Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n.8378 del 1999 proposto dalla Regione dell’Umbria, in
persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentata e difesa
dall’avv. Fabrizio Figorilli ed elettivamente domiciliata in Roma, via G.B.
Morgagni, 2/a, presso lo studio dell’avv. Umberto Segarelli;
contro
Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria - Commissione di
Controllo sugli atti dell’Amministrazione Regionale, in persona del Commissario
del Governo p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato
presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
della Federazione Italiana della Caccia, in persona del Presidente p.t, non
costituitasi in giudizio;
nonché
dell’Ente per la Produzione della Selvaggina, in persona del Presidente p.t.,
non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria n.329/99 del
29 aprile 1999, resa tra le parti;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
vista la memoria prodotta dalla Regione appellante a sostegno delle proprie
difese;
visti gli atti tutti della causa;
alla pubblica udienza del 2 luglio 2004, relatore il Consigliere Domenico Cafini,
uditi l’avvocato Police (per delega dell’avv. Figorilli) e l’avvocato dello
Stato Volpe;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. La Giunta Regionale dell’Umbria con deliberazione n.3752 del 1°.7.1993
adottava il calendario venatorio per gli anni 1993-1994, includendo tra le
specie cacciabili le dieci seguenti: passero, passera mattugia, colino della
Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia
grigia.
1.1. Tale delibera veniva impugnata innanzi al TAR dell’Umbria dalla
Associazione protezionistica World Wildlife Fund che ne deduceva
l’illegittimità, in quanto le specie avanti menzionate erano da ritenersi
protette e quindi non cacciabili, e ne chiedeva, previa sospensione,
l’annullamento.
1.2. Il TAR adito respingeva la domanda cautelare, ma in sede di appello sulla
relativa ordinanza, questa Sezione accoglieva l’istanza di sospensione del
calendario venatorio impugnato “nella parte in cui, in deroga alla normativa
comunitaria e nazionale, consente la caccia di alcune specie protette (passero,
passera mattugia, colino della Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia,
gazza, taccola e cornacchia grigia)” (ord. Sez VI n.1004 del 29.9.1993).
1.3. A seguito di ciò, la Giunta Regionale, preso atto di tale ultima ordinanza
cautelare, provvedeva a modificare il calendario in questione con delibera
18.10.1993 n. 7003, escludendo dalle cacciabili soltanto quattro delle specie
sopra specificate (cioè: colino della Virginia, peppola, taccola e gazza) e
confermando la inclusione delle altre sei innanzi menzionate tra le specie
considerate non protette per le quali si sarebbe consentita la caccia, ma la
Commissione di controllo sugli atti della Regione Umbria annullava - con la
determinazione n.1849 del 22.10.1993, poi impugnata col ricorso di prime cure -
la delibera stessa nella parte in cui consentiva “la caccia alle seguenti
specie: passero, passera mattugia, storno, fringuello, cornacchia grigia e
ghiandaia”, in quanto la stessa doveva ritenersi viziata, disattendendo, seppure
in parte, la citata ordinanza di sospensione di questa Sezione.
1.4. Contro la determinazione della Commissione di controllo in data 22.10.1993
la Regione Umbria proponeva quindi ricorso davanti al TAR dell’Umbria che -
senza affrontare la questione sostanziale se sussistesse o meno il potere della
Regione di includere, in sede di formazione del calendario venatorio regionale,
alcune delle specie cacciabili protette e se quelle cui si riferiva la
controversia fossero o no da considerarsi tali – lo respingeva con la sentenza
in epigrafe. Con essa, pronunciando sul pregiudiziale problema del rapporto tra
giurisdizione amministrativa e amministrazione attiva, avuto riguardo alla
effettività delle decisioni cautelari rese nel giudizio amministrativo, il
Giudice di primo grado riteneva, in particolare, che la Regione stessa non
avrebbe potuto - fino a che la detta ordinanza di sospensione del Consiglio di
Stato era efficace - reiterare, integralmente o parzialmente, l’atto sospeso, al
fine di ammettere la caccia nei confronti delle specie che l’ordinanza medesima
considerava protette sulla base di ben precise e tassative disposizioni
nazionali e comunitarie.
1.5. Tale sentenza è stata impugnata dalla Regione umbra che, con l’appello in
esame, ha dedotto i seguenti motivi di diritto:
a) violazione dei principi sul giudicato; irragionevolezza e contraddittorietà;
b) violazione dell’art. 45 L. 10.2.1953 n. 62; sviamento e contraddittorietà;
violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato;
c) violazione art. 18 L. 11.2.1992 n. 157; difetto di motivazione.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata che si è opposta al
ricorso.
Con memoria in data 16.6.2004 la Regione ricorrente ha ulteriormente svolto le
proprie argomentazioni, insistendo per il rigetto del gravame.
1.6. La causa è stata, infine, assunta in decisione alla pubblica udienza del 2
luglio 2004.
2. L’appello è infondato.
2.1. Privo di pregio è, innanzitutto, il primo motivo volto a criticare la
sentenza impugnata nella parte in cui - dopo avere ritenuto che le decisioni di
annullamento del giudice amministrativo, tra cui quelle cautelari, non
precludono in senso assoluto all’amministrazione attiva di reiterare l’atto
annullato, salvo gli effetti del giudicato - avrebbe fatto erroneo riferimento
ad una ordinanza cautelare riguardante altro giudizio. Secondo l’Amministrazione
ricorrente, infatti, il TAR avrebbe preso in considerazione, non correttamente,
un’ordinanza cautelare resa in diverso procedimento giurisdizionale e non in
quello di cui trattasi ove la misura cautelare ha proprio riguardato la
determinazione di annullamento della Commissione di Governo, sospendendone
l’esecuzione.
Il Giudice di primo grado, in definitiva, non avrebbe potuto, ad avviso
dell’ente appellante, fare riferimento ad una ordinanza cautelare, emessa in
altro giudizio analogo a quello sottoposto al suo esame, poi assorbita peraltro
da una successiva sentenza di merito.
I rilievi non sono condivisibili.
Come accennato nell’esposizione in fatto, la Commissione di controllo presso il
Commissariato del Governo nella Regione Umbria ha annullato nel caso in esame la
deliberazione 18.10.1993, n.7003 della Giunta regionale concernente “Ulteriori
modifiche al calendario venatorio per la stagione 1993-94”; e ciò sulla base
della ordinanza cautelare n.1004/93 di questa Sezione VI (che aveva accolto,
ritenuta la sussistenza del fumus boni iuris, la richiesta di sospensiva della
delibera 1.7.1993, n.3752 della Regione Umbria nella parte in cui la Giunta “in
deroga alla normativa comunitaria e nazionale consente la caccia di alcune
specie protette”) e nella considerazione che con la deliberazione n.7003/93
all’esame veniva consentita la caccia a sei delle dieci specie oggetto della
sospensiva predetta, disattendendo in parte, pertanto, la menzionata pronuncia
cautelare.
Premesso dunque che l’oggetto dell’appello, come si evince dalla delibera della
Commissione ora menzionata, è sostanzialmente riferito ad una questione
concernente i rapporti tra giurisdizione amministrativa e amministrazione
attiva, con particolare riguardo alla efficacia ed effettività delle pronunce,
anche cautelari, del giudice amministrativo - giacché la delibera regionale
impugnata in prime cure è stata ritenuta illegittima dalla Commissione stessa
non già per violazione di disposizioni inerenti alla caccia, bensì per
violazione del principio d’imperatività dell’ordinanza di sospensione n.1004/1993
di questo Consiglio di Stato - il Collegio deve rilevare, convenendo con quanto
osservato in proposito dal Giudice di prime cure:
- che le pronunce del giudice amministrativo, pur
se non precludono all’Amministrazione di reiterare l’atto annullato e di
riprodurre così il medesimo assetto di interessi derivante da tale atto, pongono
in ogni caso chiari limiti alla libertà di azione dell’Amministrazione stessa,
atteso che, per il c.d. effetto confermativo del giudicato, la relativa attività
resta comunque condizionata pur sempre dal giudicato esistente, non potendo
riprodurre essa i vizi di legittimità riscontrati nel precedente atto dal
giudice amministrativo;
- che la medesima efficacia riferita alle sentenze va riconosciuta anche alle
ordinanze cautelari, da ritenersi egualmente imperative, fermo restando che,
mentre le prime restano immodificabili, le ordinanze hanno invece minore
stabilità, cessando i loro effetti con la decisione di merito; cosicché fino a
quando l’ordinanza cautelare non sia revocata, modificata o sostituita da una
pronuncia di merito, la stessa non può che ricevere eguale ottemperanza;
- che, pertanto, l’ordinanza cautelare, come la sentenza, pur non precludendo
all’Amministrazione di disporre ancora nel medesimo senso dell’atto sospeso,
impone comunque alla medesima di non riprodurre il vizio del quale in sede
cautelare il giudice amministrativo ha rilevato la sussistenza;
- che, allorquando il vizio di legittimità rinvenuto dal giudice amministrativo
si riferisca alla violazione di legge (essendo l’atto impugnato contrastante con
una norma) o vi sia comunque al riguardo un adeguato fumus boni iuris,
l’Autorità amministrativa interessata non potrà riprodurre l’atto in questione
disponendo sostanzialmente negli stessi termini; e ciò, quanto meno, sino a
quando l’ordinanza di sospensione non sia venuta meno nei suoi effetti;
- che nel caso in esame l’ordinanza di questa Sezione n.1004/1993 – esplicante
ancora integralmente i propri effetti al momento dell’atto deliberativo in data
18.10.2003 non essendo intervenuta a quella data alcuna pronuncia nel merito
della controversia - risulta chiara nel significare, seppure succintamente, che
il rilevato fumus boni iuris si riferisce in concreto al contrasto tra quanto
disposto nel calendario venatorio regionale con riguardo alla ammissione alla
caccia di determinate specie faunistiche e la relativa disciplina comunitaria e
nazionale che qualifica invece le stesse specie come soggette a protezione;
- che, in definitiva, la Regione Umbria, fino a quando detta ordinanza di
sospensione svolgeva la sua efficacia, non poteva reiterare nel caso in
questione, nemmeno in parte, l’atto sospeso, onde consentire la caccia alle
specie che l’ordinanza aveva espressamente considerato protette sulla base di
precise e tassative disposizioni statali e comunitarie.
Per le considerazioni che precedono deve essere disatteso, dunque, l’assunto di
parte appellante circa l’erroneo riferimento da parte dei primi giudici ad
un’ordinanza cautelare resa in altro giudizio, e non in quello “che qui
specificamente interessa”, dovendosi ritenere la controversia sottoposta
all’esame, riferita essenzialmente alla verifica, nel nuovo atto
dell’Amministrazione regionale, della sussistenza o meno del rilevato contrasto
con la precisa statuizione contenuta nella ordinanza esecutiva n.1004/03 di
questa Sezione.
E ciò, a prescindere dalla considerazione della rilevata diversità della
ponderazione degli interessi effettuata nei due atti, diversità che, peraltro,
sotto un profilo sostanziale, nemmeno sussiste, giacchè le deliberazioni della
Giunta Regionale 1.7.1993 n.3752 (sospesa in parte dal Consiglio di Stato fino
alla decisione di merito) e quella reiterata in data 18.10.1993, n.7003
(annullata con il surriferito provvedimento della Commissione di controllo)
concernono in effetti - in disparte gli specifici apprezzamenti degli interessi
in gioco ivi espressi - la stessa questione riguardante il medesimo calendario
venatorio: quella cioè dell’ammissione solo entro certi limiti della
cacciabilità di talune specie protette sulla base della vigente normativa
statale e comunitaria.
In definitiva, quel che qui rileva è che, nonostante che vi sia stata nella
specie una pronuncia giurisdizionale che ha riconosciuto come ingiustamente
lesivo dell’interesse della parte ricorrente il comportamento
dell’Amministrazione regionale adottato in sede di approvazione del calendario
venatorio in questione, l’Amministrazione medesima non abbia poi rispettato in
concreto l’obbligo di conformarsi a tale pronuncia, attuando il risultato
pratico riconosciuto come giusto e necessario nella menzionata ordinanza
cautelare di questa Sezione.
Appare dunque evidente l’illegittimità del provvedimento regionale
originariamente impugnato, così come riconosciuto dal Giudice di prime cure,
atteso che qualsiasi nuovo atto dell’Amministrazione che si ponga in contrasto
con la statuizione contenuta in una decisione giurisdizionale esecutiva o che
dia ulteriore seguito ad atti sospesi o eliminati dal mondo giuridico è
certamente affetto da antigiuridicità derivata per violazione dell’obbligo a
carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale
stessa.
2.2. Alla stregua di quanto avanti esposto devono essere disattesi anche gli
ulteriori rilievi dedotti con il secondo motivo non essendosi verificato nella
sentenza impugnata il “c.d. assorbimento improprio” e, quindi, l’assunta
omissione di pronuncia sul primo mezzo di gravame.
2.3. Inammissibile è infine il terzo ed ultimo mezzo di gravame, con il quale si
sostiene cha la Regione Umbria, nell’adottare il calendario venatorio 1993-1994,
avrebbe “operato correttamente nel rispetto della legge n.157/1992, come negli
anni precedenti e in conformità alla giurisprudenza del tempo” e che la
Commissione di controllo in una precedente seduta si sarebbe pronunciata in
termini diversi con riguardo allo stesso calendario venatorio.
Ritiene infatti il Collegio che eventuali precedenti comportamenti dell’Organo
tutorio predetto ritenuti affetti da vizi di eccesso di potere - peraltro nella
specie non attinenti al contenuto proprio della decisione censurata e non
sorretti da adeguati elementi probatori - non possono essere comunque invocati
per sostenere l’illegittimità, sotto il profilo della contraddittorietà e della
disparità di trattamento, del successivo corretto esercizio del medesimo potere
di controllo.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono le statuizioni del giudice di
prime cure oggetto dell’appello appaiono immuni dai vizi di legittimità dedotti
dall’ente ricorrente.
Il ricorso in appello va pertanto respinto.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti in causa le
spese e gli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando, rigetta il ricorso in appello e, per l’effetto, conferma la
sentenza di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2004 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI - riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Carmine VOLPE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.
Guido SALEMI Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
04 novembre 2004
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
1) Caccia - Calendario Venatorio - Inclusione di specie protette - Illegittimità del provvedimento regionale - Obbligo a carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale - Sussiste. Qualsiasi nuovo atto dell’Amministrazione che si ponga in contrasto con la statuizione contenuta in una decisione giurisdizionale esecutiva o che dia ulteriore seguito ad atti sospesi o eliminati dal mondo giuridico è certamente affetto da antigiuridicità derivata per violazione dell’obbligo a carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale stessa. Fattispecie: adozione del calendario venatorio includendo tra le specie cacciabili specie non cacciabil. (Il CdS in sede di appello sulla relativa ordinanza del TAR, (ord. Sez VI n.1004 del 29.9.1993) accoglieva l’istanza di sospensione del calendario venatorio impugnato “nella parte in cui, in deroga alla normativa comunitaria e nazionale, consente la caccia di alcune specie protette (passero, passera mattugia, colino della Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia grigia)”. Pres. VARRONE - Est. CAFINI Regione dell’Umbria (Avv. Figorilli) c. Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria (Avvocatura generale dello Stato) e altri (TAR Umbria n.329/99 del 29 aprile 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/10/20044 (Cc. 2.7.2004) Sentenza n. 7021
2) Caccia - Calendario Venatorio - Potestà regionale - Limiti. La Regione non può reiterare, integralmente o parzialmente, l’atto sospeso, - ordinanza di sospensione del Consiglio di Stato - al fine di ammettere la caccia nei confronti delle specie che l’ordinanza medesima considera protette sulla base di ben precise e tassative disposizioni nazionali e comunitarie. Fattispecie: adozione del calendario venatorio includendo tra le specie cacciabili specie non cacciabili). Pres. VARRONE - Est. CAFINI Regione dell’Umbria (Avv. Figorilli) c. Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria (Avvocatura generale dello Stato) e altri (TAR Umbria n.329/99 del 29 aprile 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/10/2004 (Cc. 2.7.2004) Sentenza n. 7021
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