Legislazione Giurisprudenza Altre sentenze: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
CORTE COSTITUZIONALE 28 aprile 2004 (Ud. 26.04.2004) - Sentenza n. 129
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N.129
ANNO 2004
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfonso QUARANTA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'ordinanza 2 novembre 2002 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona, promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 26 novembre 2002, depositato in cancelleria il 30 successivo ed iscritto al n. 43 del registro conflitti 2002.
Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 26 novembre 2002 e depositato il successivo 30 novembre, la Regione Lombardia ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002, e ne ha chiesto l'annullamento per violazione degli artt. 101, 134 e 117, commi primo, quarto e quinto, della Costituzione.
L'ordinanza che costituisce oggetto del conflitto è stata pronunciata nell'ambito di un procedimento penale aperto, a seguito di esposto-denuncia presentato dalla Lega per l'abolizione della caccia, nei confronti di ignoti per il reato previsto dall'art. 30, comma 1, lettera h), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che punisce “chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o [per] chi esercita la caccia con mezzi vietati”.
Dall'atto impugnato si evince che la legge della Regione Lombardia 7 agosto 2002, n. 18, recante «Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici», ha autorizzato il prelievo venatorio di alcune specie di volatili e che, nell'ambito del menzionato procedimento penale, il pubblico ministero ha disposto il sequestro preventivo, “in quantità pari a tutti gli esemplari che si trovino (stabilmente o in transito) nel territorio della Regione Lombardia”, delle specie di uccelli cui si riferiva la legge regionale, con ciò ripristinando il divieto di caccia dei suddetti volatili. Secondo il pubblico ministero, infatti, la facoltà di attivare autonomamente le deroghe previste dall'art. 9 della citata direttiva CEE spettava non già alle Regioni, bensì allo Stato.
Il GIP del Tribunale di Cremona, con l'ordinanza impugnata, ha negato la convalida del sequestro, ritenendo che dalla normativa nazionale e comunitaria sia desumibile il perdurante divieto di prelievo venatorio delle specie contemplate dalla legge regionale n. 18 del 2002. Nel far ciò, secondo la ricorrente, il GIP avrebbe disapplicato la legge regionale che detto prelievo consente e in tal modo avrebbe invaso la potestà legislativa residuale della Regione in materia di caccia. Tanto più ove si consideri che lo stesso legislatore statale, dando ulteriore attuazione alla direttiva n. 79/409/CEE con la legge 3 ottobre 2002, n. 221 (Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE), ha conferito appunto alle Regioni il potere di disciplinare l'esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva sopra menzionata. Per questi profili l'ordinanza impugnata lederebbe quindi attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni, e desumibili dall'art. 117, commi primo, quarto e quinto, Cost.
L'atto impugnato violerebbe pure – ad avviso della ricorrente – gli artt. 101 e 134 Cost., in quanto il giudice, vincolato al rispetto della legge, nell'ipotesi in cui la ritenga illegittima non avrebbe il potere di disapplicarla, ma solo di sottoporla al sindacato di questa Corte. Il GIP, nel disapplicare la legge regionale n. 18 del 2002, perché non conforme alla direttiva n. 79/409/CEE ed alla legge di attuazione n. 157 del 1992, avrebbe dunque espressamente disconosciuto il potere legislativo della Regione.
Nel merito la Regione Lombardia contesta l'affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui sarebbe rilevabile un contrasto tra l'art. 9 della direttiva più volte menzionata e la legge regionale e, in termini più generali, sostiene che tale disposizione non sarebbe immediatamente e direttamente applicabile, limitandosi a porre semplici criteri direttivi per l'attuazione da parte degli Stati membri. A riprova di ciò si rileva che proprio l'art. 9 sarebbe stato espressamente attuato dalla legge statale n. 221 del 2002, successiva alla legge regionale disapplicata con l'atto impugnato nel presente conflitto.
Si aggiunge infine nel ricorso che la competenza legislativa affidata allo Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), come chiarito in recenti pronunce di questa Corte e specificamente nella sentenza n. 407 del 2002, riguarderebbe unicamente la disciplina dei vari aspetti inerenti il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, e pertanto non potrebbe estendersi fino a coprire la competenza a disporre le deroghe al generalizzato divieto di prelievo venatorio, che resterebbe devoluta alla Regione.
2. - In prossimità dell'udienza pubblica del 10 febbraio 2004 la Regione Lombardia ha depositato ulteriori memorie difensive, nelle quali insiste per l'accoglimento del ricorso.
La ricorrente premette che la legge regionale n. 18 del 2002 autorizzava il prelievo venatorio in deroga nell'arco della stagione 2002-2003, che si è conclusa il 31 gennaio 2003. Dopo che questa Corte, con l'ordinanza n. 535 del 2002, ha respinto la richiesta di sospensione dell'atto impugnato nel presente conflitto, la Giunta della Regione, con due delibere (VII/14249 e VII/14250, entrambe del 15 settembre 2003), ha autorizzato anche per la stagione 2003-2004 il prelievo venatorio in deroga delle medesime specie di uccelli contemplate nella legge regionale che si assume disapplicata.
Quanto ai motivi di diritto, oltre a rinnovare, ulteriormente articolandoli, gli argomenti fatti valere nell'atto introduttivo del giudizio, la difesa della Regione Lombardia ribadisce che l'ordinanza impugnata sarebbe comunque lesiva delle attribuzioni regionali anche se vista alla luce della giurisprudenza costituzionale più recente, e segnatamente delle sentenze n. 536 del 2002 e n. 226 del 2003, che hanno riconosciuto allo Stato il potere di dettare standard minimi e uniformi di tutela anche in una materia ascrivibile alla potestà legislativa residuale delle Regioni, qual è la caccia.
La ricorrente afferma infine che la legge regionale n. 18 del 2002 sarebbe pienamente conforme alla direttiva 79/409/CEE e alla legge statale n. 221 del 2002 che la attua, giacché essa menziona con precisione le specie che formano oggetto della deroga, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati, le circostanze di tempo e di luogo in cui i prelievi possono essere effettuati, i controlli, l'autorità cui viene affidata la vigilanza nonché quella abilitata a dichiarare che le condizioni previste dall'art. 9 della direttiva siano state realizzate.
Considerato in diritto
1. - La Regione Lombardia ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002, e ne ha chiesto l'annullamento per violazione degli artt. 101, 134 e 117, commi primo, quarto e quinto, della Costituzione.
Secondo la ricorrente, il suddetto GIP avrebbe disapplicato la legge regionale 7 agosto 2002, n. 18, la quale, in attuazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, autorizzava il prelievo venatorio di alcune specie di volatili: il passero d'Italia, la passera mattugia, lo storno, il fringuello e la peppola.
L'ordinanza oggetto di impugnazione è stata emessa nell'ambito di un procedimento penale aperto nei confronti di ignoti per il reato previsto dall'art. 30, comma 1, lettera h), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che punisce “chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o [per] chi esercita la caccia con mezzi vietati”. In tale procedimento il pubblico ministero ha disposto il sequestro preventivo dei volatili oggetto della legge regionale in discorso “in quantità pari a tutti gli esemplari che si trovino (stabilmente o in transito) nel territorio della Regione Lombardia”. Ciò sulla premessa che la competenza ad attivare autonomamente le deroghe previste dall'art. 9 della direttiva CEE 79/409 spettasse non già alle Regioni, bensì allo Stato. Il medesimo pubblico ministero ha formulato contestualmente la richiesta al GIP di sollevare la questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2002, ritenuta incompetente.
2. - Il ricorso deve essere accolto.
L'ordinanza oggetto dell'attuale conflitto ha rifiutato la convalida del sequestro sulla scorta di una motivazione con la quale nega alla legge regionale il valore suo proprio, violando le attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia.
Il quadro normativo che fa da sfondo al provvedimento che ha dato origine al conflitto può essere così riassunto. La direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico, detta negli artt. 5, 6, 7 e 8 prescrizioni rigorose e puntuali in materia di prelievo venatorio. All'art. 9 stabilisce che gli Stati membri possono derogare a tali disposizioni per le seguenti ragioni: a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, nell'interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque, per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della riproduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
Lo stesso art. 9, al secondo paragrafo, stabilisce che le deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse devono essere fatte, l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone, nonché i controlli che saranno effettuati.
Dopo aver imposto agli Stati membri l'invio alla Commissione di una relazione annuale sull'applicazione delle deroghe (paragrafo 3), l'art. 9 attribuisce alla medesima Commissione il compito di vigilare costantemente affinché le conseguenze delle deroghe non si rivelino incompatibili con i beni tutelati dalla direttiva.
La Regione Lombardia, con l'art. 2 della legge regionale n. 18 del 2002, ha dato attuazione al regime di deroga previsto nella direttiva, autorizzando il prelievo venatorio di alcune specie: talune ai sensi della lettera a), ed altre ai sensi della lettera c), del citato art. 9. Successivamente il legislatore statale, con l'art. 1 della legge 3 ottobre 2002, n. 221, recante “Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE”, ha introdotto l'art. 19-bis nella legge n. 157 del 1992, il quale stabilisce, al primo comma, che le Regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe di cui alla direttiva sopra menzionata, conformandosi alle prescrizioni e alle finalità previste in questa, nonché a quelle indicate di seguito nella medesima legge. I commi successivi ricalcano la disciplina comunitaria delle deroghe con alcune precisazioni: i soggetti abilitati al prelievo devono essere individuati dalle Regioni d'intesa con gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini; le deroghe devono essere applicate sentito l'Istituto nazionale della fauna selvatica o altri istituti riconosciuti a livello regionale e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione. Dei provvedimenti adottati dalle Regioni e contrastanti con la legge nazionale o con la direttiva comunitaria può essere disposto l'annullamento in sede governativa.
3. - L'ordinanza che ha fatto sorgere l'attuale conflitto, avendo presente l'anzidetto quadro normativo, afferma la competenza esclusiva dello Stato ad introdurre le deroghe ai divieti di prelievo venatorio. Tale competenza, secondo il GIP di Cremona, già alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale formatasi anteriormente all'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, era configurabile in tutte le ipotesi nelle quali sussistesse un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina inerente il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, che si estendeva anche alle deroghe previste dall'art. 9 della direttiva 79/409.
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica che giustificherebbe una disciplina di livello nazionale sarebbe ascrivibile, ad avviso dell'ordinanza impugnata, all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva statale la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Giunto a tal punto, l'atto che ha dato origine al conflitto, anziché concludere nel senso della illegittimità costituzionale della legge regionale, fonte assunta come incompetente, nega ad essa il valore suo proprio, inteso questo nel suo significato tradizionale di non disapplicabilità da parte del giudice comune e sindacabilità dalla sola Corte costituzionale. Proprio restando coerente con il suo itinerario logico, che procede dalla premessa della sussistenza della esclusiva competenza dello Stato ad introdurre deroghe alla comune disciplina delle specie cacciabili, il GIP di Cremona non avrebbe potuto esimersi dal rimettere gli atti a questa Corte, alla quale soltanto spetta giudicare in ordine all'eventuale vizio di incompetenza della legge regionale.
E' vero che, in una seconda parte dell'ordinanza, si affronta il problema dell'eventuale efficacia diretta dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE, che, se dimostrata, avrebbe reso plausibile la disapplicazione della legge regionale, al pari, del resto, di qualsiasi atto legislativo nazionale contrastante con norme di diritto comunitario compiute e immediatamente applicabili dal giudice interno (secondo la giurisprudenza costituzionale inaugurata dalla sentenza n. 170 del 1984). E tuttavia il tema, nell'ordinanza in esame, è trattato in maniera confusa e tale da non poter assurgere ad asse portante della decisione. Si afferma dapprima che la direttiva comunitaria, “per il suo contenuto incondizionato e sufficientemente preciso in riferimento ai divieti di cui agli artt. 5, 6, 7, 8”, deve “ritenersi direttamente efficace o applicabile da parte del giudice nazionale, senza la necessità di uno specifico provvedimento di attuazione”, e con ciò, quanto alle nozioni generali, ci si attiene al costante insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia CE, secondo il quale una direttiva può dirsi incondizionata quando le relative disposizioni possono essere applicate senza bisogno di alcuna misura attuativa da parte degli Stati membri. Subito dopo però, affrontando specificamente il tema delle deroghe consentite in sede comunitaria, l'ordinanza prosegue denunciando il contrasto fra la legge regionale n. 18 del 2002 e l'art. 9 della direttiva, così come attuato dall'art. 1 della legge statale n. 221 del 2002, e ritiene di risolverlo con la disapplicazione della fonte regionale; ma in questo modo il GIP di Cremona non risolve affatto la questione del valore della parte della direttiva concernente la deroga. Infatti fa propria, riguardo all'art. 9, una nozione di autoapplicatività opposta rispetto a quella enunciata poco prima a proposito degli artt. da 5 a 8, mostrando di attribuire tale carattere, in contrasto con la stessa giurisprudenza comunitaria richiamata nell'ordinanza, anche a disposizioni di direttive attuate da una legge nazionale, senza chiarire come sia possibile far convivere una attuazione con legge e insieme una autoapplicatività che presuppone l'assenza di ogni ulteriore misura attuativa da parte dello Stato.
Ebbene, le incertezze riscontrabili in ordine al profilo della efficacia diretta dell'art. 9, che il giudice non dimostra e nemmeno afferma, e la denuncia di una incompatibilità che non si risolve unicamente nel rapporto tra la direttiva e la legge regionale, ma richiede la necessaria intermediazione legislativa statale, confermano che tale sviluppo argomentativo ha carattere meramente servente rispetto alla effettiva ratio decidendi, che consiste nel denunciato vizio di incompetenza della legge regionale. La disapplicazione operata su tale premessa è pertanto illegittima e menoma le attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava allo Stato, e per esso al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona, disapplicare, nei termini di cui all'ordinanza 2 novembre 2002, la legge della Regione Lombardia 7 agosto 2002, n. 18, recante «Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici» e, conseguentemente, annulla tale ordinanza per quanto di ragione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2004.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
1) Caccia e pesca - Fauna selvatica e prelievo venatorio - Disapplicazione della legge regionale da parte del giudice in contrasto con l’art. 9 della Direttiva 79/409/CEE - Denuncia di una incompatibilità - Sviluppo argomentativo – Necessità. L’efficacia diretta dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE, che, se dimostrata, rende plausibile la disapplicazione della legge regionale, al pari, del resto, di qualsiasi atto legislativo nazionale contrastante con norme di diritto comunitario compiute e immediatamente applicabili dal giudice interno (secondo la giurisprudenza costituzionale inaugurata dalla sentenza n. 170 del 1984). Nella specie, si afferma dapprima che la direttiva comunitaria, “per il suo contenuto incondizionato e sufficientemente preciso in riferimento ai divieti di cui agli artt. 5, 6, 7, 8”, deve “ritenersi direttamente efficace o applicabile da parte del giudice nazionale, senza la necessità di uno specifico provvedimento di attuazione”, e con ciò, quanto alle nozioni generali, ci si attiene al costante insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia CE, secondo il quale una direttiva può dirsi incondizionata quando le relative disposizioni possono essere applicate senza bisogno di alcuna misura attuativa da parte degli Stati membri. Subito dopo però, affrontando specificamente il tema delle deroghe consentite in sede comunitaria, l'ordinanza prosegue denunciando il contrasto fra la legge regionale n. 18 del 2002 e l'art. 9 della direttiva, così come attuato dall'art. 1 della legge statale n. 221 del 2002, e ritiene di risolverlo con la disapplicazione della fonte regionale; ma in questo modo il GIP di Cremona non risolve affatto la questione del valore della parte della direttiva concernente la deroga. Infatti fa propria, riguardo all'art. 9, una nozione di autoapplicatività opposta rispetto a quella enunciata poco prima a proposito degli artt. da 5 a 8, mostrando di attribuire tale carattere, in contrasto con la stessa giurisprudenza comunitaria richiamata nell'ordinanza, anche a disposizioni di direttive attuate da una legge nazionale, senza chiarire come sia possibile far convivere una attuazione con legge e insieme una autoapplicatività che presuppone l'assenza di ogni ulteriore misura attuativa da parte dello Stato. Le incertezze riscontrabili in ordine al profilo della efficacia diretta dell'art. 9, che il giudice non dimostra e nemmeno afferma, e la denuncia di una incompatibilità che non si risolve unicamente nel rapporto tra la direttiva e la legge regionale, ma richiede la necessaria intermediazione legislativa statale, confermano che tale sviluppo argomentativo ha carattere meramente servente rispetto alla effettiva ratio decidendi, che consiste nel denunciato vizio di incompetenza della legge regionale. La disapplicazione operata su tale premessa è pertanto illegittima e menoma le attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia. Pres. ZAGREBELSKY - Red. MEZZANOTTE - Regione Lombardia (avv. Caravita) c. (GIP) del Tribunale di Cremona. CORTE COSTITUZIONALE - 28.04.2004 - Sentenza n. 129
2) Caccia e pesca - Protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio - Riforma del Titolo V della Costituzione - Competenza dello Stato ad introdurre deroghe alla comune disciplina delle specie cacciabili - Legislazione esclusiva statale sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - Legge regionale illegittima - Non disapplicabilità da parte del giudice comune e sindacabilità dalla sola Corte costituzionale. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica che giustificherebbe una disciplina di livello nazionale sarebbe ascrivibile, ad avviso dell'ordinanza impugnata, all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva statale la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Giunto a tal punto, l'atto che ha dato origine al conflitto, anziché concludere nel senso della illegittimità costituzionale della legge regionale, fonte assunta come incompetente, nega ad essa il valore suo proprio, inteso questo nel suo significato tradizionale di non disapplicabilità da parte del giudice comune e sindacabilità dalla sola Corte costituzionale. Proprio restando coerente con il suo itinerario logico, che procede dalla premessa della sussistenza della esclusiva competenza dello Stato ad introdurre deroghe alla comune disciplina delle specie cacciabili, (nella specie, il GIP di Cremona non avrebbe potuto esimersi dal rimettere gli atti alla Corte, alla quale soltanto spetta giudicare in ordine all'eventuale vizio di incompetenza della legge regionale). Pres. ZAGREBELSKY - Red. MEZZANOTTE - Regione Lombardia (avv. Caravita) c. (GIP) del Tribunale di Cremona. CORTE COSTITUZIONALE 28 aprile 2004 Sentenza n.129
3) Caccia e pesca - Protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio - Conservazione delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico - Direttiva 79/409/CEE - Art. 2 L. R. Lombardia, n. 18/2002 - Soggetti abilitati - Deroga – Limiti - Ambiti territoriali di caccia (ATC) - Istituto nazionale della fauna selvatica - Contrasti della legge regionale con la legge nazionale o con la direttiva comunitaria - Annullamento in sede governativa - legittimità. La Regione Lombardia, con l'art. 2 della legge regionale n. 18 del 2002, ha dato attuazione al regime di deroga previsto nella direttiva, autorizzando il prelievo venatorio di alcune specie: talune ai sensi della lettera a), ed altre ai sensi della lettera c), del citato art. 9. Successivamente il legislatore statale, con l'art. 1 della legge 3 ottobre 2002, n. 221, recante “Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE”, ha introdotto l'art. 19-bis nella legge n. 157 del 1992, il quale stabilisce, al primo comma, che le Regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe di cui alla direttiva sopra menzionata, conformandosi alle prescrizioni e alle finalità previste in questa, nonché a quelle indicate di seguito nella medesima legge. I commi successivi ricalcano la disciplina comunitaria delle deroghe con alcune precisazioni: i soggetti abilitati al prelievo devono essere individuati dalle Regioni d'intesa con gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini; le deroghe devono essere applicate sentito l'Istituto nazionale della fauna selvatica o altri istituti riconosciuti a livello regionale e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione. Dei provvedimenti adottati dalle Regioni e contrastanti con la legge nazionale o con la direttiva comunitaria può essere disposto l'annullamento in sede governativa. Pres. ZAGREBELSKY - Red. MEZZANOTTE - Regione Lombardia (avv. Caravita) c. (GIP) del Tribunale di Cremona. CORTE COSTITUZIONALE 28 aprile 2004 Sentenza n. 129
4) Caccia e pesca - Conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico - Direttiva 79/409/CEE - Mezzi, impianti e metodi di cattura o uccisione autorizzati – Deroga – Limiti. La direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico, detta negli artt. 5, 6, 7 e 8 prescrizioni rigorose e puntuali in materia di prelievo venatorio. All'art. 9 stabilisce che gli Stati membri possono derogare a tali disposizioni per le seguenti ragioni: a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, nell'interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque, per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della riproduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. Lo stesso art. 9, al secondo paragrafo, stabilisce che le deroghe devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse devono essere fatte, l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone, nonché i controlli che saranno effettuati. Dopo aver imposto agli Stati membri l'invio alla Commissione di una relazione annuale sull'applicazione delle deroghe (paragrafo 3), l'art. 9 attribuisce alla medesima Commissione il compito di vigilare costantemente affinché le conseguenze delle deroghe non si rivelino incompatibili con i beni tutelati dalla direttiva. Pres. ZAGREBELSKY - Red. MEZZANOTTE - Regione Lombardia (avv. Caravita) c. (GIP) del Tribunale di Cremona. CORTE COSTITUZIONALE 28 aprile 2004 Sentenza n. 129
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza