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CORTE COSTITUZIONALE - 11
febbraio 2011, n. 43
APPALTI - Procedure di gara - Fase precedente la stipulazione del contratto -
Fase della conclusione ed esecuzione - Ambiti materiali di riferimento - Tutela
della concorrenza - Ordinamento civile. Avendo riguardo all’ordinaria
articolazione delle procedure di gara è necessario distinguere la fase che
precede la stipulazione del contratto da quella di conclusione ed esecuzione di
esso. Con riferimento alla fase della procedura amministrativa di evidenza
pubblica, l’ambito materiale prevalente è quello della tutela della concorrenza.
In relazione alla fase negoziale, che ha inizio con la stipulazione del
contratto, l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con
la controparte ed agisce nell’esercizio non di poteri amministrativi, bensì
della propria autonomia negoziale. Ne consegue che la disciplina della predetta
fase deve essere ascritta prevalentemente all’ambito materiale dell’ordinamento
civile. Pres. De Siervo, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei
Ministri c. Regione Umbria - CORTE COSTITUZIONALE - 11 febbraio 2011,
n. 43
APPALTI - Art. 13 l.r. Umbria n. 3/2010 - Illegittimità costituzionale.
L’art. 13, comma 3 ,della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2010, n. 3, è
volto a disciplinare una fase afferente all’esecuzione del contratto di appalto.
Ciò è desumibile dallo stesso uso della espressione («soggetti aggiudicatori»)
che si legge nel comma 3 dell’art. 13 in esame. Nella specie, premesso che si
verte senza dubbio nella materia dell’ordinamento civile, è evidente lo
scostamento tra la disposizione regionale impugnata e quella statale, contenuta
nell’art. 133, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, in ordine
all’aggiornamento periodico dei prezzi e dei costi, con particolare riferimento
all’utilizzazione dei prezziari «scaduti», per i quali la citata normativa
statale fissa termini certi e, come affermato dalla difesa statale, «più
stringenti» per quanto attiene alla utilizzazione dei prezziari stessi. Da ciò
consegue che deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma
per violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. Pres. De Siervo, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei
Ministri c. Regione Umbria - CORTE COSTITUZIONALE - 11 febbraio 2011, n. 43
APPALTI - Art. 20, c. 3 l.r. Umbria n. 3/2010 - Illegittimità costituzionale.
L’art. 20, c. 3 della L.r. Umbria n. 3/2010 - prevedendo che, all’esito della
procedure di affidamento diretto dei servizi attinenti all’architettura e
all’ingegneria, sia possibile la determinazione dei corrispettivi concordata tra
il responsabile del procedimento o il dirigente e il professionista incaricato -
invade la sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. La
disposizione in esame, infatti, disciplina un aspetto afferente al contenuto
negoziale del contratto di appalto e dunque attiene a quei profili in cui la
pubblica amministrazione agisce nell’esercizio della propria autonomia
negoziale. In definitiva, venendo in rilievo la regolamentazione di un rapporto
privatistico che, per assicurare il principio di uguaglianza, deve essere
disciplinato in maniera uniforme dalla normativa contenuta nel Codice dei
contratti pubblici, la disposizione stessa deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. Pres. De Siervo, Est. Quaranta - Presidente del Consiglio dei
Ministri c. Regione Umbria - CORTE COSTITUZIONALE - 11 febbraio 2011,
n. 43
APPALTI - Art. 22, cc. 3 e 4 l.r. Umbria n. 3/2010 - Illegittimità
costituzionale. I commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge regionale dell’Umbria
n. 3/2010 disciplinano, con riferimento agli appalti relativi all’espletamento
dell’attività di manutenzione, un particolare tipo di contratto che viene
qualificato come “aperto”, il quale si caratterizza per il suo contenuto
“variabile”, ossia determinabile in ragione delle necessità manifestate
dall’amministrazione nel periodo temporale (quattro anni) di efficacia dello
stesso. Il d.lgs. n. 163 del 2006 non contempla tale figura contrattuale, né può
ritenersi che i contratti aperti siano assimilabili agli “accordi quadro”.
Questi ultimi, infatti, in ragione del contenuto specifico della norma che li
disciplina (art. 59 del d.lgs. n. 163 del 2006), integrano gli estremi di una
tipologia contrattuale diversa da quella che rileva in questa sede. Ciò posto,
deve ribadirsi che questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con la sentenza
n. 401 del 2007, che spetta «al legislatore statale - ferma restando l’autonomia
negoziale delle singole amministrazioni aggiudicatrici - individuare, per
garantire uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, il tipo
contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di lavori,
servizi e forniture». Ne consegue che il prevalente ambito materiale che, nella
specie, viene in rilievo, è rappresentato dall’ordinamento civile. Deve,
pertanto, essere dichiarata la illegittimità costituzionale dei commi impugnati
per violazione dei parametri costituzionali di cui all’art. 117, secondo comma,
lettere e) ed l), Cost. Pres. De Siervo, Est. Quaranta - Presidente del
Consiglio dei Ministri c. Regione Umbria - CORTE COSTITUZIONALE - 11
febbraio 2011, n. 43
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, 2, 13, comma 3, 15, 16, 19, comma 1, 20, comma 3, 22, commi 3 e 4, e 28 della legge della Regione Umbria 21 febbraio 2010, n. 3 (Disciplina regionale dei lavori pubblici e norme in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-30 marzo 2010, depositato in cancelleria il successivo 1° aprile ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Umbria;
udito nell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Umbria.
Ritenuto in fatto
1.― Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, 2, 13, comma 3, 15, 16, 19, comma 1, 20, comma 3, 22, commi 3 e 4, e 28 della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2010, n. 3 (Disciplina regionale dei lavori pubblici e norme in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici), per asserita violazione dell’art. 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione.
Prima di esporre le ragioni poste a fondamento delle singole censure, il ricorrente ha richiamato la giurisprudenza costituzionale (in particolare, la sentenza n. 401 del 2007) che ha riconosciuto la prevalente sussistenza della competenza statale in materia di tutela della concorrenza con riferimento alla disciplina delle procedura di evidenza pubblica, nonché in materia di ordinamento civile, con riferimento alla disciplina della procedura negoziale relativa alla conclusione ed esecuzione del contratto.
1.1.― Esposto ciò, si assume, in primo luogo, la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge regionale in esame, il quale prevede quanto segue: «con la presente legge la Regione nei limiti e nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché della normativa statale, detta la disciplina per la esecuzione di lavori e opere pubbliche da eseguirsi sul territorio regionale, di competenza della Regione e degli altri soggetti di cui all’articolo 2, nonché disposizioni in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici».
Secondo il ricorrente, tale comma, «pur nella sua portata meramente enunciativa e programmatica», si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, sul presupposto che la Regione non avrebbe alcuna competenza in tema di esecuzione dei contratti pubblici.
1.2.― È stato impugnato anche l’art. 2 della citata legge, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. La norma censurata stabilisce quanto segue: «1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano:
a) alla Regione Umbria, alle agenzie e agli enti da essa istituiti;
b) agli enti locali, alle loro associazioni, unioni e consorzi, ai consorzi di bonifica;
c) alle aziende unità sanitarie locali, alle aziende ospedaliere, agli enti di gestione delle residenze sanitarie assistenziali per anziani e disabili e alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB);
d) agli organismi di diritto pubblico;
e) ai soggetti, diversi da quelli di cui alle lettere precedenti, relativamente a lavori od opere pubbliche o di pubblica utilità che beneficiano di finanziamenti pubblici in conto interesse o in conto capitale, assegnati in attuazione di piani e programmi approvati dall’amministrazione regionale, di importo attualizzato pari o superiore al cinquanta per cento dell’importo dei lavori.
2. Ai sensi della presente legge si intendono:
a) per “amministrazioni aggiudicatrici” i soggetti di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d);
b) per “soggetti aggiudicatori” i soggetti di cui al comma 1».
Secondo il ricorrente il suindicato comma violerebbe la competenza statale in materia di tutela della concorrenza e ordinamento civile in quanto: a) «impinge inevitabilmente (…) anche quegli ambiti relativi agli appalti pubblici (ad esempio, le procedure di aggiudicazione, l’esecuzione dei contratti, ecc.), la cui disciplina è per l’appunto oggetto di esclusiva competenza dello Stato»; b) le «definizioni fornite» dalla norma in esame «contrastano sotto svariati profili con quelle previste dall’articolo 3 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE)»; c) «la generica previsione per cui la legge regionale si applica anche alle agenzie e agli enti istituti dalla Regione, consentirebbe in astratto di applicare la norma regionale anche a soggetti che, purché “istituiti dalla Regione”, senza, oltretutto, che sia dato comprendere in che forma, magari anche solo privatistica e pertanto non suscettibili di rientrare nelle più precise definizioni di cui al richiamato articolo 3 del Codice dei contratti pubblici»; d) «la definizione di “soggetti aggiudicatori” di cui al comma 2, lettera b), che assorbe – tra l’altro – quella di cui al comma 1, lettera e), non coincide, ed è anzi decisamente più restrittiva, di quella desumibile dall’articolo 3, comma 31, del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente gli altri soggetti aggiudicatori: il che comporta quindi una sensibile differenziazione della portata applicativa della relativa norma rispetto ai non derogabili parametri offerti dalla normativa statale».
1.3.― Altra norma impugnata è l’art. 13, comma 3, della legge regionale in esame, la quale stabilisce che: «i soggetti aggiudicatori possono utilizzare l’elenco regionale dei prezzi e dei costi per la sicurezza non aggiornato per i progetti di livello almeno preliminare, approvati prima della data di pubblicazione dell’aggiornamento a condizione che i relativi bandi, avvisi o lettere di invito per l’esecuzione dei lavori vengano, rispettivamente, pubblicati o trasmesse, entro il successivo mese di giugno».
La norma riportata, secondo il ricorrente, consentirebbe «ai soggetti aggiudicatori l’utilizzazione dei prezziari pubblici non aggiornati, ossia relativi all’anno precedente, in relazione a progetti che siano approvati entro una non meglio precisata data dell’anno successivo (relativa all’aggiornamento dei prezzi dell’anno successivo), e sempreché (…) l’avvio delle procedure di aggiudicazione di quella progettazione sia intervenuto entro il giugno dell’anno successivo a quello dei prezziari “scaduti”».
Secondo il ricorrente tale comma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la disciplina statale, stabilita dal comma 8 dell’art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006, «pone termini più stringenti e certi per l’utilizzazione dei prezziari “scaduti”, prevedendo che essi possono essere applicati in relazione a progetti già approvati alla data del 30 giugno dell’anno successivo, e che comunque – in caso di mancato aggiornamento anche per l’ulteriore periodo – l’aggiornamento andrà effettuato ad opera delle articolazioni locali dell’amministrazione delle infrastrutture». Inoltre, la norma disciplinerebbe la «esecuzione dei contratti pubblici, incidendo sulla disciplina dei prezzi contrattuali, ossia un elemento essenziale dei contratti medesimi».
1.4.― È stato impugnato, altresì, l’art. 15 il quale stabilisce che:
«1. Le amministrazioni aggiudicatrici nominano un responsabile del procedimento di attuazione di ogni singolo intervento, unico per tutte le fasi.
2. Con specifico riferimento alla propria struttura organizzativa, le amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’unitario procedimento di attuazione dell’intervento, possono individuare sub procedimenti la cui responsabilità può essere posta in capo a soggetti diversi dal responsabile del procedimento di cui al comma 1, al quale gli stessi rispondono direttamente.
3. Il responsabile del procedimento è un tecnico in possesso di titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per i quali è nominato.
4. In caso di carenza di dipendenti tecnici in servizio in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici possono:
a) avvalersi, nel rispetto delle norme vigenti in materia di pubblico impiego, di dipendenti tecnici di pubbliche amministrazioni in possesso di adeguate competenze professionali;
b) assumere idonee figure professionali, in possesso di competenze, ai sensi delle vigenti norme in materia di pubblico impiego.
5. Il responsabile del procedimento individua i livelli di progettazione necessari e i contenuti documentali del progetto da appaltare, in ragione delle disposizioni stabilite dalla normativa vigente per la specifica tipologia e dimensione dei lavori da progettare e della documentazione richiesta per il rilascio degli atti di autorizzazione, approvazione o pareri, comunque denominati, necessari ai fini dell’approvazione dei lavori stessi.
6. I soggetti aggiudicatori, diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, in conformità ai principi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), individuano, secondo i propri ordinamenti, uno o più soggetti cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento.
7. La Giunta regionale, per gli interventi di competenza regionale, disciplina con regolamento modalità, tempi e procedure per la nomina del responsabile del procedimento di cui al presente articolo».
Secondo il ricorrente tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con il terzo comma dell’art. 117 Cost., atteso che inciderebbe in un ambito materiale, quello dell’organizzazione amministrativa e dei compiti e requisiti del procedimento, rientrante nell’ambito della competenza ripartita tra Stato e Regioni.
A tale proposito, si deduce che la norma violerebbe quanto prescritto dall’art. 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 sotto due diversi profili.
In relazione ad un primo profilo, il ricorrente sottolinea come la disposizione in esame, «dopo aver fissato il principio della unicità del responsabile del procedimento relativamente a tutte le fasi di attuazione di un intervento», consentirebbe, con previsione contenuta nel secondo comma, «alle amministrazioni aggiudicatrici di individuare sub-procedimenti la cui responsabilità può essere assegnata a soggetti diversi dal responsabile “unico” del procedimento, così consentendo di spezzettare quel fondamentale principio di unicità della responsabilità amministrativa del procedimento, sottesa (…) alla figura del “responsabile unico”».
Con riferimento ad un secondo aspetto, si assume la incostituzionalità del comma 4 dell’art. 15 «allorché consente alle amministrazioni aggiudicatrici, in caso di carenza di dipendenti tecnici in servizio in possesso di professionalità adeguate, di rivolgersi ad altre amministrazioni pubbliche in possesso di siffatte professionalità ovvero di assumerne ai sensi delle vigenti norme in materia di pubblico impiego, anziché dotarsi di un adeguato supporto all’attività del responsabile del procedimento, mediante espletamento di procedura di selezione prevista dal Codice medesimo per l’affidamento di incarichi di servizi, come prescritto dall’articolo 10, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006».
1.5.― Oggetto di impugnazione è anche l’art. 16 della legge regionale in esame, il quale prevede che: «le amministrazioni aggiudicatrici ripartiscono una somma non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori».
Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. In particolare, si assume che la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, perché, pur riproducendo la prima parte di tale comma, ometterebbe di «dettagliare, coma fa invece la norma statale, i criteri per la determinazione della percentuale effettiva destinata ad ogni singola attività svolta». Inoltre, si osserva come, «pur al di là della evidenziata difformità tra la disciplina statale e quella regionale», la norma censurata riguarderebbe la fase della progettazione degli appalti pubblici, in quanto la disciplina degli incentivi alla progettazione atterrebbe ai «criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta in modo da assicurare in ogni caso la più ampia competitività e la libera circolazione degli operatori economici nel segmento di mercato in questione».
1.6.― È anche impugnato l’art. 19, comma 1, della legge regionale in esame.
La norma impugnata stabilisce che «nell’affidamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, al fine di promuovere la qualità dei progetti e dei soggetti partecipanti alle gare, i soggetti aggiudicatori, nella scelta dell’offerta migliore, utilizzano, di preferenza, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».
Secondo il ricorrente tale norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ponendosi in contrasto, in particolare, con il precetto contenuto nell’art. 81, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che il criterio di selezione delle offerte negli appalti pubblici possa essere alternativamente quello del prezzo più basso o quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
1.7.― Il ricorrente ha censurato, altresì, l’art. 20, comma 3, il quale prevede che: «il responsabile del procedimento o il dirigente competente delle amministrazioni aggiudicatrici possono procedere all’affidamento diretto dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria di importo stimato inferiore a ventimila euro indicati nei propri provvedimenti per l’acquisizione in economia, a soggetti esterni alle amministrazioni, con le procedure e le modalità indicate negli stessi provvedimenti, scegliendoli anche negli eventuali elenchi di cui al comma 1. In tal caso il ribasso sull’importo delle prestazioni, stimato ai sensi delle tariffe professionali di cui al D.M. 4 aprile 2001 del Ministro della giustizia (Corrispettivi delle attività di progettazione e delle altre attività, ai sensi dell’articolo 17, comma 14-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche), è negoziato tra il responsabile del procedimento o il dirigente competente e il professionista cui si intende affidare il servizio».
Secondo il ricorrente tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. In particolare, si deduce che la norma impugnata, demandando la determinazione dei corrispettivi alla negoziazione tra la stazione appaltante ed il progettista fiduciario, si porrebbe in contrasto con l’art. 92, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, che prescrive criteri rigidi ed uniformi per la fissazione di siffatti corrispettivi.
1.8.― Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato i commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge regionale in esame, che prevedono quanto segue:
«3. Le amministrazioni aggiudicatrici possono provvedere all’espletamento dell’attività di manutenzione tramite la stipula di contratti aperti della durata massima di quattro anni. Per contratto aperto si intende il contratto in cui la prestazione è pattuita con riferimento ad un determinato arco di tempo, per interventi non predeterminati nel numero, ma resi necessari secondo le necessità delle amministrazioni aggiudicatrici.
4. Qualora, nel caso di contratti aperti, l’importo dei lavori da eseguire ecceda l’importo contrattuale, il direttore dei lavori dà comunicazione al responsabile del procedimento per le opportune determinazioni. Il responsabile del procedimento può autorizzare l’ulteriore spesa fino ad un totale complessivo pari all’importo originario posto a base di gara, e comunque non superiore a duecentomila euro. In caso di contratto pluriennale la ulteriore spesa riferita alla singola annualità può essere autorizzata fino ad un totale complessivo pari all’importo originario posto a base di gara previsto per il singolo anno, e comunque non può essere superiore a duecentomila euro».
Secondo il ricorrente tale disposizione violerebbe l’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost., in quanto prevede una particolare tipologia di contratti, che definisce “aperti”, non contemplati dall’art. 3, commi 3 e 10, del d.lgs. n. 163 del 2006.
1.9.― Infine, oggetto di specifica censura è l’art. 28 il quale prevede che:
«1. Nel caso in cui il criterio utilizzato per la scelta dell’offerta migliore è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la Commissione giudicatrice è nominata dall’amministrazione aggiudicatrice ed è composta fino ad un massimo di cinque componenti esperti nello specifico settore di intervento, scelti prioritariamente tra il personale dipendente della stessa amministrazione aggiudicatrice.
2. Le amministrazioni aggiudicatrici individuano il Presidente della Commissione secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. Per l’affidamento di lavori e di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria di competenza della Regione la Commissione di cui al comma 1 è individuata dal responsabile del procedimento di cui all’articolo 15, comma 1.
3. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, i commissari diversi dal Presidente sono individuati tra i dipendenti di altre amministrazioni aggiudicatrici in possesso di adeguate professionalità, ovvero, con un criterio di rotazione, tra gli appartenenti alle seguenti categorie: a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornito dagli ordini professionali; b) professori universitari di ruolo, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza.
4. La Commissione individua l’offerta economicamente più vantaggiosa entro il termine stabilito dal responsabile del procedimento di cui all’articolo 15, comma 1. Tale termine può essere prorogato una sola volta.
5. Le spese relative alla Commissione sono inserite nel quadro economico del progetto tra le somme a disposizione dell’amministrazione.
6. Per gli interventi di competenza regionale, la Giunta regionale, con regolamento, disciplina modalità, tempi e procedure per la nomina della Commissione giudicatrice».
Secondo il ricorrente tale norma violerebbe il terzo comma dell’art. 117 Cost., in quanto avrebbe stato omesso di richiamare i principi affermati dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006. In particolare, non sarebbero state recepite le cause di incompatibilità dei commissari che compongono la commissione rispetto: «ad altri incarichi, passati e futuri, afferenti il medesimo appalto; ad incarichi pubblici previamente ricoperti nell’amministrazione aggiudicatrice; all’accertata pregressa commissione di comportamenti illeciti nell’ambito di procedure di gara».
2.― In data 10 maggio si è costituita in giudizio la Regione chiedendo che le questioni proposte vengano dichiarate inammissibile o infondate.
2.1.― Con riferimento all’art. 1, comma 1, si deduce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione perché «la norma impugnata non attribuisce alla Regione alcuna potestà legislativa» e dunque «non regola affatto la materia».
Nel merito tale questione sarebbe non fondata, in quanto «con essa non si intende dire che la legge regionale regola specificamente la fase di esecuzione dei lavori pubblici, ma solo indicare che essa detta norme che attengono genericamente ai lavori pubblici, in relazione ai vari profili di essi che possono essere disciplinati dalla Regione».
2.2.― In relazione all’impugnato art. 2, la resistente assume la inammissibilità della questione per genericità delle censure.
Nel merito, la infondatezza della predetta questione discenderebbe dal fatto che la norma censurata si limiterebbe a stabilire quali sono i soggetti destinatari delle disposizioni regionali.
Inoltre, il riferimento «alle agenzie e agli enti istituiti dalla Regione» coinciderebbe con le amministrazioni aggiudicatrici previste dalla legge statale.
Infine, si deduce come la definizione di “soggetti aggiudicatori” sarebbe più ampia di quella desumibile dall’art. 3 del d.lgs. n. 163 del 2006.
2.3.― Per quanto attiene alla censure formulate nei confronti del comma 3 dell’art. 13 si esclude che la norma regionale consenta l’uso dei prezziari non aggiornati in relazione a progetti che siano approvati entro una non meglio precisata data dell’anno successivo; per contro, dal raccordo tra il comma 1 ed il comma 3 dell’art. 13 risulterebbe che l’elenco regionale dei prezzi e dei costi per la sicurezza non aggiornato può essere usato per i progetti di livello almeno preliminare approvati prima del 31 dicembre, dato che, in base al comma 1, l’elenco aggiornato è pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione entro il 31 dicembre.
Inoltre, si osserva che «la normativa regionale è più rigorosa perché, mentre l’art. 133, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006 si limita a richiedere che entro giugno avvenga l’approvazione del progetto, l’art. 13, comma 3, richiede anche che entro tale data siano pubblicati o inviati il bando o la lettera di invito».
«Quanto alla censura fondata non sul contenuto dell’art. 13, comma 3, ma sull’oggetto in sé (la disciplina dei prezzi contrattuali), essa è infondata perché la norma impugnata non attiene affatto al “tema della esecuzione dei contratti pubblici”».
2.4.― Per quanto attiene al censurato art. 15 la difesa regionale rileva, innanzitutto, come sia stato lo stesso ricorrente a riconoscere che la disciplina del responsabile del procedimento attiene alla materia dell’organizzazione amministrativa. In ogni caso, la disposizione censurata non si discosterebbe da quanto prescritto a livello statale. In particolare, la norma impugnata ribadirebbe il principio dell’unicità del responsabile del procedimento. Si afferma che «il senso della disposizione in parola è (…) quello di garantire che anche nelle amministrazioni di dimensioni medio-grandi – là dove l’amministrazione, da punto di vista organizzativo, sia articolata in uffici separati rispetto a quello del responsabile unico del procedimento che gestisce l’intervento – tale distinti plessi organizzativi rispondono comunque» a tale responsabile.
Per quanto attiene, poi, alla rimanente censura si osserva come il riferimento a «dipendenti tecnici di pubbliche amministrazioni» è conforme a quanto stabilito dall’art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2005. Per quanto attiene, poi, alle «idonee figure professionali», essendo assunte presso le amministrazioni aggiudicatrice, le stesse, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, apparterrebbero alla struttura organizzativa.
2.5.― Con riferimento al censurato art. 16 si afferma, in primo luogo, come le parti della legge statale non richiamate dalla legge regionale troverebbero ugualmente applicazione.
In secondo luogo, la norma rientrerebbe, per il suo contenuto, nella materia dell’organizzazione amministrativa.
Infine, a conferma della infondatezza della questione, si richiama quanto stabilito da questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, la quale avrebbe chiarito che attiene alla tutela della concorrenza soltanto la disciplina dei criteri di progettazione.
2.6.― In relazione all’impugnato art. 19, comma 1, si argomenta la non fondatezza della questione in ragione del fatto che la legge regionale si sarebbe solo limitata ad indicare una mera preferenza per uno dei due criteri di aggiudicazione, il che non escluderebbe che le amministrazioni possano anche optare per l’altro criterio quello prezzo più basso.
2.7.― Con riguardo al censurato art. 20, comma 3, si deduce come la questione non sia fondata, in quanto il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, avrebbe abrogato il parametro interposto. In particolare, l’art. 2, comma 1, lettera a), di tale decreto-legge stabilisce che: «sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali (…) la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime».
2.8.― Le censure riferite all’art. 22, commi 3 e 4, sarebbero non fondate in quanto sarebbe erroneo il presupposto da cui muove il ricorrente secondo cui la norma impugnata avrebbe previsto una nuova tipologia contrattuale. Ciò in quanto l’art. 154 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994, n. 109 “Legge quadro in materia di lavori pubblici”, e successive modificazioni) disciplinerebbe tale forma contrattuale.
2.9.― La infondatezza della censura riferita all’art. 28 deriverebbe dal fatto che la disciplina della composizione della commissione di gara rientrerebbe nella materia dell’organizzazione amministrativa di spettanza esclusiva regionale.
3.― Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria al fine di replicare alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione della Regione.
In particolare, si deduce con riferimento agli artt. 1 e 2, che sarebbe proprio la «genericità enunciativa delle norme in questione» che si porrebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali. In relazione all’art. 2, l’Avvocatura sottolinea come «l’ente regionale pretende di disciplinare l’integrale settore della “esecuzione” dei lavori pubblici (…) anche con riguardo a soggetti già contemplati dalla legislazione statale codicistica, e quindi indebitamente rimodulando l’applicabilità soggettiva della inderogabile disciplina nazionale».
Per quanto attiene all’art. 13, nella memoria si espone che l’utilizzazione dei prezziari non può che afferire alla fase progettuale di un intervento e non già al momento della indizione della relativa procedura di affidamento. In particolare, si evidenzia come «il tema dell’aggiornamento dei prezziari riguardi invero il tema dell’adeguamento dei prezzi (…) disciplinato dall’articolo 133 del Codice».
Con riferimento all’art. 15, la difesa statale ribadisce che la norma impugnata è chiara nel derogare al principio della unicità del responsabile del procedimento.
In relazione all’art. 16, si osserva che la norma statale non poteva comunque essere «trascritta» nella norma regionale. Ma proprio «la parzialità della trascrizione della norma statale», si sottolinea, «denuncia che essa potrebbe trovare applicazione, mercé la contrattazione decentrata e l’assunzione delle relative risultanze nel regolamento dell’amministrazione interessata, senza il rispetto degli ulteriori stringenti ed inderogabili criteri fissati dalla norma».
Per quanto attiene alle altre disposizioni impugnate, si deduce con riferimento: a) all’art. 19, che i criteri di aggiudicazione rientrerebbero nella materia della tutela della concorrenza; b) all’art. 20, che il decreto legge n. 223 del 2006 non avrebbe abrogato l’art. 92 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto tale ultima norma è stata modificata successivamente dal decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152 (Ulteriori disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62); g) all’art. 22, che l’art. 154 del d.P.R. n. 554 del 1999 avrebbe recepito «solo incidentalmente» una prassi contrattuale disciplinandola unicamente a livello contabile e che, comunque, il codice degli appalti pubblici non avrebbe fatto riferimento alla tipologia dei contratti aperti.
4.― Anche la Regione ha depositato una memoria nell’imminenza dell’udienza pubblica.
In particolare si osserva con riferimento all’art. 1, che «là dove si parla di “esecuzione”, la norma intende riferirsi non alla specifica fase dell’esecuzione ma di tutto quello che serve per arrivare alla realizzazione dell’opera pubblica».
In relazione all’art. 2, si deduce che «l’Avvocatura cerca (…) di mutare la censura, lamentando che la Regione intenda regolare l’esecuzione dei lavori pubblici anche con riguardo a soggetti già contemplati dalla legislazione statale codicistica e quindi indebitamente rimodulando l’applicabilità soggettiva della inderogabile disciplina nazionale».
Per quanto attiene all’art. 13, comma 3, si osserva che anche in questo caso «l’Avvocatura rettifica la censura avanzata nel ricorso», sostenendo che la norma censurata «attiene al prezzo dell’appalto e, quindi, tocca “questione appartenente alla disciplina contrattuale, ricadente nell’ambito dell’ordinamento civile”». La difesa regionale osserva comunque che la censura sarebbe infondata sotto tale profilo sia perché la norma impugnata non disciplinerebbe il prezzo dell’appalto ma l’operatività temporale degli elenchi prezzi sia perché, anche qualora fosse riconducibile all’ordinamento civile, la diversità rispetto alla legislazione statale sarebbe limitata.
Con riferimento all’art. 16 si deduce che la difesa statale avrebbe mutato prospettiva difensiva assumendo che «mentre il ricorso evidenziava l’asserita difformità tra l’art. 16 e l’art. 92, comma 5, ora si lamenta la possibile difformità nella fase di attuazione dell’art. 16»; tale censura, osserva la difesa regionale, «è inammissibile (oltre che per la novità) per la mancanza di attualità della lesione, nel senso che le possibili future vicende applicative non possono condurre a dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma di legge». Sul punto, si ribadisce che l’unica competenza statale è quella relativa alla individuazione dei criteri che presiedono all’articolazione della progettazione in più livelli. E, si aggiunge, «non è chiaro come la previsione dell’incentivo di cui all’art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 favorisca la concorrenza». Infine, si deduce che «l’Avvocatura (…) cerca di estendere la censura alla parte della norma relativa ad attività diverse dalla progettazione: ma in questa parte la questione è inammissibile perché non contenuta nel ricorso».
Per quanto attiene alla censura riferita all’art. 19, comma 1, si richiama quanto affermato dalla sentenza n. 221 del 2010. Con tale decisione sarebbe stata già dichiarata non fondata una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto una norma analoga che prevedeva una preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Si sottolinea nella memoria come l’art. 266 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”) stabilisca la obbligatorietà dell’utilizzo del predetto criterio.
In relazione all’art. 20, comma 3, si deduce che «tale norma non incide affatto sulla “materia delle gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici”, non riguardando né le procedure di affidamento né i criteri di aggiudicazione, ma solo le modalità di determinazione del corrispettivo». Nella memoria si rileva che la norma «non regola l’ordinamento civile, ma il comportamento della Regione in una procedura negoziata». Inoltre, «ove pure si volesse vedere nella norma una interferenza con l’ordinamento civile, si dovrebbe rilevare che la divergenza della norma regionale – che espressamente richiama il decreto ministeriale in materia di corrispettivi delle attività di progettazione e delle altre attività, ai sensi della legge n. 109 del 1994 – dalla norma statale è modesta e, dunque, non esorbita dai limiti entro i quali le Regioni possono incidere su profili privatistici». Infine, «in estremo subordine (…) ove la norma regionale apparisse eccedere i predetti limiti, dovrebbe essere considerato non corretto soltanto il riferimento al d.m. 4 aprile 2001, anziché al decreto di cui al comma 2 dell’art. 92 del decreto legislativo n. 163 del 2006, quale base di riferimento per l’affidamento negoziato».
Per quanto riguarda l’art. 22, commi 3 e 4, la difesa regionale sottolinea come l’Avvocatura dello Stato non abbia riproposto più la censura basata sulla atipicità dei contratti aperti, insistendo sulla lesione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza.
Considerato in diritto
1.― Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, 2, 13, comma 3, 15, 16, 19, comma 1, 20, comma 3, 22, commi 3 e 4, e 28 della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2010, n. 3 (Disciplina regionale dei lavori pubblici e norme in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici), per asserita violazione dell’articolo 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo della Costituzione.
2.― Prima di esaminare le singole censure proposte con il ricorso, è opportuno richiamare gli orientamenti di questa Corte sul riparto di competenza tra Stato e Regioni a statuto ordinario in materia di appalti di lavori pubblici.
2.1.― La giurisprudenza costituzionale (tra le altre, sentenze n. 45 del 2010, n. 160 del 2009 e n. 401 del 2007) è costante nel ritenere che, in mancanza di una espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono» e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali. Ne deriva che non è «configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale» (sentenza n. 401 del 2007).
Ne consegue che le questioni di costituzionalità devono essere esaminate in rapporto al contenuto delle singole disposizioni impugnate, al fine di stabilire quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano collocazione.
Avendo riguardo all’ordinaria articolazione delle procedure di gara è, pertanto, necessario distinguere la fase che precede la stipulazione del contratto da quella di conclusione ed esecuzione di esso.
Con riferimento alla fase della procedura amministrativa di evidenza pubblica, l’ambito materiale prevalente è quello della tutela della concorrenza. In particolare, nello specifico settore degli appalti pubblici vengono in rilievo norme che si qualificano per la finalità perseguita di assicurare la concorrenza “per” il mercato (sentenze n. 186 del 2010; n. 283 e n. 160 del 2009; n. 322 del 2008; n. 431 e n. 401 del 2007).
In relazione alla fase negoziale, che ha inizio con la stipulazione del contratto, questa Corte ha più volte precisato (da ultimo citata sentenza n. 160 del 2009) come l’amministrazione si ponga in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisca nell’esercizio non di poteri amministrativi, bensì della propria autonomia negoziale. Ne consegue che la disciplina della predetta fase deve essere ascritta prevalentemente all’ambito materiale dell’ordinamento civile. Sussiste, infatti, l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità di trattamento, nell’intero territorio nazionale, della disciplina dei momenti di conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto. Ciò, però, non significa – si è puntualizzato, in particolare, con la sentenza n. 401 del 2007 – che, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo all’autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva.
2.2.― Ciò chiarito, deve, tuttavia, osservarsi che le singole Regioni a statuto ordinario sono legittimate a regolare soltanto quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza, nonché gli oggetti della procedura rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale (sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009).
La Corte ha poi affermato che, «al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni» a statuto ordinario, è consentito che norme regionali riconducibili a tali competenze possano produrre «effetti proconcorrenziali», purché tali effetti «siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (da ultimo, citate sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009).
3.― Ciò chiarito, si può passare all’analisi delle singole questioni di legittimità costituzionale prospettate con il ricorso.
4.― Viene, al riguardo, in rilievo, innanzitutto, l’art. 1, comma 1, della legge impugnata, il quale così dispone: «con la presente legge la Regione nei limiti e nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché della normativa statale, detta la disciplina per la esecuzione di lavori e opere pubbliche da eseguirsi sul territorio regionale, di competenza della Regione e degli altri soggetti di cui all’articolo 2, nonché disposizioni in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici».
Secondo il ricorrente, tale comma, «pur nella sua portata meramente enunciativa e programmatica», si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l) Cost. In particolare, il ricorrente deduce che la Regione non avrebbe alcuna competenza in tema di esecuzione dei contratti pubblici.
La questione non è fondata.
Deve, innanzitutto, osservarsi che l’espressione «esecuzione di lavori e opere pubbliche», adoperata nel comma in esame dal legislatore regionale, non può essere intesa come “fase esecutiva dei contratti di appalto”, bensì come equivalente a “realizzazione delle opere pubbliche”; vale a dire in un senso più ampio rispetto a quello desumibile dal solo dato letterale.
A ciò va aggiunto che la disposizione impugnata, come riconosce lo stesso ricorrente, ha una valenza meramente programmatica, dal momento che essa non disciplina alcuno specifico istituto relativo ai lavori pubblici.
Non può, dunque, ritenersi che per il solo fatto che in tale disposizione si faccia riferimento alla «disciplina per la esecuzione di lavori e opere pubbliche da eseguirsi sul territorio regionale» sia stata violata la competenza statale in materia di ordinamento civile. Analogamente è a dirsi per quanto attiene alla dedotta lesione della competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela della concorrenza.
5.― In ordine all’impugnazione dell’art. 2 della legge regionale, nel ricorso si deduce il suo contrasto con i medesimi parametri costituzionali sopra indicati.
L’articolo censurato prevede, al comma 1, che:
«1. le disposizioni di cui alla presente legge si applicano:
a) alla Regione Umbria, alle agenzie e agli enti da essa istituiti;
b) agli enti locali, alle loro associazioni, unioni e consorzi, ai consorzi di bonifica;
c) alle aziende unità sanitarie locali, alle aziende ospedaliere, agli enti di gestione delle residenze sanitarie assistenziali per anziani e disabili e alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB);
d) agli organismi di diritto pubblico;
e) ai soggetti, diversi da quelli di cui alle lettere precedenti, relativamente a lavori od opere pubbliche o di pubblica utilità che beneficiano di finanziamenti pubblici in conto interesse o in conto capitale, assegnati in attuazione di piani e programmi approvati dall’amministrazione regionale, di importo attualizzato pari o superiore al cinquanta per cento dell’importo dei lavori».
Il successivo comma 2 aggiunge che «ai sensi della presente legge si intendono:
a) per “amministrazioni aggiudicatrici” i soggetti di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d);
b) per “soggetti aggiudicatori” i soggetti di cui al comma 1».
Secondo il ricorrente, le riportate disposizioni violerebbero le competenze legislative statali in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, in quanto esse invaderebbero «inevitabilmente (...) anche quegli ambiti relativi agli appalti pubblici (ad esempio, le procedure di aggiudicazione, l’esecuzione dei contratti, ecc.) la cui disciplina è per l’appunto oggetto di esclusiva competenza dello Stato». Inoltre, le «definizioni fornite» contrasterebbero «sotto svariati profili con quelle previste dall’articolo 3 del d.lgs. n. 163 del 2006»; in particolare, «la generica previsione per cui la legge regionale si applica anche alle agenzie e agli enti istituti dalla Regione consentirebbe in astratto di applicare la norma locale anche a soggetti» non «suscettibili di rientrare nelle più precise definizioni di cui al richiamato articolo 3 del Codice dei contratti pubblici». Infine, la definizione di “soggetti aggiudicatori” di cui al comma 2, lettera b), non coinciderebbe, ed è anzi sarebbe decisamente più restrittiva, di quella desumibile dall’articolo 3 del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente gli altri soggetti aggiudicatori.
In definitiva, per le ragioni esposte, si sarebbe determinata «una sensibile differenziazione della portata applicativa della relativa norma rispetto ai non derogabili parametri offerti dalla normativa statale».
La questione, che – contrariamente a quanto eccepito dalla difesa regionale – deve ritenersi ammissibile, in quanto suffragata da censure sufficientemente specifiche, non è comunque fondata.
Le disposizioni impugnate, come emerge dal loro stesso tenore letterale, identificano, sul piano soggettivo, i destinatari dell’intera disciplina in materia di lavori pubblici regionali.
Questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, ha avuto modo di affermare che «non è possibile tracciare una netta linea di demarcazione che faccia unicamente perno sul profilo soggettivo, distinguendo le procedure di gara indette da amministrazioni statali da quelle poste in essere da amministrazioni regionali o sub-regionali, per inferirne che solo le prime sarebbero di spettanza statale, mentre le seconde rientrerebbero nell’ambito della potestà legislativa regionale. La perimetrazione delle sfere materiali di competenza non può, infatti, essere determinata avendo riguardo esclusivamente alla natura del soggetto che indice la gara o al quale è riferibile quel determinato bene o servizio, in quanto, come già sottolineato, occorre fare riferimento, invece, al contenuto delle norme censurate al fine di inquadrarlo negli ambiti materiali indicati dall’art. 117 Cost.».
Ciò comporta che, per stabilire se siano state violate le competenze statali evocate, occorre avere riguardo a quanto previsto dalle singole disposizioni della legge regionale impugnata. Il legislatore regionale può stabilire, infatti, quali siano i destinatari dei propri precetti nei limiti in cui l’adozione di questi ultimi rientri nell’ambito di specifiche competenze della Regione. In altri termini, non è possibile effettuare un giudizio di costituzionalità che investa il piano soggettivo senza valutarne anche l’ambito di rilevanza oggettivo e cioè l’attività che in concreto i soggetti dovranno porre in essere, alla luce di quanto previsto dal legislatore stesso.
Ma anche a volere prescindere da tale aspetto, non può ritenersi che lo Stato, con il ricorso ora in esame, abbia specificamente lamentato la mancata menzione di soggetti che sono normalmente destinatari delle disposizioni in materia di procedure di evidenza pubblica. Deve, anzi, osservarsi come il legislatore regionale, nella specie, abbia effettuato una scelta che, avuto riguardo alle espressioni impiegate, ricomprende nell’ambito applicativo della legge una serie ampia di destinatari delle disposizioni adottate. Il fatto poi che tra questi ultimi ve ne possano essere anche alcuni che rivestono forma privatistica, non reca un vulnus alle competenze statali di cui si assume la violazione. Né può ritenersi che semplici differenziazioni terminologiche tra la normativa regionale impugnata e quella statale, contenuta nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), possano incidere sulla legittimità costituzionale delle disposizioni sulle quali si appuntano le censure proposte con il ricorso dello Stato.
In conclusione, il legislatore regionale ha inteso delimitare l’area dei soggetti che partecipano, in vario modo, alla realizzazione di opere pubbliche o di lavori pubblici, con specifico riferimento alla realtà regionale. E, a questo riguardo, non può essere negata la legittimazione della Regione a precisare l’ambito di applicazione della propria normativa in materia.
6.― Quanto all’impugnazione dell’art. 13, comma 3, della legge regionale in esame, la norma censurata stabilisce che «i soggetti aggiudicatori possono utilizzare l’elenco regionale dei prezzi e dei costi per la sicurezza non aggiornato per i progetti di livello almeno preliminare, approvati prima della data di pubblicazione dell’aggiornamento a condizione che i relativi bandi, avvisi o lettere di invito per l’esecuzione dei lavori vengano, rispettivamente, pubblicati o trasmesse, entro il successivo mese di giugno».
Secondo il ricorrente, tale comma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la disciplina statale, stabilita dal comma 8 dell’art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006, «pone termini più stringenti e certi per l’utilizzazione dei prezziari “scaduti”, prevedendo che essi possono essere applicati in relazione a progetti già approvati alla data del 30 giugno dell’anno successivo, e che comunque – in caso di mancato aggiornamento anche per l’ulteriore periodo – l’aggiornamento andrà effettuato ad opera delle articolazioni locali dell’amministrazione delle infrastrutture». Inoltre, la norma disciplinerebbe la «esecuzione dei contratti pubblici, incidendo sulla disciplina dei prezzi contrattuali, ossia un elemento essenziale dei contratti medesimi»; con ciò violando l’art. 4, comma 3, del Codice dei contratti pubblici e, con esso, il riparto delle competenze quale fissato dall’art. 117 Cost.
6.1.― La questione è fondata.
Va, innanzitutto, osservato che la norma censurata, come sostenuto dalla difesa dello Stato, effettivamente è volta a disciplinare una fase afferente all’esecuzione del contratto di appalto. Ciò è desumibile dallo stesso uso della espressione («soggetti aggiudicatori») che si legge nel comma 3 dell’art. 13 in esame.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (per tutte, la citata sentenza n. 401 del 2007), la fase di esecuzione in senso stretto del rapporto contrattuale rientra nella materia dell’ordinamento civile ed è, pertanto, di esclusiva competenza legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Nella specie, premesso che si verte senza dubbio nella materia dell’ordinamento civile, è evidente lo scostamento tra la disposizione regionale impugnata e quella statale, contenuta nell’art. 133, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, in ordine all’aggiornamento periodico dei prezzi e dei costi, con particolare riferimento all’utilizzazione dei prezziari «scaduti», per i quali la citata normativa statale fissa termini certi e, come affermato dalla difesa statale, «più stringenti» per quanto attiene alla utilizzazione dei prezziari stessi.
Da ciò consegue che deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 13 della legge regionale in esame per violazione del richiamato parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
7.― È stato impugnato, altresì, l’art. 15, il quale, nei sette commi da cui è composto, così dispone:
«1. Le amministrazioni aggiudicatrici nominano un responsabile del procedimento di attuazione di ogni singolo intervento, unico per tutte le fasi.
2. Con specifico riferimento alla propria struttura organizzativa, le amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’unitario procedimento di attuazione dell’intervento, possono individuare sub procedimenti la cui responsabilità può essere posta in capo a soggetti diversi dal responsabile del procedimento di cui al comma 1, al quale gli stessi rispondono direttamente.
3. Il responsabile del procedimento è un tecnico in possesso di titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per i quali è nominato.
4. In caso di carenza di dipendenti tecnici in servizio in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici possono: a) avvalersi, nel rispetto delle norme vigenti in materia di pubblico impiego, di dipendenti tecnici di pubbliche amministrazioni in possesso di adeguate competenze professionali; b) assumere idonee figure professionali, in possesso di competenze, ai sensi delle vigenti norme in materia di pubblico impiego.
5. Il responsabile del procedimento individua i livelli di progettazione necessari e i contenuti documentali del progetto da appaltare, in ragione delle disposizioni stabilite dalla normativa vigente per la specifica tipologia e dimensione dei lavori da progettare e della documentazione richiesta per il rilascio degli atti di autorizzazione, approvazione o pareri, comunque denominati, necessari ai fini dell’approvazione dei lavori stessi.
6. I soggetti aggiudicatori, diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, in conformità ai principi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), individuano, secondo i propri ordinamenti, uno o più soggetti cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento.
7. La Giunta regionale, per gli interventi di competenza regionale, disciplina con regolamento modalità, tempi e procedure per la nomina del responsabile del procedimento di cui al presente articolo».
Secondo il ricorrente, le riportate disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con il terzo comma dell’art. 117 Cost., atteso che inciderebbero su un ambito materiale, quello dell’organizzazione amministrativa e dei compiti e requisiti del procedimento, rientrante nell’ambito della competenza ripartita.
A tale proposito, si deduce che esse violerebbero, in particolare, quanto prescritto dall’art. 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 sotto due diversi profili.
In relazione ad un primo profilo, il ricorrente sottolinea come le disposizioni in esame, «dopo aver fissato il principio della unicità del responsabile del procedimento relativamente a tutte le fasi di attuazione di un intervento», permetterebbero «alle amministrazioni aggiudicatrici di individuare sub-procedimenti la cui responsabilità può essere assegnata a soggetti diversi dal responsabile “unico” del procedimento, così consentendo di spezzettare quel fondamentale principio di unicità della responsabilità amministrativa del procedimento, sottesa (…) alla figura del “responsabile unico”».
Con riferimento ad un secondo aspetto, si assume l’illegittimità costituzionale del comma 4, che «consente alle amministrazioni aggiudicatrici, in caso di carenza di dipendenti tecnici in servizio in possesso di professionalità adeguate, di rivolgersi ad altre amministrazioni pubbliche in possesso di siffatte professionalità ovvero di assumerne ai sensi delle vigenti norme in materia di pubblico impiego, anziché dotarsi di un adeguato supporto all’attività del responsabile del procedimento, mediante espletamento di procedura di selezione prevista dal Codice medesimo per l’affidamento di incarichi di servizi, come prescritto dall’articolo 10, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006».
7.1.― La questione è in parte inammissibile e per il resto non fondata.
In via preliminare, occorre precisare che, per quanto il ricorrente impugni l’intero art. 15, risultano formulate censure specifiche soltanto con riferimento ai commi 2 e 4. Ciò comporta che deve essere dichiarata la inammissibilità della questione proposta con riferimento ai commi 1, 3, 5, 6 e 7 dell’articolo 15 della legge in esame.
Quanto al merito delle censure proposte nei confronti dei commi 2 e 4, va osservato che il responsabile del procedimento è un soggetto che si inserisce, per espletare i compiti che gli sono demandati, in una procedura di gara finalizzata a realizzare una determinata opera pubblica.
Nella specie, la legge regionale – è bene chiarire – ha previsto, al comma 2, la regola del responsabile unico del procedimento, limitandosi a stabilire che le amministrazioni aggiudicatrici, «nell’ambito dell’unitario procedimento di attuazione dell’intervento», possono individuare sub-procedimenti senza che ciò incida sulla unicità del centro di responsabilità.
Avendo riguardo allo specifico contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, deve, pertanto, rilevarsi come la disciplina delle modalità organizzative dell’attività del responsabile unico del procedimento rientri nella materia della organizzazione amministrativa, riservata alle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.. Da ciò consegue che non possono venire in rilievo i principi fondamentali desumibili dalla legislazione dello Stato, i quali limitano la potestà legislativa regionale soltanto nelle materie di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost.
Si tenga conto, inoltre, che il medesimo comma 4 della norma in esame – stabilendo le modalità da osservare in caso di carenza di dipendenti tecnici in servizio in possesso di professionalità adeguate – ha puntualizzato che le determinazioni assunte dalle amministrazioni aggiudicatrici devono comunque rispettare le «norme vigenti in materia di pubblico impiego».
In definitiva, gli scostamenti tra la censurata disciplina regionale e quella statale contenuta nel Codice dei contratti pubblici sono minimi e, come tali, si presentano sostanzialmente carenti di significativo rilievo.
La questione deve, pertanto, ritenersi priva di fondamento.
8.― Quanto all’impugnazione dell’art. 16 della legge regionale in esame, la norma censurata prevede che «le amministrazioni aggiudicatrici ripartiscono una somma non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori».
Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. In particolare, si assume che la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 92, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 perché, pur riproducendo la prima parte di tale comma, ometterebbe di «dettagliare, come fa invece la norma statale, i criteri per la determinazione della percentuale effettiva destinata ad ogni singola attività svolta». Inoltre, la norma censurata riguarderebbe la fase della progettazione degli appalti pubblici, in quanto la disciplina dei relativi incentivi atterrebbe ai «criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta in modo da assicurare in ogni caso la più ampia competitività e la libera circolazione degli operatori economici nel segmento di mercato in questione».
8.1.― La questione non è fondata.
Innanzitutto, la circostanza che non sia richiamata nella norma regionale la prima parte del comma 5 dell’art. 92 del Codice dei contratti pubblici, non implica, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sua inapplicabilità (sentenza n. 45 del 2010).
In ogni caso, la disciplina dei suddetti incentivi, ponendosi al di fuori dell’attività di progettazione delle opere in senso stretto, non è suscettibile di invadere le competenze esclusive dello Stato nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile.
Questa Corte ha ribadito che deve esser ricondotta, in via prevalente, all’ambito materiale della tutela della concorrenza la previsione di criteri uniformi della progettazione relativa a lavori, servizi e forniture (sentenze n. 221 del 2010 e n. 401 del 2007).
Inoltre, la Corte, con la citata sentenza n. 401 del 2007, ha affermato che l’aspetto qualificante dell’attività di progettazione è dato dal fatto che essa deve svolgersi secondo una precisa articolazione, essendo questa essenziale «per assicurare, con il progetto esecutivo, l’eseguibilità dell’opera» e «indispensabile per rendere certi i tempi e i costi di realizzazione» dell’opera stessa.
Con la medesima sentenza si è, inoltre, chiarito che «nella fase di attuazione dell’attività di progettazione (…) sussiste la specifica competenza dell’amministrazione o del soggetto cui spetti curare la realizzazione delle opere mediante le apposite procedure di gara. In altri termini, la riconduzione dell’attività di progettazione alla competenza esclusiva dello Stato opera esclusivamente per quanto attiene alla fissazione dei criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta in modo da assicurare in ogni caso la più ampia competitività e la libera circolazione degli operatori economici nel segmento di mercato in questione, ma non si estende fino ad incidere sulla spettanza del concreto svolgimento dell’attività progettuale alle singole amministrazioni aggiudicatrici, la cui competenza non è incisa dalla normativa in esame».
La fattispecie disciplinata dalla norma regionale, essendo relativa agli emolumenti accessori da destinare ai soggetti che, all’interno dell’amministrazione appaltante, collaborano all’attività di progettazione e alle attività tecnico-amministrative connesse, deve essere ascritta alle potestà di organizzazione degli apparati regionali, di esclusiva spettanza della Regione, e non può ritenersi afferente alla determinazione dei criteri di progettazione.
Né può pervenirsi ad una diversa conclusione richiamando, come fatto dalla difesa dello Stato nel corso della discussione in udienza pubblica, la sentenza n. 283 del 2009. Con tale sentenza, infatti, questa Corte, scrutinando una norma dal contenuto diverso da quello che viene oggi in esame, ha ritenuto che rientra nell’ambito materiale dell’ordinamento civile – in quanto pone una «limitazione dell’autonomia privata» – la disposizione, all’epoca impugnata, che «non incentiva ma obbliga» taluni soggetti privati a seguire determinate procedure nell’ambito dei «concorsi di progettazione».
In definitiva, la questione sollevata non è fondata, in quanto la norma censurata non incide sull’area di competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui agli evocati parametri costituzionali.
9.― È anche impugnato l’art. 19, comma 1, della legge regionale in esame.
Il suddetto comma stabilisce che «nell’affidamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, al fine di promuovere la qualità dei progetti e dei soggetti partecipanti alle gare, i soggetti aggiudicatori, nella scelta dell’offerta migliore, utilizzano, di preferenza, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».
Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. In particolare, si deduce la violazione dell’art. 81, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che il criterio di selezione delle offerte negli appalti pubblici sia alternativamente quello del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
9.1.― La questione non è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 221 del 2010, ha affermato che la previsione regionale, la quale sancisca la preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, «non è suscettibile di alterare le regole di funzionamento del mercato e, pertanto, non è idonea ad alterare i livelli di tutela della concorrenza fissati dalla legislazione nazionale».
Inoltre, si è anche affermato, con la stessa sentenza, che le norme, come quelle che vengono in rilievo anche in questa sede, non escludono, «in via aprioristica e astratta, uno dei due possibili criteri di aggiudicazione», ma si limitano ad indicare «un ordine di priorità nella scelta, che non elimina il potere discrezionale della stazione appaltante di ricorrere all’altro criterio, cioè a quello del prezzo più basso».
Applicando questi principi al caso in esame, ne discende che la censura proposta con il ricorso non può trovare accoglimento.
10.― Il ricorrente ha impugnato, altresì, l’art. 20, comma 3, della medesima legge regionale, il quale prevede che «il responsabile del procedimento o il dirigente competente delle amministrazioni aggiudicatrici possono procedere all’affidamento diretto dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria di importo stimato inferiore a ventimila euro indicati nei propri provvedimenti per l’acquisizione in economia, a soggetti esterni alle amministrazioni, con le procedure e le modalità indicate negli stessi provvedimenti, scegliendoli anche negli eventuali elenchi di cui al comma 1. In tal caso il ribasso sull’importo delle prestazioni, fissato ai sensi delle tariffe professionali di cui al D.M. 4 aprile 2001 del Ministro della giustizia (Corrispettivi delle attività di progettazione e delle altre attività, ai sensi dell’articolo 17, comma 14-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche), è negoziato tra il responsabile del procedimento o il dirigente competente e il professionista cui si intende affidare il servizio».
Secondo il ricorrente, tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost. In particolare, si deduce che la norma impugnata, demandando la determinazione dei corrispettivi alla negoziazione tra la stazione appaltante ed il progettista fiduciario, si porrebbe in contrasto con l’art. 92, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, che prescrive criteri rigidi ed uniformi per la fissazione di siffatti corrispettivi.
10.1.― La questione è fondata.
In via preliminare, deve rilevarsi come, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, la norma statale evocata dal ricorrente – in ragione del suo contenuto specifico e articolato relativo al settore degli appalti pubblici – sia ancora vigente, non essendo stata abrogata dall’articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248. Detto articolo ha disposto, in generale, la non vincolatività delle tariffe obbligatorie fisse o minime.
Ciò posto, nel merito, la norma censurata – prevedendo che, all’esito della procedure di affidamento diretto dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, sia possibile la determinazione dei corrispettivi concordata tra il responsabile del procedimento o il dirigente e il professionista incaricato – invade la sfera di competenza statale in materia di ordinamento civile. La disposizione in esame, infatti, disciplina un aspetto afferente al contenuto negoziale del contratto di appalto e dunque attiene a quei profili in cui la pubblica amministrazione agisce nell’esercizio della propria autonomia negoziale. In definitiva, venendo in rilievo la regolamentazione di un rapporto privatistico che, per assicurare il principio di uguaglianza, deve essere disciplinato in maniera uniforme dalla normativa contenuta nel Codice dei contratti pubblici, la disposizione stessa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Resta assorbita la censura di violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera e), in materia di tutela della concorrenza.
11.― L’impugnazione statale ha investito anche i commi 3 e 4 dell’art. 22 della legge regionale in esame, i quali così dispongono:
«3. Le amministrazioni aggiudicatrici possono provvedere all’espletamento dell’attività di manutenzione tramite la stipula di contratti aperti della durata massima di quattro anni. Per contratto aperto si intende il contratto in cui la prestazione è pattuita con riferimento ad un determinato arco di tempo, per interventi non predeterminati nel numero, ma resi necessari secondo le necessità delle amministrazioni aggiudicatrici.
4. Qualora, nel caso di contratti aperti, l’importo dei lavori da eseguire ecceda l’importo contrattuale, il direttore dei lavori dà comunicazione al responsabile del procedimento per le opportune determinazioni. Il responsabile del procedimento può autorizzare l’ulteriore spesa fino ad un totale complessivo pari all’importo originario posto a base di gara, e comunque non superiore a duecentomila euro. In caso di contratto pluriennale la ulteriore spesa riferita alla singola annualità può essere autorizzata fino ad un totale complessivo pari all’importo originario posto a base di gara previsto per il singolo anno, e comunque non può essere superiore a duecentomila euro».
Secondo il ricorrente, tali disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost., in quanto prevedono una particolare tipologia di contratti, definiti “aperti”, non contemplata dai commi 3 e 10 dell’art. 3 del d.lgs. n. 163 del 2006.
11.1.― La questione è fondata.
Le norme regionali censurate disciplinano, con riferimento agli appalti relativi all’espletamento dell’attività di manutenzione, un particolare tipo di contratto che viene qualificato come “aperto”, il quale si caratterizza per il suo contenuto “variabile”, ossia determinabile in ragione delle necessità manifestate dall’amministrazione nel periodo temporale (quattro anni) di efficacia dello stesso.
Il d.lgs. n. 163 del 2006 non contempla tale figura contrattuale, che era invece disciplinata – peraltro, con una disposizione non del tutto coincidente con quella regionale – dall’articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994, n. 109 “Legge quadro in materia di lavori pubblici”, e successive modificazioni). La norma da ultimo citata è stata, però, abrogata dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). Più precisamente, la previsione relativa ai contratti aperti era stata inizialmente inserita nello schema di regolamento ma, su indicazione del Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, parere 17 settembre 2007 (che aveva rilevato l’opportunità di non riprodurre il contenuto del citato art. 154, in quanto la tipologia di contratti da esso prevista non è contemplata dal d.lgs. n. 163 del 2006), la stessa è stata eliminata dal testo. Né può ritenersi, come anche è stato prospettato nel corso dell’udienza pubblica, che i contratti aperti siano assimilabili agli “accordi quadro”. Questi ultimi, infatti, in ragione del contenuto specifico della norma che li disciplina (art. 59 del d.lgs. n. 163 del 2006), integrano gli estremi di una tipologia contrattuale diversa da quella che rileva in questa sede.
Ciò posto, deve ribadirsi che questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 401 del 2007, che spetta «al legislatore statale – ferma restando l’autonomia negoziale delle singole amministrazioni aggiudicatrici – individuare, per garantire uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, il tipo contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di lavori, servizi e forniture». Ne consegue che il prevalente ambito materiale che, nella specie, viene in rilievo, è rappresentato dall’ordinamento civile. Nella citata sentenza si è, inoltre, precisato che «tale uniformità, nella previsione della tipologia e dell’oggetto dei contratti, è funzionale ad assicurare il rispetto dei principi sottesi alla competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza».
Alla luce di quanto esposto, deve, pertanto, essere dichiarata la illegittimità costituzionale dei commi impugnati per violazione dei parametri costituzionali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), Cost.
12.― Oggetto di specifica censura è, altresì, l’art. 28 della legge regionale, il quale così dispone:
«1. Nel caso in cui il criterio utilizzato per la scelta dell’offerta migliore è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la Commissione giudicatrice è nominata dall’amministrazione aggiudicatrice ed è composta fino ad un massimo di cinque componenti esperti nello specifico settore di intervento, scelti prioritariamente tra il personale dipendente della stessa amministrazione aggiudicatrice.
2. Le amministrazioni aggiudicatrici individuano il Presidente della Commissione secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. Per l’affidamento di lavori e di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria di competenza della Regione la Commissione di cui al comma 1 è individuata dal responsabile del procedimento di cui all’articolo 15, comma 1.
3. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, i commissari diversi dal Presidente sono individuati tra i dipendenti di altre amministrazioni aggiudicatrici in possesso di adeguate professionalità, ovvero, con un criterio di rotazione, tra gli appartenenti alle seguenti categorie: a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornito dagli ordini professionali; b) professori universitari di ruolo, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza.
4. La Commissione individua l’offerta economicamente più vantaggiosa entro il termine stabilito dal responsabile del procedimento di cui all’articolo 15, comma 1. Tale termine può essere prorogato una sola volta.
5. Le spese relative alla Commissione sono inserite nel quadro economico del progetto tra le somme a disposizione dell’amministrazione.
6. Per gli interventi di competenza regionale, la Giunta regionale, con regolamento, disciplina modalità, tempi e procedure per la nomina della Commissione giudicatrice».
Secondo il ricorrente, tale normativa violerebbe il terzo comma dell’art. 117 Cost., in quanto non sarebbero stati rispettati i principi espressi dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006. In particolare, non sarebbero state recepite le cause di incompatibilità dei commissari, previste dalla legislazione statale.
12.1.― La censura non è fondata.
Innanzitutto, ribadendo quanto già osservato con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, deve rilevarsi che la circostanza del mancato richiamo nella norma regionale delle specifiche disposizioni statali sopra richiamate, non implica la loro inapplicabilità (sentenza n. 45 del 2010).
Ma anche a prescindere da questo aspetto, deve rilevarsi come questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, abbia già scrutinato i commi 2, 3, 8 e 9 dell’art. 84 del Codice dei contratti pubblici, recanti norme sulle funzioni, sulla composizione e sulle modalità di nomina dei componenti della commissione giudicatrice incaricata di esprimersi nell’ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In relazione a tale normativa, la Corte ha affermato che «gli aspetti connessi alla composizione della commissione giudicatrice e alle modalità di scelta dei suoi componenti attengono, più specificamente, alla organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei necessari requisiti, da parte della imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara. Da ciò deriva che non può essere esclusa la competenza legislativa regionale nella disciplina di tali aspetti». La Corte, pertanto, ha ritenuto «non conforme al sistema di riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni la normativa contenuta nei commi in esame, la quale vale certamente nel suo insieme per l’attività contrattuale posta in essere in ambito statale, mentre per le Regioni deve necessariamente avere carattere recessivo nei confronti di una diversa (ove esistente) disciplina specifica di matrice regionale».
Sono state conseguentemente dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 8 e 9 dell’art. 84 del suddetto Codice.
Alla luce di quanto esposto, risulta evidente come la normativa regionale ora censurata disciplini un settore che rientra nell’ambito della competenza di tipo residuale della Regione in materia di organizzazione amministrativa, con la conseguente non fondatezza della questione proposta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale degli articoli 13, comma 3, 20, comma 3, e 22, commi 3 e 4, della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2010, n. 3 (Disciplina regionale dei lavori pubblici e norme in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1, 3, 5, 6 e 7, della stessa legge della Regione Umbria n. 3 del 2010, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, 2, 15, commi 2 e 4, 16, 19, comma 1, e 28, della medesima legge regionale, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), e terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2011.
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