municipalità delle singole gestioni. Secondo la legge n. 36/1994, le Regioni sono competenti a delimitare gli ambiti territoriali ottimali e disciplinare delle forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, per provvedere alla gestione del servizio idrico integrato. Gli adempimenti vengono attuati secondo precise cadenze temporali, il cui decorso comporta l’intervento sostitutivo del Ministero delle Infrastrutture verso le Regioni che non provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e delle Regioni verso gli enti locali che non procedano alla stipula delle convenzioni previste dall'art. 24, comma 1 , l. n. 142/1990. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Comune di Prali (avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (avv.ti Ciavarra e Pafundi), (conferma Tar Piemonte- Torino, Sez. II, del 14 marzo 2001, n. 659).
CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 5 settembre 2005 (C.c. 18/01/2005), Sentenza n. 4478 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - ATO Idrico - Gestione idrica integrata - Autorità d'Ambito - Diretta espressione degli Enti locali - Funzionamento - Compiti - L. r. Piemonte n. 13/1997 - Art. 24, l. n.. 142/1990. In materia di gestione idrica integrata, la legge regionale Piemonte ha previsto un’Autorità d'Ambito, costituita dalla Conferenza dei Sindaci dei Comuni non appartenenti a Comunità montane, dei Presidenti delle Comunità montane e dei Presidenti delle Province mediante apposita convenzione stipulata ai sensi dell'art. 24, l. n.. 142/1990 fra gli enti locali appartenenti all'ambito territoriale ottimale. L’Autorità è pertanto diretta espressione degli Enti locali, che nella convenzione istitutiva devono definire le relative quote in base alla popolazione e al territorio di ciascuno, nella necessità di garantire le esigenze del territorio e l’equilibrio di rappresentanza fra i Comuni montani necessariamente partecipanti tramite la Comunità montana e gli altri Comuni, ed assicurare funzionalità dell’organismo. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Comune di Prali (avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (avv.ti Ciavarra e Pafundi), (conferma Tar Piemonte- Torino, Sez. II, del 14 marzo 2001, n. 659).
CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 5 settembre 2005 (C.c. 18/01/2005), Sentenza n. 4478 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - ATO Idrico - L. n. 36/1994 (legge Galli) - Potestà regionale - Artt. 3, co. 1° e 6, co. 1°, L. r. Piemonte n. 13/1997 - Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale - Art. 128 Cost.. La legge Galli, n. 36/1994, prevede la riorganizzazione delle funzioni attinenti ai servizi pubblici di acquedotto fognatura e depurazione che comportano l'aggregazione degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni in modo associato (nell'ambito territoriale ottimale), demandando alla regioni di stabilirne le delimitazioni e di indicare le forme di cooperazione. La l.r. Piemonte n. 13/1997, ha definito gli ambiti territoriali ottimali ed ha indicato nella Conferenza istituita come Autorità d'ambito, quale forma di cooperazione fra gli enti locali idonea al raggiungimento delle finalità della legge tenuto conto delle peculiarità del territorio regionale piemontese e delle competenze da esercitarsi in forma associata per le Comunità Montane. L’articolazione per gruppi di comuni costituenti aree territoriali omogenee assicura nell’Autorità d'Ambito equilibrio e pari dignità istituzionale a tutti i comuni montani e non ai fini del raggiungimento degli obiettivi della legge di funzionalità organizzativa e decisionale volti alla migliore organizzazione del servizio idrico integrato al livello di adeguata dimensione gestionale, economica e tecnica. Pertanto, appare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, co. 1° e 6, co. 1° l.r. Piemonte n. 13/97, nella parte in cui prevede forme di rappresentanza di secondo livello dei Comuni facenti parte dei vari ambiti territoriali ottimali con riferimento all'art. 128 della cost.. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Comune di Prali (avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (avv.ti Ciavarra e Pafundi), (conferma Tar Piemonte- Torino, Sez. II, del 14 marzo 2001, n. 659).
CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 5 settembre 2005 (C.c. 18/01/2005), Sentenza n. 4478 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - ATO Idrico - Esigenze di carattere sovracomunale - Potestà regionale di regolare le attività amministrative locali - Sussiste - Art. 118, 2° c. Cost. - Fattispecie: attivazione del potere sostitutivo. L’art. 118, secondo comma Cost. individua anche nella legge regionale la fonte attributiva di funzioni amministrative ai comuni province e città metropolitane. Ne deriva la legittimità del potere regionale di regolare le attività amministrative locali in relazione ad esigenze di carattere sovracomunale e di prevedere i modi di attività sostitutiva per l'espletamento di determinati compiti, valutati come essenziali nella regolamentazione di specifici settori. In specie, non trova applicazione l'art. 14, comma 3.bis, l. n. 241/1990 a fronte della specialità delle disposizioni della l. n. 36/1994 e della l.r. Piemonte n. 13/1997 circa l'obbligatorietà del convenzionamento per l'esercizio del servizio idrico integrato, per i termini stabiliti e per l'attivazione del potere sostitutivo. Effetto del dissenso dell’ente locale è pertanto l'esercizio dei poteri sostitutivi, a fronte dei quali il comune può soltanto addurre l’onere della regione di esaminarne i motivi, ma non di recedere dalla sostituzione. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Comune di Prali (avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (avv.ti Ciavarra e Pafundi), (conferma Tar Piemonte- Torino, Sez. II, del 14 marzo 2001, n. 659).
CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 5 settembre 2005 (C.c. 18/01/2005), Sentenza n. 4478 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - ATO Idrico - Salvaguardia delle gestioni esistenti - Fatto eventuale e derogatorio al criterio generale di unicità gestionale - Presupposti. Il servizio idrico integrato deve essere di norma gestito mediante un unico soggetto e può essere affidato ad una pluralità di soggetti gestori al solo fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali di organismi esistenti che rispondano a particolari criteri di efficienza ed economicità. Pertanto, sussiste la possibilità di salvaguardia delle gestioni esistenti -ammessa dalla legge statale e legge regionale - nella concreta ricognizione infrastrutturale e nella concreta programmazione del servizio. Il mantenimento di gestioni esistenti è quindi un fatto eventuale e derogatorio al criterio generale di unicità gestionale per tutto l'ambito, verificabile solo in concreto e laddove una gestione già operante risponda a parametri di efficacia sul piano della qualità e dell'economicità dei servizi. Pres. Santoro - Est. Lamberti - Comune di Prali (avv.ti Montanaro e Romanelli) c. Regione Piemonte (avv.ti Ciavarra e Pafundi), (conferma Tar Piemonte- Torino, Sez. II, del 14 marzo 2001, n. 659). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 5 settembre 2005 (C.c. 18/01/2005), Sentenza n. 4478 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarichi - Attività di vigilanza da parte dell’autorità preposta - Metodo più efficace per lo svolgimento dell’attività di vigilanza - Potere discrezionale - D. Lgs. 152/99. Ai sensi del del d.lgs. n. 152/1999, successivamente modificato dal d.lgs. n. 258/2000, l’esercitabilità di scarichi di acque reflue industriali e di sostanze pericolose non può prescindere da un’efficace attività di vigilanza da parte dell’autorità preposta, tanto in un momento preventivo, con il rilascio della necessaria autorizzazione, tanto in momenti successivi, con la possibilità di effettuare controlli e ispezioni e di valutare i relativi dati per non meno di tre anni dall’effettuazione dei singoli controlli. In presenza dei presupposti di competenza a rilasciare l’autorizzazione allo scarico e di accertato pericolo per l’ambiente, la scelta del metodo più efficace per il miglior svolgimento dell’attività di vigilanza rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione, a nulla rilevando la mancata previsione di tali modalità nel regolamento disciplinante i rapporti tra questa e gli utenti; la scelta dell’amministrazione è valutabile in sede di legittimità solo sotto i profili di illogicità, contraddittorietà o manifesta ingiustizia (nella specie, il TAR ha ritenuto legittima l’imposizione, da parte del gestore del servizio idrico integrato, di un sistema di telecontrollo GSM sui campionatori automatici posti lungo le condotte di scarico delle acque reflue industriali della ditta ricorrente, per garantire un intervento tempestivo in caso di guasto). Pres. Calvo, Est. Correale - S.s.r.l. (Avv.ti Montanaro e Peyrano Pedussia) c. Società Metropolitana Acque Torino s.p.a. (Avv. Santilli) - T.A.R. PIEMONTE, Sez. II - 18 giugno 2005, n. 2258
Acqua - Acque destinate al consumo umano - Punto di captazione posto a livello più basso rispetto al piano di campagna - Fascia di rispetto di cui all’art. 21 D. L.vo 152/1999 - Criteri di calcolo. In materia di acque destinate al consumo umano, la fascia di rispetto di cui all’art. 21 del D.L.vo n. 152/1999, in assenza dell’individuazione da parte della regione, ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto non al piano di campagna ma al punto di captazione o di derivazione (nella specie, il pozzo era equipaggiato da una pompa sommersa posta a quota di meno 170 metri dal piano di campagna: il TAR ha ritenuto che la fascia di rispetto dovesse essere individuata facendo riferimento al punto di captazione, da considerare come vertice di un di un triangolo rettangolo avente un cateto di metri 170 ed un’ipotenusa di metri 200, con la conseguenza che, al livello di piano di campagna, la fascia di rispetto era rappresentata da un cerchio con raggio di metri 105,36). Pres. Adamo, Est. Giamportone - P.s.a.s. (Avv. Raimondi) c. Provincia Regionale di Palermo (Avv.ti Calandrino e Greco) e Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 21 giugno 2005, n. 1026
Inquinamento idrico - Sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico - Direttiva 76/464/CEE - Inadempimento Stato irlandese. Non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari per garantire la trasposizione e la corretta applicazione della direttiva del Consiglio 4 maggio 1976, 76/464/CEE, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità, l’Irlanda è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 7 della direttiva medesima. CORTE DI GIUSTIZIA Sez. II, sentenza 2 giugno 2005, causa C-282/02
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Scarico da una lavanderia di tipo industriale - Specifica ed espressa autorizzazione - Obbligo Sussiste - Controllo preventivo formale ed esplicito della P.A. competente - Necessità - Art. 59, 1° c. D.L.vo 152/99. Lo scarico da una lavanderia di tipo industriale a servizio di una casa di Riposo è soggetto all'obbligo penalmente sanzionato ex art. 59, 1° comma D.L.vo 152/99 di preventiva ed espressa autorizzazione, non potendo essere assimilato ad un ordinario scarico di acque reflue domestiche, considerata la natura dell'attività da cui proviene (Confronta Cass. Sez. III, 13.9.2004, n. 35870 rv. 229012). Pertanto, per gli scarichi di acque reflue industriali è sempre necessaria l'autorizzazione espressa e specifica, ossia un controllo preventivo formale ed esplicito della P.A. competente. Infatti, la legge esige l'autorizzazione per tutti gli scarichi di acque reflue industriali in senso fisico, quale sia stata l'epoca di attivazione. Pres. Zumbo Est. Postiglione imp. Di Stefano. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 17 maggio 2005, Sentenza n. 18226
Inquinamento idrico - Nozione di «scarico» - D.Lg. n. 152/99 - C.d. "scarico indiretto" - Rifiuto liquido costituito da acque reflue industriali - Disciplina dei rifiuti - D.L.vo. n. 22/97 - Acque reflue (di raffreddamento e meteoriche), solventi organici alogenati, soluzioni di lavaggio - Sostanze pericolose. L'art. 8, comma 1, lett. e) d.lgs. n. 22 del 1997 esclude dall'applicazione della normativa stessa le acque di scarico, ad eccezione dei rifiuti allo stato liquido, definendo quindi espressamente il rapporto tra lo stesso d.lgs. n. 22/97, recante la disciplina dei rifiuti, e il d.lgs. n. 152 del 1999 sulla tutela delle acque dall'inquinamento: il primo rappresenta la legge-quadro e quindi la normativa elettiva in materia di rifiuti, che però, qualora questi siano costituiti da acque di scarico dirette, sono assoggettati, in via di eccezione, alla disciplina del d.lgs. n. 152/99 sull'inquinamento idrico (Cass., sez. III, 25 giugno 2002 - 2 ottobre 2002, n. 32825). Quindi da una parte il c.d. "scarico indiretto" non è più considerato scarico, ma viene classificato come "rifiuto liquido costituito da acque reflue" ed è sottoposto alla disciplina dei rifiuti; d'altra parte lo scarico diretto di reflui liquidi contenenti sostanze pericolose è attratto alla disciplina dell'inquinamento idrico. Ed allora, stante la nozione di «scarico» introdotta dal d.leg. n. 152/99, deve ritenersi che i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi recettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti dettata dal d.leg. n. 22/97 e il loro smaltimento deve essere autorizzato; mentre all'opposto lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indirizzato in corpi idrici recettori, specificamente indicati, rientra nell'ambito del citato d.leg. n. 152/99 sull'inquinamento idrico. Pres. U. Papadia - Est.G. Amoroso - Imp. Finotto - P.M I. Patrono. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione, III, 17 maggio 2005 (Ud.14/04/2005), Sentenza n. 18218 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Servizio idrico - Norme regolamentari di tariffazione - Controversia - Controinteressato - Gestore del servizio - Esclusione - Comune - Configurabilità. In seno ai ricorsi inerenti l’interpretazione delle norme regolamentari in tema di tariffazione del servizio di utenza idrica, proposti innanzi al giudice amministrativo (di cui è ravvisabile la giurisdizione) è controinteressato non il gestore del servizio, ma il Comune, che, non solo è l’Ente concedente il servizio pubblico in questione ed in quanto tale emanante la Tariffa oggetto della contestata interpretazione, ma soprattutto è il concreto “beneficiario” istituzionale, della interpretazione stessa, anche sotto il profilo economico, direttamente o indirettamente in relazione, tra l’altro, ai necessari esborsi per gli investimenti programmabili. Pres ed Est. Orrei - Codacons Campania ONLUS (Avv. Marchetti) c. S.S. s.p.a (Avv. Pisapia) - T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. III - 11 maggio 2005, n. 808
Acqua e inquinamento idrico - Scarichi - Insediamenti civili - Differente regime rispetto agli insediamenti industriali - Obbligo autorizzatorio per gli insediamenti civili - Esclusione - Limiti - L. 319/76 - Fase transitoria di applicazione. Il differente regime tra scarichi da insediamenti produttivi e scarichi da insediamenti civili, e segnatamente l’assenza dell’obbligo autorizzatorio per gli scarichi da insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature, sussisteva solo nella fase transitoria di applicazione della legge n. 319/1976 (13 giugno 1976-13 giugno 1986), non anche nel periodo successivo, tanto nel caso in cui le regioni avessero disciplinato in concreto la materia degli scarichi, tanto nel caso in cui tale disciplina di dettaglio non fosse stata adottata o nel caso in cui le regioni non si fossero dotate dei “piani di risanamento”. L’apparente antinomia tra l’art. 9 (che fissa il principio di portata generale dell’obbligo di autorizzazione per tutti gli scarichi) e l’art. 15 (che sembra escludere tale obbligo a fronte degli insediamenti civili) trova pertanto composizione sistematica nel diverso regime temporale di applicabilità delle norme. Pres. Cavallari, Est. Contessa - C.D.E. e altro (Avv. Signore) c. Comune di Pulsano (Avv. Lella) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II - 6 maggio 2005, n. 2700
Acqua - Servizio idrico integrato
- ATO - Mancata approvazione dello statuto dell’ente d’ambito - Intervento
commissariale - Legittimità - Principio di autonomia dell’ente locale -
Conflitto - Esclusione - Fondamento. L’obbligatorietà della costituzione
dell’ente preposto alla gestione delle risorse idriche dell’ambito territoriale
rende ammissibile l’intervento commissariale sostitutivo volto all’approvazione
dello statuto dell’ente d’ambito concernente l’attuazione della gestione del
servizio idrico integrato ai sensi della legge n. 36 del 1994, per superare il
dissenso, gli ostacoli o l’inerzia degli enti che altrimenti impedirebbero
l’attuazione degli strumenti e degli obiettivi prescritti dal legislatore. Il
principio di autonomia dell’ente locale non giustifica infatti atti o
comportamenti dilatori in una materia nella quale la legislazione richiede una
sollecita azione, da concludere con l’osservanza di precise scadenze,
finalizzata alla realizzazione di una gestione integrata e coordinata, mediante
forme associative anche obbligatorie, delle risorse esistenti nell’ambito di
circoscrizioni territoriali di dimensione intercomunale. Pres. Coraggio, Est.
Donadono - Comune di Moiano (Avv. Supino L.) c. Presidente della Giunta
Regionale per la Campania e altri (n.c.) riunito a Comune di Moiano (Avv. Supino
L.) c. Ester Contrada (n.c.) (respinge) (sulla legittimità dell’intervento
sostitutivo del Commissario ad acta volto all’approvazione dello statuto di un
ente d’ambito per la gestione del servizio idrico integrato nel caso di inerzia
di un Comune). TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ I - 5 maggio 2005, Sentenza n. 5410
(vedi:
sentenza per esteso)
Acqua - Servizio idrico integrato - ATO - Comune - Volontà di mantenere la
gestione del servizio idrico comunale - Non esclude la costituzione dell’Ente
d’Ambito. La volontà del Comune di mantenere la gestione integrata del
servizio idrico comunale, nei limiti e sulla base della norma di salvaguardia di
cui agli artt. 9, co. 4 della legge n. 36 del 1994 e 9 e 12 della l.r. Campania
n. 14 del 1997, non esclude la costituzione dell’Ente d’Ambito. Al contrario,
l’eventualità che, all’interno di un ambito territoriale ottimale, il servizio
venga affidato ad una pluralità di soggetti, viene presa in considerazione
(qualora siano ravvisate le ragioni di efficienza, di efficacia e di economicità
per mantenere gli organismi esistenti) successivamente all’istituzione dell’Ente
e tale competenza decisionale è attribuita, in base al suo statuto, all’organo
assembleare dell’Ente stesso. Pres. Coraggio, Est. Donadono - Comune di Moiano
(Avv. Supino L.) c. Presidente della Giunta Regionale per la Campania e altri (n.c.)
riunito a Comune di Moiano (Avv. Supino L.) c. Ester Contrada (n.c.) (respinge)
(sulla legittimità dell’intervento sostitutivo del Commissario ad acta volto
all’approvazione dello statuto di un ente d’ambito per la gestione del servizio
idrico integrato nel caso di inerzia di un Comune). TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ
I - 5 maggio 2005, Sentenza n. 5410 (vedi:
sentenza
per esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarichi - Cantine sociali - Imprese agricole - Natura - Insediamenti civili - Assoggettabilità alla disciplina in materia di insediamenti produttivi - Esclusione. In materia di scarichi, le cantine sociali non sono assoggettate alla disciplina propria degli insediamenti produttivi. Esse costituiscono infatti “imprese agricole” (si veda Del. Com. Int. pubblicata su GU n. 130 del 14.5.1980: sono imprese agricole quelle “che trasformano almeno i 2/3 della materia prima proveniente dalla coltivazione dei fondi agricole”), considerate insediamenti civili ai sensi dell’art. 1/quater, comma b, della legge n. 690/1976. Detti scarichi sono regolati pertanto dalla Legge Regionale Toscana n. 5/86. Pres. Petruzzelli, Est. Potenza - Soc. Cantina Sociale Colli Fiorentini (Avv. Carrozza) c. Comune di Montespertoli (n.c.) - T.A.R.. TOSCANA, Sez. II - 21 aprile 2005, n. 1762
Acqua - Fiumi e corsi d’acqua -
Argine - Definizione. Il termine “argine” ricomprende nel suo ambito tutti
quei baluardi, anche naturali od occasionali, i quali esistono a difesa del
corso delle acque e comunque servono ad impedire le alluvioni derivanti dalla
formazione delle piene. Pres. Vivenzio, Est. Prosperi - Istituto Oblati di Maria
Vergine (Avv. Mottola) c. Comune di Chiavari (n.c.) - T.A.R. LIGURIA, Sez. I
- 1 marzo 2005, n. 304
Acqua - Fiumi e corsi d’acqua - Art. 96, lett. f) R.D. 523/1904 - Divieto di
costruzione sull’argine - Ratio. Il divieto di costruzione nella fascia di
dieci metri dagli argini dei corsi d’acqua pubblici - di cui all’art. 96 lett. f
del R.D. 25.7.04 n.523 - tende ad evitare che la realizzazione di manufatti
alteri lo stato attuale degli elementi e delle pertinenza idriche, sia per
conservarne la sagoma effettiva, sia per permettere il necessario controllo
dell’andamento del bacino, e ciò sia nel suo assetto sia nel naturale deflusso
delle acque. Inoltre la mancanza di fabbricati nei pressi dei corsi d’acqua è
utile a consentire una tempestiva e libera effettuazione dei lavori di
manutenzione e di riparazione che possono occorrere sulle opere idrauliche
esistenti. Pres. Vivenzio, Est. Prosperi - Istituto Oblati di Maria Vergine
(Avv. Mottola) c. Comune di Chiavari (n.c.) - T.A.R. LIGURIA, Sez. I - 1
marzo 2005, n. 304
Acqua e inquinamento idrico - Consorzi di sviluppo industriale - Adozione di provvedimenti autorizzatori alle emissioni o di modifiche ai valori limite di scarico - Competenza - Esclusione - L’autorizzazione va rilasciata dalla Provincia ad ogni singola impresa. I consorzi di sviluppo industriale ex L.R. 3/99, non aventi natura di “consorzi tra imprese” ai sensi dell’art. 45, 2° comma, del D. lgs. 152/99, non sono legittimati all’adozione, nei confronti delle singole imprese aderenti, di provvedimenti autorizzatori alle emissioni, né di modifiche dei valori limite di scarico. Non essendo infatti detti consorzi soggetti ad autorizzazione per conto delle imprese stesse, l’autorizzazione in parola deve essere rilasciata ad ogni singola impresa, in relazione al proprio scarico, dalla Provincia, unica a poterne modificare le condizioni ed a poter disporre l’adeguamento in via obbligatoria alle proprie prescrizioni. Pres. Borea, Est. Di Sciascio - T. s.p.a. (Avv. Paviotti) c. Consorzio per lo Sviluppo Industriale del Friuli Centrale (n.c.) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 12 febbraio 2005, n. 25 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Scarico diretto in mare di acque reflue industriali - Tutela delle acque Disciplina applicabile - Qualificazione dello scarico - Art. 59 D. L.vo n. 152/1999 - Artt. 11 e 15, c. 10, L. n, 319/1976 - Art. 7 L, n. 172/1995. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, va considerato esistente lo scarico diretto in mare di acque reflue industriali in esercizio al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e regolarmente autorizzato, pur non potendosi applicare ad esso la disciplina dell'"autorizzazione provvisoria tacita", prevista dall'art. 15, comma 10, L. n. 319/1976, come modificato dall'art. 7 L, n. 172/1995, trattandosi di scarico diretto nelle acque del mare, e perciò soggetto alla disciplina dell'art. 11 L. n, 319/1976 (Cass. Sez. 3^, 22 giugno 2004, Tringali). Consegue a detta qualificazione dello scarico, non risultando esservi stata sospensione o revoca dell'autorizzazione, la non configurabilità del reato di cui all'art. 59 D. L.vo n. 152/1999. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 9 febbraio 2005 (ud. 11/01/2005), Sentenza n. 4682
Acqua e inquinamento idrico - Scarico - Rifiuti liquidi - Distinzione - Interruzione funzionale del collegamento diretto tra fonte di produzione e corpo ricettore - D. lgs. 22/97 - D. lgs. 152/99 - Reflui canalizzati in un impianto non consortile - Natura di rifiuti - Esclusione. Al fine di distinguere lo scarico dall’abbandono di rifiuti liquidi, va fatto riferimento al combinato disposto degli artt. 2, lett. bb), del d. lgs. 11 maggio 1999 n. 152 , 8 lett. e) del d. lgs. 22/97 all’art. 8, lett. e), e 36 del d. lgs. 152/99 - nel testo da ultimo sostituito da dall’art. 16, d.lg. 18 agosto 2000, n. 258, che assoggetta alla disciplina dei rifiuti i reflui liquidi, sul presupposto del loro “trasporto”, con esclusione del caso della canalizzazione. Qualora pertanto i reflui non siano oggetto di trasporto e manchi un’interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto tra la fonte di produzione del liquame ed il corpo idrico ricettore, va esclusa l’applicabilità del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, mentre troveranno applicazione le disposizioni di cui al D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152. Peraltro, la soluzione di continuità della canalizzazione va intesa in senso materiale e funzionale, restando pertanto irrilevante la circostanza (valutabile sotto il profilo meramente giuridico) che i reflui vengano canalizzati in un impianto di depurazione non consortile, dal quale vengano successivamente scaricati nel corpo ricettore. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - E. s.p.a. (Avv.ti Capria, Marocco e Giuri) c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Veneto (Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 26 gennaio 2005, n. 248 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarico - Composizione chimica - Sostanze costituenti rifiuti riutilizzabili - Natura di scarico - Permane. Uno scarico non cessa di esser tale perché contenga in sé sostanze costituenti rifiuti riutilizzabili: la tabella, allegata al d.P.R. 962/73, infatti, presuppone che negli scarichi possano essere presenti le sostanze più disparate; la diversa composizione chimica dello scarico avrà piuttosto rilievo al fine di distinguere tra scarichi ammessi e vietati. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - E. s.p.a. (Avv.ti Capria, Marocco e Giuri) c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Veneto (Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 26 gennaio 2005, n. 248 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarico - Artt. 34 e 28 d. lgd. 152/99 - Imposizione di valori limite più restrittivi - Presupposti. Il potere di cui all’art. 34, II comma, del d. lgs. 152/99, per il quale l’autorità competente, in sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’art. 28, commi 1 e 2, richiede un’adeguata verifica della situazione di pericolo ambientale in atto, sul cui fondamento dovranno essere emesse prescrizioni che tendano a contemperare i diversi interessi coinvolti, e ciò dovrà trovare riscontro negli atti del procedimento e nel provvedimento finale. Pres. Zuballi, Est. Gabbricci - E. s.p.a. (Avv.ti Capria, Marocco e Giuri) c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Veneto (Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 26 gennaio 2005, n. 248 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Servizio Idrico Integrato - Decreto Pres. reg. sic. 7 agosto 2001 - A.T.O. - Organi - Conferenza degli enti interessati e Presidente della Provincia - Distinzione - Affidamento del servizio idrico integrato - Gara infruttuosa - Attivazione del procedimento per l’affidamento a trattativa privata - Art. 13, c. 1, lett. a) D. Lgs. 158/95 - Competenza del Presidente della Provincia - Esclusione. In tema di affidamento del Servizio Idrico Integrato in un A.T.O., lo schema di convenzione di cooperazione tra comuni e province, di cui all’art. 2 e all’allegato A del decerto Pres. reg. sic. 7 agosto 2001, distingue nettamente i compiti della conferenza degli Enti interessati e del Presidente della Provincia, individuando la prima come Autorità d’Ambito con funzioni direttive e deliberanti e il secondo quale organo di coordinamento con funzioni rappresentative ed esecutive. Ne consegue che il Presidente della Provincia è incompetente a disporre “motu proprio” l’attivazione di un procedimento esplorativo propedeutico all’affidamento del servizio menzionato a trattativa privata senza pubblicazione preventiva del bando, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. a) del D. lgs. 158/95, per essere rimaste infruttuose le precedenti gare ad evidenza pubblica. Solo la Conferenza degli Enti dell’A.T.O. avrebbe dovuto e potuto valutare se ricorressero o meno i presupposti per avvalersi della modalità di affidamento del Servizio Idrico Integrato, come consentita dal combinato disposto dell’art. 12 del D.M. 22.11.2001 e dell’art. 13 del D.L.vo n. 158/1995, ovvero se percorrere altre soluzioni rese possibili dallo “ius superveniens” e compatibili col quadro normativo comunitario (v. circolare ministeriale 6.12.2004 nella quale si evidenzia, opportunamente, che il c.d. affidamento diretto “in house” si risolve, in sostanza, in una forma di riorganizzazione interna di servizi già gestiti dalla P.A., onde la non assoggettabilità del relativo procedimento alla regola comunitaria del pubblico bando). Pres. Adamo, Est. Ferlisi - A.M.A.P. s.p.a. (Avv.ti Armao e Ragonese) c. Provincia Reg.le di Palermo (Avv. Acanfora e Pitruzzella) e altri (n.c.) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. II - 18 gennaio 2005, n. 84 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Acque pubbliche - Provvedimenti incidenti su interessi più generali e diversi da quelli relativi alla demanialità delle acque - Attinenti all’utilizzazione del demanio idrico - Giurisdizione - T.a.r. - Esclusione. I ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti adottati dall’Amministrazione in “materia di acque pubbliche”, esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo anche nei casi in cui l’atto, pur incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, attenga comunque all’utilizzazione di quest’ultimo, interferendo immediatamente sulle opere destinate a tale utilizzazione e, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (Nella specie, i provvedimenti oggetto della controversia erano stati emanati a tutela di interessi paesistici ed ambientali). Pres. Cicciò, Est. Caso - Consorzio di bonifica bacini Tidone - Trebbia (Avv.ti Greco, Palanza e Ghelarducci) c. Comune di Rivergaro (n.c.) e Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio dell’Emilia (Avv. Stato) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma - 13 gennaio 2005, n. 8
Acqua - Acqua potabile - Fornitura - Pagamento dei corrispettivi - Controversie - Sent. Corte Cost. 204/2004 - Giurisdizione - A.G.O. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 che ha cassato, tra l’altro, la lettera e) del comma 2 del citato articolo 33 del decreto legislativo n. 80/1998 (cognizione del giudice amministrativo sulle controversie riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi), le controversie in ordine al pagamento di corrispettivi per fornitura di acqua potabile sono devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario. Pres. Papiano, Est. Lelli - M. s.p.a. (Avv.ti Sacchetti e Brighenti) c. A.D.I. s.p.a. (Avv. Fregni) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 10 gennaio 2005, n. 6
Inquinamento idrico - Depurazione delle acque - Disciplina prevista dall’art. 14 L. 5 gennaio n. 36/1994 (Legge Galli) - Canone per servizio di depurazione delle acque reflue - E’ dovuto da parte di tutti gli utenti, anche potenziali, indipendentemente dall'effettiva utilizzazione del servizio - Circostanza che non esista un allacciamento alla fognatura - Irrilevanza. In base alla legge 5 gennaio 1994, n. 36, il servizio di depurazione delle acque reflue costituisce un servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge. In forza dell'art. 14 della legge stessa gli utenti, anche potenziali, sono chiamati a contribuire tramite il versamento di un apposito canone sia alle sue spese di gestione ordinaria, che a quelle di installazione e di completamento, comprese quelle per il collegamento fognario delle singole utenze. Il canone per i servizi di depurazione delle acque reflue è dovuto indipendentemente non solo dall'effettiva utilizzazione del servizio, ma anche dalla istituzione di esso, o dell'esistenza dell'allacciamento fognario ad esso della singola utenza. Pres. Favara, Rel. Monaci - Bonifacio c. Consorzio Gestione Acque. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione Tributaria del 4 gennaio 2005, Sentenza n. 96 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Bacino idrico destinato ad approvvigionamento idropotabile - Sacrificio del bacino - A fronte di altri interessi - Possibilità - Solo ove all’interesse cedevole sia riconosciuta subvalenza ecologica. Una fonte di approvvigionamento di acque può essere sacrificata in favore di altri interessi (nella specie, conservazione dei posti di lavoro che sarebbero assicurati dal mantenimento di un’attività estrattiva), solo allorché sia stata operata una valutazione di subvalenza ecologica dell’interesse cedevole, rispetto a quello ritenuto primario e siano state tenute in adeguata considerazione le conseguenze, per il presente e per il futuro, in ordine alla situazione idrica del bacino. Pres. Gomez de Ayala, Est. Soave - Comune di Carrosio (Avv. Ferrari) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato) - T.A.R. PIEMONTE, Sez. I - 18 ottobre 2004, n. 2522
Acqua - Depuratore - Servizi di
raccolta, allontanamento, scarico e depurazione delle acque - servizio non
usufruibile - Potere impositivo dell’ente locale - Obbligazione tributaria -
Esclusione. Non sorge alcuna obbligazione tributaria per semplice effetto
dell’esistenza nel territorio comunale del depuratore per i servizi relativi
alla raccolta, allontanamento, scarico e depurazione delle acque di rifiuto
provenienti dalle superfici e dai fabbricati pubblici e privati, ivi inclusi gli
stabilimenti industriali, quando sussiste un oggettivo impedimento alla normale
fruizione del servizio. Sicché la mancata istituzione di un effettivo servizio
di depurazione (in specie l’impossibilità per gli insediamenti situati nella
sponda sinistra del fiume Panaro di usufruire del servizio in quanto il
depuratore si trova sulla sponda destra), importa il venir meno dello stesso
presupposto legale del potere impositivo dell’ente locale, non essendo
imputabile al contribuente la mancata fruizione del servizio di depurazione. -
Pres. Paolini - Est. D’Alonzo - Ric. L.R.M. Colorificio Lino Rossetti srl (avv.
Antonucci) c. Comune di Finale Emilia (avv. Della Fontana) (annulla Trib. Di
Modena sentenza 600 del 26.07.2001). CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. V, 16
settembre 2004 (17 giugno 2004), Sentenza n. 18699
Acqua - Gestione del servizio idrico integrato - Opere acquedottistiche e impianti depurativi - Trasferimenti agli enti gestori - Deroghe - Art. 1 c. 2 L.R. Campania n. 16/88 - Intepretazione. La proposizione “Sono escluse dalla presente normativa le opere acquedottistiche e di smaltimento e depurazione di liquami realizzate dalla Cassa per il Mezzogiorno, trasferite alla Regione Campania, la cui destinazione sarà disciplinata da un apposito provvedimento” (art. 1 c. 2 L. Regione Campania, n. 16 del 1988) deve essere interpretata nel senso che gli impianti depurativi sono sottratti al trasferimento agli enti locali ed agli enti gestori (stabilito come regola generale dal primo comma) e che la loro destinazione verrà decisa con appositi, futuri, provvedimenti. Il che vuol dire che, fino a che non interverranno tali appositi provvedimenti regionali, i singoli impianti depurativi rimarranno intestati alla regione Campania. Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - Consorzio ASI di Avellino (Avv. Palma) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Prefetto di Napoli e Presidente della Giunta Regionale di Napoli Comm. Di Governo delegato (Avv. Stato), Comune di Solofra (Avv. Marenghi) e Comune di Mercato San Severino (Avv. Lentini) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. I - 7 settembre 2004, n. 11701
Acqua e inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali e domestiche - Differente regime - Rilevanza del grado o natura dell'inquinamento - Esclusione. In tema di scarichi di acque reflue, la distinzione fra acque reflue domestiche ed acque reflue industriali non è determinata dal grado o dalla natura dell'inquinamento delle acque, ma esclusivamente dalla natura della attività dalle quali provengono, così che qualunque tipo di acqua derivante dallo svolgimento di una attività produttiva rientra fra le acque reflue industriali, ed il suo scarico in difetto di autorizzazione configura il reato di cui all'art. 59 del D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152. (Fattispecie relativa allo scarico proveniente dal lavaggio delle lastre utilizzate per una attività tipografica nella quale la Corte ha escluso che la bassa concentrazione di sostanze inquinanti escludesse la configurabilità del reato). Pres. Savignano G. - Est. Lombardi AM. - Imp. Arcidiacono. - P.M. Fuzio R. (Conf.) (Rigetta, Trib. Agrigento, 13 febbraio 2003).
CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 settembre 2004 (Ud. 01/07/2004) Sentenza n. 35870 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Acque provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi - Nozione di acque reflue industriali. Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi". (Fattispecie relativa a scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica), (sez. 3^, 200242932, Barattoli, riv. 222966; conf. sez. 3^, 200001774, Scaramazza G., riv. 215608).Pres. Savignano G. - Est. Lombardi AM. - Imp. Arcidiacono. - P.M. Fuzio R. (Conf.) (Rigetta, Trib. Agrigento, 13 febbraio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 settembre 2004 (Ud. 01/07/2004) Sentenza n. 35870 (vedi: sentenza per esteso)
Acque e inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Scarico dei reflui derivanti dalla molitura delle olive - Natura di insediamento produttivo - Assimilabilità agli scarichi di acque domestiche - Condizioni - Autorizzazione - Assenza - Reato di cui all'art. 59 D.Lgs. n. 152 del 1999 - Configurabilità. In tema di tutela delle acque, lo scarico dei reflui derivanti dalla molitura delle olive, effettuato senza l'autorizzazione prevista dal D.L.vo n. 152/1999, configura il reato di cui all'art. 59 del citato decreto, anche in caso di recapito in fognatura, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni, a meno che le acque di scarico possano essere assimilate a quelle "domestiche" - ex art. 28, comma 7 lett. c), del decreto 152 - il che presuppone che esse provengano dalle imprese che esercitano attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia a qualsiasi titolo la disponibilità. (Cass. Sez. 3^, 22 gennaio 2003, n. 10626, Zomparelli; 31 maggio 2002, n. 26614, Iannotti; 18 febbraio 2000, n. 4063, Rossi). Pres. Dell'Anno P. - Est. Grillo C. - Imp. Rizzo - PM. Passacantando G. (Conf.). (Rigetta, App. Lecce, 28 novembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 settembre 2004 (Ud. 23/06/2004), Sentenza n. 35843 (vedi: sentenza per esteso)
Acque e inquinamento idrico - Concetto di scarico - Autorizzazione - Art. 2,
lett. 'bb', D.L.vo n. 152/1999 - Esistenza di una condotta (o di un sistema
stabile) - Necessità - Immissioni occasionali - Sistema di convogliabilità -
Esclusione - Disciplina applicabile. Con la nuova disciplina, il concetto di
scarico necessitante la previa autorizzazione è quello delineato dall'art. 2,
lett. 'bb', D.L.vo n. 152/1999, limitato a qualsiasi immissione diretta tramite
condotta di acque reflue comunque convogliabili; in altri termini, ora lo
scarico, da una parte non comprende più le immissioni occasionali, dall'altra
presuppone sempre l'esistenza di una condotta, e cioè di un sistema stabile -
anche non costituito da una tubazione - con il quale si consente il passaggio o
il deflusso delle acque reflue. Senza il tramite di una condotta, o di un
sistema di convogliabilità, non è quindi applicabile la normativa sulle acque
(D.L.vo n. 152/1999), bensì quella sui rifiuti (D.L.vo n. 22/1997), essendo il
refluo considerato alla stregua del rifiuto liquido. Pres. Dell'Anno P. - Est.
Grillo C. - Imp. Rizzo - PM. Passacantando G. (Conf.). (Rigetta, App. Lecce, 28
novembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 settembre 2004 (Ud.
23/06/2004), Sentenza n. 35843 (vedi:
sentenza
per esteso)
Acque e inquinamento idrico - Nozione di "scarico discontinuo" di reflui
-
Configurabilità - Presupposti - D.L.vo n. 258/2000 - Scarico occasionale -
Disciplina applicabile. Lo "scarico discontinuo" di reflui è quello che, sia
pure qualificato dai requisiti della irregolarità, dell'intermittenza e della
saltuarietà, risulta tuttavia collegato ad un determinato ciclo produttivo
industriale, ancorché di carattere non continuativo; diversa l'ipotesi dello
scarico occasionale, caratterizzato invece dall'effettuazione fortuita ed
accidentale. Del primo, pacificamente, permane la rilevanza penale anche dopo
l'entrata in vigore del D.L.vo n. 152/1999, come modificato dal D.L.vo n.
258/2000 (in tal senso, tra tante: Case. Sez. 3^, 7 novembre 2000, n. 12974,
Lotti; Sez. 3^, 22 marzo 1989, n. 5673, Dall'Ora), mentre la mancata
autorizzazione del secondo ed il superamento dei valori limite, non sono più
sanzionati dalla legge, essendo stato espunto il riferimento alle "immissioni
occasionali" dagli artt. 54 e 59, ad opera della menzionata novella del 2000
(art. 23, comma 1 lett. 'e') (così: Cass. Sez. 3^, 14 giugno 2002, n. 29651, PG/Paolini).
Pres. Dell'Anno P. - Est. Grillo C. - Imp. Rizzo - PM. Passacantando G. (Conf.).
(Rigetta, App. Lecce, 28 novembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III,
3 settembre 2004 (Ud. 23/06/2004), Sentenza n. 35843 (vedi:
sentenza
per esteso)
Acqua - Energia - L. 289/2002 - Sovracanoni per le concessioni di derivazione di acqua - Attengono alla materia del sistema finanziario e tributario degli enti locali e non a quella della produzione di energia - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 10, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale dello Stato. Legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione. La disposizione impugnata, concernente la disciplina della fissazione delle basi di calcolo dei sovracanoni per le concessioni di derivazioni di acqua - qualificabili come prestazioni patrimoniali imposte -, non attiene alla materia "produzione di energia" (art. 117, terzo comma, della Costituzione), ma a quella del sistema finanziario e tributario degli enti locali. Pres. Mezzanotte, Red. Maddalena - CORTE COSTITUZIONALE, 22 luglio 2004, (dec. 8/7/04) sentenza n. 261
Acqua - L.R. Toscana n. 19/2003 - Tutela dell’ambiente - Art. 117 Cost. - Competenza esclusivo dello Stato - Interventi del legislatore regionale - Incompatibilità - Esclusione - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 4 aprile 2003, n. 19 (Disposizioni in materia di tutela della fascia costiera e di inquinamento delle acque. Modifica alla legge regionale 1 dicembre 1998, n. 88), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Nel settore della tutela dell’ambiente (materia “trasversale” nell’ambito della quale spetta allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale), la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze. Pres. Zagrebelsky, Red. Finocchiaro - CORTE COSTITUZIONALE, 22 luglio 2004, (dec. 8/7/04) sentenza n. 259 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento mare - Protocollo relativo alla protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica - Effetto diretto - Diritto di far valere le disposizioni innanzi alle autorità giurisdizionali nazionali - Sussistenza - Scarico in stagno salato comunicante con il Mediterraneo - Sostanze non tossiche ma con influenza negativa sul tenore di ossigeno del mare - Assenza di autorizzazione nazionale - Divieto di scarico. L’art. 6, n. 3, del protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica, sottoscritto ad Atene il 17 maggio 1980, approvato con la decisione del Consiglio 28 febbraio 1983, n. 83/101/CEE, nonché, una volta entrato in vigore, l’art. 6 n. 1, dello stesso protocollo, quale emendato durante la conferenza dei plenipotenziari che ha avuto luogo a Siracusa il 7 e l’8 marzo 1996, emendamenti che sono stati approvati con la decisione del Consiglio 22 ottobre 1999, 1999/801/CE, hanno effetto diretto, cosicché tutti gli interessati hanno il diritto di far valere tali disposizioni dinanzi alle autorità giurisdizionali nazionali. Queste stesse disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse vietano, in assenza di autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali competenti, lo scarico in uno stagno salato comunicante con il mare Mediterraneo di sostanze che, pur non essendo tossiche, hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino. (fattispecie: scarico artificiale di acqua dolce in stagno salato) CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, Sez. II - proc. C-213/03 - sentenza 15 luglio 2004
Acqua - Ordinanza ex l. 319/76 - d. lgs. 152/99 - Cessazione di scarico idrico non autorizzato in acque pubbliche - Giurisdizione - T.S.A.P. Appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche l’ordinanza emanata ai sensi della l. 319/76 (oggi d. lgs. 152/99), diretta a garantire dall’inquinamento le acque pubbliche (nella specie, ordinanza di cessazione immediata di scarico idrico non autorizzato), rispetto alla quale il ricorrente è titolare di una posizione d’interesse legittimo. Pres. Trivellato, Est. Gabricci - I. S.r.l. (Avv.ti Prandstraller e Bevilacqua) c. Comune di Carmignano di Brenta (Avv.Testa) - T.A.R. Veneto, Sez. III - 8 luglio 2004, n. 2284
Acqua - Rapporto di somministrazione - Giudice di pace - Competenza - Regola equitativa - Corrispettivo per il cosiddetto "minimo garantito" o "minimo impegnato" - Prova. La circostanza che, una volta chiesta la prestazione del servizio da parte dell'utente, il rapporto di somministrazione così instauratosi fosse disciplinato quanto al prezzo dalle disposizioni del regolamento comunale, direttamente discende da una norma sostanziale ordinaria, al cui rispetto il giudice di pace non è tenuto quando pronunzia in controversie di valore non superiore ai due milioni di lire (oggi millecento euro), essendo vincolato soltanto all'osservanza delle norme costituzionali e di quelle comunitarie (ove di rango superiore a quelle ordinarie), nonchè, a norma dell'art. 311 c.p.c., di quelle processuali e di quelle sostanziali cui le norme processuali facciano rinvio. (Nella specie, la regola equitativa correttamente adottata è pertanto quella secondo cui il fruitore del servizio di fornitura di acqua potabile in tanto può essere tenuto a pagare al comune, erogatore del servizio, il corrispettivo per il cosiddetto "minimo garantito" o "minimo impegnato" in quanto l'ente territoriale fornisca la prova scritta che il fruitore abbia accettato esplicitamente la clausola, in mancanza di tale prova, il fruitore era tenuto a pagare solo in relazione al consumo effettivo, pur essendo tale decisione in contrasto con quanto stabilito dall'art. 1339 c.c., che prevede che i prezzi imposti di beni o servizi sono inseriti di diritto nel contratto). - Pres. LO PIANO - Est. MANZO - COMUNE DI ALGHERO (avv. SPANU) c. BALESTRIERO - P.M. APICE (conferma Giudice di pace di ALGHERO, del 18/04/02, sentenza n. 78/02). CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III 24 giugno 2004 (ud. 18 febbraio 2004), Sentenza n. 11738
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Scarico di acque industriali senza autorizzazione - Scadenza dell'autorizzazione - Regime transitorio per gli scarichi preesistenti autorizzati - Termine dei quattro anni. In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, integra il reato di scarico di acque industriali senza autorizzazione la gestione di uno scarico di acque industriali dopo la scadenza dell'autorizzazione ottenuta in base alla disciplina previgente al d.lg. n. 152 del 1999, della quale è stato chiesto il rinnovo solo in epoca successiva alla scadenza, seppure entro i quattro anni dall'entrata in vigore del citato decreto n. 152 del 1999. Infatti, il regime transitorio per gli scarichi preesistenti autorizzati prevedeva l'obbligo per i titolari di presentare la richiesta di una nuova autorizzazione conforme alla normativa in vigore contestualmente alla data di scadenza della precedente autorizzazione, essendo puramente di carattere residuale il termine dei quattro anni dall'entrata in vigore del d.lg. n. 152 del 1999. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 23 giugno 2004, Sentenza n. 36049
Inquinamento idrico - Obbligo della P. A. di concludere con un provvedimento espresso il procedimento amministrativo - Condizioni - Motivi di esclusione - Fattispecie: smaltimento della acque di scarico, realizzazione e gestione decennale dell’impianto di depurazione. L’obbligo della Pubblica amministrazione di concludere con un provvedimento espresso il procedimento amministrativo, imposto dall’art.2 L. 7 agosto 1990 n. 241 viene meno in presenza di reiterate richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia stata già adottata una formale risoluzione amministrativa inoppugnata e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto, ovvero in presenza di domande manifestamente assurde o totalmente infondate, ovvero in presenza di domande illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi (C.S., IV Sez., n. 6181/2000; V Sez., n. 1765/2000; n. 89/1995; n. 838/93). Nella fattispecie, risulta documentato (in atto di diffida e messa in mora), che erano stati adottati dal Consorzio per lo smaltimento della acque di scarico San Candido-Sesto risposte e provvedimenti di diniego sulla richiesta di revisione prezzi per la realizzazione e gestione decennale dell’impianto di depurazione. Pres. Venturini - Est. Leoni - Consorzio dei costruttori della Provincia di Bolzano (avv.ti Gamper e Manzi) c. Consorzio per lo smaltimento delle acque di scarico San Candido-Sesto (avv.ti Platter e Calò) ed altro (conferma TAR sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, n. 154/2002). CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE IV, 15 giugno 2004 (ud. 24 febbraio 2004), Sentenza n. 4455
Inquinamento idrico - Acque - Tutela dall'inquinamento - Superamento dei limiti tabellari - Sostanze non ricomprese nella tabella 5 dell'Allegato 5 - Reato di cui all'art. 59 del d.Lgs. n. 152/1999 - Condizioni - Fondamento . L'art. 59, comma 5^, del d. lgs. n. 152 del 1999, come integrato dal d. lgs. n. 258 del 2000, sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3 dell'Allegato 5, ma solo "in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5", ovvero - più gravemente - il superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3 A del predetto Allegato. Qualora invece il superamento dei valori limite riguardi sostanze diverse da quelle indicate nella suddetta tabella 5 dell'allegato 5, esso costituisce soltanto violazione amministrativa sanzionata ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152. In altre parole, perché sia configurabile il reato di cui all'art. 59, quinto comma, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, nello scarico di acque reflue industriali occorre la simultanea ricorrenza di due condizioni, e cioè che siano superati i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5, e che si tratti di sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5 (cfr. Sez. Un., 31 gennaio 2002, Turina, m. 220.556; nonché Sez. 3, n. 3985, del 13/1/2000 (ud. 30/11/1999), Corona; Sez. Feriale, n. 33761 del 17/9/2001 (ud. 22/8/2001), Pirotta, Rv. 219894; Sez. 3^, n. 13694, del 01/12/1999 (ud. 13/10/1999), RV. 214990, Tanghetti; Sez. 3^, n. 14401, del 22/12/1999(ud.l9/10/1999), RV. 216516, Pigni; Sez. 3^, n. 11104 del 30/10/2000 (ud. 21/09/2000), RV. 217758, Nella; Sez. 3^, 9 gennaio 2002, Marcelli, m. 220.998). Pres. Rizzo AS. - Est. Franco A. - P.M. Consolo S. (Conf.) - Imp. Anselmi. (Annulla senza rinvio, App.Brescia, 8 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 9 giugno 2004 (Ud. 28/04/2004), Sentenza n. 25752 (vedi: Sentenza per esteso)
Mare e coste - Demanio marittimo - Abusiva occupazione - Quantificazione delle somme spettanti all’amministrazione a titolo risarcitorio - Giurisdizione - AGO. La controversia concerne la quantificazione delle somme spettanti, a titolo risarcitorio, all’Amministrazione per abusiva occupazione di demanio marittimo spetta alla cognizione del giudice ordinario, esulando dall’ambito di applicabilità della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ex art. 34 D.Lgs. n. 80/1998 Pres. Finati, est. Maiello - S. (Avv. Marzullo) c. Minstero dell’Economia e delle Finanze (Avv. Stato) - T.A.R. CALABRIA, Catanzaro, Sez. I - 7 giugno 2004, n. 1389
Inquinamento idrico - Immissione di liquami zootecnici in una vasca - Autorizzazione - Necessità - “Scarico” in senso tecnico. Deve essere assoggettata ad autorizzazione l’immissione di liquami in una vasca in quanto “scarico” in senso tecnico. Sicché, è legittima l’ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa per una vasca coperta in assenza di autorizzazione, come in specie, in quanto costituisce essa stessa “suolo” o “sottosuolo”. Pres. Losavio - Est. Forte. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. I, 26 maggio 2004 (22 gennaio 2004), Sentenza n. 10115
Inquinamento idrico - Scarichi di
acque reflue industriali - Esercizio al momento dell’entrata in vigore d.lg. n.
152 del 1999 - Mancanza di autorizzazione - Reato - Sussiste. In materia di
tutela delle acque dall'inquinamento, gli scarichi di acque reflue industriali
in esercizio al momento dell’entrata in vigore della legge, ma non autorizzati,
integrano il reato di scarico ai sensi delle disposizioni contenute nel d.lg. n.
152 del 1999. Tribunale Padova, 19 maggio 2004
Inquinamento idrico - Scarico - Immissione occasionale - Nozione -
Fattispecie: dilavamento atmosferico dei materiali e conseguente contaminazione.
In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, non può considerarsi
immissione occasionale lo "scarico" che avviene tramite condotta, attraverso
qualsiasi sistema stabile di rilascio delle acque (pur se non esattamente
reiterato o strutturato con tubazione). In specie, sono stati correttamente
qualificate come "scarico" anche le acque piovane provenienti dai piazzali
dell'insediamento industriale in quanto il dilavamento atmosferico dei materiali
(es. residui di alluminio di fonderia, olii e altri prodotti, destinati alla
riutilizzazione nel ciclo di produzione dell'alluminio) e dei rifiuti (polveri
residue dell'impianto di abbattimento, sali esausti) ivi depositati
inevitabilmente le contamina. Tribunale Padova, 19 maggio 2004
Inquinamento idrico - Scarico -
Acque reflue urbane - Nozione - Scarico di acque reflui di natura industriale -
Art. 59 co. l° D. Lgs. 152/1999 - Configurabilità - Mancanza di idoneo
accertamento - Esclusione. Le acque reflue urbane non sono solo il
precipitato dei reflui urbani e dei reflui industriali, ma qualcosa di più e di
diverso, così come emerge dalla stessa definizione che ne fa il legislatore; e
secondo la quale le acque reflue urbane sono: “le acque reflue domestiche o il
miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero
meteoriche di dilavamento convogliate in rete fognaria, anche separate e
provenienti da agglomerato”. Da cui si ricava con chiarezza come le acque reflue
urbane altro non sono che le acque delle pubbliche fognature e dei depuratori.
Sicché, in mancanza di un'idonea caratterizzazione, permarrebbe, comunque in
capo allo stesso la natura di refluo urbano. Certo, astrattamente, i reflui
addotti al depuratore dalla rete fognaria, senza subire alcun trattamento, e
scaricati in corpo idrico superficiale, potrebbero anche configurare la
fattispecie di cui all'art.59 co. l° D. Lgs. 152/1999, ma occorre a tal fine, la
prova della prevalenza dei reflui di natura industriale: che presuppone un
accertamento in punto di fatto, comunque riconducibile ad un fatto reale e non
ipotetico, comportante preciso onere probatorio dell'accusa prima dell’istanza
di, eventuale, sequestro preventivo. CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. III,
del 18/05/04, Sentenza n. 23217
Acqua - Inquinamento - Localizzazione di un impianto di depurazione di acque reflue - Smaltimento di acque in area dichiarata di notevole interesse ambientale - Tutela delle acque pubbliche dall’inquinamento - Competenza del G.A. e del TSAP - Presupposti giuridici. Rientra nella competenza a conoscere del giudice amministrativo, esulando da quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche, solo la controversia che verta sull’esecuzione di un’opera fognaria destinata al mero convogliamento delle acque reflue, senza alcun riflesso sul regime di alcuna acqua pubblica (T.S.A.P. 28 settembre 2001, n. 87). Così, non ci sono dubbi che sia devoluta alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche la controversia relativa alla localizzazione di un impianto di depurazione di acque reflue in relazione agli effetti che possano obiettivamente aversi sul regime delle acque di carattere pubblico (T.S.A.P. 10 settembre 2002, n. 112: fattispecie relativa alla localizzazione di un impianto di smaltimento di acque in area dichiarata di notevole interesse ambientale, a discapito di un corso d’acqua a regime torrentizio). Se poi i provvedimenti dell’Amministrazione sono orientati, non da ultimo, a preservare acque pubbliche dall’inquinamento, la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche non viene certamente meno (Cass., SS.UU., 12 dicembre 1996, n. 11090). Pres. Iannotta - Est. Mastrandrea - Unione dei Comuni Adige - Guà (avv.ti Dalla Santa e Guzzardi) c. Regione Veneto (avv.ti Morra e Pallottino) ed altri (T.A.R. Veneto, III, 21 dicembre 2001, n. 4341 e sez. III, 1° febbraio 2003, n. 935) CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 14 maggio 2004, n. 3139 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Scarico di acque reflue industriali - Reato ex art. 59 c. 5 D.L.vo 152/99 - Disciplina - Casi di applicazione. L'articolo 59, comma 5, del Decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 si configura soltanto nel caso in cui, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali vengano superati i valori massimi indicati alle tabelle 3 e 4 (o quelli più restrittivi fissati dagli enti richiamati) in relazione, però, alle sole sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5. Nella specie, in caso di superamento dei valori previsti per sostanze indicate nelle tabelle 3 e 4 ma non nella tabella 5, va pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Giudice unico Russo. TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA, sezione distaccata di Gragnano, 12 maggio 2004, sentenza n. 153
Inquinamento idrico - Acqua tutela - Aumento temporaneo dell’inquinamento - Scarico da depuratore - Evento occasionale ed imprevedibile - Disfunzionamento dell'impianto di depurazione. L’improvviso disfunzionamento di un depuratore, - ricollegabile ad una violenta precipitazione che mandò in tilt il sistema di controllo - qualificabile come evento occasionale ed imprevedibile, non giustifica eventuali ripetuti sversamenti “non abituali”, in quanto ciò presuppone la mancata adozione di quelle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 6 maggio Sentenza n. 21587 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Provvedimenti di requisizione temporanea di pozzi provati - Giurisdizione - T.S.A.P.. I provvedimenti prefettizi di requisizione temporanea dei pozzi privati (nella specie: ai fini dell’approvvigionamento idrico della città di Palermo) rientrano nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Pres. f.f. Veneziano, Est. Quiligotti - Bucaro (Avv. De Franchis) c. Ministero degli Interni e altri (Avv. Stato) - T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I - 6 maggio 2004, n. 800
Inquinamento idrico - Acque
reflue industriali - Attività di lavaggio di sabbia e ghiaia di provenienza
fluvia, defluizione in vasche con dispersione nel suolo - Autorizzazione -
Necessità - Artt. 9, 29, 45, 59, D.Lgs. n. 152/1999. Ai sensi del D.Lgs. n.
152/1999, l'impianto in cui si svolge un'attività di lavaggio di sabbia e ghiaia
di provenienza fluviale e l'acqua utilizzata a tale scopo viene fatta defluire
in alcune vasche con successiva dispersione nel suolo circostante è soggetto ad
autorizzazione. Difatti: l'art. 45, 1° comma, ribadisce il principio di cui
all'art. 9 della legge n. 319/1976 secondo cui "tutti gli scarichi devono essere
preventivamente autorizzati"; l'art. 29 vieta in modo assoluto lo scarico sul
suolo o negli strati superficiali del sottosuolo facendo salve alcune eccezioni:
tra queste, alla lettera d), è prevista l'ipotesi degli "scarichi di acque
provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di
lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti
esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle
falde acquifere o instabilità dei suoli"; l'art. 59, 1° comma, sanziona
"chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali,
senza autorizzazione". Imp. Pozzali, CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. III,
del 5 maggio 2004, sentenza n. 21045
Inquinamento idrico - Acque reflue industriali - Nozione - Stoccaggio in
vasca e successiva dispersione nel suolo - C.d. "scarico indiretto" - Immissione
diretta di acque reflue sul suolo - D.Lgs. n. 152/1999. Ai sensi dell'art 2,
lettera h) del D.Lgs. n. 152/1999, nella nozione di "acque reflue industriali”
rientra "qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in
cui si svolgono attività commerciali o produzione di beni, diverse dalle acque
reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento". Nella vigenza della
legge n. 319/1976 la giurisprudenza si è orientata nel senso della sicura
applicazione di quella normativa nei casi in cui il refluo fosse stato stoccato
in una vasca a tenuta non stagna, che permettesse un sia pure parziale
spargimento sul suolo, ovvero in ipotesi di tracimazione dalla stessa (vedi
Cass., Sez. III, 20.11.1993, n. 10575, Cilento). Sicché, le conclusioni
anzidette devono essere ribadite, nel caso (in specie) di attività di lavaggio
di sabbia e ghiaia di provenienza fluviale e l'acqua utilizzata a tale scopo
venga fatta defluire in alcune vasche con successiva dispersione nel suolo
circostante), anche alla stregua della disciplina posta dal D.Lgs. n. 152/1999
(che ha segnato la definitiva scomparsa del c.d. "scarico indiretto"), tenendo
conto che dalle vasche di primo recapito vi era una "immissione diretta di acque
reflue sul suolo". Imp. Pozzali, CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. III,
05/05/04, sentenza n. 21045
Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarichi da insediamento produttivo - Legale rappresentante della persona giuridica - Responsabilità per l'osservanza delle norme di settore - Sussiste - Fondamento. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, il legale rappresentante dell'ente imprenditore non può esimersi da responsabilità, quale persona fisica attraverso la quale la persona giuridica agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, adducendo incompetenza tecnica o ignoranza dello stato degli impianti, atteso che tali eventuali condizioni gli impongono di astenersi dall'assumere incarichi dirigenziali oppure di conferire in modo formale ad esperti l'osservanza delle norme di settore. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 28 aprile 2004 (Ud. 25 marzo 2004) sentenza n. 19560 (vedi:sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarico di acque reflue industriali - Superamento dei valori limite - Sostanze non indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 - Reato di cui all'art. 59 del D.Lgs n. 152 del 1999 - Configurabilità - Esclusione. In tema di scarichi di acque reflue industriali, l'art. 59, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 1999, come integrato dal d.lgs. n. 258 del 2000, sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3 dell'Allegato 5, ma solo "in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5", ovvero - più gravemente - il superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3A del predetto Allegato. Qualora invece il superamento dei valori limite riguardi sostanze diverse da quelle indicate nella suddetta tabella 5 dell'allegato 5, esso costituisce soltanto violazione amministrativa sanzionata ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152. In altre parole, affinché sia configurabile il reato di cui all'art. 59, quinto comma, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, nello scarico di acque reflue industriali occorre la simultanea ricorrenza di due condizioni, e cioè che siano superati i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5, e che si tratti di sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5 (cfr. Sez. Un., 31 gennaio 2002, Tutina, m. 220.556; nonché Sez. 3, n. 3985, del 13/1/2000 (ud. 30/11/1999), Corona; Sez. Feriale, n. 33761 del 17/9/2001 (ud. 22/8/2001), Pirotta, Rv. 219894; Sez. 3^, n. 13694, del 01/12/1999 (ud. 13/10/1999), RV. 214990, Tanghetti; SEZ. 3, n. 14401, del 22/12/1999 (ud. 19/10/1999), RV. 216516, Pigni; Sez. 3^, n. 11104 del 30/10/2000 (ud. 21/09/2000), RV. 217758, Nella; Sez. 3^, 9 gennaio 2002, Marcelli, m. 220.998).Pres. Zumbo A. Est. Franco A. Imputato: Troiso. P.M. Favalli M. (Diff.) (Annulla senza rinvio, App.Napoli, 28 maggio 2003). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III del 27 aprile 2004 (Ud. 18/03/2004), Sentenza n. 19522 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Termini
"rifiuto" e "smaltimento" - Disciplina sull'inquinamento delle acque
- Scarico
diretto e indiretto - Differenza - Immissione diretta di "acque reflue
domestiche" o di "acque reflue industriali" in un corpo recettore - smaltimento
del rifiuto liquido. La normativa sui rifiuti, considerata l'ampiezza dei
termini "rifiuto" e "smaltimento", rappresenta la normativa base per la
protezione dell'ambiente, con la conseguenza che il rinvio alla disciplina
sull'inquinamento delle acque (legge 319 del 1976 ed ora D.Lgs. 152 del 1999)
opera solo allorché si verifichi uno "scarico", ossia un'immissione diretta di
"acque reflue domestiche" o di "acque reflue industriali" in un corpo recettore.
Pertanto, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 152/1999, se per scarico si
intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra
fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto, viene meno lo scarico
(indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido. Pres:
Savignano A. Est: Zumbo C.. Imp: P.M. in proc. Cravanzola P.M. Esposito V. (Conf.)
(Annulla con rinvio, Trib. Alba, 19 aprile 2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III , 21 aprile 2004 (Ud. 11 marzo 2004) sentenza n. 18347 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Concetto di scarico - D.lgs. n.
152/1999 - D.lgs. n. 22/1997. In materia di tutela delle acque
dall'inquinamento l'impianto di depurazione di un normale insediamento
produttivo fa parte integrante del medesimo e se limita la propria funzione
depurativa alle sole acque reflue del ciclo produttivo da luogo ad uno scarico
in senso tecnico, sottoposto al D.lgs. 152 del 1999 sia per quanto riguarda la
preventiva autorizzazione sia per l'osservanza dei limiti legali; non trova ad
esso applicazione la distinta disciplina sui rifiuti (d.lgs. 22 del 1997) in
quanto il "rifiuto liquido" è assorbito nel concetto di scarico di "acque reflue
industriali" (Cass., sez. 3^, 5 gennaio 2000, Podella). "In tema di tutela delle
acque dall'inquinamento, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 11 maggio 1999, n.
152, intendendosi per scarico il riversamento diretto nei corpi ricettori,
quando il collegamento fra fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto
viene meno lo scarico precedentemente qualificato come indiretto, per fare posto
alla fase di smaltimento del rifiuto liquido. Conseguentemente in tale ipotesi
si rende applicabile la disciplina di cui al d.lgs. 22 del 1997 e non quella
della legge 319 del 1976, come sostituita dal d.lgs. 152 del 1999" (Cass., Sez.
3^, 3 agosto 1999, n. 2358). Pres: Savignano A. Est: Zumbo C.. Imp: P.M. in proc.
Cravanzola P.M. Esposito V. (Conf.) (Annulla con rinvio, Trib. Alba, 19 aprile
2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 21 aprile 2004 (Ud. 11 marzo 2004)
sentenza n. 18347 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Insediamento produttivo - Scarico da impianto di depurazione - Smaltimento dei soli reflui del ciclo produttivo - Disciplina sui rifiuti - Applicabilità - Esclusione - Fondamento. L'impianto di depurazione di un normale insediamento produttivo costituisce parte integrante del medesimo ed ove limiti la propria funzione depurativa alle sole acque reflue del ciclo produttivo dà luogo ad uno scarico in senso tecnico disciplinato dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, atteso che solo ove il collegamento fra fonte di riversamento e corpo recettore sia interrotto si esula dal concetto di scarico ed i reflui vanno sottoposti alla disciplina sui rifiuti di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. Pres: Savignano A. Est: Zumbo C.. Imp: P.M. in proc. Cravanzola P.M. Esposito V. (Conf.) (Annulla con rinvio, Trib. Alba, 19 aprile 2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 21 aprile 2004 (Ud. 11 marzo 2004) Rv. 228457 sentenza n. 18347 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Tutela dall'inquinamento
- Scarico di reflui industriali - Scarico discontinuo - Disciplina - Scarico
occasionale - In difetto di autorizzazione o con superamento dei limiti
tabellari - Rilevabilità penale - Esclusione - Fondamento. In tema di
disciplina degli scarichi, mentre lo scarico discontinuo di reflui, sia pure
caratterizzato dai requisiti della irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se
collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non
continuativo, trova la propria disciplina nel decreto legislativo 11 maggio 1999
n. 152, e successive modificazioni, lo scarico occasionale, sia se effettuato in
difetto di autorizzazione che con superamento dei valori limite, è privo di
sanzione a seguito della eliminazione, ad opera dell'art. 23 del decreto
legislativo 18 agosto 2000 n. 258, del riferimento alle immissioni occasionali
precedentemente contenuto negli artt. 54 e 59 del citato decreto n. 152. Pres:
Rizzo A. Est: Grillo C.. Imp: Todesco. P.M. Izzo G. (Conf.) (Annulla senza
rinvio, Trib.Como, 18 ottobre 2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 08 aprile
2004 (Ud. 10 marzo 2004) sentenza n. 16720 (vedi:
sentenza
per esteso)
Acqua - Tutela dall'inquinamento - Nozione di scarico - Immissioni
occasionali - Scarico di acque reflue industriali - Esistenza di una condotta -
Necessità. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, la nozione di
scarico necessitante la previa autorizzazione e regolamentata quanto alla
qualità dei reflui è quella delineata dall'art. 2, lett. "bb", D. L.vo n.
152/1999, che non comprende più le immissioni occasionali, tenendo presente
inoltre che lo scarico di acque reflue industriali presuppone sempre l'esistenza
di una condotta, e cioè di un sistema stabile -anche non costituito da una
tubazione- con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque
reflue. Pres: Rizzo A. Est: Grillo C.. Imp: Todesco. P.M. Izzo G. (Conf.)
(Annulla senza rinvio, Trib.Como, 18 ottobre 2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III , 08 aprile 2004 (Ud. 10 marzo 2004) sentenza n. 16720 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Scarichi di acque reflue - Scarico occasionale - In difetto di autorizzazione - Reato di cui all'art. 51 del decreto n. 152 del 1999 - Configurabilità. La immissione occasionale di acque reflue industriali non è soggetta alla preventiva autorizzazione solo nel caso in cui sia del tutto estranea alla nozione legislativa di scarico, atteso che ogni immissione diretta tramite un sistema di convogliabilità, ovvero tramite condotta, è sottoposta alla disciplina di cui al decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152. Pres. Rizzo - Est. Onorato - Imputato Rossi - Pm Izzo G. (Conf.) (Annulla senza rinvio, Trib. Spoleto, 19 luglio 2001). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III del 08 aprile 2004 (Ud. 10 marzo 2004) Rv. 228027 sentenza n. 16717 (vedi: sentenza per esteso)
Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarichi successivi all'entrata in vigore del decreto legislativo. n. 258 del 2000 - Superamento dei limiti tabellari - Limiti statali - Riferibilità alla sola Tabella 5 dell'Allegato 5 - Esclusione - Fondamento. In tema di scarichi di acque reflue industriali, la fattispecie criminosa di cui all'art. 59, deve essere configurata, a seguito delle modifiche introdotte dal D. L.vo n. 258/2000, anche nell'ipotesi di superamento dei limiti previsti dal testo unico, afferenti alle sostanze diverse da quelle indicate nella tabella 5 del D. L.vo n. 152/99, di conseguenza sussiste piena continuità normativa tra il reato di cui all'art. 3, comma terzo, della L. n. 319/76, e quello di cui al citato art. 59 del D. L.vo n. 152/99, come modificato dall'art. 23, comma 1 lett. c), del citato D. L.vo n. 258/2000 (cfr. sez. 3^, 29.10.2003 n. 1758, P.G. in proc. Bonassi e Bonfiglio). In conclusione, il reato di superamento dei limiti tabellari posti dallo Stato si configura anche in relazione alle sostanze diverse dalle 18 indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 del citato decreto n. 152 del 1999. Pres. Papadia - Est. Lombardi - Imp. Lo Piano - Pm Izzo G. (Conf.) (Annulla senza rinvio, Trib. Lucca, 9 novembre 1999. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 26 marzo 2004 (Ud. 20 febbraio 2004) sentenza n. 14801 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Acque -
Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali con superamento dei limiti
tabellari - Configurazione del reato di cui all'art. 59 c. 5° D. L.vo n.
152/1999 e s.m. - Sussistenza. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento,
lo scarico occasionale di acque reflue industriali con superamento dei limiti
tabellari configura il reato di cui all'art. 59, comma quinto, del decreto
legislativo 11 maggio 1999 n. 152 anche a seguito delle modifiche operate
dall'art. 23 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 258, atteso che, quale
che sia il loro carattere temporale, sono escluse dalla disciplina sulla tutela
delle acque esclusivamente le immissioni realizzate senza il tramite di una
condotta. Pres. Zumbo - Est. Onorato - Imp. Lecchi - Pm Izzo G. (Conf.) (Annulla
con rinvio, App.Milano, 14 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 24
marzo 2004 (Ud. 21 gennaio 2004) Rv. 227782 sentenza n. 14425 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Acqua - Tutela dall'inquinamento - Metodo campionamento
e scarico occasionale - Metodiche di prelievo dei campioni del refluo -
Inosservanza - Sanzionabilità - Esclusione. In tema di controllo dei reflui
degli scarichi di acque reflue industriali l'inosservanza del metodo di
campionamento medio nell'arco di tre ore non è assoggettata ad alcuna sanzione,
atteso che spetta all'autorità amministrativa di controllo, ed in sede
processuale al giudice, valutare la razionalità del metodo adottato in relazione
alle specifiche caratteristiche del ciclo produttivo e delle modalità dello
scarico. Pres. Zumbo - Est. Onorato - Imp. Lecchi - Pm Izzo G. (Conf.) (Annulla
con rinvio, App.Milano, 14 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 24
marzo 2004 (Ud. 21 gennaio 2004) sentenza n. 14425 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Immissioni realizzate senza il tramite di una condotta
- Immissioni occasionali - Disciplina legislativa - Interpretazione -
Superamento dei limiti tabellari - Fattispecie. In tema di tutela delle
acque dall'inquinamento, l'abolizione dell'inciso relativo alla “immissioni
occasionali”, (D.Lgs. 18.8.2000 n. 258) ha inteso semplicemente escludere dalla
sanzione per l'inquinamento tabellare le immissioni realizzate senza il tramite
di una condotta. Ma non ha inteso escludere dalla sanzione gli scarichi
propriamente detti, cioè le immissioni tramite condotta, che non abbiano
carattere di continuità. Più precisamente questi scarichi non possono superare i
limiti tabellari, quale che sia il loro carattere temporale, continuo,
discontinuo o anche semplicemente occasionale. Fattispecie: scarico nella
fognatura tramite condotta in modo discontinuo di acque derivanti dallo spurgo
delle torri di raffreddamento, le acque usate per attività urbane o derivanti da
normali operazioni di pulizia, nonché le acque di scolatura di alcuni processi
di lavaggio del piazzale usato per il trasporto dello stereato di zinco. Pres.
Zumbo - Est. Onorato - Imp. Lecchi - Pm Izzo G. (Conf.) (Annulla con rinvio,
App.Milano, 14 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 24 marzo 2004 (Ud.
21 gennaio 2004) sentenza n. 14425 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Attendibilità delle analisi - Inosservanza del metodo
di campionamento - Valutazione del giudice della rappresentatività del campione
- Sussiste. L'inosservanza del metodo di campionamento non è assoggettata ad
alcuna sanzione, sicché è lasciata all'autorità amministrativa procedente e in
ultima istanza al giudice la valutazione della razionalità del metodo adottato,
in relazione alle caratteristiche del ciclo produttivo e alle modalità temporali
dello scarico, nonché la valutazione della attendibilità delle analisi. In altri
termini, la norma sul metodo di campionamento dello scarico ha carattere
procedimentale, non sostanziale, sicché non può configurarsi come norma
integratrice della fattispecie penale: essa indica il criterio tecnico ordinario
per il prelevamento, ma non esclude che il giudice possa motivatamente valutare
la rappresentatività di un campione che, per qualsiasi causa, non è stato potuto
prelevare secondo il criterio ordinario. Conf.: Cass. Sez. 3^, n. 32996 del
5.8.2003, Lazzeroni, rv. 225547; contra: Cass. Sez. 3^, n. 9140 del 22.8.2000,
Pautasso, rv. 217545 Pres. Zumbo - Est. Onorato - Imp. Lecchi - Pm Izzo G. (Conf.)
(Annulla con rinvio, App.Milano, 14 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III del 24 marzo 2004 (Ud. 21 gennaio 2004) sentenza n. 14425 (vedi:
sentenza
per esteso)
Inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Reflui industriali pericolosi - Sversamento in rete fognaria e/o nel suolo - Reato di cui all'art. 59 del D.Lgs n. 152 del 1999 - Configurabilità. L'immissione non autorizzata di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 59, comma primo, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, e successive modificazioni, sia che lo sversamento avvenga in fognatura sia che sia effettuato in un pozzo a perdere, atteso che la fattispecie in questione punisce ogni indebita immissione di acque reflue nel suolo, nel sottosuolo ed in rete fognaria. Pres. Rizzo - Est. Squassoni - Imputato Scarabello - Pm Izzo (Conf.) (Rigetta, Trib. riesame Milano, 23 settembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III del 23 marzo 2004 (Cc. 11 febbraio 2004) Rv. 228449 sentenza n. 13967
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Acque costiere e marine, i laghi naturali d'acqua dolce e le altre acque dolci - Riduzione dell'inquinamento delle acque provocato o indotto da nitrati di origine agricola in zone vulnerabili - Stati membri - Obbligo - Processo di eutrofizzazione - Intervento - necessità. Gli Stati membri devono adottare programmi d'azione, ai sensi dell'art. 5 della direttiva CE 12 dicembre 1991 n. 676/91, diretti a prevenire e a ridurre l'inquinamento delle acque provocato o indotto da nitrati di origine agricola nelle zone vulnerabili designate ai sensi dell'art. 3, n. 2 e 4, della direttiva: tali programmi devono contenere in particolare le misure obbligatorie di cui all'allegato III e predisporre un sistema organizzato e coerente di azioni. Infine, secondo il disposto dell'art. 3, n. 1, della direttiva n. 676/91, in combinato disposto con l'allegato I, sub A, punto 3, è compito degli Stati membri individuare gli estuari, le acque costiere e marine, i laghi naturali d'acqua dolce e le altre acque dolci che hanno subito o rischiano di subire un processo di eutrofizzazione qualora non siano adottate le misure previste dall'art. 5 della stessa direttiva. Comm. Ce c. Rep. Irlanda. CORTE DI GIUSTIZIA CE, 11 marzo 2004, n. 396
Acqua - Tutela dall'inquinamento
- Scarico da insediamento produttivo - Superamento dei limiti tabellari -
Sostanze non incluse nella Tabella 5 - Potere cancerogeno - Criterio di
individuazione. Il superamento dei limiti previsti per gli scarichi da
insediamento produttivo dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, come
modificato dal decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 258, per le sostanze non
incluse nella tabella 5 allegata al citato decreto n. 152, integra il reato di
cui all'art. 59 dello stesso decreto allorché risulti provato il potere
cancerogeno delle stesse secondo le indicazioni dell'agenzia internazionale di
ricerca sul cancro (IARC), stante la previsione di chiusura del punto 18 della
stessa tabella, ed è sufficiente che tale effetto sia accertato nei confronti
degli animali non essendo necessaria la prova di analogo effetto nei confronti
dell'uomo, sia perché manca nel testo legislativo una specificazione in tal
senso, sia in quanto la normativa di settore è posta a salvaguardia
dell'ambiente ed a tutela della salute di ogni essere vivente. Pres. Papadia -
Est. Squassoni - Imp. Grilli ed altri - Pm Iacoviello (Conf.) (Rigetta,
Trib.Verbania, 11 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 25 febbraio
2004, (Cc. 23/01/2004) sentenza n. 8147 (vedi:
sentenza
per esteso)
Acqua - Opere di regimazione di un torrente - Ordinanza contingibile ed urgente - Ricorso - Art. 143, 1°comma, lett. a) r.d. 1775/1933 - Ricorsi per eccesso di potere in materia di acque pubbliche - Rientra - Giurisdizione - Tribunale superiore delle acque pubbliche. In materia di ricorso contro un’ordinanza contingibile ed urgente, con cui il Sindaco abbia ingiunto al proprietario di uno stabilimento industriale, posto nei pressi della sponda di un torrente, di dar corso a opere di regimazione, necessarie per la tutela della pubblica incolumità, è applicabile l’art. 143, 1 comma lett. a) del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, che attribuisce alla competenza del tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi per eccesso di potere avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche. Fim.co spa (Avv. Mantelli) c. Comune di Chiusa di Pesio (Avv.ti Golinelli, Morra e Martino) - Pres. Gomez de Ayala, Est. Peruggia - T.A.R. PIEMONTE, Torino, Sez. I - 25 febbraio 2004, n. 329
Inquinamento idrico -
Campionamento - Punto di prelievo - Collocazione topografica - Autorizzazione
allo scarico - Indicazione formale - Soggetto incaricato del controllo - Poteri
- D.lgs. 152/1999. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, ai sensi
del d.lg. 11 maggio 1999 n. 152, il punto di prelievo deve essere individuato in
un sito che si trovi dopo il sistema di depurazione (non avrebbe evidentemente
senso prelevare il campione in un punto della linea dello scarico in cui gli
effluenti non abbiano ancora subito gli effetti positivi della tecnologia
impiegata per abbattere la presenza di sostanze inquinanti); nell'ipotesi
generale, questo sito deve collocarsi subito a monte del punto di immissione (e
quindi, anche in un punto non attiguo all'impianto di depurazione, laddove le
esigenze funzionali e la struttura dell'impianto lo richiedano); in quella
speciale (relativa alla presenza di sostanze inquinanti più allarmanti), il sito
è invece arretrato subito dopo l'uscita dal depuratore o (qualora lo
stabilimento ne sia sprovvisto) dallo stabilimento, così escludendo (per rendere
più agevole l'individuazione di eventuali diluizioni, vietate ai sensi dell'art.
28, comma 5 d.lg. 11 maggio 1999 n. 152, o comunque di interventi elusivi) la
possibilità di un'ubicazione periferica. In entrambi i casi, viene presupposta
la predisposizione del pozzetto di prelievo, la sua indicazione formale già
nell'autorizzazione allo scarico, e la sua accessibilità. Laddove detta
indicazione non sia rinvenibile, ovvero il campionamento non sia concretamente
praticabile nel pozzetto indicato, tale mancanza costituisce un'omissione ad un
obbligo di legge e pertanto (sempre secondo l'orientamento della Cassazione) il
punto di prelievo verrà individuato in base alla scelta del tecnico incaricato
del campionamento, sulla base dei criteri predetti. Ciò, anche con riferimento
alla previsione generale dell'articolo 50 d.lg. 11 maggio 1999 n. 152, secondo
il quale "Il soggetto incaricato del controllo è autorizzato a effettuare le
ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all'accertamento del rispetto dei
valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti
autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione
degli scarichi. Il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni
richieste e a consentire l'accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico".
Pres. Lignani - Est. Ungari - Soc. UMBRIA OLII S.P.A. (avv. La Spina) c. Comune
di Campello sul Clitunno (avv. Marcucci) e altro T.A.R. Umbria, 12 febbraio
2004, n. 67
Inquinamento idrico - Analisi di reflui - Immissione occasionale
-Campionamento effettuato in modo istantaneo - Difformità nelle modalità dei
campionamenti - C.d. campionamento medio - Omissione - Discrezionalità tecnica.
In tema di analisi di reflui, la omessa adozione del campionamento medio non
inficia di per sé l'efficacia delle analisi; infatti, diversamente, non si
comprenderebbe come sarebbe possibile individuare il superamento dei valori
limite in una immissione occasionale che, in ipotesi, potrebbe durare meno del
tempo previsto per il c.d. campionamento medio (in tal senso, Cass. pen., III,
17 dicembre 1999, n. 1773, ove si sottolinea anche che il consolidato principio
secondo il quale, nella scelta del metodo di campionamento dei reflui sussiste
una discrezionalità tecnica, così che la indicazione di effettuare le analisi su
un campione medio ha carattere direttivo e non precettivo, in quanto il tipo di
campionamento è correlato non solo alle caratteristiche del ciclo produttivo, ma
anche ai tempi, ai modi, alla portata ed alla durata dello scarico, non deve
essere modificato alla luce del d.lgs. 152/1999). Fermo restando la rilevanza di
dette modalità per la configurabilità del reato previsto dall'art. 59, comma 5 (cfr.,
nel senso del necessario rispetto, Cass. pen., III, 7 luglio 2000, n. 9140).
Pertanto, dato che la ricorrente non ha argomentato alcunché in ordine ad una
eventuale scarsa significatività, in relazione alle caratteristiche specifiche
del ciclo produttivo e dello scarico, del campionamento effettuato in modo
istantaneo, tale modalità non costituisce vizio dell'accertamento. In specie, le
censure concernenti l'ubicazione e le modalità tecniche di raccolta del campione
non possono inficiare le operazioni svolte dai tecnici dell'A.R.P.A. Pres.
Lignani - Est. Ungari - Soc. UMBRIA OLII S.P.A. (avv. La Spina) c. Comune di
Campello sul Clitunno (avv. Marcucci) e altro T.A.R. Umbria, 12 febbraio
2004, n. 67
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Immissione - Controlli - Campionamento - Disposizioni - D.lgs. 152/1999. In ordine ai controlli, l'articolo 28, comma 3 d.lg. 11 maggio 1999 n. 152, prevede che "Gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell'autorità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, salvo quanto previsto al comma 3 dell'articolo 34, si intende effettuata subito a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo". L'articolo 34, comma 3, primo periodo, prevede a sua volta che "per le acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/a e 5 dell'allegato 5, il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo". Pres. Lignani - Est. Ungari - Soc. UMBRIA OLII S.P.A. (avv. La Spina) c. Comune di Campello sul Clitunno (avv. Marcucci) e altro T.A.R. Umbria, 12 febbraio 2004, n. 67
Inquinamento idrico - Immissioni
dirette nelle acque superficiali - Scarico in mare - Autorizzazione - Necessità
- Presupposti - Competenza - D. L.vo n.152/99 - L.R. Sicilia Art. 40 della l. r.
27/86. Il Decreto Legislativo n. 152/99 si limita a disciplinare
esclusivamente gli scarichi diretti, cioè le immissioni dirette nelle acque
superficiali, e quindi, tra l’altro, gli scarichi nel mare. Tale disciplina
all’art. 45 dispone che, tutti gli scarichi devono essere preventivamente
autorizzati, e, a norma dell’art. 46, la richiesta di autorizzazione deve essere
accompagnata dalle caratteristiche dello scarico. La competenza in ordine al
rilascio delle autorizzazioni, secondo quanto disposto dall’art. 45, è
disciplinata dalla Regione che, nel caso della Sicilia, già prima dell’entrata
in vigore della normativa in questione, l’aveva attribuita ai Comuni in virtù
dell’art. 40 della l. r. 27/86, non modificato successivamente all’entrata in
vigore della nuova disciplina nazionale. In specie, per il completamento delle
proprie attività di smaltimento, l’impianto, prevedeva lo scarico in mare delle
acque reflue delle operazioni di trattamento, adeguatamente purificate,
tuttavia, in violazione della necessaria specifica autorizzazione allo scarico
diretta alla valutazione della tipologia di impianto, della natura dei rifiuti
trattati e delle procedure di trattamento. De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA
Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento idrico - Nuova autorizzazione allo scarico - Presupposti - Art.
45 D. L.vo n.152/99. In tema d’inquinamento idrico l’autorizzazione allo
scarico implica necessariamente la valutazione della tipologia di impianto,
della natura dei rifiuti trattati e delle procedure di trattamento. Con la
conseguenza che la modifica di uno di tali elementi richiede necessariamente una
nuova autorizzazione. De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico
sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento idrico - Disciplina degli scarichi - Prelievo e campionamento
delle acque reflue - Attività a sorpresa - Procedimento - Art. 50 d.lv. 152/99 -
Art. 223 disp. att. c.p.p. - Art. 360 c.p.p.. In tema di disciplina degli
scarichi il prelievo ed il campionamento delle acque reflue configurano attività
amministrativa che non richiede l’osservanza delle norme del codice di procedura
penale stabilite a garanzia degli indagati e degli imputati per le attività di
polizia giudiziaria, atteso che l’unica garanzia richiesta per le anzidette
attività ispettive è quella prevista dall'art. 223 disp. att. cod. proc. pen.
che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove si
svolgeranno le analisi dei campioni, onere che deve ritenersi ottemperato nella
misura in cui, nel caso di specie, le analisi sono state effettuate con le
procedure di cui all’art. 360 c.p.p. (cfr. Cass. III, 29/1/2003, 15170).
L’esecuzione delle attività di prelievo, devono necessariamente costituire
attività a sorpresa, assimilabile alle ispezioni, condizione necessaria per
garantire la genuinità dell’accertamento, e come tali disciplinate e consentite
in via generale dall’art. 50 d.lv. 152/99, e, comunque, dagli artt. 348 e ss.
c.p.p. (cfr. Cass. III, 1/7/87, 7999; Cass. III, 15/11/84, 10041). Giudice De
Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del
16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento - Acqua - Rifiuti - Art. 635 c.p. (danneggiamento) e D. L.vi nn. 152/99, 22/97 - Rapporto di specialità - Esclusione - Art. 822 cod. civ. - Alterazione dell’integrità di un bene al servizio della collettività quale le acque del mare. In tema d’inquinamento un’attività di immissione o diffusione abusiva di materiali di qualunque natura, solidi o liquidi, ove abbia come conseguenza l’alterazione dell’integrità di un bene quale le acque del mare, sotto il profilo della sostanza, delle risorse biologiche e ittiche, della composizione, ovvero della utilizzabilità o anche solo del valore estetico, appare configurabile il reato in questione. Né questo deve essere escluso per la contemporanea presenza di altro reato - contravvenzionale - che punisce lo specifico fatto dell’inquinamento, dal momento che tra il primo reato e quelli espressamente previsti dal d.lv. 152/99 o dal d.lv. 22/97 non esiste rapporto di specialità atteso che il primo tutela non l’ambiente come valore in sé, quanto il valore patrimoniale dello stesso e l’utilizzabilità da parte della collettività. Sicchè, ove all’attività illecita consegua, appunto, l’evento ulteriore rappresentato dal danno, si determina un concorso delle due tipologie di reato (cfr. Cass. 15/11/79, 5802; Cass. 10/12/79, 5870; Cass. 19/6/81, 9425; Cass. 17/6/82, 11484; Cass. 10/2/84, 5485). Inoltre il mare, così come tutti gli altri beni elencati nell’art. 822 cod. civ., è essenzialmente destinato al servizio della collettività, per cui correttamente in caso di danneggiamento di tale bene appare configurabile il delitto di cui all’art. 635, con l’aggravante del capoverso n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7 c.p. la quale tutela, appunto, la destinazione pubblicistica del bene (cfr. Cass. 15/11/79, 5802; Cass. 10/2/84, 5485). Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Prelievo effettuato nell’immediatezza di una immissione
- Nullità o inutilizzabilità - Esclusione - Fondamento. I risultati di un
prelievo effettuato nell’immediatezza di una immissione (in flagranza) che, non
consenta l’apprestamento degli specifici strumenti con la conseguenza di
eventuali inosservanze delle modalità e metodiche di prelievo dei campioni non
possono determinare alcuna nullità o inutilizzabilità delle operazioni compiute
e degli atti conseguenti, (cfr. Cass. III, 24/5/99, 6416; Cass. III, 16/2/2000,
1773), e assumono ugualmente il rilievo di elementi di prova liberamente
valutabili dal giudice, sicchè tali violazioni costituiscono esclusivamente
elemento di valutazione dell’attendibilità del risultato (cfr. Cass. III,
24/5/99, 6416). Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA Giudice monocratico
sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento idrico - Scarico e immissione occasionale - Differenza -
Superamento dei limiti tabellari - Fattispecie: scarico in mare dei reflui -
Art. 59 d.lg. n. 152/1999. In materia di inquinamento idrico, si distingue
lo scarico dall’immissione occasionale per il fatto che il primo ha carattere di
continuità e stabilità (Cass. III, 14/6/2002, 29651), mentre l’immissione
occasionale è costituita da uno sversamento occasionale ed eccezionale
realizzato, pertanto, al di fuori di un sistema di scarico. Può pertanto,
concludersi che il superamento dei limiti tabellari resta sanzionato a norma
dell’art. 59 d.lg. n. 152 del 1999, quando venga realizzato nell’ambito di uno
scarico, caratterizzato, dalla permanenza e stabilità, mentre resta escluso
dalla punibilità se realizzato nell’ambito di uno sversamento occasionale (cfr.
Cass. III, 14/6/2002, 29651 - Paolini). In base all’attuale testo dell’art. 59
menzionato, in specie, occorrerà distinguere due ipotesi: quella dell’agente
che, in maniera occasionale, al di fuori di un’attività di scarico, e dunque
nell’ambito di sversamenti episodici da impianti che non prevedono scarichi in
mare (quali, per esempio, le avarie agli impianti medesimi), effettua un
versamento in acque superficiali, condotta non più punibile a norma del
menzionato art. 59 c. 5; e quella, invece, dell’agente il quale gestisca un
impianto che preveda lo scarico in mare dei reflui, e che, nell’ambito di tale
scarico, effettui, anche occasionalmente, degli sversamenti che superino i
limiti tabellari. Condotta, questa, di cui permane la illiceità penale. In
sostanza, la depenalizzazione riguarda solo l’occasionalità degli sversamenti,
eseguiti al di fuori di uno scarico stabile; restando, invece, sottoposti a
sanzione tutti i superamenti tabellari, anche se occasionali o rilevati
occasionalmente, quando eseguiti, come recita la norma, nell’effettuazione di
uno scarico industriale, cioè nell’ambito di un sistema di scarico avente
carattere di stabilità e continuità. Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA
Giudice monocratico sezione II - sentenza del 16/12/2003 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarico di autolavaggio -
Presenza di caratteristiche inquinanti - Acque reflue industriali -
Autorizzazione allo scarico e c.d. permesso di agibilità o abitabilità -
Differenze e finalità. Lo scarico di autolavaggio assimilabile a quello
degli insediamenti produttivi, sotto il vigore della precedente normativa (Cass.
sezione terza, 18 giugno 1982 n. 5985, Incerti rv. 154274), ed a quello di acque
reflue industriali, secondo la recente (cfr. da ultimo Cassazione, sezione
terza, 21004/03, Pm in proc. Panizza), per la presenza di caratteristiche
inquinanti diverse e più gravi da quello di un insediamento civile per la
presenza di oli minerali, sostanze chimiche e particelle di vernice
eventualmente staccabile dalle autovetture ed esercizio di un servizio in forma
professionale ed organizzata. Inoltre, l'autorizzazione allo scarico è
caratterizzata dalla tipicità delle forme, sicché non è ammesso alcun
equipollente e neppure il c.d. permesso di agibilità o abitabilità, relativo a
differenti presupposti e diverse finalità. Pres. Savignano - Est. Novarese - Pm
Meloni - Imp. Marziano. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud.
5.12.2003) sentenza n. 985 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Scarichi esistenti autorizzati - Scarichi
esistenti non autorizzati - Disciplina applicabile - Aumento temporaneo
dell'inquinamento - Autonomi e distinti reati - Elementi costitutivi -
Differenze - Scarico senza autorizzazione - Omessa autorizzazione - Art. 2 lett.
c, c bis, D. L.vo n. 258/2000 - D. L.vo n. 152/1999 e succ. mod..
L'effettuazione di uno scarico senza autorizzazione e la violazione del divieto
di un aumento anche temporaneo dell'inquinamento costituiscano due autonomi e
distinti reati, i cui presupposti ed elementi costitutivi sono differenti, il
giudice esattamente si è soffermato solo su quello concernente l'omessa
autorizzazione, in quanto si trattava di scarico esistente non autorizzato,
sicché, secondo uniforme giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. III 16
febbraio 2000, n. 1774), recepita dal D.Lgs n. 258 del 2000 all'art. 2 lett. c c
bis) devono ritenersi nuovi anche gli scarichi esistenti non autorizzati, in
quanto la disciplina transitoria di cui all'art. 62 dodicesimo comma D.L.vo n;
152 del 1999 e successive modificazioni si applica solo agli scarichi esistenti
autorizzati. La disciplina, non è mutata neppure dopo l'intervenuta modifica dei
termini di adeguamento, di cui all'art. 62 undicesimo comma D.Lgs cit., operata
dall'art. 10 bis della legge di conversione n. 200 del 2003 del d. 1. n. 147 del
2003 recante "proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali". Infatti,
a parte la specifica caratteristica del decreto legge su citato, evidenziato
dalla sua rubrica, la dizione dell'art; 10 bis cit., secondo cui "i termini di
cui all'art. 62 comma 11, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152,
relativo agli scarichi esistenti, ancorché non autorizzati, sono differiti fino
ad un anno a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto" (cioè fino al 3 agosto 2004), non ha fatto
venir meno la definizione legislativa degli scarichi esistenti su descritta.
Tale esegesi deve essere privilegiata, perché in tema di eccezioni ad una regola
generale, non è possibile fornire un'interpretazione estensiva, ma occorre
preferirne una restrittiva. Pres. Savignano - Est. Novarese - Pm Meloni - Imp.
Marziano. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 5.12.2003)
sentenza n. 985 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Nozione di “scarico esistente” - art. 62, 11° e
12° c., D. L.vo n. 152/1999 - Art. 2 lett. c, c bis, D.Lgs n. 258/2000 -
Abrogazione tacita - Inconfigurabilità - Disciplina applicabile. In assenza
di un'abrogazione espressa della nozione di scarico esistente di cui all'art. 2
lett. c c bis) del D.Lgs n. 258 del 2000, non è possibile attribuire ad una
disposizione con un contenuto specifico e limitato la possibilità di introdurre
un'abrogazione implicita, mentre la locuzione contenuta sembra una cattiva
sintesi di una pluralità di situazioni, disciplinate in maniera uniforme
dall'art. 62 undicesimo e dodicesimo comma decreto legislativo 11 maggio 1999 n.
152. Pertanto, non è concepibile per le ragioni su riferite un'abrogazione
tacita dell'art. 2 let. c c bis) d. 1. vo cit. su riportata, ove si volesse, in
contrasto con i criteri ermeneutici su evidenziati in tema di interpretazione di
norme derogatorie di una regola generale, ritenere estensibile il termine "non
autorizzati" a tutti gli scarichi esistenti, non può obliterare il sintagma
"conformi al regime autorizzativo previgente", sicché l'espressione "non
autorizzati" concernerebbe solo quegli scarichi esistenti alla data del 13
giugno 1999, non muniti di formale autorizzazione che, in relazione alla
situazione fattuale, avrebbero potuto ottenerla. Pres. Savignano - Est. Novarese
- Pm Meloni - Imp. Marziano.
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 5.12.2003) sentenza n.
985 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acqua e inquinamento idrico - Concetto di aumento dell’inquinamento -
Presupposti ed elementi - Omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un
aumento anche temporaneo dell'inquinamento - Sistema sanzionatorio - Tutela
dell'ambiente. L'omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un
aumento anche temporaneo dell'inquinamento, costituisce un obbligo cui
soggiacciono i titolari degli scarichi esistenti, ancorché autorizzati, durante
il regime transitorio (Cass. sez. un. 31 gennaio 2002 n. 3798, Turina rv. 220556
non massimata sul punto). Pertanto, poiché "l'aumento è un concetto per
definizione relativo e presuppone il raffronto tra due dati, che sono
quantitativi e qualitativi e, comunque, di fato riferiti allo scarico con la
prescrizione che il dato fisico - chimico preesistente all'entrata in vigore del
D.L.vo n. 152/99 non può essere alterato in peius" ed i dati da comparare
possono risultare " da qualsiasi elemento" e "l'aumento potrà anche essere
desunto da fatti significativi" (Cass. sez. un. 31 gennaio 2002, Turina cit.), i
dati da comparare, come si evince dai passi tratti dalla decisione delle sezioni
unite, non devono provenire necessariamente da analisi, ma possono discendere
pure da considerazioni logiche oltre che da altre evenienze fattuali (ex. gr.
Aumento della produzione e mantenimento dello stesso depuratore, guasto del
sistema di depurazione, et similia). Sicché l'eventuale possibilità di
configurare pure la contravvenzione di aumento anche temporaneo
dell'inquinamento costituisce un ulteriore segnale circa la necessità di
sanzionare, comunque, dette situazioni illecite e pericolose per la tutela
dell'ambiente. Pres. Savignano - Est. Novarese - Pm Meloni - Imp. Marziano.
CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III del 20 gennaio 2004, (ud. 5.12.2003) sentenza n. 985 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento idrico - Tutela
delle acque - Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati -
Principio - Acque reflue domestiche in reti fognarie - Deroga e condizione - L.
319/1976 - Artt. 45 e 59 1° c., .D. Lgs. n. 152/1999 - D. Lgs. n. 258/2000.
In tema d’inquinamento delle acque, l'art. 45, 1° comma, del D. Lgs. n. 152/1999
(pur dopo le modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 258/2000) ribadisce il
principio di cui all'art. 9 della legge n. 319/1976 secondo cui "tutti gli
scarichi devono essere preventivamente autorizzati" (in deroga a tale principio
gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie non necessitano di
preventiva autorizzazione ma sono esplicitamente vincolati al rispetto dei
regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato) ed il successivo
art. 59, 1^ comma, sanziona penalmente "chiunque apre o comunque effettua nuovi
scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione...". Pres. Savignano
G. - Est. Fiale A.- Pm D'Angelo G. (Conf.) - Imp. Marino. CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III del 20 gennaio 2004, (Ud. 27 novembre 2003), Sentenza n. 978 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - I reflui di autocarrozzeria (e/o
autolavaggio) sono da considerarsi "acque reflue industriali", non assimilabili
a quelle domestiche - Assenza della prescritta autorizzazione - Reato -
Sussiste. In tema d’inquinamento delle acque, i reflui da attività di
autocarrozzeria (ma anche - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte -
quelli da impianti di autolavaggio) devono considerarsi "acque reflue
industriali", non assimilabili a quelle domestiche - poiché non ricollegabili al
metabolismo umano e non provenienti dalla realtà domestica - sicché lo scarico
di essi in assenza della prescritta autorizzazione è tuttora previsto dalla
legge come reato. Pres. Savignano G. - Est. Fiale A.- Pm D'Angelo G. (Conf.) -
Imp. Marino. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (Ud. 27
novembre 2003), Sentenza n. 978 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acque - Scarichi di acque reflue industriali - Superamento limiti tabellari Statali - Tutela dall'inquinamento - Entrata in vigore del decreto n. 258/2000 - Riferibilita' alla Tabella 5 allegata al decreto n. 152/1999 - Esclusione - Fondamento - D. LG. N.152/1999 art. 59 COST.- D. LG. n.258/2000 art. 23. In tema di scarichi di acque reflue industriali, con la entrata in vigore del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 258, modificativo dell'art. 59 del D. Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, sono sottoposti a sanzione penale gli scarichi che superano i limiti tabellari posti dallo Stato ed individuati nelle Tabelle 3 e 4 anche per le sostanze diverse dalle 18 indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5, atteso che la attuale formulazione colloca il riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 solo dopo la indicazione dei limiti piu' restrittivi fissati dalle Regioni, solo per i quali deve farsi riferimento alle sostanze individuate dalla citata Tabella 5. PRES. Raimondi R REL. Postiglione A COD.PAR.351 IMP. P.G. in proc. Bonassi ed altro PM. (Conf.) Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale. Sez. III del 17/12/2003 (UD.29/10/2003) RV. 226829 Sentenza n. 48076
Inquinamento idrico - Acque reflue industriali - Scarico non autorizzato in pubblica fognatura - Art. 59 co. 1 D. Lgs. n. 152/1999 - Configurabilità. In tema d'inquinamento idrico, lo scarico non autorizzato di acque reflue industriali ex art. 21 L. 10/5/76, n. 319, è tuttora previsto come reato dall’art. 59 co. 1 D. Lgs. 11/5/99, n. 152. (Nella specie, l'imputato era stato illegittimamente assolto dal reato ascrittogli, sul presupposto giuridicamente erroneo che detto fatto fosse depenalizzato - scarico in pubblica fognatura delle acque reflue provenienti da un insediamento produttivo sprovvisto della necessaria autorizzazione -. Corte Imp. Massa. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 08 ottobre 2003, Sentenza n. 38191
Inquinamento idrico - Reati contro l'incolumità pubblica - Contravvenzioni - Getto pericoloso di cose - Concorso con i reati di cui al D.L.gs. n. 152/1999 - Possibilità - Art. 674 c.p. L'ipotesi di reato di cui all'art. 674 cod. pen. (getto pericoloso di cose) può concorrere con le disposizioni della D.L.gs. 11 maggio 1999 n. 152 (tutela delle acque dall'inquinamento), stante la diversa struttura delle fattispecie ed i differenti beni giuridici tutelati. Pres. Papadia U - Est. Rizzo A - Imp. Graziani - PM. (Conf.) Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 07 Ottobre 2003 (UD.01/07/2003) RV. 226578, sentenza n. 37945
Inquinamento idrico - Tutela dall'inquinamento - Scarichi da frantoi oleari - Condizioni - Individuazione - L. n. 574/1996 - Art. 28 D. Lg. n. 152/1999 - D. Lg. n. 22/1997. Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive possono essere oggetto di utilizzazione agronomica (ai sensi dell'art. 1 della Decreto Legge 11 novembre 1996 n. 574), attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, e previa autorizzazione sindacale, non rientrando, pertanto, nella disciplina sui rifiuti di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, a condizione che non abbiano subito alcun trattamento, ne' ricevuto alcun additivo ad eccezione della acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatura degli impianti. Pres. Toriello F - Est. Postiglione A - Imp. Malpignano - PM. (Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 03 Ottobre 2003 (UD. 25/06/2003) RV. 226320, sentenza n. 37562
Inquinamento ambientale e di
emissioni maleodoranti - cartiera - scarico dei reflui nel fiume senza adeguata
depurazione - indagine ispettiva del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri
- assenza di un proprio impianto di depurazione - reflui che confluivano nella
fognatura comunale, e successivamente, in parte, in un impianto di depurazione -
impianto consortile tecnicamente inidoneo per il trattamento dei
reflui - eccezionale ed urgente necessità di superare
l'emergenza ambientale - sanatoria legale - illegittimità - la sanatoria dei
vizi di legittimità di determinati atti amministrativi - limiti - territori
colpiti da calamità naturali - inquinamento delle risorse idriche nel settore
dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi.
Legge 8 aprile 2003, n. 62 (che ha convertito il decreto legge 7 febbraio 2003,
n. 15): legge che avrebbe disposto una “sanatoria legale” dei provvedimenti
impugnati, non trova applicazione per il combinato disposto dei commi 1, 2, 3
dell’art. 1-ter, ove si prevede che:” Le disposizioni di conferma e di salvezza,
di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, si applicano altresì ai decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri, alle ordinanze di protezione civile ed ai
conseguenti provvedimenti emanati in regime commissariale, sul territorio
nazionale, inerenti alle situazioni di emergenza ambientale e relativamente allo
stato di inquinamento delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei
rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e
risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché
in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di
depurazione". Infatti, in sede di conversione del decreto-legge, l’art. 1-ter.
della legge ha disposto che: “1. Per fronteggiare la persistente, eccezionale ed
urgente necessità di superare l'emergenza ambientale e lo stato di inquinamento
delle risorse idriche nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani,
speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento ambientale
dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela
delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nel territorio
della Regione siciliana, ed al fine di perseguire l'elevato livello della salute
e dell'ambiente, sono confermati il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri del 22 gennaio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28
gennaio 1999, ed i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 16
dicembre 1999, del 16 giugno 2000 e del 14 gennaio 2002, pubblicati
rispettivamente nelle Gazzette Ufficiali n 300 del 23 dicembre 1999, n. 146 del
24 giugno 2000 e n. 23 del 28 gennaio 2002, con i quali il Presidente del
Consiglio dei ministri ha dichiarato e poi prorogato, fino al 31 dicembre 2004,
lo stato di emergenza ambientale nella Regione siciliana. Occorre, poi, rilevare
che la legge n. 62 del 2003 si riferisce espressamente a “territori colpiti da
calamità naturali”. La suesposta conclusione , peraltro, tiene conto di quell’insegnamento
della Corte costituzionale, per cui le disposizioni legislative che prevedono la
sanatoria dei vizi di legittimità di determinati atti amministrativi - pur
ammissibili in linea di principio - non impediscono al giudice amministrativo di
accertare (tra l’altro), ” a) la sussistenza dell’attribuzione del potere di
emettere i provvedimenti adottati” (Cfr. la decisione 26 marzo 1987, n. 100,
nonchè le altre decisioni ivi richiamate). T.A.R. del Friuli - Venezia
Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi:
sentenza per
esteso)
Deliberazione stato di emergenza - presupposti - calamità naturali,
catastrofi o altri eventi da cui derivi o possa derivare pericolo all’integrità
delle persone, ai beni, agli insediamenti, all’ambiente - concetto di “altri
eventi” - poteri extra ordinem ex art. 5 L. 14 febbraio 1992 n. 225 finalizzati
a fronteggiare una situazione di degrado ambientale - perseguimento della tutela
di beni e valori diversi da quelli indicati dalla L. 225/1992 - mancata
dimostrazione della necessità del ricorso a poteri extra ordinem - illegittimità
- limiti alla potestà discrezionale dell’amministrazione. La deliberazione
dello stato di emergenza implica l'esercizio di un'amplissima potestà
discrezionale che trova un limite - rigoroso, attesi i principi costituzionali
in giuoco - nell'effettiva esistenza di una situazione di fatto, consistente in
calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione,
debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, da cui derivi un
pericolo in atto o possa derivare un pericolo all'integrità delle persone ovvero
ai beni, agli insediamenti e all'ambiente, e nella ragionevolezza di questo
potere discrezionale, oltre che evidentemente nella impossibilità di poter
altrimenti fronteggiare la situazione. Va osservato che la lett. c) del comma 1
dell'art. 2 della legge 14 febbraio 1992, n. 225 sussume nella tipologia di
eventi a cui si ricollega la predetta normativa, anche « ... altri eventi (oltre
le calamità naturali e le catastrofi) che, per intensità ed estensione debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari». Con la locuzione: “altri
eventi“ il Legislatore si è basato su di un criterio oggettivo e cioè
l'esistenza di una situazione che necessita di interventi straordinari,
indipendentemente dalla causa che l'ha determinata: interventi pur sempre mirati
alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e
dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni. Pertanto, esula pacificamente
dal paradigma della legge la tutela di beni e di valori diversi da quelli ivi
previsti. Nel caso di cui alla attuale controversia, la motivazione addotta
dagli atti impugnati si fonda su altri presupposti rispetto allo schema
concettuale della legge n. 225 del 1992, non riconducibili al paradigma delle
“calamità naturali, catastrofi” o in quello di “altri eventi” che, per intensità
ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari;
inoltre, il legislatore ha esclusivamente avuto di mira la tutela dell'integrità
della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal
pericolo di danni: nella fattispecie non risulta sia stata perseguita la tutela
di questi beni e valori; infine, doveva risultare in modo irrefutabile - e ciò
non è avvenuto - che la situazione non poteva essere fronteggiata con mezzi e
poteri ordinari. Sotto i primi due aspetti, concernenti la non ricorrenza di un
“evento” legittimante il ricorso ai poteri straordinari ex art. 5 della legge n.
225 del 1992, nonché il mancato perseguimento della tutela prevista dal
legislatore, il Collegio rileva che, anche ammettendosi - per inconcessa ipotesi
- che nel paradigma dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992 vadano ascritte
situazioni di emergenza non ricollegabili ad un pericolo in atto o potenziale
all'integrità delle persone ovvero ai beni, agli insediamenti e all'ambiente,
come potrebbe essere la situazione connessa ad una grave crisi occupazionale, o,
più in generale, economica, va detto che nel caso di specie i poteri
straordinari deliberati con lo stato di emergenza non sono diretti a
fronteggiare lo “stato di blocco dell’occupazione con gravi ripercussioni
sull’intera economia della Carnia” ( l’art. 5 prevede che, al verificarsi degli
eventi indicati nell'art. 2 lett. c) e cioè eventi naturali, catastrofi o altri
eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e
poteri straordinari, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza
determinandone la durata e la estensione territoriale, in stretto riferimento
alla qualità e alla natura degli eventi), bensì la situazione che potrebbe
determinare - di riflesso - questo “blocco”. Per far fronte a questa situazione
si è fatto ricorso ai suddetti poteri, trascurando, oltretutto, di dimostrare la
impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la situazione attraverso i poteri
ordinari attribuiti dall’ordinamento. Pertanto, i veri “eventi” fronteggiati con
lo stato di emergenza sono stati quelli riconducibili al degrado ambientale. In
buona sostanza, si è ricorsi - senza darne una adeguata dimostrazione - ai
poteri extra ordinem per far fronte ad una situazione di natura ambientale,
paventando nel contempo delle possibili ripercussioni negative di questa
situazione sul versante occupazionale. Sotto il terzo profilo, afferente la
mancata dimostrazione del ricorso a poteri extra ordinem, è a dirsi che,
diversamente opinando, qualsiasi situazione che postula provvedimenti urgenti
sarebbe suscettibile di legittimare la dichiarazione dello stato di emergenza.
Se così fosse, verrebbe vulnerata non solo la lettera, ma anche la ratio della
legge n. 225 del 1992. Ciò non significa che una situazione di difficoltà nel
settore della depurazione e dello smaltimento dei rifiuti, solidi urbani ed
assimilabili, speciali, tossici e nocivi, non incida sulla necessità di attivare
gli interventi di protezione civile, allorquando si sia determinata una
situazione di tale gravità da poter creare danni o pericolo di danni
all'integrità delle persone, ai beni, agli insediamenti o all'ambiente. Il
ricorso al rimedio extra ordinem dello stato di emergenza riposa, però, su ben
altri presupposti. Nella fattispecie si rendeva necessaria una congrua
motivazione circa la impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la
situazione evidenziata, o, comunque, questa impossibilità doveva emergere in
modo inconfutabile dagli atti del procedimento, e in particolare dall’atto
dichiarativo dello stato di emergenza. Questo perché - lo si ribadisce - lo
stato di emergenza implica l'esercizio di un'amplissima potestà discrezionale,
che però trova un limite - rigoroso, attesi i principi costituzionali in giuoco
- nell'effettiva esistenza di una situazione di fatto, consistente in calamità
naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, da cui derivi un pericolo
in atto o possa derivare un pericolo all'integrità delle persone ovvero ai beni,
agli insediamenti e all'ambiente, e nella ragionevolezza di questo potere
discrezionale, oltre che nella impossibilità di poter altrimenti fronteggiare la
situazione: situazione la cui gestione richiede un diverso ordine di
funzionamento dei pubblici poteri, politici ed amministrativi, nonchè una
capacità di deroga all’ordinamento vigente. T.A.R. del Friuli - Venezia
Giulia, 30 agosto 2003 Sentenza n. 641 (vedi:
sentenza per
esteso)
Inquinamento acqua e suolo - le
competenze dello Stato e delle Regioni in materia di scarichi - legge 319/76 -
la disciplina degli scarichi - la programmazione degli interventi di
conservazione e di depurazione delle acque, dello smaltimento dei rifiuti
liquidi ed idrosolubili - la programmazione degli interventi per la prevenzione
ed il controllo del suolo (articolo 101 del D.p.r. 616/77) - articolo 6 del
D.p.r. 915/82. Secondo la Corte costituzionale nella sentenza 168/93,, «gli
articoli 2 e 4 della suddetta legge 319/76 prevedono le competenze dello Stato e
delle Regioni in materia. In sintesi, può affermarsi che allo Stato sono
demandate l’attività di indirizzo, di promozione, di coordinamento generale e la
emanazione di norme tecniche generali; alle Regioni, la normativa integrativa e
di attuazione dei detti criteri e delle norme generali, nonché la normativa
integrativa e di attuazione dei programmi degli enti locali. Inoltre,
successivamente alla citata legge 319/76, lo Stato ha trasferito alle Regioni le
funzioni concernenti la disciplina degli scarichi, la programmazione degli
interventi di conservazione e di depurazione delle acque, dello smaltimento dei
rifiuti liquidi ed idrosolubili, la programmazione degli interventi per la
prevenzione ed il controllo del suolo (articolo 101 del D.p.r. 616/77) e ha poi
ulteriormente precisato le competenze delle stesse (articolo 6 del D.p.r.
915/82)». Sulla base di tale complesso normativo fondante il potere
dell’autonomia regionale, la Regione Lazio, nell’esercizio delle funzioni e dei
compiti affidatile con le suddette norme, avrebbe legittimamente «emanato la
legge impugnata e provveduto con essa a disciplinare gli scarichi da
insediamenti civili preesistenti al momento dell’entrata in vigore della legge
319/76, la quale, in via meramente provvisoria, aveva previsto per essi solo
l’obbligo della denuncia in attesa della regolamentazione definitiva, di
spettanza delle Regioni anche in base alla legge stessa. La determinazione delle
conseguenze della mancata autorizzazione può essere stabilita dal giudice
ordinario competente per il merito». Corte di Cassazione Civile Sez. I del 24
luglio 2003, sentenza n. 11476 (vedi:
sentenza per esteso)
Inquinamento acqua e suolo - le competenze dello Stato e delle Regioni in
materia di scarichi - la potestà normativa regionale - la cooperazione tra la
legislazione nazionale e quella regionale - illecito amministrativo regionale e
sanzione comminata dalla legislazione nazionale. Non v’è posto per un
restringimento del significato del precetto contenuto nell’articolo 43 dalla
legge regionale pugliese del 1983, sicché esso si palesa come il prius della
sanzione amministrativa pecuniaria (che ne è posterius), stabilita dal
legislatore nazionale a partire dal 1995 (con il decreto legge 79, citato), con
riferimento sia alle condotte di apertura che a quelle di “effettuazione” degli
scarichi civili non autorizzati, anche sul suolo e nel sottosuolo, sia con
riguardo a comportamenti di “mantenimento” di scarichi non autorizzati per
negazione o revoca del provvedimento amministrativo. In particolare,
l’“effettuazione” di scarichi di tal fatta comporta l’applicabilità della
sanzione alle condotte di coloro che, pur avendo in essere uno scarico idrico da
insediamento civile non autorizzato, continuano ad alimentarlo nonostante siano
sprovvisti dell’autorizzazione regionale. In tal modo, la cooperazione tra la
legislazione nazionale e quella regionale ha finito per dar luogo ad un illecito
amministrativo caratterizzato dalla previsione di una condotta in parte
disegnata dalla legislazione nazionale e in parte da quella regionale, con una
sanzione comminata dalla legislazione nazionale (l’articolo 21, ultimo comma,
della legge 319/76, come modificato dal decreto legge 79/1995, più volte
citato). Corte di Cassazione Civile Sez. I del 24 luglio 2003, sentenza n.
11476 (vedi:
sentenza per esteso)
Mancato preavviso al titolare del
prelievo di campioni ai fini di esami di laboratorio - legittimità - la natura e
lo scopo dell’accertamento - prelievo dei campioni delle acque di scarico -
accertamenti fonometrici - inquinamento acustico. La Corte costituzionale ha
ritenuto non compatibile con la natura e lo scopo dell’accertamento il
preventivo avviso, al fine di poter assistere con propri tecnici o difensori,
alla parte interessata proprio per quanto concerne l’iniziale fase del rilievo (cfr.
C.C. 13.7.1990 n. 330 e 28.7.1983 n. 248, in base alla considerazione che “il
mancato preavviso del prelievo dei campioni delle acque inquinate, ai fini degli
esami dei laboratori provinciali di igiene e profilassi, è giustificato dalla
necessità che il titolare dello scarico non sia informato del momento in cui
vengono effettuati i prelievi per evitare che esso possa apportare modifiche
agli scarichi e fare quindi sparire ogni traccia delle irregolarità”); e la
fattispecie è del tutto equiparabile all’esecuzione degli accertamenti
fonometrici. Tribunale Amministrativo Regionale Trentino-Alto Adige - Sede di
Trento, 10 luglio 2003 - sentenza n. 262
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarico di acque reflue in fognatura - Provenienti da attività di autocarrozzeria - Autorizzazione preventiva - Necessità - Mancanza - Reato di cui all'art. 59 del D. L.G. 152/1999 - Configurabilità. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, lo scarico di acque reflue in fognatura provenienti da attività di autocarrozzeria va sottoposta alla preventiva autorizzazione stante la necessità di controllo per ogni scarico da insediamento produttivo, quale è da considerare lo scarico avente per oggetto acque reflue non domestiche quali quelle di una attività che utilizzi vernici e sostanze diverse che determinano residui liquidi contaminati dal processo di lavorazione. Pres. Toriello F - Est. Postiglione A - Imp. Raffaelli - PM. (Parz. Diff.) Mura A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 10/06/2003 (UD.03/04/2003) RV. 225378 sentenza n. 24892
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Preventiva autorizzazione - Acque di lavaggio di betoniere - Scarico - Natura - Insediamento industriale - Art. 59 D. LG. n. 152/1999. Costituisce scarico da insediamento industriale, e come tale necessitante la, quello proveniente dal lavaggio di betoniere utilizzate per l'attività societaria e riversato in un bacino artificiale, dinegrandosi in difetto il reato di cui all'art. 59 del D.L.G. 11 maggio 1999 n. 152. Pres. Toriello F - Est. Vitalone C - Imp. Terranova - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 05/06/2003 (UD.04/04/2003) RV. 225313 sentenza n. 24322
La normativa sulla depenalizzazione in tema di installazione o esercizio impianti radioelettrici soggetti ad autorizzazione - deroga chiaramente al principio generale di irretroattività degli illeciti amministrativi - tutela delle acque dall'inquinamento - impianti radioelettrici soggetti ad autorizzazione. Nel depenalizzare il reato di cui all'art. 195 comma 2 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, limitatamente alla installazione o esercizio di impianti radioelettrici soggetti ad autorizzazione, all'art. 4 comma 1, l. 28 dicembre 1993, n. 561, il legislatore attribuisce efficacia retroattiva alle nuove ipotesi di illecito amministrativo rendendo applicabile la relativa sanzione anche alle violazioni commesse prima dell'entrata in vigore della legge, purché il processo non sia definito con sentenza irrevocabile. Inoltre l'art. 4 comma 2, richiama, per quanto non disposto, la normativa fondamentale sulla depenalizzazione prevista dalla l. 24 novembre 1981, n. 689 e, quindi, anche l'art. 41, relativo alla trasmissione degli atti all'autorità competente (che la suprema Corte ha disposto, annullando senza rinvio la sentenza limitatamente alla mancata trasmissione degli atti all'autorità amministrativa). (Cassazione penale, sez. III, 13 dicembre 1995, n. 1686). Altrettanto è stato ritenuto in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, la giurisprudenza di questa corte, ha ritenuto espressamente o implicitamente che il citato terzo comma dell'art. 56 deroga chiaramente al principio generale di irretroattività degli illeciti amministrativi (cfr. Cass. Sez. III, n. 3952 del 26.10.2000, Reggiani, rv. 218531; Cass. Sez. III, n. 27660 del 28.5.2001, Donzello, rv. 220268; Cass. Sez. III, n. 42545 del 6.11.2001, Padovan, rv. 220367). Pres Zumbo A - Est. Onorato P - Imp. Gravina ed altro - PM. (Diff.) Favalli M. Cassazione Penale, Sez. III, 26 maggio 2003, sentenza n. 22932
Tutela delle acque
dall'inquinamento - D.lgs. 152/1999 - il superamento dei limiti tabellari -
l'omesso invio degli atti all'autorità amministrativa - il giudice è obbligato.
Con l'entrata in vigore del D.lgs. 152/1999 il superamento dei limiti tabellari
relativamente all'azoto nitroso è punito solo come illecito amministrativo (ex
artt. 59.5 e 54.1), il giudice è obbligato, comunque, alla trasmissione degli
atti all'autorità amministrativa competente per conoscere dell'illecito, ex art.
56, comma 3, del D.Lgs. 152/1999. Nei fatti e in diritto, si osserva che la
norma in parola non lascia dubbi sull'obbligo del giudice penale di trasmettere
gli atti all'autorità amministrativa ai fini dell'applicazione delle sanzioni
amministrative; e che in ogni caso non è il giudice penale, ma solo l'autorità
amministrativa, a dover stabilire se la norma conteneva o no una deroga al
principio di irretroattività. Pres Zumbo A - Est. Onorato P - Imp. Gravina ed
altro - PM. (Diff.) Favalli M. Cassazione Penale, Sez. III, 26 maggio 2003,
sentenza n. 22932
Tutela delle acque dall'inquinamento - i provvedimenti di trasformazione di
reati in illeciti amministrativi - D.lgs. 152/1999 - depenalizzazione del reato
- la trasmissione degli atti agli enti competenti per l'applicazione delle
sanzioni amministrative - obbligo del giudice. Il terzo comma
dell'art. 56 D.Lgs. 11.5.1999 n. 152 ripete una norma ricorrente in quasi tutti
i provvedimenti di trasformazione di reati in illeciti amministrativi,
stabilendo che, per i procedimenti penali pendenti all'entrata in vigore dello
stesso decreto, l'autorità giudiziaria, se non deve pronunciare decreto di
archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti
agli enti competenti per l'applicazione delle sanzioni amministrative (v. per
norme similari art. 41 legge 24.11.1981 n. 689; art. 4 legge 28.12.1993 n. 561,
che richiama espressamente le disposizioni della legge 689/1981 in quanto
compatibili; art. 102 D.Lgs. 30.12.1999 n. 507). Il giudice penale, quindi,
verificati i presupposti previsti dalla legge, sia quello positivo della
avvenuta depenalizzazione del reato oggetto del processo pendente, sia quello
negativo della inesistenza di una causa di archiviazione o di proscioglimento,
non deve far altro che trasmettere gli atti all'autorità competente a conoscere
dell'illecito amministrativo, senza arrogarsi alcun potere di valutazione sulla
sanzionabilità giuridica di quest'ultimo illecito. In altri termini, in
relazione a un fatto commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 152/1999,
che lo ha trasformato da reato in illecito amministrativo, è il giudice penale a
valutarne la depenalizzazione, ma sarà l'autorità amministrativa a stabilire se
ad esso può essere applicata la sanzione amministrativa ovvero se va esente da
sanzione in virtù del principio di legalità e di irretroattività delle norme
sanzionatorie stabilito in via generale dall'art. 1 della legge 24.11.1981 n.
689. Pres Zumbo A - Est. Onorato P - Imp. Gravina ed altro - PM. (Diff.) Favalli
M. Cassazione Penale, Sez. III, 26 maggio 2003, sentenza n. 22932
Tutela delle acque dall'inquinamento - deroga chiaramente al principio
generale di irretroattività degli illeciti amministrativi - impianti
radioelettrici soggetti ad autorizzazione. In tema di tutela delle acque
dall'inquinamento, la giurisprudenza di questa corte, ha ritenuto espressamente
o implicitamente che il citato terzo comma dell'art. 56 deroga chiaramente al
principio generale di irretroattività degli illeciti amministrativi (cfr. Cass.
Sez. III, n. 3952 del 26.10.2000, Reggiani, rv. 218531; Cass. Sez. III, n. 27660
del 28.5.2001, Donzello, rv. 220268; Cass. Sez. III, n. 42545 del 6.11.2001,
Padovan, rv. 220367). Altrettanto è stato ritenuto per la legge 28.12.1993 n.
561, in tema di impianti radioelettrici soggetti ad autorizzazione, in virtù del
rinvio operato dall'art. 4 della stessa legge all'art. 41 della legge 689/1971
(Cass. Sez. III, n. 1686 del 13.12.1995, Ciucci, rv. 204725). Pres Zumbo A -
Est. Onorato P - Imp. Gravina ed altro - PM. (Diff.) Favalli M. Cassazione
Penale, Sez. III, 26 maggio 2003, sentenza n. 22932
Acque - Tutela dall'inquinamento - Soggetto responsabile - Delega all’interno di un’azienda - Condizioni - decentramento delle mansioni. In tema di controlli sull’inquinamento delle acque, affinché la delega di attribuzioni all’interno di un’azienda sia seria e reale e non un mezzo artificioso per addebitare la responsabilità a livelli mansionali inferiori e comunque inadeguati a sopportarli, è necessario che: a) essa abbia forma espressa (non tacita) e contenuto chiaro, in modo che il delegato sia messo in grado di conoscere le responsabilità che gli sono attribuite; b) il delegato sa dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata, in modo che sia messo in grado di esercitare effettivamente la responsabilità assunta; c) il delegato sia dotato di idoneità tecnica, in modo che possa esercitare la responsabilità con la dovuta professionalità. Non è richiesta una prova scritta dell’ esistenza della delega, né comunque, può essere utilizzata quale scriminante se le dimensioni dell’azienda non impongono il decentramento delle mansioni. - Pres. Zumbo - Est. Onorato - P.G.M. Favalli (concl. Conf.) -Ric. P.G. in proc. Conci. CASSAZIONE PENALE, sez. III, 26 maggio 2003, (ud. 13 Marzo 2003), sentenze n. 22932
Inquinamento - Acque - Violazioni depenalizzate - Tutela dall'inquinamento - Fatto non più previsto dalla legge come reato - Procedimenti pendenti - Obbligo di trasmissione degli atti alla P.A. - Casi - Individuazione - D. LG. n. 152/1999 Art. 56 - L. n. 689/1981. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, per i fatti non più previsti dalla legge come reato il giudice, verificati i presupposti individuati dall'art. 56 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, ovvero sia quello positivo della avvenuta depenalizzazione del reato oggetto del processo penale pendente, sia quello negativo della inesistenza di una causa di archiviazione o di proscioglimento, non può fare altro che trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a conoscere dell'illecito amministrativo, senza potere compiere alcuna valutazione sulla sanzionabilità di quest'ultimo illecito. Pres Zumbo A - Est. Onorato P - Imp. Gravina ed altro - PM. (Diff.) Favalli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 26/05/2003 (UD.13/03/2003) RV. 225300 sentenze n. 22932
Acque - Tutela dall'inquinamento - Depenalizzazione e retroattività delle sanzioni amministrative - Obbligo del giudice di trasmettere gli atti alla P.A. in base all’art. 56 del D. Lgs. 152/1999. A seguito della depenalizzazione di taluni illeciti in materia di inquinamento delle acque operata dal D. lgs. 152/1999, ai sensi dell’art. 56, una volta verificati i presupposti di applicazione della norma (avvenuta depenalizzazione dell’illecito e inesistenza di una causa di archiviazione o proscioglimento) il giudice penale è tenuto in ogni caso a trasmettere gli atti alla p.a., e non può arrogarsi alcun potere di valutazione sulla sanzionabilità giuridica di quest’ultimo illecito (fattispecie nella quale il giudice penale aveva omesso la trasmissione degli atti, ritenendo che l’art. 56, comma 3, non contenga una disposizione idonea a superare il principio di legalità e irretroattività della sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 1 della legge 689/1981). Gravina. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 26 maggio 2003
Inquinamento idrico - Tutela delle acque - Smaltimento di rifiuti pericolosi - Acque di sentina - Applicabilità delle disposizioni derogatorie della Convenzione MARPOL - Esclusione - Configurabilita' del reato previsto dall'art. 51 D. Lg. n. 22/1997 - L. n. 438/1982 - L. n. 662/1980. Lo smaltimento di acque di sentina delle navi, rientranti tra i rifiuti pericolosi, configura il reato previsto dall'art. 51 comma 1 lett. b) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, qualora le operazioni siano effettuate in area portuale nazionale, non trovando applicazione in questo caso le disposizioni derogatorie di cui alla Convenzione MARPOL 73/78, conclusa a Londra il 2 novembre 1993, con i relativi protocolli, ratificata e resa esecutiva con legge 29 settembre 1980, n. 662 e legge 4 giugno 1982, n. 438 Pres. Savignano G - Est. Teresi A - Imp. Cattaruzza - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 21/05/2003 (CC.12/03/2003) RV. 225607 sentenza n. 22501
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Esercizio di autolavaggio - Scarico di acque reflue - Assimilabilità agli scarichi civili - Esclusione - Natura - Insediamento produttivo - D. L.vo. n. 152/1999. Lo scarico di acque reflue provenienti da un impianto di autolavaggio è assimilabile a quello derivante da insediamento produttivo, stante la presenza di oli minerali, vernici ed altre sostanze che possono staccarsi dalle autovetture a seguito dell'attività di lavaggio. Pres. De Maio G - Est. Vangelista V - Imp. P.M. in proc. Panizza - PM. (Parz. Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 13/05/2003 (CC.26/02/2003) RV. 225291 sentenza n. 21004
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Acque provenienti da lavaggio di pavimenti di complesso industriale - Contenenti sostanze inquinanti - Natura di scarichi civili - Esclusione - Difetto di autorizzazione - Reato di cui all'art. 59 D.L.G. n. 152/1999. Le acque provenienti dal lavaggio dei pavimenti di un complesso industriale sui quali è riscontrabile la presenza di sostanze inquinanti non possono essere assimilate alle acque provenienti da uno scarico civile, ma devono considerarsi acque reflue da complesso produttivo, il cui scarico, in difetto di autorizzazione, configura il reato di cui all'art. 59 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152. Pres. Savignano G - Est. Grillo CM - Imp. Di Grado ed altri - PM. (Conf.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 12/05/2003 (UD.14/03/2003) RV. 225303 sentenza n. 20755
Acqua - bene primario della vita dell’uomo - risorsa da salvaguardare ex se - protezione normativa - interesse generale alla tutela della risorsa idrica - decreto che subordina la realizzazione di miniera alla costruzione di un acquedotto alternativo che rifornisca i Comuni prima serviti dalle acque sotterranee che verranno disperse dall’attività di coltivazione della cava - mancata considerazione dell’interesse pubblico alla preservazione delle acque come risorsa idrica. La normativa comunitaria - a cominciare dalla Carta europea dell'acqua, per arrivare alla direttiva 98/83 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, e alla direttiva 60/2000, intesa a creare un quadro di azione comune in materia di acque, ha manifestato una consapevolezza della limitata disponibilità idrica e un interesse per la protezione delle acque. L'attenzione si è soffermata sull'acqua (bene primario della vita dell'uomo), configurata quale "risorsa" da salvaguardare, sui rischi da inquinamento, sugli sprechi e sulla tutela dell'ambiente, in un quadro complessivo caratterizzato dal riconoscimento del diritto fondamentale a mantenere integro il patrimonio ambientale. L'aumento dei fabbisogni accompagnato da un incremento degli usi agricoli produttivi e di altri usi, ha indotto il legislatore nazionale (legge 5 gennaio 1994, n.36) ad adottare misure di tutela e di priorità dell'uso delle acque intese come risorse, con criteri di utilizzazione e di reimpiego indirizzati al risparmio, all'equilibrio e al rinnovo delle risorse medesime. Di qui, l’esigenza di un maggiore intervento pubblico concentrato sull'intero settore dell'uso delle acque, sottoposto al metodo della programmazione, della vigilanza e dei controlli, collegato ad un’iniziale dichiarazione di principio, generale e programmatica (art.1, comma 1, della legge n.36 del 1994), di pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee, indipendentemente dalla estrazione dal sottosuolo. Tale dichiarazione è accompagnata dalla qualificazione di "risorsa salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà". Questa finalità di salvaguardia viene riconnessa al diritto fondamentale dell'uomo all'integrità del patrimonio ambientale, nel quale devono essere inseriti gli usi delle risorse idriche (art.1, commi 2 e 3, della legge n.36 del 1994). La stessa Corte Costituzionale, con sentenza 19 luglio 1996, n.259 (confermata dalla successiva sentenza n.419/1999), pronunciandosi sulla legittimità costituzionale della legge n.36/1994, ha chiarito il significato dell’enunciazione della pubblicità delle acque, ponendo l’accento sull’interesse generale che è alla base della qualificazione di pubblicità di un'acqua come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una proiezione verso il futuro). La legge n.36 del 1994 ha in tale ottica accentuato lo spostamento del baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà. Il legislatore nazionale, con il decreto legislativo n.152 dell’11 maggio 1999, si è fatto poi carico dell’esigenza di tutela qualitativa e quantitativa della risorsa idrica, regolamentando in modo unitario l’utilizzo di tale bene secondo un’ottica attenta all’obiettivo del risparmio idrico. Dall’esame del panorama normativo si ricava che costituisce un valore primario, fissato da norma di carattere precettivo e non meramente programmatico, l’esigenza di preservazione dell’integrità del patrimonio idrico. Un decreto che subordina la realizzazione di una miniera alla costruzione di un acquedotto alternativo che prelevi acque di superficie per le popolazioni prima servite dalle fonti a rischio di distruzione, mostra di comparare l’interesse generale alla coltivazione della miniera con il solo interesse alla preservazione dell’approvigionamento idrico dei Comuni in esame. Non viene invece preso in considerazione l’interesse alla preservazione delle acque come risorsa idrica da salvaguardare, alla stregua di componente dell’equilibrio ambientale e nella veste di risorsa scarsa utile in una dinamica attenta alle esigenze future collegate alla scarsezza crescente della risorsa di che trattasi; interesse cioè legato al bene ex se inteso, a prescindere dalla sua contingente sostituibilità con fonti alternative al fine di soddisfare le specifiche esigenze in un determinato momento storico di una fetta della popolazione del territorio. La legislazione vigente impone un’adeguata valutazione in concreto della rilevanza e della necessità del sacrificio di una risorsa primaria ex se considerata in relazione alla cogenza degli interessi, pubblici e privati, antagonisti. Consiglio di Stato, Sezione VI, 18.04.2003, sentenza n. 2085 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Deviazione di un corso d’acqua e modificazione dello stato del luoghi - Elemento oggettivo - Immututio loci - Nozione - Inquinamento - Irrilevanza. Per la configurabilità del reato di cui all’art. 632 c.p. non si richiede un radicale mutamento della fisionomia dei luoghi; ma un’alterazione del loro stato tale che essi vengano ad assumere forme e condizioni diverse da quelle originarie ed idonee a determinare conseguenze dannose sull’integrità dell’immobile e sull’accertamento dei relativi diritti. Pres. Morelli - Rel. Fumu - P.M. Galasso (concl. conf.) - Addesa. CORTE DI CASSAZIONE Penale - Sez. II - Ud. 2 aprile 2003 (dep. 5 maggio 2003), n. 20178
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Attività di prelievo e campionamento dei reflui - Garanzie difensive - Individuazione - D. LG. n. 152/1999 - Art. 223 Disp.Att.nuovo C.P.P. - D. LG. n. 152/1999 Art. 59 Cost. In tema di disciplina degli scarichi, l'ispezione dello stabilimento industriale, il prelievo ed il campionamento delle acque reflue, le analisi dei campioni, configurano attività amministrative che non richiedono l'osservanza delle norme del codice di procedura penale stabilite a garanzia degli indagati e degli imputati per le attività di polizia giudiziaria, atteso che l'unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall'art. 223 disp. att. cod. proc. pen. che impone il preavviso all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni. Pres. Toriello F - Est. Onorato P - Imp. Piropan M - PM. (Parz. Diff.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 01/04/2003 (UD.29/01/2003) RV. 224456 sentenza n. 15170
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Attività di prelievo e campionamento - Metodiche - Redazione di verbale - Necessità - Esclusione - D. LG. n. 152/1999. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento non è necessaria la redazione del verbale relativamente alla indicazione delle metodiche seguite per il prelievo, il campionamento e le analisi, atteso che risulta sufficiente la possibilità per l'imputato di partecipare e controllare le operazioni, e ciò anche a mezzo di un proprio consulente. Pres. Toriello F - Est. Onorato P - Imp. Piropan M - PM. (Parz. Diff.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 01/04/2003 (UD.29/01/2003) RV. 224457 sentenza n. 15170
Inquinamento delle acque - le analisi devono essere eseguite il più presto possibile - per la mera inosservanza del termine è stata esclusa la nullità delle analisi - prescrizioni tecniche sulle modalità delle analisi. Per le sostanze deperibili le analisi devono essere eseguite il più presto possibile, ma senza che possa considerarsi rigido il termine di 24 ore, indicato nell'ordinanza ministeriale: anche in tema di inquinamento delle acque la giurisprudenza di questa Corte ha indicato il termine di 24 ore come preferibile, ma con una certa elasticità, sicché per la inosservanza del termine è stata esclusa la nullità. Le prescrizioni tecniche sulle modalità delle analisi (fatta eccezione per l'obbligo di notifica all'interessato) non integrano la fattispecie penale (nel caso in esame il superamento dei limiti di coliformi), ma il giudice non può ignorare le prescrizioni tecniche medesime ove in concreto abbiano determinato una situazione abnorme, che incida sulla rappresentantività dei valori riscontrati, sicché - caso per caso - una indagine del giudice al riguardo appare doverosa. In conclusione tuttavia, per il caso in esame, in considerazione della non avvenuta scadenza del prodotto non sfuso e della conservazione alla temperatura dovuta, il superamento del termine ordinario per la esecuzione delle analisi non poteva comportarne la loro inutilizzabilità in giudizio. Cassazione Penale, Sez. III, 17 aprile 2003, sentenza n. 18317
Inquinamento idrico - Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarico indiretto - Normativa di cui al decreto 152/1999 - Applicabilità - Esclusione - Disciplina sui rifiuti - Applicabilità - Art. 2 D. LG. n. 152/1999 - Artt. 8 e 51 D. LG. n. 22/1997. L'immissione non autorizzata di acque reflue industriali senza il tramite di una condotta, o di un sistema di convogliabilità, non e' punita ai sensi del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, attesa la nozione di scarico contenuta nell'art. 2, comma secondo lett. b) del citato decreto, dovendosi diversamente configurare l'ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti (liquidi) sanzionata dall'art. 51 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. CED. Pres. Vitalone C - Est. Lombardi AM - Imp. Arici P - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 14/03/2003 (UD.04/02/2003) RV. 224358 sentenza n. 12005
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Analisi - Procedura di revisione - Applicabilità - Esclusione - D. LG. n. 152/1999 - L. n. 689/1981 Art. 15 Cost. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento non è applicabile il procedimento di revisione delle analisi, di cui all'art. 15 della legge 24 novembre 1981 n. 689, sia in quanto questo è riferibile agli accertamenti degli illeciti amministrativi, sia per la esistenza di specifiche garanzie difensive già previste per il campionamento e le analisi dei reflui, sia infine in quanto presupposto per la analisi di revisione è che il campione prelevato sia inalterabile per un congruo periodo di tempo, requisito da escludere nei campioni degli scarichi, soprattutto di quelli trattati, le cui caratteristiche variano a seconda dello stadio della reazione chimica o biochimica in atto. Pres. Toriello F - Est. Onorato P - Imp. Piropan M - PM. (Parz. Diff.) Ciampoli L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 01/04/2003 (UD.29/01/2003) RV. 224458 sentenza n. 15170
Acque - Tutela dall'inquinamento - Inquinamento delle acque e sostanze cancerogene - Indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) - D. L.vo n. 258/2000 - Scarico inquinante - Punto 18 Tabella 5 dell’allegato 5 al D. lgs. 152/1999 e art. 59, comma 5 del medesimo decreto - Necessità della prova scientifica del potere cancerogeno per la sussistenza del reato. In tema di inquinamento delle acque e sostanze cancerogene, a seguito delle modifiche apportate al punto 18 della tabella 5 dell’allegato 5 del D.L.vo 152/1999 ad opera del D. L.vo n. 258/2000, sono ora incluse tra le sostanze della medesima tabella 5 esclusivamente quelle “di cui, secondo le indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC), è provato il potere cancerogeno”; occorre dunque che sussistano prove scientifiche non della probabilità, bensì della sicura potenzialità cancerogena della sostanza volta per volta, e detta prova, non può essere fondata su cognizioni personali del giudice o su una perizia dallo stesso disposta, bensì su dati certi, conoscibili adoperando la diligenza dell’uomo medio, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche (Cass. Pen. Sez. III, 1999, n.13694). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361
Acqua - Tutela dall'inquinamento -- scarico (aldeide formica) - superamento dei limiti tabellari - potenzialità cancerogena non dimostrata - ipotesi criminosa ex art. 59, c. 5 D.L.vo n.152/1999 - non sussiste - illecito amministrativo ex art. 54 D.L.vo n.152/1999 - sussiste. Allorché il superamento, in uno scarico, dei limiti stabiliti dalla tabella 3 del medesimo allegato non riguardi sostanze di cui sia scientificamente dimostrata la potenzialità cancerogena, il fatto non integra l’ipotesi criminosa di cui all’art. 59, comma 5 del D.L.vo n.152/1999, bensì il solo illecito amministrativo di cui all’art. 54. (In specie è stata rilevata una concentrazione di aldeide formica, nelle acque scaricate prima di un successivo procedimento di diluizione vietato ai sensi dell’art. 28, comma 5 D.L.vo n. 258/2000 superiore ai parametri fissati per le aldeidi nella tabella 3 dell’allegato 5 del D.L.vo n. 258/2000). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361
Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarichi da frantoi oleari - Disciplina di cui al D.L.vo n. 152/1999 - Agricoltura - Coltivazione del fondo - Scarico senza autorizzazione - Reato - Esclusione - Condizioni. Gli scarichi di liquami derivanti dalla molitura delle olive effettuati senza la prescritta autorizzazione non integrano il reato di cui all'art. 59 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 in quanto assimilabili alle acque reflue domestiche solo se l'attività del frantoio sia inserita con carattere di normalità e complementarietà in una impresa dedita esclusivamente alla coltivazione del fondo ed alla silvicoltura ed in presenza delle condizioni previste dall'art. 28 del citato decreto n. 152, tra cui quella per la quale la materia prima lavorata deve provenire per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità. - RV. 224343 - CED - Pres. Savignano - Est. Squassoni - P.M. (Conf.) Izzo - Imp. Zomparelli CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 07 marzo 2003 (Ud. 22/01/2003) Sentenza n. 10626
Acque - Tutela dall’inquinamento - Scarico di insediamento produttivo extrabellare in pubblica fognatura - Superamento dei limiti della Tabella C legge Merli - Reato di cui all’art. 21 comma 3 della legge n. 319/1976 - Successione di leggi penali nel tempo - Superamento di parametri diversi da quelli indicati nella tabella 5 o in quelle di cui alla tabella 3/A dell’allegato 5 al D. Lgs. 152/1999 - Applicabilità della disciplina transitoria di cui agli artt. 59 e 62 comma 13 del D. Lgs. 152/1999 - Esclusione. In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, lo scarico extratabellare da insediamento produttivo in fognatura, già costituente reato ex art. 21 comma 3 legge n. 319/1976 conserva rilevanza penale ex art. 59 comma 5 del D. lgs. 152/1999 solo se trattasi di sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 o della tabella 3/A del medesimo allegato; negli altri il casi il superamento dei limiti di concentrazione costituisce solo illecito amministrativo ex art. 54 del D. Lgs. 152/1999, e deve escludersi l’applicabilità della normativa transitoria di cui agli artt. 59, comma 2, e 62, comma 13 del D. Lgs, 152/1999 atteso che le nuove disposizione non possono regolare che situazioni ricadenti nell’alveo temporale successivo all’entrata in vigore del D. Lgs. 152/1999. Pres. Zumbo - Rel. Piccialli- P.G. concl. conf., ric. Orsini. CORTE DI CASSAZIONE Pen. Sez. III, 28 febbraio 2003, (ud. 23 gennaio 2002)
Inquinamento - Acque - Tutela dall'inquinamento - Nozione di scarico - Collegamento diretto - Necessità - Mancanza - Natura di rifiuto - Art. 36 D. LG. n. 152/1999 - D. LG. n. 22/1997 - Rifiuto liquido. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto fra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore determina la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, ed il necessario rispetto delle previsioni del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. (fattispecie nella quale i liquami provenienti dall'attività di espurgo di pozzi neri venivano trasportati in un sito esterno di trattamento). Pres. Papadia U - Est. Fiale A - Imp. Conte L - PM. (Conf.) Veneziano GA. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 24/02/2003 (UD.17/12/2002) RV. 224164 sentenza n. 08758
Acque - Inquinamento - Titolare di una impresa di trasporto ed immissione in fognatura di liquami provenienti da espurgo - Non è gestore del servizio idrico integrato ex art. 36 D. lgs. 152/1999 - Necessità di autorizzazione ex art. 27 e 28 D. Lgs. 22/1997. Il titolare di una impresa di trasporto ed immissione in fogna di liquami provenienti dall’attività di espurgo previo trattamento non è gestore del servizio idrico integrato ex art. 36 del D. lgs. N. 152/1999, e quindi per esercitare l’attività di trattamento dei liquami prodotti da terzi deve essere in ogni caso autorizzato ai sensi degli art. 27 e 28 del D. lgs. 22/1997. Pres. Papadia - Rel. Fiale - P.G. Veneziano (conf.) ric. Conte. CORTE DI CASSAZIONE Pen. Sez. III, 24 febbraio 2003, (ud. 17 dicembre 2002) sentenza n. 8758
Acque - Tutela dall'inquinamento - Confluenza dei reflui nel corpo recettore attraverso la rete fognaria - Costiutisce uno scarico. Per la sussistenza di uno “scarico” è sufficiente la confluenza finale dei reflui o dei prodotti di rifiuto nei corpi recettori idrici, e non è necessario in collegamento diretto dell’impianto con gli stessi, sicchè anche la confluenza attraverso la rete fognaria nei corpi recettori integra uno scarico, seppure indiretto. Pres. Toriello - Est. Piccialli - P.M. Di Zenzo (conf.) Ric. Bucci. CORTE DI CASSAZIONE Pen. Sez. III, 21 febbraio 2003, (ud. 14 gennaio 2003) n. 8577
Tutela dall'inquinamento - impianti ed esercizio di autolavaggio - natura di insediamento produttivo - fondamento. Gli impianti di autolavaggio hanno natura di insediamenti produttivi e non di insediamenti civili stante la qualita' inquinante dei reflui, diversa e piu' grave rispetto a quella dei normali scarichi da abitazioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche contenute nei detersivi e nelle vernici eventualmente staccatesi da vetture usurate. Conforme: Cass. 1999 n. 11295; vedi anche Cass. 1999 n. 05465. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sezione III, - 04/02/2003 (UD.13/12/2002), sentenza n. 05143
Acque - Tutela delle acque dall'inquinamento - Società - Amministratore - Responsabilità penale - Mancanza di delega a tecnici esperti - Sussistenza - Fattispecie. In tema di individuazione dei destinatari della normativa sulla tutela delle acque dall'inquinamento, la legge n. 319 del 1976 identifica i titolari degli stabilimenti industriali, e qualora si tratti di persone giuridiche i legali rappresentanti dell'ente imprenditore. La responsabilità penale discende dalla legge e non richiede un espresso conferimento, mentre è consentito delegare formalmente ad altri soggetti tecnicamente preparati i compiti imposti dalla legge ai soggetti suindicati. Pertanto, in mancanza di formale e valida delega, non può essere esclusa la responsabilità penale dell'amministratore anche se privo di competenza tecnica. (Fattispecie nella quale l'amministratore di una società in nome collettivo, qualificatosi mero socio finanziatore, adduceva per escludere la sua responsabilità di non avere competenza tecnica e di operare nella sede della società posta lontano dal cantiere di lavoro, condizioni che avrebbero dovuto indurlo a non assumere incarichi dirigenziali ma che non valgono ad escludere la sua responsabilità). - Pres. Papadia U - Rel. Teresi A - Zanotti - P.M. (conf.) Veneziano Ga CORTE DI CASSAZIONE pen., sez. III, 22-01-2003 (17-12-2002), RV223219 n. 3077
Il concetto di servizio idrico
integrato - la disciplina globale ed unitaria per la tutela e l’uso delle
risorse idriche comprese nel territorio - le acque superficiali e sotterranee -
l’organizzazione del servizio idrico integrato le aziende speciali, gli enti ed
i consorzi pubblici esercenti i servizi idrici. La legge 36 del 1994 ha
voluto ricondurre ad una disciplina globale ed unitaria la tutela e l’uso delle
risorse idriche comprese nel territorio, nella considerazione che “tutte le
acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono
pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo
criteri di solidarietà” (art. 1). Il concetto di solidarietà trova puntuale
richiamo (insieme ad altri principi) nel capo primo, laddove, al comma secondo
dell’art. 1, si afferma che “qualsiasi uso delle acque è effettuato
salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future”. Al comma
terzo è invece enunciato un principio di corretta utilizzazione delle risorse
idriche a salvaguardia di preminenti esigenze pubbliche. La legge ha introdotto,
in proposito, per la prima volta il concetto di servizio idrico integrato,
costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e
distribuzione d’acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque
reflue, delineando per esso una nuova metodologia di gestione strettamente
collegata ad una nuova organizzazione territoriale denominata “ambito
territoriale ottimale” da individuare e delimitare dalle Regioni con apposita
legge sulla base dei criteri fissati dall’art. 8 comma primo. L’art. 9 della
legge ha stabilito, in proposito, che per ogni ambito territoriale ottimale
delimitato, i comuni e le province ricadenti al suo interno organizzino il
servizio idrico integrato, provvedendo alla sua gestione mediante le forme,
anche obbligatorie, previste dalla legge 142 del 1990. E’ stato previsto che i
rapporti fra gli enti locali ed il gestore siano regolati da un’apposita
convenzione e dal relativo disciplinare, secondo il modello tipo adottato da
ogni regione (art. 11). Fino all’organizzazione del servizio idrico integrato le
aziende speciali, gli enti ed i consorzi pubblici esercenti i servizi idrici,
ove non sia deliberato lo scioglimento, confluiscono nel soggetto gestore
secondo le modalità e le forme stabilite nella convenzione ed il nuovo gestore
subentra agli enti preesistenti nei termini e con le modalità stabilite nella
convenzione e nel relativo disciplinare; mentre le società e le imprese
consortili concessionarie dei servizi, alla data di entrata in vigore della
legge, mantengono la gestione fino alla scadenza della relativa concessione
(art. 10). Va in ultimo detto che con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri del 4.3.1996, emanato ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 1
della legge 36 del 1994, sono state determinate le direttive generali, le
metodologie ed i criteri in ordine agli adempimenti collegati alla realizzazione
del servizio idrico integrato, che trovano puntuale elencazione nelle lettere
dalla a) alla i) del medesimo comma. TAR Toscana - Firenze sez. I, del 16
gennaio 2003 sentenza n. 9 (vedi:
sentenza per
esteso)
La legge della regione Toscana, in attuazione della legge 36/1994 - gestione
del servizio ed all’affidamento del servizio idrico. La regione Toscana, in
attuazione della legge 36/1994, ha emanato la legge 81/1995 che, all’art. 2,
delimita gli ambiti territoriali ottimali, disponendo, all’art. 4, che le
province ed i comuni di ciascun ambito, con l’approvazione della maggioranza
assoluta dei componenti dei rispettivi consigli di un statuto predisposto
secondo la disciplina indicata nella legge medesima, organizzino il servizio
integrato mediante la costituzione di un consorzio obbligatorio denominato
Autorità d’ambito. Il medesimo articolo 4 stabilisce che a curare gli
adempimenti per la costituzione dell’AATO sia il comune che, in ciascun ambito
territoriale ottimale, ha il maggior numero di abitanti. Il successivo articolo
7 indica le funzioni che devono essere svolte dall’AATO (programmazione,
organizzazione e controllo sull’attività di gestione del servizio idrico
integrato), specificando che nelle funzioni è esclusa ogni attività attinente
alla gestione del servizio, mentre sono comprese, tra l’altro, quelle relative
alla scelta della forma di gestione del servizio ed all’affidamento del servizio
stesso.La successiva legge regionale 26 del 1997 ha completato il quadro
normativo, dettando le norme di indirizzo per l’organizzazione del servizio
idrico integrato, nonché allegando la convenzione tipo ed il relativo
disciplinare di cui all’art. 11 della legge statale. TAR Toscana - Firenze
sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenza n. 9 (vedi:
sentenza per
esteso)
Il piano tariffario del servizio idrico integrato - l’applicazione delle
tariffe agevolate - l’adeguamento della tariffa alle determinazioni del CIPE
debba intervenire in via suppletiva sino alla definizione del c.d. “metodo
normalizzato” - la modulazione tariffaria - l’Organo di vigilanza. L’art.
31, comma 29, della legge 23.12.1998 n. 448 prevede che l’adeguamento della
tariffa alle determinazioni del CIPE debba intervenire in via suppletiva sino
alla definizione del c.d. “metodo normalizzato” previsto dall’art.13, comma 3,
della legge 36 del 1994. Ora, il metodo normalizzato è stato definito con il
decreto ministeriale 1.8.1996, che contiene un’articolata e complessa procedura
nell’ambito della quale concorrono alla determinazione tariffaria numerosi
parametri e formule matematiche, collegate non solo al consumo dell’acqua, ma
anche al complesso dei servizi idrici come indicati dalla legge 36 del 1994. In
base al metodo normalizzato, la tariffa media è stabilita, infatti, dall’AATO in
relazione al modello organizzativo della gestione, alla quantità e qualità della
risorsa idrica ed al livello della qualità del servizio. Non solo, essa è
fissata in funzione del piano finanziario, dei costi reali come pure delle
economie conseguenti al miglioramento dell’efficienza ed al superamento della
frammentazione delle gestioni esistenti. Sono di rilievo i criteri di computo
della tariffa reale media, calcolata- inizialmente- sulla base della tariffa
media ponderata delle gestioni preesistenti, come accorpate nella nuova
gestione, i quali (criteri) tengono conto di diverse categorie di voci, meglio
rappresentate dagli artt. 3 e 4 del decreto e dalle clausole della convenzione,
come pure dal relativo disciplinare (art. 2). Il piano tariffario è poi
comunicato all’Organo di vigilanza, insieme ad altri dati rilevanti riguardanti
la gestione del servizio idrico integrato (artt. 9 e 10).Per quanto concerne la
modulazione tariffaria, va evidenziato che anch’essa trova disciplina nell’art.
7 del decreto ministeriale richiamato. La delibera dell’AATO prevede differenti
fasce di consumo alle quali corrispondono altrettante tariffe in corrispondenza
delle presumibili fasce d’utenza. Tale sistema, imputando la tariffa ad un
criterio di computo differenziato e progressivo, che parte da una quota minima
corrispondente a quella di un consumo domestico essenziale per la prima casa, si
rapporta in qualche misura alla proiezione del modello per “scaglioni di
reddito” indicato nel comma sette dell’art. 13 che non trova, diversamente,
alcuna diretta applicazione ed evidenza nei rapporti d’utenza regolamentati
sulla base di contratti tipo, i quali al più condizionano l’applicazione delle
tariffe agevolate relative alla prima casa al requisito della residenza. TAR
Toscana - Firenze sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenza n. 9 (vedi:
sentenza per
esteso)
L’affidamento in concessione al Gestore del servizio idrico integrato delle
opere - l’affidamento del servizio - potere di autotutela. L’affidamento in
concessione al Gestore del servizio idrico integrato delle opere, degli impianti
e delle canalizzazioni di proprietà degli enti locali, opera giuridicamente in
forza dall’art. 12 della legge 36 del 1994 e consegue all’affidamento del
servizio stesso regolato, sul punto, dalla convenzione. Ne consegue che gli enti
territoriali facenti parte del consorzio obbligatorio e non rientranti nella
salvaguardia di cui all’art.3 della l.r.26 del 1997, una volta avvenuto
l’affidamento del servizio, non hanno più poteri diretti sugli impianti di loro
proprietà. Ciò comporta che il Comune non poteva esercitare alcun potere di
autotutela per effetto dell’ordinanza 3653/2000 del Consiglio di Stato di
sospensione del provvedimento di nomina del commissario ad acta, non
determinando peraltro tale sospensione effetto alcuno sulla consegna materiale
dei beni il cui regime giuridico è, come già detto, regolato direttamente
dall’art. 12 richiamato. L’esercizio di tale potere si configura aberrante
rispetto alla tutela giurisdizionale invocata ed ottenuta in via interinale in
esito all’azione promossa con il ricorso 1054/00. TAR Toscana - Firenze sez.
I, del 16 gennaio 2003 sentenza n. 9 (vedi:
sentenza per
esteso)
Acque - Tutela dall'inquinamento - Scarico inquinante - In conseguenza del guasto improvviso dell'impianto - Esclusione della responsabilità per caso fortuito - Negazione - Reato di cui al d. L.G. n. 152 del 1999 - Configurabilità. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, non integra l'ipotesi del caso fortuito il guasto meccanico dell'impianto, che è correttamente ascrivibile ad una condotta negligente dell'imputato, atteso che questi era obbligato a mantenere l'impianto in condizioni di sicuro funzionamento ed a controllare costantemente l'efficacia dello stesso, non potendo annoverarsi nella categoria dei fattori inevitabili ed imprevedibili il guasto cd. improvviso di un meccanismo il cui funzionamento dipende dall'attività di manutenzione dello stesso. - Pres. Postiglione A - Rel. Zumbo A - Branchesi A - P.M. (diff.) Izzo G CORTE DI CASSAZIONE pen., sez. III, 14-01-2003 (15-11-2002), RV223289 n. 1054
Acque - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali - L. n. 319/1976 e succ. mod. - Nozione - Acque provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi - Vi rientrano - Fondamento. Nella nozione di acque reflue industriali rientrano (anche dopo le modifiche apportate dal D. L.gs. n.258/2000 alla Legge 319/1976) tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi. (Fattispecie relativa a scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica, reato sanzionato dall’art. 59, 1° comma D.L.gs. n. 152/1999). - Pres. Savignano G - Rel. Fiale A - Barattoni V - P.M. (conf.) Iacoviello F. - RV222967 - CASSAZIONE PENALE, sez. III, 19 dicembre 2002 (ud. 24-10-2002), n. 42932 (vedi: sentenza per esteso)
Acque - Tutela dall'inquinamento - Insediamento produttivo - Scarico in fognatura - Assenza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 59 del D.L.G. n. 152 del 1999 - Configurabilità - Fondamento. Lo scarico da insediamento produttivo in fognatura, effettuato in difetto di autorizzazione, previsto precedentemente come reato ai sensi dell'art. 21, comma 1, della legge 10 maggio 1976 n. 319, configura il reato di cui all'art. 59, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, atteso che la sanzione penale per lo scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione si correla alla riscontrata mancanza del controllo preventivo della pubblica amministrazione ed è indipendente dal recapito finale. - Pres. Savignano G - Rel. Fiale A - Barattoni V - P.M. (conf.) Iacoviello F. - RV222967 - CASSAZIONE PENALE, sez. III, 19 dicembre 2002 (ud. 24-10-2002), n. 42932 (vedi: sentenza per esteso)
Acque - tutela dall'inquinamento - scarico di acque reflue industriali - reato di superamento di valori limite - modalita' di campionamento - discrezionalita' tecnica da parte degli organi accertatori - incidenza - esclusione. In tema di tutela della acque dall'inquinamento, nella scelta delle metodiche di campionamento dei reflui sussiste una discrezionalita' tecnica da parte degli organi accertatori, atteso che le relative prescrizioni hanno un carattere non cogente, cosi' che la loro eventuale inosservanza non determina alcuna sanzione processuale. Cassazione Penale sezione III del 11/12/2002 (UD.17/10/2002), Sentenza n. 41487
Acque - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali - Nozione - Acque provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi - Vi rientrano - Fondamento. Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi. (Fattispecie relativa a scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica). RV222966 - Pres. Savignano - Rel. Fiale - Barattoni - P.M. (conf.) Iacoviello. CORTE DI CASSAZIONE pen., sez. III, 19-12-2002 (24-10-2002), n. 42932
Acqua - Inquinamento idrico - Acque dei frantoi oleari - Disciplina applicabile - D. lgs. 152/1999 - D. lgs. 22/1997. Sono soggette alla ordinaria disciplina di cui al D. lgs. 152/1999 le acque dei frantoi oleari, di regola insediamenti industriali, se sono immesse direttamente in un corpo recettore, e al D. lgs. 22/1997 se riversati in una vasca e gestiti come rifiuti liquidi. La legge 11 novembre 1996, n. 574, disciplina soltanto la successiva ed eventuale fase di spandimento delle acque sul suolo, in deroga all’avvio dei rifiuti liquidi a recupero o smaltimento. Est. Santoloci - Imp. Frezza TRIBUNALE PENALE DI TERNI, 4 dicembre 2002
Acque - Tutela dall'inquinamento
- Scarico abusivo - Rileva penalmente solo se di acque industriali. La
condotta di scarico senza autorizzazione è sanzionato penalmente solo se
riferito ad acque provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività
industriali o commerciali (fattispecie in cui non è stata ritenuta la rilevanza
penale di un riversamento di fanghi in acque superficiali). Pres. Toriello -
Est. Squassoni - P.M. Mura - Ric. Leopardi CORTE DI CASSAZIONE pen. Sez. III,
28 novembre 2002, (ud. 25 settembre 2002) n. 1782
Determinazione mare territoriale ed il fondo e sottofondo marino (la c.d. piattaforma continentale) - res communes omnium - diritto internazionale - pesca o concessione anche ad altri fini di tratti di mare territoriale - pesca di specie marina di cui è vietata la cattura e danneggiamento - danneggiamento aggravato. La Corte territoriale ha esattamente inquadrato la questione sotto il profilo giuridico e ritenuto il fatto perseguibile d’ufficio, dovendosi considerare il mare territoriale ed il fondo e sottofondo marino (la c.d. piattaforma continentale) quali “cose destinate a pubblica utilità” rilevanti ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 625 n. 7 Cp, richiamato dall’articolo 635 Cp; ed invero mare territoriale e fondale marino, pur qualificabili come res communes omnium, sono soggetti, anche sotto il profilo del diritto internazionale (convenzioni di Ginevra del 1958), alla sovranità dello Stato che è portatore di un interesse diretto alla loro integrità (sezione seconda, 10.2.1984, Mento, rv 164776/7), sia per garantirne la conservazione come risorse naturali e la duratura fruizione da parte di tutti, sia per poterne disporre iure imperii nei casi previsti dalla legge (ad esempio in materia di pesca o di concessione anche ad altri fini di tratti di mare territoriale, ovvero in materia di esplorazione e sfruttamento del fondo e sottofondo marino). Del tutto corretta si palesa poi la motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, fondata su ineccepibili argomentazioni logiche, ed al trattamento sanzionatorio (in relazione al quale è richiamata l’esistenza di un precedente penale specifico), sicché, a prescindere dalla considerazione che anche in ordine a tale censura i motivi di ricorso riproducono per la gran parte quelli di ricorso, con conseguente genericità degli stessi, le censure sul punto sono comunque manifestamente infondate. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge. (Nella specie, Corbacio Giuseppe impugna la sentenza della Corte di appello di Lecce - sezione di Taranto, confermativa della decisione di primo grado con la quale è stato dichiarato colpevole dei reati - unificati nel vincolo della continuazione - di pesca di specie marina di cui è vietata la cattura e danneggiamento aggravato ai sensi dell’articolo 635, terzo comma, e 625 n. 7 Cp, per avere deteriorato i fondali della relativa zona di mare, mediante frantumazione degli scogli in cui la predetta specie vive incastonata. Come emerge dai provvedimenti di merito, l’imputato era stato sorpreso dalla polizia giudiziaria in zona di bassa scogliera lungo il litorale mentre, ancora interamente bagnato, si trovava in possesso senza giustificazione di un retino contenente il predetto pescato, un martello ed una pinza). Corte di Cassazione Sezione II sentenza 19 novembre 2002 (dep. 16 dicembre 2002) n. 42119
Acqua - Successione di leggi - D. lgs. 152/1999 e L. 319/1976 - Applicazione della sola disposizione complessivamente più favorevole. In materia di successione nel tempo di leggi penali, una volta individuata la disposizione sanzionatoria complessivamente più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralità (fattispecie in materia di scarico extra-tabellare di reflui, per la quale, ritenuta più favorevole la pena principale stabilita dall’art. 21, l. 319/1976, l’imputato è stato condannato anche alla pena accessoria dell’incapacità a contrattare con la P.A., sebbene detta misura fosse prevista solo dalla norma abrogata e non più dal D. lgs. 152/1999). Bertolotto. CORTE DI CASSAZIONE pen. Sez. III, 5 novembre 2002
Acque - Tutela dall'inquinamento -D. lgs. 152/1999 e D. lgs. 22/1997 - Discrimine - E’ cositituito dalla presenza di una condotta. Nelle ipotesi limite, l’elemento discriminante tra le normative sui rifiuti (D. lgs. 22/1997) e quella sulle acque (152/1999) è rappresentato dalla presenza o meno di una canalizzazione che consenta la convogliabilità dello scarico nonchè il collegamento senza interruzione tra la fonte di riversamento e il corpo recettore. - Pres. Malinconico, Est. De Maio, Ric. I.S. CORTE DI CASSAZIONE pen., sez. III, 5 -11-2002 (11-06-2002), n. 1376
Acque - tutela dall'inquinamento - scarico di acque reflue industriali - occasionale - con superamento dei limiti tabellari - reato di cui all'art. 59 del d.l.g. n. 152 del 1999 - configurabilita' - esclusione - fondamento. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'immissione occasionale di acque reflue industriali, pure se abbia determinato il superamento dei valori limite fissati nelle tabelle 3 e 4 dell'Allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dello stesso allegato, non e' piu' prevista dalla legge come reato a seguito della modifica operata dall'art. 23, comma 1 lett. e) del D.L.G. 18 agosto 2000 n. 258 all'art. 59 del D.L.G. 29 ottobre 1999 n. 490. Vedi anche: C. Cass. 2002 sent. 3798. Corte di Cassazione, sez. III (ud.14/06/2002) sentenza del 09/08/2002 n. 29651
Acque - tutela dall'inquinamento - scarichi da frantoi oleari - disciplina di cui al d. l.g. n. 152 del 1999 - scarico senza autorizzazione - reato di cui all'art. 59 - configurabilita'. Lo scarico dei liquami derivanti dalla molitura delle olive, effettuato senza la autorizzazione prevista dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, configura il reato di cui all'art. 59 del citato decreto, anche in caso di recapito in fognatura, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attivita' di produzione di beni e che le acque di scarico sono diverse da quelle domestiche. Vedi anche: C. Cass. 2000 sent. 425 contra C.Cass. 2000 n.4068. Corte di Cassazione, Sez. III (ud.31/05/2002) Sentenza del 12/07/2002 n. 26614
Tutela dall'inquinamento - scarichi in aree protette - autorizzazione - in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela - reato di cui all'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985 - configurabilita'. In tema di tutela delle acque dall'inquinamento l'autorizzazione allo scarico di acque reflue all'interno delle aree protette emessa in assenza del nulla osta dell'autorita' preposta alla tutela, o di quella a cio' delegata, e' illegittima, con la conseguente integrazione del reato di cui all'art. 1 sexies del decreto legge 27 giugno 1985 n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985 n. 431, ora sostituito dall'art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490. (Fattispecie relativa a scarichi di insediamento di piscicoltura all'interno della Riserva naturale della Diaccia-Botrona individuata dalla Convenzione di Ramsar). Corte di Cassazione Sezione III - 10/07/2002, n. 26264
Tutela della acque dall'inquinamento - prelievo di campioni finalizzato alle successive analisi chimiche e preordinato alla tutela delle acque dall'inquinamento - differenza tra prelievo inerente ad attivita' amministrativa e prelievo inerente ad attivita' di polizia giudiziaria - garanzie difensive - presupposti. In tema di prelievo di campioni finalizzato alle successive analisi chimiche e preordinato alla tutela delle acque dall'inquinamento, occorre distinguere tra prelievo inerente ad attivita' amministrativa disciplinato dall'art. 223 norme di att. cod. proc. pen. e quello inerente ad attivita' di polizia giudiziaria nell'ambito di un'indagine preliminare, per il quale e' applicabile l'art. 220 norme di att. cod. proc. pen. e, quindi, operano le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, anche laddove emergano indizi di reato nel corso di un'attivita' amministrativa che in tal caso non puo' definirsi extra-processum. Corte di Cassazione Sez. III del 19 giugno 2002, sentenza, n. 23369
Disciplina di cui al d.p.r. n. 203 del 1988 sulle immissioni in atmosfera - impianti di gassificazione dei rifiuti - connessi alla cogenerazione di energia elettrica - applicabilita' - esclusione - fondamento. Gli impianti di gassificazione dei rifiuti connessi ai motori di cogenerazione di energia elettrica mediante utilizzo dei gas di sintesi costituiscono "impianti di alimentazione" funzionali al ciclo di produzione di energia, e pertanto per il loro esercizio non e' richiesta l'autorizzazione regionale prevista dall'art. 6 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 per la costruzione di impianti che possono provocare inquinamento atmosferico, atteso che tale disposizione non si applica alle centrali termoelettriche ai sensi dell'art. 17, comma 1, del citato D.P.R. n. 203, e che per centrali termoelettriche si intendono, ex D.P.C.M. 21 luglio 1989, paragr. I, punto 4, tutti gli impianti e i componenti funzionali e connessi al ciclo di produzione dell'energia compresi gli impianti di alimentazione. Corte di Cassazione. Sez. III del 10/06/2002 (UD.05/04/2002) sentenza n. 22539
Impianti di trattamento dei
rifiuti - comportanti emissioni in atmosfera - disciplina applicabile -
concorrenza delle norme in materia di gestione dei rifiuti e delle immissioni in
atmosfera - fondamento. In tema di gestione di rifiuti, gli impianti di
trattamento di rifiuti che comportano emissioni in atmosfera, ed in particolare
gli inceneritori tradizionali, sono soggetti sia alle disposizioni di cui al
Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 sia alla disciplina di cui al D. P.R.
24 maggio 1988 n. 203 (tutela dall'inquinamento atmosferico), atteso che la
normativa nazionale e comunitaria in tema di inquinamento atmosferico completa e
non assorbe quella sui rifiuti. Corte di Cassazione. Sez. III del 10/06/2002
(UD.05/04/2002) sentenza n. 22539
Tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE e
91/676/CEE - scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano
all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e
«costiere dell'Adriatico nordoccidentale».
La Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, entro e non oltre il 31
dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano
all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e
«costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto legislativo
della Repubblica italiana 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla
tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE,
concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e 91/676/CEE, relativa
alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti
da fonti agricole, come aree sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva del
Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque
reflue urbane, fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello
secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva - è venuta
meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 2, della medesima
direttiva. La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Sentenza della Corte di Giustizia CE (Sesta Sezione) Causa C-396/00, pronuncia
del 25 aprile 2002.
(Vedi:
sentenza per esteso)
Tutela delle acque dall’inquinamento - lo scarico di acque reflue industriali superiore ai limiti di legge. Nell’ambito della disciplina di tutela delle acque dall’inquinamento, lo scarico di acque reflue industriali superiore ai limiti di legge, qualora riguardi sostanze inquinanti non comprese nella tabella 5 dell’allegato 5, di cui fa rinvio l’art. 59, comma 5, D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, non integra più la condotta, penalmente illecita, prevista dalla disposizione dell’art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319, con la quale la più recente disciplina non ha rapporto di continuità normativa. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
I problemi interpretativi se nel vigore della legge sulla tutela delle acque precedente costituisca ancora illecito penale anche ai sensi della nuova legge - individuazione delle sostanze di scarico per le quali la nuova legge ha previsto o la sola sanzione amministrativa ovvero ha mantenuto la sanzione penale già prevista dall’art. 21 comma 3 della legge abrogata. Secondo un primo orientamento, l’elemento dirimente per stabilire se una condotta commessa ed esauritasi - come nella specie - nel vigore della legge precedente costituisca ancora illecito penale anche ai sensi della nuova legge risiede nella individuazione delle sostanze di scarico per le quali la nuova legge ha previsto o la sola sanzione amministrativa ovvero ha mantenuto la sanzione penale già prevista dall’art. 21 comma 3 della legge abrogata. Per cui, se le sostanze inquinanti non sono tra quelle (in numero di 18) contenute nella tabella 5 dell’all. 5 si dovrebbe parlare di una vera e propria abolitio criminis, con tutte le conseguenze favorevoli per i soggetti imputati o condannati (Cass. III, 1 dicembre 1999 n. 13694 RV 214990; Cass. III, 22 dicembre 1999 n. 14401 RV 216516; Cass. III, 30 ottobre 2000 n. 11104 RV 217758; Cass. III, 13 gennaio 2000 n. 3985, Corona; Cass., sez. feriale 17 settembre 2001 n. 33761, Pirotta RV 219894). Secondo questo orientamento, perché possa ravvisarsi continuità di illecito penale non è sufficiente che siano superati i limiti di accettabilità previsti dalla legge 319/76 o da quella in vigore ma occorre il superamento dei limiti fissati nella tabella 3 dell’Allegato 5 purché si tratti delle (18) sostanze indicate nella tabella 5. Il secondo orientamento - che è, poi, quello sotteso all’ordinanza di rimessione - è frutto di una elaborazione giurisprudenziale molto più approfondita e complessa che si è espressa in numerose sentenze della terza sezione penale (Cass. III, 14 giugno 1999, Scrocca; id. 14 giugno 1999, Masiello; id. 6 luglio 1999, Vichi; id. 6 luglio 1999, Saggese; id. 10 luglio 2000, Beschi; id. 12 ottobre 2001, Basili). Questa impostazione, senza negare l’abrogazione dell’art. 21 della L. 319/76 e l’applicabilità dell’art. 2 c.p., viene elaborata, in sintesi, attraverso i seguenti passaggi: a) che agli scarichi nuovi (quelli, cioè, attivati dopo l’entrata in vigore della legge 152/99) ed a quelli esistenti non autorizzati è immediatamente applicabile la nuova disciplina; b) che questa disciplina, al contrario di quella abrogata (che prevedeva solamente lo scarico senza autorizzazione e lo scarico oltre i limiti tabellari), presenta un sistema sanzionatorio molto più articolato di tal che il confronto tra le due normative, al fine di stabilire eventuali continuità, non può ridursi - come nel primo orientamento - alla comparazione tra l’art. 21 L. 319/76 e l’art. 59 comma 5 della L. 152/99 ma deve abbracciare l’intero complesso sanzionatorio di quest’ultima legge e, soprattutto, non deve ignorare le ipotesi di reato previste nei commi 2 e 3 dell’art. 59 in relazione ai commi 11 e 12 dell’art. 62; c) che dette ultime ipotesi riguardano gli scarichi esistenti (ed autorizzati, secondo la definizione di scarico esistente normativamente data nell’art. 1 lett. cc-bis, D.L.vo 152/99) durante il periodo transitorio che è quello di tre anni previsto dall’art. 62 comma 11 perché questi scarichi si adeguino alla nuova disciplina; d) che quella testè menzionata è, rispetto alla legge abrogata, una autonoma disciplina sanzionatoria successiva, immediatamente vigente ed applicabile; e) che, infatti, l’obbligo di adeguamento degli scarichi precedenti presuppone un punto di partenza ed uno di arrivo: questo è costituito dai limiti di accettabilità imposti dalla nuova disciplina mentre il punto di partenza si deve individuare nei limiti di accettabilità preesistenti, ossia tutti quelli della legge 319/76; f) che il reato appositamente introdotto per gli scarichi esistenti (autorizzati) non ammette, per questi, l’operatività della nuova disciplina sanzionatoria c.d. “a regime” (e nel nostro caso, come nei casi affrontati dalle sentenze di segno contrario, più favorevole all’imputato o al condannato) e che il superamento dei limiti legali di cui all’art. 21 comma 3 L. 319/76 realizza (sent. Beschi pag. 2) “un fatto che nella sua materialità appare inquadrabile nella apposita figura di reato del divieto di aumento temporaneo dell’inquinamento (artt. 59 secondo e terzo comma e 62 n. 12)” di cui alla legge 152/99; g) che, in definitiva, il superamento dei limiti tabellari previsti dalla legge Merli “nel periodo transitorio continua a costituire reato sia pure con diverso inquadramento giuridico” (sent. Beschi pag. 6 e sent. Basili pag. 3) essendo stata l’antigiuridicità del fatto assunta dall’art. 59, comma 2, D.L.vo 152/99. Questi i punti salienti delle sentenze che si iscrivono nel secondo orientamento e che suffragano la tesi della continuità (parziale) della ipotesi sanzionatoria. La stessa, in sintesi, si profila raffrontando l’art. 21 della legge Merli e l’art. 59 commi 2 e 3 della L. 152/99 attraverso una serie nutritissima di argomenti testuali e logici molto seri ed intesi a dimostrare che il contrario avviso comporta, alla fine, la totale vanificazione delle previsioni penali configurate per il periodo transitorio e dotate di una precisa autonomia e di un proprio immediato vigore. Il Collegio ritiene che la seconda delle tesi esposte, che afferma la continuità del regime sanzionatorio in relazione alla normativa del periodo transitorio, non possa essere seguita. Proprio per la grande risonanza e le molteplicità dei commenti che hanno avuto le sentenze in cui tale opzione esegetica è stata sostenuta non mette conto di illustrare, oltre quanto si è più sopra detto, le argomentazioni testuali e logiche su cui essa poggia, anche al fine di non aduggiare oltremodo la presente motivazione per il cui successivo sviluppo, è necessario, tuttavia, enunciare la principale obiezione che a tale tesi è stata portata. Essa attiene alla evidente disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra i titolari degli scarichi esistenti (ed autorizzati) i quali, nella eventualità che lo scarico sia superiore ai limiti tabellari precedenti ed anche se le sostanze inquinanti sversate non siano tra quelle espressamente comprese nella tabella 5 dell’all. 5 richiamata dall’art. 59 n. 5, sarebbero sottoposti a sanzione penale mentre non lo sarebbero i titolari degli scarichi nuovi soggetti immediatamente al nuovo regime e, quel che più conta, i titolari degli scarichi esistenti e non autorizzati, non interessati alla normativa transitoria. Tale obiezione, di cui la tesi che qui si vuol criticare si è fatta carico, è stata superata con l’argomento che “trattasi di una scelta del legislatore che non può essere corretta in via interpretativa, ostandovi il chiaro dettato testuale degli artt. 59 nn. 2 e 3 e 62 n. 11 e 12 e che rende opportuno un intervento del Governo e del Parlamento” (sent. Basili, pag. 7), nella consapevolezza che non poteva essere richiesto alla Corte costituzionale un intervento manipolativo-additivo sul sistema sanzionatorio penale (Corte cost. nn. 226/83, 313/83; 317/83). Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
Deroga alla regola della retroattività della legge abrogatrice - principio della parità effettiva di trattamento. Il legislatore, può derogare alla regola della retroattività della legge abrogatrice, che non ha diretta rilevanza costituzionale, ma deve sempre rispettare il principio della parità effettiva di trattamento per cui non può punire un soggetto per un fatto che altro soggetto può impunemente commettere. Nel caso di specie gli scarichi vecchi ed autorizzati (normativamente: “scarichi esistenti”) che inquinassero oltre i limiti della legge 319/76, a prescindere dalla classificazione delle sostanze sversate secondo la nuova legge, patirebbero la sanzione penale in forza dell’art. 59 comma 2 (e 3) della stessa legge mentre quelli nuovi e quelli esistenti (ma abusivi) che sversassero sostanze inquinanti diverse da quelle della tabella 5 dell’All. 5 (ma in misura qualitativamente e quantitativamente eguale a quelle dei precedenti) sarebbero sottoposti, sebbene “meno meritevoli”, alla più favorevole sanzione amministrativa: situazione della cui ragionevolezza sistematica - a parte i profili di ineguaglianza - è più che lecito dubitare e che il Collegio ha ritenuto di poter superare in via di interpretazione. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
Il fenomeno della successione di leggi incriminatrici - principi di specialità e di continenza. Il fenomeno della successione di leggi incriminatrici deve, infatti, riconoscersi allorché, attraverso la comparazione ed il raffronto tra gli elementi strutturali delle fattispecie incriminatrici, si ravvisi persistente, “anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni, ed il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile, nel suo nucleo essenziale secondo le regole proprie del concorso apparente di norme, ad una diversa categoria di illecito, tuttora penalmente rilevante, nonostante ed anzi proprio in conseguenza dell’intervento legislativo, che benché formalmente abrogativo, di fatto modifica l’ambito di applicabilità della previgente e diversa norma incriminatrice” (SS.UU. Di Mauro, cit.). Il principio sopra enunciato, col richiamo ai principi di specialità e di continenza (concorso apparente di norme) ed al concetto di permanenza della protezione del bene giuridico, integra ed arricchisce quello, fondamentale, della tipicità o del mero confronto strutturale delle fattispecie e, pur senza prendere posizione in ordine ai differenti criteri al riguardo adottati dalla dottrina, fornisce un criterio completo e chiaro per la verifica della esistenza della continuità normativa (per la combinazione dei criteri cfr. anche Cass., SS.UU. 27 luglio 1990 n. 10893; Cass., SS.UU. 27 giugno 1994 n. 7394; Cass. VI, 13 gennaio 2000 n. 3496; Cass. III, 9 luglio 1999, Piccinelli). Non può, ad avviso del Collegio, negarsi che l’oggetto della incriminazione penale del reato previsto dalla norma transitoria (L. 152/99) non è lo “scaricare” ma una condotta omissiva consistente nella mancata adozione delle misure necessarie ad evitare l’aumento anche temporaneo dell’inquinamento e, quindi, anche la imposizione di una condotta positiva consistente nel predisporre gli accorgimenti atti ad evitare l’aumento dell’inquinamento (Cass. n. 2400/1982 RV 157977). La norma, quindi, appare chiaramente come limitativa - e specificatrice - dell’ambito di punibilità indistinta della pura e semplice condotta di scarico (oltre i limiti tabellari precedenti) ed implica che la condotta di “aumento dello scarico” può, a stretto rigore, realizzarsi anche restando nei (o al di sotto dei) limiti di tollerabilità di cui alla legge 319/76. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
La materialità della condotta nella omissione dolosa o colposa - il reato di aumento dell’inquinamento nel D.L.vo 152/99. La materialità della condotta consiste, in definitiva, nella omissione dolosa o colposa di una attività di prevenzione che deve consistere nella adozione di misure necessarie ad evitare che si verifichi l’aumento del grado di inquinamento che è, poi, l’evento tipico del reato de quo (D.L.vo. 152/99). L’aumento è, a sua volta, un concetto per definizione relativo e, pertanto, presuppone il raffronto di due dati che, secondo il chiaro tenore letterale della norma, non sono normativi ma quantitativi e qualitativi e, comunque, di fatto, riferiti allo scarico con la prescrizione che il dato fisico-chimico preesistente alla entrata in vigore del D.L.vo. 152/99 non può essere alterato in peius. La giurisprudenza precedente - formatasi sull’art. 25 della legge 319/76 - è assolutamente pacifica nel ritenere che, per stabilire la sussistenza dell’aumento, non sia sufficiente accertare il grado ma occorra accertare l’andamento del fenomeno inquinamento (Cass. III, 3 maggio 1985 n. 6130, Cecchetti) secondo un prius ed un posterius, prendendo in esame un fattore iniziale e preesistente e confrontandolo con un fattore finale o attuale e, cioè, paragonando due dati temporalmente distinti (ex plurimis, Cass. III, 3 maggio 1985 n. 6130 cit.; Cass. 16 novembre 1988, Zadra). Il primo dato da comparare può risultare da qualsiasi elemento (una precedente misurazione, i limiti indicati dalla stessa parte nella richiesta di autorizzazione allo scarico ecc...) e l’aumento potrà anche essere desunto da fatti significativi (es. la eliminazione di un depuratore). E, così, il punto di partenza per giungere all’adeguamento non è - contrariamente a quanto sostenuto dal secondo orientamento - necessariamente il dato normativo della legge Merli ma la precedente situazione di fatto dello scarico. Il reato di aumento, inoltre, sempre secondo la vasta e prevalente elaborazione giurisprudenziale precedente, integra una ipotesi autonoma di reato (Cass. III, 30 novembre 1984 n. 10671; Cass. III, 26 novembre 1986 n. 13301) che ha natura omissiva permanente (Cass. III, 7 settembre 1987 n. 9776) e la cui permanenza dovrebbe necessariamente cessare con lo spirare del periodo transitorio, tornando successivamente applicabile il regime normale (Cass. 18 febbraio 1988 n. 2055 RV 177634). Il reato, inoltre, è considerato di pericolo poiché esso prescinde da qualsiasi valutazione della situazione dei corpi recettori ed è basato sul semplice presupposto che possa essere compromessa la situazione preesistente di essi (Cass. 25 settembre 1982 n. 8174 RV 155162). In definitiva, la norma assume ad oggetto della sanzione un divieto generalizzato di aumento dell’inquinamento senza alcun riferimento a limiti e/o parametri e, comunque, vigendo la legge 319 (come, del resto, per l’attuale), lo scarico (esistente autorizzato) non doveva essere adeguato necessariamente ai limiti massimi prescritti ma doveva essere entro limiti (e non necessariamente fino ai) limiti della legge. Ciò implica che la misura di partenza non sono i limiti della legge 319 ma i livelli - anche se più bassi - precedentemente raggiunti dallo scarico (Cass. 21 dicembre 1982, Liverani; Cass. 5 maggio 1983 n. 4179 RV 158880) e che tali limiti possono rinvenirsi anche in quelli (più restrittivi) fissati dai comuni o dai consorzi gestori di impianti di depurazione e la cui inosservanza rendeva applicabile (quando vigente) l’art. 21 comma 3 L. 319/76 (Cass. 12 dicembre 1989 n. 17283 RV 182808). Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
La ratio della norma che vieta l’aumento dell’inquinamento - la ratio incriminatrice - principio comunitario c.d. dello standing still - il combinato disposto di cui agli artt. 62 comma 12 e 55 comma 2 (e 3) D.L.vo 152/99. La ratio della norma che vieta l’aumento dell’inquinamento è stata anch’essa individuata con chiarezza nella giurisprudenza formatasi sull’art. 25 della legge 319. La diversità della ratio incriminatrice, che è già ampiamente giustificata da principio comunitario c.d. dello standing still, non è stata colta a sufficienza pur essendo decisamente determinante. Ed, infatti, poiché lo scarico esistente non autorizzato deve rispettare immediatamente i limiti della legge 152 (non potendosi ad esso applicare la disciplina transitoria) e siccome il titolare dello scarico esistente autorizzato deve adeguarsi ai nuovi limiti tabellari nel termine di tre anni, questi potrebbe, nel frattempo, aumentare l’entità dello scarico (ad esempio incrementando la produzione o disattivando impianti esistenti di costosa gestione o non manutenendoli) fino a raggiungere e superare (eccetto che per le sostanze pericolose mai depenalizzate perché previste da entrambe le leggi) addirittura i limiti di accettabilità della nuova legge (cui non è tenuto ad adeguarsi). Ed il titolare dello scarico esistente sarebbe l’unico (a parte i totalmente abusivi) a poterli superare così che si verrebbe a creare una disparità di trattamento davvero clamorosa che il legislatore ha voluto evitare, volendo anche evitare comunque il superamento dei nuovi e più severi limiti ed attuando in proposito una sostanziale parificazione degli scarichi autorizzati agli abusivi ed ai nuovi. I termini indicati dalla legge ed i limiti indicati nelle tabelle hanno lo scopo precipuo di graduare nel tempo il disinquinamento dei corpi recettori e di evitare, in ogni caso, un sia pur minimo peggioramento della situazione rispetto al momento di entrata in vigore della legge stessa. Ne consegue che a carico del titolare di un impianto preesistente - qualora si verifichi un aumento temporaneo dell’inquinamento - potrà configurarsi il reato di cui all’art. 52 comma 2 anche se gli standards precedentemente rispettati corrispondevano in tutto o in parte a quelli fissati dalla legge 319 (Cass. III, 13 maggio 1982 n. 4955). Il combinato disposto di cui agli artt. 62 comma 12 e 55 comma 2 (e 3) D.L.vo 152/99 impone, quindi, un comportamento attivo punendone la omissione dolosa o colposa, condotta, questa, per nulla riconducibile al divieto di scarico oltre i limiti di accettabilità di cui alla L. 319/76. Il Collegio ritiene che comparando le due normative che si pretende di comparare (quella abrogata e quella transitoria) non può ritenersi che, grazie alla norma transitoria, sia sopravvissuto il disvalore penale dello scarico delle sostanze non comprese nella tabella 5 dell’all. 5 poiché le due ipotesi presentano requisiti di condotte tipiche tra loro disomogenee e strutturalmente non assimilabili e prevedono diverse modalità di aggressione del bene giuridico tutelato, atteso che la norma transitoria chiaramente circoscrive la condotta punibile al solo aumento nei termini dianzi precisati. La norma generale (abrogata) e quella succeduta a regime hanno, inoltre, le caratteristiche delle generalità e dell’astrattezza mentre la norma transitoria, sebbene astratta, si rivolge solo alla categoria di soggetti titolari degli scarichi autorizzati esistenti. È, infatti, evidente che il concetto di scarico contiene anche quello di aumento dello scarico ma è anche vero che il secondo, che - da solo - realizza il fatto tipo della norma successiva (transitoria), esclude la punibilità della condotta di scarico che non sia comparata ad una misura precedente di tal che: a) uno scarico quantitativamente e qualitativamente immutato va giudicato secondo la nuova legge; b) uno scarico della stessa entità qualitativa e quantitativa del primo, ma frutto di un aumento rispetto al precedente, va sanzionato penalmente durante la vigenza della norma transitoria. La fattispecie penale originaria (scarico oltre i limiti della legge 319) è stata espunta dall’ordinamento e la condotta in essa prevista va giudicata in applicazione dell’art. 2 comma 3 c.p. (lex mitior). Quanto alla norma transitoria è come se essa dicesse “chiunque scarica avendo aumentato o aumentando” rispetto alla dizione “chiunque scarica”, dove è chiaro che la prima condotta contiene un elemento specializzante e va giudicata seconda la disciplina propria. Ed, invero, quando è abrogata una norma generale (chiunque scarica oltre i limiti della legge 319) e viene introdotta una norma speciale, il fenomeno successorio, a tutto concedere, si instaura limitatamente alla fattispecie che conserva rilevanza penale in base alla nuova disposizione. In definitiva, secondo il Collegio, la comparazione della norma abrogata con quella transitoria denunzia con chiarezza tutti gli elementi di rottura tra la vecchia e la nuova disciplina: la diversa oggettività giuridica, la eterogeneità delle condotte punibili e la diversità di ratio, con la introduzione da parte della norma transitoria, di una nuova ed autonoma figura di reato. La norma transitoria ha, per definizione, una ratio diversa dalla disciplina a regime e la continuità, semmai, dovrebbe nella specie ravvisarsi con l’art. 25 della legge 319/76 che è formulata in maniera letteralmente identica il che, ulteriormente, induce ad escludere che vi possa essere continuità normativa anche con l’art. 21 comma 3. E, d’altronde, si riconosce dalla stessa tesi contraria che la norma transitoria dell’art. 25 non poteva far riferimento, per definire il concetto di aumento, ai limiti legali precedenti che, semplicemente, non esistevano. Ma da ciò quella tesi non può trarre argomento a favore superando l’assoluta identità del dato letterale. È pacifico anche nella tesi qui contrastata che l’art. 62 comma 12 in relazione all’art. 59 comma 2 (e 3) della legge 152 prevede “una ipotesi tipica di reato del periodo transitorio, assistita da una autonoma sanzione”. Se così è, non si vede perché non debba farsi questione di successione di leggi e di (eventuale) abolitio criminis nella prospettiva che la legge nuova (successiva) da comparare a quella abrogata è rappresentata dalla normativa a regime piuttosto che dalle norme transitorie in essa previste che finiscono, così come interpretate dalla tesi contraria, per applicare retroattivamente ai fatti commessi prima della entrata in vigore della legge 152/99 (e della norma transitoria) i combinati disposti degli artt. 59 comma 2 e 62 comma 12 della stessa legge. Prendendo a modello la condotta di colui che, nel periodo transitorio, inquina per x (dato precedente) + 1 ed al quale si applicherà la disciplina dell’art. 59 commi 2 e 3 della legge 152/99, è chiaro che alla stessa condotta, dopo il periodo transitorio, si applicherà la legge nuova. Da ciò deriva che la disciplina del periodo transitorio ha introdotto una legge penale temporanea, che ha un preciso termine iniziale (l’entrata in vigore della legge 152/99) ed un altrettanto preciso termine finale (lo scadere del periodo di tre anni dalla prima data). Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
La lettura corretta della complessiva disciplina del D.L.vo 152/99. La lettura corretta della complessiva disciplina del D.L.vo 152/99 consente: a) di far salva l’esistenza dell’ipotesi di reato di cui all’art. 59 comma 2 (e 3) della legge in relazione all’art. 62 comma 12 (aumento dell’inquinamento) come reato autonomo che prevede una autonoma sanzione, che ha una propria ratio e che non può essere cancellato non essendo stato cancellato neppure dalla legge n. 258/2000 (il che esclude che la tesi della continuità del tipo di illecito possa essere seriamente contrastata - come da taluni - utilizzando il dato letterale della norma di chiusura del comma 12 dell’art. 62 che fa salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli della D.L.vo 152/99); b) di prendere atto che la disciplina del periodo transitorio (ed il reato in essa previsto) è legge temporanea di innegabile immediata applicazione ma che ciò non suffraga - per quanto detto e per quanto ancora si dirà - la tesi della permanenza del tipo di illecito; c) di tenere ferma la premessa che la interpretazione deve muoversi su linee e giungere a conclusioni che salvaguardino il principio - di rilevanza costituzionale - della parità di trattamento, che impedisce di sottoporre a sanzione penale un soggetto per uno stesso fatto che altri soggetti possono impunemente commettere o per il quale ricevono solo una sanzione amministrativa; d) di affermare che se vi è una deroga alla legge vigente rappresentata dalla norma transitoria, questa riguarda solo e tutte (le) condotte omogenee (aumento dell’inquinamento da scarichi preesistenti autorizzati); e) di riaffermare che - secondo la dottrina pacifica - la legge temporanea (come quella eccezionale) ha per sua caratteristica essenziale quella di applicarsi solo ed esclusivamente ai fatti commessi durante la sua vigenza in quanto ricompresi nella particolare esigenza di tutela che tale legge ha ispirato. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
La disciplina transitoria - passaggio dalla vecchia disciplina L. 319/76, prevedente una sanzione penale, alla nuova disciplina L. 152/99 che prevede una sanzione amministrativa - il principio generale della lex mitior - lex specialis. La disciplina transitoria (temporanea), poi, si sottrae alla comparizione con quella ordinaria abrogata. La particolarità (non sufficientemente avvertita e scrutinata dai due orientamenti e dai commentatori) della indagine che ne occupa sta nel fatto che, durante il periodo transitorio, si ha la vigenza di due leggi: una che regola le condotte poste in essere dal momento (qui: scarichi nuovi ed esistenti non autorizzati) della sua entrata in vigore, l’altra - avente il carattere della provvisorietà - che regola, temporaneamente, rapporti già in essere e per un periodo di tempo (transitorio) che è individuato dalla norma stessa ed è implicito nel tendenziale esaurimento (qui: adeguamento) dei rapporti regolati. La norma transitoria, rispetto a quella a regime ed a quella abrogata, diventa una sorta di tertia lex che regola esclusivamente alcuni dei rapporti in itinere ma che non può funzionare da termini di paragone tra la disciplina abrogata e la nuova già in vigore. In definitiva la norma transitoria in sè non può essere considerata alla stregua di legge successiva a quella abrogata. Nel passaggio dalla vecchia disciplina, prevedente una sanzione penale, alla nuova disciplina che prevede una sanzione amministrativa, il legislatore ben può, durante il periodo transitorio, prevedere taluni specifici comportamenti che non sono previsti come reato né dalla nuova legge a regime né dalla vecchia legge a regime. Nel nostro caso l’aumento dell’inquinamento, che nella vecchia legge era - e non è un caso - previsto anche (e solo) dalla norma transitoria, nei due regimi normali è (ed era) pacificamente sottratto alla sfera dell’illecito. La legge (transitoria) successiva (art. 59 comma 2, in relazione all’art. 62 comma 12) non regola la (le) stessa (e) condotta (e) di quella a regime sebbene una condotta diversa e per un limitato periodo di tempo, riguardando, innegabilmente, solo condotte (o alcune di esse prescelte dal legislatore) in itinere (scarichi autorizzati) poste in essere durante la sua vigenza e non quelle precedenti né quelle che hanno inizio sotto il vigore della legge successiva, secondo il noto principio tempus regit actum in base al quale la norma temporanea non può ritenersi, a nessun fine, retroattiva né ultrattiva (né come lex mitior né come lex gravior). In definitiva il dato testuale da tener presente è quello dell’art. 2 comma 4 c.p. in base al quale la legge temporanea non entra nel meccanismo della successione delle leggi estraniandosi, così, dalla normale disciplina sia precedente che successiva e restando applicabile sempre e solo ai fatti da essa previsti e commessi nel tempo in cui essa è in vigore sicché l’unica legge comparabile con quella abrogata sarà quella comune a regime. In base al meccanismo dell’art. 2 comma 4 c.p., quindi, l’art. 59 comma 5, norma a regime, “oblitera”, per così dire, la legge temporanea e sarà inteso, esso, come legge più favorevole o più sfavorevole rispetto alle norme precedenti. Nel contempo, la normativa che regola gli scarichi esistenti (autorizzati) durante il periodo transitorio dovrà intendersi come lex specialis (l’elemento specializzante essendo l’aumento dello scarico rispetto allo scarico) con la conseguenza che, come disciplina speciale sopravvenuta, potrà applicarsi - essa soltanto - esclusivamente ai fatti in essa previsti. Né può, ad avviso del Collegio, tralasciarsi che, la norma abrogata e quella abrogatrice “a regime” presentano il carattere peculiare della generalità (e dell’astrattezza), mentre quella transitoria è innegabilmente rivolta alla sola categoria di soggetti titolari di scarichi esistenti (autorizzati). Anche per questa ragione - e come, secondo la migliore dottrina, pure avviene nel rapporto successorio tra norme temporanee (ed eccezionali) - la successione di leggi deve ravvisarsi tra quelle aventi le stesse caratteristiche, così che, nel caso in cui si siano succedute norme generali e comuni la (eventuale) continuità di disciplina deve essere solo tra queste scrutinata, escludendo le temporanee (transitorie). Col cessare della legge transitoria (id est: del periodo transitorio) verrà a cessare la deroga, quindi, comparando la vecchia disciplina con la nuova, tornerà ad applicarsi il principio generale della lex mitior. Ne deriverà che colui il quale - come il ricorrente - ha sversato sostanze non comprese nella tabella 5 dell’all. 5 potrà fruire dell’abolitio criminis e, quindi, della revoca della sentenza. Seguendo la opposta opinione si giungerebbe all’assurdo che egli dovrà solo attendere lo spirare del periodo transitorio quando sicuramente non sarà più esistente nell’ordinamento la fattispecie incriminatrice che viene considerata come continuativa del tipo di illecito abrogato (scarico oltre i limiti della legge 319), per cui sembra ancora una volta ragionevole accedere alla tesi che impedisce alla norma transitoria di entrare nel meccanismo della comparazione, quando è certo il termine della sua cessazione ed è già vigente la legge successiva (più mite), dovendosi limitare l’efficacia sanzionatoria della prima alle (sole) condotte tipizzate di aumento dello scarico nel corso del periodo transitorio. In definitiva la decisione di queste sezioni unite è imposta dalla necessaria e lineare scansione dei seguenti canoni: - la impossibilità di derogare dal principio costituzionale di ragionevolezza e di eguaglianza di trattamento; - la necessità di salvaguardare i principi recentemente affermati dalle sezioni unite in materia di successione di norme penali incriminatrici nelle sentenze n. 27/2000 (Di Mauro) e n. 35/2001 (Sagone); - la differenza strutturale dell’illecito delineato dalla norma transitoria rispetto a quelli delineati dalla norma abrogata (art. 21 L. 319/76) e dalla disciplina sostanziale succeduta alla precedente; - la impossibilità di prescindere dall’applicazione dell’art. 2 c.p. sostenuta anche dalla tesi contraria; - la non applicabilità, alla specie, dei commi 1 (ovvia), 2 (abrogazione) e la inapplicabilità del comma 3 dell’art. 2 che “presuppone una identità del fatto (quanto meno nei suoi elementi essenziali) astrattamente regolato da leggi diverse (Cass., sez. V, 14 ottobre 1999, ric. Ghezzi); - la imprescindibile applicazione del comma 4 dello stesso articolo; - la impossibilità di ignorare la pluriennale elaborazione giurisprudenziale in ordine al concetto di aumento dello scarico che è stato chiaramente individuato e designa, rispetto a quello di scarico, la specificazione degli elementi strutturali, un ambito meno comprensivo e una diversità di contenuto tipico. L’interpretazione qui accolta non può essere inficiata dalla preoccupazione che molti procedimenti per reati di inquinamento finirebbero oggi con la sanzione amministrativa, poiché la decisione di interpretazione, con la quale il giudice individua la voluntas legis, non può essere logicamente inficiata dalla (successiva) decisione sulle conseguenze. Il rispetto del principio comunitario dello standing still, richiamato in più parti delle Direttiva comunitaria sulle acque, imponeva, comunque, al legislatore di fare tutto il possibile per impedire l’ulteriore deterioramento dello stato dei corpi ricettori: ed esso costituisce già una ratio sufficiente per la norma dell’art. 59 comma 2. La situazione di fatto è diversa e l’obbligo del titolare dello scarico abusivo di adeguarsi immediatamente alla più severa disciplina complessiva delle L. 152/99, compensa il vantaggio del poter scaricare nel periodo transitorio, senza incorrere in sanzione penale, le sostanze non pericolose. Corte di Cassazione, sez. un., 31 gennaio 2002, n. 3798.
Protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole - Inadempimento dell’Italia - Attuazione inadeguata della direttiva 91/676/CEE. Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 aprile 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, in forza dell'articolo 169 del Trattato CE (divenuto articolo 226 CE), un ricorso mirante a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso: - di predisporre uno o più programmi d'azione con i caratteri e alle condizioni previste all'articolo 5 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1; in prosieguo: la "direttiva"), - di svolgere in maniera completa e corretta i controlli previsti all'articolo 6 della stessa direttiva, e - di elaborare e comunicare una relazione completa ai sensi dell'articolo 10 della stessa direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario. Corte di giustizia delle Comunità Europee, Sent. 8 novembre 2001, Causa C-127/99
Inquinamento idrico - Agricoltura - Attività d'allevamento del bestiame - Connessione funzionale con la coltivazione della terra - Necessità - Mancanza della connessione funzionale - Allevamento a carattere industriale - Sussistenza. In tema d'inquinamento idrico, anche dopo l'entrata in vigore della legge 11 maggio 1999 n. 152 l'attività d'allevamento del bestiame deve svolgersi in connessione funzionale con la coltivazione della terra, la stessa ha carattere industriale tutte le volte in cui si perda tale collegamento con la coltivazione del terreno, per uno o più elementi, costituiti dalle dimensioni dell'impresa, dal numero dei capi, dalla rilevanza delle strutture produttive, organizzative, tecnologiche (Pistonesi, RV 218715). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 6 febbraio 2001, Sentenza n. 9422 (si veda anche: CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 novembre 2006 (Ud. 26/10/2006) Sentenza n. 39361)
Inquinamento idrico - Attività di allevamento del bestiame - Scarico dei liquami zootecnici - C.d. "ciclo chiuso" - Scarichi provenienti da insediamenti industriali - Verifica delle condizioni normative - Natura episodica dello scarico non autorizzato - Irrilevanza. L'attività di allevamento del bestiame, ontologicamente rientrante in quelle produttive, viene assimilata a quella agricola solo in via eccezionale e derogatoria alla generale disciplina, in cospetto di elementi tali da far ritenere che la stessa si svolga in connessione con la coltivazione della terra, alla condizione che quest'ultima sia in concreto, capace di sopportare e smaltire naturalmente, in termini ecologici, e nell'ambito di un c.d. "ciclo chiuso", il peso dell'allevamento stesso. In difetto di tali condizioni l'attività zootecnica va considerata, anche agli effetti degli scarichi, di tipo produttivo, con conseguente applicabilità della normativa regolante gli scarichi provenienti da insediamenti industriali. La verifica delle condizioni, in concreto, spetta all'accertamento insindacabile (ove adeguatamente motivato) del giudice di merito il quale si potrà avvalere, oltre che dei criteri direttivi (correlati al rapporto tra superficie coltivata e consistenza ponderale del bestiame sulla stessa allevata) di cui ali a Delibera Interministeriale dell'8/5/80 (adottata ai sensi dell'art. 17 u.c. L. n. 650/79), anche di ogni altro elemento desunto dall'esame della fattispecie concreta (v. tra le altre,Cass. 3 pen., n. 7584/84, 9266/92, 3814/93, 1871/98). D'altra parte, come pur in cospetto del rapporto tra peso "vivo" del bestiame ed estensione del fondo, lo scarico dei liquami zootecnici, ove non realizzi, in concreto, la fertirrigazione, necessiti comunque di autorizzazione: con la conseguenza che, in difetto di sversamento degli stessi correttamente ed integralmente sul fondo di proprietà, oggetto di coltivazione, lo scarico va qualificato di provenienza industriale e non civile (v., tra le altre, sez. 3 ,n. 5866/84, 11860/87, 1013/91). Alla stregua di tali principi è stato, in particolare, ritenuto costituire un "ruscellamento vietato" lo scarico delle deiezioni, provenienti da un allevamento di maiali, sul fondo, in modo tale che la pendenza dello stesso non ne consentisse il naturale assorbimento da parte del terreno (Cass. 3 , 29-5-92 n. 6546). Infine, la natura episodica dello scarico non autorizzato non vale a sottrarlo alla previsione penale di cui all'art. 21 co 1 l. 319/76, che non distingue al riguardo non esigendo la continuità o reiterazione delle immissioni (v. Cass. 4 pen. n. 48/90, 3 pen. n. 12685/87, 12505/88, 12516/89). Pistonesi. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 6 febbraio 2001, Sentenza n. 9422
Acqua potabile - inquinamento -
contratto di somministrazione di acqua potabile - normativa applicabile -
riduzione del 50% del canone - legittimità - contratto di natura privatistica -
contenuto di sodio superiore alla concentrazione massima ammessa - pericolo per
la salute. l canone per la fornitura dell’acqua potabile Nel caso di specie
tra l’attrice ed il convenuto Comune di Reggio Calabria, intercorre un contratto
di somministrazione di acqua potabile, con prestazione continuativa, art. 1559
C.C., posto in essere con adesione ad un contratto con moduli prestampati
predisposti da una parte contraente (artt. 1341-1342 C.C.), a cui il soggetto è
obbligato a sottostare per potere avere la fornitura del servizio. A detto
contratto si applicano anche gli artt. 1560-1562-1563 C.C.. Intercorre, quindi,
tra le parti, un contratto di natura privata, con prestazioni corrispettive
(art. 1553 C.C.): alla somministrazione dell’acqua potabile da parte del Comune
corrisponde il pagamento del dovuto da parte dell’utente. Il canone per la
fornitura dell’acqua potabile, quindi, rappresenta il corrispettivo di un
servizio commerciale reso dal Comune in regime di privativa ed i canoni e le
tariffe sono determinate nella misura da coprire i relativi costi di gestione
del sevizio. Stabilito che trattasi di un contratto di natura privatistica,
devesi valutare se il Comune di Reggio Calabria ha correttamente eseguito la sua
prestazione, talché possa richiedere la controprestazione all’attrice e cioè il
pagamento del canone per la fornitura dell’acqua potabile. All’art. 2 del T.U.
del Regolamento per la concessione dell’acqua potabile è detto: “L’acqua è
principalmente concessa per uso potabile e di igiene”. (Nella specie: Il
Sindaco, con ordinanza del 31.03.1990 vietò l’uso per scopi potabili
limitatamente ad alcune zone della città. L’immobile ove risiede l’attrice è
esterno all’area di non potabilità dichiarata con l’ordinanza anzidetta per cui
è necessaria la prova attinente alla non potabilità dell’acqua nei periodi di
cui all’atto di citazione. A tal fine, con ordinanza in udienza del 10/11/1997
veniva ammessa C.T.U., richiesta da parte attrice, al fine di verificare la
potabilità o meno dell’acqua in relazione ai parametri C.I.P.E. di cui al D.P.R.
236 del 24/05/1988 relativamente all’acqua fornita dal Comune di Reggio Calabria
nella zona ove esiste il fabbricato di parte attrice. Dalla C.T.U. (pag. 12) è
emerso che “nel campione di acqua prelevato nella cucina dell’abitazione della
Sig.ra T. è stato rilevato un contenuto di sodio di 300 mg, di gran lunga
superiore alla concentrazione massima ammessa (CMA) di 175 mg/L come dai
parametri CEE di cui al D.P.R. n. 236 del 24/05/1988”. Lo stesso C.T.U. dr. B.
afferma infine che “l’elevata introduzione di sodio con l’alimentazione, come
verificasi nel caso di assunzione di acqua per uso alimentare ad alto contenuto
in sodio, interviene nella patogenesi dell’ipertensione. […] l’impiego per uso
alimentare dell’acqua attualmente erogata nell’appartamento abitato dalla Sig.ra
T. può causare nel o negli utilizzatori l’insorgenza di uno stato ipertensivo
oppure aggravarne uno eventualmente preesistente”. Le conclusioni a cui è
pervenuto il C.T.U. sono condivise da questo Decidente, perché lo stesso,
attraverso scrupolosa ed attenta analisi, ha risposto in maniera esauriente ai
quesiti postigli). Il cloruro superiore alla norma è pericoloso per la salute,
essendo responsabile dell’ipertensione arteriosa e può determinare anche
intossicazioni (Sent. n. 218/98 del 10.06.1998 - Giudice di Pace di Reggio
Calabria). Non avendo l’acqua pertanto il requisito della potabilità vi è un
inadempimento contrattuale sanzionato dal D.P.R. n. 236 del 24/05/19888 che da’
attuazione alla Direttiva C.E.E. n. 80/778 concernente la qualità delle acque
destinate al consumo umano, ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 183 del
16.04.1987. In detto decreto sono indicati i requisiti di potabilità dell’acqua.
Da ciò discende l’applicabilità al caso di specie dell’art. 13 del provvedimento
C.I.P. n. 26/75 che prevede la riduzione del 50% del canone. Detto provvedimento
è applicabile in quanto non derogato dal D.L. n. 66/89. Detto corrispettivo va
determinato equitativamente da questo Decidente nella misura pari al 50% del
canone convenuto. (Cfr. Sent. n. 1/1997 G.d.P. di Reggio Calabria). Giudice
di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000 (vedi:
sentenza per esteso)
Mancanza di una causa acquirendi - la restituzione di quanto prestato in
esecuzione del contratto - ripetizione di indebito oggettivo. Qualora venga
acclarata la mancanza di una causa acquirendi, tanto nel caso di nullità,
annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di
qualsiasi altra causa che faccia venire meno il vincolo originariamente
esistente l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto
prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito
oggettivo [...] o di parte di esso. Cass. Civ. Sez. II Sent. del 13.04.1995, n.
4268. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000
(vedi:
sentenza per esteso)
Acqua priva del requisito della potabilità - l’inadempimento della P.A. -
responsabilità contrattuale - diritto al risarcimento del danno - la prova del
danno patrimoniale sofferto - il potere discrezionale del giudice di liquidare
il danno, in via equitativa - risarcimento del danno alla salute come danno
biologico. L’inadempimento è fonte di responsabilità contrattuale alla quale
si accompagna il diritto al risarcimento del danno e dal rispetto di queste
regole non è esentata la P.A. ove non adempia le prestazioni assunte iure
privatorum. L’inesatto adempimento, (acqua priva del requisito della potabilità)
pertanto, comporta la condanna del Comune al risarcimento dei danni causati
all’attrice. Pur tuttavia, trattandosi di danni patrimoniali, questi andavano
provati. L’attrice, pertanto, avrebbe dovuto dare la prova del danno
patrimoniale sofferto, lasciando poi la quantificazione equitativa a questo
Giudice. La prova dell’entità del danno non era certo difficoltosa o
impossibile, per cui l’attrice avrebbe ben potuto assolvere all’onere
probatorio, ex art. 2697 C.C. (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 1489 del 11.02.1987).
Ancora sul punto: “il potere attribuito al giudice dall'art. 1226 cod. civ. non
esonera l'interessato dall'onere di offrire gli elementi probatori in ordine
alla sua esistenza” (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 11163 del 24.12.1994).
“L'esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il
danno, in via equitativa, nonché l'accertamento del relativo presupposto,
costituito dall'impossibilità o dalla rilevante difficoltà di precisare il danno
nel suo esatto ammontare, non sono suscettibili di sindacato in sede di
legittimità quando la relativa decisione sia sorretta da motivazioni immuni da
vizi logici o errori di diritto.” (Cfr. Cass. Civ. Sent n. 7067 del 09.06.1992).
Non avendo l’attrice adempiuto a tale onere, la richiesta di risarcimento dei
danni patrimoniali va rigettata.E’ invece da risarcire il danno alla salute,
determinato dalla eccessiva concentrazione di sodio, che, inteso come danno
biologico, pur non potendo essere quantificato, va però liquidato
equitativamente dal Giudice stante la effettività e riscontrabilità dello stesso
e la impossibilità di provare l’incidenza del pregiudizio economico. Giudice
di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000 (vedi:
sentenza per esteso)
Acqua potabile - inquinamento - assenza del requisito della potabilità -
inadempimento contrattuale - la riduzione del 50% del canone. Il cloruro
superiore alla norma è pericoloso per la salute, essendo responsabile
dell’ipertensione arteriosa e può determinare anche intossicazioni (Sent. n.
218/98 del 10.06.1998 - Giudice di Pace di Reggio Calabria). Non avendo l’acqua
pertanto il requisito della potabilità vi è un inadempimento contrattuale
sanzionato dal D.P.R. n. 236 del 24/05/19888 che da’ attuazione alla Direttiva
C.E.E. n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano,
ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 183 del 16.04.1987. In detto decreto sono
indicati i requisiti di potabilità dell’acqua. Detto provvedimento è applicabile
in quanto non derogato dal D.L. n. 66/89. Da ciò discende l’applicabilità al
caso di specie dell’art. 13 del provvedimento C.I.P. n. 26/75 che prevede la
riduzione del 50% del canone. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria
sentenza del 27.11.2000 (vedi:
sentenza per esteso)
Inquinamento idrico - Reflui di azienda di allevamento zootecnico - Richiesta d'utilizzazione agronomica dell'allevamento - Acque reflue industriali provenienti dall'installazione produttiva dell'allevamento - Autorizzazione allo scarico - Necessità. I reflui di una azienda di allevamento zootecnico sono da classificare come "acque reflue industriali" alla luce della definizione contenuta nell'art. 2 lettera h 1. 152/99 ed ancor più dopo l'emanazione del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 258, che ha precisato sia la possibile provenienza (edifici od installazioni), sia la natura (attività commerciale o di produzione di beni), sia il criterio facile e chiaro di esclusione (acque reflue domestiche, caratterizzate dalla prevalenza del metabolismo umano e non animale ed acque meteoriche di rilevamento). Sicché, alla richiesta d'utilizzazione agronomica dell'allevamento si accompagna l'obbligo, penalmente sanzionato, di munirsi dell'autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali provenienti dall'installazione produttiva dell'allevamento. Vecchiolini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 25 settembre 2000, n. 11538
Inquinamento idrico - Scarichi da allevamenti zootecnici - Connessione funzionale con la coltivazione del fondo - Necessità - Natura di "acque reflue industriali" - D. L.vo n. 258/2000. La natura di "acque reflue industriali" degli scarichi da allevamenti zootecnici va comunque sempre riconosciuta allorché manchi la connessione funzionale tra fondo ed allevamento, come ribadito dall'art. 28 comma 7 1. 152/99 ed ora anche dal Decreto Legislativo n. 258/2000 (art. 1, punto d e art. 99, punto 7, b). Pertanto, deve trattarsi di connessione funzionale con la coltivazione del fondo, non essendo sufficiente avere a disposizione una spazio fisico di terreno, se manca la coltivazione e, soprattutto, la compatibilità ambientale con il suolo e sottosuolo. Vecchiolini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 25 settembre 2000, n. 11538
Lo scarico cd. indiretto mediante autocisterne richiede un'apposita autorizzazione. Lo scarico indiretto (mediante autocisterne) di acque reflue, da qualificarsi ora come rifiuti allo stato liquido, richiede un’apposita autorizzazione, in mancanza della quale si rende configurabile il reato di cui all’art. 51 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, senza che in contrario possa invocarsi, da parte dei soggetti già in possesso delle autorizzazioni allo scarico rilasciate prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, (in base al quale per “scarico” può intendersi soltanto quello direttamente effettuato nei corpi recettori) la moratoria di tre anni prevista dall’art. 62, comma 11, di detto ultimo provvedimento normativo. Cass. pen. sez. III, 4 maggio 2000, n. 1383.
Inquinamento idrico - Reato ex art. 15 D.P.R. n. 203 del 1988 - Natura istantanea. In tema di emissioni inquinanti, il reato previsto dall'art. 15 del DPR n. 203 del 1988 ha natura istantanea ancorché con effetti eventualmente permanenti, nell'ipotesi di utilizzazione dell'impianto modificato, con aumento o variazione qualitativa delle relative emissioni, con verificazione del momento consumativo alla data di realizzazione delle modifiche, non precedute dalla prescritta preventiva autorizzazione. Corte Cass., Sez. III, Sent. n. 1075 del 4.5.2000
Controversie in materia d’interessi pubblici connessi al regime delle acque. Rientra nella competenza dei tribunali regionali delle acque la cognizione di tutte le controversie che incidono, direttamente o indirettamente, sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque, restando affidate alla competenza degli organi ordinari dell'autorita' giudiziaria le controversie tra privati, le quali, ancorche' abbiano per presupposto l'utilizzazione dell'acqua pubblica non incidono sugli interessi della p.a.. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto la competenza del tribunale ordinario in un caso in cui, pacifica la natura pubblica delle acque, la causa riguardava i criteri di ripartizione delle spese di gestione tra i privati utilizzatori). Cassazione civile sez. I, 22 aprile 2000, n. 5277
Depuratori - Inconfigurabilità del gusto tecnico quale evento eccezionale ed imprevedibile - Responsabilità dell’imprenditore. Non configurandosi il guasto tecnico all'impianto di depurazione quale evento eccezionale ed imprevedibile, non è esclusa la responsabilità dell'imprenditore in caso di scarico oltre i limiti tabellari. Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2108
Inquinamento presunto in caso di superamento dei valori tabellari-
risarcibilità del danno in caso di scarico illegittimo in pubbliche fognature.
Il reato di cui all`art. 21, 3 comma, legge 10 maggio 1976, n. 319, ed ora
quello equivalente di cui all`art. 51 del D.L.vo 17 maggio 1999, n. 152,
costituisce reato di pericolo, che prescinde dalla prova concreta di un danno.
L`inquinamento è considerato presunto dal legislatore allorché siano stati
superati determinati valori limite di emissione: al di sotto dei limiti
l`inquinamento è ritenuto accettabile dal sistema legale, mentre quando sia
superata la soglia di accettabilità viene commesso il reato. Lo
scarico nella pubblica fognatura (sistema di condotte per la raccolta ed il
convogliamento delle acque reflue urbane) se illegittimo, è di per sé idoneo a
cagionare danno ad un bene del comune ed a rendere più difficile la depurazione
finale. Tale scarico si ripercuote, infatti, comunque sul territorio interessato
dalla fognatura, e si determina un danno ingiusto di natura civile, come tale
risarcibile.
Competenze per le autorizzazioni agli scarichi - Qualità delle acque. Non spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, definire le migliori tecnologie disponibili da applicare agli impianti esistenti ed approvare i progetti di adeguamento alle migliori tecnologie disponibili da esso individuate, presentati dai titolari delle autorizzazioni agli scarichi esistenti e finalizzati all'eliminazione degli scarichi degli idrocarburi policiclici aromatici, pesticidi organoclorurati, diossina, policlorobifenili e tributilstagno, e va di conseguenza annullato il punto 6 commi 4 e 5 del decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, 23 aprile 1998 (Requisiti di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione per la tutela della laguna di Venezia). Posto che in materia di protezione ambientale e di tutela dagli inquinamenti e' riconosciuta una competenza regionale, costituzionalmente garantita, per il collegamento funzionale che la salvaguardia dell'ambiente ha con le materie che, nella elencazione dell'art. 117 cost., più direttamente riguardano il territorio ed implicano la preservazione della salubrità delle condizioni del suolo, dell'aria e dell'acqua a fronte dell'inquinamento (sent. n. 183 del 1987 e 53 del 1991), e che in attuazione di tali attribuzioni sono state progressivamente trasferite alle regioni funzioni concernenti gli impianti di depurazione delle acque, l'igiene del suolo e l'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico, con particolare riguardo alla disciplina degli scarichi ed agli interventi di depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti, rimanendo invece affidati allo Stato compiti di rilievo nazionale, quali la fissazione dei valori limite di emissione di sostanze e agenti inquinanti e degli obiettivi minimi di qualita' dei corpi idrici recettori, come pure la definizione di criteri e norme tecniche per la disciplina degli scarichi nelle acque del mare, nella speciale disciplina a tutela della citta' di Venezia e del suo territorio dagli inquinamenti delle acque (art. 9 l. n. 171 del 1973; d.P.R. n. 962 del 1973) la ripartizione delle attribuzioni fra lo Stato e la Regione e' configurata ammettendo i poteri dell'uno e dell'altra nello stesso settore materiale, distinguendoli tuttavia secondo il loro diverso grado di concretezza (sent. n. 53 del 1991). La speciale procedura delineata dal decreto interministeriale nella parte denunciata e' destinata non gia' a stabilire limiti di accettabilita' degli scarichi e nemmeno a individuare in via generale tecnologie idonee a limitare o escludere alla fonte sostanze inquinanti, ne' e' diretta a stabilire quali siano le migliori tecnologie di depurazione da adottare, ma e', invece, preordinata all'adozione di provvedimenti autorizzatori puntuali, ai quali la regione Veneto rimane del tutto estranea, in violazione delle attribuzioni regionali. Corte costituzionale 15 febbraio 2000, n. 54
Necessità dell’autorizzazioni allo scarico per i frantoi oleari. L’autorizzazione allo scarico per i frantoi oleari, insediamenti produttivi, è sempre necessaria, dovendosi parificare i reflui ad acque reflue industriali, mentre la utilizzazione agronomica è sottoposta a disciplina e sanzioni distinte. Una cosa è, infatti, lo scarico, altra cosa è la utilizzazione eventualmente successiva a scopo agronomico di tutto o parte del contenuto dello scarico. Cass. pen., sez. III, 17 gennaio 2000, n. 425
Impianti di depurazione - responsabilità penale per “gravi negligenze” del gestore e dei titolari. La "grave negligenza" del gestore di impianti di depurazione, non esclude il dovere oggettivo per i titolari della struttura produttiva di predisporre le misure tecniche preventive in misura adeguata ad evitare il superamento dei limiti legali, in quanto la colpa ricomprende anche la prudenza e la perizia, sempre necessarie nell'esercizio di una attività da cui possano derivare pericoli per valori costituzionali, quali la salute e l'ambiente. La delega eventuale al gestore dell'impianto di depurazione - proprio per l'ipotesi di una responsabilità soggettiva attenuata di quest'ultimo - non potrebbe escludere la penale responsabilità dei titolari della struttura produttiva nei casi di omessa adozione di misure tecnologiche adeguate nel tipo e modo di produzione e nella scelta del depuratore idoneo. Inoltre, la delega, non può essere utilizzata per violare i principi di tutela delle acque, ancor più rigorosi, introdotti dalla nuova legge 152/99. Corte di Cassazione, Sez. III penale - Sentenza 17 gennaio 2000 n. 422
Inquinamento idrico - Azienda d'allevamento - Scarico non autorizzato di liquami effettuato in vasche impermeabilizzate - Costituisce reato - Art. 62, c. 10, 38 e 59 ter d.lgs. n. 152/1999. Lo scarico non autorizzato di liquami provenienti da un'azienda d'allevamento (normalmente qualificabile come insediamento produttivo quando manchi il nesso funzionale con l'attività agricola), ancorché sia effettuato in vasche impermeabilizzate, costituisce reato anche in contrario l'esistenza d'autorizzazione alla pratica della fertirrigazione la quale si riferisce soltanto alla successiva eventuale fase d'utilizzazione dei suddetti liquami. Luna, RV. 215079. CORTE DI CASSAZIONE PENALE n. 12174/1999
Superamento dei limiti tabellari da parte dello scarico proveniente da impianto comunale di depurazione. Dolo e colpa grave. Nel caso di superamento dei limiti tabellari da parte di scarico proveniente da impianto comunale di depurazione, il sindaco, nella qualità di gestore di tale impianto, risponde penalmente, ai sensi dell'art. 59, comma 6, del Dlvo 152/99, solo a titolo di dolo o di colpa grave, con esclusione, quindi, dell'ipotesi della colpa lieve, tale dovendosi ritenere quella consistita nel non avere il sindaco disposto che si procedesse ad una verifica dell'idoneità dell'impianto in questione - realizzato sotto una precedente amministrazione - eventualmente imponendo anche agli utenti il divieto di scarico di determinate sostanze inquinanti non eliminabili). Cass. pen., sez. III, 1 ottobre 1999, n. 11301
Direttiva 76/464/CEE - nozione di scarico - inquinamento
idrico determinato da emissioni di vapori. LA CORTE (Sesta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Nederlandse Raad van State, con
sentenza 17 giugno 1997, dichiara: 1) La nozione di "scarico" di cui
all'articolo 1, n. 2, lett. d), della direttiva del Consiglio 4 maggio 1976,
76/464/CEE, concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose
scaricate nell'ambiente idrico della Comunità, dev'essere interpretata nel
senso che in essa rientra l'emissione di vapori inquinati che si condensano e
cadono su acque di superficie. La distanza che separa queste dal luogo di
emissione dei vapori inquinati rileva soltanto per stabilire se occorra
escludere che l'inquinamento delle acque possa, in base alla comune esperienza,
essere considerato prevedibile, e quindi per impedire che tale inquinamento sia
imputato a chi è causa dei vapori. 2)
La nozione di "scarico" di cui all'articolo 1, n. 2, lett. d), della
direttiva 76/464 dev'essere interpretata nel senso che in essa rientra
l'emissione di vapori inquinati che dapprima si condensano su terreni e tetti e
successivamente raggiungono le acque di superficie attraverso un canale di
deflusso delle acque piovane. E' irrilevante al riguardo che il canale di cui
trattasi appartenga allo stabilimento considerato o a un terzo. Sesta
Sezione Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 29 settembre 1999
Causa C-231/97
Direttiva 76/464/CEE - consente agli Stati membri di subordinare il rilascio di un'autorizzazione di scarico a ulteriori requisiti, non previsti dalla direttiva, al fine di proteggere l'ambiente idrico. LA CORTE (Sesta Sezione) pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Nederlandse Raad van State, con sentenza 17 giugno 1997, dichiara: (…) 4) La direttiva 76/464 consente agli Stati membri di subordinare il rilascio di un'autorizzazione di scarico a ulteriori requisiti, non previsti dalla direttiva, al fine di proteggere l'ambiente idrico della Comunità dall'inquinamento provocato da talune sostanze pericolose. L'obbligo di ricercare o scegliere soluzioni alternative aventi un impatto ambientale meno rilevante costituisce un requisito del genere, anche se esso può avere l'effetto di rendere impossibile o del tutto eccezionale il rilascio dell'autorizzazione. 5) Le condizioni limitative previste per l'impiego del creosoto al punto 32 dell'allegato I della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/769/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/60/CE , non ostano a che un'autorità di uno Stato membro, nel valutare le domande di autorizzazione riguardanti l'immissione nelle acque di superficie, ad opera di utilizzatori di professione, di legno trattato con questa sostanza, adotti criteri di valutazione tali che l'impiego della sostanza stessa sia reso impossibile o del tutto eccezionale. Sesta Sezione Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 29 settembre 1999 Causa C-232/97
Inidoneità
delle acque destinate al consumo umano - reato di pericolo.
In tema di
distribuzione di acqua destinata al consumo umano, è configurabile il reato di
cui all`art. 21, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236 allorché l`acqua, priva dei
requisiti di idoneità, entri nella disponibilità dell`utente, essendo
sufficiente la semplice fornitura, a prescindere dalla concreta utilizzazione
della stessa. Ne consegue che si tratta di contravvenzione avente natura di
reato di pericolo essendo finalizzata a contrastare condotte anche astrattamente
pregiudizievoli per la salute pubblica.
Cass.
pen., sez. III, 25 giugno 1999, n. 8287
Tutela del mare - Guasto tecnico - Responsabilità. In tema di tutela del mare il guasto di una valvola, che abbia dato origine alla dispersione di carburante in mare, non è ex se giuridicamente idoneo ad escludere la colpa del soggetto obbligato alla previa verifica dell`efficienza e regolare funzionamento di tutti i congegni tecnici in dotazione. (Nella specie la Corte ha sostenuto la responsabilità del primo ufficiale di coperta, in assenza del comandante). Cass. pen., sez. III, 16 giugno 1999, n. 7746
Inquinamento acque - Azienda d'allevamento - Scarico non autorizzato di liquami effettuato in vasche impermeabilizzate - Reato di cui all’art. 59 d.l. n. 152/1999 - Configurabilità - Autorizzazione alla pratica della fertirrigazione - Irrilevanza. Lo scarico non autorizzato di liquami provenienti da un'azienda d'allevamento (nella specie suini) (normalmente qualificabile come insediamento produttivo quando manchi il nesso funzionale con l'attività agricola), ancorché sia effettuato in vasche impermeabilizzate, costituisce reato anche in base alla nuova normativa (art. 59 del decreto legislativo n. 152 del 1999), nulla rilevando in contrario l'esistenza d'autorizzazione alla pratica della fertirrigazione la quale si riferisce soltanto alla successiva eventuale fase d'utilizzazione dei suddetti liquami". Lo scarico, infatti, richiede il controllo preventivo dell'autorità comunale competente, quale principio generale ex art. 1 e 9 l. n. 319/76 ed ora artt. 45, 46, 59 D.Lgs n.152/99), perché occorre definire le caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, il corpo ricettore, il punto previsto per il prelievo, i sistemi di depurazione utilizzati, ecc. Tutti gli scarichi devono essere autorizzati in modo espresso e specifico per le ragioni sopra indicate, ulteriormente chiarite dalla nuova legge n. 152/99 (vedi artt. 45, 46 ma anche 49, 50, 51, 52, 53, 54, 59). Luna e altro. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 giugno 1999, Sentenza n. 11542
Inquinamento Idrico - Fertirrigazione - Autorizzazione allo scarico - Utilizzazione agronomica e normativa sui rifiuti - Fondamento. L'autorizzazione allo scarico non va confusa con l'autorizzazione alla pratica della fertirrigazione (Cass. Sez. III, 8.5.1989, n. 8015, imp. <V.> ed altre), che ubbidisce ad una logica diversa. Per essere più chiari, nel caso di scarico in vasche di reflui, è questo scarico che va preventivamente autorizzato, mentre l'eventuale trasporto sarà regolato dalla normativa sui rifiuti. L’utilizzazione agronomica (ex art. 38 L. n.152/99) ha una disciplina separata e distinta dallo scarico: cioè l'obbligo di una "comunicazione" almeno 30 giorni prima dell'inizio dell'attività, comunicazione che va ripetuta per i periodi puntuali di tale pratica. Lo scarico dall'insediamento produttivo rimane concetto distinto, come l'autorizzazione relativa, che attiene all'attività in via continuativa. La mancanza di autorizzazione per lo scarico da insediamento produttivo costituisce reato anche in base alla nuova normativa (art. 59 l. n. 152/99), mentre il regime sanzionatorio che attiene alla utilizzazione agronomica è soltanto amministrativo (sanzioni amministrative contenute nel comma 7 dell'articolo 54 l. n. 152/99, attinenti a tre ipotesi: omessa comunicazione tempestiva; mancata osservanza delle prescrizioni; mancata ottemperanza all'ordine di sospensione disposto dall'autorità comunale). Luna e altro. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 3 giugno 1999, Sentenza n. 11542
Compromissione dei corsi d’acqua e cooperazione colposa. Accertata la materialità della compromissione qualitativa dei corsi d'acqua superficiali, nei quali recapita lo scarico di un impianto di depurazione, conseguente alle reiterate e volontarie omissioni dei gestori, agli stessi deve essere ascritto a titolo di dolo eventuale il delitto di danneggiamento aggravato. Non sussiste incompatibilita' logica tra la contestazione di cooperazione colposa, con riferimento a fattispecie contravvenzionali per le quali sia accertata la sussistenza del dolo - nella specie l'addebito di inquinamento - e la contestuale imputazione di concorso nel delitto di danneggiamento. Corte appello Milano, 3 maggio 1999
Scarico effettuato senza autorizzazione. In materia di tutela
delle acque dall'inquinamento, se è certo che gli scarichi degli insediamenti
produttivi devono essere autorizzati anche se recapitano in pubbliche fognature,
è conseguenziale ritenere che nel caso in cui lo scarico venga effettuato senza
che l'autorizzazione sia stata rilasciata, si configuri il reato di cui all'art.
21 l. 10 maggio 1976 n. 319. In proposito, occorre tenere presente che l'art. 21
cit., nel fare riferimento agli scarichi nelle acque di cui all'art. 1, nel
suolo e nel sottosuolo, in definitiva richiama la disposizione di cui alla lett.
a) dell'art. 1, che riguarda anche gli scarichi di pubbliche fognature, ed
invero non può ritenersi che il mancato espresso riferimento allo scarico in
pubbliche fognature da parte dell'art. 21 corrisponda ad una precisa scelta del
legislatore di sottrarre dal regime penale un tale tipo di scarico, se
effettuato senza autorizzazione. Cassazione
penale sez. III, 3 dicembre 1998, n. 1136.
Tutela delle acque dall'inquinamento - Trattamento e smaltimento di rifiuti. Il criterio distintivo fra scarichi industriali e rifiuti, ai fini dell'applicazione della normativa sanzionatoria in materia di tutela delle acque dall'inquinamento (in particolare, l'art. 21 l. n. 319 del 1976 e art. 18 D.Lg. n. 133 del 1992), ovvero di quella sul trattamento e smaltimento di rifiuti (art. 26 d.P.R. n. 915 del 1982, vigente all'epoca dei fatti), non può fondarsi esclusivamente sulla natura liquida o solida della sostanza da smaltire, ma richiede il ricorso ad altri parametri, quali, ad esempio, quelli collegati alle modalità di neutralizzazione del residuo, per cui vanno generalmente qualificati come scarichi i residui di lavorazione suscettibili di essere assimilati ai corpi idrici, al suolo o al sottosuolo, previa sottoposizione, ove necessario, a processo di depurazione, me rifiuti e residui di lavorazione o di depurazione che richiedano invece una ulteriore attività di smaltimento per trasformarsi e assimilarsi all'ambiente. Detto criterio distintivo non vale, però, nel caso di fanghi e liquami tossici e nocivi per i quali trova sempre applicazione la normativa sui rifiuti. Cassazione penale sez. II, 7 ottobre 1998, n. 13209.
Legittimità costituzionale dell'art. 56 del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, in quanto con due disposizioni di cui alla norma si conferiscono in via diretta alle amministrazioni comunali, anche per la provincia autonoma di Trento, funzioni che invece a norma dello statuto di autonomia competono alla provincia, e che compete semmai alla provincia di assegnare ai comuni, nell'ambito della propria discrezionalità legislativa. In particolare si contesta la legittimità costituzionale del sistema di depurazione che risulterebbe imposto alla provincia dalle regole statuite dal paragrafo 1.1 e dalle tabelle 3, 3A e 5 dell'allegato 5, e dalle connesse disposizioni dell'art. 28, comma 2 e dell'art. 59, comma 6. Infatti, la ventennale "esperienza legislativa ed applicativa, che ha condotto ad un sistema di depurazione efficace ed effettivo, secondo parametri di elevata qualità…porta a considerare il sistema disposto dalle parti contestate della nuova legislazione statale come solo apparentemente frutto di severità, ma in realtà come sistema contradditorio e totalmente irrealizzabile nelle condizioni date, in quanto sostanzialmente incompatibile con i parametri raggiungibili dai presidi depurativi pubblici nell'ambito delle caratteristiche tecniche di questi secondo quanto statuito dalle direttive comunitarie". Prov. Autonoma di Trento, Ric. 7 luglio 1999
Acqua - Deviazione di un corso d’acqua e modificazione dello stato del luoghi - Elemento oggettivo. Rileva penalmente qualsiasi alterazione dello stato dei luoghi, della loro fisionomia ed andamento planimetrico ed altimetrico, in modo da assumere, sia pure in parte, forme o condizioni diverse da quelle originarie. Di Niro, CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. II, 26 aprile 1983
Inquinamento idrico - Superamento dei limiti - Natura tossica persistente e bio - accumulabile - Scarico diretto o indiretto in pubbliche fognature - Disciplina applicabile. In tema di inquinamento delle acque, costituisce reato anche dopo le modifiche apportate alla l. 10 maggio 1976 n. 319, il superamento dei limiti di accettabilità inderogabili per i parametri di natura tossica persistente e bio - accumulabile, di cui al n. 4) dell'allegato alla delibera 30 dicembre 1980 del comitato interministeriale previsto dall'art. 3 l. 10 maggio 1976 n. 319, da parte di impianti produttivi che scarichino direttamente o indirettamente in pubbliche fognature. Tale legge infatti consente alle regioni di fissare limiti di tollerabilità anche più elastici di quelli previsti dalla tabella C) allegata alla legge, tranne che per i parametri relativi alle sostanze sopra indicate, tra cui rientrano i solventi aromatici e in particolare il toluene. Per tali sostanze è perciò sempre e comunque impossibile il superamento dei parametri previsti dalla legge. (Cass. Sez. Un. 1766 del 23.2.1993, ud. 12.2.1993, rv 192492). (Fattispecie in tema di scarichi di un impianto di macellazione). Pres. ACCINNI - Rel. ONORATO. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 15/01/1996 (ud. 8/11/1995), Sentenza n. 345 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - Giurisdizione - Ambito. La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sussiste non solo quando sia impugnato un provvedimento specificamente preordinato alla tutela delle acque, ma anche quando l’oggetto del giudizio sia un atto, che pur costituendo esercizio di un potere diverso, sia suscettibile di incidere sul regime giuridico del demanio idrico (cfr., Consiglio Stato, sez. V, 7 novembre 2002, n. 6140 e cfr., altresì, tra le pronunce più recenti, CdS, Sez. IV, 8.6.2000, n. 3215; Cass. Civ., SS.UU., 14.7.2000, n. 493 e 4.8.2000, n. 541; Cass., Sez. I, 20.7.2001, n. 9921). Pres. Gomez de Ayala, Est. Lotti - M..G. e altri (Avv. Fontanazza, Mingrino, Fontanazza, Ugoccioni, Potè e Rivetti) c. Comune di Borgaro Torinese (Avv.ti Sciolla e Viale) - T.A.R. PIEMONTE, Sez. I - 9 novembre 2005, n. 3496
Acqua - Ricorso - Atti relativi ad opere che influiscono sul regime delle acque pubbliche - Fattispecie - Giurisdizione - Tribunale superiore delle acque pubbliche. Il ricorso finalizzato all’annullamento di atti che, pur non concernendo direttamente la materia delle acque pubbliche, hanno tuttavia per oggetto opere che influiscono sul regime delle acque, spettano alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche (nella specie era stato impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara di appalto concorso dei lavori per la salvaguardia idraulico ambientale del Fiume Vomano).(Tar Campania, Salerno, Sez. I, 3.7.2002, n. 642; TAR Piemonte, sez. I, 2.9.2004, n. 1629; TAR Abruzzo, L’Aquila, 24.5.2004, n. 63; TAR Lombardia, Brescia, 14.4.2003, n. 416; Cass.Civ.SS.UU., 8.7.1996, n. 6233) Pres. Rasola, Est. Balba I.s.r.l. (Avv. Scalera) c. Amministrazione Provinciale di Teramo (Avv. Zecchino) - T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila 22 settembre 2005
Acqua - Servizio idrico integrato - Delimitazione dell’ATO - Giurisdizione - Tribunale delle acque - Provvedimenti gestionali e di evidenza pubblica posti in essere dall’ATO - Giurisdizione - T.A.R.. Gli atti relativi alla delimitazione dell’ATO sono attratti nella cognizione del Tribunale delle acque (Cass. S.U. 11099/2002), in quanto costituisce un criterio di “assegnazione” delle acque demaniali a determinati centri decisionali ed amministrativi che dovranno provvedere alla gestione del servizio ed in tal senso essa è effettivamente un provvedimento che può considerarsi assorbito nella dizione dell’art. 143, comma 1 lett.”a” RD 1775/1933. Ma, una volta posta a monte la “assegnazione” del bene pubblico alla competente Autorità, i provvedimenti gestionali e di evidenza pubblica che questa porrà in essere al fine di individuare il Gestore del servizio e di regolare i rapporti con esso rientrano pienamente nella cognizione che gli artt. 6 e 7 che la legge 205/2000 assegna alla competenza esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di una complessiva “operazione” amministrativa che, essendo volta a precostituire un regolamento contrattuale con il soggetto che “dovrà” porre in essere i provvedimenti che incideranno sul regime delle acque, manca dell’elemento della incidenza “immediata e diretta” sul regime delle acque, ponendosi con quest’ultimo in una relazione solo di secondo grado. Pres. Gatto Costantino, Est. Zingales - D. spa (Avv.ti Frontoni e Abenavoli) c. Consorzio ATO n. 5 di Enna (Avv. Pitruzzella) e altri (n.c.) T.A.R. SICILIA, Catania, Sez.II - 30 maggio 2005, n. 953
Acqua - Utilizzazione di acque
pubbliche - Controversie - Giurisdizione - T.S.A.P.. I ricorsi contro
provvedimenti adottati per consentire l'utilizzazione delle acque pubbliche
mediante attrezzature di proprietà privata rientrano nella giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell' art. 143 lett. e )
T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775. (Cass. Civ. SS.UU. n.254 del 23 aprile 1999; n.13017
del 23/12/1997; TSAP n.32 del 27/3/2001). Pres. La Medica, Est. Sapone - S.
s.r.l. (Avv. Miele) c. Comune di Tarquinia (Avv.ti Farronato, Molino e Notaro) -
T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II - 4 maggio 2005, n. 3367
Acqua - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Giurisdizione - Limiti.
La giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque
pubbliche ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti che incidono
direttamente sul regime delle acque pubbliche o sull'esecuzione delle opere
idrauliche finalizzate alla migliore utilizzazione di tali acque, mentre ricorre
la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai
provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia
(T.A.R. Emilia Romagna Parma - 6/11/2003 n. 581; Consiglio di Stato, sez. V -
5/8/2003 n. 4506). Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi,
Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e
Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R.
LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
Acqua - Utilizzazione di acque pubbliche - Controversie - Giurisdizione - T.S.A.P.. I ricorsi contro provvedimenti adottati per consentire l'utilizzazione delle acque pubbliche mediante attrezzature di proprietà privata rientrano nella giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell' art. 143 lett. e ) T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775. (Cass. Civ. SS.UU. n.254 del 23 aprile 1999; n.13017 del 23/12/1997; TSAP n.32 del 27/3/2001). Pres. La Medica, Est. Sapone - S. s.r.l. (Avv. Miele) c. Comune di Tarquinia (Avv.ti Farronato, Molino e Notaro) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II - 4 maggio 2005, n. 3367
Acque - Controversie per risarcimento danni - Controversie assoggettate - Riparto di competenza - Giurisdizione. Nel caso di giudizio per danni prodotti da opere o atti della P.A., sono devolute alla competenza dei tribunali regionali delle acque pubbliche le domande in cui l'esistenza dei danni sia ricondotta all'esecuzione, manutenzione e funzionamento dell'opera idraulica, mentre sono riservate al giudice ordinario le domande che si ricollegano solo occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque. Pres. Saggio A. - Rel. Piccininni C. - P.M. Sorrentino F. (Conf.) - Polata SrL c. Acquedotto Euganeo Berico ed altro. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 08/03/2005, Ordinanza n. 5045
Acque - Fascia di rispetto da pozzi di captazione delle acque - Diniego all'ampliamento di una cava - Domanda di danni - Competenza del giudice delle acque. In tema di giurisdizione sulle acque, spetta al tribunale regionale delle acque pubbliche la competenza in ordine alla domanda di risarcimento danni asseritamente derivati dal diniego all'ampliamento di una cava determinato dalla necessità di assicurare una fascia di rispetto in relazione a pozzi di captazione delle acque, e quindi in ragione, da una parte, dell'implicita utilità dei pozzi rispetto agli interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche e, dall'altra, della necessità di assicurare modalità di utilizzazione delle acque che non incidano negativamente sulla salute pubblica, evitando eventuali pericoli di inquinamento. (si veda anche: Cass. civ., sez. I, 20.01.1993, n. 656 - Cass. civ., sez. III, 01.12.2000, n. 15366 - Cass. civ., sez. I, 24.09.2002, n. 13869). Pres. Saggio A. - Rel. Piccininni C. - P.M. Sorrentino F. (Conf.) - Polata SrL c. Acquedotto Euganeo Berico ed altro. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 08/03/2005, Ordinanza n. 5045
Acqua - Autorizzazione alla copertura dell’alveo del fiume - Impugnazione - Giurisdizione - Tribunale superiore delle acque pubbliche. L’impugnativa inerente l’autorizzazione ad intervenire nell’alveo di un fiume, tramite una sua copertura, ricade nella giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi degli artt. 140 co. 1° lett. b) e 143 del R.D. 11.12.33 n.1775. Pres. Vivenzio, Est. Prosperi - G.B. (Avv. Mauceri) c. Regione Liguria - Servizio Genio Civile (Avv.ti Pagliai e Benghi) - T.A.R. LIGURIA, Sez. I - 12 gennaio 2005, n. 11
Acqua - Piano dell’assetto idrogeologico - Ricorso - Giurisdizione - TSAP. Il TAR difetta di giurisdizione con riguardo al ricorso diretto contro il progetto di piano dell’assetto idrogeologico: invero, detti piani influiscono in via diretta sul regime delle acque e la giurisdizione spetta quindi al Tribunale superiore delle acque pubbliche ex art. 143, lett. a, r.d. 1775/33. Pres. Trivellato, Est. Stevanato - Z.A. (Avv.ti Borella e Stivanello Gussoni) c. Comune di Jesolo (n.c.) e Autorità di Bacino del Fiume Sile e della Pianura tra Piave e Livenza (Avv.ti Morra e Specchio) - T.A.R. VENETO, Sez. II - 8 ottobre 2004, n. 3622
Demanio idrico - Provvedimento d’approvazione di una derivazione d’acque per uso idropotabile - Impugnazione - Giurisdizione - Costruzione della condotta acquedottistica - decreto comunale di occupazione d’urgenza - impugnato il provvedimento comunale di approvazione del progetto - concessioni edilizie strettamente finalizzate alla suddetta utilizzazione delle acque - carenza di giurisdizione del giudice amministrativo e la sussistenza di quella del tribunale superiore delle acque pubbliche. I giudizi d’impugnazione dei provvedimenti amministrativi che attengono all’utilizzazione del demanio idrico (Corte di Cassazione, sezioni unite, 26 luglio 2002 n. 11099), come appunto il provvedimento d’approvazione di una derivazione d’acque per uso idropotabile della popolazione; nonché sulle occupazioni di fondi che si rendano a tal fine necessarie (idem, 11 luglio 2000 n. 479); e infine sulle concessioni edilizie strettamente finalizzate alla suddetta utilizzazione delle acque (idem, 4 luglio 2000 n. 493 e 4 agosto 2000 n. 541), sono devoluti alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, (articolo 143, alinea “a” del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 sulle acque pubbliche). Pres. Frascione, Est. Carboni - P.P. (avv. De Bellis) e altri c. comune di CESENA e altro (Avv.ti Ghezzi e Chiola), (Dichiaraz. della carenza di giurisdiz. del g.a. e annulla la sent. impugnata - TAR Emilia-Romagna Sez. I, sentenza 21 agosto 2002 n. 1092). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 15 aprile 2004 (Ud. 10 febbraio 2004) Sentenza n. 2146 (vedi: sentenza per esteso)
Acqua - Servizio di scarico e depurazione - Pagamento canone e servizio idrico integrato - Canone - Tributo comunale - Giurisdizione - Commissioni tributarie. Sono devolute alla cognizione delle commissioni tributarie, tutte le controversie aventi per oggetto il canone del servizio di depurazione delle acque reflue, maturato in epoca anteriore all’applicazione del servizio idrico integrato. Pres. Carbone, Rel. Lo Piano. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, 26 febbraio 2004, (ud. 15 gennaio 2004) Sentenza n. 3893
Acque pubbliche - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Competenza - Giurisdizione. Ai sensi dell’art. 143, lett. A), L. 11.12.1933, n. 1775, rientrano nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque “i ricorsi avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche”. In particolare, rientrano nella giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143, lett. a), r.d. n. 1775 del 1933, i ricorsi avverso i provvedimenti ablatori ordinati all’esecuzione di opere di bonifica, prescindendo dall’indagine sull’effettiva incidenza di dette opere sul regime delle acque (Cass., sez. un., 29-01-2002, n. 1148). Ancor più nel dettaglio si è affermato che l’incidenza diretta del provvedimento amministrativo sul regime delle acque pubbliche, che radica la giurisdizione di legittimità del tribunale superiore delle acque pubbliche, è configurabile non solo quando l’atto provenga da organo amministrativo preposto alla cura di pubblici interessi in tale materia e costituisca manifestazione dei poteri attributi a tale organo per vigilare o disporre in ordine agli usi delle acque, ma anche quando l’atto, ancorché proveniente da organi dell’amministrazione non preposti alla cura degli interessi del settore, finisca, tuttavia, con l’incidere immediatamente sull’uso delle acque pubbliche, in quanto interferisca con i provvedimenti relativi a tale uso, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi (Cass. ord., sez. un., 26-07-2002, n. 11126) CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 17 dicembre 2003, sentenza n. 8246
Acqua - Servizio idrico integrato - Giurisdizione di legittimità in unico grado attribuita al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - Servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. La giurisdizione di legittimità in unico grado attribuita al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dall'art. 143, comma 1, lett. a), R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 con riferimento ai "ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche", sussiste solo quando i provvedimenti amministrativi impugnati siano caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche (nel senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o modificare la localizzazione di esse od a influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti), mentre restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche”. Cass. Civ., SS. UU., 13 gennaio 2003 n. 337). Nella specie, la materia del contendere riguarda l'individuazione del socio privato di minoranza di una società mista finalizzata alla gestione del servizio idrico integrato nei Comuni compresi nel territorio dell’Ambito di cui si tratta, cosicché l’idoneità ad incidere sul regime delle acque pubbliche e la gestione delle opere idrauliche interessate, che può riconoscersi agli atti ed ai provvedimenti adottati nel procedimento concorsuale relativo appare evidentemente molto lontana ed indiretta. Per altro verso, quando si consideri che, a norma dell’art. 4, lett. f), della L. 5 gennaio 1994 n. 36, il servizio idrico integrato è definito come “costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue” e, dunque, come un servizio pubblico esso stesso, la giurisdizione nel caso in esame non può che essere riconosciuta al Giudice Amministrativo in virtù dell’espressa attribuzione dell’art. 33 D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito con l’art. 7, comma 1, della L. 21 luglio 2000 n. 205, che a questo complesso giurisdizionale l’affida in via esclusiva. Non sembra, invero, possa revocarsi in dubbio che la controversia come sopra chiarita rientri nella categoria di quelle “in materia di pubblici servizi” e, in particolare, sia da ricomprendere tra quelle “concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi”, di cui alla lett. a) del secondo comma del citato articolo 33. (Pres. Quaranta - Est. Allegretta - Società Severn Trent Water International Ltd ed altri (avv.ti Sanino, Campagnola, Rosi, Inzaghi ed Di Vita) c. Lazio Meridionale Latina - Latina Servizi Idrici Integrati - Provincia di Latina (avv. Paolo Stella Richter) - Provincia di Roma (avv.ti Fancellu e Sieni) - Comune di Sabaudia (avv.ti Pietrosanti e Argano) ed altri). (Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina dispositivo di sentenza n. 18 del 13 luglio 2002 e della relativa sentenza n. 961 in data 29 ottobre 2002) CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7614
Acqua - Acque pubbliche - Provvedimenti caratterizzati da un’incidenza diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche - Giurisdizione - Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Appartiene alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, a norma dell’art.143, lett. a), r.d. n.1775 del 1933, la cognizione diretta sui ricorsi avverso i provvedimenti caratterizzati da un’incidenza diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche e, cioè, sulle impugnazioni avverso tutti quei provvedimenti che, adottati da qualsiasi autorità e anche se volti alla soddisfazione di interessi più generali o comunque diversi rispetto a quelli più specifici relativi alla realizzazione dell’opera idraulica, interferiscono con questi ultimi, impedendo o modificando i lavori diretti a regolare il regime delle acque pubbliche a mezzo di un’opera idraulica progettata o in corso di esecuzione (giurisprudenza pacifica, per tutte, fra le ultime, Cass., S.U., 14 luglio 2000, n.493) - Pres. SCHINAIA, Est. MILLEMAGGI COGLIANI - Centro Turistico del Gran Sasso d’Italia (Avv. Rossi) c. Ente Parco Monti della Laga e del Gran Sasso (n.c.) - (Annulla T.A.R. Abruzzo, 11 maggio 2000, n. 346) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 7 agosto 2003, n. 4566
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - Competenza - Provvedimento incidente immediatamente sull’uso delle acque pubbliche. Un provvedimento amministrativo deve ritenersi direttamente incidente sulla materia delle Acque Pubbliche non solo quando provenga da una autorità preposta alla cura degli interessi pubblici in tale materia e nell’esercizio del relativo potere, ma anche quando, ancorché proveniente da altre autorità e pronunciato nell’esercizio di altri poteri, finisca, tuttavia con l’incidere immediatamente sull’uso delle acque pubbliche, in quanto interferisca con i poteri relativi a tale uso, autorizzando impedendo o modificando i lavori relativi. CONSIGLIO DI STATO, Sezione VI, 19.05.2003, sentenza n. 2699
Impianto idroelettrico su un torrente - parere sfavorevole alla compatibilità ambientale - giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e non del TAR. Le controversie sui provvedimenti inerenti alla realizzazione di opere dirette all’utilizzo e allo sfruttamento delle acque e, in generale, agli interessi attinenti al loro uso, spettano al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e non al TAR. Parimenti è giurisdizione piena del Tribunale anche sugli atti ablatori e di occupazione di urgenza conseguenti alla dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle opere. (In specie, il Tar Veneto ha dichiarato il difetto di giurisdizione, devolvendo gli atti al T.S.A.P., in merito al provvedimento con il quale la giunta provinciale esprimeva parere sfavorevole alla compatibilità ambientale relativa al progetto di un impianto idroelettrico su un torrente; il parere negativo preclude la realizzazione dell’opera ai sensi dell’art. 19 L.R. Veneto 26 marzo 1999 n.10) (Pres. Baccarini - Est. Gabbicci - Comune di San Nicolò di Comelico (Avv.ti Fant e Bianchini) contro Provincia di Belluno (Avv. Gaz). TAR VENETO sez. I 23 aprile 2003, n. 2446
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - Attribuzioni - Giurisdizione del giudice amministrativo. L'art. 144, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 , nell'attribuire alla cognizione del T.S.A.P. i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge contro i provvedimenti definitivi adottati dall'amministrazione in materia di acque pubbliche, si riferisce esclusivamente ai giudizi che concernono l'utilizzazione delle acque stesse, e, in generale, a quelli che, anche se aventi finalità diverse, incidono in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 7 agosto 2001, n. 4278; sez. IV, 1 agosto 2001, n. 4216). Restano, viceversa, attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative agli atti del procedimento formativo della volontà dell'ente pubblico per la scelta dei soggetti esecutori di lavori per la realizzazione di opere concernenti le acque stesse, ivi compreso il provvedimento di esclusione dalla gara, in considerazione del fatto che in tali ipotesi i provvedimenti non incidono, se non in via indiretta, sul regime delle acque pubbliche. Con riferimento all'esatta individuazione della giurisdizione del giudice amministrativo è opportuno precisare che la stessa è quella ordinaria di legittimità per le controversie introdotte anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 6, l. n. 205 del 2000 (cfr. Cass. sez. un., 15 luglio 1999, n. 403; 24 aprile 1992, n. 4965); mentre, successivamente a tale data, dovrà configurarsi un'ipotesi di giurisdizione esclusiva a mente del richiamato art. 6, che concerne le controversie relative a procedure di affidamento di lavori svolte da soggetti comunque tenuti (come nel caso di specie), nella scelta del contraente, all'applicazione della normativa comunitaria, nazionale o regionale di evidenza pubblica. Consiglio di Stato Sez. IV Sentenza dell’11.12.2001 n. 6200.
Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche - Provvedimenti che incidono direttamente sul
regime delle acque - Giurisdizione del giudice amministrativo - Le finalità
di tutela paesistica e ambientale, non sfuggono alla speciale giurisdizione del T.S.A.P.
Ai sensi dell'art. 143 lett. a) R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, spettano al
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie che attengono a
provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche: si
veda, ad es., in generale SS.UU. dec. 15 luglio 1999 n. 403, a tenore della
quale appartengono alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque
pubbliche tutti quei provvedimenti amministrativi che, anche se aventi finalità
diverse, incidono in maniera diretta e immediata sul regime delle acque
pubbliche. Più in particolare, per quanto riguarda le concessioni edilizie, cfr.
T.S.A.P., 29 maggio 1998 n. 52, in cui si afferma che la giurisdizione del detto
tribunale ricomprende tutti gli atti i quali investono direttamente il regime
delle acque pubbliche, nel cui ambito devono essere ricompresi anche gli atti
generali in materia urbanistica nelle parti in cui siano diretti a influire in
via immediata e diretta sul regime delle acque pubbliche, ivi comprese le
concessioni edilizie allorché incidano sul suddetto regime. (Le opere in
questione hanno una diretta incidenza sulla regimazione delle acque del fiume
Trebbia, dato che il progetto prevede il ripristino dello scorrimento
delle acque nel letto del fiume, fino all'impatto con la traversa esistente e
ora da ripristinare e completare, acque che attualmente scorrono in una galleria
artificiale per un tratto di circa trecento metri a suo tempo scavata sul fianco
del letto del fiume). Ciò chiarito, poiché tutti gli atti impugnati nella
presente controversia sono da considerare come direttamente incidenti sul regime
delle acque del fiume Trebbia, appare al Collegio evidente l'insussistenza della
giurisdizione del giudice amministrativo. Non vale opporre che i provvedimenti
impugnati (sospensione dell'autorizzazione alla deviazione delle acque,
annullamento della concessione edilizia, apposizione di un termine alla
autorizzazione suddetta e sospensione della concessione di derivazione
acque) avrebbero a proprio presupposto finalità di tutela
paesistica e ambientale, e come tali sfuggirebbero alla speciale giurisdizione
del T.S.A.P., che riguarda la diversa materia della tutela delle acque
pubbliche: al contrario, ciò che rileva, ai fini della individuazione del
giudice competente, è soltanto l'incidenza oggettiva sul regime delle acque,
per cui sono considerati provvedimenti in materia di acque pubbliche tutti quei
provvedimenti amministrativi i quali, pur costituendo esercizio di un
potere non propriamente attinente alla materia in parola, che incidono cioè su
interessi generali o diversi rispetto a quelli specifici relativi alla
demanialità delle acque, attengano comunque alla utilizzazione del demanio
stesso, interferendo immediatamente e direttamente sulle opere destinate a tale
utilizzazione, e cioè, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (SS.UU.,
18 dicembre 1998 n. 12706). E che tali provvedimenti, aventi finalità diverse
da quelle direttamente attinenti alla regimazione delle acque, ricadano comunque
nella giurisdizione del T.S.A.P., nel caso in cui, naturalmente, incidono in
maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche, risulta
espressamente affermato, dalle SS.UU, 15 luglio 1999 n. 403, anche con espresso
riferimento a provvedimenti emanati a tutela di interessi paesistici e
ambientali, come nella specie. Consiglio di Stato Sez. V Sentenza del
3.12.2001, n. 6012. (vedi:
sentenza per esteso)
Anni: 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 -2000-87
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