Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con l’intervento dei signori:
Luigi Trivellato Presidente
Elvio Antonelli Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, Estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso R.G. 529/2003, proposto dalla L.A.C. - Lega per l’abolizione
della caccia – O.N.L.U.S. e dalla L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione
uccelli, in persona dei loro legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e
difesi dall’Avv. Maria Caburazzi, con domicilio presso il suo studio in
Venezia-Mestre, Via Palazzo n. 27,
contro
la Provincia di Treviso, in persona del suo Presidente pro tempore, costituitosi
in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Botteon, dall’Avv. Antonio
Sartori e dall’Avv. Sebastiano Tonon, con elezione di domicilio presso lo studio
di quest’ultimo in Venezia, Calle degli Avvocati, San Marco n. 3901,
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11
dicembre 2002, recante l’approvazione del “Regolamento di servizio delle guardie
giurate volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso”
Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 18 febbraio 2003 e
depositato il 13 marzo 2003;
visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Treviso;
visti i motivi aggiunti di ricorso proposti dalle medesime Lega per l’abolizione
della caccia – O.N.L.U.S. e L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione uccelli
avverso la deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29
settembre 2003, recante “Regolamento di servizio delle guardie giurate
volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso. Modifica”
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 18 marzo 2004, (relatore il consigliere Fulvio
Rocco) l’Avv. Maria Caburazzi per le ricorrenti Associazioni e l’Avv. Sebastiano
Tonon per la Provincia di Treviso;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1.1. Le ricorrenti associazioni, Lega per l’abolizione della caccia – O.N.L.U.S.
e L.I.P.U. – Lega Italiana Protezione Uccelli, premettono che per effetto
dell’art. 163, comma 3, lettere a) e b), del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 112, sono
state segnatamente trasferiti alle Province le funzioni e i compiti aventi per
oggetto il riconoscimento della nomina a guardia giurata degli agenti venatori
dipendenti dagli enti delegati dalle regioni e delle guardie volontarie delle
associazioni venatorie e protezionistiche nazionali riconosciute, di cui
all'art. 27 della L. 11 febbraio 1992, n. 157, nonché il riconoscimento della
nomina di agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque
interne e marittime, di cui all'art. 31 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604 e
all'art. 22 della L. 14 luglio 1965 n. 963.
E’ opportuno premettere che il predetto art. 27 della L. 157 del 1992 dispone,
per quanto qui segnatamente interessa, che la vigilanza sull’applicazione della
legge-quadro sulla caccia e delle conseguenti leggi regionali, oltrechè essere
affidata agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello
Stato, alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed
agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e
campestri, alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza e alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da
leggi regionali, è pure devoluta:
a) “agli agenti dipendenti degli Enti locali delegati dalle Regioni”, ai quali
“è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di
polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Detti agenti possono portare
durante il servizio e per i compiti di istituto le armi da caccia di cui
all'articolo 13” della medesima L. 157 del 1992 (fucile con canna ad anima
liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore
contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12; fucile con
canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione
semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di
altezza non inferiore a millimetri 40; fucile a due o tre canne combinato, di
cui due canne ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad
anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6), nonché armi con
proiettili a narcotico. Le armi di cui sopra sono portate e detenute in
conformità al regolamento di cui all'articolo 5, comma 5, della L. 7 marzo 1986,
n. 65”;
b) “alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di
protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico
faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione
ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta
la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, approvato con R.D 18 giugno 1931, n. 773”.
Il medesimo art. 27 della L. 157 del 1992 dispone, inoltre, al comma 3 e ss.,
che gli anzidetti “agenti svolgono le proprie funzioni, di norma, nell'ambito
della circoscrizione territoriale di competenza. La qualifica di guardia
volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle
regioni previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la
composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la
presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie,
agricole ed ambientaliste. Agli agenti di cui ai commi 1 e 2 (ossia, anche alle
predette “guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di
protezione ambientale nazionali”) con compiti di vigilanza è vietato l'esercizio
venatorio nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni. Alle guardie
venatorie volontarie è vietato l'esercizio venatorio durante l'esercizio delle
loro funzioni. I corsi di preparazione e di aggiornamento delle guardie per lo
svolgimento delle funzioni di vigilanza sull'esercizio venatorio, sulla tutela
dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole,
possono essere organizzati anche dalle associazioni di cui al comma 1, lettera
b) (ossia, sempre “le associazioni venatorie, agricole e di protezione
ambientale nazionali”) , sotto il controllo della Regione. Le Province
coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole,
venatorie ed ambientaliste. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste (ora
Ministro o delle politiche agricole e forestali, a’ sensi dell’art. 1, n. 8
D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300 e succ. modd. e intt.), d'intesa con il Ministro
dell'ambiente (ora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, a’
sensi dell’art. 1, n. 9, del D.L.vo 300 del 1999 e succ. modd. e intt.),
garantisce il coordinamento in ordine alle attività delle associazioni”
anzidette, “rivolte alla preparazione, aggiornamento ed utilizzazione delle
guardie volontarie”.
Con deliberazione n. 00080 dell’11 dicembre 2002, il Consiglio Provinciale di
Treviso ha conseguentemente adottato un Regolamento di servizio delle Guardie
giurate volontarie faunistico venatorie della provincia di Treviso, segnatamente
relativo alle anzidette guardie venatorie volontarie delle associazioni
agricole, venatorie ed ambientaliste.
Le ricorrenti Associazioni precisano che “da molti anni ormai hanno promosso e
coordinato su tutto il territorio nazionale, provincia di Treviso compresa, un
servizio di guardie particolari venatorie volontarie ai sensi dell’art. 133 e
ss. del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931
n. 773”, dotandosi pure “di proprie regole organizzative interne, le quali
esprimono le direttive in ossequio alle quali le guardie venatorie volontarie
debbono agire” e indicando, quindi, “con regolamenti nazionali del 30 giugno
1996 e succ. modifiche (23 febbraio 1997 e 6 ottobre 2002) per la L.A.C. e del
10 gennaio 1998 per la L.I.P.U. approvati dagli organi direttivi delle medesime
Associazioni, in coerenza con la L. 157 del 1992 … e con il T.U. delle leggi di
pubblica sicurezza … quali soggetti possano chiedere la nomina a guardia giurata
di L.A.C. e L.I.P.U., a strutturare l’organizzazione del servizio sotto il
profilo funzionale, a disciplinare le modalità delle prestazioni delle proprie
guardie giurate, nonché a stabilire le modalità per il costante aggiornamento
legislativo e professionale delle guardie venatorie” (cfr. pag. 3 e ss.
dell’atto introduttivo del presente giudizio).
Le ricorrenti Associazioni reputano - in via generale - che il Regolamento
anzidetto fuoriesca dal contesto delle competenze che l’anzidetto art. 27, comma
8, della L. 157 del 1992 segnatamente attribuisce alla Province in materia di
“ccordinamento” dell' “attività delle guardie volontarie delle associazioni
agricole, venatorie ed ambientaliste”, interferendo – per contro – con
l’autonomia delle associazioni medesime, ed evidenziano che il Regolamento
medesimo non contempla alcun riconoscimento economico a favore delle
associazioni anzidette, ma solo onerosi servizi e strutture con spese a carico;
né verrebbero contemplati servizi utili o, comunque, indispensabili come
asseritamente prefigurati dall’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992, come –
ad esempio – l’istituzione di un numero verde di reperibilità degli agenti, il
servizio di ricerca dei numeri di targa degli autoveicoli a mezzo di Internet e
la tempestiva trasmissione alle associazioni di appartenenza delle Guardie
volontarie di ogni determinazione relativa al calendario venatorio, alle
autorizzazioni all’allevamento di fauna selvatica protetta, all’istituzione o
alla revoca di aziende venatorie private, ai censimenti della fauna selvatica,
agli interventi di controllo della fauna, alla cattura delle lepri nelle zone di
ripopolamento e cattura, nonché alla cattura di richiami vivi nei roccoli e
nelle prodine.
1.2. Ciò posto, con il ricorso in epigrafe la L.A.C. e la L.I.P.U. chiedono
l’annullamento del Regolamento predetto, deducendo, sotto più profili, la
violazione dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché
dell’art. 28 della L. 157 del 1992, nonché la violazione dell’art. 3 della L. 7
agosto 1990 n. 241, dell’art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935 n. 1952 convertito
in L. 19 marzo 1936 n. 508, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998,
degli artt. 13, 230 e 254 del R.D. 6 maggio 1940 n. 635, degli artt. 13, 17, 138
comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D.
18 giugno 1931 n. 773, degli artt. 21, comma 8, 24, comma 2 e 34, comma 2, della
L.R. 9 dicembre 1993 n. 50, del R.D. 22 novembre 1929 n. 1486, del R.D. 29
ottobre 1922 n. 1647, del R.D. 8 ottobre 1931 n. 1604, della L.R. 28 aprile 1998
n. 19, del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, della
L.R. 21 gennaio 2000 n. 3, del D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152, del D.L.vo 18
agosto 2000 n. 258, del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, della L.R. 19 agosto 2996
n. 23 e della L.R. 21 marzo 1992 n. 14: il tutto, segnatamente riferito agli
artt. 2, comma 2, 3, commi 2, 3, 5, 6, e 8, 4, 13 e 14, 4, commi 2, 3 e 4, 5,
commi 2 e 6, 6, commi 4, 8, 9, 11 e 14, nonchè 7 del Regolamento adottato dal
Consiglio Provinciale.
2. Si è costituita in giudizio la Provincia di Treviso, eccependo in via
preliminare, e sotto più profili, l’inammissibilità del ricorso e concludendo,
comunque, per la reiezione nel merito del medesimo.
3. Con ordinanza n. 529 dd. 2 aprile 2003 la Sezione ha ritenuto insussistenti i
presupposti richiesti dall’art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come
modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 agli effetti della
sospensione del provvedimento impugnato, posto che “il danno, alla stato non
presenta(va) i prescritti caratteri di gravità e irreparabilità, anche in
considerazione della circostanza che l’udienza per la trattazione del merito
della causa” era stato contestualmente fissato per il 23 ottobre 2003, ma ha
comunque considerato, in quella sede di sommaria delibazione della fattispecie,
che il ricorso appariva “sorretto da apprezzabili elementi di fumus, in specie
per quanto riguarda i motivi sub 4 e 8”, segnatamente riferiti agli artt. 3,
comma 5, e 4, commi 2, 3 e 4 del Regolamento, ossia all’abilitazione,
all’aggiornamento e alle attribuzioni delle guardie giurate.
4. Con deliberazione n. 00051 dd. 29 settembre 2003 il Consiglio Provinciale di
Treviso ha ritenuto “di dover adeguare” il Regolamento già approvato con la
precedente deliberazione n. 00080 dd. 11 dicembre 2002 “alle indicazioni e alle
esigenze di modifica evidenziate negli ultimi mesi” e ha fatto seguire a tale
enunciazione dapprima la ricognizione del testo degli artt. 1, 2, 3, 4, 7 e 8
del Regolamento - segnatamente interessati dalle modifiche - così come vigente a
quel momento e con l’evidenziazione in carattere neretto delle parti per le
quali si proponevano gli emendamenti, quindi l’enunciazione degli emendamenti
stessi e, da ultimo, la riscrittura del nuovo testo coordinato dei predetti
articoli con le modifiche, a loro volta riportate in neretto rispetto al
restante testo.
Tale riscrittura è preceduta dalla seguente frase: “il Consiglio …con n. 28 voti
favorevoli unanimi resi in forma palese con sistema elettronico ed accertati con
l’assistenza degli scrutatori presenti, delibera di approvare, per i motivi
esposti in premessa, le modificazioni al Regolamento di servizio delle guardie
giurate volontarie faunistico-venatorie della Provincia di Treviso così come
esposto in narrativa, e che si riportano in seguito: …”.
5. In relazione a tale ulteriore provvedimento dell’Amministrazione Provinciale,
le ricorrenti Associazioni hanno - pertanto - proposto motivi aggiunti, con
conseguente rinvio della trattazione della causa ad altra pubblica udienza.
Al riguardo, le parti ricorrenti hanno dedotto sotto più profili, la violazione
dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché dell’art. 28,
comma 5 e dell’art. 28, intero testo, della L. 157 del 1992, nonché la
violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, dell’art. 2 del R.D.L.1952 del
1935 convertito in L. 508 del 1936, dell’art. 13 della L. 24 novembre 1981 n.
689, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998, degli artt. 13, 230 e 254
del R.D. 635 del 1940, degli artt. 13, 17, 138 comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo
intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931, dell’art. 34, comma
2, della L.R. 50 del 1993, il tutto, segnatamente riferito agli artt. 2, comma
2, 3, commi 2, 3, 6 e 13, 4, comma 2 intero testo e lettera b), 5, comma 2, 6,
comma 11, 7, comma 2 e intero testo, nonché 8, comma 1,del nuovo testo adottato
dal Consiglio Provinciale.
6. Con ulteriore memoria la Provincia di Treviso ha evidenziato che, mediante
l’anzidetta deliberazione consiliare n. 00051 dd. 29 settembre 2003,
l’Amministrazione Provinciale avrebbe inteso conformarsi al contenuto della
surriportata statuizione cautelare adottata dalla Sezione, introducendo nel
precedente articolato la soppressione dell’effetto automatico negativo della
pendenza di procedimenti penali, l’innovazione costituita dalla previsione di
una mera facoltà di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in
caso di procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di
competenza delle guardie.
La medesima difesa della Provincia ha, comunque, proposto eccezioni di
inammissibilità anche nei confronti dei motivi aggiunti e ha concluso, in
subordine, per la reiezione degli stessi.
7. Alla pubblica udienza del 18 marzo 2004 la causa è stata trattenuta per la
decisione.
8.1. Il Collegio rileva, in primo luogo, la necessità di verificare il rapporto
che sussiste tra i le due deliberazioni consiliari rese oggetto di impugnazione:
e ciò anche al fine della disamina delle eccezioni preliminari di
inammissibilità complessivamente sollevate dalla difesa dell’Amministrazione
Provinciale.
8.2 La difesa della Provincia, infatti, rileva che la deliberazione consiliare
n. 00051 del 29 settembre 2003 non sostanzia un’integrale riapprovazione del
testo normativo già adottato per effetto della precedente deliberazione
consiliare n. 00080 dell’11 dicembre 2002, costituendo – semmai – essa un
provvedimento recante mere modificazioni al regolamento già vigente: il che,
dunque, precluderebbe alle ricorrenti Associazioni la possibilità – mediante
motivi aggiunti - di proporre avverso l’articolato annesso alla medesima
deliberazione 00051 del 2003 anche nuove censure riferite a parti del testo
stesso in vigore sin dal momento dell’adozione della deliberazione n. 00080 del
2002 e a quel tempo non dedotte.
Il Collegio - per parte propria - rileva che le modifiche introdotte nel
Regolamento per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non
sono marginali, posto che sostituiscono per una considerevole parte gli artt. 3,
4, 7 e 8 nella loro precedente formulazione, nonché – in forma più contenuta –
l’art. 1, riguardante la composizione del Comitato per il Coordinamento
Provinciale delle Guardie Volontarie, e l’art. 2 nella parte che concerne il
procedimento di nomina del Responsabile Provinciale del Coordinamento della
Vigilanza Volontaria.
Se ne deduce, quindi, che - a differenza di quanto qui sostiene la difesa della
Provincia - le innovazioni apportate alla precedente disciplina non hanno
riguardato soltanto la soppressione dell’effetto automatico negativo della
pendenza di procedimenti penali correlata all’introduzione di una mera facoltà
di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di
procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di competenza
delle guardie, ma hanno coinvolto la maggior parte degli istituti contemplati
dal precedente articolato, ivi compresa la disciplina transitoria contenuta nel
suo art.8.
8.3. La sopradescritta eccezione di inammissibilità di quei motivi aggiunti che
le ricorrenti Associazioni hanno riferito anche a parti del testo normativo non
modificati per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non
assume, peraltro, alcun concreto rilievo nell’economia di causa, in quanto
l’oggetto delle relative censure risulta del tutto identico ai motivi già
formulati nell’atto introduttivo del presente giudizio e segnatamente proposti
avverso le medesime disposizioni.
Pertanto, le censure che saranno qui appresso esaminate riguardano, nell’ordine,
tutti gli articoli del Regolamento nel testo complessivamente oggi vigente e che
le ricorrenti Associazioni hanno inteso contestare, a seconda che gli articoli
medesimi siano stati modificati o meno per effetto della deliberazione
consiliare n. 00051 del 2003, mediante i motivi aggiunti o mediante il ricorso
originariamente proposto.
8.4. Il Collegio, altresì, respinge l’ulteriore eccezione di inammissibilità
sollevata dalla difesa della Provincia laddove afferma - con riferimento
all’orientamento giurisprudenziale espresso anche, ad es. , da Cons. Stato, Sez.
V, 10 gennaio 2003 n. 35 - che le ricorrenti Associazioni non potrebbero
chiedere, nella presente sede di giudizio, l’annullamento del Regolamento
impugnato, ma soltanto la sua disapplicazione ove se ne ravvisasse la difformità
rispetto alla sovrastante disciplina legislativa statale o regionale.
Tale assunto è privo di fondamento, in quanto la stessa decisione n. 35 del
2003, resa dalla Sezione V del Consiglio di Stato e citata dalla difesa della
Provincia, afferma che “il giudice amministrativo può disapplicare atti non
ritualmente impugnati nelle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva,
relativamente alle controversie relative ai diritti soggettivi, nonché nei
riguardi di regolamenti illegittimi, quando il provvedimento impugnato sia
contrastante col regolamento, ovvero sia conforme al presupposto normativo, e,
in ogni caso, anche quando si verte in materia di interessi legittimi; pertanto,
al di fuori di tali ipotesi, va esclusa la disapplicazione di atti non
impugnati, e in particolare di quelli che, ancorché connotati da una valenza
generale, risultano privi di natura normativa” (cfr., nello stesso senso, pure
Cons. Stato, Sez. V, 26 febbraio 1992 n. 154, 24 luglio 1993 n. 799 e 19
settembre 1995 n. 1).
Da ciò, dunque, agevolmente si deduce che la disapplicazione della fonte
regolamentare può avvenire nelle sole ipotesi in cui la fonte stessa non sia
stata impugnata in via principale.
Nel caso di specie, poiché le ricorrenti Associazioni hanno impugnato entro i
termini decadenziali di cui all’art 1 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, così
come modificato dall’art. 1 della L. 21 luglio 2000 n. 205, le due deliberazioni
consiliari che hanno rispettivamente approvato e modificato il Regolamento, la
questione della disapplicazione del Regolamento medesimo risulta inconferente
nell’economia di causa.
8.5. Va, viceversa, accolta l’eccezione preliminare della difesa della Provincia
che afferma l’inammissibilità della domanda delle ricorrenti Associazioni
diretta ad ottenere l’annullamento dell’intero articolato che compone il
Regolamento, e ciò anche se risultano segnatamente censurate singole
disposizioni dello stesso.
Tale assunto dell’Amministrazione Provinciale va condiviso, in quanto del tutto
coerente con il principio della domanda (cfr. art. 112 cod. proc. civ.) che
disciplina anche il presente processo.
9.1 Ciò posto, con la prima censura contenuta nell’atto introduttivo del
presente giudizio e riproposta anche quale prima censura dei motivi aggiunti, si
chiede l’annullamento dell’art. 2, comma 2, del Regolamento, laddove dispone che
“il Responsabile del Coordinamento attua le disposizioni del Dirigente e,
tramite le associazioni di appartenenza, organizza e coordina l’attività delle
guardie volontarie, predispone i programmi periodici e territoriali, forma
pattuglie, riceve ed approva gli ordini di servizio inviati dalle Associazioni
…”.
Le ricorrenti reputano che la surriportata disciplina sia difforme sia dall’art.
27, comma 7, della L. 157 del 1992, in forza del quale “le Province coordinano
l’attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed
ambientaliste”, sia dall’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508
del 1936, laddove obbliga il soggetto che impiega le guardie venatorie
volontarie a sottoporre all’approvazione del Questore le modalità di svolgimento
del servizio.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che le attività di predisposizione dei
programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione
e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni
costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute
alle Amministrazioni Provinciali a’ sensi del testè citato art. 27, comma 7,
della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle
Associazioni qui ricorrenti devono, pertanto, sottostare senza che ciò
costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse.
Né può prospettarsi, dopo l’entrata in vigore dell’art. 163, comma 3, lettere a)
e b), del D.L.vo 112 del 1998 una permanenza, per quanto segnatamente attiene
alle guardie giurate delle Associazioni medesime, dei poteri questorili di cui
all’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508 del 1936.
9.2. Con la seconda censura contenuta nell’atto introduttivo del presente
giudizio e riproposta anche quale seconda censura dei motivi aggiunti, si chiede
l’annullamento dell’art. 3, comma 2, del Regolamento, laddove si dispone che
“Entro le date stabilite annualmente dall’Amministrazione Provinciale, le
Associazioni dovranno trasmettere le richieste di rinnovo del decreto delle
proprie guardie e/o le nuove domande”.
Secondo le ricorrenti, posto che la validità dei decreti abilitanti le guardie è
di un anno, e che ai sensi dell’art. 13 del R.D. 773 del 1931 e dell’art. 13 del
R.D. 635 del 1940 le domande non possono essere presentate prima della scadenza
dei rinnovi, conseguirebbe da ciò un’evidente paralisi nella continuità del
servizio svolto dalle guardie.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che il paventato timore della
compromissione della continuità del servizio discende – semmai – proprio dalla
disposizione, segnatamente contenuta nel testè citato art. 13 del R.D. 635 del
1940 e non già nel Regolamento provinciale, secondo cui “la domanda di
rinnovazione deve essere presentata prima della scadenza del provvedimento”.
Inoltre, la surriportata disciplina contenuta nel Regolamento, disponendo – si
badi – senza alcuna diretta prefissione di termini temporali, che entro le date
stabilite annualmente al riguardo dall’Amminstrazione Provinciale le
Associazioni trasmetteranno all’Amministrazione medesima le richieste di rinnovo
del decreto delle proprie guarie e le eventuali nuove domande, non può per certo
sostanziare alcuna attuale lesione in capo alle ricorrenti.
9.3. Con il terzo motivo di ricorso, nonché terzo motivo aggiunto di ricorso, le
ricorrenti chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 3, del Regolamento,
laddove impone tra i requisiti per la concessione della qualifica di Guardia
giurata volontaria venatoria, la residenza nella provincia di Treviso.
Secondo le ricorrenti, tale disposizione violerebbe i principi fondamentali
dell’Unione Europea che vietano ogni discriminazione e limitazione di movimento
e attività di ogni cittadino europeo all’interno dell’Unione medesima, e
violerebbe pure l’art. 138, primo comma, n. 1) del T.U. approvato con R.D. 773
del 1931 che, per la nomina a Guardia Giurata, chiede il possesso della
cittadinanza italiana senza alcuna precisazione in ordine alla provincia di
residenza.
Anche tali argomenti delle ricorrenti non risultano accoglibili.
Premesso che a’ sensi dell’art. 17 del Trattato istitutivo della Comunità
economica europea – ora Unione Europea – risulta, nel testo conseguente
dall’art. 2 del Trattato di Amsterdam, reso esecutivo nel nostro ordinamento con
L. 16 giugno 1998 n. 109, che “la cittadinanza dell'Unione costituisce un
complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima” e che
“i cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti
dal presente Trattato”, “il diritto” contestualmente riconosciuto ad ogni
cittadino europeo “di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal
presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”
non risulta, all’evidenza, leso dalla circostanza che l’ordinamento interno di
uno Stato contempli obblighi di residenza motivati dalla particolare rilevanza
delle funzioni – in questo caso, evidentemente pubbliche – alle quali il
cittadino stesso sia chiamato e che possono richiedere pure l’urgente
reperibilità ai fini dello svolgimento delle funzioni medesime: reperibilità, a
ben vedere, naturalmente insita anche nello stesso concetto di partecipazione al
“coordinamento” di cui all’anzidetto art. 2 del Regolamento.
Né va sottaciuto che l’obbligo della residenza scaturisce, nel caso di specie,
non da un obbligo derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa, ma
dallo svolgimento di un servizio svolto volontariamente dall’interessato.
Inoltre, la stessa disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U.
approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002
n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe
sufficiente, per quanto qui segnatamente interessa, “essere cittadino italiano o
di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si
avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di
residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza
italiana o comunitaria comunque posseduta – in relazione alla comprovata
particolarità delle mansioni da svolgere.
9.4. Il quarto motivo aggiunto di ricorso si sostituisce al quarto motivo di
ricorso originariamente proposto, in quanto la precedente disciplina
contemplante l’effetto automatico negativo della pendenza di procedimenti penali
è stata soppressa e sostituita dall’introduzione di una mera facoltà di
sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di procedimento
penale pendente.
In tal senso, infatti, l’art. 7, comma 2, del Regolamento ora dispone che “per
motivi cautelari, il decreto può essere sospeso per tutto il tempo del giudizio
in caso di procedimento penale pendente a carico della Guardia Volontaria”.
Inoltre, a’ sensi dell’art. 3, comma 13, del Regolamento “il decreto non è
comunque rilasciato o rinnovato a coloro che hanno subito condanne penali
diventate definitive nell’ultimo quinquennio”.
Secondo la tesi delle ricorrenti, il rinnovo e il rilascio del decreto di
Guardia Giurata risulterebbe disciplinato in via esclusiva dal T.U. approvato
con R.D. 773 del 1931 e dalla conseguente disciplina regolamentare approvata con
R.D. 635 del 1940, con la conseguenza che la fonte regolamentare provinciale non
potrebbe modificare o integrare sul punto le fonti normative statuali.
Le ricorrenti evidenziano, in proposito, che l’art. 138, comma 1, n. 4), del
T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 reca, quale unica disposizione ostativa al
rilascio del decreto, il “non avere riportato condanna per delitto”, e da ciò
concludono nel senso che la semplice pendenza di un procedimento penale non
potrebbe costituire, di per sé, presupposto per il diniego di rinnovo del
decreto o sospensione di efficacia dello stesso, e che la condanna per un reato
non riconducibile a delitto secondo quanto previsto dal Codice Penale parimenti
non potrebbe essere ostativa per il rinnovo del decreto.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 10 del T.U.
approvato con R.D. 773 del 1931 è pure possibile sospendere gli effetti delle
autorizzazioni di polizia, ivi dunque comprese quelle riguardanti le guardie
giurate.
La giurisprudenza, a sua volta, ha da tempo introdotto, in via pretoria e
utilizzando l’invero scarno disposto dell’art. 10 testè citato, puntuali
principi che disciplinano l’uso delle potestà cautelari di sospensione del
servizio delle guardie giurate assoggettate a procedimento penale (cfr., ex
multis, al riguardo T.A.R. Lombardia, Sez. I, 2 dicembre 1999 n. 1490, secondo
il quale “nel caso in cui vi sia stata una denuncia penale e sia in corso un
procedimento per l' accertamento di fatti astrattamente delittuosi, l'
Amministrazione non può procedere all' immediata revoca della nomina a guardia,
ma semmai alla sua sospensione in attesa della definizione del giudizio, che, se
comporterà una condanna, darà luogo successivamente alla revoca ai sensi dell'
art. 138 punto 4 T.U. 18 giugno 1931 n. 773”).
In tale contesto, quindi, risulta legittima la disposizione dell’art. 7, comma
2, del Regolamento provinciale che prevede la sospensione del rilascio o del
rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale
pendente a carico dell’interessato.
Viceversa, contrasta per certo con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato
con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione
contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione di
cui all’art. 3, comma 13, del Regolamento medesimo laddove non limita alle
condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto.
9.5. Con la quinta censura dei motivi aggiunti, corrispondente nella sostanza al
quinto motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le
ricorrenti Associazioni chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 6 (recte: 5),
del Regolamento provinciale, laddove si dispone che “per il rinnovo della
qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria è necessario partecipare ad un
apposito corso istituito dalla Provincia”, del susseguente comma 11 dello stesso
articolo, laddove si dispone che “al termine delle prove” di esame “superate con
esito positivo”, sarà rilasciato un certificato di abilitazione che permetterà,
fermo restando i requisiti previsti dall’art. 138” del T.U. approvato con R.D.
773 del 1931 “di ottenere il rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza
Venatoria” e dell’art. 6, comma 14, del Regolamento medesimo, in forza del quale
“le Guardie volontarie sono tenute a partecipare ai corsi ed alle riunioni di
aggiornamento con frequenza obbligatoria predisposti dall’Ufficio di
Coordinamento e concordati con le Associazioni”.
Secondo le ricorrenti, le surriportate disposizioni confliggerebbero con l’art.
27, comma 8, della L. 157 del 1992, laddove testualmente esonera “i cittadini in
possesso, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, della
qualifica di guardia venatoria volontaria alla data di entrata in vigore della
presente legge” dall’obbligo di conseguire l’attestato di idoneità “di cui al
comma 4” dello stesso articolo (cfr. ivi: “La qualifica di guardia volontaria
può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni
previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la composizione
delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro
paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed
ambientaliste”), nonché con il comma 6 del medesimo art. 27 e con l’art. 34,
comma 2, della LR. 50 del 1993, che devolverebbero – sempre secondo la
prospettazione delle ricorrenti il compito di effettuare i relativi corsi alle
sole associazioni agricole, venatorie e di protezione ambientale, e non già alle
Amministrazioni Provinciali.
Il Collegio, per parte propria, rileva – innanzitutto -la piena legittimità del
surriportato art. 6, comma 14, del Regolamento, posto che rientra nelle
intrinseche potestà del Coordinamento disporre riunioni e corsi di aggiornamento
delle Guardie volontarie, soprattutto se – come espressamente afferma la
disposizione in esame – tali iniziative sono “concordate” con le Associazioni,
le quali – del resto – compete a’ sensi degli anzidetti art. 27, commi 6 e 9,
della L. 157 del 1992 e art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993 possono
procedere alla materiale organizzazione di tali iniziative di formazione degli
operatori.
Ad una diversa conclusione si perviene, viceversa, per la disciplina contenuta
nell’art. 3, comma 5 e comma 11, del Regolamento.
La difesa della Provincia si è, invero, sforzata di dimostrarne la funzione
asseritamente integrativa rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 27, commi
6 e 8, della L. 157 del 1992 e nell’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, ma
tale assunto risulta agevolmente smentito dalla stessa collocazione sistematica
delle disposizioni qui impugnate. Ferma restando, infatti, l’esigenza
dell’aggiornamento professionale per tutti gli interessati - peraltro, già
adeguatamente normata dal predetto art. 6, comma 14, dello stesso Regolamento -
esse, infatti, incidono sulla stessa permanenza dei requisiti per il rilascio
del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia Volontaria: e ciò,
non solo con riguardo alla posizione giuridica “acquisita” di coloro che, a’
sensi dell’ anzidetto art. 27, comma 8, della L. 157 del 1992, erano già
titolari, all’entrata in vigore di tale disciplina della qualifica di guardia
venatoria volontaria, ma anche con riguardo alla posizione di coloro che,
testualmente, ove non superino gli esami abbinati ai corsi organizzati
dall’Amministrazione Provinciale, non possono ottenere il rilascio o il rinnovo
del decreto.
Sotto questo profilo, pertanto, è indubitabile che le disposizioni contenute nei
testè citati commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento confliggono con l’assetto
complessivamente emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e
dal’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, nel quale – per contro – una
competenza è devoluta al riguardo anche (ma non in via esclusiva) alle
Associazioni anzidette; e risulta altrettanto assodato che con le disposizioni
regolamentari testè enunciate l’Amministrazione Provinciale si propone
l’illegittimo fine di svuotare di ogni specifico contenuto, anche - e
soprattutto - in termini di riconoscimento della loro specifica valenza
propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, della stessa L. 157
del 1992, le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale
e regionale.
Pertanto, i commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento risultano illegittimi nella
parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e
8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la
possibilità di organizzare i corsi – assentiti dall’Amministrazione Regionale
comprensivi di esami – per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella
qualifica di Guardia volontaria.
9.6. Il sesto motivo aggiunto di ricorso, corrispondente per ampia parte al
settimo motivo del ricorso originariamente proposto, ha per oggetto
l’annullamento degli artt. 4, comma 2, 6, comma 11 e 5, comma 2, del
Regolamento.
Nell’ordine, l’art. 4, comma 2, dispone che le Guardie Volontarie “possono
operare esclusivamente nelle zone e nel periodo in cui sono di servizio …”;
l’art. 6, comma 11, dispone che “le Guardie Volontarie prestano servizio
esclusivamente nel territorio della Provincia di Treviso, all’interno della zona
loro assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni di appartenenza
e depositato preventivamente in Provincia. Nessun servizio può essere svolto in
autonomia. Nel caso di intervento urgente – che deve essere in ogni caso
motivato – l’azione non prevista dall’ordine di servizio può essere svolta
previo avvertimento – anche a mezzo segreteria telefonica – della Vigilanza
Provinciale”; l’art. 5, comma 2, dispone invece che “Le Guardie Giurate
Venatorie Volontarie, limitatamente alle loro zone di servizio e all’orario di
prestazione dello stesso, rivestono la qualifica di pubblici ufficiali”.
Secondo le ricorrenti Associazioni, risulterebbero in tal modo violati l’art.
27, comma 7, della L 157 del 1992, l’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998
e l’art. 3 della L. 241 del 1990 e ricorrerebbe il vizio di eccesso di potere
per difetto di motivazione e per sviamento, in quanto le surriportate
limitazioni di zone di servizio e di orario impedirebbero una proficua
utilizzazione del personale volontario, in ordine alla quale risulterebbe
essenziale la flessibilità dell’impiego delle risorse umane disponibili, anche
in considerazione della frequente esigenza di un pronto riscontro delle
frequenti segnalazioni di violazioni della disciplina venatoria da parte dei
cittadini.
Il Collegio, per parte propria, non reputa violata nella specie la disciplina
legislativa testè enunciata, in quanto la funzione del coordinamento postula,
all’evidenza, una pianificazione dell’intervento di vigilanza: pianificazione
che, oltre a tutto, l’Amministrazione Provinciale – come emerge dallo stesso
dato letterale delle disposizioni regolamentari in esame – non svolge in via
apoditticamente autoritativa, ma secondo “l’ordine predisposto dalle
associazioni di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.
Rimane, inoltre, salvo l’intervento di urgenza e non previamente pianificato,
essendo chiesta soltanto una puntuale motivazione dello stesso, ragionevolmente
riconducibile anche alla segnalazione avuta da parte di terzi e alla conseguente
esigenza di pronta repressione dell’illecito.
9.7 Ragioni di ordine sistematico consigliano, a questo punto, di esaminare il
nono motivo del ricorso ab origine proposto avverso lo stesso art. 5, comma 2,
nonché avverso il susseguente comma 7 del Regolamento, laddove non
risulterebbero riconosciute alle Guardie Giurate Volontarie funzioni di polizia
giudiziaria, stante il fatto che al comma 2 testè citato esse sono definite
quali “pubblici ufficiali” e al comma 7 si impone loro di chiedere l’intervento
di un Ufficiale di Polizia Giudiziaria allorquando ricorrano le fattispecie di
cui all’art. 352 cod. proc. pen. e dell’art. 113 delle relative norme di
attuazione (perquisizione), nonché in ogni altra evenenienza in cui sussista la
competenza degli Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria.
Il Collegio non sottace che la questione circa la riconducibilità, o meno, delle
Guardie Giurate Venatorie Volonatrie a soggetti investiti di funzioni di Polizia
Giudiziaria risulta a tutt’oggi controversa.
A tale proposito la difesa delle ricorrenti ha allegato, a conforto della tesi
che riconosce alle Guardie la qualifica anzidetta, due isolate sentenze della
Corte di Cassazione, Sez. III, 1 aprile 1988 n. 1151 e 16 dicembre 1997 n. 4408
(quest’ultima, riguardante la L.I.P.U. ma limitata ad un riconoscimento delle
funzioni di Agente, e non già di Ufficiale di Polzia Giudiziaria), nonché
numerosi pareri resi al riguardo da talune Procure della Repubblica.
Il Collegio, per parte propria, reputa – per contro – di aderire all’indirizzo
ermeneutico più rigoroso formatosi sull’art. 27 della L. 157 del 1992, laddove
il comma 1, lett. a) esplicitamente riconosce agli Agenti dipendenti degli Enti
Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, ed in evidente
contrapposizione a ciò la lettera b) dello stesso comma non riconosce la
qualifica medesima alle Guardie Giurate Volontarie, senza che possa
ragionevolmente argomentarsi nulla in contrario – proprio in ragione della
notoria delicatezza delle funzioni stesse, presupponenti una stabile inserzione
del soggetto che le esercita nel contesto organizzatorio pubblico – in termini
di interpretazione analogica o sistematica.
Tale indirizzo è condiviso anche da Cons. Stato, Sez. I, 29 agosto 1994 n.
2296/94, nonché da Cass, Sez. V, 8 aprile 1997 n. 4898, Sez. III, 27 marzo 1996
n. 1519, 3 maggio 1995 n. 1600, 27 febbraio 1995 n. 613.
Ne consegue, quindi, che le testè riferite disposizioni del Regolamento
risultano immuni dai vizi dedotti dalle ricorrenti.
9.8 Con il settimo motivo aggiunto di ricorso, corrispondente al quattordicesimo
motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le ricorrenti
contestano il fondamento delle potestà disciplinari contemplate dall’art. 7 del
Regolamento ed esercitate dall’Amministrazione Provinciale nei confronti delle
Guardie Volontarie “per le violazioni al presente regolamento o qualora
l’attività prestata dalle singole Guardie contrasti, o comunque non sia
uniforme, con le presenti norme o con le iniziative di coordinamento”: sanzioni
che sono previste nella misura della sospensione dal servizio per un periodo da
tre a sei mesi, nonché nella misura del rifiuto del rinnovo del decreto, ovvero
nella revoca (rectius: sospensione) dello stesso, per un periodo minimo di un
anno.
Le ricorrenti reputano che il sopradescritto regime sanzionatorio confligga con
quello contemplato dagli artt. 17 e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del
1931.
Peraltro, il richiamo a tali disposizioni del T.U.L.P.S. risulta inconferente,
in quanto si tratta di sanzioni di tipo penale, mentre l’Amministrazione
Provinciale a ragione ha ricavato, nel contesto concettuale proprio del
“coordinamento”, anche misure sanzionatorie disciplinari al fine di poter
rendere effettive le funzioni ad essa attribuite ex lege.
Ne deriva che la disposizione regolamentare in esame si sottrae alle censure
proposte.
9.9 Le ricorrenti, mediante l’ottavo motivo aggiunto di ricorso – corrispondente
al quindicesimo motivo di ricorso proposto ab origine – hanno pure chiesto
l’annullamento dell’art. 8, comma 1, del Regolamento, laddove dispone che “i
decreti che scadranno dopo l’entrata in vigore del presente Regolamento, saranno
rinnovati solo dopo il superamento del primo corso di aggiornamento che sarà
effettuato nei termini previsti dall’articolo 3”.
Tale domanda va accolta, in quanto tale disposizione risulta – all’evidenza –
sistematicamente correlata con quelle già annullate in relazione a quanto
evidenziato al § 9.5. della presente sentenza e presupponendo, quindi, l’unico
corso di aggiornamento curato in via esclusivadalla stessa Amministrazione
Provinciale.
9.10. Con il nono motivo aggiunto di ricorso le ricorrenti chiedono
l’annullamento dell’art. 4, comma 2, lettera b), del Regolamento, laddove
dispone – tra l’altro - che è compito delle Guardie “svolgere attività di
prevenzione e di vigilanza venatoria, accertare le violazioni delle leggi e dei
regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”.
Le censure delle ricorrenti Associazioni si incentrano, a tale riguardo, sulla
legittimità dell’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento”,
ritenuto difforme dall’art. 28, comma 5, della L. 157 del 1992 e dall’art. 13
della L. 689 del 1981.
La difesa dell’Amministrazione Provinciale ha tentato di fondare la legittimità
della disposizione mediante una sua lettura, alquanto improbabile, nel senso che
i processi verbali di contestazione devono - scontatamente - riferirsi alle
disposizioni di legge e regolamentari violate.
Il Collegio non aderisce a tale prospettazione e, conseguentemente, accoglie la
censura proposta dalle ricorrenti stante il ben noto significato tecnico assunto
dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e
proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti – come è ben noto - non è
contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una
mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente
sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento.
Per contro – e come rettamente rilevato dalle ricorrenti – alle Guardie Giurate
Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali
di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza (cfr., ad es., ex
multis, Cass. Sez. I, 28 maggio 1988 n. 3670, segnatamente riguardante il
processo verbale redatto da una Guardia Giurata Venatoria Volontaria operante
nella provincia di Treviso, nonché lo stesso parere di Cons. Stato, Sez. I, 29
agosto 1994 n. 2296/94, dianzi citato): e da ciò, quindi, consegue
l’accoglimento della censura formulata dalle ricorrenti.
9.11. Il sesto motivo di ricorso, con il quale è stato impugnato l’originario
testo dell’art. 3, comma 8, del Regolamento risulta superato dalla circostanza
che per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 tale
disposizione è stata modificata.
Tale modifica non è stata, di per sé, impugnata in sede di motivi aggiunti e
deve, dunque, reputarsi vigente, anche se la sua materiale applicazione risulta
alquanto problematica, stante il suo collegamento con le disposizioni
considerate al § 9.5 in tema di corsi di formazione organizzati
dall’Amministrazione Provinciale e indefettibilmente legati al rilascio o al
rinnovo del decreto di Guardia Giurata.
9.12. L’ottavo motivo di ricorso risulta parimenti improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse, in quanto formulato nei confronti
dell’originario testo dell’art. 4, commi 2, 3 e 4, poi innovato per effetto
della susseguente deliberazione consiliare n. 00051 del 2003, non contestata sul
punto dalle ricorrenti.
9.13. Con il decimo motivo di ricorso si chiede l’annullamento dell’art. 5,
comma 6, del Regolamento laddove impone a carico delle Associazioni la stipula
di una polizza assicurativa per gli infortuni a favore delle Guardie impegnate
nei servizi di vigilanza per tutta la durata dei servizi stessi, nonché una
polizza di responsabilità civile per i danni cagionati a terzi.
Le ricorrenti reputano violato, innanzitutto, l’art. 138 del T.U. approvato con
R.D. 773 del 1931 in ordine ai requisiti che deve possedere la Guardia Giurata,
e ritengono che gli anzidetti costi debbano essere coperti dalla stessa
Amministrazione Provinciale, che si avvale delle Guardie per l’esercizio di
proprie funzioni amministrative. Ritengono ancora prima che l’obbligo della
polizza infortuni debba ritenersi insussistente, giusta la circolare del
Ministero dell’Interno n. 539/C.20021.10089.D(21) dd. 3 ottobre 1998 che
esclude, anche sulla base di alcune statuizioni giurisdizionali, l’obbligo di
assicurare le Guardie Giurate Volontarie all’I.N.P.S. e all’I.N.A.I.L.
Il Collegio non condivide le tesi delle ricorrenti, posto che la pur dedotta
insussistenza di un obbligo assicurativo con l’I.N.P.S. o con l’I.N.A.I.L. per
certo non elimina le responsabilità derivanti da infortuni, e che la
responsabilità civile assunta nei confronti di terzi per effetto di atti
illeciti coinvolge non soltanto la Provincia che coordina l’attività, ma anche –
e soprattutto – l’Associazione dalla quale la Guardia dipende e che, non lo si
dimentichi, agisce a’ sensi dell’art. 6, comma 11, del Regolamento “all’interno
della zona” ad essa “assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni
di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.
E’ evidente, pertanto, che i sopradescritti obblighi assicurativi sono
commendevolmente finalizzati a realizzare uno standard di sicurezza personale
che assiste, in via omogenea, l’operato di ciascuna Guardia; né può dirsi che i
costi gravano, comunque, sulle sole Associazioni, posto che a’ sensi del
susseguente comma 7 l’Amministrazione Provinciale ha facoltà di “riconoscere
alle Associazioni e/o alle Guardie rimborsi spese e riconoscimenti economici …
per l’attività prestata, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni”.
9.14. Con l’undicesimo motivo di ricorso le Associazioni chiedono l’annullamento
dell’art. 6, comma 4, del Regolamento per asserita violazione degli artt. 230 e
254 del R.D. 635 del 1940.
In buona sostanza, le ricorrenti contestano la competenza dell’Amministrazione
Provinciale a predisporre, in sede di coordinamento, le divise, i simboli e i
documenti di riconoscimento delle Guardie, sostenendo che tale funzione
competerebbe a tutt’oggi al Prefetto.
Il Collegio dissente da tale interpretazione, posto che nel concetto di
“coordinamento” rientra de plano anche un’auspicabile unificazione di divise,
simbologie e documenti utilizzati dai vari operatori volontari, anche a tutela
delle persone dedite alla caccia, e che a tale proposito risulta, pertanto,
intuitivamente assorbita per effetto dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del
1998 – e, beninteso, e per quanto qui segnatamente interessa, limitatamente
all’attività venatoria – la precedente competenza prefettizia già esercitata in
tale particolare materia.
9.15. Le ricorrenti, con il dodicesimo motivo di impugnazione, chiedono
l’annullamento dell’art. 6, comma 8, del Regolamento, laddove dispone che “le
Guardie Venatorie Volontarie operano in conformità alle direttive emanate dal
Coordinamento della Vigilanza Volontaria. Quando agiscono su richiesta diretta
ed in collaborazione con gli Agenti della Vigilanza Provinciale, sono tenute ad
uniformarsi alle disposizioni impartite da questi ultimi”.
Le ricorrenti ritengono che la disciplina testà riportata confligga con l’art.
27, comma 7, della L. 157 del 1992, ed estendono tale contestazione anche nei
confronti del comma 10 del medesimo art. 6, laddove si dispone che “le Guardie
Venatorie Volontarie operano, di norma, in pattuglie di almeno due persone.
Qualsiasi variazione deve essere preventivamente concordata e approvata dal
Responsabile del Coordinamento”.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, la concomitante circostanza per la
quale, in forza di quanto disposto dall’art. 1 del Regolamento stesso, il
Coordinamento risulterebbe formato in prevalenza da cacciatori – essendo pure il
Comandante della Vigilanza Provinciale titolare di licenza di caccia –
comporterebbe, nell’applicazione dei testè citati commi 8 e 10 dell’art. 6, la
conseguenza di subordinare, nella sostanza, la volontà delle Guardie Volontarie
a quella di coloro che comunque praticano l’attività venatoria, specie
nell’ipotesi in cui un’Associazione disponga di una sola Guardia Volontaria,
costretta – quindi, e sia pure “di norma” – a formare con altro operatore una
pattuglia.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 1 del
Regolamento la Presidenza del Coordinamento è assunta dall’Assessore Provinciale
alla Caccia e Pesca, ovvero da un suo delegato: ossia da un soggetto che non è
prequalificato come cacciatore, e che la vicepresidenza è assunta dal Dirigente
Provinciale responsabile per le materie della caccia e della pesca, ossia –
ancora una volta – da un soggetto non prequalificato come cacciatore.
Nella funzione di coordinamento risulta logicamente compresa anche una potestà
di direttiva da parte del soggetto che lo esercita (si badi, coincidente con il
Coordinamento stesso collegialmente inteso, e non già con un suo singolo membro,
sia pure Presidente o Vicepresidente, o – ancora – Comandante della Vigilanza
Provinciale).
Risulta altrettanto evidente la razionalità della disposizione che subordina
l’operato delle Guardie Volontarie a quello degli Agenti della Vigilanza
Provinciale nelle ipotesi di interventi effettuati “su richiesta diretta ed in
collaborazione” con gli stessi: e ciò, se non altro, in considerazione della
dianzi rilevata carenza della qualifica di Agente di Polizia Giudiziaria delle
Guardie Volontarie (cfr. § 9.7 della presente sentenza).
Anche la disposizione che impone, “di norma”, la formazione di pattuglie di due
operatori ai fini della vigilanza risponde, all’evidenza, ad esigenze di
garantismo nei confronti dei possibili soggetti sanzionati non disgiunta – si
badi – anche alle parimenti doverose esigenze di sicurezza personale e di
certezza operativa dello stesso personale preposto alla vigilanza.
9.16. Le ricorrenti, da ultimo, con il tredicesimo motivo di ricorso hanno
chiesto l’annullamento dell’art. 6, comma 9, del Regolamento, laddove impone
alle Guardie Volontarie di “osservare strettamente il segreto d’ufficio e le
norme di cui alla L. 31 dicembre 1996 n. 675” e di “mantenere un comportamento
irreprensibile in pubblico, omettendo ogni discussione diretta o indiretta sul
servizio con estranei allo stesso”.
Le ricorrenti, a tale proposito, deducono una generica violazione dell’art. 163,
comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 lamentando che tale disciplina vieterebbe alle
Associazioni di diffondere comunicati stampa relativi ai controlli effettuati e
ai verbali stilati, e impedirebbe la stessa raccolta dei dati a fini statistici.
Anche tale censura va respinta.
E’ evidente che ogni Guardia Giurata Volontaria deve assolvere alle proprie
funzioni di vigilanza e di repessione degli illeciti non già nell’interesse
dell’Associazione a cui è pur iscritta, ma nel superiore interesse della
collettività e operando, quindi, nella costante applicazione di tutta la
disciplina vigente in materia di accertamento degli illeciti, ivi naturalmente
compresi il rispetto del segreto d’ufficio (art. 326 cod. pen.) e delle altre
disposizioni a ciò pertinenti, quali la disciplina del trattamento dei dati
personali, ora – tra l’altro – non più assoggettata alla L. 675 del 1996, ma al
Codice appositamente approvato con D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196, il quale ultimo
– tra l’altro – esplicitamente consente, sia pure a determinate condizioni, il
trattamento dei dati personali – resi debitamente anonimi – a scopi statistici (cfr.
artt. 16, 24 e 97 e ss. del D.L.vo 196 cit.).
10. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati
tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e sui motivi aggiunti
proposti in prosieguo di causa, li accoglie nei limiti di cui in motivazione e,
per l’effetto, annulla l’art. 3, commi 5, 11 e 13, l’art. 4, comma 2, lett. b)
limitatamente all’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento” e
l’art. 8, comma 1, del “Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie
faunistico-venatorie della provincia di Treviso”, nel testo adottato per effetto
della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11
dicembre 2002 e modificato per effetto della deliberazione del Consiglio
Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29 settembre 2003.
Compensa integralmente le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 18 marzo 2004.
1) Caccia e pesca - Guardie giurate delle Associazioni ambientaliste - Potestà di coordinamento dell’Amministrazione provinciale - Interferenza con l’autonomia delle associazioni - Non è ravvisabile. Le attività di predisposizione dei programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute alle Amministrazioni Provinciali ai sensi dell’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle Associazioni ambientaliste devono sottostare senza che ciò costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
2) Caccia e pesca - Guardia giurata - Obbligo di residenza - Non contrasta con il divieto di discriminazione in ordine alla cittadinanza italiana o di uno stato membro dell’Unione Europea. La disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002 n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe sufficiente “essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza – in relazione alla comprovata particolarità delle mansioni da svolgere. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
3) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie faunistico-venatorie - Regolamento provinciale - Previsione di sospensione del rilascio del decreto di guardia giurata in caso di procedimento penale pendente - Legittimità - Mancata limitazione alle condanne per delitto quale causa ostativa al rilascio del decreto - Illegittimità. Risulta legittima la disposizione del Regolamento provinciale di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie che prevede la sospensione del rilascio o del rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale pendente a carico dell’interessato. Viceversa, contrasta con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione del Regolamento medesimo laddove non limita alle condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
4) Caccia e pesca - Guardie volontarie - Rinnovo della qualifica di agente di vigilanza volontaria - Corso istituito dalla Provincia - Necessaria partecipazione ai fini del rinnovo - Illegittimità - Nella parte in cui non è consentita alle associazioni la possibilità di organizzare detti corsi - Artt. 26 L. 157/92 e 34 L.R. 50/93. Rientra nelle intrinseche potestà del coordinamento provinciale disporre riunioni e corsi di aggiornamento delle Guardie volontarie, soprattutto se tali iniziative sono concordate con le associazioni; tuttavia confligge con l’assetto emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e dall’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, la previsione nel Regolamento provinciale della necessaria partecipazione ad apposito corso istituito dalla Provincia al fine del rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria. Infatti le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale e regionale verrebbero in tal modo svuotate di ogni specifico contenuto in termini di riconoscimento della loro specifica valenza propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, L. 157/1992. Sono pertanto illegittimi gli articoli del regolamento nella parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e 8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la possibilità di organizzare i corsi per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia volontaria. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
5) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Art. 27, c. 1 L. 157/1992 - Qualifica di polizia giudiziaria - Riconoscimento - Esclusione. Il comma 1, lett. a) dell’art. 27, L. 157/1992 riconosce esplicitamente agli Agenti dipendenti degli Enti Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, mentre, in evidente contrapposizione, la lettera b) dello stesso comma non riconosce la medesima qualifica alle Guardie Giurate Volontarie. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
6) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Accertamento delle violazioni - Competenza a formare processi verbali - Espresso riconoscimento - Regolamento provinciale - Limitazione al cd. “verbale di riferimento” - Illegittimità. Alle Guardie Giurate Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza, sicchè è illegittima la norma del regolamento che individua tra i compiti delle Guardie quello di “accertare le violazioni delle leggi e dei regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”, stante il significato tecnico assunto dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti non è contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza