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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 6 maggio 2004, Sentenza n. 21587
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez.
III, 6 maggio 2004, Sentenza n. 21587
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la decisione indicata in premessa, il Tribunale di Milano – sezione
distaccata di Rho, in composizione monocratica, condannava Marucci Mino Leo – in
qualità di direttore dello stabilimento della ditta “Reno De Medici s.p.a.” di
Magenta – alla pena complessiva di € 30.000,00 di ammenda in ordine a due reati,
tra i molti contestati:
a) contravvenzione prevista dagli artt. 81 cpv c.p., 59, comma 2, in relazione
all’art. 62,comma 12, D.L.vo n. 152/1999, per effettuazione di scarichi di acque
reflue da insediamento produttivo (cartiera) in corso d’acqua superficiale
(Naviglio Grande), causando un aumento dell’inquinamento delle acque ed in
particolare determinandone una colorazione biancastra dovuta all’abbondante
presenza di materiali grossolani costituiti da pezzi di plastica e di carta;
b) contravvenzione di cui all’art. 51, comma 2, in relazione agli artt. 51,
comma 1 lett. a), e 14, comma 1, D.L.vo n. 22/1997, per abbandono e deposito
incontrollato di rifiuti liquidi sul suolo (percolato di pulper e reflui
provenienti dall’impianto di grigliatura), con conseguente commistione tra
terreno e rifiuti.
Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputato, deducendo, in relazione al
reato di cui al capo a), erronea applicazione degli artt. 59, comma 2, D.L.vo n.
152/1999 e 533 c.p.p, nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione,
avendo il giudice ritenuto provato “l’aumento temporaneo dell’inquinamento” solo
sulla scorta della documentazione fotografica e della deposizione del teste
Genoni, ignorando l’esistenza dell’art. 62, comma 11, del citato decreto, con
cui il legislatore ha previsto una deroga all’immediata applicabilità dei
criteri stabiliti dall’art. 59, comma 2, per le imprese già munite di
autorizzazione agli scarichi al momento dell’entrata in vigore del decreto in
questione. Infatti per dette imprese la normativa non prevede, fino alla data
del 14/6/2002 (un triennio dopo l’entrata in vigore), un regime di limiti, ma
solo il medesimo livello qualitativo degli scarichi in relazione alla precedente
normativa (L. n. 319/1976), livello che non risulta mai superato dalla ditta in
questione. Aggiunge il ricorrente che il Tribunale non ha poi tenuto conto della
circostanza fattuale, appurata in dibattimento, che la situazione anomala,
protrattasi per non più di mezz’ora, fu determinata da un “improvviso
disfunzionamento del depuratore” ricollegabile ad una violenta precipitazione
che mandò in tilt il sistema di controllo, donde comunque la carenza
dell’elemento psicologico in ordine al reato in questione.
In ordine all’altro reato (capo ‘e’ della rubrica), relativo alla normativa sui
rifiuti, deduce il ricorrente errata, contraddittoria ed illogica motivazione
del provvedimento impugnato, per travisamento del fatto ed omessa considerazione
delle risultanze processuali, avendo il Tribunale probabilmente equivocato tra
il capo e) ed il capo g) della rubrica, che aveva ad oggetto la realizzazione di
discarica non autorizzata, ma che preesisteva al suo insediamento. Il giudice,
infatti, non aveva tenuto conto che, dalla documentazione prodotta dalla difesa,
risultava che con cadenza giornaliera, o al massimo ogni 48 ore, il materiale di
scarto veniva trasportato in una discarica esterna, per cui doveva configurarsi
il “deposito temporaneo” e non l’abbandono o il deposito incontrollato e
permanente dei propri rifiuti.
Con l’ultima doglianza, il ricorrente lamenta omessa o manifesta illogicità
della motivazione in merito alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche, negate solo per una precedente condanna, e della
continuazione tra i reati e/o comunque sulla dedotta eccessività della pena.
All’odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa concludono come
riportato in premessa.
Il ricorso non merita accoglimento.
In ordine alla contravvenzione in materia di inquinamento idrico, è stata
affermata la colpevolezza dell’imputato, quale responsabile dello stabilimento
di Magenta, per non avere accolto (come contestato dai verbalizzanti in
occasione dei sopralluoghi del 15, 19, 20 e 23 settembre ’99) le misure
necessarie a prevenire gli sversamenti delle acque reflue industriali della
ditta De Medici nel corpo ricettore prima che fossero sottoposti ai trattamenti
(chimico, fisico e biologico) del sistema di depurazione. In tali occasioni è
stato documentato fotograficamente l’aspetto “non abituale” di detti scarichi,
che presentavano non solo una colorazione (marcatamente bianca) diversa dalla
solita, ma anche una differente consistenza, contenendo “cospicue quantità di
materiali grossolani”.
La motivazione del giudice di merito, però, non si ferma qui, e cioè non tiene
conto solo dell’aspetto degli scarichi in questione, ma si basa altresì sui
risultati degli accertamenti effettuati, nel successivo mese di ottobre,
sull’ecosistema acquatico del Naviglio Grande, dal tecnico dell’A.R.P.A. Pietro
Genoni, secondo cui “mentre a monte dello scarico vi era una situazione di
inquinamento classificata come di III classe, a valle dell’immissione vi era un
deciso peggioramento della qualità delle acque, a quel punto rientranti nella V
classe, che contraddistingue gli ambienti eccezionalmente inquinati o alterati”.
Quindi, anche in mancanza di analisi comprovanti il mancato rispetto dei limiti
di accettabilità prescritti dalla L. n. 319/1976 nei periodi sopra indicati, il
Tribunale ha motivato adeguatamente e correttamente il proprio assunto, e cioè
le ragioni per le quali ha ritenuto che l’imputato non avesse adottato “le
misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento”,
come prescrive – per il periodo transitorio – il comma 12 dell’art. 62 D.L.vo n.
152/1999, espressamente richiamato dall’art. 59, comma 2. peraltro le contrarie
argomentazioni della difesa non sono in grado di inficiare tale costrutto
argomentativi. Infatti la prospettata occasionalità ed imprevedibilità
dell’evento – dovuto all’”improvviso disfunzionamento del depuratore”
ricollegabile ad una violenta precipitazione che mandò in tilt il sistema di
controllo – è smentita dalla circostanza che gli sversamenti “non abituali”
rilevati dai verbalizzanti furono ben quattro e non uno solo; la mancata
rilevazione da parte della locale A.S.L. di stabellamenti in relazione ai
parametri fissati dalla L. n. 319/1976 non è decisiva ai fini del giudizio,
giacché la legge del ’99, oltre a richiedere il rispetto dei valori-limite
stabiliti dalla vecchia normativa, esige l’adozione delle misure sopra indicate,
palesemente smentita – nel caso in esame – dalla oggettiva mutata “qualità”
degli scarichi in questione; infine non è pertinente il richiamo operato dalla
difesa del comma 11 dell’art. 62, in quanto questo costituisce la logica
premessa del comma successivo. I titolari degli scarichi esistenti autorizzati
godono di un lasso di tempo per adeguarsi alla nuova disciplina in
considerazione dell’oggettiva complessità che spesso l’adeguamento degli
impianti comporta, ma nel detto periodo devono adottare le misure prescritte nel
comma 12.
Per quanto concerne la violazione del c.d. decreto Ronchi, la tesi defensionale
sostanzialmente è che, nel caso di specie, non possa parlarsi di abbandono o di
deposito incontrollato di rifiuti, essendo invece configurabile il “deposito
temporaneo”, giacché i materiali di scarto in questione vengono in genere
prelevati quotidianamente, per essere convertiti in discarica, come risulta dai
registri di carico e scarico, ai quali neppure accenna la sentenza impugnata.
Rileva il collegio che tale tesi difensiva, peraltro sostenuta in termini di
estrema genericità, è stata esclusa dal Tribunale per una serie di
considerazioni in fatto che, essendo motivate in materia adeguata e non
manifestamente illogica, non possono essere censurate in sede di legittimità.
Del resto spettava all’imputato la dimostrazione del rispetto di tutte le
condizioni poste dall’art. 6 lett. m) D.L.vo 22/1197 per la configurabilità del
deposito temporaneo, ponendosi questa figura – anche nella elaborazione
giurisprudenziale della Corte Europea di giustizia – come eccezionale e
derogatoria rispetto alla normale disciplina.
L’imputato, secondo il suo stesso assunto – si è invece limitato a riferirsi al
registro di carico e scarico rifiuti, con quale il giudice avrebbe dovuto
evincere che gli stessi venivano tempestivamente avviati alla discarica, ma
questa, anche ammessa la possibilità di tale deduzione, è solo una delle
condizioni richieste dalla legge.
Egualmente infondata è l’altra censura di travisamento del fatto, sia perché la
realizzazione di una discarica abusiva (imputazione sub ‘g’) è cosa ben diversa
dall’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (imputazione sub ‘e’), sia
perché dal primo addebito il prevenuto è stato assolto in quanto ancora non
ricopiava il ruolo societario successivamente attribuitagli.
Consegue il rigetto del ricorso.
Inquinamento idrico - Acqua tutela - Aumento temporaneo dell’inquinamento - Scarico da depuratore - Evento occasionale ed imprevedibile - Disfunzionamento dell'impianto di depurazione. L’improvviso disfunzionamento di un depuratore, – ricollegabile ad una violenta precipitazione che mandò in tilt il sistema di controllo – qualificabile come evento occasionale ed imprevedibile, non giustifica eventuali ripetuti sversamenti “non abituali”, in quanto ciò presuppone la mancata adozione di quelle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 6 maggio 2004, Sentenza n. 21587
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