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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 29/10/2010 (Cc. 23/09/2010), Sentenza n. 38402
DIRITTO DELLE ACQUE - Irregolarità in sede di campionamento - Effetti -
Nullità - Esclusione - Verifica demandata al Tribunale del riesame - Limiti -
Fattispecie: cumuli di fanghi provenienti dal trattamento di acque reflue
industriali. La violazione delle regole da osservarsi in sede di
campionamento, non determina alcuna nullità delle operazioni effettuate,
trattandosi eventualmente di irregolarità la cui incidenza sul risultato delle
analisi deve necessariamente essere verificata in sede di accertamento di
merito. E' appena il caso di rilevare sul punto che, la verifica demandata al
Tribunale del riesame, in materia di misure cautelari reali, è limitata al
riscontro della sussumibilità degli elementi prospettati dalla pubblica accusa
nella fattispecie di reato oggetto di indagine, mentre esula dal potere del
giudice del riesame l'accertamento della concreta fondatezza dell'ipotesi
accusatoria (Cass. sez. V, 18.5.2005 n. 23240, Zhu; Cass. sez. VI, 27.1.2004 n.
12118, Piscopo; Cass. sez. un. n. 23 del 1997, Bassi ed altri). (conferma
ordinanza del 29.1.2010, Tribunale di Catania, con la quale è stato confermato
il provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Catania in data 10.12.2009) Pres.
Teresi, Est. Lombardi, Ric. Monaco. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
29/10/2010 (Cc. 23/09/2010), Sentenza n. 38402
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UDIENZA del 29.10.2010
SENTENZA N. 1171
REG. GENERALE N.10803/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori:
Presidente Dott. Alfredo Teresi
Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi
Amedeo Franco
Guicla I. Mulliri
Santi Gazzara
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
- Sul ricorso proposto dagli Avv. Carmelo Peluso e Attilio Floresta, difensori
di fiducia di M. G., n. a Acireale il xx.ad.xxx, avverso l'ordinanza in
data 29.1.2010 del Tribunale di Catania, con la quale è stato confermato il
provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Catania in data 10.12.2009.
- Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
- Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Mario
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
- Udito il difensore del Monaco, Avv. Attilio Floresta, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso;
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del
riesame, ha confermato il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in
data 10.12.2009, con il quale è stato disposto il sequestro preventivo di
un'area sulla quale la S.r.l. Ofelia Ambiente, di cui è amministratore unico M.
G., esercita attività di recupero ambientale ex art. 5 DM 5.2.1998 e di recupero
di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
In sintesi, il Tribunale del riesame ha escluso che la S.r.l. Ofelia Ambiente
svolgesse l'attività di recupero rifiuti in assenza della prescritta
autorizzazione, per essere quella in suo possesso scaduta, come ipotizzato dalla
pubblica accusa, ma ha ritenuto sussistente il fumus delle altre
violazioni ascritte alla predetta società, riconducibili alla fattispecie di cui
all'art. 256, comma 4, del D. Lgs n. 152/2006 e per alcune violazioni anche
all'ipotesi di cui al secondo comma del predetto articolo, nonché la violazione
di cui agli art. 181 del D. Lgs n. 42/2004 e 44 lett. c) del DPR n. 380/2001.
In particolare è stato ritenuto sussistente il fumus dei reati di cui al
citato art. 256, stante anche la violazione delle norme tecniche riportate
nell'allegato 3 al DM 12.6.2002 n. 161:
1) per essere stata accertata dall'ARPA la presenza di rifiuti pericolosi
nell'area destinata a recupero ambientale con superamento dei valori limite
relativamente alla presenza di sostanze nocive;
2) la messa in riserva di rifiuti pericolosi, costituiti dalle scorie di fusione
secondaria del piombo, all'aperto, esposti agli agenti atmosferici, in area
destinata a deposito di pietrisco.
Sul punto l'ordinanza ha osservato che, pur essendo stato accertato, nel corso
di un successivo sopraluogo, che le scorie erano state concentrate in un box ivi
esistente permaneva la difformità della destinazione del sito rispetto alla
planimetria;
3) la presenza in una vasta area, non confinata, di un cumulo di notevoli
dimensioni, privo di segnaletica identificativa del materiale, ottenuto dalla
lavorazione delle scorie di fusione secondaria del piombo, non classificabile
come semilavorato in attesa di riscontro analitico, mentre le successive analisi
avevano dimostrato il superamento dei limiti fissati dalla legge per la
concentrazione di piombo, selenio e solfati;
4) il deposito all'aperto in area destinata alla messa in riserva di rifiuti
pericolosi, costituiti da terre e rocce da scavo da trattare per la produzione
di terre definite "da coltivo", in assenza della prescritta cartellonistica.
Analoghe carenze di segnalazioni venivano rilevate in ordine alla presenza di
cumuli di fanghi provenienti dal trattamento di acque reflue industriali; alla
presenza di cumuli di terre e rocce con livelli di contaminazione da idrocarburi
pesanti tali da rendere il materiale incompatibile con qualsiasi forma di
recupero.
Con riferimento alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche l'ordinanza ha
rilevato che l'area, da ritenersi agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico
fin dal 1993, era stata progressivamente trasformata attraverso la realizzazione
di ulteriori opere rispetto a quelle preesistenti, realizzate dalla azienda
Betonsider, che aveva operato nella stessa zona.
Il Tribunale ha altresì ritenuto sussistenti le esigenze cautelari connesse al
pericolo di protrazione o aggravamento delle conseguenze dei reati ovvero della
commissione di altri illeciti, nonché derivanti dall'aggravio del carico
urbanistico per l'esercizio in zona agricola di attività industriali. Avverso
l'ordinanza hanno proposto ricorso i difensori dell'indagato, che denunciano
violazione di legge e vizi di motivazione.
Il ricorrente denuncia:
1) Violazione ed errata applicazione degli art. 191 c.p.p. e 223 disp. att.
c.p.p. con la conseguente inutilizzabilità delle attività di campionamento e dei
risultati delle analisi eseguite dall'ARPA. Premesso che la prospettata
violazione delle norme processuali era già stata dedotta dinanzi al Tribunale
del riesame, si deduce che le attività di campionamento e di analisi sono state
eseguite dall'ARPA successivamente alla delega di indagini, in relazione
all'attività svolta dalla Ofelia Ambiente, conferita dal P.M. alla polizia
giudiziaria, con la conseguenza che le attività di campionamento e di successiva
analisi dovevano, a pena di nullità, essere comunicate al ricorrente per
l'esercizio delle facoltà previste dall'art. 223 disp. att. c.p.p..
2) Violazione dell'art. 3 del DM 471/1999 in relazione all'allegato 1 stesso
testo con la conseguente inutilizzabilità dei referti analitici.
Si deduce che il prelievo dei campioni, dalle cui analisi è emerso il
superamento dei limiti, non è stato effettuato all'ingresso dei materiali, come
prescritto dalla disposizione citata, bensì dopo che gli stessi erano stati "abbancati"
sui siti di destinazione unitamente ad altre materie prime, con la conseguente
carenza di validità dei risultati delle analisi.
3) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione
dell'art. 321 c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del periculum.
Si deduce, in sintesi, che il fumus dei reati è stato fondato
esclusivamente sulle risultanze delle indagini effettuate a suo tempo dall'ARPA
senza tener conto della situazione esistente al momento del sequestro, in cui
risultavano essere state eliminate tutte le irregolarità riscontrate in
precedenza, come verificato anche dal consulente del P.M. in sede di ispezione
in data 3.12.2009 e risultante dalla relazione del tecnico.
In particolare si deduce che le scorie di fusione secondaria del piombo erano
state prima concentrate sotto il box esistente in loco e successivamente avviate
alla collocazione definitiva prevista in progetto; che tutta l'area era stata
munita della cartellonistica indicante la caratterizzazione dei rifiuti; che
erano state rimosse le scorie di fusione secondaria del piombo ed i fanghi. Si
contesta inoltre che dalle risultanze degli accertamenti sia emersa la
incompatibilità delle rocce e terre con qualsiasi forma di recupero a causa
dell'inquinamento da idrocarburi.
4) Violazione ed errata applicazione dell'allegato 3 al D.M. 12.6.2002 n. 161
art. 4 e mancanza di motivazione.
Si deduce che il Tribunale del riesame ha erroneamente ritenuto applicabili alle
rocce e terre da scavo rinvenute sul piazzale pavimentato le disposizioni del
citato D.M., che si riferiscono alle prescrizioni da osservarsi nell'attività di
messa in riserva (R13), mentre le predette rocce e terre da scavo costituiscono
rifiuti sottoposti a trattamento di recupero (R5) per biossidazione, con
addizione di compost e carica batterica per l'abbattimento dei contaminanti
idrocarburici.
Si contesta inoltre l'inosservanza di prescrizioni di legge nella raccolta delle
acque meteoriche, avvenendo la stessa in conformità delle prescrizioni dettate
dalla Provincia Regionale di Catania con provvedimento del 23.3.2000 prot. N.
11941.
5) Violazione ed errata applicazione degli art. 44 lett. c) del DPR n. 380/2001;
181 del D. Lgs n. 42/2004; 6 della legge regionale della Sicilia n. 37/1985 e
vizi di motivazione.
Si deduce, con riferimento alle violazioni urbanistica e paesaggistica, che il
Tribunale del riesame ha omesso di esaminare il provvedimento rilasciato
congiuntamente dal Comune di S. Venerina e dalla Provincia Regionale di Catania,
dal quale si evince l'esistenza delle prescritte autorizzazioni e che nelle zone
a destinazione agricola non viene svolta nessuna attività produttiva.
Si aggiunge che le vasche di raccolta delle acque meteoriche sono esentate dal
regime concessorio o autorizzatorio ai sensi dell'art. 6 della citata legge
regionale n. 37/85.
Il ricorso non è fondato.
Rileva in via principale la Corte che non sussiste la denunciata violazione
dell'art. 223 disp. att. c.p.p. con riferimento al prelievo dei campioni
sottoposti ad analisi.
Dai verbali dell'ARPA, redatti per il campionamento dei rifiuti da sottoporre ad
analisi, risulta, infatti, che alle operazioni di campionamento era presente il
geologo, dr. Trovato Rosario, consulente della "Ofelia Ambiente", il quale nulla
ebbe a rilevare in ordine alla regolarità delle operazioni effettuate.
Dagli stessi verbali inoltre emerge che sono stati formati ogni volta vari
campioni del materiale da sottoporre ad analisi, uno dei quali consegnato al
Monaco per eventuali analisi di parte ed altro consegnato e preso in custodia
dal DAP di Catania, per essere utilizzato "quale controcampione ufficiale per
eventuali analisi in contraddittorio".
Sicché l'azienda di cui è amministratore unico il ricorrente era stata posta in
grado di controllare la regolarità dei risultati delle operazioni di analisi e
di chiederne la revisione in contraddittorio. Osserva, poi, la Corte in ordine
al secondo motivo di gravame che la violazione delle regole in ordine alle
modalità con le quali doveva essere effettuato il prelievo dei campioni non è
stata denunciata al momento delle operazioni di campionamento; né, come
rilevato, risulta essere stata chiesta la revisione delle analisi effettuate.
La dedotta violazione delle regole da osservarsi in sede di campionamento,
peraltro, non determina alcuna nullità delle operazioni effettuate, trattandosi
eventualmente di irregolarità la cui incidenza sul risultato delle analisi deve
necessariamente essere verificata in sede di accertamento di merito. E' appena
il caso di rilevare sul punto che, secondo il consolidato indirizzo
interpretativo di questa Suprema Corte (cfr. sez. V, 18.5.2005 n. 23240, Zhu, RV
231901; sez. VI, 27.1.2004 n. 12118, Piscopo, RV 228227; sez. un. n. 23 del
1997, Bassi ed altri, RV 206657), la verifica demandata al Tribunale del
riesame, in materia di misure cautelari reali, è limitata al riscontro della
sussumibilità degli elementi prospettati dalla pubblica accusa nella fattispecie
di reato oggetto di indagine, mentre esula dal potere del giudice del riesame
l'accertamento della concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Le risultanze dell'accertamento effettuato dal consulente del P.M. in data
3.12.2009, che peraltro si palesa quasi concomitante temporalmente con la
emissione del provvedimento del G.I.P., non risultano essere state sottoposte
all'esame di detto giudice al momento della emissione della ordinanza genetica
della misura cautelare, sicché le stesse non erano neppure valutabili dal,
Tribunale del riesame, che doveva verificare la legittimità del sequestro in
relazione alle risultanze delle indagini prospettate in quella sede.
Pertanto, le risultanze delle ulteriori indagini tecniche, ove abbiano accertato
la intervenuta eliminazione delle irregolarità riscontrate nei precedenti
sopraluoghi, devono essere poste a fondamento di una richiesta di restituzione
degli impianti.
E' evidente, infine, che con gli ulteriori motivi di gravame si contesta nel
merito la fondatezza dell'ipotesi accusatoria; contestazione nel merito non solo
inammissibile in sede di legittimità, ma, come già rilevato, sottratta alla
cognizione del giudice del riesame, che non poteva verificare la concreta
fondatezza dell'accusa in relazione alle ulteriori fattispecie contravvenzionali
di cui il ricorrente nega la sussistenza.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma nella Camera di
Consiglio del 23.9.2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 29 Ott. 2010
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