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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 5/10/2006 (C.C. 27/06/2006), Sentenza n. 5948

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5948/06
Reg.Dec.
N. 1987 Reg.Ric.
ANNO 2006
Disp.vo 411/2006

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 1987 del 2006, proposto da ESPOSITO Carlo, GALANTE Raffaele, MAZZARA Enrico, GALANTE Giuseppe, FREZZA Giuseppe, ESPOSITO Salvatore, GALLO Angelo, CASABURI Sossio e IMITAZIONE Gregorio, rappresentati e difesi dall’avv. Riccardo Marone, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. L. Napolitano, in Roma, Viale Angelico n. 38;
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi titolari pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono per legge domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e nei confronti
del Comune di Crispano di Napoli e dell’Ufficio Territoriale del Governo, non costituitisi;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Napoli, Sez. I, n. 1622 del 6 febbraio 2006.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 27 giugno 2006 il Cons. Giuseppe Minicone;
Uditi l’avv. Marone e l’avv. dello Stato Giannuzzi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso notificato il 7 novembre 2005, i sigg.ri Esposito Carlo, Galante Raffaele, Mazzara Enrico, Galante Giuseppe, Frezza Giuseppe, Esposito Salvatore, Gallo Angelo, Casaburi Sossio e Imitazione Gregorio impugnavano, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, il decreto del Presidente della Repubblica del 25 ottobre 2005, con il quale si disponeva, in applicazione dell’art. 143 del d. Lgs. n. 267 del 2000, lo scioglimento per diciotto mesi del Consiglio comunale del Comune di Crispano, già sospeso cautelarmente dal Prefetto di Napoli con decreto del 22 ottobre 2005, all’esito degli accertamenti effettuati dalla Commissione di accesso nominata con decreto prefettizio del 30 settembre 2004 (atti anch’essi impugnati).


Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso, in quanto infondato in tutti i suoi motivi.


Avverso detta decisione hanno proposto appello gli interessati, reiterando le censure svolte in primo grado, erroneamente, secondo la loro prospettazione, disattese dal T.A.R..


Si è costituita l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse delle Amministrazioni centrali intimate, che ha chiesto il rigetto del gravame.


Con memoria gli appellanti hanno riepilogato e ribadito le proprie ragioni di doglianza.


Alla pubblica udienza del 27 giugno 2006 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. I soggetti indicati in epigrafe si dolgono della decisione con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha rigettato il loro ricorso contro il decreto del Presidente della Repubblica del 25 ottobre 2005, con il quale è stato disposto, in applicazione dell’art. 143 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, lo scioglimento per diciotto mesi del Consiglio comunale del Comune di Crispano, già sospeso cautelarmente dal Prefetto di Napoli con decreto del 22 ottobre 2005, per l’accertata sussistenza di condizionamenti, da parte della criminalità organizzata, idonei a compromettere la libera determinazione degli organi e il buon andamento della gestione.


In particolare, la Commissione di accesso, in una lunga e articolata relazione, che ha costituito fondamento del provvedimento di scioglimento, dopo aver tratteggiato il profilo socio-criminale del territorio in cui si colloca il Comune di Crispano e aver delineato la figura, i rapporti parentali, le frequentazioni e i collegamenti di taluni amministratori e dipendenti comunali con la criminalità organizzata, ha individuato le principali attività amministrative indiziate di infiltrazioni camorristiche, che, in estrema sintesi, possono essere così articolate:


1.1. La “festa dei gigli” del 20 giugno 2004, il cui comitato promotore era infiltrato da elementi direttamente collegati al locale clan camorristico e che era stata finanziata dal Comune con cifra ben maggiore di quella stanziata negli anni precedenti, è stata utilizzata come occasione per la celebrazione del capo clan della zona (all’epoca detenuto), con la presenza acquiescente del Sindaco e con una reazione degli amministratori debole e tardiva.


1.2. L’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e di spazzamento del territorio è stato deliberato, in data 5 settembre 2003, con procedura in deroga ai termini ordinari, in assenza dei presupposti di urgenza (e, anzi, in contrasto con le direttive del commissario straordinario per l’emergenza rifiuti e con la stessa forma della licitazione privata prescelta, richiedente durata maggiore del pubblico incanto).


Tale gara, che per le modalità di svolgimento ha limitato le possibilità di partecipazione, è stata, poi, aggiudicata alla seconda classificata, aggirando l’informativa interdittiva antimafia del Prefetto di Napoli, attraverso la richiesta di nuova informativa al Prefetto di Roma, nella cui competenza si era nel frattempo trasferita l’impresa (risultata, poi, anch’essa ostativa, per la constatata presenza di infiltrazioni camorristiche nell’aggiudicataria);


1.3. L’appalto per la refezione scolastica è stato indetto dal consiglio comunale in data 5 settembre 2003, con immotivato ricorso alla procedura ristretta della licitazione privata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; con invito a sole quattro ditte; con termini abbreviati (malgrado il ritardo fosse addebitabile al Comune); con la partecipazione di una sola ditta, che ha offerto un ribasso irrisorio (0,01%); con aggiudicazione a favore della ditta stessa, avente controindicazioni mafiose, in assenza di richiesta della informativa prefettizia antimafia (peraltro, falsamente attestata come intervenuta favorevolmente);


1.4. L’appalto di lavori di manutenzione straordinaria della scuola elementare, inizialmente valutato in 400 milioni di lire, è stato successivamente elevato a 700 milioni di lire, sulla base di una stima progettuale non adeguatamente giustificata dal tecnico incaricato, il cui compenso è stato proporzionalmente aumentato da 40 a 77 milioni di lire.


La procedura di detto appalto è stata caratterizzata da offerte recanti scarti tali da indurre il convincimento di una turbativa di gara.


Infine, l’esecuzione dell’opera è stata connotata da varianti per lavori ampiamente prevedibili fin dall’inizio (attesa la vetustà della scuola) e da proroghe non adeguatamente motivate per 270 giorni, senza il prescritto avviso all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici.


1.5. L’appalto del servizio di manutenzione ed esercizio dell’impianto di illuminazione pubblica per tre anni (2004/2007) è stato aggiudicato a ditta aventi controindicazioni mafiose, per la quale, oltre tutto, non era stata accertata la prescritta esistenza di un proprio ufficio nel territorio del comune, malgrado fosse risultata falsa l’indicazione del recapito da essa fornita.


1.6. L’appalto relativo a lavori di manutenzione della scuola media è stato aggiudicato a ditta avente elementi di controindicazione mafiosa, senza che fosse stata effettuata, prima della stipulazione del contratto, la verifica dei prezzi offerti.


La verifica successiva ha, poi, evidenziato che l’applicazione dei prezzi unitari avrebbe condotto ad un importo finale inferiore a quello di aggiudicazione, con conseguente rettifica in aumento di detti prezzi unitari e mancata verifica dell’evidente anomalia.


1.7. L’attività urbanistica è stata caratterizzata da abusivismo edilizio diffuso, anche in zone ove l’edificazione sarebbe stata autorizzabile, con susseguenti sanatorie, in assenza di un effettivo controllo e di attività sanzionatoria efficace; il che ha condotto ad una situazione di oggettivo favore per la criminalità organizzata e per i gruppi speculativi.


1.8. Identica situazione si è verificata nel settore delle autorizzazioni alle attività commerciali.


2. In sede di appello avverso la sentenza del T.A.R., che ha ritenuto tale complesso di indizi idoneo a sorreggere lo scioglimento del Consiglio comunale, gli istanti muovono dall’assunto che i primi giudici non abbiano esaminato e approfondito le specifiche censure da essi sollevate in ordine alle risultanze degli accertamenti della commissione di accesso, fondando, oltre tutto, le proprie argomentazioni su un richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 10-19 marzo 1993 parziale e travisato.


Infatti, in contrasto con il percorso logico di detta sentenza - che esige la previa dimostrazione di collegamenti degli amministratori locali con la criminalità organizzata e di una stretta consequenzialità tra tali collegamenti e la compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, il T.A.R. avrebbe avallato la relazione della Commissione, la quale si sarebbe limitata, invece, a comprovare l’esistenza, in ambito locale, di attività camorristiche, senza offrire alcuna dimostrazione che tali attività avessero influenzato quella degli amministratori, operanti in tale oggettiva realtà, la cui azione avrebbe potuto, al massimo, essere imputata di errori, ma non di aver soggiaciuto a coartazione di terzi.


A meno che, aggiungono gli appellanti, non si voglia ritenere che il semplice tentativo di infiltrazione, senza alterazione della volontà degli amministratori, rientri nella previsione normativa, nel qual caso essi sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt. 59 e 143 del d. Lgs. n. 267/2000, in riferimento agli artt. 48, 51 e 125 della Costituzione.


2.1. Sulla scorta di tale generale premessa, gli istanti passano ad esaminare i singoli episodi oggetto di rilievi, sostenendo, innanzi tutto, che essi si fondano soltanto sulle informative degli organi di polizia, recepite senza alcuna valutazione critica, come dimostrerebbero perfino gli errori formali riprodotti.


2.2. In particolare si deduce:


a) che il condizionamento dell’attività di singoli amministratori non potrebbe essere desunto, come è stato fatto, dall’esistenza di rapporti di parentela con persone compromesse in attività illecite o con la frequentazione di queste ultime, attesa la normalità di vincoli di parentela in piccole comunità come pure l’occasione di incontri;


b) che l’utilizzazione della popolare “festa del giglio” per l’omaggio ad un boss locale detenuto in carcere (ed attualmente prosciolto), con lettura di un messaggio di quest’ultimo ai concittadini, non potrebbe essere addossata al Sindaco (sprovvisto di effettivi mezzi per combattere la criminalità organizzata), essendo responsabilità delle forze di polizia ( e quindi dello Stato) intervenire; del resto episodi simili sarebbero accaduti anche in comuni retti da un Commissario straordinario, senza che per ciò solo si possa inferire la collusione tra gli amministratori e le organizzazioni criminali, mentre la “paranza dei tigrotti” (attiva nell’organizzazione della festa e accusata di essere nelle mani del locale clan camorristico), esisterebbe da trenta anni, avendo partecipato sempre a detta festa, insieme con i Commissari prefettizi di volta in volta nominati, e sarebbe stata ricevuta perfino dall’attuale Commissario;


c) che, quanto all’appalto per la raccolta dei rifiuti, la richiesta di informativa alla Prefettura di Roma si sarebbe resa necessaria, essendo solo quest’ultima competente, in relazione al mutamento di sede dell’azienda, mentre la stipulazione del contratto prima della definizione degli accertamenti prefettizi sarebbe ammessa dalla normativa in materia, nei casi di urgenza (sussistente, nella specie, essendosi proceduto a molteplici proroghe del precedente contratto), come, del resto, sottolineato dalla stessa risposta interlocutoria della Prefettura di Roma; in ogni caso, tutta la vicenda sarebbe stata gestita dal Segretario Generale, senza alcun intervento orientativo dell’organo politico;


d) che, quanto all’appalto del servizio di refezione scolastica, le contestazioni sarebbero relative soltanto a presunte illegittimità del procedimento, senza alcuna dimostrazione che le suddette illegittimità fossero determinate (o almeno favorite) da qualsiasi forma di condizionamento; in ogni caso le imputazioni di responsabilità agli amministratori non terrebbero conto della divisione di funzioni tra organi elettivi e apparato burocratico avviata con l’art. 51 della legge 142/90 e conclusasi con il d. lgs. 267/2000; quanto, poi, alle controindicazioni mafiose nella ditta aggiudicataria, sarebbe stato acquisito regolare certificato di nulla osta, ai sensi dell’art. 10 della legge antimafia;


e) che, quanto all’appalto per la scuola elementare, sarebbe stato acquisito regolare certificato antimafia e che, comunque, gli elementi ostativi sarebbero talmente vaghi, generici e indimostrabili che sarebbe inconfigurabile ogni colpa degli amministratori;


f) che, per quanto riguarda l’appalto di manutenzione della pubblica illuminazione, si sarebbe enfatizzata la circostanza che la sede della società sarebbe un negozio di vendita di telefonini e che in questo negozio sia stato visto un noto pluripregiudicato, il quale si trovava lì proprio per l’incapacità dello Stato di assicurarlo alla giustizia;


g) che, in relazione ai lavori di rifacimento della scuola media, l’unica accusa di collusione camorristica sarebbe fondata sui rapporti familiari della moglie del titolare della ditta aggiudicataria;


h) che, quanto agli abusi edilizi e alle autorizzazioni commerciali, le accuse sarebbero vaghe e generiche e riguarderebbero situazioni diffuse in tutto il Mezzogiorno, favorite dai provvedimenti di condono a livello nazionale.


2.3. In conclusione, secondo gli appellanti, mancherebbero i presupposti per l’esercizio del potere di scioglimento, che dovrebbe sempre essere ancorato a parametri oggettivi gravi precisi e concordanti, tali da evidenziare, con congrua motivazione, una stringente consequenzialità tra il collegamento con la criminalità e la compromissione della libertà di determinazione degli organi elettivi.


2.4. Infine, il provvedimento impugnato non terrebbe conto dell’evoluzione normativa intervenuta in materia, che ha interamente trasferito le competenze dagli organi elettivi all’apparato burocratico, sì che non potrebbe essere addebitata agli amministratori scelti dalla collettività la collusione eventuale di elementi di quest’ultimo apparato.


3. Le censure sono destituite di fondamento.


4. Occorre premettere che tutto l’iter argomentativo degli istanti - laddove ripropone i motivi già svolti in primo grado e lamenta il loro mancato approfondimento da parte del T.A.R., che avrebbe avallato una valutazione del Ministro competente disancorata da quegli elementi di riscontro di carattere oggettivo voluti dalla normativa e indicati anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 103/1993 - si sviluppa con riferimento alla relazione allegata al decreto 25 ottobre 2005, trascurando gli accertamenti della Commissione di accesso, cui la relazione stessa fa integrale rinvio, versati nel giudizio di primo grado dall’Amministrazione.


Orbene, è sufficiente leggere detto documento, molto articolato e dettagliato, per evincere come lo stesso formuli precise e stringenti consequenzialità tra il contesto socio-criminale locale, i collegamenti diretti e indiretti con esponenti della criminalità organizzata di singoli componenti l’organo elettivo e di dipendenti comunali e le attività amministrative da costoro poste in essere, che, per le loro deviazioni dai principi di trasparenza, imparzialità e correttezza, mostravano chiari e non casuali indizi di infiltrazioni mafiose o camorristiche.


4.1. Della coerenza di tale trama argomentativa il T.A.R. ha dato atto nella sua sentenza, facendo, in tal modo, corretta applicazione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza e che possono riassumersi nel principio, secondo il quale la normativa in subiecta materia, essendo preordinata alla difesa preventiva da un fenomeno criminale peculiare, invasivo delle articolazioni della vita economica e sociale, non richiede, per la sua applicazione né che i fatti considerati si traducano necessariamente in fattispecie delittuose né che, in ordine ad essi, sia raggiunta la certezza probatoria, essendo sufficiente che gli elementi raccolti siano, da un lato, significativi di un condizionamento dell’attività degli organi di amministrazione; dall’altro, che tale condizionamento si ricolleghi all’influenza di gruppi di criminalità mafiosa o camorristica.


Ed invero, a tal fine, non è neppure necessario che la volontà dei singoli amministratori sia coartata con la violenza (come sembra configurare la prospettazione degli appellanti), giacché il condizionamento, idoneo a determinare lo scioglimento dell’organo, può essere anche frutto di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere, risultando, in tutti i casi, l’attività amministrativa deviata dai suoi canoni costitutivi per essere rivolta a soddisfare interessi propri della criminalità organizzata.


Il che dà ragione anche dell’inconferenza (prima ancora che dell’infondatezza) della doglianza, secondo la quale l’Amministrazione si sarebbe, nel caso concreto, limitata ad accertare l’esistenza della camorra nel territorio comunale, trascurando che la lotta alla stessa sarebbe compito dello Stato e non dei Sindaci, i quali la subirebbero soltanto, posto che, una volta che sia individuato un condizionamento, lo scioglimento dell’organo elettivo prescinde anche dalla volontarietà della collusione, tendendo, in via principale, a consentire il ripristino di una attività amministrativa volta al perseguimento dell’interesse collettivo e non di quello di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.


5. Tutto ciò premesso, è agevole confutare i singoli motivi di appello.


5.1. Per quel che riguarda il difetto di istruttoria, che sarebbe dimostrato dalla pedissequa riproduzione, nella relazione, delle informative di polizia, basta leggere, ancora una volta, il resoconto degli accertamenti della Commissione per rendersi conto che la stessa, anche muovendo da tali informative, ha compiuto valutazioni approfondite ed autonome, delle quali dà ampio conto nei singoli capitoli dell’esposizione.


In questo contesto, la enunciazione dei rapporti di parentela e di frequentazione con esponenti della criminalità organizzata non costituisce affatto l’elemento fondante delle conclusioni di condizionamento, bensì la delineazione del contesto nel quale sono stati letti i singoli episodi presi in considerazione, i quali concorrono, nel loro insieme, alla ricostruzione della trama di indizi concordanti nel senso della infiltrazione camorristica.


5.2. In particolare, gli accadimenti verificatisi durante la “festa dei gigli” del 2004 non vanno riguardati sotto il profilo della loro rilevanza giuridica, ma come significativi di un atteggiamento culturale di una parte dei cittadini dal quale gli amministratori non hanno voluto o saputo segnare il distacco.


Ed infatti, ciò che viene addebitato al Sindaco non è, certo, come prospettano gli appellanti, la mancata rimozione degli striscioni o il mancato sequestro della lettera del capo del clan, ma l’aver avallato, con la sua acquiescente presenza (salva una reazione tardiva e formale, avvenuta, come riferisce l’Avvocatura dello Stato, senza essere smentita, solo il 30 settembre 2004, all’atto dell’insediamento della Commissione di accesso), l’impostazione di chiara matrice camorristica della festa, alla cui organizzazione il Comune aveva contribuito con una erogazione (non contestata) di fondi ben maggiore di quella destinata a tale scopo negli anni precedenti.


Chiaramente inidonee a smentire tale comportamento sono, d’altra parte, le citazioni di articoli di giornali o di (mancate) interrogazioni parlamentari, non avendo le stesse alcuna valenza probatoria.


Può solo aggiungersi, in questa sede, che appare contraddittoria l’affermazione degli istanti, secondo la quale il Sindaco ben poteva non essersi accorto che la lettera letta in pubblico proveniva dal capo del clan, in quel momento in carcere, a fronte delle premessa degli stessi, secondo la quale, attese le dimensioni del paese di San Crispano, vi era una conoscenza diffusa di tutti gli abitanti, fra i quali una posizione di assoluta preminenza era rivestita proprio dall’autore della lettera stessa.


6. Privi di sostanziale forza demolitoria della decisione impugnata sono, poi, gli ulteriori motivi di appello.


6.1. Quanto all’appalto del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, le doglianze si incentrano, invero, soprattutto sulla incolpevolezza dell'Amministrazione comunale, per essersi la stessa limitata a dar seguito alla possibilità, normativamente prevista (ed espressamente ribadita dal Prefetto di Roma), di stipulare il contratto nelle ipotesi in cui le informazioni prefettizie, ancorché richieste, non siano pervenute nel termine previsto e sussista l’urgenza.


Tale argomentazione trascura, però, di considerare che, nel caso concreto, era già intervenuta l’informativa ostativa del Prefetto di Napoli e che, anche a voler ammettere che la richiesta si dovesse reiterare nei confronti del Prefetto di Roma (atteso il trasferimento, peraltro non adeguatamente giustificato, della sede dell’impresa, nelle more della procedura di aggiudicazione), l’Amministrazione appaltante non aveva provveduto ad informare quest’ultima Autorità del precedente parere negativo, onde non poteva invocare, a sua discolpa, una norma, preordinata a disciplinare la ben diversa ipotesi in cui, non essendosi ancora manifestata nessuna controindicazione, sussiste, conformemente ai principi generali, una presunzione (semplice) di assenza di elementi ostativi in capo all’aggiudicatario.


E ciò per tacere della circostanza, messa in rilievo dalla Commissione, che lo svolgimento della gara era stato sconsigliato dallo stesso Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti.


6.2. Quanto alla doglianza, svolta in relazione ai rilievi di violazione della normativa antimafia nell’appalto del servizio di refezione scolastica (ma sottesa alla maggior parte delle censure), secondo la quale agli organi elettivi non potrebbero addebitarsi comportamenti rientranti nella competenza esclusiva degli apparati dirigenti, la stessa trascura completamente, da un lato, i numerosi interventi diretti del Consiglio e della Giunta comunale nelle singole fattispecie esaminate; dall’altro, le puntuali e condivisibili osservazioni della Commissione circa i rapporti tra potere politico e struttura burocratica, che non possono tenere indenni il primo dalle responsabilità della seconda.


Per il resto, nessuna valida argomentazione viene opposta ai numerosi rilievi circa l’irregolarità della procedura seguita per l’appalto in questione, se si fa eccezione per l’accenno al regolare certificato di nulla osta, ai sensi dell’art. 10 della legge antimafia, acquisito dalla Camera di Commercio, il quale, ancora una volta, però, non dà risposta all’addebito di aver omesso di richiedere l’informativa prefettizia obbligatoria, in considerazione dell’importo dell’appalto, e, per di più, di avere falsamente attestato, nel contratto di appalto, di aver effettuato tale adempimento, con esito favorevole per l’impresa.


6.3. Relativamente, poi, all’appalto per i lavori alla scuola elementare, i numerosi rilievi di irregolarità non ricevono alcuna pertinente confutazione, limitandosi il relativo motivo di appello a prendere in considerazione il solo aspetto delle controindicazioni mafiose in capo all’aggiudicataria, negato sulla base dell’assunto che i vincoli di parentela con soggetti sospettati o coinvolti in attività criminali non sarebbero indice di compromissione dell’impresa e di correlato condizionamento della stazione appaltante; argomentazione che, seppure, in astratto, condivisibile, appare irrilevante in un contesto, come quello esaminato, nel quale concorrono molteplici e ben più incisivi indizi di infiltrazione camorristica.


6.4. Identiche considerazioni possono farsi in relazione agli altri appalti imputati di irregolarità (manutenzione ed esercizio dell’impianto di illuminazione pubblica; lavori di manutenzione della scuola media), nonché all’attività urbanistica e a quella relativa al settore commerciale, per i quali l’appello si sofferma fugacemente su elementi marginali, senza affrontare i ben più gravi problemi, analiticamente posti in luce dalla Commissione, anche attraverso precisi riferimenti nominativi.


7. Quanto, infine, agli ultimi due motivi di gravame, gli stessi costituiscono null’altro che il riepilogo di considerazioni già svolte nel corso dell’appello (necessità che le ragioni di scioglimento siano ancorate a parametri oggettivi, nella specie insussistenti; trasferimento delle responsabilità dell’attività amministrativa dagli organi politici a quelli burocratici), già esaminate e disattese.


8. Per tutte le considerazioni esposte, l’appello deve essere respinto.


Le spese del grado di giudizio, avuto riguardo a tutti gli elementi del caso concreto, possono essere compensate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 27 giugno 2006, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Sabino LUCE Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Luciano BARRA CARACCIOLO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere Est.



Presidente                                                 Consigliere                                                       Segretario
f.to Claudio Varrone                             f.to Giuseppe Minicone                                         f.to Anna Maria Ricci



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................5/10/2006...................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva

CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Pubblica Amministrazione - Scioglimento di un Consiglio Comunale - Elementi - Ambito di applicazione della disciplina in materia - Ratio. La normativa in materia di scioglimento del Consiglio comunale, essendo preordinata alla difesa preventiva da un fenomeno criminale peculiare, invasivo delle articolazioni della vita economica e sociale, non richiede, per la sua applicazione né che i fatti considerati si traducano necessariamente in fattispecie delittuose né che, in ordine ad essi, sia raggiunta la certezza probatoria, essendo sufficiente che gli elementi raccolti siano, da un lato, significativi di un condizionamento dell’attività degli organi di amministrazione; dall’altro, che tale condizionamento si ricolleghi all’influenza di gruppi di criminalità mafiosa o camorristica. A tal fine, non è neppure necessario che la volontà dei singoli amministratori sia coartata con la violenza, giacché il condizionamento, idoneo a determinare lo scioglimento dell’organo, può essere anche frutto di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere, risultando, in tutti i casi, l’attività amministrativa deviata dai suoi canoni costitutivi per essere rivolta a soddisfare interessi propri della criminalità organizzata. Pres. Varrone - Est. Minicone - ESPOSITO ed altri (avv. Marone) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno (Avv. Stato), (conferma T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, n. 1622 del 6/2/2006). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 5/10/2006 (C.C. 27/06/2006), Sentenza n. 5948

2) Pubblica Amministrazione - Deviazioni dai principi di trasparenza, imparzialità e correttezza - Organo elettivo - Scioglimento - Legittimità - Perseguimento dell’interesse collettivo - Involontarietà della collusione - Irrilevanza - Indizi di infiltrazioni mafiose o camorristiche. E’ legittimo lo scioglimento dell’organo elettivo che prescinde anche dalla volontarietà della collusione, tendendo, in via principale, a consentire il ripristino di una attività amministrativa volta al perseguimento dell’interesse collettivo e non di quello di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. (Nella specie, è stato sciolto il c.c. per la semplice rilevanza di precise e stringenti consequenzialità tra il contesto socio-criminale locale e i collegamenti diretti e indiretti con esponenti della criminalità organizzata di singoli componenti l’organo elettivo e di dipendenti comunali e le attività amministrative da costoro poste in essere, che, per le loro deviazioni dai principi di trasparenza, imparzialità e correttezza, mostrano chiari e non casuali indizi di infiltrazioni mafiose o camorristiche). Pres. Varrone - Est. Minicone - ESPOSITO ed altri (avv. Marone) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno (Avv. Stato), (conferma T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, n. 1622 del 6/2/2006). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 5/10/2006 (C.C. 27/06/2006), Sentenza n. 5948


3) Pubblica Amministrazione - Infiltrazioni mafiose o camorristiche - Scioglimento di un Consiglio Comunale - Legittimità - Commissione di accesso - Rapporti parentali, frequentazioni e collegamenti di taluni amministratori e dipendenti comunali con la criminalità organizzata. I presupposti per l’esercizio del potere di scioglimento di un Consiglio Comunale, sono legittimamente esercitati, quando, la Commissione di accesso, con articolata relazione, ha fondamento del provvedimento di scioglimento, tratteggia il profilo socio-criminale del territorio e delinea la figura, i rapporti parentali, le frequentazioni e i collegamenti di taluni amministratori e dipendenti comunali con la criminalità organizzata, individuando le principali attività amministrative indiziate di infiltrazioni camorristiche. Pres. Varrone - Est. Minicone - ESPOSITO ed altri (avv. Marone) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno (Avv. Stato), (conferma T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, n. 1622 del 6/2/2006). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 5/10/2006 (C.C. 27/06/2006), Sentenza n. 5948

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