Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 9 giugno 2004 (Ud. 28/04/2004), Sentenza n. 25752
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 9 giugno
2004 (Ud. 28/04/2004), sentenza n. 25752
Pres. Rizzo AS. - Est.
Franco A. - P.m. Consolo S. (Conf.) - Imp. Anselmi.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO Aldo - Presidente
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Anselmi Aristide, nato a Ticengo il 20 agosto
1946;
Poli Magni Mario, nato a San Daniele Po il 18 agosto 1928;
avverso la sentenza emessa l'8 aprile 2003 dalla corte d'appello di Brescia;
udita nella pubblica udienza del 28 aprile 2004 la relazione fatta dal
Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Consolo Santi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per prescrizione;
udito il difensore avv. Angelo Vezzoni;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Anselmi Aristide, Poli Magni Mario e Mancini Francesco vennero rinviati a giudizio per rispondere dei reati di cui: a) all'art. 21, commi 1^ e 3^, legge 10 maggio 1976, n. 319, per avere, il Mancini quale presidente di una latteria, il Poli quale proprietario del terreno dove veniva eseguita la fertirrigazione ad opera dell'Anselmi, effettuato scarichi di liquami provenienti dalla suddetta latteria nel canale Cingia, eccedenti i limiti delle tabelle A e C, senza autorizzazione; b) all'art. 6, primo comma, r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604.
Il giudice del tribunale di Cremona, con sentenza del 5 luglio 2001, dichiarò
estinto per oblazione il reato di cui al capo B) ed assolse gli imputati dal
reato di cui al capo A) perché il fatto non costituisce reato.
A seguito di impugnazione del pubblico ministero, la corte d'appello di Brescia,
con sentenza dell'8 aprile 2002, dichiarò il Poli e l'Anselmi colpevoli del
reato di cui all'art. 59, terzo comma, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152,
confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Il Poli e l'Anselmi propongono ricorso per Cassazione deducendo:
a) violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. e mancanza di correlazione
tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza. Infatti, il capo di
imputazione aveva contestato il reato di cui all'art. 21, commi 1^ e 3^, legge
10 maggio 1976, n. 319, per avere effettuato carichi di liquami eccedenti i
limiti della tabella A e C senza autorizzazione. Senonché la stessa sentenza
impugnata da atto che vi era la prova che sussisteva l'autorizzazione allo
scarico. La corte d'appello non solo ha ritenuto gli imputati responsabili per
un fatto diverso (difetto di autorizzazione) da quello contestato, ma anche
sulla base di una norma diversa da quella del capo di imputazione.
b) violazione dell'art. 597 cod. proc. pen. in quanto il giudice di appello ha
giudicato su punti diversi dai quelli ai quali si riferivano i motivi di
appello. Infatti la sentenza di primo grado aveva fondato l'assoluzione su due
ragioni distinte ed indipendenti, ciascuna dotata di autonoma efficacia
assolutoria. L'appello del pubblico ministero aveva investito solo una di queste
due ragioni assolutorie, quella attinente alla questione di fatto. Non aveva
investito invece la ragione di diritto, consistente nel fatto che, alla luce
della sopravvenuta normativa di cui al d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, non
avevano più rilevanza penale gli scarichi indiretti, ossia quelli non effettuati
tramite condotta, per i quali doveva semmai parlarsi di smaltimento di rifiuti
liquidi. Su tale punto della decisione di primo grado, avente autonoma efficacia
assolutoria, si era formato il giudicato con la conseguenza dell'immutabilità
della sentenza di assoluzione.
c) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla presunta
colpa per non avere adempiuto all'obbligo di verificare l'idoneità della
paratoia che costituiva il mezzo di contenimento del liquame proveniente dal
campo. Senonché tale addebito di colpa non tiene conto che la fuoriuscita del
liquame dalla canalina non era avvenuto per un'inidoneità della paratoia bensì
per un fatto doloso di terzi, che avevano manomesso la paratoia stessa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è fondato perché effettivamente gli imputati, ai quali fu contestato il fatto di avere effettuato, senza autorizzazione, scarichi di liquami provenienti dalla latteria eccedenti i limiti delle tabelle A) e C) della legge 10 maggio 1976, n. 319, e quindi il reato di cui all'art. 21, primo e terzo comma, della medesima legge, sono stati poi condannati per il reato di cui all'art. 59, terzo comma, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, il quale contempla invece il comportamento - che, in ipotesi astratta potrebbe essere del tutto diversa, quanto alle sostanze pericolose ed ai limiti di tolleranza - di chi, tramite una condotta, effettua scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5, del medesimo d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152. La corte d'appello, infatti, non ha nemmeno affrontato il problema - e quindi manca ogni motivazione sul punto - se la concreta condotta contestata agli imputati rientrasse o meno anche nell'ipotesi di reato prevista dall'applicato art. 59, terzo comma, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152. Anzi, la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. è in realtà ancora più grave perché, a ben vedere, come si dirà in seguito, la corte d'appello, pur parlando del reato di cui all'art. 59, terzo comma, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, ha in realtà ritenuto responsabili e condannato gli imputati per il diverso e più grave reato di cui al successivo comma 5^ del medesimo art. 59 (dal momento che il reato di cui al comma terzo costituisce una aggravante di quello di cui al comma primo, e presuppone pur sempre che lo scarico sia avvenuto senza autorizzazione, mentre nel caso di specie i giudici del merito hanno accertato che gli imputati erano muniti di autorizzazione e li hanno quindi ritenuti colpevoli per avere superato, pur avendo la autorizzazione, i valori limiti tabellari, ipotesi questa ora contemplata dal comma 5^ del citato art. 59).
Peraltro, non potrebbe comunque pronunciarsi sentenza di annullamento perché,
essendo stato il reato commesso il 16 ottobre 1998 e non essendovi stata alcuna
sospensione del decorso della prescrizione, questa si è maturata il 16 aprile
2003.
Tuttavia, nella specie, ai sensi dell'art. 129, secondo comma, cod. proc. pen.,
non può farsi luogo nemmeno alla declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione perché dagli atti risulta evidente che il fatto così come ritenuto
in sentenza non è previsto dalla legge come reato.
Ed invero, il reato per il quale è intervenuta condanna, prevede innanzitutto
che lo scarico avvenga senza autorizzazione. Ma sia la sentenza di primo grado
sia quella di appello hanno invece espressamente riconosciuto che vi era non
solo l'apposita autorizzazione alla fertirrigazione ma anche che era stata
rilasciata dalla provincia di Cremona la specifica autorizzazione allo scarico
in acque superficiali, autorizzazione ancora valida all'epoca dei fatti.
Inoltre, dalla sentenza della corte d'appello - di cui, per la verità, è arduo
individuare il percorso argomentativo - non emerge in alcun modo che gli
imputati siano stati ritenuti responsabili di avere effettuato uno scarico senza
autorizzazione. Infatti, nel corso dell'intera motivazione non si parla mai di
mancanza di autorizzazione ma esclusivamente e soltanto - e peraltro in modo del
tutto generico - della punibilità degli scarichi che superino i limiti di
tollerabilità e di inquinamento oltre i limiti legali. Deve quindi presumersi
che la corte d'appello abbia ritenuto sussistente il reato perché gli scarichi
di acque reflue industriali in questione avrebbero contenuto le sostanze
pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle
tabelle 5 e 3 A dell'allegato 5 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, essendo
questa la fattispecie che integra il ritenuto reato di cui all'art. 59, terzo
comma, del medesimo decreto legislativo, reato il quale però, riferendosi alle
ipotesi di cui al primo comma, presuppone pur sempre l'assenza di
autorizzazione, circostanza questa che invece, come si è accennato, non solo non
risulta in alcun modo affermata dalla sentenza impugnata ma sembra anzi essere
stata espressamente esclusa. Deve quindi ritenersi, come già si è accennato, che
la corte d'appello - diversamente qualificando il fatto contestato e pur
pronunciando condanna per il reato di cui all'art. 59, comma 3^, d.lgs. 11
maggio 1999, n. 152 - abbia in realtà ritenuto gli imputati responsabili del
diverso reato di cui all'art. 59, comma 5^, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, il
quale appunto punisce la condotta di chi, pur essendo munito della prescritta
autorizzazione, nell'effettuare uno scarico di acque reflue industriali supera i
valori limite fissati nella tabella 3 in relazione alle sostanze indicate nella
tabella 5 dell'allegato 5.
Senonché, il superamento dei limiti di accettabilità è dal d.lgs. n. 152 del
1999 (come integrato dal d.lgs. n. 258 del 2000) assoggettato in via generale
(art. 54) a sanzione amministrativa, salvo il permanere di rilevanza penale per
le acque reflue industriali allorché (art. 59, comma 5^) il superamento concerne
"i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella
tabella 4 dell'allegato 5, .... in relazione alle sostanze indicate nella
tabella 5 dell'allegato 5"; inoltre, la norma prevede che: "Se sono superati
anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A
dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da lire
dieci milioni a lire duecento milioni".
L'allegato 5 al detto decreto legislativo riguarda i "i limiti di emissione
degli scarichi idrici" e distingue i limiti posti agli scarichi in corpi d'acqua
superficiali da quelli al suolo, e contiene alcune tabelle. In particolare: la
tabella 3, fissa i "valori limite in acque superficiali e in fognatura"; la
tabella 3/A, fissa i "limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a
specifici cicli produttivi", ivi compresi i cicli produttivi concernenti
"sostanze pericolose", per i quali operano specifici limiti di concentrazione;
la tabella 4, fissa i "limiti di emissione per le acque reflue urbane ed
industriali che recapitano sul suolo"; la tabella 5, individua le "sostanze per
le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati
in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in rete
fognaria, o in tabella 4, per lo scarico la suolo". Si tratta, complessivamente,
di 18 sostanze, fra cui oli minerali, metalli pesanti, solventi, pesticidi; la
tabella 6, per alcune tipologie di stabilimenti zootecnici individua le
condizioni per l'assimilazione alle acque reflue domestiche.
Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, l'art. 59, comma 5^,
del d. lgs. n. 152 del 1999, come integrato dal d. lgs. n. 258 del 2000,
sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3
dell'Allegato 5, ma solo "in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5",
ovvero - più gravemente - il superamento dei valori limite stabiliti dalla
tabella 3 A del predetto Allegato. Qualora invece il superamento dei valori
limite riguardi sostanze diverse da quelle indicate nella suddetta tabella 5
dell'allegato 5, esso costituisce soltanto violazione amministrativa sanzionata
ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152. In altre parole, perché
sia configurabile il reato di cui all'art. 59, quinto comma, d. lgs. 11 maggio
1999, n. 152, nello scarico di acque reflue industriali occorre la simultanea
ricorrenza di due condizioni, e cioè che siano superati i valori limite fissati
nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato
5, e che si tratti di sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero
che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella
tabella 3A dell'allegato 5 (cfr. Sez. Un., 31 gennaio 2002, Turina, m. 220.556;
nonché Sez. 3, n. 3985, del 13/1/2000 (ud. 30/11/1999), Corona; Sez. Feriale, n.
33761 del 17/9/2001 (ud. 22/8/2001), Pirotta, Rv. 219894; Sez. 3^, n. 13694, del
01/12/1999 (ud. 13/10/1999), RV. 214990, Tanghetti; Sez. 3^, n. 14401, del
22/12/1999(ud.l9/10/1999), RV. 216516, Pigni; Sez. 3^, n. 11104 del 30/10/2000 (ud.
21/09/2000), RV. 217758, Nella; Sez. 3^, 9 gennaio 2002, Marcelli, m. 220.998).
Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata (così come da quella di primo
grado) non è assolutamente possibile dedurre quali fossero le sostanze contenute
nelle acque reflue in questione e tanto meno se si trattasse di sostanze
contenute nella tabella 5 dell'allegato 5 e se fossero superati i valori limiti
fissati nella tabella 3. Anzi, nemmeno è possibile dedurre se si trattasse delle
sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate
nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5, come richiesto dall'art. 59, terzo comma,
d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (reato questo, peraltro, coma già visto non
configurabile perché era stato accertato che gli imputati erano muniti di
autorizzazione).
Su questa circostanza costitutiva del ritenuto reato, infatti, la corte
d'appello ha omesso il benché minimo accertamento e quindi sul punto manca
qualsiasi motivazione. L'unico punto nel quale si fa un mero accenno alla natura
delle sostanze contenute negli scarichi si rinviene nella sentenza di primo
grado laddove si parla - sia pure in via generale ed in relazione alla legge 10
maggio 1976, n. 319 - di sostanze organiche in putrefazione, le quali comunque
non rientrano tra quelle indicate nelle suddette tabelle 5 e 3A dell'allegato 5.
In conclusione, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge che
manca del tutto la prova della sussistenza dei requisiti che consentono di
ritenere integrato il reato per il quale la corte d'appello ha invece condannato
i ricorrenti, reato che, per le ragioni indicate, deve essere riqualificato come
quello previsto dall'art. 59, comma 5^, del d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152. La
sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, ai sensi
dell'art. 129 cod. proc. pen., perché il fatto così come ritenuto in sentenza
non è previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione,
annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all'art.
59, comma quinto, del d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, così riqualificato il
reato ritenuto nella sentenza, perché il fatto non è previsto dalla legge come
reato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile
2004.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2004
Acque - Tutela dall'inquinamento - Superamento dei limiti tabellari - Sostanze non ricomprese nella tabella 5 dell'Allegato 5 - Reato di cui all'art. 59 del d.Lgs. n. 152 del 1999 - Esclusione. L'art. 59, comma 5^, del d. lgs. n. 152 del 1999, come integrato dal d. lgs. n. 258 del 2000, sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3 dell'Allegato 5, ma solo "in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5", ovvero - più gravemente - il superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3 A del predetto Allegato. Qualora invece il superamento dei valori limite riguardi sostanze diverse da quelle indicate nella suddetta tabella 5 dell'allegato 5, esso costituisce soltanto violazione amministrativa sanzionata ai sensi dell'art. 54 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152. In altre parole, perché sia configurabile il reato di cui all'art. 59, quinto comma, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, nello scarico di acque reflue industriali occorre la simultanea ricorrenza di due condizioni, e cioè che siano superati i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5, e che si tratti di sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5 (cfr. Sez. Un., 31 gennaio 2002, Turina, m. 220.556; nonché Sez. 3, n. 3985, del 13/1/2000 (ud. 30/11/1999), Corona; Sez. Feriale, n. 33761 del 17/9/2001 (ud. 22/8/2001), Pirotta, Rv. 219894; Sez. 3^, n. 13694, del 01/12/1999 (ud. 13/10/1999), RV. 214990, Tanghetti; Sez. 3^, n. 14401, del 22/12/1999(ud.l9/10/1999), RV. 216516, Pigni; Sez. 3^, n. 11104 del 30/10/2000 (ud. 21/09/2000), RV. 217758, Nella; Sez. 3^, 9 gennaio 2002, Marcelli, m. 220.998). Pres. Rizzo AS. - Est. Franco A. - P.M. Consolo S. (Conf.) - Imp. Anselmi. (Annulla senza rinvio, App.Brescia, 8 aprile 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 9 giugno 2004 (Ud. 28/04/2004), Sentenza n. 25752
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