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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562

 

Giurisprudenza

  

 

Diritto degli Appalti

2002 -2001 -2000-97

Anni: 2011 - 2010 - 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 -2001 -2000-97

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Bando di gara - "doppia" pubblicità delle notizie essenziali - l’omogeneità delle prescrizioni essenziali di gara rispetto a quelle contenute nel bando pubblicato in G.U. e in G.U.C.E. - la par condicio tra le imprese. In ogni caso, la prescrizione (art. 8, comma 6, D. L.vo n. 157/95, e art. 5, comma 7, D. L.vo n. 358/92) secondo cui la pubblicazione non deve contenere informazioni "diverse" da quelle pubblicate nella Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee è intesa ad assicurare una sostanziale omogeneità delle notizie concernenti la gara, indipendentemente dal mezzo di conoscenza utilizzato, sì da assicurare la par condicio tra le imprese aspiranti alla partecipazione, sia estere che nazionali. La finalità della norma è assicurata quindi dalla "doppia" pubblicità delle notizie essenziali - di portata non divergente - relative alla gara, e non dalla conformità formale dei testi pubblicati. E la lettura del testo pubblicato in G.U.C.E. evidenzia la presenza di tali notizie e la sostanziale omogeneità rispetto a quelle contenute nel bando pubblicato in G.U., sì da garantire quella parità di condizione tra imprese estere e nazionali cui tende la normativa in materia. D'altro canto, la pur diffusa indicazione delle prescrizioni essenziali di gara in G.U.C.E. è pur sempre suscettibile di integrazione mediante la tempestiva acquisizione della disciplina completa di gara (adempimento, questo, di agevole e rapida esecuzione, e tale da non comportare discriminazioni tra le imprese interessate, attesa la celerità degli attuali sistemi di comunicazione): e ciò è in linea con quelle esigenze di diffusione della notizia di gara alla base della normativa precitata. Consiglio di Stato Sezione IV del 23/12/2002 sentenze nn. 7276 - 7277 (vedi: sentenza per esteso)

 

Le regole procedimentali fissate in un bando di gara - soggetti vincolati - principio di tutela della par condicio. Le regole procedimentali fissate in un bando di gara vincolano non solo i concorrenti, ma anche la stessa amministrazione che deve limitarsi alla loro semplice applicazione, senza che residui a suo favore alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione (segnatamente quando il significato della clausola è chiaro ed insuscettibile di diverse opzioni ermeneutiche) e nella loro attuazione, pena la violazione del principio di tutela della par condicio e dell’impossibilità dell’Amministrazione stessa di disapplicare il bando. (C.d.S., sez. V, 15 aprile 1999, n. 141; 30 maggio 2002, n. 2717). Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7258

 

L’esercizio del potere di autotutela - distinzione dell’atto confermativo a quello meramente confermativo. A seguito dell’esercizio del potere di autotutela, ancorchè sollecitato dalle opposizioni, l’Amministrazione può emanare un nuovo provvedimento amministrativo di conferma del precedente e come tale nuovamente lesivo (con conseguente onere da parte dell’interessato di una nuova impugnazione, pena l’improcedibilità dell’originario ricorso): occorre al riguardo distinguere dall’atto confermativo quello meramente confermativo, in quanto il primo consegue ad una rivalutazione attraverso una nuova istruttoria di ciò che ha determinato la precedente manifestazione di volontà, laddove con il secondo l’Amministrazione si limita a constatare che le ragioni poste a base dell’adozione del precedente atto sono già state esaminate e ponderate in quel procedimento. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20/12/2002 sentenza n. 7258

 

Forme di pubblicità obbligatoria degli avvisi e dei bandi di gara - pubblicità facoltative - individuazione del miglior contraente - principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. L’articolo 80 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 prevede, oltre a forme di pubblicità obbligatoria degli avvisi e dei bandi di gara, anche pubblicità facoltative (cui l’Amministrazione può procedere in ragione dell’importanza e/o della rilevanza economica della gara), finalizzate alla più ampia partecipazione dei soggetti interessati, quale strumento per l’effettiva individuazione del miglior contraente possibile, in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa sanciti dall’articolo 97 della Costituzione. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7255

Pubblicità facoltativa e pubblicità obbligatoria - decorrenza del termine d’impugnazione del bando. Una volta che una pubblica amministrazione abbia ritenuto di pubblicizzare una gara utilizzando le ulteriori forme di pubblicità (facoltativa) consentite, il termine per l’eventuale impugnazione del bando decorrere dalla data di compimento delle forme di pubblicità effettivamente disposte e non già da quella di compimento delle sole forme di pubblicità obbligatoria. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7255

I requisiti necessari per partecipare alle gare per l’affidamento in concessione di lavori pubblici - requisiti economici - requisiti tecnici - effettiva capacità operativa dell’impresa. Ai sensi dell’articolo 98 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 i requisiti economico – finanziari sono indicatori della vitalità attuale e della effettiva capacità operativa dell’impresa (lett. a), nonché della sua affidabilità sotto il profilo finanziario (lett. b), mentre quelli tecnico – organizzativi sono indici rilevatori della astratta idoneità dell’impresa a realizzare l’intervento oggetto dell’affidamento in concessione: essi ben si giustificano proprio con la caratteristica specifica dell’istituto della concessione dei lavori pubblici che – com’è noto - differisce dall’appalto pubblico di lavori per il fatto che la controprestazione dei lavori consiste nel diritto di gestire l’opera ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo. La possibilità che la mancanza, in capo ai concorrenti, dei requisiti tecnico – organizzativi sia surrogata da più elevati limiti dei requisiti economico - finanziari non è sintomo di una preferenza legislativamente accordata a questi rispetto agli altri, ma rispondendo, per un verso, all’interesse pubblico alla maggiore partecipazione possibile alle gare, in ossequio ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa fissati dall’articolo 97 della Costituzione, e, per altro verso, alla effettiva tutela del diritto d’impresa, riconosciuto dall’articolo 41 della Costituzione, incompatibile con la limitazione della partecipazione ad un simile tipo di gara ai soli soggetti che abbiano già svolto (nel quinquennio precedente al bando di gara) interventi simili a quelli oggetto di gara. L’articolo 98 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 non stabilisce in modo rigido ed uniforme i requisiti necessari per partecipare alle gare per l’affidamento in concessione di lavori pubblici, ma limitandosi a fissare dei limiti minimi rimette alla discrezionalità dell’Amministrazione la concreta determinazione dei limiti stessi, idonei ed adeguati, rispetto al concreto intervento da realizzare. L’esercizio di tale potere da parte dell’Amministrazione deve essere accompagnato da un’adeguata motivazione, che ne costituisce il necessario strumento di verifica per evitare che esso sconfini nell’arbitrio. La motivazione per quanto riguarda gli avvisi ed i bandi di gara può essere contenuta nella determinazione o nella delibera a contrarre ovvero in qualsiasi altro provvedimento in cui l’Amministrazione si determina ad indire la gara, ove è possibile (e necessario ai fini della legittimità della procedura concorsuale) indicare le ragioni che giustificano la fissazione dei limiti dei requisiti (economico – finanziari e tecnico organizzativi) in misura superiore a quelli fissati nella norma regolamentare. Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7255

L’indicazione dei limiti minimi dei requisiti economico - finanziari e tecnico - organizzativi - partecipare alle gare per l’affidamento di concessioni di lavori - obbligo di motivazione. L’indicazione dei limiti minimi dei requisiti economico - finanziari e tecnico - organizzativi [lett. a), b), c) e d)] che devono possedere i soggetti che intendono partecipare alle gare per l’affidamento di concessioni di lavori, contenuta nell’articolo 98 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, rappresenta il giusto contemperamento della rilevanza dei predetti singoli requisiti, capace di assicurare, secondo la ragionevole previsione del legislatore, l’effettiva affidabilità dei concorrenti nella realizzazione dell’intervento oggetto della gara e di conseguenza l’interesse pubblico concreto sotteso a quest’ultima: l’Amministrazione che indice una gara non può, immotivatamente, dare prevalenza assoluta o un rilievo preponderante ad uno soltanto dei predetti requisiti rispetto agli altri, perché si realizzerebbe per tale verso un’alterazione abnorme del rapporto ritenuto ottimale, utile e ragionevole dal legislatore. (Nella specie è stata ritenuta illegittima la clausola di cui al punto 15, lett. b, del bando di gara emanato dal Comune di Taranto per l’affidamento in regime di concessione, della progettazione esecutiva, della costruzione e della gestione di n. tre parcheggi, che prevede, quale condizione di carattere economico – finanziario per la partecipazione alla gara, il possesso da parte di un capitale sociale non inferiore al 15% dell’investimento previsto (da raddoppiare per i concorrenti sforniti del dei requisiti tecnico – finanziari), triplicando senza alcuna motivazione il limite (5%) stabilito dalla corrispondente norma dell’articolo 98 del D.P.R. 21 dicembre 1998 n. 554 ed assegnando così, irragionevolmente, un valore preponderante al capitale sociale che, quale entità numerica fissa, non costituisce un indicatore della vitalità dell’impresa, né fornisce elementi sicuri della sua affidabilità finanziaria). Consiglio di Stato, IV Sezione del 20 dicembre 2002 sentenza n. 7255

 

Esclusione dalla licitazione privata - violazione delle modalità delle offerte economiche - segretezza dell’offerte economiche - la lettera di invito. Le offerte economiche devono restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici delle offerte - la lettera di invito Le offerte economiche devono restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici delle offerte: ciò comporta che la concorrente deve presentare la sua offerta economica in una specifica busta (in modo tale che il suo contenuto non sia letto prima della valutazione della documentazione), e che la commissione non può aprire la busta contenente l’offerta economica, prima della valutazione della documentazione (cfr. Sez. V, 31 dicembre 1998, n. 1996; Sez. VI, 3 giugno 1997, n. 839). Nella specie, contrariamente a quanto ha osservato la sentenza impugnata, la lettera di invito (uniformandosi a tale principio generale) ha specificamente prescritto che l’offerta economica doveva essere inserita in una specifica busta, tale da consentirne la segretezza nella fase della documentazione della documentazione. Pertanto, la commissione di gara ha correttamente interpretato la lettera di invito nel senso che andasse esclusa la concorrente che ha reso conoscibile l’offerta economica, mediante il suo inserimento nella medesima busta contenente i documenti da esaminare in una fase preliminare. Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6795

 

Esclusione dalla licitazione privata per violazione delle modalità delle offerte economiche - segretezza dell’offerte economiche. Le offerte economiche devono restare segrete nella fase in cui la commissione compie le sue valutazioni sui loro aspetti tecnici, è indispensabile che le relative buste restino chiuse e non può ammettersi che sorgano contestazioni sulla concreta possibilità di prendere visione dei loro contenuti (cfr. Sez. VI, 17 luglio 2001, n. 3962; Sez. V, 31 dicembre 1998, n. 1996). Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6795

 

L’accertamento della regolarità della documentazione trasmessa da una S.p.A. e, quindi, la verifica della sussistenza del presupposto legittimante il contestato incameramento della cauzione - le due fasi nei rapporti tra i concorrenti e l’Amministrazione - atto notorio - attestazione del possesso dei requisiti - l’inutilizzabilità della dichiarazione sostitutiva - l’attività di verifica - l’omessa allegazione delle certificazioni richieste - certificato di regolarità contributiva - copie autenticate dei bilanci depositati. I termini della questione possono essere così riassunti: mentre la società ricorrente sostiene che la valenza generale dell’art. 2 D.P.R. 20 ottobre 1998, n.403 (regolamento di attuazione degli artt. 1, 2 e 3 della legge 15 maggio 1997. m.127) autorizza, comunque, in mancanza di un’esplicita deroga normativa, il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per l’attestazione di stati, fatti e qualità personali nei rapporti con la pubblica amministrazione, la Regione, di contro, nega l’applicabilità dell’istituto ex adverso richiamato alla peculiare fase procedimentale prevista dall’art.10 comma 1 quater L. n.109/94, sostenendo che resterebbero, altrimenti, frustrate le esigenze sottese al controllo a campione nelle procedure per l’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici. Il Collegio, condivide, l’orientamento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 2 luglio 2001, n.3602) che assegna al regolamento attuativo della L. n.127/97, e segnatamente all’art.2, valenza generale in tema di semplificazione della documentazione amministrativa, ammettendo l’esercizio delle facoltà ivi attribuite al privato anche nelle procedure selettive per l’aggiudicazione di appalti pubblici, ma reputa che lo strumento della dichiarazione di atto di notorietà di cui all’art.4 della legge 4 gennaio 1968, n.15 non possa validamente utilizzarsi nella peculiare fase procedimentale del controllo a sorteggio dei requisiti di partecipazione ai sensi dell’art.10 comma 1 quater L. n.109/94. Devono, in proposito, distinguersi due fasi nei rapporti tra i concorrenti e l’Amministrazione: quella iniziale, nella quale può farsi legittimamente uso della dichiarazione sostitutiva di atto notorio contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara e quella, successiva, nella quale l’attestazione del possesso dei requisiti di partecipazione va compiuta per mezzo della documentazione pubblica certificativa della qualità o dello stato richiesti e non anche con le forme stabilite dall’art. 2 D.P.R. n.403/98. In favore della tesi, preferita dal Collegio, dell’inutilizzabilità della dichiarazione sostitutiva milita, innanzitutto, un argomento di ordine letterale. L’art.10 comma 1 quater L. n.109/94, infatti, là dove impone ai soggetti di cui all’art.2 di richiedere ad un numero di offerenti non inferiore al dieci per cento di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, prescrive, chiaramente, ai partecipanti sorteggiati di dimostrare le qualità richieste mediante la produzione delle relative certificazioni amministrative. L’uso del verbo comprovare, invero, in quanto significativo della necessità dell’acquisizione di una documentazione più rigorosa di quella già fornita con la domanda di partecipazione, indica palesemente l’interesse pubblico, sotteso alla disposizione, a conseguire, nella fase della gara considerata, la definitiva dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione. Premesso che le imprese partecipanti a gare di appalto dichiarano il possesso dei requisiti di partecipazione contestualmente alla presentazione della domanda, la tesi dell’ammissibilità della presentazione di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà in occasione della verifica a campione, ove accolta, condurrebbe all’inaccettabile conseguenza di vanificare completamente il subprocedimento previsto dalla disposizione in esame, che si risolverebbe nell’acquisizione delle medesime attestazioni già fornite dalle imprese sorteggiate e non potrebbe mai condurre, se non in esito ad un’ulteriore verifica (come si vedrà del tutto inattuabile), agli effetti sanzionatori ivi contemplati. L’attività di verifica prevista dall’art.2 III comma D.P.R. n.403/98 appare, infatti, radicalmente incompatibile con la fase procedimentale di cui al’art.10 comma 1 quater L. n.109/94. Premesso, infatti, che il successivo controllo della veridicità delle dichiarazioni sostitutive comporta la richiesta da parte dell’amministrazione procedente al soggetto competente della necessaria documentazione e che, quindi, il definitivo conseguimento di questa comporta la collaborazione di altra autorità ed implica, di conseguenza, un incontrollabile differimento dei tempi occorrenti per l’accertamento conclusivo della corrispondenza al vero del contenuto dell’autocertificazione, deve rilevarsi che tale incerto rinvio del momento finale della verifica in questione risulta insanabilmente confliggente con le esigenze di certezze e celerità proprie dei procedimenti per l’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici e, in particolare, della fase procedimentale nella quale si inserisce il controllo a campione. La fissazione di un termine di dieci giorni, definito perentorio da un orientamento ormai consolidato (cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2002, n.2197), per la documentazione del possesso dei requisiti indica, infatti, chiaramente l’esigenza di una rapida e certa definizione del subprocedimento in questione. Il medesimo interesse ad una conclusione celere e certa del controllo a campione dei requisiti di partecipazione risulta, peraltro, ricavabile anche dalla sua collocazione in una fase immediatamente antecedente l’apertura delle buste contenenti le offerte. Deve sicuramente accordarsi prevalenza all’art. 10 comma 1 quater L. n.109/94, giudicando conseguentemente inapplicabile l’art.2 D.P.R. n.403/98 alla peculiare fattispecie diversamente regolata dalla prima disposizione. Tale conclusione si fonda sull’applicazione sia del noto criterio lex specialis derogat generali, non potendosi dubitare che la norma dettata in tema di procedure di aggiudicazione di lavori pubblici si pone in un rapporto di specialità, regolando una fattispecie singolare del genere dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione, con quella sulla semplificazione della documentazione amministrativa, sia dell’altra regola generale lex posterior derogat anteriori, risultando l’art.10 comma 1 quater L. n.109/94 introdotto nell’ordinamento (dall’art.3 L. 18 novembre 1998, n.415) successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. 20 ottobre 1998, n.403. L’argomento relativo all’affermata completezza e veridicità delle dichiarazioni di conformità allegate ai documenti trasmessi risulta sfornita di qualsivoglia sostegno probatorio, si osserva, comunque, che il legislatore ha assegnato rilevanza oggettiva all’omessa attestazione dei requisiti di partecipazione nelle forme prescritte dall’art.10 comma 1 quater L. n.109/94 e che, quindi, il relativo inadempimento non tollera ulteriori indagini da parte dell’Amministrazione in ordine all’elemento psicologico (se questo sia, cioè, dovuto a dolo o colpa dell’impresa) ed alla gravità della violazione (se questa, cioè, sia costituita da dichiarazioni false ovvero veritiere ma rese con modalità difformi da quelle richieste dalla legge). Il carattere immediatamente precettivo e vincolante dell’univoca formulazione letterale sia della disposizione in esame sia, nel caso di specie, del punto i.1 del bando di gara impone, infatti, all’Amministrazione di procedere all’accertamento dell’allegazione della prova relativa al possesso dei requisiti di partecipazione ed alla sua adeguatezza e, in caso di esito negativo di tale verifica, di provvedere, in via automatica e conseguente, all’esclusione del concorrente, all’escussione della cauzione provvisoria ed alla segnalazione del fatto all’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici. Il comportamento dell’Amministrazione dinanzi al rilievo dell’inosservanza dell’obbligo imposto ai concorrenti sorteggiati ex art. 10 comma 1 quater L. n. 109/94 non ha, quindi, alcun contenuto discrezionale e si rivela, anzi, strettamente vincolato alla verifica dell’inadempimento in parola, senza che possano, in definitiva, distinguersi le due ipotesi dell’assoluta mancanza di prova e della difformità di quella fornita dalle modalità prescritte (Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2001, n.1344) e senza che rilevi il carattere psicologico della violazione. Né l’omessa allegazione delle certificazioni richieste può ritenersi giustificata dall’asserita indisponibilità degli Enti previdenziali ad attestare la regolarità contributiva, atteso che le due comunicazioni prodotte dalla ricorrente sub 14) e 15) si riferiscono solo all’I.N.P.S., con la conseguenza che non vi è alcuna prova del rifiuto dell’I.N.A.I.L. e della Cassa Edile al rilascio delle attestazioni in parola, e che anche le note versate in atti non dimostrano univocamente l’impossibilità del conseguimento del certificato di regolarità contributiva ai fini della partecipazione a gare per l’affidamento di appalti pubblici. Né, infine, può essere utilmente allegata la circostanza della lentezza della Camera di Commercio nel rilascio di copie autenticate dei bilanci depositati, posto che l’impresa partecipante ad una procedura selettiva del tipo di quella in questione ha l’onere di premunirsi della documentazione necessaria all’attestazione de requisiti di guisa che, in mancanza di tempestivo conseguimento della disponibilità delle relative certificazioni, non può certo dolersi della ristrettezza del termine assegnato per la prova dei requisiti (stabilito in via astratta dalla legge) o del ritardo nei pubblici uffici nel rilascio dei documenti richiesti. L’irrilevanza della gravità, oggettiva o soggettiva, dell’inadempimento considerato, oltre ad essere implicitamente indicata dalla stessa disposizione di legge (là dove non contempla alcuna eccezione alla prescritta applicazione delle sanzioni), risulta, inoltre desumibile anche da una sua lettura coerente con le finalità sopra individuate. Se, invero, la disposizione in esame risulta preordinata ad evitare la partecipazione alle gare per l’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici di soggetti sforniti dei necessari requisiti, con conseguente, grave nocumento per la serietà e la regolarità del sistema delle procedure di selezione, non v’è dubbio che l’efficacia preventiva appena illustrata risulta garantita esclusivamente dalla serietà e rigidità delle conseguente sanzionatorie connesse alla violazione in questione. La riconosciuta funzione preventiva sarebbe, viceversa, grandemente diminuita se si ammettesse, come pretende l’appellante, l’esclusione della sanzione in questione nelle ipotesi (obiettivamente meno gravi) in cui la prova sia stata offerta, in buona fede, con modalità difformi da quelle prescritte. Il riconoscimento di valore “scriminante” alle circostanze allegate dalla ricorrente a giustificazione del suo inadempimento, infatti, oltre a non essere sostenuto da alcun sostegno normativo positivo, determinerebbe (con l’evidente eccezione delle ipotesi di caso fortuito e forza maggiore), una grave incertezza in ordine ai presupposti della potestà sanzionatoria in questione e finirebbe per vanificare le finalità della disposizione esaminata. Consiglio di Stato, Sezione V del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6768 (vedi: sentenza per esteso)

 

La convenzione disciplinatrice del rapporto concessorio - il cosiddetto “diritto d'insistenza”. Si è chiarito in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 ottobre 2000 n. 5743), invero, che il cosiddetto “diritto d'insistenza”, cioè l'interesse del precedente concessionario ad essere preferito rispetto ad altri aspiranti alla concessione, in quanto si configura come un limite alla discrezionalità dell'Amministrazione, deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall’autonomia delle parti. Nel caso in esame, invece, nella convenzione disciplinatrice del rapporto concessorio non è contemplata alcuna particolare posizione del genere, prevedendosi soltanto una generica possibilità di proroga della concessione mediante apposito atto deliberativo e previa verifica “sull’andamento della gestione”. Consiglio di Stato, Sezione V del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6764

 

La lex specialis della gara - in tema di contratti d’appalto - limiti alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti. La lex specialis della gara è quella che risulta dalle prescrizioni contenute nel bando e nella lettera di invito, che addirittura prevalgono sul contenuto della delibera di indizione della gara stessa (cfr. Cons. St. Sez. IV, 29 agosto 2001, n. 4572 ; sez. IV, 22 dicembre 1998, n. 1515; sez. IV, 20 novembre 1998, n. 1619; sez. V, 4 marzo 1998, n. 241). Il principio ermeneutico, invocato dalla difesa dell’appellato, secondo il quale in tema di contratti d’appalto, tra più interpretazioni del bando di gara è da preferire quella che conduce alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell’interesse pubblico una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte, è applicabile solo quando sussista un’effettiva incertezza interpretativa, e non quando la lex specialis della gara sia univoca (come nel caso di specie), nel richiedere un certo adempimento a pena di esclusione (cfr. ex plurimis, 29 agosto 2001, n. 4572; Cons. St., sez. IV, Cons. giust. amm., 14 ottobre 1999, n. 538; Cons. St., sez. IV, n. 1515 del 1998 cit.; sez. IV, n. 1619 del 1998 cit.; sez. VI, 22 maggio 1998, n. 801). Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione IV del 9/12/2002, sentenza n. 6672. Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6675 (vedi: sentenza per esteso)

 

Gare pubbliche - garanzia della par condicio dei concorrenti - l’esclusione dalla gara - la clausola di bando - i poteri del giudice amministrativo nell’apprezzare lo scopo avuto di mira dalla stazione appaltante. In materia di gare pubbliche, l’inosservanza delle prescrizioni del bando o della lettera di invito circa le modalità di presentazione delle offerte, implica l’esclusione dalla gara quando si tratti di prescrizioni rispondenti ad un particolare interesse dell’amministrazione appaltante o poste a garanzia della par condicio dei concorrenti (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1515 del 1998 cit. sez. IV, n. 1619 del 1998 cit.; Cons. giust. amm. sic. 21 novembre 1997, n. 500); ed anche se tali prescrizioni siano ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge, purchè pertinenti e congrue rispetto allo scopo perseguito (cfr. Cons. giust. amm. sic. 9 giugno 1998, n. 339; Cons. St., sez. IV, n. 1619 del 1998 cit.). Secondo altro, più severo indirizzo, deve reputarsi legittima la clausola di bando che preveda l’esclusione dalla gara nel caso di incompletezza o irregolarità di qualunque dei documenti richiesti, giacchè la p.a. non può sottrarsi alle conseguenze derivanti dal più rigoroso regime che essa stessa ha prescelto, essendo irrilevante che la prescrizione non risponda ad un interesse sostanziale dell’amministrazione. Nel caso di specie, l’interesse compromesso in astratto in connessione con la tutela del principio della par condicio (da valutarsi con giudizio prognostico ex ante, riferito cioè al momento di predisposizione della clausola), è quello della speditezza dell’azione amministrazione e del buon funzionamento dell’apparato organizzativo della Regione, Molise, chiamato a fronteggiare alcune centinaia di domande di finanziamento relative a misure diverse (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4572 del 2001 cit.; 29 maggio 1998, n. 789 - riguardo alle modalità per la trasmissione delle offerte all'amministrazione aggiudicatrice e rispetto al periodo intercorrente fra la ricezione e il momento dell'apertura ufficiale delle buste, con la formale cognizione e valutazione delle offerte stesse - cfr. Cons. St., sez. V, 2 maggio 2001, n. 2479). In generale, circa i poteri del giudice amministrativo nell’apprezzare lo scopo avuto di mira dalla stazione appaltante, si nega che, in presenza di una comminatoria di esclusione della domanda di partecipazione alla gara, il giudice possa procedere ad una autonoma valutazione della ragionevolezza della previsione al fine di verificarne la rispondenza ad un interesse effettivo dell’amministrazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 4572 del 2001 cit.; Cons. giust. amm. sic. n. 500 del 1997 cit.). Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6675 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il principio della par condicio. Il rispetto del principio generalissimo della par condicio fra gli enti concorrenti, deve comunque ritenersi prevalente su quello della massima partecipazione (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2002, n. 3590). Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione IV del 9/12/2002, sentenza n. 6672. Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6675 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’interpretazione finalistica della disciplina della gara per l’aggiudicazione di un contratto. Un’interpretazione finalistica, o comunque non esclusivamente letterale, della disciplina della gara per l’aggiudicazione di un contratto è consentita, ed anzi è doverosa, quando l’amministrazione non abbia definito in modo puntuale ed analitico le formalità e le modalità cui le imprese devono conformarsi nel formulare le offerte, ovvero quando non sia chiaro se l’inosservanza sia sanzionata con l’esclusione dalla gara; al di fuori di tali casi (come nella presente fattispecie), il superamento dell’inosservanza implicherebbe una indebita sostituzione del giudice amministrativo all’Amministrazione nella determinazione dei requisiti dell’offerta, e si tradurrebbe in una disapplicazione di atti, preclusa nel giudizio di legittimità (cfr. da ultimo negli esatti termini, sez. IV, n. 4572 del 2001 cit.; sez. V, 19 febbraio 1998, n. 1253\97). Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione IV del 9/12/2002, sentenza n. 6672. Consiglio di Stato, Sezione IV del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6675 (vedi: sentenza per esteso)

 

Contratti della pubblica amministrazione associazione temporanea d’imprese - la partecipazione in forma associata delle imprese alle procedure di evidenza pubblica - il divieto di mutamento dell’assetto soggettivo dell’ATI al momento dell’offerta. La partecipazione in forma associata delle imprese alle procedure di evidenza pubblica non dà luogo alla formazione di un soggetto nuovo e distinto rispetto alle singole imprese associate. Queste ultime mantengo la loro individualità e sono, in particolare, soggette alla separata verifica dei requisiti (soggettivi) di idoneità all’ammissione alla gara. E’ possibile operare - nel periodo antecedente alla presentazione delle offerte - modificazioni alla compagine del soggetto invitato alla gara, sia esso impresa individuale che associazione temporanea, sempreché le stesse non siano tali (ma non risulta essere il caso) da incidere in modo negativo sulla qualificazione del soggetto medesimo e quindi sul possesso da parte del medesimo dei necessari requisiti (cfr. Cons. Stato, V, 18 aprile 2001, n. 2335). Né, invero, sussistono controindicazioni legislative (cfr. art. 11 del d.lg. 157/95, ove l’elemento dirimente è pur sempre costituito dalla presentazione dell’offerta congiunta, e non di certo dalla mera istanza congiunta di partecipazione alla gara) all’applicazione del suesposto principio della modificabilità soggettiva "condizionata" anche nel caso, indubbiamente meno tipico, della riduzione in itinere del soggetto aggregato in individuale, dovuta alla rinuncia, prima della presentazione dell’offerta e dell’espletamento della gara, da parte dell’impresa designata come mandataria. Pertanto, come peraltro espressamente prescritto dalla normativa sugli appalti di lavori pubblici, nella formulazione vigente, è l’impegno congiunto in sede di offerta che preclude qualsiasi modificazione dell’assetto soggettivo del raggruppamento temporaneo, anche se non ancora costituito (cfr. art. 13, commi 5 e 5-bis, della l. 109/94, introdotti dalla l. 415/98). Indubbiamente, la circostanza che anche il legislatore, seppur in settore qui non direttamente pertinente, correli il divieto di mutamento dell’assetto soggettivo dell’ATI al momento dell’offerta, facendo salvo quindi il momento antecedente della prequalificazione, risponde ad una precisa ratio che è quella per cui la tanto invocata prospettiva sinergica comincia ad assumere rilievo solo nella fase in cui si valuta l’idoneità, la convenienza, la affidabilità e serietà oggettiva dell’offerta. Nell’antecedente fase di prequalifica, teleologicamente diretta a selezionare i candidati da invitare alla presentazione delle offerte, il giudizio di idoneità tecnico-economica dei partecipanti si appunta su ciascun candidato singolarmente considerato, anche nell’ipotesi di istanza partecipativa congiunta in vista della costituzione di un raggruppamento temporaneo, non potendo in alcun modo il programmato rapporto di collaborazione tra le imprese surrogare l’apprezzamento concernente tali profili soggettivi. Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6619

 

Cottimo fiduciario per fornitura in economia a trattativa privata - prescrizioni del bando di gara - interpretazione del bando di gara - possibilità di accettare offerte migliorative in assenza di esplicite clausole di esclusione - la stipula di contratti atipici - sussiste. In sede di aggiudicazione l’amministrazione non può che affidare l’appalto alla ditta concorrente risultata capace di offrire le migliori condizioni di mercato di fronte alle esigenze pubbliche evidenziate nel bando, le cui clausole devono essere rispettate, senza che peraltro si possa parlare di esclusione dalla gara in assenza di un’esplicita previsione in tal senso contenuta nello stesso, da interpretare in termini di ragionevolezza, onde favorire la più ampia partecipazione alla gara e la stipulazione del contratto più vantaggioso per l’apparato pubblico, sulla scia della possibilità (pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa) di stipulare contratti anche atipici, purchè vantaggiosi per gli interessi pubblici, in quanto idonei a creare diritto. Correttamente, quindi, l’amministrazione procedente ha effettuato l’aggiudicazione in esame interpretando il bando di gara come contenente le prescrizioni implicitamente considerabili come quelle minime da rispettare, in assenza di espresse comminatorie di esclusione e nell’ottica del più consistente vantaggio per la collettività (nella fattispecie, si trattava di un informale e spedito cottimo fiduciario per una fornitura in economia ex regolamento regionale n. 44/1996, sostanzialmente gestito a trattativa privata, con correlativa ampia discrezionalità in capo alla pubblica amministrazione). Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6536

 

Appalto di lavori - esclusione di offerta anomala impugnata mediante censure rivolte alla lettera d’invito - irricevibilità ed inammissibilità - sussistono. Prima ancora che infondato, è irricevibile per tardività ed inammissibile (quanto all’impugnativa -già disattesa in primo grado- dell’esclusione dell’offerta dell’appellante, atto conseguenziale) per l’omessa impugnazione della presupposta lettera d’invito, l’appello che censuri precise prescrizioni contenute già in quest’ultima, non tempestivamente impugnate e nei cui confronti si sia verificata un’indubbia acquiescenza. Consiglio di Stato Sezione IV del 29 novembre 2002 n. 6535

 

Gare di appalti - bando di gara - esclusione obbligatoria - valutazione discrezionale - limiti - lex specialis della gara - autovincolo - lettera di invito. Nelle gare di appalti pubblici, posto che il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria delle imprese in relazione a certe circostanze, la p.a. appaltante è tenuta a darvi precisa e incondizionata attuazione, (Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999, n. 228) senza che in capo all'organo amministrativo cui compete l'attuazione delle regole stabilite nel bando o nella lettera di invito residui la possibilità di valutazione discrezionale, posto che il bando, quale lex specialis della gara, costituisce per la p.a. un autovincolo eliminando qualsiasi margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento. Consiglio di Stato Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6300.

 

Le operazioni delle Commissioni di gare di appalto devono essere svolte dal plenum e non possono essere delegate a singoli membri o a sottocommissioni - collegio perfetto - deroga al principio di collegialità per le attività preparatorie, istruttorie o strumentali vincolate. La Commissione giudicatrice di gare di appalto costituisce un collegio perfetto che, per la determinazione dei criteri di valutazione e di giudizio, nonché per le decisioni conclusive, fasi rispetto alle quali si configura l'esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, deve operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti, intendendosi per plenum quello risultante dalla composizione fissata nel provvedimento di nomina della Commissione (Cons. Stato, VI Sez., n. 6875/2000; n. 566/82 e n. 182/91; V Sez., n. 1392/92 e 83/81). Invero, le operazioni delle Commissioni di gare di appalto devono essere svolte dal plenum e non possono essere delegate a singoli membri o a sottocommissioni, soprattutto per quel che riguarda le attività propriamente valutative (quale la valutazione delle offerte), potendosi al più consentire la (Cons. Stato, IV Sez. n. 3819/2000; VI Sez., n. 6857/2000 cit.; V Sez., n. 1392/92; IV Sez. n. 13/99; V Sez., n. 220/89) fermo restando che restano riservate all'intero collegio le attività implicanti valutazioni di carattere tecnico discrezionale. Consiglio di Stato Sezione IV, 11 novembre 2002 n. 6194

 

Il bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto della P.A. deve essere in linea di principio immediatamente impugnato solo se contiene clausole direttamente impeditive dell’ammissione alla selezione - valutazione di anomalia senza la previa instaurazione del contraddittorio con l’impresa offerente - confliggenza con la normativa comunitaria - modus operandi della Commissione - la presentazione delle analisi prezzi. Ragionando in linea generale, deriva chiaramente, che il Collegio è vincolato ad applicare l’art. 21, comma 1 bis, nel senso indicato dalla Corte, dovendosi in conclusione reputare confliggente con la normativa comunitaria quella interpretazione della norma interna che consenta alla Amministrazione di pervenire alla valutazione di anomalia senza la previa instaurazione del contraddittorio con l’impresa offerente. Pur dando atto del rilievo e dello spessore degli indirizzi innovativi recentemente valorizzati in giurisprudenza sulla questione ora in rassegna (cfr. ad es. V Sez., 15.6.2001, n. 3187 e V Sez. (ord.za), 6.5.2002, n. 2406), si ritiene infatti di aderire al criterio tradizionale secondo cui il bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto della P.A. deve essere in linea di principio immediatamente impugnato solo se contiene clausole direttamente impeditive dell’ammissione alla selezione (fra le più recenti VI Sez., 6.10.1999, n. 1326, II Sez., 7 marzo 2001, n. 149, V Sez., 28.8.2001, n. 4529). Al più, in materia di criteri di scelta dei contraenti e di modus operandi della Commissione, l’onere di immediata impugnativa può ammettersi a fronte di clausole contrassegnate da manifesta non conformità a legge (si pensi al caso del bando che preveda una procedura prevalentemente non pubblica, sul quale cfr. V Sez., 17.5.2000, n. 2884) o da irragionevolezza (cfr. V Sez., 11.7.2001, n. 3852), clausole cioè tali da precludere in radice la formulazione dell’offerta sulla base di un attendibile calcolo di convenienza tecnica ed economica. In tal senso un onere di immediata impugnazione deve reputarsi nella fattispecie sussistente in ordine alla clausola che disciplinava la presentazione delle analisi prezzi appunto secondo modalità ritenute dalle originarie ricorrenti (V motivo del ricorso di primo grado) lesive dei principi di trasparenza e segretezza, trattandosi di clausola la cui asserita lesività non si è manifestata nel momento dell’aggiudicazione, ma nella fase anteriore in cui essa è stata assunta come regola con la quale l’Amministrazione ha consumato il suo potere di disciplina del procedimento (VI Sez., n. 2884 del 2000 citata). Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenza n. 6111. Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenza n. 6112 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’applicazione di una procedura di verifica in contraddittorio delle offerte anormalmente basse - le pronunce pregiudiziali della Corte di Giustizia della Comunità europea hanno efficacia ex tunc - confliggenza con la normativa comunitaria. Come è noto, il comma 1 bis dell’art. 21 della legge 11.2.1994, n. 109, (nel testo introdotto dall'art. 7, L. 18 novembre 1998 n. 415), così recita nella parte che qui interessa: “Nei casi di aggiudicazione di lavori di importo pari o superiore a 5 milioni di ECU con il criterio del prezzo più basso di cui al comma 1, l'amministrazione interessata deve valutare l'anomalia delle offerte di cui all'articolo 30 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, relativamente a tutte le offerte che presentino un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media. A tal fine la pubblica amministrazione prende in considerazione entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione delle offerte esclusivamente giustificazioni fondate sull'economicità del procedimento di costruzione o delle soluzioni tecniche adottate o sulle condizioni particolarmente favorevoli di cui gode l'offerente, con esclusione, comunque, di giustificazioni relativamente a tutti quegli elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero i cui valori sono rilevabili da dati ufficiali. Le offerte debbono essere corredate, fin dalla loro presentazione, da giustificazioni relativamente alle voci di prezzo più significative, indicate nel bando di gara o nella lettera d'invito, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75 per cento di quello posto a base d'asta.”. Al riguardo, la sentenza della Corte di Giustizia C.E. – VI Sez., 27 novembre 2001 (cause C-285/99 e C-286/999) - resa nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 234 Trattato C.E. da questa Sezione con ord.za 5 luglio 1999, n. 1173 - ha statuito, per quanto ora qui rileva, che l’art. 30 n. 4 della Direttiva del Consiglio C.E.E. 14 giugno 1993, n. 93/37, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, deve essere interpretato nel senso che esso si oppone alla normativa o alla prassi amministrativa di uno Stato membro che consentono all’Amministrazione aggiudicatrice di respingere come anormalmente basse le offerte che presentano un ribasso superiore alla soglia di anomalia, tenendo conto unicamente delle giustificazioni dei prezzi proposti, relativi ad almeno il 75% dell’importo posto a base d’asta menzionato nel bando di gara, che gli offerenti erano tenuti ad allegare alla loro offerta, senza concedere a quest’ultimi la possibilità di far valere il loro punto di vista, dopo l’apertura delle buste, sugli elementi di prezzo offerti che hanno dato luogo a sospetti. In sostanza, secondo la Corte, l’art. 30, n. 4, della Direttiva presuppone necessariamente l’applicazione di una procedura di verifica in contraddittorio delle offerte anormalmente basse, imponendo all’Amministrazione aggiudicatrice l’obbligo, dopo aver preso conoscenza di tutte le offerte, e prima di decidere a chi aggiudicare l’appalto, di chiedere anzitutto precisazioni sugli elementi dell’offerta sospettata di anomalia che abbiano concretamente dato luogo a dubbi da parte sua, e di valutare successivamente questa offerta in relazione alle giustificazioni fomite dall’offerente interessato in risposta a tale richiesta. Le pronunce pregiudiziali della Corte di Giustizia della Comunità europea hanno efficacia ex tunc, tranne nei casi in cui la stessa Corte, per considerazioni attinenti alla certezza dei rapporti giuridici, si riconosca il diritto di limitare, per il passato, l'effetto delle proprie decisioni; ne consegue che, intervenuta in via pregiudiziale la decisione interpretativa della Corte, e configuratosi il contrasto tra la normativa italiana e quella comunitaria, siccome interpretata, la norma ritenuta incompatibile non può più essere applicata dal giudice nazionale al caso di specie, senza che tale mancata applicazione trovi un limite cronologico iniziale con riferimento al momento della pronuncia interpretativa. (fra le molte Cass., sez. lav., 22-12-1999, n. 14468, nonché, in fattispecie analoga a quella oggetto della presente controversia, C.G.A. 25.2.2002, n. 81). Da quanto sopra deriva chiaramente, sempre ragionando in linea generale, che il Collegio è vincolato ad applicare l’art. 21, comma 1 bis, nel senso indicato dalla Corte, dovendosi in conclusione reputare confliggente con la normativa comunitaria quella interpretazione della norma interna che consenta alla Amministrazione di pervenire alla valutazione di anomalia senza la previa instaurazione del contraddittorio con l’impresa offerente. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenza n. 6111. Consiglio di Stato Sezione IV del 7 novembre 2002 sentenza n. 6112 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo - errori di fatto ovvero profili di illogicità ed erroneità - giudizio condotto dalla commissione - attribuzione di specifici punteggi per sottovoci. Il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo, pur se divenuto intrinseco - nel senso della possibilità di accertare direttamente i fatti e di controllare la ragionevolezza delle relative analisi, se necessario con l’applicazione delle regole specialistiche già utilizzate dalla p.a. e l’ausilio della consulenza - è rimasto un controllo debole, nel rammentato senso dell’inammissibilità di una logica sostitutiva che consenta al giudice di sostituire la sua opinione all’opinione, non condivisa ma non risultante erronea, della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Cons. Stato, sez.VI, 23 aprile 2002. n.2199). Applicando le esposte coordinate ermeneutiche al caso di specie si deve concludere nel senso della non ricorrenza di elementi capaci di evidenziare un uso non corretto della discrezionalità tecnica sotto i profili rammentati. Il giudizio condotto dalla commissione, anche con riferimento alle voci oggetto di contestazione, si appalesa infatti congruamente motivato per effetto della attribuzione di specifici punteggi per sottovoci in relazione a criteri adeguatamente predeterminati. Non risultano per converso dedotti errori di fatto ovvero profili di illogicità ed erroneità che possano essere colti dal Giudice amministrativo in relazione a giudizi la cui opinabilità è il fisiologico precipitato della natura non esatta della disciplina specialistica di riferimento. Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

Procedura finalizzata alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione a progetti caratterizzati da significativi profili di complessità tecnica - disamina comparativa dei singoli elementi delle offerte - verifica comparativa. Nel contesto di una procedura finalizzata alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione a progetti caratterizzati da significativi profili di complessità tecnica, le singole offerte sono fisiologicamente destinate al confronto con le altre. La disamina comparativa dei singoli elementi delle offerte appare allora, meglio dell’analisi atomistica dei medesimi, capace di rispondere alla finalità ultima di selezionare il progetto, sul versante tecnico-economico, più rispondente agli interessi perseguiti dalle stazioni appaltanti. Le considerazioni precedentemente articolate in merito alla previa determinazione delle voci e delle sottovoci, con i correlativi punteggi, dimostrano poi l’infondatezza della censura diretta a stigmatizzare il difetto della preventiva fissazione dei parametri relativi all’esame dei singoli componenti delle offerte. Sfugge infine il nesso di relazione, paventato dall’appellante, tra la conduzione della verifica comparativa secondo il consolidato metodo del cd. confronto a coppie ed il timore di attribuzione postuma dei punteggi. Si deve in ogni caso ribadire che, secondo consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.V, 19 marzo 2001, n.1642), il verbale di gara fa piena prova di quanto attestato salva querela di falso che nella specie non risulta proposta. Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

L'analitica determinazione dei punteggi in relazione alle singole voci e sottovoci - l’analisi dei progetti tecnici - la mancanza di motivazione - procedure di aggiudicazione basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - punteggi corrispondenti ai parametri precostituiti - iter logico percorso dalla commissione nella valutazione. L'analitica determinazione dei punteggi in relazione alle singole voci e sottovoci fra le quali è stata distinta l’analisi dei progetti tecnici consente allora, nonostante la mancanza di una motivazione discorsiva, la puntuale ricostruzione dell’iter logico percorso dalla commissione nella valutazione dei singoli aspetti dei progetti e, quindi, permette la percezione delle ragioni poste a fondamento dell’assegnazione dei punteggi complessivi sulla scorta dei quali è stata formulata la graduatoria. A sostegno della bontà dell’operato della commissione si deve richiamare l’insegnamento pretorio a guisa del quale nelle procedure di aggiudicazione basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le valutazioni in ordine all’adeguatezza dei progetti, sotto i profili tecnico ed economico, espresse con punteggi corrispondenti ai parametri precostituiti nei criteri generali, non richiedono ulteriore valutazione (Cons. Stato, sezione V, 27 settembre 1996, n.1173; sezione IV, 16 febbraio 1998, n.300). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

 La violazione delle regole in materia di offerta anomala - la rinegoziazione con l’impresa risultata la migliore offerente - lex specialis - alterazioni dell’offerta originaria. Quanto, infine, al profilo della violazione delle regole in materia di anomalia è sufficiente osservare, per un verso, che anche le offerte che maturano in seguito a rinegoziazione sono suscettibili di un controllo di affidabilità e plausibilità analogo a quello disciplinato dalle norme in materia di anomalia; per altro assorbente profilo che una fase di rinegoziazione, con conseguente miglioramento economico dell’offerta a vantaggio dell’amministrazione, è nella specie espressamente prevista dal legislatore in ragione della specificità della procedura. Si deve allora concludere che la rinegoziazione con l’impresa risultata la migliore offerente sia compatibile con un quadro normativo che detta opzione prevede in relazione alla specificità di una procedura caratterizzata da profili di specialità in relazione al settore ed alla complessità tecnica. La scelta di limitare al solo miglior offerente la rinegoziazione non necessita, poi, di specifica motivazione in quanto costituisce la soluzione fisiologicamente praticabile, alla stregua degli argomenti prima esposti, in mancanza di una diversa indicazione in seno alla lex specialis. Una volta ammessa la legittimità, ed anzi la sostanziale doverosità in assenza di una diversa prescrizione nella lex specialis, della scelta dell’amministrazione di limitare la rinegoziazione ad una sola impresa offerente, la società ricorrente perde interesse a contestare l’entità delle modifiche apportate all’esito della rinegoziazione, posto che dalla declaratoria della illegittimità di dette alterazioni dell’offerta originaria non conseguirebbe alcune effetto utile a fronte della legittima decisione di aggiudicare alla società che abbia formulato la migliore offerta. Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

La rinegoziazione dell'offerta dopo l'aggiudicazione - principi legislativi e giurisprudenziali - procedure “ad evidenza pubblica” - i limiti posti dal legislatore europeo - il “divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo l'aggiudicazione” - divieto (e deroga) di rinegoziazione nelle procedure ad evidenza pubblica - procedura bifasica - la negoziazione diretta con il migliore offerente - par condicio. Con parere reso dall'adunanza della Commissione speciale il 12 ottobre 2001, n.1084/2000, il Consiglio di Stato ha confermato l'indirizzo contrario alla rinegoziazione successiva all’aggiudicazione, segnatamente con riguardo alla prassi seguita da alcune amministrazione di chiedere sconti economici alle imprese aggiudicatarie. A sostegno dell’assunto il Consiglio ha osservato che: - la rinegoziazione dell'offerta, dopo l'aggiudicazione, può indurre l'impresa aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo negativamente sulla qualità del servizio o del prodotto fornito e ponendosi in contrasto con la ratio della disciplina legislativa in materia di controllo del fenomeno delle offerte basse in misura anomala; - lo stesso meccanismo proprio delle procedure “ad evidenza pubblica” è già fisiologicamente diretto all'individuazione del miglior contraente possibile, ossia di colui che ha formulato l'offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse ad effettuare il servizio o la fornitura richiesti. Rinegoziando l’offerta dopo l’aggiudicazione, si verrebbe a trasformare un'originaria procedura aperta (ovvero ristretta) in una negoziata, passando così sostanzialmente allo schema della trattativa privata; - un’eventuale rinegoziazione si pone in contrasto con la procedura originariamente individuata e sulla cui base sono state specificamente formulate le offerte, ponendosi in contrasto con i limiti posti dal legislatore europeo al fine di delimitare la possibilità di ricorso alla procedura negoziata. Si introdurrebbe, in sostanza, un elemento distorsivo della stessa funzione della gara, nella misura in cui i concorrenti verrebbero indotti ad inglobare nelle offerte il rilievo economico insito nel successivo meccanismo della rinegoziazione. L’avviso del Consiglio di Stato risulta recepito dalla circolare 15 novembre 2001, n.12727, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, avente ad oggetto per l’appunto il “divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo l'aggiudicazione” (G.U. n.8 del 10 gennaio 2002). Ora, osserva la Sezione, in disparte i profili di inammissibilità della censura per difetto di interesse, che la stessa analisi dei principi posti a fondamento del divieto di rinegoziazione nelle procedure ad evidenza pubblica, ne esclude l’applicazione al caso di specie. In primo luogo, nella specie non è pertinente l’addebito relativo alla surrettizia conversione di una procedura di evidenza pubblica in procedura negoziata esorbitante dai limiti all’uopo posti dalla normativa europea, posto che al contrario la medesima disciplina comunitaria, al pari della normativa in terna di recepimento, prevede una procedura bifasica, constante di una prima fase di gara pubblica e di un secondo stadio impegnato dalla negoziazione diretta (vedi art.12, lettera c, del decreto legislativo n.158/1995). Si deve, del pari, escludere che la negoziazione diretta con il migliore offerente, con correlativa esclusione delle altre imprese, sia lesiva della par condicio e comporti un’alterazione del gioco concorrenziale. In prima battuta, rimarcato che la par condicio risulta rispettata nel corso dello svolgimento della prima fase della procedura, ossia la gara in senso stretto, all’esito della quale si individua il migliore offerente. In seconda battuta, si deve rilevare che la possibilità di una negoziazione diretta è insita nella stessa natura della procedura di che trattasi, ossia una procedura negoziata, pur se preceduta dalla pubblicazione del bando di gara. Infine, è agevole replicare che in senso contrario ad un presunto obbligo di estendere la rinegoziazione a tutte o almeno ad alcune delle imprese partecipanti si pongono: a)l’esplicito riferimento del legislatore alla possibilità di rinegoziare con uno solo dei candidati, che assume un particolare significato a contrario se rapportato alle diverse disposizioni (vedi artt.37 bis e seguenti della legge n.109/1994, come modificati dalla legge n.166/2002, in materia di finanza di progetto) che impongono, sempre in seno a procedure bifasica, una negoziazione a valle della gara expressis verbis estesa a tre soggetti; b) l’illogicità di una scelta interpretativa che imponesse l’estensione della fase negoziata a tutte le imprese partecipanti, sì da svuotare il significato pratico della gara vera e propria; c)l’assenza e l’opinabilità di un criterio capace di orientare l’amministrazione, in mancanza di una prescrizione legislativa e di un'indicazione in seno alla lex specialis, nell’individuazione del numero delle imprese da ammettere a negoziazione. Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

La deroga alla regola generale della pubblicità della gara, segnatamente al momento dell’apertura delle buste - lex specialis - le direttive 90/531 e 93/28 CEE e l’obbligo di pubblica apertura delle buste contenenti le offerte e la documentazione - principio generale di pubblicità della gara - procedure ad evidenza pubblica - lettera di invito alla licitazione privata - il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Reputa la Sezione che la regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell’apertura delle buste, sia nella specie derogata dalla prevalente legislazione speciale operante nei settori ex esclusi ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1957, n.158, di recepimento delle direttive 90/531 e 93/28 CEE. Giova in particolare rimarcare che detta normativa, volta alla regolazione complessiva di procedure attinenti a settori (acqua, energia elettrica, gas, energia termica, trasporti, telecomunicazioni), non solo non sancisce expressis verbis l’obbligo di pubblica apertura delle buste contenenti le offerte e la documentazione ma esclude che, nel caso di procedure ristrette e negoziate, si debba dare notizia della data, del luogo e dell’ora di apertura delle buste. Tanto si ricava, in particolare, dall’analisi comparativa delle schede A, B e C, dell’allegato XII del decreto legislativo: mentre infatti la prima, relativa alle procedure aperte, al punto 11, contempla l’indicazione, in senso al bando di gara, di data, ora e luogo dell’apertura delle offerte in sede aperta al pubblico, la seconda e la terza, rispettivamente concernenti le procedure ristrette e negoziate, omette ogni riferimento alla fase dell’apertura ed alle formalità relative. Se si considera, poi, che l’allegato in parola, al quale rinvia il dettato dell’art.11, comma 1, dello stesso decreto, reca la puntuale e completa indicazione del contenuto del bando di gara nelle esposte tipologie di procedure risulta evidente che sia la normativa comunitaria sia la legislazione nazionale, la quale ultima si è uniformata alle regole europee senza dettare norme integrative in subiecta materia, hanno inteso sottrarre le procedure diverse da quelle cd. “aperte” all’esplicazione del principio generale di pubblicità della seduta dedicata all’apertura delle offerte. La ratio di tale opzione normativa e, a valle, della condotta delle stazioni appaltanti, può essere facilmente colta, con riferimento al caso di specie, se solo si considera che si è al cospetto di una procedura negoziata ex lettera c) dell’articolo 12 del citato decreto legislativo n. 158/1995, ossia di una procedura che, pur divergendo in modo sensibile dal modello della tradizionale trattativa privata integralmente deproceduralizzata, conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo. La circostanza poi, a più riprese ribadita dall’appellante, secondo cui il principio che impone la pubblicità dell’atto di apertura delle offerte, desunto dalla normativa contenuta nel regolamento generale di contabilità dello Stato (art.89, comma 4, r.d. 23 maggio1924, n.827) avrebbe valore generale nelle procedure ad evidenza pubblica, non incide poi sulla possibilità che a detta regola, non dotata di sanzione costituzionale, possa derogarsi da parte del legislatore nazionale con una disciplina che in modo ragionevole calibri il regime di pubblicità in rapporto al tipo di procedura ed alle esigenze che la caratterizzano. Si deve osservare d’altronde, a sostegno della caratterizzazione non rigida del principio e della possibilità di apportavi temperamenti modulati in funzione della specificità della procedura, che la stessa giurisprudenza, con riferimento peraltro a procedure non interessate da normative speciali, ha reputato che il principio di pubblicità della gara può essere derogato, in relazione all’apertura dei plichi contenenti la documentazione di gara e le offerte, nell’ambito delle procedure – quale la presente- regolate dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, stante la necessità per la commissione giudicatrice di procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte (Cons. Stato, sezione V, 14 aprile 2000. n.2235, la quale ha ritenuto che la deroga deve ritenersi consentita anche rispetto alle offerte economiche, considerato che la loro consistenza risulta da atti scritti ai quali, insieme ai verbali da cui risulta la loro comparazione, la legge assicura l’accesso a chi vi abbia interesse; Cons. Stato, sezione V, 23 agosto 2000. n.4577, ove si sottolinea la possibilità di derogare al principio di pubblicità della gara per quanto attiene all’apertura dei plichi contenenti la documentazione richiesta dal bando di gara e dalla lettera di invito alla licitazione privata, ferma restando la necessità del rispetto delle inabdicabili garanzie di imparzialità, correttezza e trasparenza cui devono essere improntate le pubbliche gare; CGA 28 gennaio 2002, n.58, ove parimenti si ammette la deroga al principio di pubblicità quando la Commissione debba procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte, il che si verifica nell’ipotesi dell’appalto concorso, ovvero quando si debba procedere all’aggiudicazione secondo il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e sia prevista anche la possibilità di proporre varianti ed integrazioni). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004 (vedi: sentenza per esteso)

 

Appalti di lavori pubblici - procedura negoziata, senza pubblicazione preliminare di un bando di gara - la "concessioni di sola costruzione", devono  essere considerati come appalti pubblici di lavori. Il 28 ottobre 2002, la Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. Klaus Wiedner e Roberto Amorosi, in qualità di agenti, ha presentato alla Corte di giustizia delle Comunità europee un ricorso contro la Repubblica italiana. La ricorrente conclude che la Corte voglia:
- constatare che la Repubblica italiana, avendo il Magistrato per il Po di Parma, ufficio periferico del Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), attribuito gli appalti aventi ad oggetto i lotti di completamento delle opere di completamento della costruzione di una cassa di espansione per la laminazione delle piene del torrente Parma in località Marano nel Comune di Parma, dei lavori di sistemazione e di completamento di una cassa di espansione del torrente Enza e di quelli di regimazione delle piene del torrente Terdoppio-Canale Scolmatore a sud-ovest di Cerano, mediante ricorso alla procedura negoziata non preceduta da pubblicazione di un bando di gara, senza che ne ricorressero i presupposti, è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù della direttiva 93/37/CEE (1) del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, e, in particolare, del suo articolo 7, paragrafo 3.
- condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese di giudizio.
Motivi e principali argomenti

Secondo la Commissione la procedura negoziata, senza pubblicazione preliminare di un bando di gara, adottata dal Magistrato del Po di Parma per l'affidamento degli appalti relativi ai lotti di completamento delle citate opere non è conforme a quanto stabilito dalla direttiva 93/37/CE.
In primo luogo la Commissione rileva che i suddetti affidamenti, benché definiti dall'amministrazione appaltante come "concessioni di sola costruzione", devono in realtà essere considerati come appalti pubblici di lavori.
Invero, l'articolo 1, lettera d) della direttiva definisce la concessione di lavori pubblici come un contratto che presenta le stesse caratteristiche dell'appalto pubblico di lavori ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
Nei casi che ci occupano, invece, agli esecutivi delle opere non è riconosciuto alcun diritto di gestione delle medesime, sicché i relativi affidamenti devono necessariamente essere qualificati come appalti di lavori pubblici, qualificazione che, del resto, non è mai stata messa in discussione dalle Autorità italiane.
In secondo luogo, la Commissione rileva che l'articolo 6 della direttiva stabiliva che essa si applica agli appalti pubblici di lavori il cui importo di stima, IVA esclusa, è pari o superiore a 5 000 000 di euro. Pertanto, considerato che il valore degli appalti in questione è superiore a detta soglia, essi andavano assoggettati alle disposizioni previste dalla direttiva.(1) GU L 199 del 9.8.1993, pag. 54. Corte di Giustizia Europea Ricorso del 28 ottobre 2002 contro la Repubblica italiana, presentato dalla Commissione delle Comunità europee (Causa C-385/02) (2002/C 323/37) (GUCE C 323 del 21.12.2002)

 

L’esclusione dalla gara, l’incameramento della cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità - inadempimento formale (per errore o altro) - inadempimento sostanziale (mancanza dei requisiti per partecipare alla gara) - decorso del termine perentorio - normale diligenza di ciascuna impresa partecipante l’onere di documentazione - sorteggio per la verifica a campione - apertura delle buste delle offerte - il potere dell’Amministrazione di valutare la non imputabilità del ritardo all’impresa in ipotesi eccezionali. La giurisprudenza (cfr. C.d.S., V Sez., 8 maggio 2002 n. 2482; IV Sez., 6 giugno 2001 n. 3066; VI Sez., 18 maggio 2001 n. 2780) ha messo in evidenza come dal testo della disposizione dell’art. 10 comma 1 quater L. 11 febbraio 1994 n. 109 emerga che, non distinguendosi tra inadempimento formale (per errore o altro) e inadempimento sostanziale (mancanza dei requisiti per partecipare alla gara), l’esclusione dalla gara, l’incameramento della cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità, pur essendo misure tra loro autonome, derivano dall’unico presupposto, costituito dal decorso del termine perentorio senza che l’intera documentazione richiesta sia stata presentata. Si è osservato, altresì, come rientri nella normale diligenza di ciascuna impresa partecipante l’onere di provvedere sin dal momento della lettura del bando di gara a procurarsi tutti gli opportuni documenti in vista dell’eventuale sorteggio per la verifica a campione prima della apertura delle buste delle offerte. E ciò in considerazione dell’evidente intento della norma di assicurare in tempi brevi e certi il corretto e rapido svolgimento della gara. Non è stato escluso, peraltro, il potere dell’Amministrazione di valutare la non imputabilità del ritardo all’impresa, fermo restando a carico di questa l’onere di richiedere l’esercizio di tale potere e di dimostrare l’oggettivo impedimento alla tempestiva produzione della documentazione. Ciò, tuttavia, in ipotesi eccezionali, vale a dire quando si tratti d’impedimento derivante da fatto del tutto estraneo alla volontà del concorrente e da costui non evitabile con la diligenza del caso. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5786

 

Impugnabilità delle clausole del bando di gara - pregiudizio. La giurisprudenza amministrativa largamente prevalente è orientata a considerare immediatamente impugnabili le clausole del bando di gara solo quando determinino ex se un pregiudizio al concorrente, nel senso di escluderlo dalla gara o di rendere fin dall’inizio impossibile un esito positivo della stessa (Cons. St., Sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 192). E’ stato infatti considerato che il ricorso al giudice amministrativo non è rimedio istituito nell’interesse esclusivo della giustizia, ma principalmente per tutelare le posizioni dei singoli, i quali non sono tenuti a denunciare l’illegittimità degli atti se non nei limiti e nel momento in cui tale illegittimità si traduca concretamente in una lesione dei propri interessi. Ove si accedesse alla tesi opposta, si determinerebbe il proliferare di giudizi preventivi, instaurati tuzioristicamente dai partecipanti ad una gara, non solo con il sovvertimento dei principi in tema di concretezza ed attualità dell’interesse all’azione, ma anche con grave intralcio dell’ordinato svolgimento dell’attività amministrativa e giurisdizionale. Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5776

 

La presentazione delle offerte - l’aggiudicazione con il metodo automatico del prezzo più basso - lex specialis - il principio del favor. La presentazione di più proposte con diverse indicazioni di prezzo, quindi, anche quando l’aggiudicazione debba avvenire con il metodo automatico del prezzo più basso, avrebbe l’effetto di attribuire al concorrente che le presenta maggiori chance di aggiudicazione oppure, se si decidesse di considerare inesistente una delle due proposte, creerebbe un’obiettiva incertezza circa il contenuto della proposta da considerare effettivamente presentata. La violazione della lex specialis della gara, che consentiva la presentazione di un’unica offerta, da intendersi come proposta di un’unica soluzione tecnica e di un unico prezzo, non può , quindi, non risolversi in una causa di esclusione della proposta multipla dalla gara stessa (Sez. V, 19 novembre 1994, n. 1339), non potendosi in tal caso invocare il principio del favor per la più ampia partecipazione alle pubbliche gare d’appalto. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5724

 

La presentazione delle offerte - unica offerta - lex specialis - par condicio. In difetto di espresse ed in equivoche previsioni contenute nel bando di gara -, è da privilegiare l’interpretazione della lex specialis della gara secondo cui ciascun concorrente può presentare un’unica offerta, che deve avere ad oggetto l’esecuzione di obbligazioni semplici, e non di obbligazioni alternative o multiple, e deve contenere l’indicazione di un unico prezzo. Il fatto che ciascun concorrente possa presentare utilmente una sola proposta relativa ad un’unica soluzione tecnica ed ad un unico prezzo, e che l’Amministrazione sia tenuta a valutare solo proposte così formulate, risponde, infatti, ad un’esigenza di accelerazione e semplificazione del procedimento che trova il suo fondamento nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa. Va, inoltre, rilevato che la presentazione di più di un’offerta da parte di uno dei concorrenti, attribuendo allo stesso maggiori possibilità di conseguire l’aggiudicazione dell’appalto, finirebbe per ledere la par condicio fra i concorrenti, in contrasto con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5724

 

Il sistema di individuazione dell’offerta aggiudicataria secondo il criterio della maggiore vantaggiosità economica - requisiti e parametri di valutazione - contenuto del capitolato d’oneri - la riduzione della discrezionalità dell’Amministrazione. Il sistema di individuazione dell’offerta aggiudicataria secondo il criterio della maggiore vantaggiosità economica si connota per la pluralità di elementi di cui occorre tener conto, variabili in base al tipo di appalto, ed attinenti al prezzo, al termine di esecuzione, al costo di utilizzazione, al rendimento ed al valore tecnico dell’opera, servizio o fornitura che i concorrenti si impegnano a fornire; in tal caso nel capitolato d’oneri e nel bando sono menzionati tutti gli elementi di valutazione che saranno applicati separatamente o congiuntamente, nell’ordine decrescente di importanza loro attribuita. L’elencazione di tali elementi di valutazione dell’offerta è esemplificativa. Il prezzo è solo uno degli elementi di valutazione dell’offerta e l’ordine di importanza degli stessi deve essere indicato, ai fini di trasparenza, imparzialità e rispetto della par condicio sin dal bando e dal capitolato (come puntualmente avvenuto nel caso di specie). La tendenza legislativa in atto è quella di ridurre il margine di discrezionalità dell’Amministrazione, prestabilendo, a livello regolamentare, i parametri  in base ai quali valutare i diversi elementi economici e tecnici dell’offerta (cfr. il d.P.C.M. 27 febbraio 1997, n. 116, che in materia di appalti di servizi, individua, ai sensi dell’art. 23, d.lgs. n. 157 del 1995, parametri ed elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; tale decreto, vigente e osservato dalla Consip al momento di adozione del bando e del disciplinare, è stato successivamente abrogato dall’art. 53, l. 1 marzo 2002, n. 39). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

La determinazione dei parametri di valutazione e ponderazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa - distinzione tra “elementi” e “parametri” di valutazione - “elementi” variabili - punteggi numerici - corretto rapporto prezzo-qualità - licitazione privata. La determinazione dei parametri di valutazione e ponderazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa va fatta tenendo conto della distinzione tra “elementi” e “parametri” di valutazione; infatti, i primi (merito tecnico, caratteristiche qualitative, prezzo, tempo, etc.), sono “elementi” variabili secondo il contratto, che solo in seguito si trasfondono in punteggi numerici, e cioè in “parametri” di valutazione e di ponderazione; pertanto, mentre l’“elemento” costituisce la caratteristica dell’offerta in base alla quale deve scaturire un valutazione da parte dell’Amministrazione, il parametro è quel dato numerico volto a garantire, in relazione alla natura del servizio un corretto rapporto prezzo-qualità (negli esatti termini cfr. Cons. Stato, Ad. gen., 16 maggio 1996, n. 77). Conseguentemente, nella individuazione dei parametri e dei connessi punteggi numerici, nonché nella successiva fase della ponderazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’indicazione di uno o di più criteri di valutazione ulteriori rispetto a quelli già individuati dalla legge va rimessa alla scelta discrezionale delle Amministrazioni interessate. Specie nella licitazione privata aggiudicata col metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si riconosce espressamente che l’attribuzione dei punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico è espressione di discrezionalità non solo tecnica ma amministrativa.  La stazione appaltante, infatti, esercita una scelta di opportunità circa l’uso dei mezzi più idonei per la miglior cura dell’interesse pubblico di riferimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000, n. 661). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

Lesione dei principi e delle disposizioni che presidiano la libertà di concorrenza - offerte economicamente più vantaggiose - motivazione del provvedimento.  Sempre per ciò che concerne la dedotta lesione dei principi e delle disposizioni che presidiano la libertà di concorrenza, la Sezione non può che ribadire quanto già affermato sul punto (cfr. sez. IV, 14 maggio 2001, n. 2670; sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885), e cioè che: a) trattasi di un principio generale del diritto comunitario, di cui le istituzioni degli stati membri devono tener conto nell’esercizio del loro potere discrezionale; b) esso è applicabile non soltanto agli atti normativi, ma anche a quelli amministrativi; c) esso implica che i provvedimenti incidenti sulla libertà di concorrenza dei cittadini, tutelata dal diritto comunitario, debbano essere idonei (id est adeguati all’obiettivo da perseguire) e necessari (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace ma meno negativamente incidente, sia disponibile); d) rimane inteso che non avendo il giudice amministrativo, di regola, poteri sindacatori di merito, il riscontro della proporzionalità dell’azione amministrativa, dovrà svolgersi - in presenza dell’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione nell’apprezzamento delle situazioni di fatto e nella ponderazione dei contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti e segnatamente in materia di individuazione dei parametri di selezione delle offerte economicamente più vantaggiose - ab externo, sulla congruità e non contraddittorietà dell’istruttoria compiuta ed esternata nella motivazione del provvedimento. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

Impugnativa dell’aggiudicazione provvisoria - limiti - illecito anticoncorrenziale - poteri di autotutela - lex specialis del procedimento - sentenza della Corte di appello territoriale. In base alla giurisprudenza tradizionale di questo Consiglio: a) è inammissibile l’impugnativa dell’aggiudicazione provvisoria, atto infraprocedimentale che non arreca una concreta, diretta ed attuale lesione alla sfera patrimoniale o morale del ricorrente, cosicché l’eventuale suo annullamento non comporterebbe vantaggio alcuno (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 1991, n. 911); b) l’impugnazione di un atto preparatorio rispetto a quello finale, che di regola deve essere avvenire solo quando il primo abbia lesività immediata, deve essere seguita dal gravame contro il provvedimento conclusivo, la dove manchi un rapporto di presupposizione - consequenzialità immediata, diretta e necessaria, giacché l’aggiudicazione definitiva è frutto sovente di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2002, n. 785). L’illecito anticoncorrenziale posto in essere da uno o da alcuni dei concorrenti può e deve essere apprezzato dall’Amministrazione in corso di gara, ai fini dell’esercizio già in tale fase dei suoi poteri di autotutela, e può essere valutato dal Giudice amministrativo ai fini dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva: - quando la distorsione della libera concorrenza derivi da un vizio specifico della lex specialis del procedimento, che, a prescindere dalla condotta dei concorrenti, sia stata concepita in modo irrazionale e sia tale da alterare o da favorire direttamente l’alterazione dello svolgimento della gara (situazione che, per quanto detto, non ricorre nel caso di specie); - oppure quando, pur essendo legittimo il bando di gara, già durante lo svolgimento della gara intervenga una determinazione dell’Autorità garante, ovvero una sentenza della Corte di appello territoriale che accerti un illecito anticoncorrenziale rispetto allo specifico procedimento (o tali Autorità si siano già pronunciate in relazione ad un’identica fattispecie). Quando, invece, la lex specialis della gara sia di per sé legittima e non intervenga in corso di gara una pronunzia delle Autorità competenti che accerti un illecito anticoncorrenziale, l’Amministrazione dovrà procedere all’aggiudicazione, salva la possibilità di esercitare in seguito – ricorrendone i presupposti - i suoi poteri di autotutela in relazione a tale provvedimento, se e quando dovesse successivamente intervenire una siffatta pronunzia. Si osserva, per inciso, che in tal caso dovrebbe, comunque, escludersi una responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione, perché la stessa durante la gara, per quanto di sua competenza, ha operato diligentemente in relazione agli elementi dalla stessa conosciuti o conoscibili. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

I requisiti dell’offerta vengono determinati dal bando di gara e non nella fase di presentazione delle offerte - lex concorsualis - casi in cui non incide la sopravvenienza normativa. I requisiti dell’offerta vengono determinati dal bando di gara e non nella fase di presentazione delle offerte stesse, che sotto questo profilo costituisce un momento meramente esecutivo ed applicativo della lex concorsualis: la fase del procedimento diretta alla definizione dei requisiti delle offerte era, quindi, già esaurita alla data di entrata in vigore della legge n. 327 del 2000,  e tale sopravvenienza normativa non incide, pertanto, sulle determinazioni già assunte in tale fase. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

La domanda di risarcimento del danno - inaccoglibilità - indispensabile il requisito dell’annullamento degli atti amministrativi presupposti. Inaccoglibile si appalesa la domanda di risarcimento del danno difettando l’indispensabile requisito dell’annullamento degli atti amministrativi presupposti (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2002, n. 1562; sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 952; sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4082). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

L’aggiudicazione di un contratto - la lex specialis - il jus superveniens - l’esercizio del potere di autotutela. Richiamando il consolidato indirizzo della giurisprudenza di questo Consiglio per cui “in sede di gara indetta per l’aggiudicazione di un contratto, la Pubblica amministrazione è tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera d'invito, costituisce la lex specialis della gara che non può essere disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in essa contenute risultino non più conformi allo jus superveniens, salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela (Sez. V, 11 luglio 1998, n. 224; id., 3 settembre 1998, n. 591). Tale soluzione è giustificata in base al rilevo per cui “il bando è atto amministrativo a carattere normativo, lex specialis della procedura, rispetto alla quale l’eventuale jus superveniens di abrogazione o di modifica di clausole non ha effetti innovatori” (Cons. Giust. Amm., 3 novembre 1999, n. 576). Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5714 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il bando di gara non può considerarsi l’unica ed esclusiva fonte per la previsione e la disciplina dei requisiti di partecipazione ad un concorso - le fonti “esterne” in quanto disposizioni di legge, devono considerarsi prevalenti o, comunque, integrative - illegittimità dell’esclusione - validità dell’istanza di partecipazione alla gara non autenticata sostituita dalla semplice sottoscrizione, accompagnata dalla presentazione della copia fotostatica del documento di identità. Non è condivisibile la tesi che, ove il bando non contenga la relativa prescrizione circa il tipo di sottoscrizione da apporre ai documenti prodotti dalle imprese concorrenti, non si possa far ricorso alle norme di legge che, in via generale, recano la disciplina dei tipi di dichiarazioni che sono ammesse e delle sottoscrizioni che ad esse si devono apporre. Questo Consiglio, infatti, ha già rilevato che il bando non può considerarsi l’unica ed esclusiva fonte per la previsione e la disciplina dei requisiti di partecipazione ad un concorso: esso non può prescindere, per la precisa individuazione della fattispecie, dalle fonti “esterne”, le quali, rispetto al bando stesso, in quanto disposizioni di legge, devono considerarsi prevalenti o, comunque, integrative (IV Sez. n. 380 del 6 marzo 1998). (Nella specie, uno dei requisiti di partecipazione (n. 2 f del bando), per le imprese concorrenti, era quello di non trovarsi “in nessuna delle condizioni che costituiscono causa di esclusione dagli appalti, previste dall’art. 11, 1° comma, lettere a), b), c) ed f)” del d. lgs. 24 luglio 1992, n. 358 (T.U. delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture). La prescrizione relativa alla predetta lettera a) – inesistenza di stato di fallimento, liquidazione, amministrazione controllata, concordato preventivo – è stata poi ripetuta, come situazione soggettiva da dichiarare, anche nel successivo n. 3 del bando, lett. f) e g). La società appellante è stata esclusa, perché la sua istanza di partecipazione alla gara non era autenticata “nei modi di legge”. La norma violata è stata indicata nell’art. 2, comma 10, della legge 16 giugno 1998, n. 191, che ha sostituito l’art. 3, comma 11, della legge 15 maggio 1997, n. 127. La disposizione stabiliva (le relative disposizioni sono state poi trasfuse nel T.U. 28 dicembre 2000, n. 445) che, per la firma di “istanze”, da produrre ad amministrazioni pubbliche, non occorreva autenticazione, se, fra l’altro, l’istanza fosse stata presentata insieme “a copia fotostatica, ancorché non autenticata, di un documento di identità” di colui che l’aveva sottoscritta. Le forme della legge n. 15 del 1968 erano stabilite nell’art. 2 (dichiarazioni sostitutive di certificazioni) e nell’art. 4 (dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà). La dichiarazione relativa all’inesistenza dello stato di fallimento e delle altre procedure sopra descritte non rientra fra quelle specificamente elencate nell’art. 2 (data e luogo di nascita, residenza, ed altre ancora). È riconducibile, invece, fra quelle contemplate dall’art. 4, che hanno per oggetto “fatti, stati o qualità personali”, e dunque esigeva l’autenticazione della sottoscrizione. Per effetto del già menzionato art. 3, comma 11, della l. 127 del 1997, l’autenticazione poteva essere, perciò, sostituita dalla semplice sottoscrizione, accompagnata dalla presentazione della copia fotostatica del documento di identità (v. ora l’art. 38, comma 3, del citato T.U. n. 445 del 2000)). Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5767

 

Affidamento di opere pubbliche - i termini processuali ridotti alla metà - teorie ed applicazione. L’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, introdotto dall’art. 4 della legge n. 205 del 2000, prevede al comma 2 che nelle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione ed affidamento di opere pubbliche "I termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso.". La questione da decidere è se la deroga al dimezzamento riguardi ambedue i termini, di notificazione e deposito, o soltanto il primo di questi. Per la soluzione estensiva sembrerebbe militare l’argomento letterale, atteso che il Legislatore si riferisce al plurale ai "termini" ed atteso che nel processo amministrativo il ricorso per antica tradizione si intende formalmente proposto (ad es. ai fini dell’alternatività col ricorso straordinario), al momento del deposito dell’atto previamente notificato, deposito col quale la parte promuove la vocatio iudicis ed istituisce il c.d rapporto giuridico processuale. L’argomento non è però convincente, intanto perchè da più parti è stata evidenziata, in relazione a materia così complessa quale quella sinteticamente disciplinata dalla legge n. 205, l’inopportunità dell’utilizzo di canoni interpretativi esasperatamente letterali. In secondo luogo, il suddetto argomento testuale risulta assai indebolito se si tiene presente che, nell’ambito della stessa legge TAR, il Legislatore già utilizza sovente il verbo "proporre" (o i suoi derivati) riferendosi in realtà alla attività di notificazione: in tal senso l’art. 28 comma secondo (l’appello avverso le sentenze è da "proporre" entro sessanta giorni) e l’art. 29 comma secondo (l’appello in materia elettorale va "proposto" entro il termine di venti giorni) depongono per un utilizzo legislativo di quella voce verbale che chiaramente prescinde dalla sottile distinzione di cui sopra. Quanto all’utilizzo del plurale " termini", esso non sembra particolarmente determinante, visto che nel corpo dello stesso articolo ( al comma 7) il Legislatore torna atecnicamente a riferirsi al "termine" per la proposizione dell’appello. In ogni caso, l’impiego del sostantivo plurale ben può spiegarsi considerando che l’eccezione alla regola del dimezzamento riguarda in realtà due ipotesi, separatamente disciplinate nel regime ordinario: quella della notifica del ricorso principale e quella della notifica del gravame incidentale. Una volta chiarito il carattere non concludente dell’approccio ermeneutico letterale, per contro, convergenti argomenti di carattere sistematico nonchè extratestuale convergono nel far ritenere che il termine per il deposito del ricorso di primo grado sia dimezzato. Al riguardo è stato innanzi tutto evidenziato come dai lavori preparatori della legge n. 205 risulta che il Legislatore – prestando adesione a quell’orientamento prevalentemente dottrinale che nel vigore del D.L. n. 67 del 1997 riconosceva natura sostanziale al termine per la notifica del ricorso introduttivo – ha espressamente affrontato il problema, risolvendolo nel senso che quello di deposito è invece un termine processuale, come tale soggetto alla regola generale. In disparte tale rilievo, è soprattutto sul piano sistematico che si rivela la coerenza dell’indirizzo interpretativo qui sostenuto e secondo cui il termine di deposito è inciso dalla regola del dimezzamento. In effetti, il mantenimento nel rito abbreviato del termine ordinario per la notificazione del ricorso (anche incidentale) risponde soprattutto all’esigenza di assicurare al soggetto inciso dal provvedimento amministrativo o al notificatario del ricorso principale, che non dispongono ancora di un difensore, un "congruo margine di valutazione" (Corte cost. 10.11.1999 n. 427) e quindi un ragionevole lasso di tempo per organizzare la propria, eventuale iniziativa processuale. Ma, una volta notificato il ricorso col patrocinio obbligatorio di un legale, questa esigenza di particolare tutela della parte sostanziale è destinata a recedere, a fronte dell’interesse pubblico ad una sollecita definizione delle controversie sottoposte al rito abbreviato. Deve dunque concludersi che il dimezzamento dei termini processuali previsto dall’art. 23 bis si applica anche al termine per il deposito del ricorso di primo grado. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5363 (vedi: sentenza per esteso)

In mancanza di una esplicita autorizzazione contenuta nella lex specialis, la concorrente ad un pubblico appalto deve presentare una offerta unica - par condicio dei concorrenti. In mancanza di una esplicita autorizzazione contenuta nella lex specialis, la concorrente ad un pubblico appalto deve presentare una offerta unica, in modo da consentire una comparazione delle diverse proposte che veda le diverse imprese partecipanti in posizione di parità. La presentazione di una offerta capace di conseguire l’aggiudicazione, infatti, è il frutto di una attività di elaborazione nella quale l’impresa affronta il rischio di una scelta di ordine tecnico, che la stazione appaltante rimette alle imprese del settore, ma che comporta una obiettiva limitazione delle possibilità di vittoria. La presentazione di offerte alternative si risolve, invece, nella opportunità di sfruttare una pluralità di opzioni, che deve essere garantita a tutte le partecipanti in nome della par condicio, e pertanto deve essere espressamente autorizzata. (Cons. St. Sez. V, 9 giugno 1998 n. 336). Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5278

Il ripristino della legalità dai condizionamenti della criminalità organizzata che hanno determinato lo scioglimento del Consiglio Comunale - la preminente finalità della Commissione Straordinaria - appalto dell’opera a trattativa privata - esercizio dei poteri di autotutela - un atto illegittimo si appalesa senz’altro recessivo.  La preminente finalità al cui efficace perseguimento risulta preposta la Commissione Straordinaria, come si ricava dalla citata normativa di riferimento, risulta agevolmente individuabile nel ripristino della legalità, verosimilmente compromessa o gravemente pregiudicata dai condizionamenti della criminalità organizzata che hanno determinato lo scioglimento del Consiglio Comunale. L’anzidetta esigenza risulta, infatti, realizzata proprio mediante l’affidamento ad un organo composto da persone estranee all’ambiente inquinato nonché dotate di significativa professionalità e di comprovata rettitudine della provvisoria e straordinaria gestione dell’Amministrazione in vista della regolare ripresa del funzionamento dell’Ente. Ne consegue che la Commissione Straordinaria, al precipuo fine di eliminare tutte le irregolarità riscontrate nell’operato della precedente Amministrazione e presuntivamente riconducibili alle già accertate infiltrazioni della criminalità organizzata nella vita amministrativa dell’Ente, può (rectius: deve) adottare tutti quei provvedimenti ritenuti funzionalmente idonei al conseguimento dello scopo di sostituire un esercizio regolare e trasparente delle potestà comunali alla precedente gestione distorta ed inquinata. Appare, di conseguenza, coerente con le segnalate esigenze che la Commissione Straordinaria proceda alla rimozione, nel legittimo esercizio dei poteri di autotutela, di tutte le scelte illegittime operate dalla precedente Amministrazione, in quanto verosimilmente riconducibili ad un illecito condizionamento esterno della regolare formazione della volontà degli organi elettivi, anche se produttive di effetti, ormai esauriti, nella sfera di soggetti terzi. A fronte, infatti, della preminente esigenza pubblica di ripristino della legalità, il contrapposto interesse del privato alla conservazione degli effetti, a sé favorevoli, costituiti da un atto illegittimo si appalesa senz’altro recessivo. Ne discende che la mera verifica dell’illegittimità della delibera annullata giustifica il provvedimento di autotutela, atteso che il perseguimento dell’interesse pubblico risulta connaturato allo stesso esercizio delle potestà proprie della Commissione Straordinaria e che il sacrificio di quello privato non appare significativamente apprezzabile nel descritto contesto di infiltrazione camorristica patita dalla precedente amministrazione. (Nella specie: ne consegue che risulta del tutto fondato il rilievo relativo all’omesso mutamento del quadro economico dell’opera e che la fittizia riduzione, rispetto alla stima iniziale, dell’importo dei nuovi lavori è stata correttamente ritenuta inidonea a giustificare l’appalto dell’opera a trattativa privata ai sensi dell’art.12 L. n.1/78, per il difetto del requisito relativo all’importo massimo dei lavori affidabili direttamente all’impresa esecutrice del primo lotto). Consiglio di Stato, sezione V, 1 ottobre 2002, n. 5139 (vedi: sentenza per esteso)

La fusione per incorporazione - tipo di contratto alla cui stipulazione risulta preordinata la procedura di scelta del contraente - posizioni giuridiche intrasmissibili. Nel caso in cui la fusione per incorporazione intervenga nel corso di una procedura di selezione del contraente della Pubblica Amministrazione (nel senso che viene incorporata da altra società quella partecipante alla gara), l’ammissibilità della trasmissione al soggetto incorporante della posizione giuridica di concorrente non può essere univocamente affermata o negata in astratto ma esige una valutazione, in concreto, dei profili, a quel fine rilevanti, appresso indicati. Deve, innanzitutto, tenersi conto del tipo di contratto alla cui stipulazione risulta preordinata la procedura di scelta del contraente. In coerenza con quanto sopra rilevato in ordine alle posizioni giuridiche intrasmissibili, va, infatti, considerato che la cedibilità dei diritti connessi alla qualità di concorrente in una pubblica gara appare ammissibile nei soli casi in cui, ai fini della scelta del contraente, non rilevino le qualità soggettive di quest’ultimo e risulti, pertanto, indifferente per l’Amministrazione l’apprezzamento dei suoi requisiti personali di serietà, moralità, capacità ed affidabilità. Va, di contro, negata la trasmissibilità della posizione di concorrente nelle ipotesi in cui le anzidette qualità, per il tipo di contratto da stipulare, assumano decisiva rilevanza. Tale conclusione, oltre ad essere conforme ai principi affermati in tema di successione universale mortis causa, risulta, inoltre, avvalorata dal dettato dell’art. 18 II comma L. 19 marzo 1990, n.55, che, ancorchè non direttamente applicabile al caso in esame, indica, comunque, chiaramente, là dove vieta, a pena di nullità, la cessione del contratto, un evidente sfavore del Legislatore per il trasferimento a terzi delle posizioni contrattuali acquisite in esito ad una procedura di scelta del contraente che postula l’apprezzamento delle qualità personale di quello selezionato (quale quella, ivi regolata, degli appalti di opere pubbliche). Consiglio di Stato, sezione V, 26 settembre 2002, n. 4940 (vedi: sentenza per esteso)

La cedibilità della posizione di concorrente in procedure per l’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici o per la concessione di costruzione di opere pubbliche. Appare agevole negare, anche sulla base della disposizione dell’art. 18 II comma L. 19 marzo 1990, n.55, la cedibilità della posizione di concorrente in procedure per l’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici (Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2000, n.754; Sez. V, 13 marzo 1995, n.761) o per la concessione di costruzione di opere pubbliche (Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 1999, n.1515), sulla base del decisivo rilievo della natura personale di tali contratti, più complessa appare la verifica della trasmissibilità dei diritti e degli interessi acquisiti dalla società incorporante in dipendenza della partecipazione ad un procedimento del tipo di quello controverso. Consiglio di Stato, sezione V, 26 settembre 2002, n. 4940 (vedi: sentenza per esteso)

La fusione per incorporazione determina una successione inter vivos a titolo universale - successione nei rapporti attivi e passivi - i rapporti connotati dall’intuitus personae. Con la fusione per incorporazione, com’è noto, si determina una successione inter vivos a titolo universale (Cass. Civ., Sez. Lav., 10 agosto 1999, n.8572; Cons. Stato, Sez. IV, 26 ottobre 2000, n.5734; Sez. IV, 31 luglio 1992, n.696) per cui la società incorporante acquisita, ai sensi dell’art.2504 bis c.c., i diritti e gli obblighi di quella incorporata. La successione nei rapporti attivi e passivi dei quali era titolare la società incorporata si verifica, in particolare, al momento dell’estinzione di quest’ultima, a sua volta contestualmente determinata dalla produzione degli effetti dell’atto di fusione (coincidente con il compimento dell’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art.2504 c.c. o con il momento successivo eventualmente stabilito nell’atto).Dal novero delle posizioni soggettive acquisite dalla società incorporante vanno, ovviamente, escluse quelle, per definizione, intrasmissibili in quanto strettamente personali o, comunque, inerenti a rapporti connotati dall’intuitus personae, e cioè dalla rilevanza delle qualità personali del titolare (che ne impedisce la cessione automatica ad altro soggetto senza il consenso della controparte del rapporto). Consiglio di Stato, sezione V, 26 settembre 2002, n. 4940 (vedi: sentenza per esteso)

La giurisdizione per controversie aventi per oggetto atti del procedimento di scelta del contraente per la realizzazione di opere in materia di acque pubbliche - poteri di cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche - sono di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori. Sulla questione concernente la giurisdizione per controversie aventi per oggetto atti del procedimento di scelta del contraente per la realizzazione di opere in materia di acque pubbliche la giurisprudenza si è ripetutamente affermata nel senso dell’attribuzione al giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti che non incidono, se non in via indiretta, sul regime delle acque. Questo orientamento è stato di recente confermato in una vertenza attinente alla stessa procedura di gara ora in oggetto, dalla quale l’appellante era stato escluso con il provvedimento impugnato con l'attuale ricorso originario (Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 2001, n. 5006). Non è pertinente il riferimento alle due sentenze della Corte di Cassazione (SS.UU. 14 luglio 2000, n.493, e 4 agosto 2000, n.541), che il T.A.R. ha ritenuto indicative di una “interpretazione estensiva” della materia rientrante nei poteri di cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Si tratta in quei casi di controversie non concernenti gare d’appalto. Nè sono condivisibili le considerazioni basate sul disposto dell’art.6 della legge 21 luglio 2000, n.205, giacché nulla lascia intendere che nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori il legislatore abbia voluto modificare la ripartizione di giurisdizione fra il complesso T.A.R. - Consiglio di Stato e il Tribunale superiore delle acque. In ogni caso, l’art.7, comma 3, della stessa legge n.205/2000 chiarisce in modo esplicito che nulla è innovato in ordine alla giurisdizione di quest’ultimo Tribunale. Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4937

Il provvedimento di revoca sopravvenuto ad aggiudicazione non ancora perfezionata - provvedimenti emanati in sede di autotutela - obbligo di motivazione dell’atto - l’obbligo di concludere - l’interesse sostanziale del contraente. Giova ribadire, fin da subito, come del resto evidenziato nella stessa pronunzia impugnata, che il provvedimento di revoca contestato è sopravvenuto ad aggiudicazione non ancora perfezionata, il che comporta l’inapplicabilità di quei rigorosi principi maturati in giurisprudenza circa l’esercizio del potere discrezionale di revoca dell'indizione di una gara pubblica, successivamente all'avvenuta aggiudicazione, secondo cui, come è noto, proprio per la sua incidenza su aspettative del contraente ormai consolidate, tale potere può essere legittimamente esercitato soltanto se imposto da gravi motivi di opportunità e se attuato in modo da ledere in minor misura possibile le dette aspettative. Più in generale, va affermato che i provvedimenti emanati in sede di autotutela a fini di rimozione degli effetti di una procedura ormai perfezionata debbono contenere in motivazione una precisa individuazione dei vizi di legittimità dell'atto da annullare, o delle gravi ragioni di inopportunità dell'atto da revocare, nonché dell'interesse pubblico alla rimozione stessa. Nel caso di specie, invece, non si ravvisano posizioni consolidate da tutelarsi nei modi anzidetti, e può trovare legittimamente spazio la regola generale che vuole, in materia di pubbliche gare, che lo svolgimento della procedura di scelta del contraente non comporti l’obbligo di concludere, in ogni caso, il contratto se questo non è più considerato rispondente all’interesse pubblico (cfr., in giurisprudenza, per l’affermazione che in tema di contratti della Pubblica amministrazione la determinazione di non procedere all'aggiudicazione è sufficientemente motivata, ad esempio, con riferimento al venir meno delle disponibilità finanziarie necessarie all'esecuzione dei lavori, Cons. Stato, VI, 19 ottobre 1995, n. 1188). Resta inteso che la fase della procedura che precede la conclusione della gara e la successiva conclusione del contratto è retta dai principi pubblicistici che regolano l’esercizio legittimo dell’attività discrezionale della p.a.. Pertanto l’interesse sostanziale del contraente di portare a termine la procedura in corso rileva nella misura in cui appare compatibile con l’interesse di settore della p.a.. Consiglio di Stato, sezione V, 5 settembre 2002, n. 4460

Costi di partecipazione alla gara qualificati come danno emergente - illegittima esclusione -  la chance di vittoria dell’impresa illegittimamente esclusa - rinnovo delle operazioni di gara. Il danno emergente, corrispondente, secondo quanto dedotto dalla parte, alle spese per la redazione e presentazione della domanda di partecipazione alla gara, non può essere ritenuto svincolato dal rinnovo delle operazioni di gara, come preteso dal ricorrente. Invero, in termini generali la partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione alla gara si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in rilievo il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili e addirittura illegittime. I costi di partecipazione alla gara qualificati come danno emergente in caso di condotta illecita della stazione appaltante vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara. Solo ove tale rinnovo non sia possibile, vengono ristorati per equivalente. Nel caso di specie, vi è stato il risarcimento in forma specifica della illegittima esclusione, e dunque dei costi di partecipazione alla gara, mediante rinnovo delle operazioni di gara. E posto che il rinnovo delle operazioni si è tradotto solo in una nuova valutazione dell’anomalia dell’offerta, ma non in una nuova partecipazione alla gara, è evidente come non vi sono stati per l’impresa costi aggiuntivi di partecipazione, sicché il danno ha già avuto pieno ristoro in forma specifica. Diversamente opinando, vale a dire concedendo il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara in aggiunta al risarcimento in forma specifica, si concederebbe al partecipante ad una gara di pubblico appalto un beneficio maggiore di quello che deriverebbe da una partecipazione regolare e addirittura dalla stessa aggiudicazione, vale a dire il rimborso di costi che restano ordinariamente a carico dell’impresa partecipante In sintesi, in un appalto pubblico la chance di vittoria dell’impresa illegittimamente esclusa deve, ove possibile, essere ristorata in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara: se all’esito del rinnovo l’impresa risulti vincitrice, ma non possa aggiudicarsi l’appalto perché lo stesso nel frattempo è stato già eseguito, sarà dovuto il risarcimento per equivalente, sia del danno emergente (costi di partecipazione alla gara), sia del lucro cessante (mancato utile). Consiglio di Stato, sezione VI, 4 settembre 2002 n. 4435 (vedi: sentenza per esteso)

Risarcimento del danno in termini di diritto soggettivo - situazione soggettiva di interesse legittimo. Se anche si vuole qualificare la pretesa al risarcimento del danno in termini di diritto soggettivo, tuttavia nel caso di specie il danno discende da un nuovo provvedimento amministrativo – asseritamente illegittimo – e dunque trattasi di danno arrecato ad una situazione soggettiva di interesse legittimo.   Sicché, secondo le regole ordinarie, i provvedimenti lesivi di interessi legittimi vanno tempestivamente impugnati, e non possono essere disapplicati, nemmeno nella prospettiva che gli stessi arrecano un danno ingiusto, facendo insorgere un diritto soggettivo al relativo risarcimento, in quanto il diritto soggettivo al risarcimento del danno arrecato ad un interesse legittimo è una situazione soggettiva che nasce, in via eventuale, solo dopo l’annullamento giurisdizionale del provvedimento lesivo dell’interesse legittimo, ma non esiste prima della impugnazione del provvedimento medesimo e a prescindere dalla stessa. Consiglio di Stato, sezione VI, 4 settembre 2002 n. 4435 (vedi: sentenza per esteso)

Appalti - il rinnovo delle operazioni e la conferma dell’esclusione con autonomo provvedimento, allo stato non impugnato, rende infondata la domanda di risarcimento del danno. Il danno sarebbe risultato comprovato, infatti, ove fosse risultata la illegittimità sostanziale dell’operato dell’amministrazione, che avesse negato l’aggiudicazione ad un concorrente che vi avesse titolo. Risulta nel caso di specie, al contrario che, al di là del vizio formale di difetto di motivazione dell’atto di esclusione, il concorrente è risultato non avere diritto all’aggiudicazione, sicché non vi è alcun danno risarcibile. In sintesi, se in sede giurisdizionale viene annullato un provvedimento amministrativo per vizi di ordine formale o comunque per vizi di difetto di istruttoria e motivazione, che non escludono e, anzi, consentono il riesercizio del potere, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata se non all’esito del nuovo esercizio del potere; se l’atto negativo viene reiterato, per ragioni diverse dal precedente, il sopravvenuto provvedimento negativo esclude, allo stato, la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento. Non possono, sul punto, trovare accoglimento le deduzioni di parte ricorrente, secondo cui il danno, distinto nelle due voci del danno emergente e del lucro cessante, sarebbe comunque risarcibile per il solo fatto della acclarata illegittimità dell’atto di esclusione, ancorché si tratti di sola illegittimità formale. Consiglio di Stato, sezione VI, 4 settembre 2002 n. 4435  (vedi: sentenza per esteso)

Giudizio di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione di una gara d'appalto - il difetto di interesse della ricorrente - occorre un rituale ricorso incidentale. In ossequio al principio per cui nel giudizio di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione di una gara d'appalto, qualora l'aggiudicataria controinteressata intenda far dichiarare il difetto di interesse della ricorrente ammessa a parteciparvi perché priva dei requisiti prescritti nel bando o nella lettera di invito, non è sufficiente la proposizione di un'unica eccezione, ma occorre un rituale ricorso incidentale con cui si impugni il provvedimento di ammissione della ricorrente alla gara, atteso che proprio la proposizione del ricorso principale rende attuale l'interesse dell'aggiudicataria ad impugnare in via incidentale l'atto di ammissione alla gara dell'impresa che mira a realizzare i lavori: (cfr. Cons. Stato, V, 11 giugno 1999, n. 460). Consiglio di Stato, sezione V, 2 settembre 2002, n. 4393 

Carenza di interesse - inammissibilità del ricorso - procedibilità anche d'ufficio - mancanza dei requisiti. Il principio di diritto da applicarsi nella fattispecie - difetto di interesse della ricorrente - è relativo alla necessità di  dichiarare, anche d'ufficio, inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso proposto contro l'atto di aggiudicazione di un appalto quando il ricorrente non ha comunque i titoli per risultarne aggiudicatario (cfr., in generale, Cons. Stato, V, 3 agosto 1995, n. 1159). Consiglio di Stato, sezione V, 2 settembre 2002, n. 4393 

E’ necessario un esame in contraddittorio delle offerte sospette se anormalmente bassa - bando di gara e analisi dei prezzi - il diritto al risarcimento del danno. La Corte europea ha ritenuto incompatibile con la direttiva CEE 93/37 del 14.6.1993 <<una normativa ed una prassi amministrativa che consenta all'Amministrazione aggiudicatrice di escludere come anormalmente bassa un'offerta, basandosi unicamente sulle giustificazioni relative alle voci di prezzo più significative presentate in allegato all'offerta stessa senza che l'amministrazione aggiudicataria abbia proceduto ad un qualsiasi esame in contraddittorio delle offerte sospette formulando richieste di chiarimento sui punti dubbi emersi nel corso di una prima verifica...>> (in linea con la pronuncia della Corte cfr. Cons. giust. amm. Reg. sic. 25 febbraio 2002, n.81). In conclusione, proprio perché il bando di gara non specificava il livello di analiticità delle "analisi dei prezzi", ove mai la Commissione avesse ritenuto necessario un maggior dettaglio aveva l'onere di instaurare apposito procedimento per acquisire i chiarimenti ritenuti necessari. Per il profilo ora esaminato l'esclusione è pertanto illegittima e l'appello avverso la sentenza impugnata deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato. La condizione perché possa riconoscersi il diritto al risarcimento del danno è la positiva verifica di tutti i requisiti di legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento (il "danno ingiusto"), è indispensabile che sia accertata anche la colpa (o dolo) dell'Amministrazione. Consiglio Stato, sez. VI, 19 luglio 2002, n. 4007.

L’abuso di posizione dominante - condotta illecita - la restrizione della concorrenza - il mero intento di escludere il concorrente dal mercato - comportamenti ‘escludenti’ - giurisdizioni comunitarie - fattispecie illecita. Per la consolidata giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, p. 91; 3 luglio 1991, Akzo/Commissione, p. 69), l’abuso di posizione dominante si verifica quando sul piano obiettivo vi è una condotta illecita, non rilevando l’intento (e la relativa prova) di ledere il concorrente (anche perché non è necessario che l’impresa abbia avuto coscienza di violare un divieto, essendo sufficiente che essa non abbia potuto ignorare che il comportamento avesse per oggetto la restrizione della concorrenza: Corte di giustizia, 8 novembre 1983, AIZ). Mentre il mero intento di escludere il concorrente dal mercato è di per sé irrilevante, se è attuato con legittimi comportamenti e strategie economiche, la condotta ‘escludente’ e obiettivamente illecita può essere di per sé qualificata come abuso di posizione dominante. Dalla posizione dominante discende una speciale responsabilità’, per cui l’impresa che la detiene non può ridurre o eliminare il grado di concorrenza ancora esistente sul mercato, con comportamenti ‘escludenti’. Ciò è stato affermato anche dalle giurisdizioni comunitarie, in base alle disposizioni del Trattato, le quali: - vietano le condotte che fanno sorgere il rischio che una impresa dominante riduca il grado di concorrenza ancora esistente sul mercato (Corte di giustizia, 16 marzo 2000, Compagnie Maritime Belge, p. 112; 21 febbraio 1973, Europemballage, p. 26) o siano funzionali alla realizzazione di un piano di aggressione e di estromissione dal mercato di un concorrente (Corte di giustizia, 20 giugno 2001, Michelin, p. 210; 16 marzo 2000, Comagnie Maritime Belge, p. 86; 3 luglio 1991, Akzo/Commissione, p. 148), poiché la normativa sulla tutela della concorrenza mira anche ad evitare che la strategia escludente comporti l’effettiva eliminazione del concorrente; - consentono gli atti di tutela degli interessi commerciali dell’impresa dominante, ma non anche un “comportamento che abbia lo scopo di rafforzare la posizione dominante e di farne abuso” (Tribunale di primo grado, 7 ottobre 1999. Irish Sugar Plc/Commissione, p. 112), anche se “il risultato atteso non si realizzi” (Tribunale di primo grado, 8 ottobre 1996, Cewal/Commissione, p. 149). Anche per la consolidata giurisprudenza di questa Sezione, la fattispecie illecita - come nel caso di intese restrittive - si caratterizza per la potenziale lesività e non per la concreta realizzazione della riduzione del grado di concorrenza ancora esistente, con la conseguenza che non è necessario l’accertamento di tale riduzione (cfr. Sez. VI, 24 aprile 2002, n. 2199; Sez. VI, n. 1305 del 2002; Sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1191). Consiglio Stato, sez. VI, 19 luglio 2002, n. 4001.

Presentazione dell’offerta con violazione della condizione posta nell’avviso d’asta - par condicio dei concorrenti - legittima la pena di esclusione anche se non espressamente prevista. L’offerta che è stata presentata direttamente al Comune e non a mezzo di posta raccomandata con violazione della condizione posta nell’avviso d’asta, condizione che, anche se non espressamente prevista a pena di esclusione, deve reputarsi essenziale, in quanto idonea a garantire la par condicio dei concorrenti, evitando che qualcuno di essi possa trarre un qualsiasi vantaggio dalla presentazione all’ultimo momento della propria offerta. Consiglio Stato, sez. V, 16 luglio 2002, n. 3964.

Esclusione dalla gara dopo l’aggiudicazione per insolvenza degli obblighi contributivi - adempimenti I.N.A.I.L. - l’omessa verifica della sussistenza del requisito. E’ legittima l’esclusione dalla gara l’impresa che alla data di presentazione della domanda di partecipazione e del successivo svolgimento di essa, nonché della deliberazione di aggiudicazione, non aveva assolto gli obblighi contributivi gravanti su di essa, e non era perciò in possesso del relativo requisito, prescritto dall’allora vigente art. 12 del citato d. lgs. n. 175 del 1995, che richiamava l’art. 11 del d. lgs. 24 luglio 1992, n. 358. Ne segue che, trattandosi di un requisito per partecipare alla gara, non è rilevante la circostanza che sia stato conseguito dopo l’aggiudicazione. Questa è da considerare, infatti, illegittima tanto per l’omessa verifica della sussistenza del requisito, quanto per violazione delle norme sopra indicate, che prescrivono il possesso dei vari requisiti, in capo alle imprese concorrenti, a pena di esclusione dalla gara stessa. (Nella specie si trattava di adempimenti I.N.A.I.L.). Consiglio di Stato Sezione V, 11 luglio 2002, n. 3899.

La revisione dei prezzi va ben distinta dalla collaudazione dei lavori - la certificazione di regolare esecuzione - la revisione dei prezzi e la disciplina speciale vigente in materia - decadenza - controllo dei lavori eseguiti e non già all’adeguamento dei prezzi stabiliti nel contratto con quelli venutisi a determinare sul mercato. La revisione dei prezzi è ben distinta dalla collaudazione dei lavori: l’una è disciplinata dal D.l.c.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, l’altra dagli artt. 91-107 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350. La collaudazione con correlativa “certificazione di regolare esecuzione”, attiene a verifiche volte ad accertare che l’opera sia stata eseguita a regola d’arte, secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto nonché delle varianti approvate, ed inoltre che i dati risultanti dai conti e dai documenti giustificativi corrispondano fra loro e con le risultanze di fatto e che i prezzi attribuiti e i compensi determinati nella liquidazione finale corrispondano a quelli stipulati in contratto. La revisione dei prezzi, invece, mira a determinare se si sono verificate sul mercato condizioni tali da legittimare la modifica dei prezzi stabiliti nel contratto di appalto mediante un confronto tra i prezzi di contratto e quelli di mercato. Giudizio questo che non ha nulla a che vedere con il collaudo né per l’oggetto né per i parametri, e che è indipendente dalle risultanze dei registri di contabilità. Ne consegue la corretta esclusione della possibilità di applicare alla richiesta di revisione dei prezzi sia l’art. 91, secondo comma, del R.D. n. 350/1895 sia l’art. 107 del medesimo decreto là ove dispone che all’atto della firma del certificato di collaudo l’appaltatore può aggiungere le domande che crede nel proprio interesse rispetto alle operazioni di collaudo e che, se lo sottoscrive senza accompagnarlo da domande, il certificato di collaudo e le risultanze di esso si avranno da lui come definitivamente accertate. Ciò perché entrambe le norme si riferiscono al controllo dei lavori eseguiti e non già all’adeguamento dei prezzi stabiliti nel contratto con quelli venutisi a determinare sul mercato. Alla revisione prezzi, invece, si applica il disposto del D.l.c.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, che costituisce la disciplina speciale vigente in materia, con effetti derogativi rispetto alle norme contrarie. L’art. 2 del citato D.l.c.p.s. dispone che “le domande di revisione devono, a pena di decadenza, essere presentate prima della firma del certificato di collaudo dei lavori”, ma non prevede anche che tali domande revisionali debbano essere riproposte in sede di collaudazione e liquidazione finale. L’unica decadenza prevista dalla legislazione vigente in materia di revisione prezzi è quella contenuta nel citato art. 2: è quindi sufficiente che la relativa domanda sia presentata prima della firma del certificato di collaudo, senza che debba necessariamente essere riproposta in tale momento. Il descritto orientamento è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza della Prima Sezione 16 giugno 1997 n. 5373, ha ribadito che nell’ambito della disciplina pubblicistica dell’appalto, l’onere dell’appaltatore di inserire le proprie pretese nei confronti dell’ente appaltante nel registro di contabilità e nel conto finale e, quindi, nel certificato di collaudo di cui agli artt. 91 e 107 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350, riguarda le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguarda alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata “prima della firma del certificato di collaudo” senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento. E d'altra parte i diritti ormai tacitati sono quelli derivanti dai compensi di contratto; non gli altri, derivanti dalla revisione sui prezzi. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3818. (vedi sentenza per esteso)

Bando di gara - incompletezza della documentazione - distinzione tra la fattispecie dell’integrazione del materiale già prodotto, e quella della produzione di ciò che si era omesso - principio di imparzialità (par condicio) - termine di presentazione - pena di esclusione - fideiussione - la correzione di un errore materiale. La distinzione tra la fattispecie dell’integrazione del materiale già prodotto, e quella della produzione di ciò che si era omesso, risulta tutt’altro che agevole; e già per tale ragione l’interprete, vincolato al rispetto del principio di imparzialità nello svolgimento della procedura concorsuale, sarebbe tenuto ad una lettura assolutamente restrittiva della facoltà di ammettere, se non i “chiarimenti”, quanto meno i ”completamenti” del materiale prodotto. In caso contrario, attraverso una lettura estensiva della facoltà di completamento o di integrazione, si aprirebbe la via ad ogni sorta di sanatoria, contro ogni principio di legalità e di certezza sulle regole. (Nella specie, la concorrente aveva presentato un documento mancante della rinuncia della banca ad avvalersi delle eccezioni opponibili a norma dell’art. 1945 c.c..) Si verte quindi in ipotesi diversa dalla produzione da parte dell’impresa, di una propria dichiarazione non corrispondente alla formula indicata nel bando e prescritta a pena di esclusione, che la giurisprudenza invocata dall’appellata ha ritenuto sanabile con integrazione successiva (Sez. V, 15 maggio 2001, n. 2711). In quest’ultimo caso, la concorrente doveva essere ammessa a ripetere una propria dichiarazione di assunzione di responsabilità, anche sotto i profili penali, ai sensi della legge n. 15 del 1968, che aveva già reso in forma incompleta; pertanto, la nuova dichiarazione da parte dello stesso autore si risolveva nella correzione di un errore materiale, che non aggiungeva alcun valore giuridico che non fosse già nella disponibilità della concorrente al momento di scadenza del termine per le domande. Nel caso ora in esame, invece, l’integrazione si sarebbe riferita ad una dichiarazione di volontà di un soggetto terzo, la banca, che la concorrente non aveva acquisito, o potuto acquisire, entro il termine stabilito. E’ agevole osservare come tale incompletezza della documentazione richiesta andasse ben al di là anche delle ipotesi, pure rilevanti, del difetto di una certificazione o di una dichiarazione proveniente da amministrazioni o altri terzi, relativi ad eventi passati ma certi, casi nei quali si avrebbero ragioni di inammissibilità, se sanzionate a pena di esclusione, per semplice mancato rispetto del termine di presentazione. Nella specie il documento non è stato prodotto perché non esisteva, nel termine prescritto, il fatto giuridico che il documento avrebbe dovuto rappresentare, sicché non appare dubbio che la profilata integrazione si sarebbe risolta in violazione della par condicio. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 luglio 2002, n. 3792

Impugnazione per l’illegittimità delle prescrizioni del bando per la scelta del contraente o il modus procedendi - termini. Va, affermato il principio per cui l’impresa partecipante ad una gara per pubblici appalti che contesti l’illegittimità delle prescrizioni del bando per la scelta del contraente o il modus procedendi da esso previsto per il funzionamento della commissione giudicatrice e da questi faccia discendere in via immediata e diretta l’illegittimità dell’aggiudicazione, oltrechè il pregiudizio sofferto, ha l’onere di impugnare tempestivamente tali statuizioni, in quanto immediatamente ed effettivamente lesive, senza attendere la conclusione del procedimento di gara, con la conseguenza che l’omesso assolvimento del predetto onere comporta l’inoppugnabilità delle determinazioni presupposte all’aggiudicazione e l’inammissibilità della contestazione di quest’ultima per invalidità derivata da vizi riferibili alle prime (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 1999, n.302). Consiglio di Stato, Sez. V, 8 luglio 2002, n. 3791

In una gara d’appalto pubblico la commissione giudicatrice può introdurre elementi di specificazione ed integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte - condizione - i principi della par condicio e della traparenza ed economicità dell’azione amministrativa. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che, in una gara d’appalto pubblico, la commissione giudicatrice può introdurre elementi di specificazione ed integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte, già indicati nel bando di gara o nella lettera d’invito, oppure fissare sottocriteri d’adattamento di tali criteri o regole specifiche sulle modalità di valutazione, a condizione, però, che vi provveda prima dell’apertura delle buste recanti le offerte stesse; la conoscenza, anche solo potenziale, delle offerte costituisce, infatti, un dato di fatto astrattamente deviante, in quanto mette in condizione la commissione di plasmare i criteri o parametri specificativi adattandoli ai caratteri specifici delle offerte, conosciute o conoscibili, sì da sortire un effetto potenzialmente premiale nei confronti di una o più imprese e tale da pregiudicare i principi della par condicio e della traparenza ed economicità dell’azione amministrativa (cfr. Sez.. V, 26 gennaio 2001, n. 264; 13 aprile 1999, n. 412; Sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 2117; Sez. IV, 21 luglio 1997, n. 737; Sez. V, 20 ottobre 1994, n. 1201). Né, in contrario, può rilevare l’astratta correttezza dei criteri così individuati, in quanto l’ambito di discrezionalità è tale da consentire l’elaborazione di criteri astrattamente validi e corretti, ma tesi a favorire l’una piuttosto che altre offerte una volta che i loro contenuti siano stati resi noti. Consiglio di Stato Sezione V, 8 luglio 2002, n. 3790.

 Il ricorso incidentale - la legittimazione a proporlo. Come comunemente affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, essendo il ricorso incidentale istituto processuale accessorio al ricorso principale, la legittimazione a proporlo deriva automaticamente dalla instaurazione di un giudizio suscettibile di concludersi con la sottrazione all’interessato di una posizione di vantaggio derivante dal provvedimento impugnato. Ne consegue che risulta irrilevante la vicenda giudiziaria pregressa, nella quale la parte, pur avendone titolo, ha omesso di esercitare il diritto di avanzare la propria impugnazione. La proposizione del nuovo ricorso, e il connesso effetto pregiudizievole che ne può derivare, restituisce al controinteressato tutti gli strumenti del diritto di difesa, e tra questi la possibilità di contestare incidentalmente anche atti della procedura non rinnovati, ma idonei a cooperare al risultato voluto dal ricorrente. Tuttavia quando il gravame avverso l’accoglimento del ricorso incidentale di primo grado va rigettato, ne segue l’inammissibilità dell’appello per la parte residua. Consiglio di Stato Sezione V, 8 luglio 2002, n. 3782.  

 Progettazione unica - presentazione di più distinte offerte - par conditio. Le soluzioni tecniche alternative nell’ambito di una progettazione unica non possono essere confuse con la presentazione di più distinte offerte. La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che una impresa partecipante ad una gara per appalto concorso possa presentare più offerte diverse solo quando tale possibilità sia prevista espressamente dal bando (Cons. St. Sez. V, 19 luglio 1997, n. 832; 29 luglio 1997, n. 856). In caso contrario ne risulterebbe inammissibilmente svantaggiata l’impresa, che facendo affidamento sulla letterale formulazione del bando, limiti la propria offerta ad una progettazione unitaria. Consiglio di Stato Sezione V, 8 luglio 2002, n. 3782.  

 Progetto preliminare predisposto dall’Amministrazione - procedura di gara di appalto concorso - divieto di stralcio o di ridimensionare il progetto da parte delle concorrenti - la commissione di gara non ha il potere di ammettere eccezioni al Capitolato speciale di appalto. E’ pacificamente affermato dalla giurisprudenza, che, nell’ambito di una procedura di gara di appalto concorso, nella quale l’Amministrazione predispone un progetto preliminare, le concorrenti debbono proporre una progettazione idonea a consentite la attuazione del detto progetto in tutte le sue parti, senza disporre della facoltà di stralciarne alcune, in base a proprie considerazioni di opportunità (Sez. IV, 16 febbraio 1998, n. 300; TAR Puglia, Bari, Sez. II, 31 dicembre 1996, n. 916). Tale obbligo, inoltre, nella specie era esplicitamente enunciato dall’art. 37 del Capitolato speciale di appalto, sicché né l’Impresa aveva la facoltà ridimensionare il progetto, né la commissione di gara aveva il potere di ammettere una offerta mancante della progettazione di una parte non trascurabile dell’opera. Consiglio di Stato Sezione V, 8 luglio 2002, n. 3782.

La partecipazione delle associazioni temporanee d’imprese non in possesso di un ammontare complessivo di iscrizioni per un importo pari o superiore a quello indicato in bando - principio di parità di trattamento dei concorrenti - modalità di applicazione delle disposizioni vigenti. Consentire la partecipazione anche alle associazioni temporanee d’imprese non in possesso di un ammontare complessivo di iscrizioni per un importo pari o superiore a quello indicato in bando urterebbe, infatti, con il principio di parità di trattamento dei concorrenti sancito, sotto il profilo che qui interessa, dall’ art. 1, comma 2, del D.P.C.M. 10 gennaio 1991 n. 55, a mente del quale “l’importo complessivo delle iscrizioni richieste non può essere diversificato in ragione del fatto che l’impresa chieda di partecipare alla gara singolarmente ovvero riunita in associazione temporanea o consorzio”. La disposizione del bando, pertanto, andava applicata in modo uniforme nei confronti dei singoli concorrenti, partecipassero essi singolarmente o in associazione. Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3734

Le imprese, sia pubbliche sia private che partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni devono attestare, preventivamente, la regolarità con le dispozioni vigenti. Art. 17 L. 12 marzo 1999 n. 68; le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano. (m.u.) Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3733

L'interesse ad agire in giudizio per l'annullamento dell'atto intermedio - l’aggiudicazione definitiva. E’, dal momento di emanazione dell'atto di aggiudicazione definitiva che sorge l'interesse ad agire in giudizio per l'annullamento dell'atto intermedio. L’aggiudicazione definitiva non è mai atto meramente confermativo ed esecutivo e va comunque sempre fatta oggetto, anche utilizzando la proposizione di motivi aggiunti in pendenza di giudizio, di autonoma e specifica impugnativa, e questo anche quando essa sembri costituire il frutto della mera ricezione dei risultati dell’aggiudicazione provvisoria e degli altri atti prodromici, atteso che pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale, di cui costituisce l’esito finale, essa consegue comunque ad una nuova ed autonoma valutazione. Non a caso la giurisprudenza con molta chiarezza ha affermato che ove il soggetto, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria di un contratto della Pubblica amministrazione, il medesimo ha l'onere di impugnare, in un secondo momento, anche l'aggiudicazione definitiva, pena l'improcedibilità del primo ricorso. Al tempo stesso, in occasione dell'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva possono essere fatti valere anche vizi propri di quella provvisoria (Cons. Stato, VI, 16 novembre 2000, n. 6128; cfr. anche C.G.A.R.S. 9 giugno 1998 n. 383, Cons. Stato, V, 3 aprile 2001, n. 1998 e, da ultimo, Cons. Stato, VI, 11 febbraio 2002, n. 785). Consiglio di Stato Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717.

La polizza fidejussoria rilasciata da un intermediario finanziario è equiparabile, ai fini della gara, a quella rilasciata da un istituto bancario - la forma di polizze fidejussorie o di  fideiussioni - elenco istituito presso il Ministero del Tesoro. La questione (se una polizza fidejussoria rilasciata da un intermediario finanziario sia equiparabile, ai fini della gara, a quella rilasciata da un istituto bancario, ai sensi dell'art.30 della legge n.109 del 1994, e successive modificazioni ed integrazioni). viene riproposta dall'appellante facendo leva sul disposto dell'art.145,comma 50, della legge 23 dicembre 2000,n.388: tale disposizione , come è noto, ha stabilito che gli intermediari finanziari che posseggono alcune particolari caratteristiche operative, (svolgimento in via esclusiva o prevalente di attività di intermediazione, secondo una certificazione che deve essere rilasciata  dal Ministero del tesoro) sono abilitati a rilasciare cauzioni valide, ai fini dell'art.30 della citata legge n.109, sotto forma di polizze fidejussorie o di  fidejussioni dirette. La tesi dell'appellante è che tale disposizione avrebbe una portata essenzialmente interpretativa e non innovativa: stante dunque il regime giuridico retto dal citato art.30 della legge quadro sui lavori pubblici e a prescindere dal successivo intervento, meramente interpretativo dell'art.145, comma 50, prima indicato, gli istituti di intermediazione finanziaria iscritti nell'apposito elenco istituito presso il Ministero del Tesoro, potevano già ben rilasciare cauzioni fudejussorie, ai fini dell'art.30 citato. Consiglio di Stato, sezione V, 6 luglio 2002, n. 3716

Gara con il metodo del prezzo più basso - esclusione dell’offerta più favorevole all’Amministrazione - illegittimità - le specifiche tecniche - prodotto equivalente. In una gara con il metodo del prezzo più basso, non può essere legittimamente pretermessa l’offerta più favorevole all’Amministrazione per il motivo che le specifiche tecniche non sono state rispettate al millimetro e che l’unica offerta valida è quella formulata dalla impresa i cui articoli sono stati indicati a titolo di esempio esplicativo del tipo di arredo richiesto. In tal modo infatti si incorre in violazione dell’art. 8, comma 6, del d.lgs. 24 luglio 1992 n. 358, secondo cui non è consentito pervenire all’effetto di favorire determinati fornitori o prodotti. Nella specie, peraltro, l’effetto anzidetto non era imputabile alla formulazione delle  specifiche tecniche, bensì al modo in cui l’Amministrazione ha ritenuto di doverle interpretare. Era espressamente detto dall’art. 5 del capitolato speciale, infatti, che le specifiche tecniche avrebbero descritto le caratteristiche “principali” degli oggetti da fornire, e, inoltre, la descrizione di ciascuno di essi, dopo il riferimento esplicativo alla Ditta produttrice, recava la dicitura “o similare”, in corretto ossequio all’art. 8, comma 6, sopra ricordato. La doverosa indicazione circa la possibilità di offrire validamente un prodotto equivalente verrebbe ad essere completamente vanificata ove in sede di verifica fosse legittimo scartare il prodotto non identico a quello indicato. Consiglio di Stato, sezione V, 5 settembre 2002, n. 4567   

 La natura giuridica dell’art. 10 L. n. 57/01 e della sua conseguente efficacia temporale - efficacia retroattiva e principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico - limiti di ammissibilità ed i requisiti di legittimità - condizioni di legittimità delle norme interpretative va reputata illegittima una norma (sedicente) di interpretazione autentica che integra, con nuovi precetti, il contenuto della legge antecedente (Corte Cost., 23 novembre 1994 n. 397, Corte Cost., 4 aprile 1990 n.155) - proroga legale alle concessioni relative ai servizi pubblici locali. Va, innanzitutto, risolta la questione, ampiamente discussa dalle parti, della natura giuridica dell’art.10 L. n.57/01 e della sua conseguente efficacia temporale. Si osserva, al riguardo, che la definizione di una disposizione come interpretativa nella sua rubrica, ancorché quest’ultima difetti di valore normativo, e la palese formulazione del testo quale previsione intesa a chiarire ed a precisare, con forza di legge, la portata applicativa di una precedente disposizione, ivi espressamente richiamata, impongono di presumere la volontà del legislatore di attribuire efficacia retroattiva a quella disposizione ed esigono il diverso controllo del rispetto delle condizioni dettate dalla Corte Costituzionale per la sua qualificazione come interpretativa. Il Giudice delle leggi ha, invero, stabilito i limiti di ammissibilità ed i requisiti di legittimità della peculiare attività legislativa genericamente riconducibile alla produzione di norme di interpretazione autentica, che, per la loro eccezionale efficacia retroattiva e per la loro conseguente idoneità ad incidere su situazioni giuridiche e su posizioni soggettive costituite prima della loro entrata in vigore, postulano l’osservanza di determinate condizioni, a pena di esclusione della portata retroattiva e, comunque, con la sanzione dell’illegittimità costituzionale. La Corte ha, in proposito, affermato che il discrimine di compatibilità costituzionale della norma di interpretazione autentica è costituito dal contenuto innovativo di questa, nel senso che, per potersi qualificare tale una disposizione, questa deve limitarsi a chiarire il significato di una norma precedente ovvero a privilegiarne una tra le più possibili interpretazioni, con la conseguenza che va reputata illegittima una norma (sedicente) di interpretazione autentica che integra, con nuovi precetti, il contenuto della legge antecedente (Corte Cost., 23 novembre 1994 n.397, Corte Cost., 4 aprile 1990 n.155). E’ stato, altresì, precisato che l’efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quelle affermatesi nella prassi (Corte Cost, 22 novembre 2000 n.525). In definitiva, perché una norma possa qualificarsi come interpretativa, e, quindi, retroattiva, nonchè costituzionalmente legittima, è necessario che la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto di quest’ultima e, infine, che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dall’ordinaria attività di esegesi della stessa. Così chiarite le condizioni di legittimità delle norme interpretative, occorre esaminare la conformità dell’art.10 L. 57/01 ai principi dianzi richiamati. Va, al riguardo, premesso che la valutazione di compatibilità costituzionale della citata disposizione va circoscritta al solo chiarimento dell’esclusione della proroga alle concessioni dei servizi pubblici locali, attesa la portata decisiva della predetta soluzione ermeneutica e la conseguente irrilevanza, ai fini della decisione, delle altre condizioni di applicabilità dell’art.14 D.L. n.333/92 ivi precisate (anche tenuto conto della configurabilità dell’illegittimità parziale di una disposizione, inidonea, come tale, ad inficiare la validità dell’intera norma). Quanto al presunto contenuto innovativo della limitazione menzionata, rileva il Collegio che l’esclusione dell’applicabilità della proroga legale alle concessioni relative ai servizi pubblici locali non può in alcun modo reputarsi, come, invece, pretende l’appellante, quale integrazione del contenuto precettivo dell’art.14. Il predetto chiarimento dell’ambito applicativo della proroga, in regime di concessione, delle attività svolte dagli enti pubblici privatizzati e dalle società da esse controllate non costituisce, a ben vedere, un nuovo elemento di applicabilità dell’art.14 l. c.t. né introduce una disciplina innovativa del regime dettato con la predetta disposizione, limitandosi a definire l’ambito oggettivo di efficacia di quest’ultima, già controverso (come attestato dalla presente causa) e sottoposto, sulla questione ut supra precisata, ad attenta e puntuale esegesi. La stessa esistenza, facilmente registrabile, di un dibattito giurisprudenziale circa l’estensione della proroga anche ai servizi pubblici locali costituisce, invero, la migliore conferma della natura interpretativa della disposizione nonché la più efficace smentita della tesi della sua portata innovativa. Se, infatti, la limitazione stabilita con l’art.10 L.57/2001 risulta già desunta in via interpretativa (cfr. T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, 5 novembre 1997 n.550), va riconosciuta la legittimità dell’indicazione ermeneutica ivi contenuta, in quanto evidentemente già contenuta nella norma precedente, e, al contempo, esclusa qualsiasi valenza integrativa della portata precettiva dell’art.14. l. c.t.. Le medesime considerazioni inducono, da ultimo, ad escludere che l’opzione interpretativa adottata dal legislatore del 2001 risulti lesiva del principio dell’affidamento nella certezza dell’ordinamento, stabilito dalla Corte Costituzionale quale ulteriore limite alla validità delle norma di interpretazione autentica. Non solo, infatti, va affermata, in proposito, l’astratta prevedibilità della soluzione ermeneutica prescelta con la disposizione interpretativa, ma la decisione menzionata, unitamente al dibattito processuale svolto nella presente controversia, dimostra che la limitazione contenuta nell’art. 10 L.57/01 era stata concretamente intuita ed immaginata dagli operatori del diritto chiamati all’esegesi ed all’applicazione dell’art.14, D.L. 333/92 con la conseguenza che non risulta in alcun modo vulnerato l’affidamento dei consociati interessati da quella disposizione. Va, in definitiva, confermata la natura interpretativa dell’art.10 l. c.t., nonché la sua legittimità costituzionale, nella parte in cui esclude l’applicabilità alle concessioni relative ai servizi pubblici locali della proroga disposta con l’art.14 D.L. 333/92. La rilevata natura giuridica dell’art.10 comporta, in forza della conseguente efficacia retroattiva della limitazione ivi stabilita, la sua applicazione alla controversia in esame e determina, quindi, la reiezione dell’appello in quanto fondato sull’asserita riconducibilità della concessione controversa alla fattispecie regolata dall’art.14, l. c.t. viceversa esclusa, dalla sopravvenuta disposizione interpretativa, ai servizi pubblici locali (alla cui nozione va certamente ricondotta la gestione del servizio idrico in questione). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 2 luglio 2002, n. 3612.

Collegamento fra imprese - divieto di partecipazione alla medesima gara d’appalto. La situazione di collegamento fra imprese, (confr., fra le più recenti: V Sez., 2 luglio 2001, n. 3605 e 24 dicembre 2001, n. 6372), che comporta il divieto di partecipazione alla medesima gara d’appalto, deve accertarsi attraverso elementi oggettivi e concordanti, ed è sussistente quando questi riconducano ad un unico centro decisionale o di interesse comune. Consiglio di Stato, sezione V, 1 luglio 2002, n. 3601

Interpretazione delle prescrizioni di un bando di gara - par condicio tra i partecipanti - sussistenza dei requisiti - licitazione privata - lex specialis - atto di aggiudicazione - la capacità tecnica - Commissione atto di annullamento in autotutela - limiti. La Sezione ritiene che in materia di interpretazione delle prescrizioni di un bando di gara, prescrizioni poste a fondamento di una procedura di evidenza pubblica e costituenti lex specialis a cui i concorrenti e la commissione giudicatrice devono conformarsi, non sia ammissibile, all’esito del giudizio sulla sussistenza dei requisiti e delle condizioni di partecipazione alla licitazione privata e dopo aver valutato la capacità tecnica dei singoli offerenti, che la medesima Commissione possa, con atto di autotutela decisoria, annullare il precedente atto di aggiudicazione sul presupposto dell’errata e falsa interpretazione di una delle condizioni di partecipazione delle ditte invitate alla gara. Infatti, se è pur vero che la clausola interpretativa comunemente indicata come principio di massima partecipazione alle gare, trova la sua ratio legis nella possibilità che l’esperimento di un procedimento per la scelta del contraente sia esteso a tutti i possibili soggetti che siano nella capacità tecnica di parteciparvi, è altrettanto e prevalentemente vero, e costituisce nella fattispecie circostanza dirimente, che il rispetto rigoroso delle prefissate condizioni di partecipazione alla gara non possa essere successivamente derogato, sulla base di una diversa e peraltro non condivisibile interpretazione delle condiciones juris che sorreggevano e sorreggono l’operato della Commissione e che sono state preventivamente stabilite. In altri termini l’Amministrazione ha errato nel ritenere di poter caducare, con un proprio successivo provvedimento, il già definito esito dell’aggiudicazione sulla base di una ulteriore e diversa interpretazione delle prescrizioni di gara. Infatti, si deve ritenere corrispondente ad un’inderogabile principio logico, ancor prima che giuridico, il criterio per cui il rispetto della par condicio tra i partecipanti sia precedente e prevalente rispetto al pur importante e rilevante principio della massima possibile partecipazione dei concorrenti. Se così non fosse, infatti, verrebbe sacrificato il rispetto delle regole prefissate, che verrebbero viceversa sottoposte ad una indefinita, successiva e mutevole interpretazione della Commissione giudicatrice. Il Giudice di primo grado ha quindi correttamente privilegiato l’interpretazione letterale di quanto stabilito dal bando di gara sia perchè prevalente rispetto ad altri criteri ermeneutici, sia perchè lo stesso bando non è stato oggetto di immediata e tempestiva impugnazione da parte degli interessati. Consiglio di Stato, sezione V, 1 luglio 2002, n. 3590

 Consorzio di imprese e partecipazione a gara d’appalto - requisiti - verificata nei confronti di tutte le imprese consorziate. Nel caso in cui un consorzio di imprese partecipi ad una gara di appalto (da solo o, come nella specie, in raggruppamento con altre imprese), la sussistenza dei requisiti per partecipare alla gara va verificata nei confronti di tutte le imprese consorziate, mentre nella specie non si conosceva neppure il nome delle cooperative consorziate. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3578.

 I consorzi fra cooperative sociali - società cooperativa a responsabilità limitata - società cooperativa a responsabilità illimitata - la configurazione tipica di un consorzio ordinario artt. 2602 e seguenti del cod. civ. - consorzio aperto alla adesione di altre cooperative e addirittura di altri consorzi - consorzio di imprese - requisiti per partecipare alla gara - verificata nei confronti di tutte le imprese consorziate. L’art. 8 della legge 6.11.1991, n. 381, richiamato dall’appellante, dispone che i consorzi fra cooperative sociali sono - ma ai soli effetti delle disposizioni contenute nella stessa legge n. 381 - considerati alla stregua delle cooperative sociali se costituiti nelle forme di una cooperativa. (Nella specie non può dirsi che il Consorzio delle Cooperative Sociali “Solidarietà e Impresa” sia stato costituito nella forma di una cooperativa. Non risulta dall’esame dell’atto costitutivo del Consorzio (atto del 19.2.1997, reg. 7.3.1997, n. 1099 all’Ufficio del Registro di Cosenza) che esso sia stato costituito nella forma della società cooperativa (in una delle due figure, della società cooperativa a responsabilità limitata o della società cooperativa a responsabilità illimitata, disciplinate dagli artt. 2511 e ss. del cod. civ.)). Dall’esame dell’atto costitutivo risulta, infatti, che le cooperative sociali che formano il consorzio, con la costituzione di questo, hanno solo istituito un’organizzazione comune per lo svolgimento delle attività indicate nello stesso atto costitutivo, secondo la configurazione tipica di un consorzio ordinario, come regolato dagli artt. 2602 e seguenti del cod. civ. Contrariamente a quanto affermato dall’appellante, infatti, risulta chiaramente dall’atto costitutivo che le cooperative sociali hanno conservato la loro individualità ed autonomia. In particolare, alla lettera c) dell’articolo secondo, si stabilisce che: “Il Consorzio si propone di favorire lo sviluppo e la produttività sociale ed economica delle cooperative e dei consorzi aderenti commercializzandone i prodotti ed offrendo ai terzi – ivi compresi enti pubblici e privati – direttamente o tramite anche gare, licitazioni ed accordi diretti, prodotti e servizi; gestendo attività socio-sanitarie ed educative direttamente o tramite le cooperative aderenti; svolgendo attività di produzione e lavoro per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, direttamente o tramite le cooperative aderenti”. Vi è, dunque, una diversificazione tra il Consorzio e le cooperative ad esso aderenti che mal si concilia con la soggettività unica del consorzio, nella quale sarebbero state assorbite tutte le cooperative sociali che ne fanno parte, indicata l’appellante. Dalla disposizione dell’atto costitutivo ora riportata si desume anche che si tratta di un consorzio aperto alla adesione di altre cooperative e addirittura di altri consorzi. Ciò premesso, si rivela corretto il rilievo con il quale il T.A.R. ha accolto il ricorso proposto dalla Cooperativa sociale Sant’Eufemia, seguendo i principi già affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (VI, 19.5.1994, n. 911), per i quali, nel caso in cui un consorzio di imprese partecipi ad una gara di appalto (da solo o, come nella specie, in raggruppamento con altre imprese), la sussistenza dei requisiti per partecipare alla gara va verificata nei confronti di tutte le imprese consorziate, mentre nella specie non si conosceva neppure il nome delle cooperative consorziate. Non può, infine, non condividersi l’osservazione del T.A.R. secondo cui non è ammissibile che l’amministrazione concluda un contratto con una parte plurisoggettiva senza conoscere in dettaglio la composizione della parte contraente e la sussistenza per questa di tutti i requisiti di carattere soggettivo ed oggettivo richiesti all’altra parte quando questa è costituita da un unico soggetto. E’ inutile aggiungere che il certificato della Prefettura di Cosenza, richiamato dall’appellante, non ha effetti modificativi della effettiva natura del consorzio. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3578.

 Gli atti di reperimento del socio privato nella società a partecipazione pubblica - illegittimità della deliberazione di affidamento della gestione. Va, rilevato che gli atti di reperimento del socio privato sono sottoposti a critica nella parte in cui possano essere interpretati nel senso che la società a partecipazione pubblica sia riconducibile fra quelle previste dall’art. 22, comma 3, lett. e), della legge 8 giugno 1990, n. 142, sì da far ritenere illegittima la deliberazione di affidamento della gestione, la quale si basa sulla norma ora indicata per giustificare la misura adottata. Ne deriverebbe esclusivamente la caducazione della deliberazione comunale ora detta, che comporterebbe o l’indizione di una gara per affidare il servizio o un diverso assetto della partecipazione privata nella società pubblica. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3576. (vedi: sentenza per esteso)

 La gestione dei servizi pubblici locali anche nella forma di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio - l’interpretazione dell’art. 113, lett. e, del T.U. 18 agosto 2000, n. 267 - caso di compartecipazioni pubbliche - la trasformazione di un consorzio in forma societaria - la società per azioni affidataria del servizio. La Sezione ha avuto già modo di pronunciarsi sulla portata della previsione di cui all’art. 22, comma 3, lett. e) della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 113, lett. e, del T.U. 18 agosto 2000, n. 267). La norma in esame prevede che comuni e province possono gestire servizi pubblici locali anche nella forma “di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio”, qualora sia opportuna “la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”. Ora, nel caso di compartecipazioni pubbliche, la tesi della ricorrente sposta il criterio dell’assunzione di un ruolo guida della società mista dall’insieme della compagine pubblica a ciascun ente locale partecipante. Ciò si pone in contraddizione tanto con la lettera della legge, quanto con lo scopo di essa, che sta nell’apprestare una forma di gestione dei servizi che consiste nella cooperazione tra l’interesse delle amministrazioni e quello dei privati imprenditori, ma anche nel consentire l’esercizio in comune di servizi da parte di più enti che abbiano interessi omogenei. Si spiega così la norma, che prevede la partecipazione anche di più soggetti pubblici, ma che riferisce la prevalenza del capitale, mediante il quale si esplica il controllo sulla società mista, all’insieme degli enti, non già a ciascuno di essi, singolarmente considerato. Il che poi non sarebbe possibile, giacché la posizione maggioritaria di uno di essi escluderebbe necessariamente quella di ogni altro. L’interpretazione della norma ora data si mostra, d’altra parte, coerente con il contemporaneo disegno del legislatore mirante alla trasformazione (oltre che alla soppressione) dei preesistenti consorzi (come era, in precedenza, la società controinteressata) in società per azioni o in società a responsabilità, vale a dire in una delle forme previste dall’art. 22 della legge n. 142 del 1990. Infatti, l’art. 60 della stessa legge aveva stabilito un termine di due anni, poi prorogato, per far luogo alle predette operazioni. E non è dubbio che la trasformazione di un consorzio in forma societaria avrebbe dato luogo alla gestione di un servizio, affidato alla società stessa, nella quale la posizione maggioritaria di un ente locale non poteva sussistere per disposizione di legge, ma soltanto per un’eventuale speciale situazione pregressa, data la natura stessa del consorzio dal quale derivava. La società per azioni affidataria del servizio in discussione (servizio di gestione dell’impianto e di distribuzione del gas metano) si iscrive nel solco tracciato dall’art. 60, oltre che dall’art. 22, comma 3, lett. e) della legge n. 142 del 1990, e dunque in essa è consentita la partecipazione di più enti locali. E non sarebbe coerente con le norme che ne regolano le attività e le forme giuridiche, che, potendo svolgere servizi pubblici di comune interesse degli enti partecipanti (art. 156 T.U.L.C.P. n. 383 del 3.3.1934 e art. 25 della l. n. 142 del 1990) e potendo essere i consorzi trasformati in società di capitali, dopo questa operazione non siano loro ulteriormente conferibili altri servizi, riconducibili alla loro originaria competenza ed all’attuale oggetto sociale o all’attività contemplata dall’atto costituivo. Dalle considerazioni svolte deriva altresì che non ha pregio la tesi dell’appellante, circa la necessità che il Comune sia, quanto meno, titolare di una partecipazione non inferiore al quinto del capitale sociale, come sarebbe previsto dal regolamento (d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533) sulla costituzione delle società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali. Si può anche aggiungere che tale criterio non sussiste, come fa palese, l’art. 1, comma 3, del d.p.r. se non per l’ente promotore della costituzione della società a capitale pubblico minoritario, sicché esso non caratterizza affatto l’intera materia e non può estendersi al diverso tipo di società di capitali, connotato dalla prevalenza della partecipazione pubblica locale. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 28 giugno 2002, n. 3576. (vedi: sentenza per esteso)

La costituzione di una società per azioni a partecipazione pubblica locale per la gestione di un determinato servizio pubblico - l’affidamento diretto e privilegiato del servizio alla società appositamente costituita. La communis opinio giurisprudenziale ha, da tempo chiarito (a partire da Cass., SS.UU., 6 maggio 1995, n. 4989, e Cons. Stato, A.G., 16 maggio 1996 n. 90) che una volta deliberata la costituzione di una società per azioni a partecipazione pubblica locale per la gestione di un determinato servizio pubblico, non residua la necessità di un ulteriore provvedimento di concessione in senso tecnico, atteso che l’opzione dell'Ente per quel modello di gestione comporta l’affidamento diretto e privilegiato del servizio alla società appositamente costituita. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 25 giugno 2002, n. 3448

Bando di gara - sanzione dell'esclusione in caso di omissione negli adempimenti documentali - dichiarazione d'impegno del fideiussore - garanzia definitiva - cauzione provvisoria. Nel caso in cui il bando di gara, per la manutenzione di impianti termici, preveda espressamente la sanzione dell'esclusione in caso di omissione negli adempimenti documentali, deve essere esclusa l'impresa che abbia omesso di produrre la dichiarazione d'impegno del fideiussore a rilasciare la garanzia di cui all'art. 30 comma 2, l. 11 febbraio 1994 n. 109, senza che vi sia spazio per la valutazione di un errore scusabile nell'interpretazione del bando. L'impegno del fideiussore a rilasciare la garanzia definitiva deve essere contestuale all'offerta e, quindi, alla prestazione della cauzione provvisoria. Consiglio Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3183

Difetto di chiarezza ascrivibile alla genericità di una clausola della lex specialis della gara - modalità di presentazione delle offerte - illegittimità dell’esclusione. In presenza di una norma non sufficientemente precisa in merito alle modalità di presentazione delle offerte, la concorrente non può essere penalizzata, con l’esclusione, a causa di una carenza o di un difetto di chiarezza ascrivibile alla genericità di una clausola della lex specialis della gara. Consiglio di Stato sez. V, 12 giugno 2002, sentenza n. 3273.

Prestazione di servizi di pulizia - gli elementi di specializzazione non sono particolarmente rilevanti - espletamento insufficiente o comunque inadeguato del servizio - nuovo affidatario. In presenza di una prestazione di servizi di pulizia, in cui gli elementi di specializzazione non sono particolarmente rilevanti ed in cui ciò che interessa è la messa a disposizione di un certo quantitativo - e per certi orari - di semplice manodopera, per lo più priva di particolare qualificazione e certamente fungibile, deve ritenersi sufficiente - in mancanza di diverse precisazioni - la semplice indicazione delle percentuali di effettuazione del servizio; fermo restando che eventuali inadempienze della singola associata verranno, in tal caso, a ricadere sull’intero raggruppamento, giusta la responsabilità assunta dalla capogruppo, alla quale l’Amministrazione potrà e dovrà indirizzare ogni propria lamentela in caso di espletamento insufficiente o comunque inadeguato del servizio stesso. Servizio che, come accade normalmente per i servizi di pulizia, giusta quanto previsto anche dalla contrattazione di categoria, viene espletato dal nuovo affidatario avvalendosi, in buona parte, del personale che già espletava il servizio per il precedente affidatario; e tanto è stato operato anche nella specie. Né osta, a tali conclusioni, l’analiticità del CSA; questa valeva a consentire alle candidate una piena e precisa conoscenza degli oneri cui andavano incontro in vista di una esatta programmazione e quantificazione del servizio e dei correlativi oneri, da precisare dettagliatamente in sede di “piano operativo” (piano in relazione al quale la Commissione ha osservato che quello della P.S.D. s.r.l. reca un “programma operativo dettagliato ed analitico, per Presidio e per area, delle ore gg. e settimane ed indica i totali delle ore settimanali per Presidio”); non, invece, a imporre alle concorrenti associate di precisare di quali delle singole parti precisate dal CSA stesso ciascuna di esse avrebbe dovuto farsi carico; non senza rilevare la scarsa utilità di una rigida suddivisione del lavoro, così come postulata dall’appellante, che indurrebbe a ritenere il difetto della prestazione laddove, per qualsiasi motivo, questa fosse esperita (per motivi contingenti) da un’associata diversa rispetto a quella in precedenza indicata in sede di gara; conclusione che, del resto, non potrebbe giovare neppure all’appellante. Consiglio di Stato sez. V, 12 giugno 2002, sentenza n. 3273.

In mancanza del riferimento all’uso della ceralacca deve intendersi la semplice chiusura - l’uso del sigillo - firma apposta sui lembi di chiusura - presentazione delle offerte - illegittimità dell’esclusione - plico non sigillato con ceralacca - definizione del termine sigillare - la firma apposta dai rappresentanti dell’impresa sui lembi di chiusura. E’ da ammettere che, in mancanza del riferimento all’uso della ceralacca, solitamente presente nei bandi di gara, la concorrente sia stata indotta in errore ed abbia inteso che per sigillatura dovesse intendersi la semplice chiusura prescritta in precedenza. (La lettera di invito ha indicato le caratteristiche della busta contenente l’offerta nel modo che segue: “debitamente chiusa e controfirmata sui lembi di chiusura”. Al rigo successivo prosegue: “Detta busta sigillata contenente l’offerta deve essere racchiusa …”). Il Collegio, d’altra parte, deve tenere conto di come la giurisprudenza, pur avendo più volte affermato che per sigillatura, ai sensi dell’art. 75 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, deve intendersi l’apposizione di un’impronta su materia molle, atta a garantire l’autenticità della provenienza del plico da quel determinato mittente (Cons. St., Sez. V, 3 novembre 2000, n. 5906), in qualche caso abbia ritenuto che l’uso del sigillo non è indispensabile purché sia garantita la non manomissione della busta (Sez. IV, 10 giugno 1998, n. 937; 4 dicembre 1998, n. 1603). E tale finalità può essere ottenuta anche grazie alla firma apposta dai rappresentanti dell’impresa sui lembi di chiusura, come nella specie imposto dalla lettera di invito. (Nella fattispecie la società appellata è stata esclusa dalla gara perché l’offerta dalla stessa presentata era contenuta in un plico non sigillato con ceralacca. Il TAR ha ritenuto illegittima l’esclusione per due concorrenti ragioni: a) la lettera di invito non esprimeva con chiarezza la prescrizione della sigillatura a ceralacca; b) nel linguaggio corrente, il termine sigillare non evoca necessariamente l’impiego della ceralacca e dei sigilli, ma esprime una modalità di chiusura che garantisca l’integrità del contenuto della busta. Tali argomentazioni sono state condivise dal C.d.S). Consiglio di Stato sez. V, 12 giugno 2002, sentenza n. 3272.

E’ illegittima l’esclusione dalla gara per mancata apposizione del sigillo anche sul lembo di chiusura già preincollato dal costruttore della busta contenente l’offerta - lembi di chiusura uniti mediante l’incollatura - par condicio. Va condiviso in proposito l’orientamento espresso dalla giurisprudenza, secondo cui è illegittima l’esclusione dalla gara per mancata apposizione del sigillo anche sul lembo di chiusura già preincollato dal costruttore della busta contenente l’offerta (T.A.R. Toscana n. 334 del 1990; TAR Veneto n. 1298 del 1995, n. 223 del 1996). Il primo giudice ha concluso nel senso opposto a quello qui accolto sulla base del numero plurale (“lembi di chiusura”) figurante nella lettera di invito, ma il criterio non risulta decisivo, potendosi osservare che ogni chiusura di qualunque busta presenta comunque due lembi, individuabili in quelle porzioni della busta destinate ad essere unite mediante l’incollatura. In presenza di un margine di incertezza nell’interpretazione di una clausola del bando, in applicazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza, occorre preferire la lettura che garantisce la più ampia partecipazione alla procedura, sempre che non risulti violata la par condicio tra le concorrenti e non sia messa in dubbio la segretezza delle offerte (ex multis, Sez. V, 3 febbraio 1997 n. 134), e tali circostanze nelle specie non sono configurabili. Consiglio di Stato sez. V, 12 giugno 2002, sentenza n. 3269. (vedi: sentenza per esteso)

E’ legittima la partecipazione, del funzionario responsabile del servizio, alla commissione giudicatrice in una gara di appalto. La giurisprudenza della Sezione (7 agosto 1996, n. 884) ha chiarito come la norma tenda ad accentuare l’impegno del funzionario responsabile del servizio, coinvolgendolo non come soggetto terzo rispetto ad un determinato procedimento, ma appunto nella qualità di capo della struttura che ha curato l’istruttoria dell’affare sottoposto alla deliberazione dell’organo politico. E si è ritenuto che la finalità della norma non debba essere vanificata in caso di partecipazione alla commissione giudicatrice in una gara di appalto. (Nella fattispecie il motivo di appello, facevante leva sulla pretesa illegittimità del parere di regolarità tecnica reso dal funzionario comunale ai sensi dell’art. 53 della legge n. 142 del 1990, in quanto membro della Commissione di gara, va disatteso). Consiglio di Stato sez. V, 12 giugno 2002, sentenza n. 3269. (vedi: sentenza per esteso)

Gli appalti pubblici di forniture di rilievo comunitario - parametri matematici per la individuazione delle offerte - valutazione della congruità dell’offerta - la qualificazione di un’offerta come anomala. Come è noto, per gli appalti pubblici di forniture di rilievo comunitario, l’art. 19, comma 4, del D.Lgs. del 24.7.1992, n. 358, come sostituito dal D.Lgs. del 20.10.1998, n. 402, indica precisi parametri matematici per la individuazione delle offerte che devono qualificarsi come anomale e che, di conseguenza, devono essere sottoposte al procedimento di verifica disciplinato dallo stesso art. 19. Nella vigente disciplina degli appalti pubblici di forniture di valore inferiore alla soglia comunitaria, manca, invece, una norma che stabilisca i presupposti per l’individuazione di offerte che, per presentare un’eccessiva convenienza per l’amministrazione appaltante, si profilino come anomale e richiedano una verifica della loro congruità da parte della stazione appaltante. La valutazione della congruità dell’offerta in tali gare, pertanto, è rimessa esclusivamente all’amministrazione, giacché mancando dei parametri prestabiliti dalla legge, la qualificazione di un’offerta come anomala può solo conseguire ad un giudizio di carattere tecnico-discrezionale della stazione appaltante. Si è in presenza, cioè, di giudizi che, per loro natura, attengono al merito dell’azione amministrativa, in quanto effettuati alla stregua di regole tecniche o di esperienza, e sono insindacabili dal giudice di legittimità, salvo che non si manifestino palesemente irrazionali o viziati da errori di fatto. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 12 giugno 2002, n. 3260. (vedi: sentenza per esteso)

I requisiti minimi richiesti dalla lettera di invito a garanzia della integrità della busta e della provenienza della stessa - controfirma sui lembi - apposizione sulla ceralacca del sigillo. La busta contenente l’offerta della ricorrente era priva sia della controfirma sui lembi che della apposizione sulla ceralacca del sigillo sociale della concorrente e, conseguentemente, non presentava i requisiti minimi richiesti dalla lettera di invito a garanzia della integrità della busta e della provenienza della stessa. Una volta provata la insussistenza dell’elemento che aveva indotto il primo giudice a ritenere rituale la presentazione dell’offerta - appunto l’apposizione del timbro recante la denominazione sociale sulla ceralacca posta a sigillo della busta stessa - non vi è dubbio sulla irregolarità delle modalità seguite dalla Banca appellata per presentare la sua offerta. (Nella fattispecie l’appellata (Banca di Credito Cooperativo di Corleto Perticara) era stata esclusa dalla gara in questione, come risulta dal verbale di aggiudicazione dell’undici settembre 1996 in quanto “il piego contenente la documentazione e l’offerta non è controfirmato sui lembi così come richiesto dall’invito di gara”). Consiglio di Stato sez. V, 10 giugno 2002, sentenza n. 3212.

I contratti della Pubblica Amministrazione debbono essere stipulati per iscritto ad substantiam, mediante la redazione di un apposito documento contrattuale distinto dagli atti amministrativi facenti parte del procedimento della c.d. evidenza pubblica - l’obbligo di estendere le esigenze particolari di cura dell’interesse pubblico - instaurazione del rapporto giuridico iure privatorum - il contratto d’opera professionale ex artt. 2229 e ss. del cod. civ.. Per principio generale sancito dal R.D. n. 2440 del 18-11-1923, e dal regolamento di esecuzione contenuto nel R.D. n. 827/24, oltrechè dalla numerosa normativa a carattere speciale succedutasi nella materia, i contratti della Pubblica Amministrazione debbono essere stipulati per iscritto ad substantiam, mediante la redazione di un apposito documento contrattuale distinto dagli atti amministrativi facenti parte del procedimento della c.d. evidenza pubblica, che hanno la diversa funzione di far emergere le ragioni di pubblico interesse poste alla base dello stipulando contratto, e sono elementi costitutivi della c.d. sequenza pubblicistica destinata a sfociare nell’atto di approvazione del contratto vero e proprio, stipulato a sua volta a conclusione della sequenza negoziale sviluppata nel rispetto dei comuni principi civilistici in materia di rapporti obbligatori e contrattuali. La P.A., infatti, nel perseguimento degli interessi pubblici di cui è attribuita in forza della normazione primaria dell’ordinamento, può avvalersi in alternativa allo strumento provvedimentale, anche degli ordinari negozi giuridici elaborati dalla scienza giusprivatistica. Quando ciò faccia, tuttavia, ha l’obbligo di estendere le esigenze particolari di cura dell’interesse pubblico settoriale e puntuale, di cui è attributaria, che, in concreto esigono il soddisfacimento mediante la conclusione di quel tipo di negozio giuridico, evidenziandone altresì gli aspetti finanziari connessi all’impiego delle risorse pubbliche, ed il contemperamento con altri interessi concorrenti pubblici e privati, mediante il c.d. giudizio di recessività degli interessi secondari rispetto allo interesse primario prevalente; giudizio che è frutto di una ponderazione tra gli interessi configgenti, e che trova il momento di equilibrio nella decisione amministrativa sorretta da adeguata motivazione. Così astretta nell’ambito pubblicistico la decisione sul "se" e "perché" contrahendum est, alla concreta instaurazione del rapporto giuridico iure privatorum è demandato il vero e proprio contratto il quale, pur accestivo alla serie procedimentale destinata a dar contezza delle motivazioni pubblicistiche sottese allo stipulando negozio, conserva quasi intatte le proprie prerogative con il correttivo costituito dalla presenza di poteri pubblicistici attribuiti dalla normazione positiva alla P.A. in ragione della posizione di preminenza che questa continua a rivestire in ragione della valenza degli interessi di cui è portatrice, nonostante la struttura giuridica del rapporto sia ex se quella tipica delle relazioni intersoggettive tra soggetti di diritto privato. Il principio in parola è consolidato in giurisprudenza: "Tutti i contratti stipulati dalla P.A. ed in genere dagli enti pubblici, devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, rispondendo tale requisito all’esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria". (Cass. Civ., Sez. I sent. n. 3662 dell’08-04-1998). I contratti di cui sia parte una Pubblica Amministrazione – anche se agente iure privatorum richiedono la forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente che la forma scritta riguardi la sola dichiarazione negoziale della Pubblica Amministrazione e che, pertanto deve escludersi la conclusione di contratti per facta concludentia, ossia mediante inizio dell’esecuzione – della prestazione da parte del privato - secondo il modello di cui all’art. 1327 cod. civ." (Cass. Civ. Sez. I sent. 12942 del 29-09-2000). "Tutti i contratti stipulati dalla P.A. – anche quando agisca iure privatorum – richiedono la forma scritta ad substantiam, non rilevando a tal fine la deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, dell’appalto o della fornitura ove tale deliberazione – costituente mero atto interno e preparatorio del negozio – non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi; il contratto privo della forma richiesta ad substantiam è nullo e pertanto insuscettibile di qualsivoglia forma di sanatoria, dovendosi quindi escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive." (Cass. Cisv. Sez. I sent. n. 59 del 03-01-2001). "La volontà di obbligarsi della Pubblica Amministrazione non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo esser manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam." (Cass. Civ. Sezioni Unite sent. n. 12769 del 28-11-1991, Cass. Civ. Sez. I sent. n. 9246 del 12-07-2000, Cass. Civ. Sez. III sent. n. 188 dell’11-01-2000, Cass. Civ. Sez. III sent. n. 6406 del 30-06-1998). A siffatta regola generale non si sottrae il contratto d’opera professionale ex artt. 2229 e ss. del cod. civ.: "Il contratto di opera professionale, quando ne sia parte la Pubblica Amministrazione, anche se questa agisca iure privatorum, richiede ad substantiam la forma scritta e a tal fine è irrilevante l’esistenza di una deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico al professionista, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in una atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente stesso e dal professionista, da cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi e al compenso da corrispondersi." (Cass. Civ. Sez. II sent. n. 6182 del 27-06-1994, Cass Civ. Sez. II sent. N. 7149 del 23-06-1995, Cass. Civ. Sez. I sent. n. 1117 del 01-02-1997, Cass. Civ. Sez. I sent. n. 2772 del 14-03-1998). Tribunale di Brindisi, Sez. Distaccata di Fasano Sentenza 10 giugno 2002 n. 82 (vedi: sentenza per esteso)

La pendenza di una lite con l’amministrazione (posta come insussistenza di un rapporto di fiducia con l’Impresa) può diventare causa di esclusione ad una licitazione privata. La pendenza di una lite con l’amministrazione (posta come insussistenza di un rapporto di fiducia con l’Impresa) può diventare causa di esclusione ad una licitazione privata. Sarebbe quindi erronea la conclusione cui è pervenuto il giudice di prime cure, che, ha affermato l’assenza nella specie di una ragione idonea ad impedire la partecipazione alle gare per pubblici appalti, mentre avrebbe dovuto tenere conto dell’atteggiamento complessivo e delle manifestazioni di ostilità messe in campo dall’appellata, del tutto estranee alla corretta conduzione di una lite giudiziaria. L’appello del Comune fa leva su due argomenti: a) l’Amministrazione dispone di un consistente potere discrezionale nella scelta della imprese da invitare ad una licitazione privata; b) la esclusione dell’appellata dall’elenco delle imprese da invitare non era priva di motivazione, posto che l’insussistenza di un rapporto di fiducia con l’Impresa in questione era determinato dalla qualità contenzioso instaurato dalla medesima nei confronti dell’Amministrazione. La tesi dell’Amministrazione va condivisa. Emerge infatti dagli atti di causa che l’attività difensiva posta in essere dal Comune nei confronti delle pretese avanzate in giudizio dall’Impresa non potevano in alcun modo giustificare gli attacchi all’istituzione ed ai suoi componenti effettuati dall’Impresa medesima. E’ sufficiente citare al riguardo gli addebiti di arroganza, pretestuosità, assenza di trasparenza e di correttezza. Le espressioni della totale disistima, fino al disprezzo, nutriti dall’appellata verso l’Amministrazione, che ha indotto quest’ultima a considerare la possibilità della querela penale, trovano puntuale riscontro nel ricorso di primo grado, sottoscritto dallo stesso titolare dell’Impresa ricorrente, dove le deliberazioni impugnate si definiscono “manifesta espressione di volontà di perseguire obietti di personale interesse, prevaricatori e di straripante preminenza nell’assetto amministrativo del Comune, volta come da decenni di pressoché indisturbata strumentazione degli organi necessari tramiti, ad adunche locupletazioni, realizzate per via di travisamenti consapevoli o di predicazioni ignoranti.”. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3209.

Le associazioni di mutuo soccorso - erogazione di servizi senza scopo di lucro - rapporti di lavoro tra i soggetti associati. Non può non rilevarsi che le associazioni di mutuo soccorso presentano una causa associativa che valorizza la erogazione di servizi, senza scopo di lucro, ai soci, e senza la costituzione di veri e propri rapporti di lavoro tra i soggetti associati che si scambiano le utilità reciproche. Nel caso in esame , l'attività richiesta combina in modo organizzato risorse umane professionalizzate e risorse materiali, per importi non trascurabili e secondo modalità che ricadono in pieno nella sfera di azione di soggetti associativi che operano legittimamente con fini di lucro sul libero mercato. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3208.

Affidamento da parte della stazione appaltante del servizio a trattativa privata - artt. 6 e 7 D. L.vo n.157/ 1995 - principio di sussidiarietà. Sulla base degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n.157 del 1995, la stazione appaltante può deliberare di affidare il servizio a trattativa privata, anche senza preventiva pubblicazione di un bando, ma in questo caso deve spiegare in modo analitico e ragionevole per quale motivo ricorrano i presupposti indicati dalle norme richiamate per poter ricorrere a tale schema , a carattere eccezionale. Il richiamo generico al principio di sussidiarietà è inconferente: se un'attività, a contenuto economico ma di interesse sociale, può essere utilmente svolta dai privati , in aree non strettamente riservate all'azione pubblica, ciò sta a significare che l'ente pubblico ove intenda promuovere tale attività, utilizzando risorse prelevate dal bilancio pubblico, deve comunque utilizzare strumenti contrattuali che rendano reale la concorrenza tra gli operatori che potenzialmente possono avere interesse a concorrere; e se ricorrono le speciali circostanze che giustificano il ricorso alla trattativa privata, la stazione appaltante deve rendere del tutto esplicite tali circostanze, anche per consentire agli altri operatori di esercitare una effettiva funzione di controllo. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3208.

Disciplina dei termini processuali - il regime di termini dimezzati - incarico di progettazione e della gestione dei rifiuti - attività di pubblico interesse. L’art. 19 della L. n. 135/97, assoggetta alla disciplina dei termini processuali in esso stabilita giudizi aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure sia di affidamento di servizi, quali sono quelle concernenti incarichi di progettazione, sia di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità. Nel caso che ci occupa, la decisione del Tribunale di applicare il regime di termini dimezzati prescritto dall’art. 19 è pienamente condivisibile. Il giudizio, infatti, verte sugli atti per l’affidamento di una concessione che ha per oggetto specifico sia la progettazione esecutiva, che la realizzazione e la gestione di strutture per lo smaltimento di rifiuti (una piattaforma e una discarica); caratterizzandosi, così, la fattispecie sotto il duplice profilo dell’incarico di progettazione e della gestione dei rifiuti e questa, alla stregua del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, “costituisce attività di pubblico interesse” (art. 1) e comporta la pubblica utilità delle opere e dei lavori ad essa strumentali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 2001 n. 5197). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3207.

La condizione di terzietà - dipendenti tecnici - commissione giudicatrice. La condizione di terzietà può considerarsi realizzata, indipendentemente dalla presenza di dipendenti tecnici della stessa Amministrazione appaltante nella commissione giudicatrice (circostanza consentita dalla legge: cfr. art. 21, c. 6, lett. c, L. n. 109/94), ogniqualvolta non vi sia coincidenza dell'organo che ha effettuato la valutazione comparativa delle offerte con quello competente ad approvare gli atti di gara e a disporre la conseguente aggiudicazione. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3207.

L'atto di convalida - funzione - retroattività della convalida - limite - sub iudice. L'atto di convalida, poiché ha la funzione di conservare gli effetti di un precedente provvedimento amministrativo attraverso la rimozione degli eventuali vizi da cui sia affetto, ha per sua natura efficacia retroattiva. La retroattività della convalida, tuttavia, trova limite, non nel mero esaurimento degli effetti dell’atto convalidato, bensì nell’irreversibilità delle situazioni giuridiche nel frattempo verificatesi, derivante da quei fatti giuridicamente rilevanti ai quali l’ordinamento la connette (quali, ad es., giudicato, prescrizione, decadenza, autotutela amministrativa). E nel caso che ci occupa non sono ipotizzabili situazioni irreversibili, per lo stesso fatto che l’intero procedimento scaturito dagli atti convalidati è sub iudice. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3207.

L’affidamento degli incarichi di progettazione - la capacità professionale dei progettisti - il criterio della “affinità degli incarichi illustrati nelle referenze con la tipologia dell’incarico in oggetto”. L’art. 17, c. 12, della L. 11 febbraio 1994 n. 109, nella parte applicabile al caso in esame, prescrive, per un verso, che l’affidamento degli incarichi di progettazione avviene “sulla base” dei curricula presentati e, per altro verso, che in ogni caso “le stazioni appaltanti devono verificare l’esperienza e la capacità professionale dei progettisti incaricati e motivarne la scelta in relazione al progetto da affidare”. Essa, pertanto, non impone di provvedere attribuendo rilievo esclusivo e determinante ai curricula, ma soltanto che il processo di valutazione comparativa dei concorrenti deve prendere le mosse dalla verifica del possesso, documentato attraverso i curricula, di capacità professionale adeguata all’incarico da attribuire (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2001, n. 4466). Va, ad ogni modo, considerato che, nella specie, il giudizio derivante dall’esame delle schede tecniche illustrative degli incarichi di edilizia (sanitaria) svolti in precedenza, effettuato alla stregua del criterio della “affinità degli incarichi illustrati nelle referenze con la tipologia dell’incarico in oggetto”, non ha altro significato che quello di riconoscimento, in varia misura, di tale affinità tra l’oggetto della progettazione da affidare e le opere da ciascun candidato già eseguite. Non implica affatto, diversamente da quanto l’appellante sostiene, alcun accertamento di quella specializzazione professionale in materia di recupero edilizio che ha, poi, determinato il Direttore generale a prescegliere il raggruppamento professionale controinteressato. Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3206.

L’interpretazione delle clausole contenute nei bandi di concorso e di gara - principi dell'affidamento - ambiguità delle clausole del bando. L’interpretazione delle clausole contenute nei bandi di concorso e di gara deve ispirarsi ai principi dell'affidamento e non deve ricercare significati impliciti o inespressi, oltre il loro tenore letterale (Cons. Stato, Sez. V, 30 maggio 1997 n. 582; id., Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 759). Anche quando il testo dovesse presentare qualche profilo di ambiguità, è preferibile una lettura che, allo stesso tempo, sia idonea a tutelare l’affidamento degli interessati di buona fede ed a favorire la più ampia partecipazione possibile. È onere dell’Amministrazione appaltante predisporre un bando di gara che sia chiaro ed esplicito in merito ai requisiti richiesti ai concorrenti, non potendo l’ambiguità delle clausole del bando andare a discapito delle imprese partecipanti (Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 1997 n. 1015). (Se, dunque, nella specie, l’Amministrazione intendeva prescrivere il requisito di un’adeguata esperienza nel servizio di pulizia in ambienti sanitari, avrebbe dovuto indicarlo chiaramente e non utilizzare la generica espressione di “lavori analoghi” a quelli oggetto dell’appalto). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3205.

 Il concorso di un organo incompetente nell’esame delle offerte - la mera segnalazione alla Commissione di gara di errori algebrici - Ufficio Tecnico Comunale legittimità dell’intervento correttivo. Anche prescindendosi dell’ambiguità ed equivocità della scarna annotazione dalla quale si è desunto il concorso di un organo incompetente nell’esame delle offerte, va, in ogni caso, osservato che dal rilievo sopra espresso si ricava chiaramente che l’intervento correttivo riscontrato, quand’anche svoltosi nei termini ritenuti dai primi giudici, si è risolto nella mera segnalazione alla Commissione di errori algebrici, e quindi in un’attività vincolata, e non nell’esercizio di potestà valutative o di controllo discrezionali. Al di là, pertanto, dall’assorbente considerazione che non è dato rilevare se le correzioni denunciate siano effettivamente riconducibili ad un organo diverso da quello titolare della potestà controversa e se le stesse (peraltro relative ad un numero esiguo di offerte) abbiano o meno alterato l’esito della gara, si osserva che, comunque, la correttezza sostanziale della medesima non solo non è stata pregiudicata dall’intervento dell’Ufficio Tecnico ma che, anzi, è stata da quello garantita, per mezzo dell’eliminazione di errori che avrebbero, quelli sì, potuto lederla e che, in ogni caso, la paternità delle determinazioni conclusive della procedura selettiva va senz’altro riferita, in difetto di elementi contrari, alla (e dunque all’organo titolare della relativa potestà di giudizio). Deve, quindi, concludersi nel senso dell’irrilevanza, ai fini della dedotta illegittimità del procedimento, dell’intervento correttivo eventualmente ascrivibile ad un organo incompetente. (Nella specie l’Ufficio Tecnico Comunale, durante l’esame delle offerte allegate agli atti, aveva riscontrato e corretto attraverso l’annotazione “correzione U.T.C.” degli errori algebrici consistenti nella mera indicazione di errori di calcolo nella somma degli elementi delle singole offerte). Consiglio di Stato Sezione V, sentenza 10 giugno 2002, n. 3200.

I requisiti di carattere morale e più in generale di affidabilità sotto il profilo dell'ordine pubblico (rispetto della normativa antimafia; regolarità della posizione contributiva; inesistenza di precedenti penali ostativi…) devono essere posseduti da tutte e da ciascuna delle imprese che partecipano ad un consorzio - la tipologia dei consorzi è ininfluente - prescrizioni inderogabili delle procedure ad evidenza pubblica. Una stabile giurisprudenza di questo Collegio ( C.d S.V. n.1367/1997; C.d S. V.n.3188/2001) sottolinea che i requisiti di carattere morale e più in generale di affidabilità sotto il profilo dell'ordine pubblico (rispetto della normativa antimafia; regolarità della posizione contributiva; inesistenza di precedenti penali ostativi,ecc,ecc) devono essere posseduti da tutte e da ciascuna delle imprese che partecipano ad un consorzio. In sostanza la tipologia dei consorzi è ininfluente rispetto all'ambito di applicazione , che deve essere generale, delle disposizioni che dettano i requisiti di legge per la partecipazione a gare pubbliche. (La questione, nel caso in specie, si poneva in quanto il Conscoop è un consorzio di cooperative di produzione e lavoro , costituito ai sensi della legge 25 giugno 1909,n.422: in base a tale legge ed al suo regolamento di attuazione, approvato con RD 12 /2/1911,n.278,i consorzi in questione sono costituiti mediante provvedimento amministrativo che conferisce loro personalità giuridica e sono sottoposti ai poteri di vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Peraltro, i consorzi di cooperative possono assumere anche altre forme giuridiche, a partire dalla configurazione societaria , direttamente disciplinata dal codice civile , ovvero da raggruppamenti di cooperative in cui il consorzio opera insieme alle altre cooperative, portando un suo specifico apporto tecnico-organizzativo). La diversa natura che i consorzi possono assumere, a seconda della normativa sulla cui base vengono costituiti, anche a fronte dell'evidente favor con cui il legislatore disciplina il fenomeno cooperativo, non giustifica comunque la possibilità di aggirare prescrizioni inderogabili, discendenti da principi di carattere generale che disciplinano le procedure ad evidenza pubblica. Non vi è dubbio che in carenza di prescrizioni specifiche o in presenza di clausole dubbie, l'interpretazione debba premiare una lettura delle stesse che dia il più ampio spazio alla partecipazione, nel rigoroso rispetto dei requisiti di ordine pubblico previsti dalla legge. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3185. (vedi: sentenza per esteso)

False autocertificazioni circa il possesso dei requisiti per l’ammissione agli appalti - causa di esclusione dalla gara. La non rilevanza di certi fatti non è rimessa all’apprezzamento soggettivo dell’impresa concorrente, che ha, in ogni caso, l’obbligo di dichiarare l’esistenza delle sentenze di condanna (nella specie precisamente: previsione della lett. c), per l’esistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.; previsione della lett. e), in quanto irregolarità definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse secondo la legislazione italiana; previsione della lett. m), configurandosi l’esistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti per l’ammissione agli appalti). Nella parte dispositiva del provvedimento, il diniego di aggiudicazione è pronunciato “avendo il legale rappresentante della ditta … falsamente false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti per l’ammissione agli appalti ai fini della partecipazione alla trattativa privata … l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 17, comma 1, lett. c) ed e) del d.P.R. 34/2000, come successivamente accertato sulla base del certificato del casellario giudiziale del medesimo.” Deve, perciò, riconoscersi legittimo il riferimento alla falsa autocertificazione, contenuto nella parte motiva, con il richiamo all’art. 17, lett. m), e nella parte dispositiva del provvedimento. La norma stabilisce che l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti per l’ammissione agli appalti si configura come causa di esclusione. L’omissione, nella quale è incorsa l’impresa, si atteggia appunto come dichiarazione non veritiera, cui, per ciò solo, come si è sopra anticipato, consegue l’esclusione. Né l’obbligo in esame può considerarsi limitato alle sole condanne riportate dopo l’entrata in vigore del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, cioè alla data del 1° marzo 2000. La sussistenza di un requisito, per l’accesso ad una qualsiasi posizione di vantaggio, può avere riguardo, di norma, a situazioni determinatesi nel tempo, e quindi anche preesistenti alla norma che il requisito pone. Nella specie, la disposizione fa riferimento alla moralità professionale dei soggetti concorrenti o di quelli che operano per essi. Si tratta, dunque, di una condizione acquisita nel corso dell’attività dispiegata da tali soggetti e le sentenze, sia se seguite ad un procedimento, per così dire, ordinario, sia se seguite alla richiesta di applicazione della pena, come previsto dall’art. 444 c.p.p., sono sintomatiche dell’esistenza di fatti che devono essere valutati dalla P.A., sicché non possono essere sottaciute, quale che sia l’epoca della loro pronuncia. Consiglio di Stato sezione V, 6 giugno 2002, n. 3183.

Procedure di appalto - la piena collegialità nelle operazioni della commissione di gara non è necessaria per le attività preparatorie. Secondo una parte della giurisprudenza, nelle procedure di appalto, la piena collegialità nelle operazioni della commissione di gara non è necessaria per le attività preparatorie, istruttorie e strumentali vincolate, tra le quali è ricompresa indubbiamente quella di acquisizione e valutazione degli elementi di fatto e di diritto sui quali, poi, l’intera commissione dovrà esprimere il suo giudizio tecnico discrezionale. Consiglio di Stato sezione V, 6 giugno 2002, n. 3182.

La commissione giudicatrice dell’appalto concorso - la violazione della lex specialis della gara - lettera d’invito - prescrizione tassativa - funzione tipica. Occorre premettere in fatto che la commissione giudicatrice dell’appalto concorso di cui si tratta, dopo aver escluso da valutazione il progetto offerta dell’associazione d’imprese appellante per la ritenuta mancanza degli elaborati di cui ai nn. 23, 24, 27, 28, 29, 31 e 34 dalla lettera d’invito, è tornata sulla sua decisione a seguito di migliore esame degli atti progettuali, dal quale è risultato che essi, sia pure diversamente numerati e denominati, recavano i contenuti tecnici degli elaborati prescritti. Il Tribunale ha ravvisato in tale comportamento la violazione della lex specialis della gara, stante la chiara ed espressa previsione della lettera d’invito, non suscettibile di alcuna interpretazione teleologica. Vengono in rilievo l’art. 3 e l’art. 7, comma 13, della lettera d’invito. Nel primo, che riguarda la “redazione del progetto”, sono indicati in un elenco numerato gli elaborati di cui il progetto-offerta dev’essere composto. Ad essi si riferisce anche il successivo art. 4 (“redazione dell’offerta”) quando precisa (comma 3) che “costituiscono parte integrante dell’offerta tutti gli elaborati progettuali di cui all’art. 3”. Nell’art. 7, recante “disposizioni di carattere generale”, si legge, poi, al comma 13, che “la mancata osservanza di alcune delle presenti disposizioni comporta l’automatica esclusione dalla gara, così come la mancata presentazione anche di uno solo degli elaborati richiesti”. Va messo in evidenza, peraltro, che all’elencazione di cui all’art. 3 non può essere attribuito valore di prescrizione tassativa né sotto il profilo quantitativo, né sotto quello qualitativo, in quanto essa si conclude con la previsione, al n. 52, di un elemento meramente potestativo, costituito da “ogni altro elaborato ritenuto, dal soggetto, necessario per la migliore esplicazione e comprensione della proposta progettuale”. Non va trascurato, inoltre, che, nella specie, il sistema utilizzato per la scelta del contraente è l’appalto concorso, la cui funzione tipica, com’è noto, è quella di permettere all’Amministrazione, quando l’opera da realizzare sia caratterizzata da particolare complessità o difficoltà tecnica, di scegliere tra più soluzioni progettuali od organizzative originali che siano espressione di speciale competenza professionale ed abilità inventiva, progettuale e costruttiva. Consiglio di Stato sezione V, 6 giugno 2002, n. 3182.

L’esclusione automatica dalle gare relative alla realizzazione di opere pubbliche di importo inferiore alla cd. soglia comunitaria delle offerte anomale - art. 21 legge n. 109 del 1994 - previsioni di bando idonee all’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse. Come è noto, la disposizione richiamata nell’art. 21, comma 1 bis, ultimo periodo, della legge n. 109 del 1994, disponeva l’esclusione automatica dalle gare relative alla realizzazione di opere pubbliche di importo inferiore alla cd. soglia comunitaria delle offerte anomale ed indicava direttamente, e in via transitoria con efficacia fino al 1.1.1997, i criteri di individuazione e di valutazione di tali offerte (che successivamente, al termine cioè della normativa transitoria, sarebbero stati stabiliti annualmente con un decreto del Ministro dei Lavori pubblici). L’art. 21 in parola, infatti, disponeva che: “fino al 1 gennaio 1997, sono escluse, per gli appalti di lavori pubblici di importo superiore od inferiore alla soglia comunitaria le offerte che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammesse”. Il termine del 1.1.1997 veniva prorogato fino al 1.1.1978 con l’art. 4 del D.L. 31.12.1996, n. 670, ma tale decreto non veniva convertito in legge (nè venivano emanate norme per disciplinare le fattispecie verificatesi nel periodo di vigenza del decreto legge). Il bando relativo alla gara indetta dal Comune di Cesate disponeva, in ordine alla individuazione delle offerte da valutare come anomale, che: “qualora fosse prorogata l’applicazione obbligatoria dell’esclusione dagli appalti delle offerte che presentino una percentuale di ribasso superiore al quinto della media aritmetica di tutti i ribassi di tutte le offerte ammesse, tale media sarà operata con riferimento ai ribassi di tutte le offerte ammesse considerate in termini assoluti e, cioè, con riferimento ai prezzi concreti offerti dalle singole imprese e non con riferimento alle percentuali di ribasso offerte dalle imprese ammesse. La media così ottenuta verrà ribassata del 20 per cento e l’importo risultante costituirà il limite invalicabile al di sotto del quale le offerte devono essere escluse”. Il T.A.R. correttamente premette che, cessato, al 1.1.1997, il regime transitorio posto dall’art. 21, comma 1 bis, ultimo periodo, della legge n. 109 del 1994, e decaduto il D.L. n. 670 del 1996, di proroga al 1.1.1998 di tale disciplina, l’amministrazione, nelle more dell’adozione da parte del Ministro dei Lavori Pubblici del provvedimento di fissazione della soglia di anomalia, poteva stabilire essa stessa, con proprie valutazioni discrezionali, i criteri per stabilire se talune offerte dovessero essere ritenute anomale e di conseguenza essere escluse dalla gara. Tale premessa è in linea con la giurisprudenza di questa Sezione (V, 11.5.1998, n. 226), secondo cui: “in linea di principio non sussistono, dopo il 1.1.1997, divieti o limiti normativi che impediscano all’amministrazione di adottare puntuali previsioni di bando idonee a colmare la (temporanea) lacuna dell’ordinamento in materia di esclusione automatica delle offerte anormalmente basse fondate sulla positiva indicazione, diretta o indiretta, della soglia di anomalia”. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3178.

Termini per l'impugnativa - decorrenza - la notifica individuale. La sola pubblicazione della delibera impugnata non è sufficiente a far decorrere i termini per l'impugnativa: opera infatti l'art. 2 del r.d. n. 642 del 1907, per il quale occorre la notifica individuale nei confronti dei soggetti che sono direttamente contemplati dall'atto. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3174.

Trattativa privata - griglia di criteri e di condizioni. Il ricorso alla trattativa privata non richiede , ove non prevista, l'espletamento di una previa gara ufficiosa: ove tuttavia la stazione appaltante decida di autolimitare la propria discrezionalità , prefigurando una griglia di criteri e di condizioni ai quali le imprese invitate devono attenersi, tale griglia diviene il parametro di riferimento al quale la stazione deve far riferimento nel processo di valutazione decisione che si conclude con la stipula del contratto. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3174.

Disposizioni concernenti l'ammissione alla gara - interpretazione. Opportuno in via preliminare ricordare che è senza dubbio corretto richiamare , in via generale, la giurisprudenza amministrativa secondo la quale le disposizioni concernenti l'ammissione alla gara vanno interpretate nel senso più favorevole all'ammissione anziché all'esclusione dei partecipanti e che tra le norme dei procedimenti di gara bisogna distinguere quelle di carattere puramente formale da quelle a carattere cogente. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2002, n. 3174.

Requisiti di ammissione alla gara - la certificazione di conformità del sistema di qualità aziendale alle norme UNI-EN-ISO 9001, ovvero in alternativa 9002 - raggruppamenti temporanei di imprese. L’art. 6 del bando prevede come requisiti di ammissione alla gara: “a) l’abilitazione alla installazione, manutenzione, realizzazione degli impianti elettrici ai sensi della legge n. 46 del 1990 e del D.P.R. n. 447 del 1993; b) la certificazione di conformità del sistema di qualità aziendale alle norme UNI-EN-ISO 9001, ovvero in alternativa 9002; c) un fatturato per il triennio 1996-1998 pari a due volte l’importo annuo dei canoni in abbonamento: Lire 1.305.000.000, Euro 673.976,26; d) referenze idonee di almeno un istituto bancario”. La disposizione stabilisce poi che nel caso di raggruppamenti temporanei di imprese “i requisiti di cui alle lettere a),b),c) devono essere posseduti dal raggruppamento nel suo complesso, il requisito di cui alla lett. d) è richiesto a ciascuna impresa associanda”. Il bando non poteva essere più chiaro sul punto. Quando chiede almeno una referenza bancaria dispone che il requisito è richiesto a “ciascuna impresa associanda”, negli altri casi, comprendenti anche la certificazione di qualità aziendale, il requisito deve essere posseduto dal complesso delle imprese che costituiscono il raggruppamento. Il T.A.R. ha ritenuto, invece, generica tale prescrizione del bando e specifica quella contenuta negli artt. 16 e 17 dello stesso bando che, secondo i primi giudici, richiederebbe che ciascuna impresa, anche quelle facenti parte di associazioni da costituire o già costituite, dovesse essere in possesso della certificazione UNI-EN-ISO. L’argomento è evidentemente erroneo. Gli artt. 16 e 17 del bando indicano il contenuto delle dichiarazioni che le imprese partecipanti alla gara singolarmente o in associazione, già costituita o da costituire, devono presentare in allegato alla istanza di partecipazione. Tra queste dichiarazioni le imprese devono indicare anche se sono in possesso, tra altri requisiti, anche della certificazione di conformità del sistema di qualità aziendale alle norme UNI-EN-ISO 9001, ovvero in alternativa 9002. Ciò, non vuol dire che il bando impone che tutte le imprese debbano essere provviste di tale dichiarazione. L’impresa che ne è sprovvista dichiarerà di non avere tale requisito. L’amministrazione verificherà, sulla base delle dichiarazioni rese dalle singole imprese, costituite in associazione o che abbiano dichiarato di volersi associare, se nel relativo raggruppamento almeno una di tali imprese sia in possesso del requisito e, in caso positivo, sarà tenuta ad ammettere il raggruppamento alla gara, in quanto l’art. 6 del bando richiede il possesso di tale requisito da parte dell’associazione nel suo complesso e non da ciascuna delle imprese che la compongono. In conclusione, i due appelli vanno accolti e la sentenza appellata, di conseguenza, deve essere riformata, mentre va respinto l’originario ricorso. (Nella fattispecie, il T.A.R. aveva ritenuto che l’A.T.I. costituita dalla Astro System e dalla Maw Campania dovesse essere esclusa dalla gara in quanto il relativo bando ammetteva anche la partecipazione di raggruppamenti temporanei di imprese, subordinando, peraltro, tale partecipazione, per quanto concerne il requisito dell’idoneità professionale allo svolgimento del servizio, al possesso, da parte di ciascuna impresa del raggruppamento, della certificazione di conformità del sistema di qualità aziendale secondo le norme UNI-EN-ISO 9001, ovvero in alternativa 9002). Consiglio di Stato, Sezione V, 3 giugno 2002, sent. n. 3071.

L’operazione di eliminazione degli estremi - c.d. taglio delle ali - finalità e calcolo. Il cosiddetto taglio delle ali persegue sicuramente l’intento di eliminare, alla radice, l’influenza che possono avere, sulla media dei ribassi, offerte manifestamente distanti dai valori medi. Il carattere del ribasso, così individuato, ha natura oggettiva, nel senso che riporta ad unica categoria anche più offerte, quando casualmente o meno, esse hanno la medesima misura. Ne segue che l’indicazione del dieci per cento delle offerte da escludere dalla media non deve intendersi in senso numerico soltanto, ma anche in senso logico. E’ impedito così che, a determinare il valore medio in questione, concorrano offerte che, per la loro oggettiva consistenza, siano identiche ad altra, ritenuta per definizione ininfluente o fuorviante, venendo, altrimenti, a mancare, nello scarto degli estremi, la funzione correttiva sostanziale sia del computo della media, sia del calcolo dello scarto aritmetico medio dei ribassi percentuali, cui sempre l’art. 21, comma 1-bis, fa riferimento (in senso conf.: V Sez. n. 3216 del 18 giugno 2001 e n. 6431 del 28 dicembre 2001). L’operazione di eliminazione degli estremi, di cui si tratta (definita brevemente con la formula: “taglio delle ali”), è regolata dalla disposizione dell’art. 21 comma 1 bis, legge 11 febbraio 1994, n. 109 e succ. mod.. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3068.

Sono legittimate sia le singole imprese riunite in associazione temporanea, all’impugnazione di atti relativi ad un procedimento di gara - sia la stessa società mandataria in persona della capogruppo - l’agente di un’impresa di assicurazione, in quanto titolare di un diritto di provvigione nei confronti della medesima impresa, è anche titolare del correlativo interesse legittimo a pervenire alla stipulazione del contratto - rapporto di agenzia - il broker di assicurazione non può essere assimilato all’agente. Questa Sezione ha recentemente confermato (n. 6451 del 28 dicembre 2001) l’orientamento interpretativo secondo il quale ciascuna impresa, già associata o in costituenda associazione, è titolare di un autonomo interesse all’impugnazione degli atti di una gara (C. si. 23 aprile 2001, n. 192; VI, 31 maggio 1999, n. 702; IV, 1° febbraio 1994, n. 83), in quanto titolare di un altrettanto autonomo interesse legittimo ad un corretto svolgimento della procedura. E’, invero, da ricordare che, come è stato da tempo statuito (cfr. V Sez., 12 novembre 1992, n. 1270; C. si. 19 dicembre 1980, n. 80), l’agente di un’impresa di assicurazione, in quanto titolare di un diritto di provvigione nei confronti della medesima impresa, è anche titolare del correlativo interesse legittimo a pervenire alla stipulazione del contratto e, quindi, ad impugnare, in sede giurisdizionale, i provvedimenti con i quali l’amministrazione si determina in favore di altra società. Per quanto si è sopra considerato, ben può quindi gravarsi contro il provvedimento di esclusione da una gara dell’impresa cui è legata dal rapporto di agenzia. E non va dimenticato che, ancora più recentemente (Cass. 26 agosto 1998, n. 8467), è stato ritenuto che, atteso che il broker di assicurazione non può essere assimilato all’agente, i contratti di assicurazione, stipulati per il suo tramite, sono da ricomprendere fra gli affari direttamente conclusi dalla compagnia e, come tali, non sottoposti al regime di esclusiva previsto dall’<accordo nazionale agenti di assicurazione>. Non può disconoscersi, perciò, l’interesse dell’agente ad impugnare la clausola in esame, perché suscettibile di mettere in discussione il suo compenso per la stipulazione e, poi, per l’esecuzione del contratto. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3064. 

Il mediatore di assicurazione - definizione e compiti - la clausola broker - sottoscrizione dell’accordo economico e gestionale - l’agente - i profili di assistenza esclusiva. Il mediatore di assicurazione è colui che esercita professionalmente un’attività volta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione dei soggetti, che intendano assicurarsi per qualsiasi rischio. A questi presta assistenza nel definire il contenuto del contratto e con essi può, eventualmente, collaborare per la loro esecuzione (art. 1 citato). La norma prescrive esplicitamente che il mediatore “non sia vincolato da impegni di sorta “ con le imprese di assicurazione. Il divieto recato dalla legge è chiaro. L’esclusione di vincoli derivanti da impegni di sorta comporta l’inibizione di rapporti contrattuali fra mediatore ed impresa assicuratrice, relativamente al contratto di assicurazione il cui contenuto partecipa a definire, perché assiste il cliente -cioè opera nel suo interesse- e perché può collaborare, poi, alla “gestione ed esecuzione” del contratto, sempre nell’interesse dell’assicurato. La clausola broker in esame - nel suo composito contenuto derivante da bando, norme di partecipazione e capitolato speciale - impone che prima dell’offerta - e a pena di nullità, e quindi di non ammissione alla gara - la compagnia di assicurazione, che intenda produrre un’offerta, sottoscriva un “accordo economico e gestionale” con il mediatore. Impone, perciò, una condizione contraria alla legge. La sottoscrizione dell’accordo nient’altro è, tenuto conto degli artt. 1325 sgg. Cod. civ., che la stipulazione di un contratto. E questo, per il suo contenuto e per i soggetti fra i quali è concluso, si configura come un impegno che vincola mediatore ed impresa assicuratrice, in spregio alla norma in esame. (Nella specie, tenuto conto dell’esibito contratto di brokeraggio che lega le due appellanti, si deve ritenere che la società di mediazione ha prestato assistenza per definire il contenuto del contratto da stipulare, per prescegliere il procedimento di gara più idoneo per individuare l’impresa di assicurazione e, successivamente, curerà tutti gli adempimenti connessi alla sua esecuzione. L’assistenza copre, in conclusione, tutta la gamma delle attività consentite dalla legge al mediatore). L’agente cura gli interessi di una o più società di assicurazione; il mediatore assiste l’altro contraente, e perciò ne cura i contrapposti interessi, per ottenere le condizioni migliori . Anche se il carattere prevalente della sua opera sembra quello mediatizio (art. 1754 cod. civ.), non sono da trascurare i profili di assistenza esclusiva nei riguardi dell’assicurando, prima, e dell’assicurato, poi, dopo la stipulazione. L’interesse del cliente del mediatore è, come si è detto, contrapposto a quello dell’impresa assicuratrice, sia in fase di trattativa, sia nella fase di esecuzione del contratto, e da ciò trae giustificazione il divieto per il mediatore di vincolarsi alle compagnie di assicurazione con impegni “di sorta”. Nell’ordinamento interno, con il recepimento della direttiva in esame, la l. 792/1984, con l’art. 16, ha modificato l’art. 3 della l. 7 febbraio 1979, n. 48, istitutiva dell’albo degli agenti di assicurazione. Questa norma vieta ai broker l’esercizio diretto o indiretto dell’attività di agente di assicurazione, e cioè di essere legato a qualsiasi compagnia di assicurazione, non solo a quelle che mette in relazione con i propri clienti, per quanto riguarda il procacciamento degli affari o la collaborazione all’esecuzione dei contratti, che sono le due tipiche attività degli agenti. Tutte le norme in esame mirano, in conclusione, ad evitare l’insorgenza di un conflitto di interessi, e cioè che sul mediatore - si possono qui indicare, per un’agevole comprensione, le questioni che sorgano dal pagamento dei premi o in sede di riconoscimento di sinistri risarcibili e di liquidazione delle indennità conseguenti - si concentrino la cura di quelli dell’assicurato e, sia pure in parte o indirettamente, quelli dell’assicuratore. Per tutte le considerazioni esposte, deve perciò riconoscersi come illegittima la condizione posta dall’Amministrazione appellante della previa sottoscrizione di un accordo, comportante obbligazioni a carico delle imprese assicuratrici direttamente nei riguardi del mediatore di assicurazione della stessa Amministrazione assicuranda. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3064. 

L’attività del broker. L’attività del broker è anche quella di prestare assistenza sia prima, sia dopo la conclusione del contratto. Sicché, quando si riconosce che la ratio del divieto è quella di scongiurare il pericolo che l’attività del broker possa agevolare una delle parti del rapporto contrattuale (che si è qui sopra indicato come situazione di conflitto di interessi), si deve anche riconoscere che questa ratio permane per tutta l’esecuzione del contratto, e perciò con riguardo a tutte le controversie che ne possono sorgere. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3064.

I criteri di aggiudicazione - la nuova disciplina - discrezionalità tecnica delle amministrazioni - limiti. L’articolo 23 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, aveva ridefinito i criteri di aggiudicazione, stabilendo che l’offerta economicamente più vantaggiosa era "valutabile in base ad elementi diversi, variabili secondo il contratto in questione, quali, ad esempio, il merito tecnico, le qualità, le caratteristiche estetiche e funzionali, il servizio successivo alla vendita, l'assistenza tecnica, il termine di consegna o esecuzione, il prezzo". La nuova disciplina, oltre ad eliminare ogni vincolo normativo che conferiva carattere prevalente all'elemento "prezzo", ha rimesso alla discrezionalità tecnica delle amministrazioni il potere di indicare l'incidenza da dare in concreto a ciascun elemento in relazione alle caratteristiche del servizio che forma oggetto del contratto. Configurando così un potere nel quale "il rapporto di valore dei singoli elementi individuati dall'amministrazione non è sindacabile dal giudice di legittimità, se non in quanto si riveli irrazionale o sia rivolto a porre condizioni di vantaggio per taluno dei concorrenti." ( Consiglio Stato sez. VI, 3 marzo 1999, n. 265). Pertanto, la rimodulazione delle clausole concernenti la valutazione delle offerte e l'attribuzione dei punteggi non necessitava di alcuna specifica motivazione. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3062.

La regolarità fiscale è una condizione attuale rilevante al momento della richiesta di partecipazione alla gara - la dichiarazione di no profit non sottrae all’adempimento degli obblighi fiscali - regime speciale semplificato - dichiarazione auto-attestativa - par condicio - perdita dei requisiti per il mantenimento del regime fiscale agevolato degli enti non profit. Il dichiarato carattere di azienda no profit, ovvero di associazione sportiva non commerciale, non poteva essere utilizzato per sottrarsi all’adempimento degli obblighi fiscali, vertendosi nell’ipotesi contemplata dall’art. 111 TUIR, ossia di attività resa non esclusivamente a favore dei soci o associati. L’attività dell’aggiudicataria rimaneva fiscalmente regolata dalla legge 16 dicembre 1991, n. 398 [recante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche], la quale ammetteva all’epoca l’accesso ad un regime speciale semplificato se i ricavi annui non avessero superato la soglia di circa 130 milioni di lire (cifra così fissata dal d.m. 10 novembre 1998). Inoltre l’art. 25, comma 1, della legge 133/99 stabiliva [con effetto però non retroattivo] che i proventi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali non concorrono alla formazione del reddito imponibile delle associazioni sportive che applicano il regime della l. 398/91 al di sotto degli accennati 130 milioni (l’opzione cesserebbe comunque di effetti nel momento del superamento del predetto tetto), purché però siano percepiti in via occasionale e saltuaria. Orbene i proventi dichiarati dall’associazione aggiudicataria non risultavano di carattere occasionale e saltuario, ed in definitiva sarebbe stata la stessa natura delle prestazioni, come specificate e richieste in capitolato, ad individuarne la loro natura commerciale. Ne conseguiva che il Comune non avrebbe dovuto attenersi alle dichiarazioni della concorrente, ma verificare se effettivamente fosse in concreto un soggetto esente dagli obblighi fiscali anzidetti. Ciò rendeva l’impugnato atto di aggiudicazione illegittimo, oltre che per le esposte violazioni di legge e la carenza di accertamenti istruttori, anche per difetto di motivazione. Tanto premesso, è vero che l’art. 12 del d.lg. 157/95, per il tramite del rinvio all’art. 11 del d.lg. 24 luglio 1992, n. 358, prevedeva l’esclusione dalla partecipazione alle gare per i concorrenti che non fossero in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti (nella versione sostituita dall’art. 10 del d.lg. 25 febbraio 2000, n. 65, è lo stesso art. 12 a recare direttamente una analoga previsione), ma non per questo può dirsi che l’Amministrazione appaltante doveva, o che comunque era nelle sue possibilità (con gli strumenti e le professionalità necessarie), esprimere giudizi circa la regolarità fiscale dell’associazione richiedente. Nel nostro sistema, nel cui ambito tra l’altro non è prevista una tipica forma di certificazione pubblica di regolare assolvimento degli obblighi fiscali, i controlli sul corretto adempimento dei predetti obblighi sono disimpegnati esclusivamente dagli organi competenti dell’Amministrazione tributaria, e la situazione non può ritenersi mutata solo per l’espletamento di una procedura di gara. Questo ovviamente non esclude che l’Amministrazione, pur prendendo atto della dichiarazione auto-attestativa dell’interessato, si attivi, anche senza fermare la procedura di gara, sollecitando gli organi competenti sul territorio affinché dispongano gli accertamenti del caso, in esito ai quali possono intervenire misure sanzionatorie di vario profilo (nei confronti della ditta che abbia reso dichiarazioni mendaci), nonché, se possibile, di carattere ripristinatorio nei confronti dei soggetti comunque danneggiati, ad esempio in relazione all’illegittima partecipazione ad una procedura di gara. Va però escluso il quadro immaginato dall’appellata, e condiviso dal Tribunale di prima istanza, dove è la stessa Amministrazione appaltante (per la quale a questo punto dovrebbe ipotizzarsi la possibilità di avvalersi di onerose consulenze esterne) a dover effettuare una valutazione di merito, seppur solo presuntiva o meramente indiziaria, circa la regolarità fiscale dell’impresa concorrente, sindacando quindi la veridicità della dichiarazione resa dalla ditta richiedente, con tutte le immaginabili conseguenze sulla celerità del dispiegarsi della procedura di gara. Ad avviso dell’appellata, che riconosce come questo ( e non dunque la possibilità di una ONLUS di partecipare alla gara, a norma del capitolato) sia l’aspetto chiave, che ha portato peraltro i primi giudici ad assumere la contestata decisione, a lei favorevole, il Comune di Caivano, a fronte della dichiarazione dell’aggiudicataria “di non essere tenuta all’adempimento degli obblighi relativi al possesso della partita IVA ed alla tenuta di contabilità”, avrebbe dovuto, per non incappare nella violazione diretta dell’art. 12 del d.lg. 157/95, oltre che del principio della par condicio tra i concorrenti, interpellare l’aggiudicataria e verificare se fosse effettivamente un soggetto esente dagli obblighi fiscali anzidetti. In sostanza il Comune avrebbe dovuto verificare, anzitutto, l’avvenuta manifestazione di volontà optativa per il regime agevolato (di cui all’art. 1 della l. 398/91), dopo di che, di fronte ad un riscontro positivo, accertare se la concorrente superasse il limite di proventi (per attività commerciali) previsto dalla normativa vigente per poter continuare ad usufruire dei benefici. In realtà bene ha fatto l’Amministrazione, che di certo non aveva né il potere né, tra l’altro, i mezzi per procedere alla verifica della regolarità della posizione fiscale dell’appellata in relazione a prestazioni pregresse, ad arrestarsi all’elemento dell’autocertificazione resa dalla medesima e, non da ultimo, alla mancanza di atti di accertamento tributario, adottati dagli organi competenti nei riguardi dell’aggiudicataria. Né di certo il ragionamento portato avanti dall’Organo di prime cure, in adesione alle censure dell’appellata, si appalesa convincente nella parte in cui, con non condivisibile visione prognostica, l’irregolare posizione fiscale dell’appellante è stata fatta discendere dal fatto che questi, una volta assunto il servizio, avrebbe perso la qualifica di ente no profit. La regolarità fiscale è una condizione attuale rilevante al momento della richiesta di partecipazione alla gara, non potendosi certamente procedere all’esclusione di un concorrente dalla gara solo perché, pur avendo esso dichiarato il possesso dei requisiti, si pronostica che li perderà in seguito. In ogni caso, anche qualora l’appellante perdesse i requisiti per il mantenimento del regime fiscale agevolato degli enti non profit, perché, in ipotesi, l’attività commerciale (non inerente ai fini istituzionali) venisse ad assumere portata prevalente, non sarebbe impedito alla medesima di sottoporsi al regime delle scritture contabili ed agli oneri fiscali dai quali in precedenza era esentata, senza che si possa incidere sulla posizione in gara già al momento della procedura selettiva, dando per scontato un esito (futura posizione fiscale irregolare) che scontato non lo è. Consiglio di Stato Sezione V, 3 giugno 2002, n. 3061. (Vedi: sentenza per esteso)

I titolari di impresa sono portatori di posizioni che l’ordinamento riconosce meritevoli di tutela rispetto ad atti suscettibili di restringere i loro margini di profitto - l’insediamento di nuovi impianti o esercizi - centro commerciale - legittimazione all’impugnativa. La giurisprudenza è costante nell’affermare che i titolari di impresa sono portatori di posizioni che l’ordinamento riconosce meritevoli di tutela rispetto ad atti suscettibili di restringere i loro margini di profitto (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 2000, n.2834; 6 ottobre 1999, n.1327). La tutela si concreta nella pretesa ad ottenere, se necessario mediante ricorso in sede giurisdizionale, che l’insediamento di nuovi impianti o esercizi avvenga nel rispetto delle regole poste dall’ordinamento. Come già osservato, è verosimile che il centro commerciale previsto dal piano impugnato potrà, in considerazione della sua ampiezza (superficie coperta di circa mq.41.000 su un’area di circa mq.200.000), esercitare la propria forza di attrazione sul territorio comunale. Pertanto, la legittimazione ad impugnarlo va riconosciuta a coloro che sono titolari di autorizzazioni commerciali nell’ambito dello stesso Comune, indipendentemente dalle dimensioni dell’esercizio e dalla sua ubicazione. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2921.

La commissione giudicatrice - è sempre consentito ad essa di rivedere il proprio operato correggendo gli errori in cui sia eventualmente incorsa - procedure di evidenza pubblica. Fin quando la commissione giudicatrice non perde la disponibilità degli atti di gara, a seguito della loro trasmissione all’organo competente ad approvarli, è sempre consentito ad essa di rivedere il proprio operato correggendo gli errori in cui sia eventualmente incorsa. Detta facoltà, invero, che sotto lo speculare profilo del buon andamento dell’azione amministrativa è configurabile altresì come dovere, è espressione del potere di autotutela spettante alla pubblica Amministrazione ed a ciascuno dei suoi organi, compresi quelli straordinari, quali, appunto, le commissioni preposte alle procedure di evidenza pubblica. (Nel caso in esame, l’errore di trascrizione del ribasso offerto dall’appellata risultava dagli atti, della cui integrità fa fede il verbale di gara e dei quali, in realtà, neppure la ricorrente lamentava la manomissione. Di qui l’irrilevanza del profilo di doglianza concernente la modalità non pubblica in cui l’accertamento dell’errore è stato eseguito. La commissione giudicatrice, dopo aver provvisoriamente aggiudicato la gara in questione alla ricorrente, su segnalazione dell’attuale appellata, è tornata sui suoi passi per verificare l’errore commesso nel trascrivere agli atti di gara il ribasso offerto da questa e, constatato l’errore, ha rinnovato le operazioni, pervenendo a nuova aggiudicazione, questa volta, in favore della controinteressata). Consiglio di Stato, Sez. V, 24 maggio 2002, n. 2863 e n. 2779. (vedi: sentenza per esteso)

L’aggiudicazione provvisoria non obbliga all’immediata impugnazione - termine per ricorrere. L'aggiudicazione provvisoria, in quanto atto preparatorio e non conclusivo del procedimento, non obbliga all’immediata impugnazione; questa può essere differita al momento in cui si ricorre contro l'aggiudicazione definitiva. Il termine per ricorrere contro l'aggiudicazione di un pubblico contratto, pertanto, decorre dalla piena conoscenza di quella definitiva, con la possibilità di far valere nel relativo giudizio anche i vizi propri di quella provvisoria (cfr. Cons. Stato, Sezione IV, 16 novembre 2000 n. 6128). Consiglio di Stato, Sez. V, 24 maggio 2002, n. 2863. (vedi: sentenza per esteso)

Vizio derivante dalla illegittima inversione cronologica dei due momenti del procedimento - rinnovo integrale del procedimento di gara concernenti l’affidamento di servizi - la ridefinizione postuma dei canoni valutativi - l’effetto ordinatorio e conformativo della pronuncia esecutiva non può assumere portata retroattiva - slittamento temporale” dell’aggiudicazione del servizio - risarcimento del danno. La possibilità di emendare il vizio derivante dalla illegittima inversione cronologica dei due momenti del procedimento (definizione dei criteri generali e successivo apprezzamento concreto delle offerte) va raccordata al rinnovo integrale del procedimento. Infatti, una volta conosciute le offerte dei concorrenti, la ridefinizione postuma dei canoni valutativi lascerebbe intatto il vizio. Nel rinnovo delle procedure di gara concernenti l’affidamento di servizi di durata, l’amministrazione deve tenere conto delle vicende sopravvenute, tanto più quando risulta concluso l’arco temporale cui si riferisce la procedura selettiva annullata. In tali eventualità, l’effetto ordinatorio e conformativo della pronuncia esecutiva non può assumere portata retroattiva, perché ciò sarebbe illogico e giuridicamente impossibile. Né, ovviamente, sarebbe possibile ipotizzare una sorta di “slittamento temporale” dell’aggiudicazione del servizio in favore della parte che abbia ottenuto una sentenza favorevole. In casi di questo genere, l’interessato non potrebbe pretendere mai l’aggiudicazione del servizio, ma, eventualmente, il solo risarcimento del danno. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2723.

Principio per cui le regole di gara stabilite nel bando vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione - significato delle clausole - opzioni ermeneutiche - tutela della par condicio dei concorrenti - lex specialis - requisito della capacità tecnica - l’incompletezza di alcuno dei documenti richiesti - la successiva integrazione dichiarazione non può essere reputata idonea a sanare ex post - documentazione dei servizi prestati a favore di Amministrazioni o enti pubblici - sanzione dell’esclusione - omessa tempestiva impugnazione del bando da parte del soggetto pregiudicato. Risulta, al riguardo, univocamente e costantemente affermato (vedasi Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 1999 n.141, Sez. IV, 18 giugno 1999 n.1041) il principio per cui le regole di gara stabilite nel bando vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione nel senso che questa deve limitarsi all’applicazione di quelle, senza che residui in capo all’organo competente alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione, segnatamente quando il significato delle clausole è chiaro ed insuscettibile di diverse opzioni ermeneutiche, e nella loro attuazione. Siffatto rigoroso orientamento, qui condiviso non ravvisandosi ragioni per mutare quel convincimento, viene, in particolare, giustificato con riferimento sia alla tutela della par condicio dei concorrenti, che sarebbe certamente pregiudicata ove si consentisse la successiva modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis, sia al rispetto del principio generale che vieta la disapplicazione del bando, quale atto con cui l’Amministrazione si è originariamente autovincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva. Tanto premesso in via generale, si rileva che l’applicazione alla vicenda in esame dei principi appena enunciati conduce alla conferma della decisione appellata e, in particolare, del convincimento, ivi espresso, circa l’illegittimità dell’ammissione alla gara dell’offerta presentata dall’odierno appellante, in quanto incompleta in ordine alla dichiarazione relativa alla capacità tecnica. A ben vedere, infatti, sotto il profilo dell’omessa indicazione degli importi e delle date dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni, viceversa espressamente prescritta dal bando, l’offerta presentata dal ricorrente risulta senz’altro carente ed insuscettibile di successiva integrazione, se non in violazione della regola di gara che, nelle disposizioni finali, sanziona con l’esclusione (tale dovendosi intendere la mancata ammissione ivi prevista) l’incompletezza di alcuno dei documenti richiesti (ivi compresa la dichiarazione relativa al possesso del requisito della capacità tecnica). Posto, pertanto, che, come già rilevato, nella riscontrata inosservanza della prescrizione colpita con l’esclusione, all’Amministrazione non competeva alcuna ulteriore potestà discrezionale nell'attuazione di quella sanzione, non può non osservarsi che dalla lettura della dichiarazione presentata dal ricorrente si ricava univocamente l’omessa indicazione di quelle informazioni chiaramente richieste dal bando di gara. Mentre, infatti, quest’ultimo esigeva la puntuale indicazione degli importi e delle date dei principali servizi prestati nel triennio di riferimento, nella dichiarazione allegata dall’odierno appellante entrambi i dati (importi e date) risultano assolutamente mancanti e non aliunde ricavabili, con la conseguenza che quell’offerta, per come formulata, andava sicuramente esclusa, in esecuzione della clausola sanzionatoria contenuta nelle disposizioni finali, per incompletezza, sotto i profili considerati, della dichiarazione relativa alla capacità tecnica. Né, infine, la successiva integrazione della predetta dichiarazione può essere reputata idonea a sanare ex post la lacuna riscontrata, sia in quanto violativa del regolamento di gara sia in quanto inammissibilmente lesiva della par condicio. Correttamente, pertanto, i primi Giudici hanno giudicato illegittima l’ammissione alla gara, sotto il profilo appena esaminato, dell’offerta del ricorrente, pronunciando il conseguente annullamento dell’affidamento del servizio a quell’impresa. Può, tuttavia, sinteticamente rilevarsi, per completezza, che la lettera del bando indica univocamente la necessità della documentazione dei servizi prestati a favore di Amministrazioni o enti pubblici mediante la produzione di certificati rilasciati e vistati da quelli e colpisce, altrettanto chiaramente, l’omessa prova, nelle predette forme, dell’attività pregressa con la sanzione dell’esclusione, come si ricava dalla formulazione generale della clausola finale dettata in proposito. La già rilevata necessità di un’applicazione rigorosa del bando imponeva, pertanto, al Comune di escludere l’offerta del ricorrente anche perché priva della prescritta documentazione dei servizi prestati in favore di Amministrazioni Pubbliche. L’omessa tempestiva impugnazione del bando da parte del soggetto pregiudicato dalle prescrizioni inosservate impedisce, infine, di riconoscere alcuna rilevanza, ai fini che qui interessano, alle ulteriori deduzioni svolte dall’appellante che, ove accolte, condurrebbero ad un’inammissibile disapplicazione del regolamento di gara (Cons. Stato, Sez. IV, 27 agosto 1998 n.568). Anche sotto questo profilo, pertanto, la censura va disattesa. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 maggio 2002, n. 2717.

La certificazione della regolare esecuzione dei lavori appaltati - la categoria OS21 - prescrizione del bando - la previsione di un requisito ulteriore per la partecipazione alla gara rispetto alla disciplina dell’art. 28 del DPR 34/2000 - impugnazione del bando di gara. La prescrizione del bando, proprio perché precisa che la equiparazione dei lavori oggetto dell’appalto ai lavori di cui alla categoria OS21 è limitata ai fini del rilascio della certificazione della regolare esecuzione degli stessi , non implica affatto la previsione di un requisito ulteriore per la partecipazione alla gara rispetto alla disciplina dell’art. 28 del DPR 34/2000 che , per lavori di importo inferiore ai 150.000 ECU, non richiede alcuna speciale qualificazione riconducibile alla natura dei lavori già eseguiti e si limita a prevedere per gli interventi su immobili vincolati che le imprese partecipanti abbiano svolto lavori “analoghi” .Del resto tale previsione è coerente con il disposto dell’art. 1 del medesimo regolamento che al, secondo comma , fissa l’obbligo della qualificazione solo per i lavori di importo superiore alla soglia di 150.000 ECU qui indicata. La precisazione contenuta nel bando assume, invece, un diverso significato perché specifica a quale tipologia di lavori potrà corrispondere la certificazione dei lavori appaltati dopo la loro corretta esecuzione ed ai fini della futura qualificazione del soggetto che tali lavori si è aggiudicato ed ha regolarmente eseguito. Alla stregua delle considerazioni che precedono l’appello va accolto con riforma della sentenza appellata ed annullamento degli atti impugnati in primo grado con l’unica ulteriore precisazione in ordine alla infondatezza delle eccezioni avanzate dall’Amministrazione appellata e dalla controinteressata che, trattandosi nel caso di specie di un’asta pubblica, dall’annullamento della esclusione della ricorrente in primo grado discende l’obbligo di rinnovare il procedimento esaminando anche l’offerta economica della impresa con l’adozione degli atti conseguenti all’esito della valutazione . Con il che è dimostrato l’interesse dell’appellante mentre non era necessaria alcuna impugnazione specifica del bando di gara che correttamente interpretato consentiva la partecipazione alla gara della impresa attuale appellante. Consiglio di Stato, Sez. V, 18 maggio 2002, n. 2700.

Mancata presentazione del relativo certificato giudiziale per il direttore tecnico e per tutti i soci in caso di società in nome collettivo - capacità tecnica delle imprese - certificati sul controllo di qualità. Non può condividersi la doglianza con la quale si assume che la Commissione di gara non avrebbe rilevato l’omessa allegazione all’offerta dell’aggiudicataria della indicazione del direttore tecnico e della mancata presentazione del relativo certificato giudiziale come richiesto dall’art. 12 lett. D del bando di gara e dall’art. 14 D. L.vo n.358/92. E’ pur vero che il bando di gara (punto 12 lett. D) richiedeva la presentazione del certificato giudiziale per il direttore tecnico e per tutti i soci in caso di società in nome collettivo (quale era la società eredi Carrara Benito), ma tale prescrizione in tanto poteva valere in quanto fosse presente nella società aggiudicataria un direttore tecnico, il che non risulta. Né d’altra parte l’invocato art. 14 richiede necessariamente la presenza del Direttore tecnico nella struttura delle imprese che partecipano alle gare per gli appalti pubblici di forniture (quale è quella in esame), in quanto detta disposizione si limita a prevedere che la capacità tecnica delle imprese possa essere fornita da una pluralità di elementi (elenco delle principali forniture effettuate negli ultimi tre anni, descrizione delle attrezzature tecniche, l’indicazione dei tecnici e degli organi tecnici che fanno parte dell’impresa, certificati sul controllo di qualità, controllo effettuato dall’amministrazione), prescrivendo che nel bando di gara o nella lettera di invito siano precisati quali di detti documenti e requisiti debbano essere presentati o dimostrati. Ma il bando della gara in contestazione si limitava a richiedere al riguardo il generico possesso di quanto previsto dall’art. 14 del D.L.vo n.358/92, come integrato dal D. L.vo n.402/98, senza indicare lo specifico documento o requisito richiesto per la partecipazione alla gara. Con la conseguenza che l’esclusione di una Ditta poteva avvenire per mancanza di idoneità tecnica ma non certamente per non prevedere nella struttura della società un direttore tecnico. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2582.

Esclusione da una gara ad evidenza pubblica (o da un concorso pubblico) - la posizione di interesse legittimo in questi casi - in linea di massima non vi sono controinteressati - appalto del pubblico servizio raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani - capacità tecnica dei concorrenti - normativa sull’albo nazionale delle imprese. A fronte di provvedimenti di esclusione da una gara ad evidenza pubblica (o da un concorso pubblico) in linea di massima non vi sono controinteressati a cui occorre notificare il ricorso al TAR, non essendo onere del ricorrente di seguire gli sviluppi del procedimento ed impugnare gli atti conseguenti ricercando i controinteressati successivi, salva la facoltà da parte di quest’ultimi di proporre l’opposizione di terzo (V. le decisioni di questa Sezione n. 592 del 24.5.1996 e n. 5092 del 26.9.2000). Ciò si fonda sulla sostanziale considerazione che nel momento in cui viene disposta l’esclusione, gli altri concorrenti non sono ancora titolari di una posizione di interesse legittimo alla conservazione degli atti del procedimento, situazione che invece si verifica dopo la conclusione del procedimento con l’aggiudicazione della gara o, nel caso di concorso, con l’approvazione della graduatoria e la nomina dei vincitori. Si osserva che la gara è stata indetta sulla base del decreto legislativo 17.3.1995 n.157, richiamato nel bando di gara e nella lettera di invito, trattandosi dell’aggiudicazione dell’appalto del pubblico servizio raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. L’art. 14 di detto decreto prevede che la dimostrazione della capacità tecnica dei concorrenti possa essere fornita da diversi elementi , tra cui l’elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari dei servizi, precisando che l’Amministrazione aggiudicatrice deve specificare nel bando di gara o nella lettera di invito quali fra i menzionati documenti o requisiti debbono essere presentati o dimostrati, senza poter eccedere rispetto all’oggetto dell’appalto. Per cui l’Amministrazione ha la facoltà di precisare i singoli requisiti prescritti per partecipare alla gara nell’ambito di quelli previsti da detto art. 14, con l’unico limite che quanto richiesto non sia eccessivo rispetto all’oggetto dell’appalto, con conseguente adeguata proporzionalità rispetto all’entità ed alla qualità del servizio da svolgere. Né sussiste violazione della normativa sull’albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti di cui al D.L.vo 5.2.1997 n.22, atteso la dimostrazione in ordine all’esperienza maturata nello specifico settore è aspetto che non viene preso direttamente in considerazione ai fini dell'iscrizione in detto albo, essendo prevista solo come eventuale l’esecuzione di opere o lo svolgimento di servizi nel settore in cui si richiede l’iscrizione o in ambiti affini (V. art. 11, comma 1 lett. D, D.M. 28.4.1998 n.406, adottato sulla base dell’art. 30 del D.L.vo n.22/1997). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2581.

I documenti ed i requisiti idonei a comprovare la capacità tecnica dei partecipanti alla gara in materia di appalti pubblici di servizi - capacità imprenditoriali - requisiti e presupposti. I documenti ed i requisiti idonei a comprovare la capacità tecnica dei partecipanti alla gara non attengono in via immediata e diretta alla qualità tecnica del prodotto o del servizio, ma solo alle capacità imprenditoriali ed alla rispondenza dell'attività a criteri di qualità predeterminati dalla normativa europea o comunque riconducibili a quest'ultima e, conseguentemente, l'art. 14 del D.L.vo n. 157 del 1995 regola, in materia di appalti pubblici di servizi, requisiti e presupposti che attengono alla qualificazione e non già al contenuto dell'offerta della singola gara, che attiene, invece, alla distinta e successiva fase della valutazione delle concrete proposte contrattuali. Consiglio di Stato Sezione V, 13 maggio 2002 n. 2580

La verifica dell’attendibilità e la congruità delle offerte è compito che spetta alla Commissione giudicatrice e non ad un ufficio dell’amministrazione appaltante - compiti dell’ufficio dell’amministrazione appaltante - vizi di ordine formale e vizi di carattere sostanziale - la tutela risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. Verificare l’attendibilità e la congruità delle offerte, sulla base delle giustificazioni presentate dai concorrenti, è compito che spetta alla Commissione giudicatrice e non ad un ufficio dell’amministrazione appaltante, anche se tale ufficio opera, ed è quindi specificamente competente, proprio nel settore al quale attiene l’oggetto della gara. L’ufficio può dare, se richiesti dalla Commissione giudicatrice, pareri di ordine tecnico, ragguagli sui prezzi correnti ed altri elementi utili per la valutazione delle offerte. Non può essere rimesso ad esso, invece, il giudizio definitivo sulla congruità delle offerte, allorché si è istituita un’apposita commissione giudicatrice. Nella impugnazione dei risultati di una gara, occorre distinguere il caso in cui l’interessato fa valere vizi di ordine formale che hanno come obiettivo quello di far cadere l’intera procedura ai fini di un rinnovo della gara, dal caso in cui fa valere vizi di carattere sostanziale, con il fine di ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione operata dall’amministrazione e la vittoria nella gara. Nel primo caso non esiste un interesse ulteriore rispetto a quello del ripristino della situazione preesistente di tal che l’unica forma di tutela possibile si risolve nell’annullamento della procedura. Nel secondo caso, invece, sussiste la concreta utilità che l’interessato avrebbe tratto dall’aggiudicazione in suo favore della gara se l’amministrazione avesse agito in modo legittimo. Dall’annullamento dell’aggiudicazione, conseguente alla verifica della fondatezza della domanda, consegue, in presenza degli altri presupposti che determinano l’applicabilità alla fattispecie concreta dell’art. 2043 cod. civ., anche la tutela risarcitoria. Questa potrà essere conseguita o in forma specifica, con l’aggiudicazione della gara all’interessato leso dall’illegittimo comportamento dell’amministrazione ovvero per equivalente, con l’attribuzione al soggetto leso di una somma di denaro che compensi il danno ingiustamente subito, ove la prima risulti troppo generosa per l’amministrazione. (Nella specie la domanda originaria della cooperativa ricorrente era esclusivamente diretta all’annullamento dell’intera gara (degli atti di gara e del provvedimento di aggiudicazione) e pertanto la richiesta di risarcimento avanzata dalla società appellante non ha fondamento). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 13 maggio 2002, n. 2579.

L’ammissione a gara per lavori pubblici di impresa che ha effettuato il sopralluogo previsto dall’art. 71 c. 2 D.P.R. 1999, n. 554 tramite di delegato con procura notarile del legale rappresentante della ditta concorrente - prescrizioni del bando di gara - interpretazione favor partecipationis - par condicio. La legittimità dell’ammissione a gara per lavori pubblici di impresa che aveva effettuato il sopralluogo previsto dall’art. 71 c. 2 decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 per il tramite di delegato con procura notarile del legale rappresentante della ditta concorrente, obiettandosi, da parte dell’appellante, che la contestata ammissione violerebbe la suindicata disposizione, il bando di gara nonché la par condicio fra i partecipanti. La norma invocata dall’appellante così recita: “l'offerta da presentare per l'affidamento degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici è accompagnata dalla dichiarazione con la quale i concorrenti attestano di avere esaminato gli elaborati progettuali, compreso il computo metrico, di essersi recati sul luogo di esecuzione dei lavori, di avere preso conoscenza delle condizioni locali, della viabilità di accesso, delle cave eventualmente necessarie e delle discariche autorizzate nonché di tutte le circostanze generali e particolari suscettibili di influire sulla determinazione dei prezzi, sulle condizioni contrattuali e sull'esecuzione dei lavori …..”. Il precetto non richiede, pertanto, la specifica partecipazione di un soggetto al sopralluogo, ma solo che l’operazione sia effettuata, anche da personale dipendente da impresa interessata, evidentemente a garanzia della serietà dell’offerta. La violazione del su riportato articolo 71 D.P.R. n. 554/1999 non è, in base alla semplice lettura della disposizione, invocabile per gli effetti prospettati dall’appellante. Neppure il bando di gara prescrive, a pena di esclusione, la partecipazione del legale rappresentante o del direttore tecnico, ma sancisce con l’eliminazione dalla platea delle offerte solo la mancata effettuazione del sopralluogo. In ogni caso, la formula usata nel bando va interpretata secondo il noto canone del favor partecipationis. L’effettuazione del sopralluogo da parte di soggetto investito del relativo potere tramite procura notarile e che, per l’effetto, agiva in nome e per conto del rappresentato, equivale, sotto un profilo giuridico, alla presenza di quest’ultimo all’incombente. Nessuna violazione della par condicio può desumersi dalla vicenda, essendosi l’impresa appellata limitata a eseguire, per il tramite di soggetto delegato, attività propedeutica alla presentazione dell’offerta alla stregua di quella di altri aspiranti. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2484.

Apertura delle buste delle offerte - requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa - esclusione dalla gara - incameramento della cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità - perentorietà del termine di 10 giorni entro il quale la documentazione deve essere presentata - la ratio di assicurare tempi brevi e certi - orientamento dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Dispone l’art. 10 comma 1 quater L. n. 109/94 cit. che “i soggetti di cui all’art. 2 comma 2 (della l. n. 109/94), prima di procedere alla apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10% delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro 10 giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione richiesta in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto alla Autorità per i provvedimenti di cui all’art. 4 comma 7 nonché per l’applicazione delle misure sanzionatorie di cui all’art. 8, comma 7”. Due considerazioni devono trarsi dal testo della disposizione citata: da un lato balza evidente che da un medesimo presupposto derivano tre conseguenze parallele ed autonome, nei loro contenuti, l’una dall’altra, e cioè l’esclusione dalla gara, l’incameramento della cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità: di qui l’ulteriore corollario che la mancata impugnazione dell’atto di esclusione vale soltanto a rendere definitiva l’ esclusione dalla gara della società interessata, senza che a questa sia precluso il diritto di contestare l’incameramento o di far valere le proprie ragioni innnanzi all’Autorità (cfr., sul punto, C.d.S. , VI Sez., 18 maggio 2001 n. 2780). Da un altro lato poi, va affermata la perentorietà del termine di 10 giorni entro il quale la documentazione deve essere presentata: come anche qui chiarito dalla decisione sopra citata (ma vedasi anche IV Sez., 6 giugno 2001 n. 3066). Innanzi tutto, su di un piano letterale, appare inequivoco nel senso indicato il fatto che “i soggetti aggiudicatori”, trascorsi i dieci giorni senza che la richiesta prova sia fornita, “procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità…”. A ciò fa riscontro l’evidente ratio di assicurare tempi brevi e certi prima della apertura delle buste delle offerte; né il termine può essere ritenuto irrazionalmente troppo breve perché i partecipanti alla gara ben conoscono le regole del gioco laddove queste prevedono un controllo preventivo a campione e quindi sono posti in grado di premunirsi tempestivamente per il caso che vengano sorteggiati. A non dissimili conclusioni è pervenuta peraltro l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (atto di regolazione 30 marzo 2000 n. 15), laddove si dice che “dalla formulazione del testo della norma e dalla ratio sottesa si evince che il termine di dieci giorni entro cui occorre documentare i requisiti indicati è da considerare perentorio ed improrogabile; nel senso che il suo obiettivo decorso, senza che il sorteggiato abbia fatto pervenire alla stazione appaltante la necessaria documentazione, implica l’automatico effetto della esclusione dalla gara, dell’incameramento della cauzione provvisoria e della segnalazione all’Autorità di vigilanza. Né assume rilievo l’effettivo possesso dei requisiti da parte dell’impresa, ovvero la documentazione degli stessi successivamente al decorso dei dieci giorni assegnati, dato che, per come è formulata la norma, rileva, al fine della produzione degli effetti indicati, il solo dato obiettivo e formale dell’inadempimento nel termine prescritto”. Resta salva, comunque, a giudizio dell’Autorità, una duplice attenuazione degli effetti di cui sopra, e, cioè, da un lato la non imputabilità all’impresa del ritardo, e, da un altro lato, ciò che riveste particolare importanza proprio perché è la stessa Autorità a contemplare la misura riparatoria, la possibilità per l’Autorità stessa, nell’esercizio dei suoi poteri sanzionatori ex art. 4 comma 7 L. n. 109/94, di tener conto della particolarità della situazione, e quindi di distinguere tra inadempimento tardivo e mancanza dei requisiti richiesti. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 8 maggio 2002, n. 2482. (vedi: sentenza per esteso)

La contestazione della legittimazione del ricorrente principale - la valutazione dell’ammissibilità delle censure proposte da un soggetto escluso dalla gara - ricorso incidentale - funzione meramente difensiva e conservativa - elementi del vincolo dell’interesse ad agire nel ricorso incidentale. La giurisprudenza ha ribadito che, la proposizione del ricorso incidentale costituisce il veicolo necessario ed insostituibile per contestare la legittimazione del ricorrente principale. Il controinteressato nei cui confronti sia stato proposto ricorso diretto alla sua esclusione da una gara pubblica per difetto di requisiti soggettivi richiesti deve proporre ricorso incidentale se vuole contestare l'ammissione alla gara del ricorrente (C. Stato, sez. V, 6 marzo 1990, n. 262). È certamente vero che, in linea di principio, la parte non ammessa a partecipare ad una procedura selettiva non è legittimata a proporre censure riguardanti l’ulteriore svolgimento della gara. Peraltro, tale principio, che non ha carattere assoluto, si riferisce alle ipotesi in cui si tratta di valutare l’ammissibilità delle censure proposte da un soggetto escluso dalla gara. In tal senso, si è ripetutamente affermato che il concorrente escluso dalla procedura selettiva non ha alcun interesse a contestare gli atti riguardanti la fase valutativa delle offerte stesse, se non ottiene la rimozione del provvedimento preclusivo della sua partecipazione. Per le stesse ragioni, una volta respinta la censura contro l’illegittima esclusione di un concorrente dalla gara, vanno dichiarate inammissibili (od improcedibili) le ulteriori censure riguardanti i punteggi attribuiti ai candidati. Si tratta però di criteri interpretativi che riguardano solo la proposizione del ricorso principale. Le stesse regole, invece, non possono trovare applicazione nell’ambito del ricorso incidentale, proprio in considerazione della sua funzione meramente difensiva e conservativa. Infatti, è certamente necessario verificare che il ricorrente incidentale abbia un interesse a proporre la propria impugnazione accessoria e subordinata. Ma il requisito va apprezzato secondo canoni diversi da quelli generalmente utilizzati per selezionare l’interesse alla proposizione del ricorso principale. Il vincolo dell’interesse ad agire nel ricorso incidentale si scompone in due elementi, l’uno di carattere negativo e l’altro di carattere positivo. Il primo, negativo, consiste nell’assenza di una lesione attuale, che si sarebbe dovuta far valere in via principale. Il secondo, positivo, concerne la lesione virtuale derivante dall’accoglimento del ricorso principale. La riscontrata ampiezza oggettiva del ricorso incidentale si collega anche ad una adeguata latitudine del requisito dell’interesse, che va riconosciuto in tutte le ipotesi in cui l’illegittimità denunciata è comunque idonea a paralizzare l’azione proposta con il ricorso principale. Molteplici esigenze di carattere sistematico portano a questo risultato interpretativo. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2468 (vedi: sentenza per esteso)

Ricorso proposto dal secondo classificato ad una gara - caso di fondatezza di entrambi i ricorsi (incidentale e principale) - ricorso incidentale - possibilità di partecipare al procedimento rinnovato dall’amministrazione. A fronte del ricorso proposto dal secondo classificato, diretto a contestare l’ammissione alla gara del vincitore, questi potrebbe a sua volta contestare l’ammissione alla selezione del ricorrente. In tale eventualità, in caso di fondatezza di entrambi i ricorsi, potrebbe apparire più congrua una decisione che, disponendo l’annullamento degli atti contestati, determini il rinnovo delle operazioni concorsuali. Il ricorrente incidentale, attraverso l’accoglimento della propria domanda otterrebbe comunque un risultato utile, consistente nella possibilità di partecipare al procedimento rinnovato dall’amministrazione. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2468 (vedi: sentenza per esteso)

Costi della gestione “ a regime” - piano di utilizzazione e manutenzione ordinaria e straordinaria allegato all’offerta - compensi aggiuntivi - lex specialis di gara. L’articolo 1 del capitolato speciale indica con chiarezza che “è compresa e compensata nell’appalto la gestione del complesso condotta - impianto di affinamento – impianto irriguo per due anni a partire dalla data di emissione del collaudo provvisorio”. Né si può affermare che i costi della gestione “ a regime” abbiano consistenza diversa da quella dei costi connessi alla utilizzazione provvisoria e debbano essere indicati nel piano di utilizzazione e manutenzione ordinaria e straordinaria allegato all’offerta. Si tratta, all’evidenza, di documenti diversi che devono essere entrambi completati ed allegati alla domanda di partecipazione alla gara. Non può essere attribuito rilievo nemmeno alla circostanza secondo cui l’articolo 35, comma 2, del capitolato speciale prevede che non potranno essere richieste dalla ditta appaltatrice compensi aggiuntivi, correlati allo svolgimento dell’attività di manutenzione. Al contrario, la previsione della lex specialis di gara si spiega proprio considerando che tale attività manutentiva rientra nell’oggetto dell’appalto. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2468 (vedi: sentenza per esteso)

La carenza dell’offerta dell’appellante - illegittimità della correzione delle clausole del capitolato - violazione della par condicio tra i concorrenti. La carenza dell’offerta dell’appellante non potrebbe essere superato da una correzione delle clausole del capitolato, effettuata in sede interpretativa, anche perché in tal modo si realizzerebbe una palese violazione della par condicio tra i concorrenti. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 maggio 2002, n. 2468 (vedi: sentenza per esteso)

Gestione dei servizi pubblici - competenze comuni/province - principio di trasparenza e di buona amministrazione. I comuni e le province, nell'ambito delle rispettive competenze, “possono gestire i servizi pubblici " tra l'altro " a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati". E’ appena il caso di ricordare come il modulo organizzativo della società mista rappresenti una delle forme ordinarie attraverso le quali si esplica la gestione diretta di un pubblico servizio. Tanto è vero che "il comune che abbia costituito una società per azioni per l'esercizio di servizi pubblici può affidarglielo senza bisogno di un atto di concessione o di una procedura concorsuale." (Consiglio Stato sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478). D'altro canto, la salvaguardia dei principi di trasparenza dell'azione amministrativa e della libertà di mercato, propri del diritto interno e di quello comunitario, è ugualmente garantita dalle modalità e dalle cautele che accompagnano la scelta del socio privato di minoranza. Tanto che questa "deve essere compiuta dal comune attraverso una apposita procedura concorsuale perchè il socio privato e' un socio "imprenditore" chiamato a svolgere mediante il suo apporto parte rilevante di un pubblico servizio e ciò esclude che l'amministrazione possa basarsi, nella scelta del socio, su generici apprezzamenti soggettivi e, comunque, di carattere fiduciario perché cio' escluderebbe i principi di buona amministrazione e trasparenza dell'azione amministrativa." ( Consiglio Stato sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192). Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 6 maggio 2002, n. 2418.

 Le varie tesi interpretative sull’interesse ad impugnare. Emergono, in giurisprudenza, diverse posizioni interpretative, sintetizzabili nel seguente modo: tesi tradizionale: l’impugnazione immediata del bando è circoscritta alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva; tesi della lesione necessariamente rinviata alla conclusione della procedura selettiva: il bando è impugnabile insieme all’atto concretamente lesivo (esclusione; aggiudicazione in favore di un altro concorrente); tesi della disapplicazione del bando contrastante con norme inderogabili, quanto meno nelle ipotesi in cui esse sono di derivazione comunitaria; tesi della necessaria impugnazione immediata di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti sulla definizione della lex specialis di gara; tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole clausole vincolanti per l’amministrazione o per i concorrenti; tesi che amplia l’onere dell’immediata impugnazione alle sole clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione (quali le modalità di presentazione dell’offerta); tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole prescrizioni del bando che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica (fra cui quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia); tesi che impone l’onere di immediata impugnazione delle clausole riguardanti la composizione, il funzionamento del seggio di gara, in quanto incidenti sull’autonomo interesse del concorrente. La Sezione ritiene che la soluzione tradizionale (indicata alla lettera A) ha il pregio di offrire, tuttora, un criterio certo, uniforme e, normalmente di facile applicazione, utile ad individuare i casi in cui le parti interessate hanno l’onere di immediata impugnazione del bando di gara. Detta conclusione appare, poi, in maggiore sintonia con i principi che governano il processo amministrativo e definiscono il requisito dell’interesse al ricorso. Peraltro, la Sezione è dell’avviso che gli stessi principi generali possano imporre un parziale ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare (ed esclusivo) riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara. Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura selettiva. Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo, ferma restando la facoltà (e non l’onere di proporre ricorso immediato contro il bando di gara). Consiglio di Stato, Sez. V, Ordinanza del 6 maggio 2002, n. 2406. (V. Ordinanza per esteso - rimette al parere dell’Adunanza Plenaria del C.d.S. la decisione dell’appello).

 Esclusione dell’impresa risultata aggiudicataria, la cui domanda di partecipazione era pervenuta priva dei sigilli di ceralacca apposti sulla busta esterna. Il motivo con in quale è stata dedotta la violazione del bando di gara, in relazione alla mancata esclusione dell’impresa, risultata aggiudicataria, la cui domanda di partecipazione era pervenuta priva dei sigilli di ceralacca apposti sulla busta esterna, è fondato. Va disattesa, infatti, l’interpretazione riduttiva, seguita dal primo giudice, secondo cui la perdita dei sigilli in ceralacca avrebbe provocato l’esclusione solo se riguardante la busta “interna” contenente l’offerta, perché si era prescelto il metodo dell’aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa. Il bando è chiaro nell’imporre la sigillatura con ceralacca anche per l’involucro “esterno” contenente, oltre la busta dell’offerta, la documentazione di corredo richiesta per l’ammissione alla gara. E la prescrizione non è priva di rilevanza. Va tenuto presente che, se è vero che il documento recante l’offerta deve essere pervenire assolutamente integro, affinché ne sia garantita la segretezza, a salvaguardia dell’oggettività e della serietà della procedura, rilievo non minore riveste la documentazione allegata alla busta “interna”, posto che la manomissione, soppressione o alterazione di un documento può provocare l’esclusione della concorrente, mentre la sostituzione o l’integrazione delle certificazioni può conferire la validità ad una offerta che sarebbe altrimenti da escludere. Proprio tali considerazioni, fra le altre, sono state poste a fondamento della decisione (Cons. St., Sez. V, 19 gennaio 1999, n. 40) invocata dall’appellante, e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi. La circostanza che, nel caso definito con tale pronuncia, anche la busta contenente l’offerta si presentasse priva dei sigilli in ceralacca e lacerata, non appare idonea a circoscrivere l’avviso espresso in tale occasione. Si è già accennato infatti come sia interesse di tutte le partecipanti che i plichi risultino assolutamente integri, perché si rivela inaccettabile l’attribuzione alla Commissione di gara di stabilire quale lacerazione sia influente e quale ininfluente ai fini della regolarità della procedura e del rispetto delle norme del bando. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2002, n. 2299

E’ illegittimo limitare la legittimazione di un soggetto, sostanzialmente leso da un bando al mero formalismo della presentazione di una domanda che, avrebbe comportato, comunque, la sicura esclusione - principio della economicità dei mezzi giuridici - illegittimità del bando di gara che ha richiesto un requisito di partecipazione molto più restrittivo di quanto fosse previsto dalla legge. Il Tribunale è consapevole del contrario orientamento del superiore giudice amministrativo che nega l’ammissibilità, per carenza di interesse, al gravame contro le clausole di un bando di una gara prodotto da un soggetto che non ha presentato la relativa domanda di partecipazione (cfr., CdS V 3 gennaio 2002 n. 6; CdS V, 3/11/200 n. 5903; V 3/4/2000, n. 1909; V, 4/11/96, n.1309.). Non appare, infatti, conforme alla piena esplicazione del diritto alla difesa (art. 24 Cost.), della libertà della iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e soprattutto dell’apicale principio di portata comunitaria della libera e massima concorrenza, limitare la legittimazione di un soggetto, sostanzialmente leso da un bando, al mero formalismo della presentazione di una domanda che, con riferimento alla fattispecie in esame, avrebbe comportato la sicura esclusione. Tanto anche in adesione al principio –introdotto dalla L. 241/1990 ed incentivato dalla successiva legislazione, attenta ad espungere gli adempimenti inutili o superflui (cfr., ad es., art. 4, lett d), L. 59/1997; art. 6, DL 357/1994 conv. L. 489/1994; art. 1, L. 537/1993)– del non aggravamento del procedimento amministrativo, applicazione diretta dell’ulteriore e generalizzante principio della economicità dei mezzi giuridici. Il bando dunque ha richiesto un requisito di partecipazione molto più restrittivo di quanto fosse previsto dalla legge di cui costituisce esplicazione, così penalizzando l’attuale ricorrente della cui legittimazione non si può dubitare alla stregua della normativa primaria richiamata. TAR Campania-Napoli, Sez. I Sentenza 18 aprile 2002 n. 2206 (vedi: sentenza per esteso)

 Partecipazione alla gara - ottemperanza alle norme sul lavoro dei disabili, pena l'esclusione - esenzioni - autocertificazione - lex specialis della gara - appello incidentale e diritto al risarcimento del danno - riserva di domanda risarcitoria. Il disposto di cui all’art. 17 della legge n. 68 del 1999 (e, quindi, il bando che vi si richiama) prevede, infatti, che “le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l'ottemperanza alle norme della presente legge, pena l'esclusione”. Ebbene, tali disposizioni vanno interpretate nel senso che, ai fini della partecipazione alla gara, sia sufficiente che venga resa (a pena di esclusione) la detta dichiarazione, attestante che l’impresa è in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili; nell’ipotesi di provvisoria aggiudicazione, l’impresa aggiudicataria deve, poi, essere invitata a certificare, sempre a pena di esclusione, l’ottemperanza alle norme medesime tramite i competenti uffici. In occasione, poi, dell’eventuale provvisoria aggiudicazione in suo favore, l’impresa stessa ben avrebbe potuto dichiarare di non essere tenuta, dato il ridotto numero di dipendenti (non contestato, peraltro, dall’appellante), al rispetto degli obblighi dalla stessa legge previsti solo per imprese con più di 14 dipendenti, eventualmente (ma non necessariamente, dal momento che tanto non è richiesto dal legislatore né dalla lex specialis della gara) autocertificando tale circostanza ovvero, e se possibile, munendosi della relativa certificazione (sempreché, naturalmente, gli uffici preposti siano in grado di rendere anche una certificazione di contenuto negativo allorché l’impresa abbia un numero di dipendenti inferiore rispetto a quello minimo previsto dalla legge per l’applicazione della stessa). Con l’appello incidentale svolto in calce alle proprie difese l’impresa appellata rileva che, nell’ipotesi in cui, nel prosieguo del giudizio, dovesse risultare l’esecuzione, totale o parziale, da parte della controinteressata, dei lavori oggetto della gara, ad essa appellante incidentale spetterebbe il diritto al risarcimento del danno per equivalente. Non si tratta, in effetti, di un vero e proprio appello, ma di una riserva di domanda risarcitoria correlata a fatti e circostanze eventuali (aggiudicazione della gara all’originaria ricorrente a seguito dell’ammissione della sua offerta; verificato possesso dei requisiti di partecipazione e della rispondenza al vero delle dichiarazioni rese etc.; parziale espletamento dei lavori da parte della controinteressata), ma che dovranno, a seguito di apposita, nuova domanda, essere prese in considerazione in separata sede. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2020.

Offerta anormalmente bassa - Direttive per la valutazione delle offerte anomale - esclusione. L’aggiudicazione provvisoria a favore del Consorzio (ricorrente) è stata annullata in quanto il Responsabile del progetto ha ritenuto insoddisfacenti le analisi e le giustificazioni fornite dal Consorzio in ordine all’anomalia dell’offerta proposta, avendo riscontrato quanto segue:

 -non erano state fornite le analisi dei prezzi relative alla categoria 1 (mano d’opera, trasporti e materiali), pur avendo offerto prezzi inferiori a quelli risultanti dal prezziario della Provincia;

-per la categoria 28 (impianti elettrici) non erano state fornite le analisi dei prezzi delle ultime quattro voci e per i restanti prezzi era impossibile verificare l’incidenza del costo orario della mano d’opera, mancando le indicazioni relative alla quantità del tempo impiegato;

-per le ultime tre voci della categoria 29, il costo della mano d’opera era inferiore al minimo previsto nella relativa tabella;

-l’utile d’impresa era molto inferiore a quello previsto (10%), pari al 3,945 %.

Le verifiche sono state effettuate in osservanza delle disposizioni stabilite nelle Direttive per la valutazione delle offerte anomale, le quali prescrivevano in caso di offerta anormalmente bassa la presentazione delle analisi di tutti i prezzi unitari offerti corredate da idonea documentazione, tranne nell’ipotesi in cui tra i prezzi da analizzare ci fossero delle descrizioni di voci identiche a quelle riportate nell’elenco dei prezzi informativi della Provincia vigenti al momento della pubblicazione del bando di gara e se l’impresa intendesse applicare per dette voci dei prezzi unitari uguali o superiori a quelli riportati nell’elenco stesso. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 17 aprile 2002, n. 2019.

Valutazione degli elementi tecnici dell’offerta - istituzione di una commissione - interesse ad impugnare - fatto legittimante - esclusione dalla gara - valutazione dei costi - apporto consultivo alla commissione di due dirigenti della stessa amministrazione - principio di libertà delle forme. La resistente è stata esclusa dalla gara e perciò il suo interesse a sindacare lo svolgimento di essa si può riconoscere, sia con riguardo all’aggiudicazione, sia con riguardo all’ammissione di altri concorrenti, unicamente ove essa ottenga una pronunzia di illegittimità, per effetto della quale la sua partecipazione doveva invece essere tenuta ferma. E’ la partecipazione alla gara che costituisce il fatto legittimante, che radica nell’impresa concorrente l’interesse ad impugnarne l’esito, potendo mettere in discussione una fase o l’intero procedimento. Venuto meno il titolo a partecipare, l’interesse manca e non si possono dedurre vizi relativi alla posizione dell’aggiudicatario (cfr. V Sez. 6.6.2001, n. 3079 e 4.11.1996, n. 1309; IV Sez. 12.2.1996, n. 323). L’istituzione di una commissione, “per la valutazione degli elementi tecnici dell’offerta”, cioè della validità delle soluzioni tecniche proposte dalle imprese concorrenti. Non fa presumere che la commissione sia stata composta da persone che fossero anche in possesso della necessaria competenza in materia di valutazione dei costi, ma la stessa indicazione della Giunta fa concludere per l’acquisizione dell’apporto di tale collegio limitatamente alla prima fase dell’esame delle offerte, cioè quella della sola offerta tecnica, da presentare in separata busta sigillata. Ciò posto, non appare illegittimo l’operato della commissione di gara, che ha inteso avvalersi dell’apporto specifico di due dirigenti della stessa amministrazione per la valutazione delle giustificazioni rese dalle imprese, valutazione che ha poi fatto propria. Non sussisteva alcuna preclusione, invero, in ordine alla possibilità di affidare specifici apprezzamenti o approfondimenti a terzi, e tanto meno a funzionari della stessa amministrazione procedente. Né, come si vedrà, appaiono giustificate, data la complessità e l’accuratezza della relazione fatta alla commissione, perplessità sulla competenza di coloro che hanno assolto tale compito. (Si rileva che era stata istituita una commissione tecnica per la valutazione degli elementi tecnici delle offerte; che poi, lette le offerte economiche e stabilita la soglia di anomalia, all’esame delle giustificazioni non procedeva la commissione tecnica, la quale era da ritenere dotata delle specifiche competenze per le valutazioni connesse all’esame di molteplici voci dell’offerta, ma provvedevano due dirigenti, senza alcun atto formale di nomina). Il principio di libertà delle forme non consente di condividerle, posto che non sono rinvenibili norme o clausole del bando, né vengono individuate dalla parte, che prescrivano le formalità che si pretende dovrebbero essere osservate. Ribadito, poi, che si tratta di un apporto consultivo di cui la commissione di gara poteva avvalersi, anche se impropriamente è da essa definito “provvedimento”, va, in punto di fatto rimarcato, che la relazione è debitamente sottoscritta e che la lettura delle sue conclusioni, riportata a verbale, e la conseguente deliberazione di ritenere o negare l’anomalia delle offerte economiche, non possono che far concludere nel senso che la commissione ha condiviso e fatto proprie le considerazioni e le analisi ivi riportate. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 17 aprile 2002, n. 2018.

Finanziamenti o sovvenzioni pubbliche - il destinatario vanta sia un interesse legittimo e sia un diritto soggettivo - istituti della revoca - decadenza - risoluzione - giurisdizione esclusiva - la riserva di giurisdizione - provvedimenti di autotutela. Il destinatario di finanziamenti o sovvenzioni pubbliche vanta, nei confronti dell’autorità concedente, una posizione tanto di interesse legittimo (rispetto al potere dell’amministrazione di annullare i provvedimenti di attribuzione dei benefici per vizi di legittimità ovvero di revocarli per contrasto originario con l’interesse pubblico), quanto di diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento ed alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere); con conseguente competenza del giudice ordinario a conoscere delle controversie instaurate o per ottenere gli importi dovuti (ma in concreto non erogati come nel caso di specie), ovvero per contrastare l’amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo (cfr. Cass. sez. un., 10 maggio 2001, n. 183; Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2000, n. 1765; Cass. sez. un., 12 novembre 1999, n. 758; sez. un., 5 settembre 1997, n. 8585). La posizione del privato nella fase procedimentale successiva al provvedimento di concessione del contributo ha ad oggetto il pagamento integrale delle somme originariamente accordate, e questo anche considerando applicabile la norma divisata dall’art. 5, l. n. 1034 del 1971 (non interessata in parte qua dalla recente riforma recata dalla l. n. 205 del 2000), che individua un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessione di beni pubblici nel cui genus può annoverarsi il denaro, bene mobile fungibile per eccellenza (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4255; sez. IV, 19 luglio 1993, n. 727; Cass. sez. un., 3 dicembre 1991, n. 12966). Il secondo comma dell'articolo 5, infatti, fa salva la giurisdizione piena del giudice ordinario per tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato (canoni, indennità, corrispettivi, cfr. ex plurimis, Cass. sez. un., 11 gennaio 1994, n. 215; 10 dicembre 1993, n. 12164). In tali fattispecie, infatti, opera la riserva di giurisdizione prevista in favore del giudice ordinario dal medesimo art. 5 cit., controvertendosi in materia di semplice pagamento di somme di denaro, giacchè all’autorità non è attribuito alcun potere di valutazione, ma solo (come nel caso di specie) il controllo formale di determinati adempimenti contabili, sicché il destinatario è titolare di un diritto soggettivo perfetto all’erogazione (Cass. 18 febbraio 1997, n. 1483; 22 maggio 1995, n. 5604; 26 gennaio 1994, n. 727; 8 marzo 1994, n. 2224). Allo stesso modo quando la sovvenzione risulti accordata e trovi la sua fonte immediata ed esclusiva nel provvedimento di attribuzione (come verificatosi nella presente fattispecie, cfr. il disciplinare regionale di concessione del contributo che richiama le norme di attuazione dei programmi cofinanziati dalla C.E.E.), assumendo così natura convenzionale, dato che consegue all’adesione del beneficiario alle condizioni fissate dall’autorità procedente, la posizione di quest’ultimo ha consistenza di diritto soggettivo a fronte della contraria posizione assunta dall’ente pubblico che non provvede alla materiale erogazione della spesa o che faccia valere fatti sopravvenuti mediante provvedimenti di autotutela (cfr. ex plurimis, Cass. 11 maggio 1998, n. 4751; 5 settembre 1997, n. 8585; 22 ottobre 1997, n. 10373; 23 aprile 1996, n. 3819; 10 agosto 1996, n. 7405). Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 11 aprile 2002, n. 1990.

Ammissione all'esclusione dalla gara - impugnazioni delle prescrizioni - termine di decadenza - risultanza della lex specialis della gara e sua prevalenza. Le prescrizioni che attengono all'ammissione ovvero all'esclusione dalla gara - e, più in generale, ai criteri di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento di quest'ultima - contenute nel bando devono essere impugnate, se lesive dell'interesse del partecipante, nel termine di decadenza decorrente dall'effettiva conoscenza delle stesse - solitamente quindi, dal momento in cui si presenta domanda di partecipazione o direttamente l'offerta - (cfr. Cons. St., sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 397; sez. V, 22 marzo 1999, n. 302; sez. V, 11 gennaio 1999, n. 1757). La lex specialis della gara, infatti, è quella che risulta dalle prescrizioni contenute nel bando e nella lettera di invito, che addirittura prevalgono sul contenuto della delibera di indizione della gara stessa (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 29 agosto 2001, n. 4572; Cons. Stato sez. V, 4 marzo 1998, n. 241). Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 11 aprile 2002, n. 1987.

Motivazione - ricavabilità da altri atti del procedimento - sicura conoscenza - legittimità. Non sussiste difetto di motivazione allorchè la motivazione sia ricavabile da altri atti del procedimento di cui l’interessato abbia avuto sicura conoscenza, anche se non espressamente richiamati nel provvedimento impugnato. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. del 10 aprile 2002, n. 1924.

Criterio di effettività nell’esecuzione dei lavori - D.P.C.M. n. 55 del 1991. La normativa di cui al D.P.C.M. n. 55 del 1991 intende, invero, individuare un criterio di effettività nell’esecuzione dei lavori tale da consentire alle imprese che realizzano lavori distribuiti in un arco di tempo pluriennale di utilizzare, ai fini della partecipazione alla gara, i lavori che, pur non essendo compresi in stati di avanzamento approvati dalla direzione dei lavori, sono comunque stati realizzati ed assumono quindi rilevanza ai suddetti fini. Non si può pretendere, come vorrebbe la ricorrente, che la stazione appaltante, in mancanza di altri elementi, prenda in considerazione la voce “rimanenze” evidenziata nei bilanci, dando per scontato che gli “acconti” si riferiscono a lavori già eseguiti. Il requisito richiesto dal bando non deve essere semplicemente “posseduto” ma anche “dimostrato” con sufficiente chiarezza ed immediatezza; la perizia disposta dal T.A.R. giunge alla conclusione che nella sostanza la ricorrente era in possesso della richiesta cifra d’affari, ma ciò grazie a sforzi interpretativi nonché alla documentazione ed ai chiarimenti forniti dalla ricorrente nel corso dell’istruttoria. Allo svolgimento di tale attività aggiuntiva, anche per rispetto del principio della par condicio dei partecipanti alla gara, non era sicuramente tenuto il Provveditorato alle opere pubbliche per le Marche. Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza del 10 aprile 2002, n. 1924.

Principio della separazione fisica dell’offerta economica dal resto della documentazione amministrativa - esigenza di obiettività e di imparzialità nella disamina dei requisiti di partecipazione e dei relativi documenti probatori - condizione di estraneità all’Amministrazione aggiudicatrice – l’illegittimità della nomina della commissione dispiega il proprio effetto invalidante nei confronti di tutti i conseguenti atti della procedura di gara. I documenti necessari alla qualificazione dei concorrenti ad una gara d’appalto di opera pubblica devono essere prodotti ed esaminati separatamente rispetto all’offerta economica, in quanto il fine di garantire un ordinato svolgimento della gara e tutelare nello stesso tempo l’esigenza di obiettività e di imparzialità nella disamina dei requisiti di partecipazione e dei relativi documenti probatori può essere conseguito solo se le verifiche documentali siano effettuate in una fase antecedente a quella in cui si conoscerà l'ammontare delle offerte economiche (Cons. Stato, IV, 27 novembre 2000, n. 6306). Del resto è proprio il sistema prescelto di asta (offerta segreta da confrontarsi con un prezzo minimo palese) a pretendere la segretezza dell’offerta economica, nel senso che pur essendo destinata la provenienza di una certa offerta da un determinato soggetto a divenire palese nel corso della seduta pubblica, ciò non comporta che la commissione debba essere messa in grado di conoscere senza il minimo sforzo il contenuto dell’offerta economica prima ancora di aver valutato l’ammissibilità della partecipazione dell’offerente. La condizione di estraneità all’Amministrazione aggiudicatrice appare elemento imprescindibile posto a guardia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, cosicché il diverso presupposto di eleggibilità alla carica di consigliere comunale, accompagnato dalla non copertura di cariche di carattere politico e sindacale, assume rilievo aggiuntivo ed ulteriore, non alternativo o sostitutivo, rispetto al predetto status di estraneità. (Nella fattispecie l’Amministrazione comunale appellante con lo stesso bando di gara ha sì nominato quale presidente della commissione di gara il responsabile del Settore lavori pubblici, ma al tempo stesso, in evidente violazione dell’art. 17 del regolamento per la vendita dei beni immobili e patrimoniali del Comune di Lerici (il quale stabilisce che la Commissione di gara, composta di tre membri, è presieduta dal responsabile del servizio e che gli altri due membri sono nominati tra soggetti qualificati, estranei all’amministrazione, che abbiano i requisiti per l’eleggibilità alla carica di consigliere comunale, ma che non ricoprano cariche di carattere politico e sindacale), non ha scelto i restanti membri tra soggetti estranei all’Amministrazione, trattandosi nell’un caso (ed è la fattispecie più eclatante) del responsabile del Settore servizi finanziari del Comune di Lerici, nell’altro di un consulente comunque in forza presso il medesimo settore amministrativo). Né la rilevanza del profilo di doglianza in questione può essere esclusa per ragioni di tardività, non potendo attribuirsi alla nomina della commissione, e quindi alla relativa previsione del bando di gara, portata direttamente ed immediatamente lesiva, in quanto clausola non preclusiva della partecipazione alla gara da parte dell’aspirante, al quale, nella specie, l’acquisita posizione di soggetto legittimamente escluso dalla procedura non impediva d’altra parte di contestare previsioni generali del bando (non dunque gli atti di gara e la definitiva l’aggiudicazione, rispetto ai quali si è trovato ad essere titolare di un mero interesse di fatto), seppur in prima battuta non lesive, a tutela dell’interesse strumentale alla ripetizione della procedura. Nondimeno l’appurata illegittimità della nomina della commissione dispiega il proprio effetto invalidante nei confronti di tutti i conseguenti atti della procedura di gara. Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza del 10 aprile 2002, n. 1971.

Esclusione dalla gara - specifico interesse alla conservazione del provvedimento di esclusione - impugnazione in appello dell’esecuzione - carattere esecutivo dello jussum judicis - acquiescenza preclusiva dell’impugnazione a norma dell’art. 329 c.p.c. - tutela in appello di una situazione di vantaggio. E’ principio acquisito che la possibilità di appellare non è negativamente incisa dall’esecuzione, anche se volontaria, della sentenza di primo grado, esecutiva ex art. 33 l. 1034/71. L’atteggiamento di volontaria esecuzione, infatti, in quanto coatto in relazione al carattere esecutivo dello jussum judicis, non costituisce condotta sintomatica, in termini di spontaneità, della volontà dell’interessato di accettare il contenuto del provvedimento a lui sfavorevole. Non è per conseguenza ravvisabile un’acquiescenza preclusiva dell’impugnazione a norma dell’art. 329 c.p.c. In tal senso è legittimato ad intervenire chi dopo l’esclusione di altro concorrente sia risultato vincitore, o comunque piazzato in posizione utile, di un concorso o di una gara, così acquisendo uno specifico interesse alla conservazione del provvedimento di esclusione e, per l’effetto, dell’esito finale della procedura selettiva. In precedenti occasioni, inoltre, questo Consiglio, con argomentazioni del tutto condivisibili, ha affermato che è ammissibile l’intervento nel giudizio di appello di soggetti che non hanno avuto una posizione di parte formale nel processo amministrativo di primo grado, qualora essi possano subire anche indirettamente pregiudizio dalla decisione dell’appello o possano tutelare una situazione di vantaggio attraverso la definizione della controversia (Cons. Stato, A.P., 19 febbraio 1988, n. 2; VI, 5 maggio 1995, n. 420; 5 settembre 1996, n.1197; 15 giugno 1999, n. 800). Del resto il mancato intervento di un giudicato precludeva, in ogni caso, l’utilizzazione dell’istituto dell’opposizione di terzo (ammessa nel processo amministrativo a partire da C. Cost. 17 maggio 1995, n. 177). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 10 aprile 2002, n. 1960. (vedi: sentenza per esteso)

Termine di presentazione delle offerte nelle pubbliche gare - lex specialis - data, ora e luogo di ricevimento delle offerte - par condicio - causa di forza maggiore - ritardo ingiustificabile - scadenza del termine utile. Il termine di presentazione delle offerte nelle pubbliche gare è certamente uno degli elementi essenziali da specificarsi nella lex specialis. Tale termine viene di norma prescritto dalle Amministrazioni committenti a pena di decadenza (e comunque come tale va interpretato, in mancanza di espressa previsione contraria), per evidenti ragioni di funzionalità, certezza, ragionevolezza e, non certo da ultimo, par condicio dei concorrenti. La specificazione dell’ora e del luogo di ricezione delle offerte, oltre a rispondere ad esigenze di certezza e parità di trattamento, costituisce esplicazione di un potere organizzativo eminentemente discrezionale, e pertanto limitatamente sindacabile. Nel caso di specie, l’Amministrazione, una volta autolimitatasi relativamente a data, ora e luogo di ricevimento delle offerte, visto che la mancata presentazione dell’offerta in tempo utile e nel luogo previsto da parte delle attuali appellate è elemento incontestato, non aveva alcun margine di scelta circa la non ammissione delle imprese medesime, non rispettose del termine. Né il Comune poteva dar rilievo, in ossequio alla par condicio, alla eventuale limitatezza temporale dello sforamento, dovendosi necessariamente salvaguardare chi aveva presentato la propria offerta tempestivamente, e tener conto, altresì, di coloro che potevano aver spontaneamente rinunciato alla presentazione dell’offerta in quanto consapevoli della scadenza del termine utile. Le motivazioni addotte dall’appellata a sostegno del ritardo, relativamente a presunti problemi di parcheggio e dell’ascensore , non possono poi integrare quella causa di forza maggiore che sola sarebbe - in teoria - idonea a giustificare il ritardo, ma che dovrebbe essere nondimeno tale da impedire in maniera assoluta, e soprattutto per tutti i concorrenti, il rispetto del termine di presentazione delle offerte, il quale - occorre ribadire - deve ritenersi inderogabile e non può essere disatteso, pena altrimenti la violazione del principio fondamentale della par condicio (cfr. Cons. Stato, V, 25 gennaio 1995, n. 130). A fronte di un termine per la presentazione delle offerte preciso, inderogabile e ben conosciuto, che non comportava un particolare aggravio procedimentale, stava alle imprese partecipanti, fatti salvi i casi eccezionali riconducibili alla forza maggiore, predisporre le adeguate misure organizzative in modo da ottemperarvi con tempestività. Deve anzitutto tenersi conto della possibilità, nel regime dei pubblici appalti, di introdurre, come nella specie in sede di lex specialis, previsioni specificative, che rispondano adeguatamente ai generali principi della certezza, ragionevolezza e parità di trattamento. Tali prescrizioni e specificazioni aggiuntive possono comportare, indirettamente, l’integrazione delle normali attribuzioni degli addetti ai competenti uffici, salva la contestazione degli esiti attestativi con gli ordinari mezzi disponibili a tutela dell’integrità e veridicità delle attestazioni pubbliche. Detto questo, non può non rilevarsi ancora una volta come, con riferimento alla fattispecie in argomento, il ritardo nella consegna fosse circostanza assolutamente pacifica e comprovata, non da ultimo, dalle stesse giustificazioni addotte da parte delle appellate. Né il Comune poteva dar rilievo, in ossequio alla par condicio, alla eventuale limitatezza temporale dello sforamento, dovendosi necessariamente salvaguardare chi aveva presentato la propria offerta tempestivamente, e tener conto, altresì, di coloro che potevano aver spontaneamente rinunciato alla presentazione dell’offerta in quanto consapevoli della scadenza del termine utile. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 10 aprile 2002, n. 1960. (vedi: sentenza per esteso)

Fideiussione bancaria o assicurativa in alternativa al versamento della cauzione del 2% dell’importo dei lavori - regime autorizzatorio di tali soggetti - violazione della par condicio in caso di sostituzione un elemento carente nell’offerta - esclusione. Il tenore testuale dell’art. 30 della legge 109/1994 (che esplicitamente richiede la prestazione di una “fideiussione bancaria o assicurativa ”in alternativa al versamento della cauzione del 2% dell’importo dei lavori ) e dell’art. 107 1° e 3°comma del D.P.R.554/1999 (che riservano in modo inequivoco alle banche ed istituti autorizzati all’esercizio dell’attività bancaria nonché alle imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio di tale attività , rispettivamente, la prestazione delle garanzie bancarie ed assicurative). In forza di tali disposizioni, dirette evidentemente ad assicurare la massima affidabilità degli operatori chiamati a garantire la cauzione per le ipotesi in cui non sia direttamente versata, non vi è dubbio che la prestazione della garanzia in questione da parte di una società di intermediazione finanziaria non sia consentita. Diverso è, infatti, il regime autorizzatorio di tali soggetti, chiamati a conservare e gestire patrimoni mobiliari con intenti anche speculativi, per i quali era stata prevista l’assimilazione agli istituti bancari ed assicurativi nel testo sottoposto dal Governo all’organo di controllo che ne ha però decretato la non conformità alle norme richiamate non ammettendo al visto la relativa disposizione (Corte dei Conti Sez. controllo Stato n.40 dell’otto maggio 2000). Né può essere assecondata la tesi difensiva secondo cui la prestazione della garanzia di cui trattasi in modo irregolare potrebbe essere sanata in un secondo momento con una sostanziale equiparazione alle irregolarità formali, per le quali può sopperire l’intervento del responsabile del procedimento con la richiesta di rettifiche o integrazioni alla documentazione versata in gara. Si tratta ad avviso del Collegio di una fattispecie ben diversa: l’offerta non è completa e non soddisfa gli elementi essenziali richiesti dall’ordinamento per l’accesso alle gare ad evidenza pubblica, la prestazione di una garanzia non idonea perché non corrispondente ai requisiti richiesti dalle disposizioni suindicate integra, in definitiva, una ipotesi di mancanza nell’offerta della prestazione di una cauzione così come disposto dal legislatore e conseguentemente determina l’esclusione del concorrente. Vi sarebbe lesione della parità di condizioni tra i partecipanti se fosse ammessa l’integrazione documentale in un caso in cui non si tratta di documentare un requisito sussistente fin dall’ingresso in gara ma provato in modo inadeguato, ma invece, di sostituire un elemento carente nell’offerta. Per queste ragioni deve essere ribadito l’orientamento della Sezione espresso nella decisione richiamata nelle difese dell’appellante ( Sez. V .5101 del 26 settembre 2000).Parimenti priva di rilievo è l’ulteriore considerazione svolta nell’appello circa il comportamento tenuto dal Comune intimato in altre gare: a fronte delle disposizioni sin qui esaminate non vi era possibilità di ragionevole incertezza sulle caratteristiche dei soggetti abilitati a rilasciare le polizze fideiussorie di cui trattasi. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1876.

Collaborazione tra enti locali per la gestione di servizi pubblici mediante convenzione - necessità della sussistenza del c.d. nesso funzionale - assetto normativo vigente - la gestione dei servizi pubblici (Comuni e Province) ex testo unico degli enti locali n. 267/2000 - forme di gestione - ricorso all’azienda speciale - affidamento a terzi - limiti - gestione convenzionata dei servizi pubblici locali - disciplina nazionale e comunitaria. La facoltà dei comuni di estendere l'attività della propria azienda di servizi al territorio di altri enti locali, previa intesa con i medesimi, ai sensi dell'art. 5 d.p.r. 4 ottobre 1986 n. 902, non può ritenersi esclusa a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 24, 1º comma, l. 8 giugno 1990 n. 142, che disciplina l'ipotesi di collaborazione tra enti locali per la gestione di servizi pubblici mediante convenzione, ma anzi ne costituisce una delle possibili modalità attuative (C. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 477). È però necessario verificare la sussistenza di un adeguato nesso funzionale tra l’azienda ed il diverso, ulteriore, territorio in cui essa è chiamata ad operare. In tal senso si è chiarito che l'assetto normativo vigente, rendendo evidente la stretta ed indissolubile correlazione tra le funzioni che è chiamata ad assolvere l'azienda speciale, quale ente strumentale del comune e la tutela degli interessi di cui sono portatori i cittadini residenti nel comune medesimo, escludono lo svolgimento di attività da parte dell'azienda all'esterno del territorio comunale, al di fuori dei termini e delle modalità particolari previste dalle speciali disposizioni richiamate in tema di convenzioni e consorzi (C. Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 432; C. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 477). In altri termini, l'azienda municipalizzata di un comune può anche estendere il proprio servizio in un altro comune, ma a patto che ciò realizzi un'integrazione funzionale della propria attività con quella del comune vicino, sicché vengano in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell'ente che l'ha costituita; pertanto, il comune non può «spogliarsi» semplicemente di un servizio in favore di un'azienda istituita da un comune viciniore (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 475). Nello stesso senso, la Sezione ha chiarito che l'estensione dell'attività di un'azienda speciale al di fuori del territorio del comune che l'ha costituita richiede sia la rigorosa osservanza di quanto stabilito dall'art. 24 della l. 8 giugno 1990 n. 142 e dell'art. 5 del d.p.r. 4 ottobre 1986 n. 902 (affidamento del servizio in modo coordinato fra i due comuni convenzionati), sia l'esistenza di un «collegamento funzionale» fra le attività svolte nel territorio de comune d'origine e quelle svolte nel territorio dell'altro comune, in modo che l'attività dell'azienda risponda comunque agli interessi della collettività stanziata sul territorio del comune di origine (C. Stato, sez. V, 11 giugno 1999, n. 631). L’articolo 22, comma 3, della legge n. 142/1990 (applicabile nella presente vicenda sostanziale e comunque recepito nel testo unico degli enti locali n. 267/2000), prevede che “i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme: a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale”. Il ricorso all’azienda speciale è quindi sempre consentito, alla sola condizione che il servizio abbia rilevanza economica ed imprenditoriale. Dunque, non sembra affatto necessaria una apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, una volta dimostrato che il servizio presenta tali caratteri oggettivi. Al contrario, una motivazione di maggiore latitudine diventa necessaria quando il comune stabilisce di affidare la gestione del servizio a soggetti terzi. In tali casi, vano evidenziate le specifiche ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale. L’articolo 24 della legge n. 142/1990, poi, regola la gestione convenzionata dei servizi pubblici locali, secondo la seguente disciplina. “1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, i comuni e le province possono stipulare tra loro apposite convenzioni. 2. Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.” La struttura convenzionale non richiede particolari motivazioni ed è anzi incoraggiata dal legislatore. Pertanto, in presenza di oggettive esigenze di coordinare le attività di comuni vicini, l’affidamento del servizio all’azienda di un altro ente locale, previa stipulazione di un’apposita convenzione, non richiede affatto una motivazione analitica e complessa. La giurisprudenza amministrativa ha più volte sottolineato la particolarità delle determinazioni in materia di moduli di gestione dei servizi pubblici, anche in rapporto all’ampiezza della motivazione richiesta. Ai sensi della direttiva Cee del consiglio 18 giugno 1992 n. 50 e del d.leg. 17 marzo 1995 n. 157, di recepimento della stessa, è sottratto alle norme sulla tutela della concorrenza il momento deliberativo nel quale il comune, scegliendo tra varie alternative offerte dall'art. 22, l. 8 giugno 1990 n. 142, decide di avvalersi, per la gestione di un servizio di sua esclusiva competenza, di un'azienda speciale già attiva presso altro comune (T.a.r. Piemonte, sez. II, 30 aprile 1998, n. 177). La motivazione della opzione compiuta, pertanto, non richiede una analitica individuazione degli aspetti economici delle diverse alternative, ma esige solo una puntuale indicazione dei presupposti sostanziali della scelta. Analogamente, si è affermato che il ricorso alla società per azioni quale forma di gestione di un servizio pubblico locale (nella specie, delle farmacie comunali) è sufficientemente motivato per relationem col riferimento al piano industriale elaborato per la costituenda società, col quale si individuano gli obiettivi e le modalità di sviluppo del servizio, nonché le misure organizzative per renderli raggiungibili (T.a.r. Emilia-Romagna, sez. I, 13-07-1998, n. 271). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1875 (così anche Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002 n. 1874). (vedi: sentenza per esteso)

Clausola della lettera d'invito - termine massimo di presentazione delle domande - particolari effetti degli oneri formali - impugnabilità autonoma - lex specialis di gara e condotte delle imprese concorrenti. La clausola della lettera d'invito circa il luogo e il termine massimo di presentazione delle domande di partecipazione ad una gara per l'aggiudicazione di un contratto attiene a formalità che in via di principio non incidono direttamente e immediatamente sulla sfera giuridica dei concorrenti; pertanto, tale clausola è impugnabile solo unitamente al provvedimento di esclusione dalla gara, in quanto solo in quel momento la lesione diviene concreta ed effettiva (C. Stato, sez. IV, 20-10-1998, n. 888). In senso contrario, la giurisprudenza più recente della Sezione ha affermato l’immediata lesività delle prescrizioni del bando che impongono determinati oneri formali alle imprese partecipanti: in un appalto pubblico, si deve intendere immediatamente lesiva e, quindi, autonomamente impugnabile quella clausola del bando di gara o della lettera d'invito che prescriva, a pena d'esclusione, l'esibizione di un documento o di un attestato (nella specie, il certificato dei carichi pendenti) che la stazione appaltante potrebbe acquisire d'ufficio, posto che, in tal caso, l'inutile aggravio del procedimento amministrativo consiste non già nella mera presentazione di detto certificato - il cui reperimento potrebbe anche non essere di per sé gravoso - bensì nella gratuita costrizione dell'impresa a rendere di pubblico dominio vicende private che essa potrebbe voler non divulgare e nella circostanza che, ove queste ultime vengano rese note, potrebbero esporla ad un giudizio d'inaffidabilità fondato su vicende penali in cui essa potrebbe esser stata incolpevolmente coinvolta (C. Stato, sez. V, 11-05-1998, n. 225). Nella specie, la previsione della lettera di invito che stabilisce le modalità esclusive di presentazione dell’offerta incide sull’interesse dell’impresa a partecipare alla selezione attraverso modalità diverse da quelle indicate nella lex specialis di gara. Infatti, l’autonomia dell’interesse dell’impresa partecipante alla gara si manifesta, in particolare, tutte le volte in cui le prescrizioni del bando fissano regole che segnano un’incidenza, diretta od indiretta (ma sempre determinante) sulle condotte delle imprese concorrenti, già rilevanti all’interno dello svolgimento della selezione. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1857. (vedi: sentenza per esteso)

Composizione del seggio di gara - illegittimità di carattere formale o procedimentale - interesse all’impugnativa - vizi estrinseci del procedimento - lesione rinnovata - mero interesse procedimentale. Nell’ipotesi in cui il bando evidenzi illegittimità di carattere formale o procedimentale, attinenti alla composizione del seggio di gara, oppure alla disciplina della sua attività (in seduta pubblica o segreta), l’interesse all’impugnativa si manifesta immediatamente, perché il ricorso mira a denunciare dei vizi estrinseci del procedimento. In questa prospettiva, il gravame non è condizionato, in modo apprezzabile, dal concreto svolgimento dell’iter, o dalla sua conclusione. In tale eventualità, semmai, il concorrente intende proteggere l’interesse alla trasparente dialettica con il seggio di gara: la posizione differenziata e strumentale al corretto svolgimento della selezione si connette strettamente alla libertà negoziale ed alla tutela del fisiologico confronto concorrenziale con le altre imprese. Ammettendosi l’impugnazione del bando differita e contestuale alla proposizione del ricorso contro l’aggiudicazione, si permetterebbe a tutti i concorrenti, diversi dall’aggiudicatario, di vanificare in radice l’attività compiuta. In tali casi, manca la possibilità di una lesione rinnovata al momento della chiusura del procedimento ad evidenza pubblica. Infatti, la clausola riguardante le modalità formali di svolgimento della gara, se non fosse immediatamente lesiva, non lo sarebbe nemmeno in un momento successivo. Poiché la prescrizione del bando ha per oggetto la protezione di un mero interesse procedimentale, non sarebbe neppure configurabile una posizione di interesse legittimo tutelabile. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1857. (vedi: sentenza per esteso)

Principio del divieto di aggravio del procedimento - applicabilità e limiti - legge n. 241/1990. Il principio del divieto di aggravio del procedimento, codificato dalla legge n. 241/1990, intende evitare che l’iter amministrativo subisca rallentamenti o costosi appesantimenti burocratici. Ma la regola non impedisce affatto che l’amministrazione possa porre a carico dei privati coinvolti nel procedimento particolari oneri di carattere formale, purché ragionevoli, opportunamente comunicati o pubblicizzati agli interessati. In tali casi non si verifica alcun aggravamento del procedimento, che risulta, al contrario, disciplinato da regole più chiare e trasparenti, dirette a delineare le modalità temporali del successivo sviluppo procedimentale. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1857. (vedi: sentenza per esteso)

Prescrizioni dei bandi di gara o delle lettere di invito - interpretazioni - senso più favorevole alla maggior partecipazione alla gara - senso meno favorevole alle formalità inutili - inosservanza - esclusione dalla gara - par condicio dei concorrenti - criterio teleologico. Le prescrizioni dei bandi di gara o delle lettere di invito vanno interpretate, quando possano dar luogo a dubbi o possano essere intese in più d'un modo, sia nel senso più favorevole alla maggior partecipazione alla gara sia nel senso meno favorevole alle formalità inutili (C. Stato, sez. V, 01-02-1995, n. 160). L'inosservanza delle prescrizioni del bando di gara circa le modalità di presentazione delle offerte, implica l'esclusione dalla gara stessa solo quando si tratti di prescrizioni rispondenti ad un particolare interesse della p.a. appaltante, o poste a garanzia della par condicio dei concorrenti; tuttavia, in presenza di una espressa comminatoria di esclusione della domanda di partecipazione alla gara, in conseguenza del mancato rispetto di determinate prescrizioni, non è consentito al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione, dato che il c.d. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello formale, nel senso che può essere utilizzato solo nel caso in cui una determinata formalità non sia prevista espressamente a pena di esclusione (Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 21-11-1997, n. 500). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1857. (vedi: sentenza per esteso)

Prescrizione - spedizione dell'offerta mediante raccomandata - certezza della data di spedizione e arrivo e l'identità del plico (registrato). In materia contrattuale, la prescrizione, contenuta nella lettera di invito, della spedizione dell'offerta mediante raccomandata non rappresenta una previsione di formalità arbitraria o superflua, ma attiene all'esigenza di assicurare la certezza della data di spedizione e arrivo e l'identità del plico (registrato), con l'intervento di organo estraneo all'amministrazione che deve curare la gara, che si aggiunge così all'intervento dell'organo interno della stessa amministrazione (protocollo di arrivo) (T.a.r. Emilia-Romagna, sez. II, 8 gennaio 1990, n. 9). Sul piano oggettivo, il sistema di recapito postale incentrato sull’avviso di ricevimento risulta ben diverso dalla corrispondenza espressa e fornisce una prova diversa (generalmente più sicura) dell’avvenuta consegna del plico spedito. Senza dire che, in ogni caso, tutte le prescrizioni formali hanno una valenza essenzialmente strumentale: non avrebbe senso limitare la rilevanza della violazione ai soli casi in cui risulti violata anche una diversa prescrizione sostanziale. In altri termini, non potrebbe giovare all’appellata la dimostrazione della circostanza oggettiva della tempestiva produzione dell’offerta, una volta appurato che essa è stata inviata secondo modalità diverse da quelle imposte dalla lettera di invito. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 4 aprile 2002, n. 1857. (vedi: sentenza per esteso)

Oggetto dell’appalto - requisito soggettivo per la partecipazione alla gara - capacità tecnica della impresa - illegittimità dell’esclusione. Se è vero dunque che l’oggetto dell’appalto (va rilevato che era lo stesso bando (non oggetto di impugnativa) a fissare come requisito soggettivo per la partecipazione alla gara di avere “gestito” nel triennio trascorso “impianti di depurazione con capacità volumetrica di acqua trattata pari ad almeno 10.000 mc/giorno”) non era circoscritto alla attività di depurazione delle acque, nondimeno il bando si è correttamente ispirato alla normativa comunitaria in tema di appalti di pubblici servizi (recepita con il D.Lgs n. 157/1995) la quale, per favorire la fine dei monopoli di fatto e l’accesso al mercato degli appalti pubblici di nuovi soggetti, non richiede affatto che la capacità tecnica dei concorrenti sia comprovata dal pregresso svolgimento di “servizi identici”. E poiché la capacità tecnica della impresa che sia risultata aggiudicataria dell’appalto deve essere valutata alla stregua delle prescrizioni contenute nel bando, è indubbio che la S.r.l. GI.MA Industria - la quale aveva dimostrato con idonea documentazione di avere gestito nel periodo di riferimento impianti di depurazione con una capacità volumetrica di acqua trattata pari a 10.000 mc/giorno - non poteva essere esclusa dalla gara per carenza dei requisiti richiesti. Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. del 03 aprile 2002, n. 1828.

Contratto di concessione misto - D.lgs. n. 157 del 1995 - metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa - varianti e proposte migliorative sui progetti dei lavori - principio della par condicio tra concorrenti - licitazione privata ed appalto concorso - automatismo matematico. E’ lo stesso bando di gara a stabilire che si tratta di un “contratto di concessione misto”, con elementi riconducibili al d.lgs. n. 157 del 1995 e alla legge n. 109 del 1994 con prestazioni di servizi e di lavori. Le offerte presentante dalle due concorrenti, d’altra parte, prevedevano importi variabili dal miliardo e mezzo (Coop Servizi) ai circa 2 miliardi (Reggiani) per lavori, e dai circa 8 miliardi (Coop Servizi) ai circa 11 miliardi (Reggiani) per la gestione. Risulta quindi non condivisibile la tesi seguita dal primo giudice circa la impossibilità di individuare con sicurezza la normativa regolatrice a causa della citazione di entrambe le fonti suddette. Appare infatti pacifico che la fattispecie rientri nella disciplina di cui al d.lgs. n. 157 del 1995, il cui art. 3, comma 3, dispone testualmente: “ 3. Nei contratti misti di lavori e servizi e nei contratti di servizi quando comprendono lavori accessori, si applicano le norme della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50%”, posto che le percentuali di incidenza delle due componenti della concessione sono quelle più sopra riportate. Nessun dubbio, dunque, poteva sussistere sulla applicabilità dell’art. 24, commi 1 e 2, del d.lg. n. 157/95, che si riportano: “ 1. Quando l'aggiudicazione avviene in base all'art. 23, comma 1, lettera b), (metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa), l'amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione le varianti presentate dagli offerenti qualora esse siano conformi ai requisiti minimi prescritti dalla stessa amministrazione. 2. L'amministrazione aggiudicatrice indica, nel bando di gara, se le varianti sono ammesse e, in tal caso, precisa, nel capitolato d'oneri, i requisiti minimi che esse devono rispettare e le modalità per la loro presentazione”. Si è già visto che nel caso in esame era prevista la presentazione di varianti e proposte migliorative sui progetti dei lavori. La circostanza che l’Amministrazione non abbia indicato requisiti minimi, che non ha formato oggetto di alcuna contestazione da parte delle concorrenti, dimostra soltanto la stazione appaltante ha inteso lasciare alle imprese un’ampia gamma di scelte migliorative, purché non contrastanti con la sostanza oggettiva della concessione. Sostanza che non deve essere individuata, come ha fatto il primo giudice, nel progetto preliminare dei lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento della esistente piscina, posto che proprio tale progetto poteva essere oggetto delle varianti migliorative, bensì nella gestione di un impianto di nuoto a servizio del pubblico, con la dichiarata finalità di ricavarne un utile, fissato come base d’asta nella cifra di 20 milioni annui. Secondo una corretta analisi, dunque, la vicenda non evidenzia contrasti, né con le caratteristiche intrinseche della licitazione privata al metodo dell’offerta più vantaggiosa, né con il principio della par condicio tra concorrenti. Sotto il primo profilo, in disparte la testuale previsione normativa delle varianti, sopra ricordata, va tenuto presente come la giurisprudenza abbia messo in evidenza la progressiva assimilazione tra licitazione privata ed appalto concorso, provocata dalla introduzione di criteri di valutazione dell’offerta, ulteriori rispetto all’automatismo matematico, quali il merito tecnico, la qualità, le caratteristiche estetiche e funzionali, il servizio successivo alla vendita, l'assistenza tecnica, il termine di consegna o esecuzione (Cons. St., Sez. V, 17 maggio 2000,n. 2884). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 02 aprile 2002, n. 1813.

Norme di sicurezza - violazione legge 818/84 - appalto concorso carenze sostanziali del progetto - esclusione - elementi progettuali modificabili irrilevanza - inderogabilità delle disposizioni in materia di sicurezza - l’inosservanza di norme imperative comporta ope legis la pena di esclusione - l’esclusione opera oltre che nei casi contemplati dal bando di gara anche nei casi previsti dalla legge. E’ esatta l’impostazione della Commissione di gara che ha considerato il rispetto delle norme di sicurezza prescritte in modo cogente dall’ordinamento come requisito essenziale dei progetti presentati nell’appalto concorso per la progettazione e la fornitura degli arredi ed attrezzature. La previsione dell’apertura delle ante della “bussola” verso l’interno è in contrasto con le più elementari regole di sicurezza ed a nulla vale sostenere che si è trattato di un errore materiale nella presentazione grafica: era preciso onere dell’impresa chiarire senza alcun dubbio questo fondamentale aspetto. La collocazione del sistema antitaccheggio in modo da ostruire due vie di fuga e la sistemazione dei mobili in prossimità delle uscite di sicurezza nelle due stanze sopraindicate, oltre che implicare la violazione di specifiche norme di sicurezza, mostrano al di là di ogni dubbio la insufficiente considerazione che gli elementi progettuali attinenti alla sicurezza degli operatori e degli utenti della biblioteca ha avuto nella predisposizione del progetto da parte della Società attuale appellata. Né assume alcun rilievo l’argomentazione secondo cui si tratterebbe di elementi progettuali modificabili: si tratta, invece, con evidenza, di carenze sostanziali del progetto che dovevano condurre alla sua esclusione dal confronto concorrenziale. Le disposizioni in materia di sicurezza non sono derogabili e costituiscono un pacchetto di obblighi ed adempimenti necessari cui non è consentito sottrarsi. In questo contesto anche la formulazione da parte della Commissione di gara di un criterio specifico per quantificare numericamente la inosservanza delle norme di cui trattasi non introduce, a ben vedere, un elemento innovativo nell’esame dei progetti ma ha precisato semplicemente una modalità di riscontro della osservanza di norme imperative che, lo si ribadisce, dovevano essere comunque osservate a pena di esclusione. Questo aspetto è sfuggito al giudice di primo grado che ha invece attribuito un significato diverso alla suddetta determinazione della Commissione di gara. Alla stregua delle considerazioni che precedono va letta anche la clausola del bando che commina l’esclusione oltre che nei casi contemplati dal bando di gara anche nei casi previsti dalla legge. Tra questi ultimi rientra certamente la mancata osservanza degli obblighi stabiliti per tutelare la sicurezza delle persone sui luoghi di lavoro senza necessità di una espressa statuizione in tal senso, inutile se si tiene conto della natura e rilevanza degli interessi tutelati. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 2 aprile 2002, n. 1805. (vedi: sentenza per esteso)

Gara di progettazione - mutazione di una serie di presupposti - conferimento di un incarico - legittimazione ad impugnare. E’ vero che la giurisprudenza invocata dall’appellante nega legittimazione ad investire con impugnazione l’esito di una gara a chi non vi abbia partecipato. Tuttavia, il mutare di una serie di presupposti, rispetto a quelli che avevano determinato il Comune all’indizione della gara di progettazione definitiva ed alla conseguente aggiudicazione, si è configurato come il conferimento di un incarico diverso da quello per il quale era stata esperita la licitazione privata. L’omissione di una nuova gara era, dunque, illegittima. Ed in questi casi, è legittimato ad impugnare la deliberazione dell’amministrazione pubblica un possibile concorrente, quale un’impresa del settore, e perciò titolare di un interesse strumentale, consistente nella necessità che la stessa amministrazione faccia luogo ad un nuovo apprezzamento della situazione e possa, o debba, in ogni caso, procedere ad una forma di selezione delle imprese che esprimano interesse alla osservanza delle forme dell’evidenza pubblica (confr. V Sez. n. 2079 del 10.4.2000, n. 292 del 19.3.1999, n. 1996 del 31 dicembre 1998, n. 1374 del 14.11.1996 e n. 454 del 22 marzo 1995). Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 02 aprile 2002, n. 1801. (Vedi: sentenza per esteso)

Bando di gara - offerta irregolare - clausola di condizioni per la esclusione - irregolarità attinenti al bollo - buona fede - errore scusabile - par condicio dei concorrenti - illegittimità dell’azione dell’Amministrazione diretta a sanare i vizi - irrilevanza delle deroghe disposte in altri bandi di gara non impugnati. E’ decisiva, ad avviso del Collegio, la considerazione della apposita clausola del bando di gara che precisa le condizioni per la esclusione dei partecipanti alla procedura contrattuale di cui trattasi: punto C del bando “si fa luogo all’esclusione dalla gara nel caso che manchi o risulti incompleto od irregolare uno dei documenti richiesti con eccezione delle irregolarità attinenti al bollo ovvero se l’offerta non sia contenuta nell’apposita busta interna debitamente sigillata e controfirmata sui lembi di chiusura”. A fronte di tale prescrizione l’offerta della Silac Costruzioni s.p.a. che presentava indubbiamente la irregolarità di una discordanza nei dati anagrafici del Consigliere Delegato e del Direttore Tecnico è stata correttamente esclusa. Non è esatto ritenere che nella specie doveva procedersi alla rettifica del documento presentato a cura del responsabile del procedimento posto che la norma del bando lo impediva e non può assecondarsi la tesi del primo giudice secondo cui l’errore sarebbe imputabile all’ufficio pubblico che aveva rilasciato il documento erroneo posto che il privato che intende avvalersi del documento ha l’onere di verificarne l’esattezza prima di produrlo ed è anche l’inosservanza di tale onere che il bando provvede a sanzionare quando richiede la completezza e regolarità della documentazione allegata all’offerta. In tale contesto è ininfluente richiamarsi alla buona fede del partecipante, o meglio alla scusabilità del suo errore, perché in una procedura improntata al rigore formale il rispetto delle modalità di presentazione delle domande e delle offerte è garanzia di affidabilità delle stesse e la correttezza e completezza della documentazione nonchè la carenza di errori od omissioni costituisce un elemento di confronto tra i partecipanti. Sarebbe in violazione della parità dei concorrenti l’azione dell’Amministrazione diretta a sanare i vizi delle istanze di alcuni soltanto tra i concorrenti. Tale attività dovrebbe, infatti, espletarsi nei confronti di tutti i partecipanti determinando in ipotesi l’arresto o il ritardo dell’azione amministrativa dovuti all’aggravio conseguente alla verifica della esattezza dei dati ed elementi dichiarati. La clausola di esclusione soprariportata evita, opportunamente ad avviso del Collegio, questi inconvenienti e oltre ad apparire corretta non è stata impugnata. E’ per queste ragioni che non viene condiviso l’assunto della sentenza appellata in ordine alla necessità di interpretare la clausola di cui trattasi in modo da evitare la esclusione per motivi esclusivamente formali posto che è proprio questa la funzione della clausola stessa e non è consentito al giudice disattendere la prescrizione specifica di un bando di gara in assenza della impugnazione della stessa. Rimane ancora da puntualizzare che nel caso di specie l’errore nella documentazione esibita, come si è detto imputabile alla scarsa diligenza della concorrente nel presentare documenti non verificati nel loro contenuto, non era affatto ininfluente potendo determinare l’incertezza sulla identità dei responsabili dell’impresa partecipante, non essendo configurabile un obbligo dell’Amministrazione di procedere alla correzione previa indagine istruttoria degli elementi forniti dai partecipanti. In proposito è stata in effetti incongrua la scelta dell’Amministrazione nel richiedere - peraltro telefonicamente - chiarimenti all’impresa che li ha forniti dopo quattro giorni, tale comportamento non è però idoneo per inficiare la successiva esclusione che la Commissione di gara ha motivatamente disposto. Infine il riferimento delle parti all’art.18 della legge 241/1990 che consente alle Amministrazioni Pubbliche, per tramite del responsabile del procedimento di acquisire d’ufficio i documenti o copia degli stessi che l’interessato dichiari essere in possesso dell’Amministrazione stessa o di altra Amministrazione (secondo comma ) non giova alla Società appellata posto che la Silac Costruzioni s.p.a. non aveva effettuato la dichiarazione richiesta dalla norma in esame e l’obbligo del responsabile del procedimento di accertare d’ufficio gli stati e qualità che Amministrazioni Pubbliche sono tenute a certificare (terzo comma) non opera in presenza di deroghe disposte in bandi di gara non impugnati e non si estende, in ogni caso, alla verifica della esattezza di stati e qualità certificati dalle stesse Amministrazioni ed utilizzate dai privati interessati in procedimenti amministrativi. Tanto basta per l’accoglimento dell’appello con riforma della sentenza appellata. Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 2 aprile 2002, n. 1798.

 Notificazione della sentenza - decorrenza del termine breve - appello con riserva - proposizione del gravame - domiciliazione - riunione dei gravami - canone del simultaneus processus. La notificazione della sentenza oggetto di contestazione, ai fini della decorrenza del termine breve, andava correttamente effettuata nel nuovo domicilio eletto di cui la controparte era stata edotta nel momento in cui le era pervenuto l’appello con riserva di motivi. Tale operazione, infatti, è preordinata ad assicurare che la pronuncia sia portata a conoscenza della persona abilitata dal mandato e professionalmente qualificata ad esprimere un parere tecnico sulla convenienza e opportunità della proposizione del gravame (Cass. civ. sez. lav. 28 aprile 2000, n. 5449). L’individuazione di tale soggetto, quando, come nel caso di specie, si tratti di due professionisti dislocati in ambiti territoriali diversi, va fatta sulla base della domiciliazione tanto che si ritiene non valida, ai fini della decorrenza del termine breve, la notificazione effettuata presso il difensore non domiciliatario (Cass. civ. II, 19 febbraio 1999, n. 1407). Nessuna irricevibilità, tuttavia, sanziona il ricorso avverso il dispositivo, la cui disamina non è preclusa perché gli appellanti non si sono limitati a un generico rinvio a future contestazioni, ma hanno esposto una doglianza di merito che trova nel contenuto della pronuncia un esatto ambito di individuazione. Trova piena applicazione nel giudizio d’appello avanti il Consiglio di Stato il principio di necessaria riunione dei gravami come sancito dall’articolo 335 c.p.c. (C.d.S., IV, 28 gennaio 2000, n. 442; C.d.S., IV, 29 gennaio 1993, n. 125). Quand'anche fossero state proposte due diverse impugnazioni, il canone del simultaneus processus (enunciato sia dall’articolo 333 sia dal successivo 335 del codice di procedura civile) avrebbe comunque determinato la loro riunione, sicché la preventiva unitaria contestualizzazione non rende inammissibile e non inficia per questa sola ragione il gravame congiunto. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1693.

Clausola del bando di gara - erogazioni liberali in favore della stazione appaltante - contratto di tesoreria. Il Giudice di prime cure ha ritenuto illegittima la clausola del bando di gara per l’aggiudicazione del servizio di tesoreria comunale che obblighi i concorrenti a promettere erogazioni liberali in favore della stazione appaltante. Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale amministrativo sono coerenti all’indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale quelle elargizioni contrastano con la pronosticata gratuità del contratto di tesoreria (C.d.S., VI, 6 ottobre 1999, n. 1326; V, 20 agosto 1996, n. 937). In definitiva, solo in un contesto nel quale le clausole del bando garantiscono in modo adeguato l’ente pubblico, la previsione di una erogazione liberale da parte dell’aggiudicatario per un servizio sicuramente ambito non costituisce elusione di alcun principio, ma solo riconoscimento indiretto (certo non sinallagmatico) della notevole utilità conseguente dalla aggiudicazione del servizio. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1693.

Affidamento del servizio di tesoreria - obbligo a carico dell’Ente locale - concessionario della riscossione - disciplina transitoria di sanatoria - attività bancaria. La nuova disciplina di cui all’art. 50 del D. L.vo n.77/95 (comportante l’obbligo a carico dell’Ente locale di affidare il servizio di tesoreria ad una banca abilitata all’attività bancaria, salvo l’affidamento al concessionario della riscossione) non potrebbe che avere effetto per i servizi di tesoreria da affidare dopo l’entrata in vigore del decreto stesso (e cioè dal 18.5.1995), essendo i rapporti già costituiti assoggettati unicamente alla normativa precedente (salva l’applicabilità della nuova disciplina alla scadenza del rapporto). Per cui, non vi sarebbe stato alcun bisogno di una disciplina transitoria di sanatoria di situazioni già conformi alla precedente normativa. In particolare, la conservazione dell’incarico per i tesorieri privati doveva comunque essere assicurata, a prescindere dalla circostanza se a suo tempo il relativo affidamento fosse avvenuto o meno nel rispetto della normativa all’epoca in vigore, essendo la norma diretta a privilegiare l’esigenza della continuità del servizio in corso, una volta che la nuova disciplina di cui all’art. 50 richiedeva espressamente che il servizio di tesoreria fosse attribuito unicamente ad una banca autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria (salva la facoltà dell’Ente locale di assegnarlo al concessionario della riscossione). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1692.

Risarcimento del danno per perdita di chanses per lesione di interesse legittimo in conseguenza di un’esclusione da una gara o da un concorso - limiti - provvedimenti di esclusione da una gara ad evidenza pubblica - i controinteressati - opposizione di terzo - notifica. E’ pur vero che a fronte di provvedimenti di esclusione da una gara ad evidenza pubblica (o da un concorso pubblico) in linea di massima non vi sono controinteressati a cui occorre notificare il ricorso al TAR, non essendo onere del ricorrente di seguire gli sviluppi del procedimento ed impugnare gli atti conseguenti ricercando i controinteressati successivi, salva la facoltà da parte di quest’ultimi di proporre l’opposizione di terzo (V. le decisioni di questa Sezione n. 592 del 24.5.1996 e n. 5092 del 26.9.2000) . Ciò si fonda però sulla sostanziale considerazione che nel momento in cui viene disposta l’esclusione, gli altri concorrenti non sono ancora titolari di una posizione di interesse legittimo alla conservazione degli atti del procedimento, situazione che invece si verifica dopo la conclusione del procedimento con l’aggiudicazione della gara o, nel caso di concorso, con l’approvazione della graduatoria e la nomina dei vincitori. Con la conseguenza che se al momento della proposizione del ricorso al TAR avverso il provvedimento di esclusione sono noti al soggetto escluso i beneficiari della procedura (in quanto già è intervenuto il provvedimento di aggiudicazione della gara o l’approvazione della graduatoria del concorso), occorre notificarlo almeno ad un controinteressato, a pena di inammissiblità ai sensi dell’art. 21 L. 6.12.197 n.1034 (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V n.204 del 18.3.1969, n.383 del 22.4.1977, n.1026 del 21.10.1992, n.1381 del 22.11.1996; sez. VI n.1249 del 21.10.1988; sez. IV n.1071 del 30.10.1959 e n.259 del 5.5.1987). Al riguardo si osserva che quand’anche il ricorso di 1° grado fosse stato rivolto unicamente all’annullamento del provvedimento di esclusione della gara (ma vi sono specifiche censure avverso il provvedimento di aggiudicazione), ciò che rileva è la circostanza che l’impugnativa sia stata notificata quando già si conoscevano i nominativi dell’imprese aggiudicatarie, dal momento che l’annullamento del provvedimento di esclusione da una gara ( o da un concorso) non può che comportare il conseguenziale annullamento del provvedimento di aggiudicazione ( o, nel caso di concorso, del provvedimento di approvazione della graduatoria), per cui il beneficiario della procedura (una volta che questa si sia conclusa prima della proposizione del ricorso ed il relativo esito sia conosciuto dal ricorrente) non può che assumere in quel giudizio la veste di contraddittore necessario, cui il ricorso deve essere notificato. Infine occorre rilevare che in tanto è consentito il risarcimento del danno per perdita di chanses per lesione di interesse legittimo in conseguenza di un’esclusione da una gara o da un concorso (V. ora, in modo esplicito sul punto, l’art. 7 L. 6.12.1971 n. 1034, come sostituito dall’art. 7, comma 4°, L. 21.7.2000 n.205) in quanto sia riconosciuto illegittimo dal giudice amministrativo il relativo provvedimento in un giudizio a contraddittorio completo (a parte il problema della colpa della pubblica amministrazione ex art. 2043 c.c.). Con la conseguenza che se nel giudizio di 1° grado il contraddittorio non è stato completo (nel caso in esame, per mancata notifica ad almeno un controinteressato) il relativo provvedimento di esclusione diventa inoppugnabile per il soggetto escluso, che perciò non potrà conseguire alcun risarcimento del danno. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1687- n. 1688.

Provvedimento di esclusione - notifica ad almeno ad un controinteressato - inammissibilità. Se al momento della proposizione del ricorso al TAR avverso il provvedimento di esclusione sono noti al soggetto escluso i beneficiari della procedura (in quanto già è intervenuto il provvedimento di aggiudicazione della gara o l’approvazione della graduatoria del concorso), occorre notificarlo almeno ad un controinteressato, a pena di inammissiblità ai sensi dell’art. 21 L. 6.12.197 n.1034 (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V n.204 del 18.3.1969, n.383 del 22.4.1977, n.1026 del 21.10.1992, n.1381 del 22.11.1996; sez. VI n.1249 del 21.10.1988; sez. IV n.1071 del 30.10.1959 e n.259 del 5.5.1987). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1688.

Interpretazione della clausola di un bando - criterio di affidamento - principio di buona amministrazione - esclusione dalla gara - cauzione conforme alla legge - fideiussione bancaria e fideiussione assicurativa - modalità di prestazione della cauzione. La clausola di un bando non è da interpretare, per i suoi elementi di ambiguità, come immediatamente produttiva di esclusione, se la cauzione è stata prestata in altro modo la regola della gara va interpretata secondo il criterio di affidamento, che la clausola induceva un elemento di equivocità, che il principio di buona amministrazione impone che siano evitate clausole ambigue, e che queste ultime devono interpretarsi nel senso più favorevole ai concorrenti. Pertanto va riconosciuto la formulazione non è univoca, nel senso della desumibilità di un effetto di esclusione dalla gara per chi abbia a prestare una cauzione conforme alla legge. Nel bando si richiamano, infatti, semplicemente “le modalità” stabilite nel capitolato per la cauzione, ma “ai sensi della normativa vigente”. E’ da considerare, infatti, che non solo l’art. 30 della legge n. 109 del 1994 dispone per la fungibilità della fideiussione bancaria ed assicurativa, ma anche che nel medesimo senso disponevano: l’art. 13 della legge 3 gennaio 1978, n.1, (abrogato poi dall’art. 231 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554) e l’art. 1, lett. c), della legge 10 giugno 1982, n. 348, come modificato dall’art. 128 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157. L’insieme di queste norme fa palese che, nell’ordinamento, esiste una completa assimilazione, ai fini delle cauzioni da prestare nelle gare per l’affidamento della esecuzione di lavori pubblici, fra i due tipi di fideiussione in esame. Da qui, la possibilità di interpretare il richiamo alle specifiche modalità di prestazione della cauzione, stabilite nel capitolato speciale della gara in questione, come non indicative di una inderogabile regola, che sarebbe stata in contrasto con le norme vigenti, innanzi tutto. In questo secondo atto, le cosiddette modalità sono indicate sotto l’art. 9. In esso non è richiamata alcuna sanzione di esclusione. Per risalire ad un siffatto negativo effetto, occorre ritornare al bando, dove, in fine delle prescrizioni riportate sotto la lett. l), si dice che “la mancanza, l’incompletezza o l’irregolarità sostanziale della documentazione richiesta comportano l’esclusione dalla gara”. E’ perciò labile il collegamento, sia sotto l’aspetto giuridico, sia sotto l’aspetto logico, fra prestazione di una fideiussione assicurativa ed irregolarità sostanziale o incompletezza della documentazione presentata. In senso stretto, invero, non si tratta neppure di una documentazione, almeno nel senso desumibile dalla lettera l) del bando, che riguarda i requisiti da possedere, le indicazioni da fornire e l’offerta economica scritta, ma dell’esecuzione di una prestazione di garanzia volta a coprire “la mancata sottoscrizione del contratto per volontà dell’aggiudicatario”, come dispone il comma 1 dell’art. 30 della citata legge n. 109 del 1994. Per le considerazioni esposte non può trovare consenso la tesi dell’inammissibilità per difetto di interesse del ricorso di primo grado, posto che la si fa discendere dalla tardività del ricorso stesso, dalla quale si è dissentito. Né, ancora, va condivisa la denuncia di ultrapetizione della decisione appellata. Era stata dedotta la violazione dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994 e si sostiene che non si configura come una lacuna del bando l’omessa previsione di una cauzione da prestare con polizza assicurativa. Essa deriva, secondo il Comune appellante, dalla garanzia di maggiore affidabilità e solvibilità data da una polizza bancaria, indicativa della capacità finanziaria del soggetto per il quale è rilasciata, carattere questo non desumibile dalla polizza assicurativa. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 25 marzo 2002, n. 1683.

Riduzione di “tutti” i termini processuali per i ricorsi in materia di opere pubbliche - validità dell’abbreviazione anche per la notificazione del ricorso e al relativo deposito - termini restrittivi - casi di irricevibilità o inammissibilità o infondatezza del ricorso - errore scusabile - norme sul processo amministrativo. E’ da tenere presente che la normativa disposta dall’art. 4 della legge n. 205 del 2000 riproduce pressoché integralmente le disposizioni di cui all’art. 19 del d.l. 25 marzo 1997 n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997 n. 135, che stabiliva l’abbreviazione, per i ricorsi in materia di opere pubbliche, la riduzione di “tutti” i termini processuali (Si riporta il testo della L. n.135/97 riguardante le: “Norme sul processo amministrativo”. 1. Nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo. 2. Il tribunale amministrativo regionale, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di sospensione, può definire immediatamente il giudizio nel merito, con motivazione in forma abbreviata. Le medesime disposizioni si applicano davanti al Consiglio di Stato in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata. 3. Tutti i termini processuali sono ridotti della metà ed il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data dell' udienza con deposito in cancelleria. 4. Nel caso di concessione del provvedimento cautelare, l' udienza di discussione del merito della causa deve essere celebrata entro sessanta giorni. 5. Con la sentenza che definisce il giudizio amministrativo il giudice pronuncia specificamente sulle spese del processo cautelare. 6. La parte interessata ha facoltà di proporre appello contro la sentenza pronunciata dal tribunale amministrativo regionale subito dopo la pubblicazione del dispositivo, con riserva dei motivi, che dovranno essere proposti entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Anche in caso di appello immediato si applica l' art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.). La giurisprudenza amministrativa ha concordemente ritenuto che la disposizione si riferisse anche al termine per la notificazione del ricorso e al relativo deposito (Cons. St., Sez. IV, 31 maggio 1999, n. 935). La norma ha superato il vaglio della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 427 del 1999, ha escluso la violazione dell’art. 3 Cost., in considerazione del rilievo costituzionale degli obiettivi di accelerazione nella definizione delle controversi in materia di opere pubbliche di pubblica utilità. Ne consegue che la innovazione, rispetto alla disciplina di cui al citato art. 19 comma 3, del d.l. n. 67/1997, consistente nell’esclusione della abbreviazione del termine per la proposizione del ricorso deve essere intesa in termini restrittivi, in coerenza con le esigenze di speditezza apprezzate dalla Corte costituzionale, come idonee a comprimere le garanzie processuali. Va poi considerato, d’altra parte, che la notificazione e il deposito del ricorso rappresentano operazioni, oltre che nettamente distinte dalla legge processuale, anche intrinsecamente diverse quanto all’incidenza sulla effettività del diritto di difesa. In altri termini, non vi è motivo che per il deposito non debbano riemergere quelle esigenze di speditezza che hanno giustificato la disciplina derogatoria. Ritiene inoltre il Collegio che non ricorrano i presupposti per la concessione dell’errore scusabile, poiché, anche ammessa la legittimità del dubbio interpretativo, tutt’altro che infrequente, nulla avrebbe impedito di seguire la soluzione più prudente. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 18 marzo 2002, n. 1559. (vedi: sentenza per esteso)

Istituto della revisione dei prezzi - ridefinizione dei termini contrattuali - sinallagma contrattuale - strumento revisionale - sostanziale modificazione dei contenuti contrattuali - sostanziale riduzione - competenza del giudice ordinario. La revisione prezzi è un istituto che vale ad adeguare i prezzi originariamente pattuiti - ma modificati, nel tempo, in ragione del lievitare dei costi legato al normale andamento dei prezzi di mercato - alle prestazioni erogate dall’esecutore dei lavori; lavori che debbono essere realizzati nella loro interezza a prezzi in certa misura crescenti, ridefiniti con lo strumento revisionale. Se, invece, l’impresa, ancor prima di dar corso alle opere e, comunque, certamente molto prima dell’ultimazione dell’unico stralcio ammesso a finanziamento, ne ha chiesto la sostanziale riduzione, fermi restando i prezzi concordati al momento della stipula contrattuale, in tal modo, ciò che è richiesto non è una revisione prezzi, ma una vera e propria ridefinizione dei termini contrattuali, con una sostanziale riduzione delle opere da eseguire in presenza di una situazione di invarianza delle somme disponibili da parte dell’Amministrazione. Ne consegue che oggetto della controversia è la richiesta di una sostanziale modificazione dei contenuti contrattuali e, quindi, non si tratta di questione relativa al cattivo uso delle proprie potestà discrezionali da parte del Comune, sibbene alla esistenza o meno di un diritto perfetto alla modificazione dei contenuti contrattuali. Avendo ad oggetto la ridefinizione del sinallagma contrattuale, ne consegue che la controversia attiene ad una pura questione di diritti soggettivi, non soggetta, come tale, alla cognizione del giudice amministrativo, ma a quella dell’A.G.O. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 18.03.2002, n. 1556.

Parziale inosservanza della lettera d’invito e di un articolo del capitolato speciale d’appalto - mancata previsione di una causa espressa di esclusione - legittimità di aggiudicazione provvisoria - favor partecipazione. Nell’incertezza riconducibile alla mancata previsione di una causa espressa di esclusione rinvenibile in rapporto alla parziale inosservanza della lettera d’invito e di un articolo del capitolato speciale d’appalto, deve ritenersi che correttamente l’Amministrazione, dopo l’aggiudicazione provvisoria, abbia inteso chiedere la precisazione, senza, invece, procedere alla diretta esclusione della stessa aggiudicataria provvisoria in difetto di una disciplina di gara che sicuramente e al di là di ogni ragionevole dubbio, disponesse l’esclusione di un concorrente per le mancanze in concreto riscontrate. È, del resto, noto che, in assenza di una specifica e puntuale clausola di esclusione e in presenza, per converso, di norme che si prestano ad una interpretazione ambigua, deve essere privilegiata una interpretazione favorevole all’interesse pubblico ad una scelta tra il maggior numero di offerte, dovendosi, quindi, ritenere ammissibile, tra le varie interpretazioni possibili, quella più favorevole all’ammissione delle imprese aspiranti (cfr., tra le altre, la decisione della Sezione 25 ottobre 1989 n. 691). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 18.03.2002, n. 1558.

Bando di gara - possesso dei requisiti - certificazione ISO - possesso e mantenimento effettivo della certificazione - il favor partecipativo non può travolgere la par condicio. Al centro della vertenza si pone l’interpretazione di un articolo del bando di gara, a norma del quale le imprese partecipanti dovevano dichiarare di “essere in possesso della certificazione ISO 9001, in ordine alla qualità del servizio gas ed, in assenza di tale certificazione, di impegnarsi ad assumerla entro il 1° gennaio 2001 ed a mantenerla fino alla scadenza della concessione.”. L’appellante, che ottenne la certificazione solo in data 31 gennaio 2001, e per tale ragione risultò soccombente in primo grado, intende sostenere che tale evenienza non poteva rappresentare legittimo presupposto della esclusione dalla gara, perché alla data fissata per la presentazione delle offerte (18 ottobre 2000), non si richiedeva il possesso effettivo della certificazione, ma solo la dichiarazione di possederla o l’impegno ad acquisirla entro il 1° gennaio 2001. In altri termini, ai fini della legittima partecipazione alla gara, doveva considerarsi irrilevante il mancato rispetto del termine suddetto. Se il bando prescrive inequivocabilmente l’obbligo di possedere la certificazione alla data indicata, una valutazione di irrilevanza circa il difetto del requisito a vantaggio di una concorrente avrebbe prodotto un’ingiustificata disparità di trattamento in danno di tutte le imprese che per la stessa ragione non avevano presentato l’offerta. D’altra parte, il favor partecipativo, tenuto presente dall’Amministrazione nel concedere la dilazione tra il 18 ottobre e il 1° gennaio, non poteva essere spinto fino a travolgere la par condicio tra le aspiranti all’appalto. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1504.

Fase esecutiva del contratto - lettera di invito - legittimazione dell’amministrazione a ricorrere - potere dell’amministrazione di valutare il comportamento complessivo del privato - risoluzione del rapporto contrattuale. Secondo la lettera di invito la Ditta, in caso di aggiudicazione, doveva eleggere il proprio domicilio nel centro urbano principale dove erano immagazzinati gli alimenti e presso il cui recapito telefonico dovevano essere effettuate le ordinazioni periodiche da parte delle mense comunali. Trattasi evidentemente di un prescrizione che attiene alla corretta esecuzione del servizio da svolgere e quindi relativa alla fase esecutiva del contratto, una volta aggiudicato. Conseguentemente, il soggetto legittimato a pretendere un corretto adempimento di tale clausola è l’Amministrazione appaltatrice del servizio (ed eventualmente gli organi di vigilanza) e non certamente il privato che si è classificato al 2° posto nella gara in questione. Le vicende successive (cambiamenti del domicilio e inadempimenti vari) non comportano un obbligo di revoca dell’aggiudicazione ma un potere discrezionale dell’Amministrazione di valutare il comportamento complessivo del privato ai fini di un’eventuale risoluzione del rapporto contrattuale. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1499.

L’istituto della cauzione finalità ed effetti - insufficienza della cauzione - impegno a contrarre in caso di aggiudicazione - impossibilità di sanatoria con un adempimento successivo - mancanza di discrezionalità dell’Amministrazione - legittima causa di esclusione dalla gara - essenzialità dell’adempimento - par condicio. La tesi secondo cui la cauzione non costituirebbe parte integrante dell’offerta, ma solo elemento di corredo della stessa, cosicché la sua insufficienza potrebbe essere sanata con un adempimento successivo, va disattesa. La giurisprudenza amministrativa, con un orientamento concorde del tutto condivisibile, ha offerto una interpretazione della norma citata che corrisponde alla ragion d’essere dell’istituto, da individuare nell’esigenza di garantire la serietà della partecipazione alla gara e l’adempimento dell’impegno a contrarre in caso di aggiudicazione (Cons. St. Sez. V, 18 maggio 1998 n. 124). Ne consegue che esula dalle facoltà rimesse alla discrezionalità dell’Amministrazione la valutazione caso per caso dell’essenzialità dell’adempimento, o della possibilità di consentirne l’integrazione, sia per la indiscutibile precettività della disposizione sia per la doverosa osservanza della par condicio tra le partecipanti alla gara. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1495.  (vedi: sentenza per esteso)

Atti fondamentali di competenza del Consiglio comunale - Legge n. 142/1990 art. 32 comma 1, lett. g) - la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi - determinazione e gradazione delle tariffe. L’art. 32, comma 1, lett. g), della legge n. 142 del 1990, pone tra gli atti fondamentali di competenza del Consiglio comunale “la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, con riguardo, quindi, alla “individuazione dei criteri economici sulla base dei quali deve procedersi alla determinazione delle tariffe, alle eventuali esenzioni o agevolazioni, alle modalità di gradazione delle tariffe sulla base di fasce orarie o delle zone in cui il servizio viene prestato e ad altri criteri di carattere generale per la determinazione delle tariffe ma non la concreta quantificazione degli importi tariffari”. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 13.03.2002, n. 1491.

Nozione di offerta anomala - commissione giudicatrice - interpretazione secondo buona fede - regolarizzazione. La nozione di anomalia presuppone un’offerta complessiva ritenuta, a una prima delibazione, incoerente con i valori di mercato e comunque con una prudente gestione dei fattori di produzione e tale, per questo, da alterare i contenuti della gara e non garantire, se ammessa, la formazione di una proposta contrattuale effettivamente vantaggiosa per l’amministrazione. Per ipotizzare l’anomalia, in definitiva, la Commissione giudicatrice avrebbe dovuto ritenere il prezzo complessivo inadeguato alla stregua dei canoni generali sopra indicati e, su questa base, esaminare le eventuali ragioni prospettate dalla concorrente a giustificazione del prezzo in relazione ai vari elementi che lo compongono, ma non certo compiere l’operazione inversa muovendo dall’esame dalle singole componenti indipendentemente dalla presunta anomalia del prezzo complessivo; poiché ciò non è avvenuto e il prezzo complessivamente proposto si rivelava congruo, la verifica dei motivi sottostanti l’offerta si sarebbe risolta nella palese rilevanza della presupposizione in un ambito contrattuale non delimitato da alcuna specialità di condizioni operative. La sola indicazione delle percentuali di ribasso costituirebbe, a tutto concedere, una mera irregolarità, per la quale vige il principio generale della possibile regolarizzazione (C.d.S., V 2 luglio 2001, n. 3595), come nel caso di specie in cui non poteva ingenerarsi dubbio effettivo sulla reale volontà espressa dal concorrente alla stregua del canone fondamentale di interpretazione secondo buona fede. (C.G.R.S., 9 aprile 2001, n. 166). Consiglio di Stato Sezione V del 6 marzo 2002 n. 1351.

Gara d’appalto - rapporti fra le imprese - nomina come subappaltatrice - esclusione - illegittimità della partecipazione alle gare di evidenza pubblica di imprese riconducibili ad un medesimo centro decisionale. L’obiezione, secondo cui ciascuna impresa concorre per aggiudicarsi l’appalto e non per favorire un’altra concorrente, alla quale è legata dalla nomina come subappaltatrice, non coglie il segno, risultando evidente che l’intreccio di rapporti fra le imprese può configurarsi come preordinato al raggiungimento dello scopo di fare in modo che l’appalto sia comunque appannaggio di una di esse, a danno delle altre concorrenti (potendosi supporre anche una regolazione dell’utile derivante dall’appalto conveniente per tutte le imprese che hanno partecipato all’accordo). L’amministrazione, inoltre, contrariamente a quanto si assume dal Comune appellante era tenuta, anche in assenza di una norma di legge ad hoc o di una specifica previsione del bando, ad escludere le suddette imprese dalla gara. Tale facoltà può trarsi dal sistema normativo in materia di appalti e, in particolare, dalle disposizioni dirette ad evitare che, al di fuori dei casi espressamente ammessi dalla legge, possano partecipare alle gare di evidenza pubblica imprese collegate fra loro (artt. 10,12 e 13 della legge 11.2.1994, n. 109 e succ. modif. ed integr.). Da tali disposizioni può dedursi il principio più generale, conforme ai canoni della correttezza e della trasparenza, di fondamentale rilievo per il settore, secondo cui non è ammissibile, e deve, quindi essere preclusa, la partecipazione alle gare di evidenza pubblica di imprese riconducibili ad un medesimo centro decisionale, sia questo tale strutturalmente o anche soltanto in via contingente. Nella fattispecie, la esistenza di un’intesa era probabile al più alto grado, come esattamente è stato rilevato dal T.A.R. V’è solo da aggiungere che la questione qui esaminata, caratterizzata in fatto da una pluralità di rapporti, coinvolgenti, come già rilevato, la massima parte delle imprese partecipanti alla gara, diverge, per tale configurazione, dalla fattispecie alla quale si riferisce un recente precedente di questo Consiglio (VI, 26.2.2000, n. 1056) di contrario avviso rispetto a quello espresso nella presente decisione. Consiglio di Stato Sezione V del 5 marzo 2002 n. 1298.

Potenziale alterazione della regolarità della gara delle “imprese collegate” - principio di piena concorrenza e di par condicio fra i partecipanti alle pubbliche gare e di segretezza delle offerte - legittimità dell’esclusione delle imprese concorrenti indicate come subappaltarici da altre imprese. Il T.A.R. ha ritenuto fondata ed assorbente la censura con la quale la Cooperativa ricorrente ha denunciato come contrastante con i principi di piena concorrenza, di par condicio fra i partecipanti alle pubbliche gare e di segretezza delle offerte la mancata esclusione delle imprese concorrenti indicate come subappaltarici da altre imprese, anche queste concorrenti, in un intreccio di rapporti a catena. Deve rilevarsi che dagli atti della controversia emerge che ben undici delle tredici imprese partecipanti alla gara risultano tra loro collegate con le connessioni individuate dal T.A.R. (evenienza questa che, come esattamente si rileva nella sentenza appellata, porta ad escludere la mera casualità o il carattere episodico del fenomeno). Ritiene, quindi, la Sezione che l’amministrazione, di fronte a tale situazione, era tenuta a prevenire la eventualità - anche se soltanto virtuale - che la regolarità della gara potesse essere alterata, dovendosi desumere dal reticolo delle connessioni interessanti la maggior parte delle imprese concorrenti la possibile esistenza di accordi per una formulazione concordata delle offerte in modo da rendere altamente probabile, se non addirittura certa, l’aggiudicazione della gara ad una delle imprese collegate (evenienza che poi si è effettivamente verificata). Consiglio di Stato Sezione V del 5 marzo 2002 n. 1297.

Potere discrezionale di valutazioni della commissione di gara e della Amministrazione - effetti delle prescrizioni contenute nella lettera di invito - documentazione amministrativa - documentazione economica - offerta - giustificazione dei prezzi. Le valutazioni della commissione di gara circa l’adeguatezza delle giustificazioni sul piano tecnico-economico sono espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo sul piano della logicità e della coerenza dell’iter motivazionale, oltre che in relazione alla veridicità dei presupposti di fatto presi in considerazione (Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2000, n. 400). Nel caso di specie non risultano detti sintomi estrinseci di un non corretto uso del potere discrezionale da parte della commissione e della Amministrazione. Secondo quanto prescritto dalla lettera di invito, l’offerta doveva essere articolata in tre plichi. Il primo aveva ad oggetto la documentazione amministrativa, il secondo la documentazione economica-offerta, ed il terzo la giustificazione dei prezzi. Sempre in base a quanto prescritto dalla lettera di invito tale ultimo plico doveva “contenere una relazione dettagliata tecnica-economica a giustificazione della proposta relativa alle voci segnalate dall’Amministrazione nell’apposito schema denominato “Allegato B”, sottoscritta in ogni pagina dal titolare o legale rappresentante dell’impresa”. La Commissione giudicatrice ha ritenuto che la documentazione prodotta non rispondesse a quanto richiesto dalla lettera di invito. La Sezione ritiene condivisibile il giudizio formulato dalla commissione e dal primo giudice. In effetti, la relazione giustificativa prodotta dall’impresa appellante non è conforme a quanto richiesto dall’Amministrazione. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 28 febbraio 2002, n. 1230

Appalto di opere pubbliche - mancata indicazione delle imprese subappaltatrici - non opera ope legis l’esclusione alla gara mentre opera l’esclusione della facoltà di subappaltare. In tema di appalto di opere pubbliche la mancata indicazione delle imprese subappaltatrici da parte del concorrente non comporta di per sé l’esclusione dalla gara dell’impresa che sia autonomamente dotata dei requisiti prescritti per l’esecuzione diretta delle opere. A tale lacuna nella produzione documentale consegue unicamente l’esclusione della facoltà di subappaltare (Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 1993, n. 240; 23 giugno 1999, n. 438). Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 28 febbraio 2002, n. 1229.

Offerta - discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifra - principio della conservazione validità all’offerta - applicazione del ribasso più vantaggioso per l’Amministrazione. Art. 72 R.D. 23 maggio 1924 n. 827, secondo il quale ove in un’offerta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifra, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione. Disposizione, questa, che in mancanza di specifica disciplina, deve ritenersi espressiva di un principio generale, dettato, peraltro, dall’esigenza di conservare validità all’offerta, altrimenti nulla. Nella specie, dopo espletate le operazioni di legge, il ribasso espresso in numeri, offerto dall’appellante, ha comportato l’aggiudicazione all’impresa appellata con un ribasso più vantaggioso per l’Amministrazione rispetto a quello espresso in lettere, l’impugnazione in primo grado avanzata dal Consorzio si rivela inammissibile per difetto d’interesse, non derivandogli dal suo accoglimento alcun risultato utile. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 28 febbraio 2002, n. 1228.

Bando di gara - operatività delle regole fissate nel bando di gara - lex specialis - jus superveniens - l’esercizio del potere di autotutela - par condicio dei concorrenti. In sede di aggiudicazione, la pubblica Amministrazione è tenuta ad applicare le regole fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla lettera d’invito, costituisce la lex specialis della gara e non può essere disapplicato nel corso del procedimento, neppure nel caso in cui talune delle regole in esso contenute risultino non più conformi allo jus superveniens, salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela (cui il Comune di Falerna non ha comunque fatto ricorso, ritenendo erroneamente di potersi avvalere di un inesistente potere di disapplicazione). Invero il bando di gara opera (salvo prova contraria) un rinvio materiale e non dinamico alle regole in esso contenute con l’effetto di rendere indifferente la mutazione successivamente intervenuta a livello legislativo. Coerente a tale interpretazione è l’esigenza di salvaguardare così la par condicio dei concorrenti, che sulle regole fissate nel bando hanno fondato i loro calcoli di convenienza e quantificato le offerte. Consiglio di Stato Sezione V del 28 febbraio 2002 n. 1225. (vedi: sentenze per esteso)

Appalti - gare per l'affidamento di appalti per lo svolgimento di pubblici servizi - limiti di ammissione previsti nel bando - capacità tecniche ed economica - elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni con l'indicazione degli importi - quadro normativo comunitario e statale. Per indirizzo giurisprudenziale che la Sezione condivide (cfr.C.S.,V, 6 agosto 2001, n.4237), alla stregua delle disposizioni dettate dagli artt.13 e 14 del d.lgs. 17 marzo 1995, n.157, in tema di gare per l'affidamento di appalti per lo svolgimento di pubblici servizi, deve ritenersi legittima la clausola del bando con la quale l'Amministrazione, allo scopo di ottenere la dimostrazione della capacità economica, finanziaria e tecnica dei partecipanti, limiti l'ammissione ai soli concorrenti che abbiano svolto servizi identici, anche quanto alla tipologia delle strutture destinatarie, a quelli oggetto dell'appalto nei tre anni precedenti. Invero, in base all'art.13 (cfr.art.31 della direttiva n.92/50/CEE), le amministrazioni "precisano nel bando i documenti che i concorrenti devono presentare per dimostrare la propria capacità finanziaria ed economica". Tra questi, l'amministrazione può richiedere una dichiarazione che indichi "il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo ai servizi identici a quello oggetto della gara realizzati negli ultimi tre anni". Per il successivo art.14 (cfr.art.32 della direttiva), comma 1, lett.a) e comma 2, inoltre la stazione appaltante può disporre nel bando o nella lettera invito che i concorrenti dimostrino le proprie capacità tecniche, in relazione all'oggetto della gara, con "l'elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni con l'indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi stessi; se trattasi di servizi prestati a favore di amministrazioni o enti pubblici, esse possono essere provate da certificati rilasciati e vistati dalle amministrazioni o degli enti medesimi". Il successivo comma 3 precisa che i requisiti tecnici "non possono eccedere l’oggetto dell’appalto". Ora, è pur vero, che, come rilevato dal TAR con una puntuale ricostruzione del quadro normativo comunitario (direttive n.92/50/CEE, modificata dalla direttiva n.97/52/CEE) e statale (d.lgs. n.157/1995 e successive modifiche), i "servizi identici" sono i servizi cui si riferisce l’appalto e vanno individuati, tenendo conto degli allegati I e II al d.lgs. n.157/1995, che in particolare al n.17 (allegato II) contempla genericamente i "servizi alberghieri e di ristorazione". E' altrettanto vero però che dal cennato quadro normativo non sembra emergere alcun divieto per le amministrazioni di richiedere nell'ambito di detti servizi una esperienza qualificata in un determinato settore, quale requisito anzitutto tecnico per lo svolgimento ottimale del servizio." Tale potestà non risulta esclusa da alcuna previsione, non può ritenersi estranea all’oggetto dell’appalto (ex art.14 comma 3) e può essere quindi esercitata sempre che detto esercizio sia giustificato, come nella specie, da ragioni logiche. Consiglio di Stato, V Sezione - Sentenza del 15 febbraio 2002, n. 919.

 Commissione di gara - previsione di elementi di valutazione non previsti dal bando di gara - illegittimità. È illegittima la previsione da parte della Commissione di gara, al fine di valutare il punteggio da attribuire, di sottocriteri non corrispondenti alla specifica indicazione del bando di gara. La Commissione non ha alcun potere di integrare il bando di gara né di introdurre elementi di valutazione diversi rispetto a tale disposizione. Consiglio di Stato, V Sezione - Sentenza del 15.02.2002, n. 901.

 Appalto concorso - unicità dell’offerta - principio di parità dei concorrenti - nullità dell’offerta contenente due proposte - riduzione dell’interesse ad impugnare dell’escluso. Anche nell’appalto concorso, vige la regola dell’unicità dell’offerta, la quale, oltre a discendere dal principio di parità dei concorrenti, è connaturale al concetto stesso di gara per la migliore offerta di esecuzione del progetto (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 1994, n. 1339). Quando una impresa, contravvenendo alle disposizioni della lettera di invito, presenta un’offerta contenente due proposte, l’Amministrazione deve ritenere la nullità dell’offerta e non può prendere in considerazione alcuna delle proposte (Cons. Stato, sez. IV. 23 marzo 1987, n. 173). Pertanto, il concorrente legittimamente escluso non ha alcun interesse giuridicamente tutelabile in ordine alla correttezza dell’aggiudicazione della gara ad altri concorrenti, in quanto egli, dall’eventuale annullamento dell’aggiudicazione, non conseguirebbe alcun vantaggio immediato e diretto (Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 1996, n. 323). Inoltre, l’esclusione dalla gara costituisce ipotesi di riduzione dell’interesse dell’escluso a contrastare i risultati della gara ad interesse di mero fatto (Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1997, n. 1367). Consiglio Stato Sez. V, Sentenza 7 febbraio 2002 n. 719.

 Appalto di opere pubbliche - subappalto - principio di segretezza - rapporto di controllo tra società ai sensi dell’art. 2359 cod. civ.. In tema di appalto di opere pubbliche, la preventiva dichiarazione delle ditte cui l’impresa intende ricorrere per l’esecuzione delle opere per mezzo del subappalto non impedisce, in assenza di una espressa previsione di legge, che le stesse possano direttamente concorrere con proprie autonome offerte alla medesima gara (Cons. Stato, sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1056). In tema di appalto di opere pubbliche, il collegamento tra imprese suscettibili di ricondurre due o più offerte ad un unico centro decisionale, con conseguente automatica violazione del principio di segretezza, si verifica soltanto nel caso in cui tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante perché esiste un controllo ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. , oppure perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte. In tema di appalto di opere pubbliche, la sussistenza di un rapporto di controllo tra società ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., non inficia ex se l’esito della gara ove non sia dimostrata la sua influenza negativa sul corretto andamento della gara medesima. Consiglio Stato Sez. V, 07 febbraio 2002, n. 685. 

 Interesse ad impugnare - esclusione. Costante giurisprudenza, esclude che possa riconoscersi, in capo a chi non abbia partecipato alla gara, alcun interesse ad impugnare l’atto di aggiudicazione che la conclude. Consiglio Stato Sez. V, 07 febbraio 2002, n. 684.

 Appalti - risoluzione del rapporto - cognizione del giudice ordinario. E’ consolidato ed univoco l’orientamento giurisprudenziale, che giudica devolute alla cognizione del giudice ordinario le controversie sugli atti con i quali l’Amministrazione, successivamente alla definizione della procedura di affidamento dei lavori ed alla stipula del contratto di appalto, ha provveduto unilateralmente alla risoluzione del rapporto, attesa l’incidenza di questi su posizioni di diritto soggettivo e sul presupposto del loro carattere negoziale e non provvedimentale (Cass. SS. UU., 7 marzo 2001 n. 95, Cons. Stato, Sez. V, 24 aprile 2000 n. 2435); Consiglio Stato Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 515.

 Appalti - errore di fatto - ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c. - requisiti. In diritto l’errore di fatto contenuto nella sentenza idoneo a legittimare il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare esso da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto; b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente pronunciato; c) infine, nell’essere stato elemento determinante della decisione adottata, risultando inammissibile, sotto tale angolazione, il ricorso in revocazione con il quale si tende ad investire un momento tipicamente valutativo della decisione impugnata (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. I, 28 marzo 2001, n. 180\2001; sez. VI, 25 settembre 1995, n. 985). Consiglio Stato sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 398.

 

 Appalti - legittimazione ad appellare dell'interventore ad opponendum - esclusione dalla gara - impugnazione - termine di decadenza - lex specialis della gara - dichiarazione negoziale - c.d. metodi di interpretazione oggettiva - articolo 1366 c.c. (interpretazione secondo buona fede). La legittimazione ad appellare dell'interventore ad opponendum in primo grado è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di questo Consiglio allorquando quest'ultimo vanti un interesse qualificato sostanziale, inciso dalla sentenza di primo grado (cfr. Ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2; id., 24 luglio 1997, n. 15; sez. IV, 8 giugno 2000, n. 3280; sez. IV, 28 maggio 1997, n. 582; sez. V, 6 maggio 1997, n. 456), che lo rende controinteressato in senso sostanziale, anche se non in senso formale, perché non menzionato nell'atto impugnato o comunque non facilmente identificabile grazie a questo. Le prescrizioni che attengono all'ammissione ovvero all'esclusione dalla gara - e, più in generale, ai criteri di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento di quest'ultima - contenute nel bando devono essere impugnate, se lesive dell'interesse del partecipante, nel termine di decadenza decorrente dall'effettiva conoscenza delle stesse - solitamente quindi, dal momento in cui si presenta domanda di partecipazione o direttamente l'offerta - (cfr. Cons. St., sez. V, 22 marzo 1999, n. 302; sez. V, 11 gennaio 1999, n. 1757). Qualora, invece, come nel caso di specie, le clausole del bando assurgano a parametro di legittimità dell'operato del seggio di gara, è evidente che la lesione della posizione soggettiva del ricorrente non sorge al momento della partecipazione alla gara, bensì successivamente in occasione dell'adozione del provvedimento che si discosta dal contenuto precettivo del bando (nel caso in esame il provvedimento di esclusione). La lex specialis della gara, infatti, è quella che risulta dalle prescrizioni contenute nel bando e nella lettera di invito, che addirittura prevalgono sul contenuto della delibera di indizione della gara stessa (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 29 agosto 2001, n. 4572; Cons. Stato sez. V, 4 marzo 1998, n. 241). Il bando, inteso come dichiarazione negoziale, và interpretato secondo le consuete regole sancite dal codice civile in materia di ermeneutica dei contratti. E’ noto che in materia di contratti conclusi dalla amministrazione, debbono essere privilegiati i c.d. metodi di interpretazione oggettiva, dando minor valore a quelle regole di interpretazione soggettiva tese a ricostruire la volontà delle parti anche in contrasto con il dato letterale (cfr. Cons. St., sez. IV, 20 novembre 1998, n. 1619; Corte dei Conti sez. contr. Stato, 11 dicembre 1996, n. 171). Anche il principio sancito dall’articolo 1366 c.c. (interpretazione secondo buona fede), deve essere applicato non solo con riferimento alla necessità di tutelare l’affidamento di chi è risultato aggiudicatario, ma anche nel senso di garantire l’effettiva possibilità per tutti gli interessati di partecipare alle gare, conoscendo ciò che l’amministrazione esattamente richiede, con la conseguente esigenza di interpretare il contratto privilegiando il senso che determinati termini rivestono obbiettivamente nel linguaggio comune alla maggior parte dei soggetti che operano in un particolare settore economico e che siano interessati ad entrare in contatto con l’amministrazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 20 novembre 1998, n. 1619 cit.; Corte dei conti n. 171 del 1996 cit.). Consiglio Stato sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 397.

 

 Gara d’appalto - illegittimità della nuova offerta economica effettuata a buste aperte - irregolarità della documentazione. Costituisce una grave illegittimità la richiesta di una nuova offerta economica effettuata a buste aperte (relativamente a quelle contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta tecnica) e, per di più, quando una delle due ditte rimaste in gara non aveva presentato una offerta completa perché mancante proprio degli elementi ritenuti non necessari perché già in possesso dell’Amministrazione. L’eccesso di potere e la violazione delle norme speciali della gara sono evidenti così come è chiara la violazione da parte della Commissione di gara dell’art.4, punto 1) lett. B , lett. d) del Capitolato che prevedeva a pena di esclusione , tra gli altri documenti, la presentazione di un manuale metodologico allegato “alla descrizione della metodologia adottata per la progettazione, sviluppo, gestione e manutenzione del software applicativo“ e che non ha portato alla esclusione dell’offerta della attuale controinteressata che non aveva presentato il manuale suddetto e che, invitata – come si è detto illegittimamente – ad integrare la documentazione ha presentato il manuale di altra ditta. Consiglio di Stato Sez. V, 21 gennaio 2002 Sentenza n. 349. 

 

 Appalti - raggruppamento temporaneo di imprese - requisiti - qualificazione in via autonoma - lex specialis. Nell’ipotesi di raggruppamento ognuna delle imprese deve essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per la partecipazione dell’impresa singola. In aggiunta alle considerazioni svolte dal primo giudice può osservarsi che anche la lettera di invito era univoca nel prevedere che il raggruppamento temporaneo potesse avvenire solo “tra prestatori che abbiano superato l’ammissione alla gara”. Tale espressione conforta l’interpretazione che ogni prestatore dovesse essere qualificato in via autonoma. L’associazione temporanea, quindi, era ammissibile a condizione che tutti i partecipanti fossero in possesso dei requisiti per partecipare alla gara. Era solo per questa eventualità, dunque, che -sempre la lettera di invito- disponeva che, in caso di associazione temporanea, i prestatori dovevano specificare le parti del servizio che sarebbero state eseguite da ciascuno di essi. Né può farsi questione della legittimità della lex specialis, non essendo stato proposto ricorso incidentale in primo grado. Consiglio Stato sez. V, 21 gennaio 2002, n. 346.

Gara d’appalto - la ratio del principio di segretezza - ambito di operatività del principio di segretezza - principio di conservazione - ipotesi, d'invalidità di una gara di appalto per illegittima esclusione di alcune ditte offerenti - riammissione alla gara. La valenza generale del principio di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione dei contratti pubblici e della normale contestualità delle operazioni valutative delle singole proposte è affermata, senza esitazioni, dalla costante giurisprudenza amministrativa. La regola trova molteplici conferme sul piano normativo, in applicazione delle regole costituzionali di imparzialità e buon andamento e dei criteri comunitari di tutela della libertà di concorrenza ed è diffusamente specificata nei singoli bandi di gara, mediante la definizione di puntuali disposizioni afferenti alle diverse fasi del procedimento. Il principio, nella sua ampia portata, si articola in molteplici regole, che governano la fase di presentazione delle offerte ed il procedimento attraverso cui la stazione appaltante valuta il contenuto della documentazione esibita dalle parti. La ratio del principio è lineare e trasparente: il seggio di gara deve valutare le offerte in modo obiettivo ed imparziale, secondo cadenze temporali che garantiscano la parità di condizioni tra le parti, senza anticipazioni di giudizi. Il criterio della segretezza, poi, opera anche nelle ipotesi in cui la procedura di gara deve essere rinnovata, in seguito all’accertamento di illegittimità dell’atto finale di aggiudicazione o degli atti intermedi della procedura. In tali circostanze assume sicuro rilievo il principio di conservazione dell’atto amministrativo, come afferma, in termini generali, il tribunale. Di norma, la rinnovazione deve limitarsi ai soli atti viziati, in via diretta o derivata, senza estendersi ad attività, operazioni e provvedimenti legittimamente compiuti. Il principio di conservazione, tuttavia, deve essere coordinato con le regole della segretezza delle offerte e della contestualità delle operazioni valutative, in rapporto alle finalità che detti principi perseguono, apprezzando, in concreto, tutti gli aspetti rilevanti nella singola fattispecie. In tale prospettiva, assumono rilievo, fra l’altro, le seguenti circostanze:

le particolari modalità della gara svolta, ed il criterio di aggiudicazione prescelto;

il riscontro obiettivo delle operazioni concretamente effettuate dall’amministrazione;

il tipo di vizio accertato in sede giurisdizionale o di autotutela;

la portata del giudicato di annullamento;

In relazione al tipo di vizio concretamente riscontrato, il procedimento di riesame può condurre ad esiti diversi, che condizionano, poi, la successiva rinnovazione delle operazioni di gara. In particolare, si tratta di stabilire la linea di demarcazione tra le illegittimità che colpiscono l’intera procedura di gara e quelle che riguardano solo determinate fasi od operazioni particolari. Secondo questa prospettiva, occorre tenere conto del canone fondamentale della conservazione degli atti giuridici, operante in tutti i settori dell’ordinamento giuridico, ma che, nel diritto amministrativo assume una valenza rafforzata, in relazione alle specifiche regole di economicità dell’azione amministrativa e del divieto di aggravamento del procedimento. Infatti, costituisce principio generale quello secondo il quale il potere di annullamento può essere sempre esercitato parzialmente, nel senso che possono essere annullati solo alcuni atti del procedimento, mantenendosi validi ed efficaci gli atti anteriori, ove rispetto a questi non sussistano ragioni di annullamento; pertanto, nell'ipotesi, d'invalidità di una gara di appalto per illegittima esclusione di alcune ditte offerenti, non e' necessario disporre la rinnovazione integrale della gara stessa (con la riapertura, cioe', della stessa fase di presentazione delle offerte), ma si puo' legittimamente mantenere fermo il sub-procedimento di presentazione delle offerte e disporre la rinnovazione solo della fase dell'esame comparativo delle offerte già pervenute (Consiglio Stato sez.IV, 13 ottobre 1986 n. 664). Quindi, la riammissione delle imprese originariamente escluse impedirebbe di effettuare una valutazione delle loro offerte rispettando i principi della par condicio tra i concorrenti e della necessaria contestualità del giudizio comparativo, perché la seconda valutazione risulterebbe oggettivamente condizionata dalla intervenuta conoscenza delle precedenti offerte e dall’attribuzione del punteggio. Infatti, secondo un indirizzo ermeneutico pienamente condiviso dal collegio, è legittima la riammissione alla gara, e la conseguenziale riapertura delle valutazioni delle offerte, di una ditta rimasta esclusa per incompletezza della documentazione allegata alla propria offerta, soltanto se l'acquisizione successiva dei documenti mancanti non conceda alla ditta la possibilità, sia pure astratta, di modificare la propria offerta una volta presa cognizione delle offerte avversarie (Consiglio Stato sez.IV, 13 ottobre 1986 n. 664). Consiglio di Stato Sez. V, 21 gennaio 2002 Sentenza n. 340. 

 

 Gara d’appalto - esclusione automatica delle offerte anomale - il limite numerico delle cinque offerte valide - accertamento analitico, previa giustificazione, dell’anomalia dell’offerta. Nel regime transitorio previsto dall’articolo 21, comma 1 bis, ultimo periodo, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito con legge 2 giugno 1995, n. 216, è illegittima l’esclusione automatica dalla gara di appalto di un’opera pubblica di un’offerta anomala disposta in assenza di almeno cinque offerte valide (Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 2000, n. 2873). L’intento del legislatore è, anzitutto, quello di confermare il regime di esclusione automatica delle offerte anomale per gli appalti sotto-soglia comunitaria, purché il numero delle offerte valide non sia inferiore a cinque. A questa previsione segue uno speciale regime transitorio, vigente fino al 1° gennaio 1997. La questione interpretativa che deve affrontarsi concerne, per l’appunto, il coordinamento del primo precetto con tale regime transitorio, atteso che anche per quest’ultimo si conferma il sistema dell’esclusione automatica delle offerte anomale, assumendo un diverso criterio per l’accertamento del limite di anomalia, senza però ripetere né chiarire se debba anche in questo caso valere il limite numerico delle cinque offerte valide. Il tenore testuale della norma, nel correlare il limite numerico ad un regime obiettivamente diverso di accertamento dell’anomalia, costituisce argomento tendenzialmente favorevole all’opposta soluzione. Senonché, la tesi condivisa dalla Sezione è fondata su più significative valutazioni di ordine sostanziale. In primo luogo, l’argomento letterale è indebolito dalla circostanza che l’inciso finale, relativo al regime transitorio, è stato aggiunto nel comma 1-bis solo in sede di conversione del d.l. n.101 nella legge n.216 del 1995. Sicché l’apparente separazione logica tra la condizione del numero minimo di offerte ed il regime transitorio sull’esclusione automatica, piuttosto che indice di una chiara opzione legislativa, appare il frutto di un difetto di coordinamento tra il testo originario del decreto ed il testo dopo la conversione. In secondo luogo, i precedenti legislativi in tema di esclusione automatica delle offerte anomale, opportunamente richiamati dall’appellante, si sono sempre fondati sull’indispensabile individuazione di un tetto massimo delle offerte (v. l’art. 2-bis, comma 3, del d.l. 2.3.1989, n.65, convertito nella legge 26.4.1989, n.155, e l’art.29, comma 6, del d. lgs. 19.12.1991, n.406). Questi precedenti, lungi dall’essere isolate espressioni della discrezionalità legislativa, sono la conseguenza dell’intima ragion d’essere dell’esclusione automatica delle offerte anomale: poiché essa presuppone l’individuazione delle offerte eccessivamente vantaggiose che appaiono fuori mercato, un criterio basato sulla comparazione di un numero troppo basso di offerte è inidoneo ad offrire un dato sintomatico della situazione di mercato, mancando un monitoraggio minimo sulle condizioni medie che le imprese del settore sono in grado di offrire. Ed invero, se fosse esatta la tesi opposta, si dovrebbe concludere per l’applicazione dell’esclusione automatica anche quando vi sono solo due offerte: con l’ulteriore conseguenza che l’offerta più vantaggiosa per l’amministrazione nella gran parte dei casi si rivelerebbe anomala. L’esigenza di ancorare il metodo automatico di esclusione alla previsione di un numero minimo di offerte, oltretutto, discende anche dal pericolo che, in presenza di pochi partecipanti, si raggiungano più agevolmente degli accordi volti ad influire sulla media delle offerte valide. Sicché proprio in questi casi è più grave il rischio che la media dei ribassi non risponda all’effettivo valore medio della prestazione. Ciò che consiglia, appunto, di sostituire al metodo che collega l’esclusione al confronto automatico con siffatta media quello che impone l’accertamento analitico, previa giustificazione, dell’anomalia dell’offerta. Da queste considerazioni discende che la mancata indicazione di un numero minimo di offerte ai fini della disciplina transitoria è frutto di una lacuna, che deve colmarsi mediante l’applicazione analogica della prescrizione sulle cinque offerte valide contenuta nel medesimo comma. Consiglio di Stato Sez. V, 21 gennaio 2002 Sentenza n. 339. 

 

Nullità assoluta della clausola di un bando di concorso di un Ente pubblico il quale subordini l’assunzione dei vincitori alla inesistenza di vincoli di parentela con propri dipendenti. E’ affetta da nullità assoluta la clausola di un bando di concorso di un Ente pubblico il quale subordini l’assunzione dei vincitori alla inesistenza di vincoli di parentela con propri dipendenti. La motivazione addotta è che tale "status" è estraneo alla professionalità dei lavoratori. Cassazione del 19 gennaio 2002, sentenza n. 570

 

 Gara di appalto - inammissibilità del ricorso contro le clausole del bando di gara e le modalità di svolgimento per carenza di interesse. La mancata partecipazione alla gara di appalto rende inammissibile il ricorso contro le clausole del bando di gara e le modalità di svolgimento per carenza di interesse (cfr. anche C.d.S., V, 3 aprile 2000, n. 1909, 7 ottobre 1998, n. 1418 e 26 maggio 1997, n. 554). Nella fattispecie, inammissibile il gravame in quanto la ricorrente, pur avendo contestato il bando di gara, non aveva comunque presentato domanda di partecipazione alla gara stessa. Consiglio di Stato Sez. V del 3 gennaio 2002, sent. n. 6.

 

 Gara di appalto - legittimità della partecipazione alla gara in contestazione delle clausole adottate dall’amministrazione - i presupposti dell’acquiescenza al provvedimento amministrativo - la soglia di anomalia - modalità applicative della norma. La partecipazione alla gara in contestazione non manifesta affatto una volontà di incondizionata accettazione delle clausole adottate dall’amministrazione, né esprime la rinuncia a fare valere i vizi del procedimento lesivi degli interessi del concorrente. La giurisprudenza della Sezione è particolarmente rigorosa nell’individuare i presupposti dell’acquiescenza al provvedimento amministrativo, che si verifica solo quando tutti i dati fattuali indicano, senza incertezze, la presenza di una chiara intenzione definitiva di non contestare l’atto lesivo. Nel caso di specie, la partecipazione alla gara non rivela alcuna attitudine a manifestare la volontà di accettare le clausole illegittime fissate dalla stazione appaltante. Anzi, proprio la presentazione dell’offerta mette in luce il persistente interesse della parte a conseguire l’utilità sostanziale rappresentata dall’aggiudicazione dell’appalto, rimuovendo le illegittimità idonee ad ostacolare la realizzazione dell’interesse stesso. Secondo la disposizione, superano la soglia di anomalia, “tutte le offerte che presentino un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media”. Al riguardo, è opportuno sottolineare che l’Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici, con determinazione n. 4 del 26 ottobre 1999, ha delineato le modalità applicative della norma, nel seguente modo:

“1.1. si forma l’elenco delle offerte ammesse, disponendole in ordine crescente dei ribassi; le offerte contenenti ribassi uguali vanno singolarmente inserite nell’elenco collocandole senza l’osservanza di alcun ordine;

1.2. si calcola il dieci per cento del numero delle offerte ammesse e lo si arrotonda all’unità superiore;

1.3. si escludono fittiziamente dall’elenco un numero di offerte di minor ribasso, pari al numero di cui al punto 1.2., nonché un numero di offerte di maggior ribasso, pari al numero di cui al punto 1.2 (cosiddetto taglio delle ali)”.

Secondo tale determinazione, poi, una volta calcolata la soglia di anomalia, nel caso di appalti di importo inferiore ai cinque milioni di ECU, si procede “alla esclusione effettiva di tutte le offerte i cui i ribassi siano pari o superiori alla soglia di anomalia di cui al punto 1.7 e, quindi, anche di quelle offerte relative a quel dieci per cento di cui al punto 1.3 che non hanno contribuito alla determinazione delle medie.” Consiglio di Stato Sez. V del 28 dicembre 2001, sent. n. 6431.

 

 Gara di appalto - principio di parità delle condizioni dei concorrenti alle gare - irrilevanza delle vicende intervenute dopo la conclusione della procedura selettiva - documentazione incompleta - illegittimità dell’acquisizione successiva del prescritto requisito - difetto dell’indispensabile presupposto soggettivo. Il principio di parità delle condizioni dei concorrenti alle gare per l’aggiudicazione di appalti pubblici impedisce di attribuire rilevanza a vicende intervenute dopo la conclusione della procedura selettiva. Come correttamente rilevato dal tribunale, l’impresa interessata non si è limitata a regolarizzare una documentazione incompleta, ma ha acquisito il prescritto requisito solo in epoca successiva alla scadenza del termine di presentazione delle offerte. L’appellante, poi, non coglie l’esatta portata delle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione della domanda di revisione. Essa non solo impedisce il rilascio del certificato di iscrizione all’A.N.C., ma costituisce anche una preclusione alla partecipazione alle gare, per difetto dell’indispensabile presupposto soggettivo. La presentazione tardiva della domanda di revisione consente la partecipazione alle gare, ma solo se al momento della richiesta non è ancora scaduto il termine per la formulazione delle offerte. Consiglio di Stato Sez. V del 28 dicembre 2001, sent. n. 6433. (Vedi: Sentenza per esteso)

 

 Appalti - gara d’appalto - verifica dell’anomalia di un’offerta - limiti alla potestà discrezionale - manifesta irrazionalità - travisamento del fatto - l’obbligo di motivazione. In ordine al giudizio di asserita inattendibilità dell’operato delle Amministrazioni e delle Commissioni giudicatrici in sede di procedure ad evidenza pubblica. Occorre rammentare quanto più volte statuito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (C.d.S., VI, 19 maggio 2000, n. 2908; VI, 28 gennaio 2000, n. 400; V, 26 gennaio 2000, n. 345; C.G.R.S., 3 giugno 1999, n. 228) che ai sensi di quel consolidato indirizzo giurisprudenziale, fermo restando l’obbligo di motivazione, la verifica in ordine all’anomalia di un’offerta in una gara di appalto costituisce valutazione attinente all’esercizio di una potestà discrezionale dell’Autorità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità se non per aspetti di manifesta irrazionalità e di travisamento del fatto. Consiglio Stato sez. V, 27 dicembre 2001, n. 6392.

 

 Gara di appalto - omessa notifica dell’atto di appello - controinteressati - principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa - art. 97 Costituzione - principio della concorsualità - individuazione del “giusto” contraente - articolo 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994 n. 109 - ipotesi controllo o collegamento societario indicato dall’articolo 2359 del codice civile - piena legittimità di clausole di bandi di gara idonei a determinare il “giusto“ contraente - legittima la richiesta di dichiarazione circa la mancanza di un collegamento sostanziale con altre imprese partecipanti alla gara.  L’omessa notifica dell’atto di appello ad una delle parti evocate nel giudizio di primo grado non comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, imponendo soltanto l’integrazione del contraddittorio (ex pluribus C.d.S., sez. IV, 3 novembre 1998, n. 1429; 8 ottobre 1996 n. 1093; sez. V, 8 giugno 1992; sez. VI, 27 maggio 1998 n. 822). E’ noto che rispetto al provvedimento di esclusione da una gara non possono individuarsi controinteressati in senso proprio, e quindi soggetti ai quali notificare necessariamente l’impugnativa; d’altra parte solo rispetto all’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione definitivo l’aggiudicatario assume la qualità di controinteressato (C.d.S., sez. VI, 15 luglio 1998 n. 1093). (Pertanto, nel caso di specie, l’impresa S.c.a.r.l. Angel, quale semplice aggiudicataria provvisoria, non poteva e non può considerarsi controinteressato nel giudizio de qua e dunque la notifica del ricorso di primo grado deve essere considerata come fatta a titolo di mera notizia e come tale inidonea a far scattare l’obbligo della notifica dell’atto di appello). Nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’art. 97 della Costituzione, la predetta serie procedimentale si impernia fondamentalmente sui postulati di trasparenza ed imparzialità che, a loro volta, si concretizzano nel principio della par condicio di tutti i concorrenti realizzata attraverso la previa predisposizione del bando di gara e quindi nel principio della concorsualità, della segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni della lex concorsualis e nella previa predisposizione da parte dell’amministrazione appaltante dei criteri di valutazione delle offerte.In considerazione della finalità pubblicistica cui sono preordinati tali principi, che può sintentizzarsi nella esigenza di individuazione del “giusto” contraente, al loro rispetto non è vincolata soltanto la pubblica amministrazione, bensì anche coloro che intendono partecipare alla gara: In considerazione della finalità pubblicistica cui sono preordinati tali principi, che può sintentizzarsi nella esigenza di individuazione del “giusto” contraente, al loro rispetto non è vincolata soltanto la pubblica amministrazione, bensì anche coloro che intendono partecipare alla gara: su questi ultimi incombe infatti l’obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico – economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, della completezza, della serietà, della indipendenza e della segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui può giungersi ad individuare il miglior contraente possibile. In tale ottica la norma contenuta nell’articolo 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994 n. 109, secondo cui “non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile” si inquadra nell’ambito dei divieti normativi sull’ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti dal legislatore capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità. Si tratta di una chiara norma di ordine pubblico che trova applicazione indipendentemente da una specifica previsione in tal senso da parte dell’amministrazione appaltante: l’oggetto giuridico tutelato è quello del corretto e trasparente svolgimento delle gare per l’appalto dei lavori pubblici nelle quali il libero gioco della concorrenza e del libero confronto, finalizzati alla scelta del “giusto” contraente, risulterebbero irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, sono sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi, tale essendo quello che – secondo la previsione del legislatore – si realizza concretamente nelle ipotesi controllo o collegamento societario indicato dall’articolo 2359 del codice civile. In tal senso modo il legislatore ha voluto assicurare all’amministrazione appaltante una specifica (e preventiva) tutela volta a garantire effettivamente l’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente possibile, evitando che, pur in presenza di procedimenti di gara formalmente corretti, la legittimità e la correttezza della serie procedimentale fossero sostanzialmente alterati dai suindicati fenomeni: è significativo al riguardo la circostanza che la norma in esame, attraverso un rinvio recettizio, introduce nella serie procedimentale la normativa sul collegamento e controllo societario elaborata ai fini civilistici e basata esclusivamente su di una presunzione assoluta (“…sono considerate…”, recita testualmente la norma ), iuris et de iure, non suscettibile di prova contraria. Ovviamente, posta in generale la piena legittimità di clausole di bandi di gara che prevedano requisiti ulteriori rispetto a quelli già stabiliti direttamente dalla legge, in concreto il limite della legittimità di tali ulteriori previsioni è da rinvenirsi nella loro ragionevolezza e nella loro logicità rispetto alla tutela che intendono perseguire e cioè la corretta individuazione del “giusto” contraente. Sulla base delle osservazioni precedentemente svolte, ad avviso della Sezione, la clausola della lex specialis di gara, con la quale l’amministrazione appaltante ha chiesto una dichiarazione circa la mancanza di un collegamento sostanziale con altre imprese partecipanti alla gara, prevedendo in caso contrario l’esclusione dalla partecipazione dalla gara stessa, è pienamente legittima. Essa, infatti, è finalizzata alla effettiva ed efficace tutela della regolarità della gara ed in particolare ad assicurare la par condicio fra tutti i concorrenti, nonché la serietà, compiutezza, completezza ed indipendenza delle offerte, in modo da evitare che, attraverso meccanismi di influenza societari, pur non integranti di cui all’art. 2359 C.C., possa essere alterata la gara, mettendo in pericolo l’interesse pubblico alla scelta del “giusto” contraente: rispetto al bene tutelato, essa appare quindi del tutto congrua e adeguata e non presenta i connotati della irragionevolezza, dell’illogicità e dell’arbitrarietà (che notoriamente costituiscono i limiti stessi della discrezionalità). Come evidenziato tale clausola non era né irragionevole, né illogica, né arbitraria, essendo adeguata rispetto alla tutela dell’interesse pubblico alla corretta scelta del “giusto” contraente e si poneva dunque quale concreta manifestazione dei principi costituzionali di cui all’articolo 97 della Costituzione: il che esclude la paventata violazione dell’articolo 41 della Costituzione. Consiglio di Stato Sez. IV del 27 dicembre 2001, sent. n. 6424.

 

 S.p.a. mista - affidamento a trattativa privata - collegamento “attuale-negoziale” - illegittimità. Il Comune di Colzate ha costituito una s.p.a. mista per la gestione del servizio di raccolta dei R.S.U. a capitale pubblico maggioritario, denominata Seriana Servizi s.r.l., con una società privata svizzera, la Celtica Ambiente S.A.; in origine l'Amministrazione comunale deteneva una percentuale del capitale sociale della Seriana Servizi s.r.l. pari al 51%, mentre la partner svizzera (Celtica Ambiente S.A.) deteneva la restante percentuale del capitale, pari al 49%. In seguito il Comune ha provveduto, attraverso delibere di giunta, ad affidare il servizio alla neo-costituita Seriana Servizi s.r.l., prevedendo, fra le altre cose, la possibilità per la Seriana di demandare - previo assenso dell'Amministrazione municipale di Colzate - la concreta gestione del servizio ad una società terza, purché associata alla Seriana; di seguito la partner privata Celtica Ambiente S.A. ha alienato una quota pari al 2% del capitale sociale della Seriana Servizi alla F.lli S. s.p.a., che pertanto e' stata "associata" alla Seriana Servizi per il tramite dell'acquisto della predetta frazione (peraltro di consistenza trascurabile) del capitale della società mista (il 47% del quale è residuato in capo alla Celtica Ambiente S.A.); ne e' scaturito l'affidamento del disputato appalto, da parte della Seriana Servizi s.r.l. e con il previo nulla osta del Comune di Colzate (risultante dal contesto delle delibere impugnate) alla neo-associata F.lli S. s.p.a.. L'Amministrazione di Colzate ha utilizzato lo strumento del collegamento "attuale"-negoziale (sub specie di delibera amministrativa di nulla osta e contestuale cessione di quote sociali a terzi ad opera del partner privato di minoranza) al fine di pervenire ad un sostanziale affidamento a trattativa privata del servizio di raccolta e trasporto R.S.U., in assenza dei presupposti che ne consentono l'esperimento e con evidente violazione di tutti i principi - di ascendenza tanto interna quanto comunitaria (principio di concorsualità nell'affidamento delle pubbliche gare, articoli 43 e seguenti del Trattato istituivo della Comunità Europea) - intesi ad assicurare la massima trasparenza e concorrenzialità nell'affidamento dei pubblici appalti. Nella prospettiva di massima competitività fatta propria dal Collegio e mutuata in particolare dai principi sopranazionali – non giova invocare l'urgenza nell'affidamento del servizio, in quanto il relativo espletamento ben avrebbe potuto essere mantenuto in capo alla precedente affidataria in regime di proroga, ovvero demandato, medio tempore, ad una ditta "associata" alla società mista "Seriana Servizi s.r.l." (come e' di fatto avvenuto), ma con contestuale pubblicazione ed agile espletamento di una gara pubblica o di una gara preliminare alla trattativa privata, con invito a presentare offerte inoltrato dall'Amministrazione a tutte le ditte operanti nel settore e territorialmente interessate all'affidamento. T.A.R. Lombardia, Brescia - Sentenza 11 dicembre 2001, n. 1365.

 

 Direttiva 93/37/CEE - Appalti pubblici di lavori e Aggiudicazione degli appalti - Offerte anormalmente basse - Modalità di giustificazione e di esclusione applicate in uno Stato membro - Obblighi dell’amministrazione aggiudicatrice in base al diritto comunitario (2002/C 84/12) - Impresa Lombardini SpA - Impresa Generale di Costruzioni contro ANAS - Ente nazionale per le strade, Società Italiana per Condotte d’Acqua SpA (C-285/99), e tra Impresa Ing. Mantovani SpA e ANAS - Ente nazionale per le strade, Ditta Paolo Bregoli (C-286/99), con l’intervento di: Coopsette Soc. coop. arl (C-286/99)( GU C 314 del 30.10.1999.) domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Consiglio di Stato: (Pubblicata su GUCE C 84/7 del 6.4.2002) Nelle cause riunite C-285/99 e C-286/99, aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell’art. 234 CE dal Consiglio di Stato nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra Impresa Lombardini SpA - Impresa Generale di Costruzioni contro ANAS - Ente nazionale per le strade, Società Italiana per Condotte d’Acqua SpA (C-285/99), e tra Impresa Ing. Mantovani SpA e ANAS – Ente nazionale per le strade, Ditta Paolo Bregoli (C-286/99), con l’intervento di: Coopsette Soc. coop. arl (C-286/99), domanda vertente sull’interpretazione dell’art. 30, n. 4, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), la Corte (Sesta Sezione), ha pronunciato il 27 novembre 2001 una sentenza il cui dispositivo è del seguente tenore: L’art. 30, n. 4, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, deve essere interpretato nel modo seguente:

- Esso si oppone alla normativa e alla prassi amministrativa di uno Stato membro che consentono all’amministrazione aggiudicatrice di respingere come anormalmente basse le offerte che presentano un ribasso superiore alla soglia di anomalia, tenendo conto unicamente delle giustificazioni dei prezzi proposti, relativi ad almeno il 75 % dell’importo posto a base d’asta menzionato nel bando di gara, che gli offerenti erano tenuti ad allegare alla loro offerta, senza concedere a questi ultimi la possibilità di far valere il loro punto di vista, dopo l’apertura delle buste, sugli elementi di prezzo offerti che hanno dato luogo a sospetti.

- Esso si oppone anche alla normativa ed alla prassi amministrativa di uno Stato membro che impongono all’amministrazione aggiudicatrice di prendere in considerazione, ai fini della verifica delle offerte anormalmente basse, solamente le giustificazioni fondate sull’economicità del procedimento di costruzione o delle soluzioni tecniche adottate o sulle condizioni particolarmente favorevoli di cui gode l’offerente, con esclusione di giustificazioni relative a tutti quegli elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative ovvero i cui valori sono rilevabili da dati ufficiali.

- Per contro esso non si oppone, in via di principio, nella misura in cui tutti i requisiti che impone siano per il resto soddisfatti gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 93/37 non siano pregiudicati, alla normativa ed alla prassi amministrativa di uno Stato membro che, in materia di determinazione delle offerte anormalmente basse e di verifica di queste offerte, da un lato, obbligano tutti gli offerenti, a pena di esclusione della loro partecipazione all’appalto, ad allegare alla loro offerta giustificazioni dei prezzi proposti relativi ad almeno il 75 % dell’importo posto a base d’asta, e, dall’altro, applicano un metodo di calcolo della soglia di anomalia basato sulla media dell’insieme delle offerte ricevute per l’aggiudicazione di cui trattasi, di modo che gli offerenti non sono in grado di conoscere tale soglia al momento del deposito del loro fascicolo, dovendo tuttavia il risultato al quale porta l’applicazione di tale metodo di calcolo essere riesaminato dall’amministrazione aggiudicatrice. Sentenza della Corte (Sesta Sezione) cause riunite C-285/99 e C-286/99, 27 novembre 2001.

 

 Offerta anomala - giudizio - competenza. Secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudizio sull'anomalia dell'offerta spetta non alla commissione di gara ma agli organi dell'Amministrazione aggiudicatrice (cfr. C.G.A., 21 novembre 1997, n. 501). T.A.R. Sicilia, Palermo, sent. 16 novembre 2001, n. 1578.

 

 Bando di gara - previsione di invio delle domande con Raccomandata A.R. a pena di esclusione - illegittimità - funzione della raccomandata e dell’avviso di ricevimento. La previsione dell’invio della domanda con Raccomandata con Avviso di Ricevimento è illegittima per eccesso di potere, per illogicità ed inutile aggravio del procedimento a carico degli interessati. Infatti, l’invio attraverso la mera Raccomandata costituisce una modalità che garantisce la finalità cui è preordinata la disposizione in quanto l’Avviso di Ricevimento costituisce un mero elemento di prova dell’avvenuto invio, a favore dell’istante, ma nulla muta, dal punto di vista dell’Amministrazione, per quanto concerne la sicurezza del mezzo postale prescelto. L’invio con A.R., pertanto, può costituire una facoltà per i privati per adempiere al suddetto onere, ma non un obbligo, a pena di esclusione. Per tali ragioni il bando è illegittimo nella parte in cui prevede, a pena di esclusione, l’invio delle domande con Raccomandata con Avviso di Ricevimento e non semplicemente tramite raccomandata, così come è conseguentemente illegittimo, per illegittimità derivata, il provvedimento applicativo di esclusione. TAR Emilia Romagna Sez. di Parma, Sent. 25 ottobre 2001, n. 882.

Danni pubblici ascrivibili a carenze del progetto - il progettista di opere pubbliche non è in rapporto di servizio con la stazione appaltante - insussistenza di giurisdizione della Corte dei conti - sproporzione tra spesa e valore delle opere realizzate - spesa superiore al sesto della spesa complessiva dell’appalto. Il progettista di opere pubbliche non è in rapporto di servizio con la stazione appaltante, di tal che non sussiste giurisdizione della Corte dei conti riguardo ai danni pubblici ascrivibili a carenze del progetto. Dal momento che la disciplina della responsabilità amministrativo-contabile si incentra sull’essenziale parziarietà dell’obbligazione risarcitoria, l’interruzione della prescrizione nei confronti di un corresponsabile non si comunica agli altri, non potendosi quindi fare applicazione dell’art. 1310 c.c. Se non sia data la dimostrazione di una sproporzione tra spesa e valore delle opere realizzate, la costruzione di una struttura ospedaliera con un numero di posti-letto minore di quanto indicato nel progetto non soltanto non costituisce danno commisurabile all’intera spesa, ma non lascia emergere un qualche danno ingiusto, dal momento che non pone in discussione la corrispondenza dell’utilizzazione concreta con la destinazione progettata. Se non comportante una spesa superiore al sesto della spesa complessiva dell’appalto, l’emergere di lievi vizi costruttivi resta compreso, come si desume dal fatto che le variazioni entro il suddetto limite non costituiscono - giusta quanto dispone l’art. 1660 c.c. - modifiche sostanziali dell’opera appaltata, in una sfera di alea normale propria del tipo di contratto e non costituisce, quindi, danno contabile risarcibile. Corte dei Conti Sezione III centrale, 11 luglio 2001, n.186/A.

 Concessione pubblici servizi a trattativa privata - "circostanze speciali" - articolo 267 del r.d. n. 1175 del 1931. La Sezione ritiene di dover ribadire il proprio orientamento secondo il quale le "circostanze speciali" che, ai sensi dell’articolo 267 del citato r.d. n. 1175 del 1931, consentono di dare in concessione pubblici servizi a trattativa privata non possono essere quelle connesse alla mera presunta maggiore convenienza tecnico-economica dell’intervento come prospettato dall’Autorità procedente. Diversamente opinando l’Amministrazione verrebbe ad operare la scelta del concessionario non basandosi sull’offerta più confacente, sul piano tecnico-economico, all’interesse pubblico, ma solo sulla base di propri apprezzamenti soggettivi e al di fuori di ogni confronto concorrenziale di mercato. Pertanto, la norma va interpretata in senso restrittiva e conforme all’attuale orientamento del legislatore, inteso a privilegiare il confronto concorrenziale tutte le volte in cui non vi ostino fatti oggettivamente impeditivi, con la conseguenza che, non diversamente dalle ipotesi di appalti di lavori o di servizi, anche nel caso di concessione di pubblici servizi il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti e coincidenti con l’impossibilità, per la pubblica amministrazione, di fare ricorso a pubbliche gare in ragione dell’estrema urgenza nel provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d’ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 1999, n. 546). Consiglio di Stato, Sez. V – Sentenza del 18 giugno 2001 n. 3213.

 L'aggiudicazione provvisoria, in quanto atto preparatorio e non conclusivo del procedimento, non obbliga all’immediata impugnazione - differimento dell’impugnazione - termini. L'aggiudicazione provvisoria, in quanto atto preparatorio e non conclusivo del procedimento, non obbliga all’immediata impugnazione; questa può essere differita al momento in cui si ricorre contro l'aggiudicazione definitiva. Il termine per ricorrere contro l'aggiudicazione di un pubblico contratto, pertanto, decorre dalla piena conoscenza di quella definitiva, con la possibilità di far valere nel relativo giudizio anche i vizi propri di quella provvisoria. Consiglio di Stato, Sezione IV, 16 novembre 2000 n. 6128.

La non corrispondenza della fideiussione alla prescrizione del bando - facoltà della commissione di gara di invitare le imprese a completare o a chiarire certificati, documenti e dichiarazioni - limiti. La non corrispondenza della fideiussione alla prescrizione del bando non può essere colpita dalla esclusione, posto che la previsione di tale sanzione non impedisce che la commissione di gara faccia uso della facoltà, prevista dall’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 1995, richiamato dall’art. 22, lett. c), del d.lgs. n. 158 del 1995, di invitare le imprese a completare o a chiarire certificati, documenti e dichiarazioni, con l’unico limite “rappresentato dall’impossibilità di trasformare la regolarizzazione nell’opportunità offerta all’impresa di andare oltre la formalizzazione documentale e di modificare a danno degli altri concorrenti la propria offerta C.d.S. sez. V 2 marzo 1999 n. 223.

Appalti - imprese che partecipano alle pubbliche gare - lotta contro delinquenza mafiosa - l'obbligo di presentare il modello G.A.P. - causa di esclusione dalla gara. L'obbligo di presentare il modello G.A.P. sin dalla fase del concorso risponde ad una esigenza sostanziale: consentire all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro delinquenza mafiosa di avere accesso a notizie riguardanti le imprese che partecipano alle pubbliche gare, posto che anche la sola partecipazione può costituire utile dato per rilevare la ingerenza della criminalità organizzata nei rapporti economici con l'amministrazione pubblica. Nel procedimento di una gara di appalto, la produzione senza firma o la mancata produzione del modello G.A.P., con il quale le Ditte concorrenti devono fornire notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico sull'attività svolta in precedenza, nonché ogni indicazione utile ad individuare gli effettivi titolari dell'Impresa, costituisce causa di esclusione dalla gara. Consiglio di Giustizia Amministrativa Sicilia 6 maggio 1998, n. 298

 Il comportamento illegittimo dell’Amministrazione non può essere invocato a sostegno della “disparità di trattamento” causato dal successivo corretto esercizio del medesimo potere. Un precedente comportamento illegittimo dell'Amministrazione – perché in contrasto con le norme applicabili in una determinata materia - non può essere invocato per sostenere l'illegittimità, sotto il profilo della disparità di trattamento, del successivo corretto esercizio del medesimo potere. Consiglio Stato sez. III, 2 dicembre 1997, n. 1179.

 

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