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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 21/02/2011, Sentenza n.
6265
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni in atmosfera - Rilevanza penale ex art.
674 c.p. - Criteri interpretativi. In tema di emissioni in atmosfera, la
seconda parte dell’art. 674 c.p. prevede la rilevanza penale delle emissioni di
gas vapori o fumi "nei casi non consentiti dalla legge". Tale precisazione, da
ricondursi al proposito del legislatore di operare un bilanciamento di opposti
interessi, consente l'esercizio di attività socialmente utili nel rispetto dei
limiti di legge al superamento dei quali acquista prevalenza l'esigenza di
tutela dell'incolumità pubblica. La configurabilità della contravvenzione é da
escludersi quando le emissioni di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone
provengano da un'attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti
previsti per l'inquinamento atmosferico, sul presupposto che la clausola
normativa "nei casi non consentiti dalla legge" costituisca una precisa
indicazione della necessità che, per essere penalmente rilevanti, le emissioni
devono violare le norme di settore che disciplinano l'inquinamento atmosferico,
cosicché il rispetto di queste norme integra una presunzione di liceità penale.
Nel caso in cui le emissioni, pur rispettando le norme speciali di settore,
arrechino concreto disturbo ai proprietari dei fondi vicini, superando la
normale tollerabilità, si configurerà invece l'illecito civile di cui
all'articolo 844 cod. civ., la cui valutazione deve essere operata contemperando
le ragioni della proprietà con le esigenze della produzione. In ogni caso, se
l'emissione, ancorché autorizzata, non è una conseguenza naturale delle attività
ma dipende da deficienze dell'impianto o da negligenze del gestore, é
sufficiente la semplice idoneità a creare molestia alle persone perché si
configuri l’ipotesi di reato di cui all’art. 674 c.p.. Pres. TERESI – Est.
RAMACCI – P.G. IZZO – Ric. DI. CA. GA., PE. IR. - CORTE DI CASSAZIONE,
Sezione III penale, 21 febbraio 2011, n. 6265
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DI. CA. GA. n. il (omissis);
2) PE. IR. n. il (omissis);
avverso l'ordinanza n. 14/2010 TRIB. LIBERTA' di PESCARA, del 21/04/2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
lette/sentite le conclusioni del PG, Dott. Izzo Gioacchino: rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ordinanza del 21 aprile 2010, il Tribunale del Riesame di Pescara respingeva
l'appello, proposto nell'interesse di DI. CA. Ga. e PE. Ir. , avverso il decreto
in data 20 marzo 2010, con il quale il G.I.P. presso il medesimo Tribunale
respingeva la richiesta di revoca del sequestro preventivo di una caldaia per
riscaldamento e produzione acqua calda, installata presso l'abitazione degli
appellanti, disposto con decreto del 9 marzo 2010 che autorizzava anche i
predetti, indagati per i reati di cui agli articoli 674 e 650 c.p.,
all'esecuzione di lavori di sistemazione dello scarico dei fumi secondo le
indicazioni della ASL di Pescara, fermo restando il sequestro.
I giudici, premessa la sussistenza del fumus del reato di getto pericoloso di
cose, evidenziato anche dalla emissione di un decreto penale di condanna per i
reati in contestazione, rilevavano che, in un verbale ispettivo dell'ASL, veniva
evidenziato come il tubo di scarico dei fumi della caldaia fosse collocato con
modalita' tali da rendere altamente probabile che l'emissione dei fumi di
combustione potesse arrecare disturbo agli occupanti di appartamenti limitrofi,
insistendo la canna fumaria in prossimita' di porte di ingresso e finestre.
Aggiungevano, inoltre, che la stessa ASL aveva evidenziato che la caldaia
risultava essere stata installata in contrasto con l'articolo 58 del Regolamento
di Igiene del Comune di (omissis), con il Decreto Legislativo n. 152 del 2006,
articolo 9 e con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 1993,
articolo 5, comma 9 e che la situazione rilevata risultava ovviabile attraverso
gli interventi, suggeriti dalla ASL, che gli appellanti ritenevano
ingiustificatamente impraticabili.
Avverso il provvedimento DI. CA. Ga. e PE. Ir. proponevano ricorso per
cassazione.
Deducevano, in particolare, violazione di legge e vizio di motivazione.
Osservavano che, per la vicenda, era pendente anche una controversia civile,
nell'ambito della quale era stata depositata una consulenza dalla quale
emergerebbe la regolarita' dell'impianto e la sua installazione a far data dal
1986.
Data tale premessa, rilevavano che, considerata la datazione dell'impianto, non
erano applicabili, nella fattispecie, le disposizioni normative che si
assumevano violate (Regolamento comunale, Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e
Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 2093) e richiamate in
un'ordinanza sindacale con la quale veniva imposta l'elevazione della canna
fumaria in modo da eliminare la situazione riscontrata.
Aggiungevano che le soluzioni tecniche ipotizzate nel provvedimento del
Tribunale non erano praticabili e che tale assunto evidenziava l'illogicita'
della decisione.
Insistevano, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e' infondato.
Occorre premettere che, come chiaramente si evince dal provvedimento impugnato,
il sequestro dell'impianto e' stato disposto per violazione dell'articolo 674
c.p..
Nello stesso provvedimento i giudici danno semplicemente atto delle
caratteristiche dell'impianto riscontrate dalla ASL e riportate nel verbale
ispettivo, osservando come la collocazione del tubo di scarico in prossimita' di
porte e finestre sia sintomo evidente dell'attitudine offensiva delle emissioni
provocate dall'impianto il quale, sempre secondo gli ispettori dell'ASL
intervenuti, sarebbe risultato non a norma perche' installato in violazione
delle disposizioni che il Tribunale richiama.
Il ricorso contesta applicabilita' delle disposizioni in precedenza richiamate
alla vicenda per cui e' processo, originata da un esposto dei vicini che
lamentavano il disturbo arrecato dai fumi, dilungandosi nel loro esame ed
impostando le proprie argomentazioni sul presupposto che l'impianto sia stato
realizzato nel 1986.
Osservano, infatti, i ricorrenti, che il Regolamento comunale e' entrato in
vigore nel 2003 e non e' retroattivamente applicabile, che le disposizioni del
Decreto Legislativo n. 152 del 2006 si applicano solo ad impianti diversi da
quello in sequestro, aventi potenza termica superiore ai 35 KW e che quelle del
Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 1993 riguardano solo gli
impianti di nuova installazione o ristrutturati.
Rileva il Collegio che tali circostanze apparivano comunque non determinanti,
nella fattispecie, ai fini del mantenimento della misura cautelare reale.
Infatti, l'ipotesi contravvenzionale considerata dall'articolo 674 c.p.
configura, come e' noto, un reato di pericolo finalizzato a prevenire esiti
dannosi o pericolosi per le persone conseguenti al getto o versamento di cose
atte ad offendere, imbrattare o comunque molestare, ovvero all'emissione di gas,
vapori o fumi idonei a cagionare i medesimi effetti.
Con specifico riferimento alle emissioni in atmosfera, e' tale ultima ipotesi
che viene principalmente presa in considerazione (anche se non puo' escludersi,
quale conseguenza di tali attivita', la emissione di polveri che, data la loro
diversa consistenza, rientrano nel concetto di "cose" contemplato nella prima
parte dell'articolo).
La seconda parte dell'articolo 674 c.p. prevede la rilevanza penale delle
emissioni di gas vapori o fumi "nei casi non consentiti dalla legge". Tale
precisazione e' stata considerata dalla giurisprudenza di questa Corte come il
proposito del legislatore di operare "un bilanciamento di opposti interessi"
consentendo, cosi', l'esercizio di attivita' socialmente utili nel rispetto dei
limiti di legge al superamento dei quali "riacquista prevalenza l'esigenza di
tutela dell'incolumita' pubblica" (Sez. 1 n. 3919, 28 aprile 1997).
Secondo un primo e risalente indirizzo giurisprudenziale, si riteneva che tale
disposizione non dovesse essere interpretata nel senso che il possesso di
un'autorizzazione amministrativa all'esercizio di una determinata attivita'
escludesse, in ogni caso, la sussistenza del reato il quale, al contrario,
doveva ritenersi sussistente ogni volta che le emissioni superassero la normale
tollerabilita' e fossero comunque eliminabili attraverso opportuni accorgimenti
tecnici (Sez. 3 n. 11295, 1 ottobre 1999; Sez. 1 n. 12497, 4 novembre 1999; Sez.
1 n. 739 21 gennaio 1998; Sez. 1 n. 863, 27 gennaio 1996; Sez. 1 n. 477, 19
gennaio 1994; Sez. 1 n. 9826, 19 novembre 1983 ed altre prec. conf.).
Successivamente si e', invece, esclusa la configurabilita' della contravvenzione
quando le emissioni di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone provengano
da un'attivita' regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti
per l'inquinamento atmosferico, ritenendo che la clausola normativa "nei casi
non consentiti dalla legge" costituisca una precisa indicazione della necessita'
che, per essere penalmente rilevanti, le emissioni devono violare le norme di
settore che disciplinano l'inquinamento atmosferico, cosicche' il rispetto di
queste norme integra una presunzione di liceita' penale. Nel caso in cui le
emissioni, pur rispettando le norme speciali di settore, arrechino concreto
disturbo ai proprietari dei fondi vicini, superando la normale tollerabilita',
si configurera' invece l'illecito civile di cui all'articolo 844 cod. civ., la
cui valutazione deve essere operata contemperando le ragioni della proprieta'
con le esigenze della produzione (Sez. 3 n. 16818, 3 maggio 2007. Si vedano
anche Sez. 1 n. 8094 7 luglio 2000; Sez. 3 n. 9757, 3 marzo 2004; Sez. 3 n.
38297, 29 settembre 2004; Sez. 5 n. 26649 14 giugno 2004; Sez. 3 n. 9503, 10
febbraio 2005; Sez. 3 n. 33971, 10 ottobre 2006; Sez. 3 n. 1869, 23 gennaio
2007; Sez. 3 n. 21814, 5 giugno 2007; Sez. 3 n. 41582, 12 novembre 2007; Sez. 3
n. 15707, 15 aprile 2009; Sez. 3 n. 40849, 18 novembre 2010).
Si e' anche ammessa la possibilita' di desumere il superamento del limite di
normale tollerabilita' sulla base della natura abusiva dell'insediamento e da
altre circostanze, quali reiterate denunce e segnalazioni da parte dei vicini e
ripetute verifiche da parte dell'autorita' preposta al controllo (v. Sez. 3 n.
11556 del 31 marzo 2006; Sez. 3 n. 19898,21 aprile 2005).
Si e' ulteriormente precisato che il problema del superamento dei limiti di
tollerabilita' si pone, per le attivita' autorizzate, allorche' l'emissione di
fumi e vapori sia una conseguenza diretta delle attivita' medesime.
Pertanto se l'emissione, ancorche' autorizzata, non e' una conseguenza naturale
delle attivita' ma dipende da deficienze dell'impianto o da negligenze del
gestore, ai fini della configurabilita' del reato e' sufficiente la semplice
idoneita' a creare molestia alle persone (Sez. 3 n. 40191, 9 ottobre 2007 v.
anche Sez. 3 n. 16286, 17 aprile 2009; Sez. 3 n. 15734 15 aprile 2009).
Cio' posto, si osserva come, nel caso di specie, la legittimita' del sequestro
sia stata ritenuta in considerazione del fatto che l'impianto fosse stato
installato in violazione delle disposizioni di legge che sono state piu' volte
richiamate dal dipendente ASL, pubblico ufficiale addetto alla verifica e
consacrate in una formale verbalizzazione. Il che avrebbe evidenziato, alla luce
dell'orientamento giurisprudenziale maggioritario e piu' recente che il Collegio
condivide, la sussistenza dell'ipotesi contravvenzionale di cui all'articolo 674
c.p..
In ogni caso, anche qualora il documento sul quale si fonda la decisione dovesse
risultare inficiato da altre emergenze fattuali, quali quelle prospettate dai
ricorrenti, il mantenimento della misura reale sarebbe comunque giustificato
poiche' se, come affermato, la caldaia sequestrata non fosse soggetta alle
disposizioni che l'autorita' di controllo assume violate, si verserebbe in una
ipotesi in cui non opererebbe la presunzione di liceita' penale della condotta
ritenuta dalla citata giurisprudenza con tutto cio' che ne consegue.
Il provvedimento impugnato e', pertanto, del tutto immune da censure e deve
essere rigettato con le conseguenze indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento.
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