Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III
quater, 20 Marzo 2006, Sentenza n. 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO - SEDE DI ROMA
SEZIONE TERZA QUATER
composto dai signori Magistrati:
Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente
Dr. Linda Sandulli - Consigliere relatore
Dr. Carlo Taglienti - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 4214 del 2005 proposto dal Coordinamento delle
Associazioni e dei Comitati di tutela dell’Ambiente e dei Consumatori, (CODACONS),
in persona del rappresentante legale in carica, rappresentato e difeso dagli
avvocati Carlo Rienzi e Mariacristina Tabano ed elettivamente domiciliato presso
l’ufficio legale del Coordinamento in Roma, Viale Mazzini 73;
CONTRO
- il Ministero della Salute e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
territorio nonché la Regione Sicilia, ciascuno in persona del rappresentante
legale in carica, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello
Stato, domiciliataria ex lege in Roma, Via dei Portoghesi 12;
- la Regione Toscana, rappresentata e difesa dagli avvocati Lucia Bora e Fabio
Ciari dell’Avvocatura Regionale e dall’avvocato Fabio Lorenzoni, presso il cui
studio in Roma, Via del Viminale 43 è elettivamente domiciliata;
- la Regione Lombardia, rappresentata e difesa dall’Avvocatura regionale e
dall’avv. Federico Tedeschini presso il cui studio in Roma, Largo Messico n. 7,
è elettivamente domiciliata;
- la Provincia Autonoma di Bolzano, rappresentata e difesa dagli avvocati Renate
von Guggenberg, Laura Fadanelli, Stephan Beikircher e Michele Costa, presso il
cui studio in Roma, è elettivamente domiciliata, Via Bassano del Grappa n. 24;
- la Provincia Autonoma di Trento, rappresentata e difesa dagli avvocati Achille
Chiappetti, Nicolò Pedrazzoli e Fernando Spinelli ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del primo in Roma, Via Paolo Emilio n. 7;
per l’annullamento
del decreto del 22 dicembre 2004 sulla “Disciplina concernente le deroghe
alle caratteristiche di qualità delle acque destinate al consumo umano che
possono essere disposte dalle regioni e dalle province autonome” e di tutti gli
atti presupposti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;
Nominato relatore all’ Udienza Pubblica del 18 gennaio 2006 il consigliere dr.
Linda Sandulli, sentiti gli avvocati Carlo Rienzi e Maria Cristina Tabano per il
Codacons, l’avvocato Fabio Lorenzoni per la regione Toscana, l’avvocato Luca
Graziani per l’avvocato Michele Costa per la Provincia Autonoma di Bolzano,
l’avvocato Achille Chiappetti per la Provincia Autonoma di Trento, l’avvocato
Pier Paolo Puliano per l’avvocato Tedeschini per la Regione Lombardia e
l’avvocato dello Stato Cesaroni per i resistenti Ministeri della Salute e
dell’Ambiente nonché per la Regione Sicilia;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 15 aprile 2005 e depositato il 6 maggio successivo il
Codacons impugna, chiedendone l’annullamento, il provvedimento di proroga del
valore di soglia di alcune sostanze inquinanti, compreso l’arsenico, nelle acque
destinate al consumo umano, adottato dai Ministeri intimati, e destinato ad
orientare le Regioni e Provincie Autonome nell’ambito del territorio di
rispettiva competenza.
Con tale provvedimento, infatti, le Regioni e le Provincie autonome sono state
autorizzate ad avvalersi, ancora una volta, della facoltà di deroga ai valori
massimi fissati nel decreto legislativo n. 31 del 2001.
L’illegittimità del provvedimento gravato, secondo l’Associazione ricorrente,
deriverebbe dai seguenti motivi:
1) Violazione della legge n. 241 del 1990. Violazione della legge n. 349 del
1986. Mancata previsione della presenza di associazioni ambientaliste nell’iter
procedimentale stabilito dalla norma sotto il profilo dell’obbligo di avviso e
di partecipazione dei soggetti interessati. Violazione dell’articolo 1, comma 2,
lett. a) della legge n. 281 del 1998. Violazione dell’articolo 7 e seguenti
della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere sotto il profilo della
illogicità, irragionevolezza e sviamento. Violazione e disapplicazione della
direttiva comunitaria n. 2003/4/CE.
Il provvedimento impugnato è stato adottato senza la partecipazione delle
associazioni ambientaliste. Trattandosi di un rinnovo e non di una proroga ai
valori fissati nell’allegato I, parte B, del decreto legislativo 2 febbraio 2001
n. 31, vale a dire di un nuovo provvedimento e, per giunta, di grande rilievo,
tale partecipazione è da ritenere indispensabile.
L’omessa indicazione delle ragioni del differimento dell’applicazione dei valori
massimi fissati nel decreto del 2001, non ha reso possibile alcun controllo né
una vigilanza sui motivi che hanno indotto alla richiesta e poi alla concessione
della proroga. Non è stato possibile accertare, inoltre, se vi siano stati
risanamenti ambientali e se ve ne sono in corso. Per la verifica della
situazione appena descritta si imporrebbe la partecipazione all’interno
dell’organo tecnico dei dicasteri intimati di un rappresentante delle
associazioni ambientaliste, in contrasto con quanto, invece, avvenuto.
La tutela preventiva intesa come esigenza di evitare un danno, anche futuro,
alla salute, assegnata dalle leggi richiamate in rubrica alle associazioni
ambientaliste e tra queste alla ricorrente, comportano che un provvedimento come
quello gravato non possa non essere adottato senza il loro ausilio e, in ogni
caso, che tale provvedimento debba essere eliminato in quanto lo stesso è stato
assunto senza tener conto del livello di pericolo e del danno che può derivare
alla collettività.
2) Violazione del principio di precauzione di derivazione comunitaria e
dell’articolo 32 della Costituzione. La tutela rafforzata della salute umana
prevale su qualsiasi altro interesse. Applicazione dell’articolo 174 del
Trattato istitutivo della Comunità Europea.
L’esistenza di un dubbio scientifico sui limiti massimi normativi consentibili,
di sostanze nocive per la salute, nel senso della loro tollerabilità, oltre il
tetto già stabilito nel D.Lgs. n. 31 del 2001, comporta l’applicazione del
principio di precauzione e quindi l’applicazione di misure cautelari anticipate.
Si tratta di un principio giuridico sia di diritto internazionale sia
dell’ordinamento nazionale che impone l’adozione di misure tese ad evitare che
nel lasso di tempo necessario a sviluppare la ricerca scientifica e la piena
conoscenza dei fenomeni, si verifichino danni irreparabili per la salute umana.
Pertanto, nel caso del D.Lgs.- n. 31 del 2001, lo sforamento dei limiti massimi
in esso indicati, non può essere consentita se non si arrivano ad individuare le
cause e i rimedi possibili.
3) Violazione della direttiva 3 novembre 1998 n. 83/CE. Violazione della
direttiva comunitaria 2000/60. Violazione del D.Lgs. n. 31/2001. Difetto di
istruttoria. Contraddittorietà e insufficienza della previsione degli strumenti
atti a realizzare gli obiettivi stabiliti dalla direttiva 1998/83/. Grave danno
per la salute umana e per l’ambiente.
Perché il Ministero della Salute e quello dell’Ambiente adottino provvedimenti
di deroga al D.Lgs. n. 31 del 2001 è necessaria una motivata richiesta della
Regione interessata corredata dalle informazioni sui progressi fatti sulla via
dell’obbligatorio avvicinamento ai valori massimi in esso indicati ed idonea a
mettere in luce l’inevitabilità della deroga concessa.
Nel caso di specie i due Ministeri oltre ad aver consentito il superamento dei
limiti massimi stabiliti nel decreto legislativo n. 31 prima citato, anche in
misura percentuale assai rilevante pari, in qualche caso, al 500%, si riservano
di operare una verifica solo successivamente alla deroga consentita ed omettono,
inoltre, la prevista informazione in favore delle popolazioni interessate.
Manca, pertanto, qualsiasi motivazione e/o giustificazione sulle deroghe
consentite.
4) Indubbia pericolosità delle sostanze chimiche autorizzate. Incremento delle
percentuali per valori massimi esageratamente elevati con gravissimo danno alla
salute umana e all’ambiente. Contraddittorietà del decreto.
Vengono riportati i risultati di ricerche scientifiche sui gravi danni prodotti
dalle sostanze chimiche inserite nel decreto impugnato con l’indicazione dei
valori massimi sopportabili. Viene depositata una perizia tecnica di parte.
In particolare vengono indicati i trialometani in una determinata concentrazione
nelle acque potabili e il fluoro, come elementi chimici particolarmente dannosi
per la salute umana, in considerazione del superamento dei livelli consentiti.
Con ordinanza n. 2833 del 25 maggio 2005 questa Sezione ha ordinato il deposito
di una serie di documenti tra i quali quelli relativi alla tempestività
dell’adozione di misure adottate per la diminuzione dell’inquinamento delle
acque con specifico riferimento ai valori indicati nel D.Lgs. n. 31 del 2001,
nonché le misure utilizzate per informare le popolazioni delle Regioni
interessate.
Successivamente al deposito degli atti appena menzionati, il Codacons, con
memoria depositata il 13 luglio 2005, ha proposto i seguenti motivi aggiunti:
1) Evidente violazione del Principio di precauzione. Violazione dell’articolo
174 del Trattato istitutivo della Comunità Europea. Violazione dell’articolo 32
della Costituzione.
Il principio di precauzione introdotto nella Convenzione sulla diversità
biologica, firmata a Rio de Janeiro nel giugno 1992 ha trovato esplicito
riferimento nel Trattato della Comunità Europea (articolo 174) la quale ne ha,
inoltre, esteso l’ambito di applicabilità stabilendo i casi in cui lo stesso
trova applicazione e cioè: a) quando i dati scientifici sono insufficienti, poco
conclusivi o non certi; b) nell’ipotesi in cui da una valutazione scientifica
previa emerga che si possono ragionevolmente temere effetti potenzialmente
pericolosi per l’ambiente e la salute umana, animale o vegetale.
Nei casi appena detti occorre osservare tre regole: 1) una valutazione
scientifica completa condotta da un’Autorità indipendente, al fine di stabilire
il grado di incertezza; 2) una valutazione dei rischi e delle conseguenze in
mancanza di un’azione europea; 3) la partecipazione di tutte le parti
interessate allo studio di eventuali soluzioni.
Tutto questo iter procedurale risulta totalmente disatteso nel caso di specie.
2) Violazione della direttiva 98/83/CE (qualità delle acque destinate al consumo
umano). Violazione del decreto legislativo n. 31 del 2001. Inesistenza di
un’adeguata e tempestiva informazione alla popolazione. Inesistenza di una prova
circa l’effettiva assenza di alternativa per l’approvvigionamento. Inesistenza
di un effettivo controllo e/o risanamento.
Con ordinanza n. 1402 del 5 ottobre 2005 il Collegio ha disposto l’integrazione
del contraddittorio, puntualmente adempiuta dall’Associazione ricorrente.
In prossimità dell’udienza stabilita per l’esame della questione, nel merito, il
Codacons, con ulteriore memoria, ha illustrato le proprie tesi difensive.
Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate.
Alcune di esse hanno sollevato eccezioni di inammissiblità del ricorso, tutte
hanno controdedotto nel merito delle censure sollevate dal Codacons e chiesto il
rigetto del gravame.
All’udienza del 18 gennaio 2006 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per
mancanza di un interesse attuale all’annullamento del provvedimento impugnato,
sollevata dalla Regione Lombardia, la quale, basandosi sulla natura
regolamentare dell’atto, ne sostiene l’inidoneità a produrre una lesione
immediata.
L’eccezione è infondata.
Il decreto ministeriale impugnato si presenta, infatti, in parte come atto
regolamentare, di carattere generale, in parte come atto rivolto a destinatari
individuati in quanto consente la deroga di alcuni valori di soglia di talune
sostanze inquinanti contenute nell’acqua destinata al consumo umano, in favore
di determinate Regioni, rivelando, così una sua immediata capacità lesiva.
Va, ora, esaminata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla
decisione sollevata dalla medesima Regione Lombardia.
Ritiene quest’ultima che essendo, il provvedimento gravato, valido fino al 31
dicembre 2005, vale a dire fino ad una data ormai superata, non vi sarebbe alcun
interesse dell’Associazione ricorrente al suo annullamento tenuto conto che lo
stesso sarebbe divenuto, ormai, inefficace.
Anche tale eccezione si rivela infondata.
L’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse alla
decisione può essere dichiarata solo allorché sussista una situazione, in fatto
o in diritto, del tutto nuova rispetto a quella esistente al tempo della
proposizione del ricorso e tale da escludere, con assoluta sicurezza, che la
sentenza di merito possa conservare una residua utilità anche strumentale o
morale per il ricorrente.
Ciò, anche, al fine di evitare che una pronuncia di improcedibilità del gravame
si risolva in una sostanziale elusione del dovere del giudice di pronunciarsi
sul merito della domanda (TAR del Lazio, sezione I, 4 novembre 2004 n. 12370)
Nella fattispecie in esame il provvedimento gravato, secondo quanto prima
precisato, si presenta, in parte, come atto generale ed in parte come atto
rivolto a determinate Regioni, in quanto contenente una statuizione sulla
possibilità di deroga al tetto massimo di alcune sostanze inquinanti presenti
nell’acqua destinata al consumo umano, a termine, sulla base di affermate
difficoltà a condurre nei limiti massimi previsti, tali sostanze.
Si tratta di deroghe chieste (e concesse), spesso, in relazione alla natura del
terreno e alla necessità di apportare sostanziali modifiche al sistema idrico
territoriale attraverso costose opere sugli impianti esistenti o da realizzare.
Ebbene, nessuna delle Regioni evocate in giudizio ha reso noto di aver concluso
gli interventi di risanamento necessari per il raggiungimento del livello di
normalità dei valori delle sostanze presenti nell’acqua destinata al consumo
umano, nei territori di sua competenza, e di non avere più, di conseguenza, la
necessità di continuare ad avvalersi di deroghe al valore massimo assentibile di
tali sostanze inquinanti, oltre il tempo, breve, riconosciuto per le deroghe.
Dalla documentazione versata in atti emerge, anzi, che molte di esse hanno già
espresso la materiale impossibilità di concludere le opere necessarie alla messa
in regola del sistema idrico entro il termine del 31 dicembre 2005.
Nel perdurare della situazione descritta e nell’assenza di un nuovo e diverso
provvedimento di deroga (adottato per la sola Regione Toscana) deve dedursi che
il provvedimento impugnato abbia continuato a spiegare la sua efficacia al di là
del termine temporale ad esso apposto, in forza di una sua indispensabile
ultrattività.
D’altro canto non può escludersi che dall’eventuale annullamento dell’atto
gravato, possano derivare conseguenze o situazioni capaci di trovare tutela su
piani diversi da quello della giurisdizione amministrativa. Il tempo trascorso
dalla proposizione, tempestiva, del ricorso, infine, non può ricadere sulla
parte istante che ha rinnovato in udienza il suo interesse alla decisione.
Nel caso in cui il Collegio si limitasse a constatare, semplicemente, il decorso
del tempo, in una situazione inalterata rispetto alla vicenda dedotta in
giudizio, il giudizio apparirebbe, effettivamente, ispirato dalla volontà di
eludere la trattazione della questione nel merito.
Le argomentazioni ora svolte non riguardano il decreto del 28 ottobre 2005 del
Ministero della Salute con il quale sono state consentite deroghe ai valori di
soglia ammissibili per la sola Regione Lazio.
Si tratta, infatti, di un nuovo provvedimento rivolto ad una Regione non
contemplata nell’atto gravato e che, per tale ragione non si riferisce al
giudizio a suo tempo instaurato al quale rimane estranea.
Con il primo motivo, il Codacons lamenta l’illegittimità del procedimento
impugnato, che si è concluso con l’autorizzazione alla deroga del valore di
soglia di alcune sostanze inquinanti, compreso l’arsenico, nelle acque destinate
al consumo umano, in favore delle Regioni che ne avevano fatto istanza.
Secondo la ricostruzione dell’Associazione ricorrente, l’amministrazione
intimata, ancorché tenuta, avrebbe omesso di chiederle di partecipare al
procedimento.
L’entità degli interessi coinvolti rivelerebbe, da sola, l’indispensabilità
della sua presenza nella procedura contestata, presenza che la natura dell’ atto
adottato - rinnovo e non proroga- confermerebbe come tanto più necessaria.
La stessa amministrazione, inoltre, non avrebbe inviato, al suo indirizzo,
l’avviso di inizio del procedimento.
La censura è infondata.
In nessuna delle disposizioni richiamate dal Codacons, a dimostrazione della
fondatezza della tesi esposta, è contenuta una previsione dell’obbligo della cui
inosservanza l’associazione menzionata si duole.
Infatti, in tali norme non ha trovato ingresso il preteso diritto alla
partecipazione nei sensi indicati ma soltanto la legittimazione ad agire a
tutela di determinati interessi diffusi. Segnatamente, per quello che qui
interessa, quelli relativi alla salute umana.
Passando all’omessa comunicazione di invio dell’avviso di procedimento, osserva
il Collegio che l’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, impone tale
comunicazione nei riguardi dei “soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per
legge debbono intervenirvi”.
Precisato che il Codacons non è tra i soggetti che per legge sono tenuti a
partecipare al procedimento anzidetto, a causa dell’inesistenza di una norma che
sancisca tale diritto di partecipazione, deve, allora, essere valutato se
ricorra l’altra circostanza prevista dalla disposizione riferita, quella secondo
la quale l’Associazione ricorrente è un soggetto nei cui confronti l’atto è
destinato a produrre effetti diretti.
Ebbene, anche tale circostanza non sembra sussistere, nel caso in esame.
Gli effetti diretti del provvedimento impugnato sono quelli che si verificano
nei confronti delle Regioni, che sono le vere destinatarie di esso, mentre
quelli che si verificano nei riguardi del Codacons sono soltanto effetti
indiretti, assistiti, sulla base di quanto sopra precisato, dal potere di
esperire apposita azione per la tutela giurisdizionale (CdS, sezione IV, 24
ottobre 1997 n. 1234) esattamente quella che è stata richiesta in questa sede.
Da osservare, infine, che la legge n. 241 del 1990 accorda, nell’articolo 9, ai
soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati,
la possibilità di partecipare al procedimento.
Si tratta, però, di una norma che sancisce un possibilità e non un diritto di
partecipazione e che, in ogni caso, ha come sua primaria finalità quella di
elevare a rango di strumento endo-procedimentale, cioè di dare giuridica
rilevanza ad interessi che non sono riconoscibili in capo a singoli individui, e
dei quali è dubbia la tutela giurisdizionale nei casi in cui ne siano portatrici
associazioni che, a differenza della ricorrente, non risultino inserite negli
elenchi previsti dall’articolo 5 della legge n. 281 del 1998.
Per una compiuta valutazione della censura in esame il Collegio si sofferma,
infine, sulla natura dell’atto gravato, definito atto di rinnovo dal Codacons (e
confermato tale in un atecnico richiamo contenuto nel testo di esso) e non
proroga (secondo quanto la situazione in atto, perdurante nel tempo senza
soluzione di continuità lascerebbe supporre), per osservare che l’esatta
definizione del provvedimento impugnato si rivela indifferente.
Nel caso in cui vi fosse un obbligo di partecipazione al procedimento in favore
del Codacons, tale obbligo dovrebbe, infatti, essere rispettato a prescindere
dalla natura del provvedimento contestato. Poiché tale obbligo non è stato
ravvisato in nessuna delle disposizioni evocate deve concludersi che non vi è
alcun interesse ad accertare la natura del provvedimento in questione.
Con il secondo motivo di ricorso l’Associazione ricorrente lamenta la violazione
del principio di precauzione, di derivazione comunitaria, e dell’articolo 32
della Costituzione in forza del quale la tutela rafforzata della salute umana
prevarrebbe su qualsiasi altro interesse. Lamenta, altresì, la violazione
dell’articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunità Europea che quel
principio contiene. L’esistenza di un dubbio scientifico sui limiti massimi
normativi consentibili, di sostanze nocive per la salute, nel senso della loro
tollerabilità, oltre il tetto già stabilito nel D.Lgs. n. 31 del 2001, comporta
l’applicazione del principio di precauzione e quindi l’applicazione di misure
cautelari anticipate. Con il quarto motivo, che per comodità di trattazione,
viene esaminato congiuntamente al secondo, la ricorrente Associazione lamenta la
pericolosità delle sostanze chimiche autorizzate a causa dell’incremento delle
percentuali dei valori massimi consentiti, che sarebbe esageratamente elevato.
Il principio di precauzione, come anche quello di prevenzione, correzione e
responsabilità economica, secondo quanto esattamente rilevato dall’Associazione
ricorrente, trova la sua disciplina nel Trattato istitutivo della Comunità
Europea nel quale, all’articolo 174, si precisa che la Comunità “mira ad un
elevato livello di tutela…fondata sui principi di precauzione e dell’azione
preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei
danni causati all’ambiente, nonché sul principio secondo cui “chi inquina paga”.
Si tratta di un principio riconosciuto, una prima volta, nella Carta mondiale
della natura adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1982, e,
poi, consacrato nell’articolo 15 della Dichiarazione di Rio emanata a seguito
della omonima Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo del giugno 1992, ed infine,
fatto proprio dal Consiglio della Comunità Economica Europea, con decisione del
25 ottobre 1993 con la quale si è stabilito di estenderne il campo - prima
limitato all’ambiente - a quello sulla salute umana, animale e vegetale.
Secondo la precisazione contenuta nella comunicazione (COM 2000) 1 del 2
febbraio 2000, della Unione Europea, il principio, inserito nell’articolo 174
del Trattato CE, non è definito e come altre nozioni di carattere generale quali
la sussidiarietà o la proporzionalità assume contorni precisi sulla base
dell’intervento dei responsabili politici.
Su tale profilo si è soffermata anche la giurisprudenza nazionale e comunitaria,
che ne ha evidenziato il carattere orientativo in ragione del suo contenuto
generale e di larga massima e lo ha ritenuto capace di ispirare le attività
nomative ed amministrative dell’Unione Europea e degli Stati membri ma
insuscettibile di tradursi in un tassativo comando giuridico, proprio per
difetto di concretezza. (TAR del Lazio, sezione I, 31 maggio 2004 n. 5118).
E ne ha chiarito i presupposti storico ambientali indicandoli nell’ipotesi di
incertezza sulla possibile esistenza di rischi per la salute delle persone o
sulla loro portata, e nell’intervento delle istituzioni che “prendono
provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di essi
siano scientificamente dimostrati (Tribunale I grado Cee, 28 gennaio 2003 n.
147).
La scelta sulla risposta da dare ad una situazione di rischio “accettabile”
deriva, quindi, sulla base di quanto appena precisato, da una decisione
eminentemente politica.
Nella fattispecie in esame la scelta è stata fatta, ed anche incisivamente,
dall’Unione Europea, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite allo
stato, con la direttiva 98/83/CEE, di profonda modificazione della precedente
direttiva n. 80/778/CEE, sulla qualità delle acque destinate al consumo umano,
attraverso una diversa e assai più rigorosa modalità di approccio della
valutazione delle caratteristiche di qualità dell’acqua ed una limitata
possibilità di deroghe per periodi predeterminati.
Nelle premesse della direttiva, il Consiglio dell’Unione Europea, ha precisato
che le ragioni delle modificazioni del sistema di valutazione delle acque
risiedono, tra l’altro, nella necessità di tener conto delle conoscenze
scientifiche disponibili e “del principio di precauzione e che i valori delle
acque destinate al consumo umano possano essere consumate in condizioni di
sicurezza nell’intero arco della vita e rappresentino pertanto un livello
elevato di tutela della salute”.
Ai parametri esistenti, suddivisi in cinque sezioni ha sostituito altri
parametri raggruppati solo in tre sezioni ammettendo le deroghe in ambito
locale, soltanto in relazione ai “parametri indicatori” (parte C) e
consentendole in ambito nazionale (Ministero), esclusivamente per i parametri
chimici (parte B). Ai valori di soglia precedenti ha sostituito valori
inferiori, in alcuni casi anche sensibilmente inferiori; alla possibilità di
ottenere deroghe all’osservanza dei valori di soglia senza limitazioni nel tempo
ha sostituito una previsione temporale più stringente che limita a tre anni,
salvo due proroghe, il periodo massimo assentibile.
E’ stato precisato, infatti, nella direttiva comunitaria, che gli Stati membri
possono stabilire deroghe ai valori di parametro fissati nell'allegato I, parte
B, fino al raggiungimento di un valore massimo stabilito dagli stessi Stati
membri, per la più breve durata possibile e sempre che la deroga non costituisca
un potenziale pericolo per la salute umana e l'approvvigionamento delle acque
destinate al consumo umano nella zona interessata non possa essere mantenuto con
nessun altro mezzo congruo. E’ stata prevista, inoltre, la possibilità che verso
la fine del primo periodo di proroga si proceda ad un riesame della situazione
esistente al fine di stabilire se sono stati compiuti sufficienti progressi tali
da consentire, in presenza degli altri elementi richiesti, la concessione di una
seconda deroga non superiore a tre anni, previa comunicazione da parte dello
Stato membro alla Commissione Europea, dei risultati del riesame svolto e sui
motivi della decisione di concessione di una seconda deroga.
E’ stato previsto, infine, che in presenza di circostanze eccezionali, si possa
giungere ad una ulteriore e conclusiva richiesta da parte di uno Stato membro
alla Commissione, di una terza deroga, per un periodo fino a tre anni.
La possibilità di concedere tre proroghe per un totale di nove anni, che ad una
prima lettura può destare sconcerto, nel senso che può apparire incongruente,
deve essere valutata, invece, tenendo conto delle impegnative opere necessarie
per riportare i livelli dell’acqua destinata al consumo a quelli assai più
rigorosi introdotti, con la direttiva 98/83/CE ed alla situazione dei luoghi,
anche per quello che riguarda la loro conformazione geomorfologia.
A tale considerazione deve, poi, essere associata l’altra considerazione sul
carattere straordinario delle deroghe assentibili che, assieme alla prima
consente di valutare nella giusta luce il quadro normativo sopra delineato.
Sempre come risposta alle esigenze sottese al principio di precauzione, va
osservato che è intervenuto, a livello nazionale, il decreto legislativo n. 31
del 2001 il quale ha fornito una risposta, per alcuni versi, più puntuale in
materia di acque destinate al consumo umano.
Nell’allegato I di detto decreto sono stati stabiliti i parametri massimi
ammissibili, pari o più rigorosi di quelli indicati nella direttiva comunitaria;
all’articolo 13 sono state previste le deroghe possibili e all’articolo 16, le
eccezioni ammissibili.
Oltre a recepire il contenuto dell’Allegato I della direttiva europea, il
decreto legislativo n. 31 del 2001 ha introdotto valori di parametro
supplementari, vale a dire non previsti nella predetta direttiva ed ha reso più
rigorosi, tra quelli previsti, altri valori in essa contenuti, mediante
abbassamento della soglia massima. Ha stabilito, altresì, all’articolo 15 il
termine finale entro il quale i valori di parametro indicati nell’allegato I
dovevano essere raggiunti, indicandolo nel 25 dicembre 2003.
Secondo il legislatore nazionale la sistemazione del servizio relativo alla
qualità dell’acqua destinata al consumo umano avrebbe dovuto perfezionarsi,
pertanto, - in via generale- entro la data sopra indicata.
Chiarito che il principio di precauzione ha trovato risposta nella direttiva
comunitaria e nel decreto legislativo che ne ha dato attuazione a livello
interno, e che lo stesso principio non può ritenersi violato nel caso di deroghe
ai valori massimi indicati, in quanto le deroghe, in presenza di determinate
circostanze, sono espressamente ammesse, va osservato che secondo l’Associazione
ricorrente l’inosservanza di tale principio sarebbe ricavabile nell’avallo di
deroghe ai limiti massimi ammissibili indicati nel decreto legislativo, senza un
previo studio sulla nocività e sugli effetti di tale superamento, necessari, in
considerazione della pericolosità e dell’elevatezza dei valori ammessi ed in
ogni caso senza un’adeguata istruttoria.
Il Collegio, premette che la parte relativa alla pretesa carenza di istruttoria
o all’inadeguatezza della motivazione riguarda il procedimento di deroga
seguito, espressamente censurato con il terzo motivo e da esaminare subito dopo,
ed osserva che l’esame del motivo di ricorso ora esposto, verrà condotto con
riguardo alla pretesa assenza di valutazioni su uno studio riguardante la
nocività e gli effetti delle deroghe assentite e sulla pretesa eccessività di
esse.
Quanto al primo profilo, osserva il Collegio che gli studi necessari per
pervenire ad una soglia di rischio accettabile sono stati già esaminati e
valutati in occasione dell’approvazione della direttiva 98/83/CE, di completa
modificazione della normativa precedente e, successivamente, dell’approvazione,
in ambito nazionale, del decreto legislativo n. 31 del 2001, entrambi ispirati
ad un rinnovato rigore, rigore che, secondo quanto prima precisato, non ha
portato, in ogni caso, ad eliminare ogni possibilità di deroga.
Non basta la richiesta (e la concessione di una deroga), insomma, a far ritenere
violato il principio di precauzione, quale principio ispiratore di tutta la
disciplina normativa richiamata.
Perché le previsioni contenute nelle disposizioni riferite si rivelino assunte
in violazione del principio di precauzione è necessario che, rispetto a tutti
gli studi valutati in occasione dell’approvazione della direttiva comunitaria,
vengano proposti, nella materia, elementi nuovi, capaci di mettere quantomeno in
dubbio la possibilità che si pervenga alla concessione di deroghe ai valori
massimi consentiti e tali elementi non sono riscontrabili nel caso di specie, in
quanto non risultano presentati elementi di novità, rispetto alle conoscenze
scientifiche già utilizzate e nemmeno elementi che mettano in discussione la
possibilità di concessione di deroghe.
Deve ribadirsi, allora, che la semplice applicazione del decreto legislativo n.
31 del 2001, sulla base di quanto prima precisato, non può costituire di per sé
violazione del principio di precauzione tenuto conto che sia tale decreto sia la
direttiva comunitaria consentono agli Stati membri - relativamente alla parte B
dell’allegato I - non soltanto di derogare ai valori di soglia previsti, ma non
prescrivono limiti superiori comunque inderogabili.
Impongono, però, questo sì, la presenza concorrente di determinate circostanze,
tutte quelle prima riferite e delle quali il Collegio si occuperà subito dopo.
Quanto all’eccessivo incremento delle deroghe ammesse non può sottacersi che
l’intimato Ministero prima di concedere le deroghe richieste ha consultato il
Consiglio Superiore di Sanità, che, a sua volta, si è avvalso, secondo quanto
riferito nella relazione tecnica depositata in data 23 maggio 2005, delle
relazioni di alcune UUSSLL regionali e dell’apporto di esperti dell’Istituto
Superiore di Sanità e che lo stesso Ministero ha limitato il periodo di deroga
richiesto dalle Regioni concedendone uno più ridotto.
Nè può trascurarsi, e con ciò si risponde alla quarta censura che i valori di
soglia ammessi sono, in qualche caso, pari a quelli stabiliti nella vigenza del
dPR 268 del 1988; inferiori a quelli stabiliti nella direttiva 98/83/CE (trialometani)
in qualche altro caso ed in altri casi, infine, risultano introdotti solo in
ambito nazionale dal decreto legislativo n. 31 più volte richiamato mentre non
sono previsti in sede comunitaria.
Conclusivamente, sembra al Collegio che l’azione svolta dal provvedente
Ministero sia stata nel senso dell’accertamento della sussistenza di quel
potenziale pericolo per la salute umana richiesto per la corretta applicazione
del principio di precauzione e che quest’ultimo non appaia violato.
Con il terzo motivo il Codacons lamenta, sostanzialmente, la violazione del
procedimento previsto nel decreto legislativo n. 31 del 2001 sotto il profilo
del difetto di istruttoria, dell’incoerenza, per quello che si riferisce alle
industrie alimentari artigianali con distribuzione del prodotto in ambito
locale, e sull’informazione alle popolazioni.
Prima di esaminare la censura appena esposta il Collegio ritiene utile precisare
che l’atto impugnato costituisce il punto di arrivo di un procedimento
interamente scandito dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 31 del 2001
che, come prima chiarito, prevede, al comma 2:
1) una richiesta motivata da parte della Regione interessata;
2) l’indicazione dei parametri interessati e i risultati dei controlli
effettuati negli ultimi tre anni; il valore massimo che si chiede e la durata
della deroga;
3) l’area geografica interessata con l’indicazione della quantità di acqua
fornita e gli eventuali effetti sulle industrie alimentari interessate;
4) un opportuno programma di controllo;
5) il piano relativo alla necessaria azione correttiva, compreso un calendario
dei lavori, una stima dei costi, la relativa copertura finanziaria e le
disposizioni per il riesame.
Deve ritenersi che tutte le prescrizioni contenute nell’articolo 13 del d.lgs.
n. 31 del 2001 siano di pari peso, in quanto l’insieme di esse dà conto
dell’azione svolta dalle singole Regioni per realizzare nel più breve tempo
possibile o meglio, nel tempo strettamente necessario, quanto è indispensabile
per pervenire ai valori di soglia prescritti.
Deve, altresì, ritenersi che il provvedimento di deroga si configuri come atto
finale della procedura descritta.
Dall’esame del provvedimento gravato emerge, invece, che lo stesso anziché
essere adottato, secondo quanto prescrive la norma riferita, a conclusione di
una rigorosa istruttoria svolta nei confronti delle Regioni richiedenti, è il
risultato di un’azione “aperta” nel senso della previa fissazione di valori
derogatori comuni, dei quali le Regioni potevano avvalersi indipendentemente da
una precedente istruttoria individuale e con esibizione successiva degli
elementi di conoscenza indicati nel citato articolo 13.
Il Ministero della Salute, con il provvedimento del 22 dicembre 2004, dopo aver
richiamato i precedenti decreti interministeriali del 23 dicembre 2003 e del 13
agosto 2004 ha dettato una deroga ai valori massimi assentibili indicati
nell’allegato I, parte B, del d.lgs. n. 31 del 2001 non soltanto in favore di
alcune delle Regioni già richiedenti ma anche nei confronti di tutte le Regioni
che “ne facciano regolare e motivata richiesta entro il 31 gennaio 2005” ed ha
disposto, al punto 5, che le stesse “dovranno presentare, entro il 30 settembre
2005, (vale a dire ben dopo la domanda) una documentazione completa e
dettagliata relativamente..alle analisi effettuate entro il periodo settembre
2004-settembre 2005 (vale a dire contestualmente alla conclusione del periodo
indicato); le attività di informazione alle popolazioni; lo stato di avanzamento
degli interventi posti in atto per rientrare nei limiti richiesti dalla
normativa vigente”
Sembra al Collegio che quanto fino ad ora esposto faccia emergere con chiarezza
che il procedimento seguito (e le date stabilite per il compimento di alcuni
adempimenti lo confermano), si è svolto sulla base di un’inversione logica.
La procedura seguita avrebbe dovuto svolgersi, infatti, sulla base di un esame
anticipato condotto in relazione alle singole esigenze manifestate e motivate da
ciascuna Regione interessata, e non in via generale, e avrebbe dovuto condurre
alla concessione di deroghe soltanto laddove strettamente necessario.
Il modo di operare descritto, invece, contraddistinto da un’autorizzazione ad un
innalzamento dei valori di soglia ammissibili prima di ogni esame istruttorio
puntuale, rischia di apparire come una generalizzata modificazione dell’allegato
I del D.Lgs. n. 31 prima menzionato, non consentita dalla normativa riferita che
prevede la possibilità di concessione di deroghe soltanto in relazione a casi
specifici.
Incongruente, poi, l’obbligo, contenuto nel medesimo provvedimento, del rispetto
dei limiti previsti dalla normativa più volte richiamata a carico delle
industrie alimentari con l’eccezione di quelle di tipo artigianale con
distribuzione del prodotto in ambito locale.
Premesso che tale distinzione non si rinviene nell’articolo 13 del D.Lgs. n.31
prima riferito, deve osservarsi che se rischi per la salute impongono
l’esclusione della concessione di deroghe per le acque destinate alla produzione
alimentare non si comprende quale possa essere la ragione che porta ad una
diversa considerazione per i prodotti alimentari di imprese artigianali con
limitata distribuzione del prodotto.
Non appare chiaro, invero, come le dimensioni dell’impresa produttrice e la
limitata superficie dell’area interessata alla distribuzione del prodotto
possano incidere sulla qualità dell’acqua tanto da giustificare l’esclusione
dall’obbligo di osservanza dei limiti o meglio la possibilità di deroghe per
queste e nell’impossibilità di deroga per le altre.
Illegittima si presenta, in ogni caso, l’assenza di una qualunque motivazione
sul punto.
Resta da esaminare il profilo relativo all’informazione alle popolazioni
interessate.
A tale proposito va osservato che si tratta di adempimento da svolgersi da parte
delle Regioni in relazione al quale l’intimato Ministero si è preoccupato di
svolgere uno specifico richiamo riservandosi un controllo su quanto fatto dalle
Regioni medesime.
La ricorrente Associazione, in ogni caso si è limitata a denunciare un
comportamento illegittimo senza fornire al riguardo, nemmeno un principio di
prova su quanto ritiene effettivamente avvenuto, sicchè la censura in tale sua
parte deve essere ritenuta inammissibile per genericità.
Restano da esaminare i motivi aggiunti che il Collegio ritiene irricevibili per
omessa notifica dei medesimi alle parti controinteressate nel presente giudizio.
Il ricorso, in ogni caso deve intendersi accolto, nei limiti delle
argomentazioni che precedono e nei limiti indicati in motivazione.
Le spese di lite possono essere compensate tra le parti.
PQM
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma - Sezione III
quater
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso proposto dal CODACONS e
meglio specificato in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 18 gennaio 2006
Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente
Dr. Linda Sandulli - Consigliere estensore
1) Acqua - Acqua destinata al consumo umano - Dir. 98/83/CE - D.lgs. 31/2001 - Deroghe ai valori limite - Violazione del principio di precauzione - Esclusione - D.M. 22/12/2004 - Modifica generalizzata dell’all. I d.lgs. 31/2001 - Difetto di preventivo puntuale esame istruttorio - Illegittimità - Possibilità di deroga solo in casi specifici. La mera applicazione del d. lgs. n. 31 del 2001, che consente, in presenza di determinate circostanze e ai sensi dell’art. 13, deroghe ai valori limite massimi fissati nell’allegato I per le acque destinate al consumo umano, non costituisce di per sé violazione del principio di precauzione di cui all’art. 174 del Trattato istitutivo della Comunità Europea. La possibilità, infatti, di introdurre deroghe ai valori di parametro fissati nell’allegato I, parte B, entro limiti predeterminati, è espressamente prevista dalla direttiva 98/83/CE, chiaramente ispirata al principio di precauzione. Tuttavia, il modus operandi di cui al dm 22 dicembre 2004, contraddistinto da un’autorizzazione ad un innalzamento dei valori di soglia ammissibili prima di ogni esame istruttorio puntuale, rischia di apparire come una generalizzata modificazione dell’allegato I del D.Lgs. n. 31/2001, non consentita dalla normativa riferita che prevede la possibilità di concessione di deroghe soltanto in relazione a casi specifici. Pres. Di Giuseppe, Est. Sandulli - Codacons (avv.yti Rienzi e Tabano) c. Ministero della Salute e altri (Avv. Stato), Regione Toscana (avv.ti Bora, Ciari e Lorenzoni), Regione Lombardia (avv. Tedesconi), Provincia Autonoma di Bolzano (avv.ti von Guggenberg, Fadanelli, Beikircher e Costa) e Provincia Autonoma di Trento (avv.ti Chiappetti, Pedrazzoli e Spinelli) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III quater - 20 marzo 2006, n. 2001
2) Acqua - Acqua destinata al consumo umano - D. Lgs. 31/2003 - Deroghe - D.M. 22/12/2004 - Industrie artigianali con distribuzione locale - Eccezione alla disciplina - Incongruenza. E’ incongruente l’obbligo, contenuto nel dm 22 dicembre 2004, del rispetto dei limiti previsti nel d. lgs. 31/2001 a carico delle industrie alimentari con l’eccezione di quelle di tipo artigianale con distribuzione del prodotto in ambito locale. Non solo, infatti, tale distinzione non si rinviene nell’articolo 13 del d.lgs. citato, ma non vi è ragione per escludere i rischi per la salute nel caso di prodotti alimentari con limitata distribuzione territoriale. Pres. Di Giuseppe, Est. Sandulli - Codacons (avv.yti Rienzi e Tabano) c. Ministero della Salute e altri (Avv. Stato), Regione Toscana (avv.ti Bora, Ciari e Lorenzoni), Regione Lombardia (avv. Tedesconi), Provincia Autonoma di Bolzano (avv.ti von Guggenberg, Fadanelli, Beikircher e Costa) e Provincia Autonoma di Trento (avv.ti Chiappetti, Pedrazzoli e Spinelli) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III quater - 20 marzo 2006, n. 2001
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