Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5822/04
Reg.Dec.
N. 10743 Reg.Ric.
N. 10939 Reg.Ric.
ANNO 2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.10743/2002 proposto dalla SEA, Società Esercizi
Aeroportuali s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Alessandra Sandulli e Maurizio Riguzzi,
ed elettivamente domiciliato presso la prima in Roma, Corso Vittorio Emanuele n.349;
contro
il Ministero dell’ambiente, non costituitosi in giudizio;
e nei confronti
- dell’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani, in persona
del legale rappresentante pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e
difeso dall'Avv. Maria Claudia Ioannucci, ed elettivamente domiciliato presso la
stessa in Roma, Via Maria Adelaide n.12;
- delle Regioni Lazio, Piemonte, Sicilia, Lombardia, Calabria, dei Comuni di
Fiumicino, Cinisi, Milano, Cuneo, Torino, Catania, Orio al Serio, Segrate, Roma,
Lamezia Terme, Bergamo, Grassobio, Seriate, Fossano, Savigliano, Caselle
Torinese, San Maurizio Canavese, San Francesco al Campo, Peschiera Borromeo,
Somma Lombardo, Vizzola Ticino, Lonate Pozzolo, Ferno, Samarate, Cardano al
Campo, Casorate Sempione, Napoli, Casoria, delle Società Geac, Sac, Geap, Sacal,
Sea, dell’associazione Aeroporti, e dell’Alitalia, non costituitisi in giudizio;
e sul ricorso in appello n.10939/2002 proposto dalla GESAC s.p.a., dalla SAGAT
s.p.a. e dalla SACBO di Orio al Serio s.p.a., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gustavo
Romanelli e Maurizio Riguzzi, ed elettivamente domiciliati presso il primo in
Roma, Via Cosseria n.5;
contro
il Ministero dell’Ambiente, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in
giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e
domiciliato presso la stessa in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
- degli Aeroporti di Roma s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avv. Franco
Giampietro, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, Via Franco
Sacchetti n.114;
- dell’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani, in persona
del legale rappresentante pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e
difeso dall'Avv. Maria Claudia Ioannucci, ed elettivamente domiciliato presso la
stessa in Roma, Via Maria Adelaide n.12;
- delle Regioni Lazio, Piemonte, Sicilia, Lombardia, Calabria, dei Comuni di
Fiumicino, Cinisi, Milano, Cuneo, Torino, Catania, Orio al Serio, Segrate, Roma,
Lamezia Terme, Bergamo, Grassobio, Seriate, Fossano, Savigliano, Caselle
Torinese, San Maurizio Canavese, San Francesco al Campo, Peschiera Borromeo,
Somma Lombardo, Vizzola Ticino, Lonate Pozzolo, Ferno, Samarate, Cardano al
Campo, Casorate Sempione, Napoli, Casoria, delle Società Geac, Sac, Geap, Sacal,
Sea, dell’associazione Aeroporti, e dell’Alitalia, non costituitisi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II bis,
n.3382/2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente, della
società Aeroporti di Roma e dell’ANCAI;
Visto il ricorso in appello incidentale proposto dalla società Aeroporti di
Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza dell’11 giugno 2004 relatore il
Consigliere Roberto Chieppa. Uditi, altresì, l’Avv. Sandulli, l’Avv. Riguzzi e
l’Avv. dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in appello n.10743/2002 la SEA, Società Esercizi Aeroportuali
s.p.a. ha chiesto, per i motivi esposti nella parte in diritto della presente
decisione, l’annullamento della sentenza n.3382/2002 con la quale il Tar del
Lazio ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Ministro
dell’Ambiente 29 novembre 2000 (G.U. 6 dicembre 2000, n.285), recante “Criteri
per la predisposizione da parte delle società e degli enti gestori dei servizi
pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli
interventi di contenimento e abbattimento del rumore”.
Con ricorso n.10939/2002, proposto per analoghi motivi, l’annullamento della
medesima sentenza è stato chiesto anche dalla GESAC s.p.a., dalla SAGAT s.p.a. e
dalla SACBO di Orio al Serio s.p.a..
Si è costituita in giudizio Aeroporti di Roma s.p.a., chiedendo con ricorso
incidentale autonomo la riforma della sentenza.
Il Ministero dell’ambiente e l’ANCAI – Associazione Nazionale Comuni
Aeroportuali Italiani si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione
dell’appello.
All’odierna udienza le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei due ricorsi, proposti
per analoghi motivi avverso la medesima sentenza.
2. Oggetto della presente controversia è l’impugnato decreto del Ministro
dell’Ambiente 29 novembre 2000 (G.U. 6 dicembre 2000, n. 285), recante “Criteri
per la predisposizione da parte delle società e degli enti gestori dei servizi
pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture, dei piani degli
interventi di contenimento e abbattimento del rumore”.
Le ricorrenti sono tutte società di gestione aeroportuale e contestano quattro
punti dell’impugnato decreto:
a) la previsione di piani di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto
nell’esercizio delle infrastrutture aeroportuali in assenza della fissazione dei
valori limite;
b) la previsione di obblighi di accantonamento di risorse finanziarie da
destinare all’adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore
in assenza di un accertato superamento dei limiti;
c) irragionevolezza e disparità di trattamento tra i diversi operatori del
trasporto della previsione secondo cui gli obiettivi di risanamento previsti dal
piano di contenimento e abbattimento del rumore devono essere conseguiti dagli
aeroporti entro 5 anni, mentre per gli altri settori del trasporto tale termine
è di 15 anni;
d) irragionevolezza della previsione di un’attività di risanamento congiunta di
più gestori, non coordinata con il menzionato diverso termine cronologico per la
realizzazione dei piani di risanamento.
Con l’impugnata sentenza il Tar ha respinto i ricorsi delle società
aeroportuali, rilevando che:
1) l’art.10, comma 5, della legge n.447/1995 ha previsto l’obbligo, anche per le
società di gestione aeroportuale, di predisporre piani di contenimento e di
abbattimento del rumore in caso di superamento dei valori limite di emissione e
di immissione; tali valori sono stati fissati anche per le infrastrutture
aeroportuali dal DPCM 14/11/1997 e pertanto con l’impugnato DM 29/11/2000 sono
stati legittimamente fissati i criteri per la predisposizione dei piani;
2) l’art. 6 dell’impugnato D.M. 29.11.2000, si limita a stabilire a carico delle
imprese aeroportuali l’obbligo di comunicare “l’entità dei fondi accantonati
annualmente e complessivamente a partire dalla data di entrata in vigore della
legge n. 447 del 1995”; tale obbligo deriva direttamente dalla legge (art. 10,
comma 5) ed è immediatamente operante indipendentemente dalla previa
predisposizione dei piani di risanamento, al contrario di quanto sostenuto dalle
ricorrenti;
3) è ragionevole la norma del D.M. che assegna termini diversi per il
conseguimento degli obiettivi di risanamento agli esercenti di ferrovie e strade
che si sviluppano sull’intero territorio nazionale o interessano più regioni e/o
più comuni e gli esercenti aeroportuali, il cui intervento risulta sicuramente
più circoscritto;
4) il diverso termine previsto per il conseguimento degli obiettivi di
risanamento non determina alcuno sfasamento dell’attività congiunta da parte di
più gestori, potendo essere adottati i necessari accorgimenti nella fase
esecutiva dell’approvazione dei piani.
Le società appellanti principali e la Aeroporti di Roma, appellante incidentale,
hanno contestato l’impugnata sentenza ribadendo le proprie tesi per tutti i
quattro punti controversi.
3. Con il primo motivo di appello le società aeroportuali contestano l’impugnato
decreto nella parte in cui avrebbe previsto l’adozione di piani di contenimento
del rumore, pur in assenza della fissazione dei valori limite da rispettare.
Il motivo deve essere respinto, anche se con una motivazione diversa rispetto a
quella del giudice di primo grado.
Il Tar parte dall’esatto presupposto dell’obbligo di predisporre piani di
contenimento del rumore, imposto dall’art.10, comma 5 della legge n.447/1995, in
caso di superamento dei valori limiti, ma erra nel ritenere che tali valori
siano stati fissati anche per gli aeroporti dal DPCM 14/11/1997.
Il DPCM 14/11/1997 prevede in generale la determinazione dei valori limite delle
sorgenti sonore, distinguendo tra valori limite di emissione (valore massimo di
rumore, che può essere emesso da una sorgente sonora e misurato in prossimità
della stessa) e valori limite di immissione (valore massimo di rumore che può
essere immesso nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno da una o più
sorgenti di rumore e misurato in prossimità dei ricettori).
La completa applicazione del DPCM alle infrastrutture aeroportuali non può
derivare, come sostenuto dal Tar, dal generico richiamo all’art. 2, comma 1,
lett. c) della legge n.447/1995, in quanto lo stesso art. 5 del DPCM prevede che
“i valori limite assoluti di immissione e di emissione relativi alle singole
infrastrutture dei trasporti, all'interno delle rispettive fasce di pertinenza,
nonché la relativa estensione, saranno fissati con i rispettivi decreti
attuativi, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome”.
Da ciò deriva che il DPCM 14/11/1997 non si applica all’interno delle c.d. fasce
di pertinenza aeroportuali, ma solo all’esterno di esse dopo la perimetrazione
delle fasce.
Tale tesi è confermata da una serie di dati normativi, chiaramente finalizzati a
distinguere i valori limite all’interno ed all’esterno della fasce di pertinenza
aeroportuale.
L’art. 3, comma 2, del DPCM 14/11/1997, relativo ai soli limiti di immissione,
prevede che “per le infrastrutture stradali, ferroviarie, marittime,
aeroportuali…, i limiti di cui alla tabella C allegata al presente decreto, non
si applicano all'interno delle rispettive fasce di pertinenza, individuate dai
relativi decreti attuativi. All'esterno di tali fasce, dette sorgenti concorrono
al raggiungimento dei limiti assoluti di immissione”.
Ciò significa che, una volta definite le fasce, le infrastrutture aeroportuali
concorrono al raggiungimento dei valori limite di immissione acustica al di
fuori delle fasce stesse.
All’esterno della fasce non può inoltre ipotizzarsi la verifica dei limiti di
emissione derivante dalle infrastrutture aeroportuali, in quanto tali limiti
devono essere misurati in prossimità della sorgente, che è situata certamente
all’interno delle fasce di pertinenza aeroportuale.
Del resto, i limiti di emissione sono richiamati dall’art.3, comma 3, del DPCM
14/11/1997 solo all’interno delle fasce di rispetto e per tutte le altre
sorgenti sonore, diverse dalle infrastrutture aeroportuali.
All’interno della fasce i limiti sono già stati fissati con il DM 31/10/1997
(Metodologia di misura del rumore aeroportuale), con cui sono state previste tre
fasce (zone A, B e C), con diversi valori di Lva (Livello di valutazione del
rumore aeroportuale, diverso rispetto alla misura del Leq (A), utilizzata per i
valori fissati dal DPCM 14/11/1997).
Le fasce di rispetto costituiscono quindi delle “zone cuscinetto” per il rumore
aeroportuale e solo dopo la perimetrazione delle tre fasce di rispetto i limiti
fissati dal DM 31/10/1997 (all’interno delle fasce) e dal DPCM 19/11/1997
(all’esterno) diventano concretamente applicabili e può essere verificato
l’eventuale superamento.
Va aggiunto che i Comuni devono procedere, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett.
a), della legge n. 447/1995, alla classificazione del territorio comunale e che,
in assenza di tale zoonizzazione, l’art. 8 del DPCM 19/11/1997 prevede che si
applichino i limiti di cui all’art. 6, comma 1, del DPCM 1/3/1991.
Da tale quadro normativo emerge che il superamento dei limiti di rumore da parte
delle infrastrutture aeroportuali può essere concretamente verificato solo dopo
la perimetrazione delle fasce di rispetto.
Non è quindi corretto affermare, come fatto dalle ricorrenti, che l’impugnato
decreto è stato adottato in assenza della fissazione dei limiti di rumore, in
quanto tali limiti erano vigenti fin dal 1997 ma non potevano trovare
applicazione fino alla perimetrazione delle fasce di rispetto.
Al riguardo, l’impugnato decreto 29/11/200 non si pone in contrasto con la
descritta normativa.
Infatti, gli obblighi gravanti sulle società di gestione aeroportuale in
relazione ai piani di contenimento del rumore scattano con precise cadenze
temporali a partire dall’individuazione dei confini delle aeree di rispetto, di
cui al DM 31/10/1997 (art.2, comma 2, lett. c), dell’impugnato DM).
In assenza della perimetrazione delle fasce, pertanto, non scatta alcun obbligo,
non essendo possibile verificare l’eventuale superamento dei valori limite.
L’impugnato decreto risulta quindi pienamente conforme alla normativa in vigore
ed anche all’interpretazione della stessa sostenuta dalle società ricorrenti
(ed, in particolare, alla relazione tecnica del Prof. Sestrieri e dell’Ing.
Giampietro, prodotta dalla Aeroporti di Roma).
Il ricorso di primo grado deve essere, quindi, respinto sul punto, benché con
motivazione parzialmente diversa rispetto a quella contenuta nell’impugnata
sentenza.
4. Il secondo motivo dei ricorsi in appello riguarda la questione della
previsione di obblighi di accantonamento di risorse finanziarie da destinare
all’adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore in assenza
di un accertato superamento dei limiti.
L’art. 6 dell’impugnato decreto prevede che “Le società e gli enti gestori dei
servizi pubblici di trasporto e delle relative infrastrutture comunicano entro
il 31 marzo di ogni anno, e comunque entro tre mesi dall'entrata in vigore del
presente decreto, al Ministero dell'ambiente e alle regioni e ai comuni
competenti, anche al fine del controllo dell'applicazione delle disposizioni in
materia di accantonamento delle risorse finanziarie di cui all'art. 10, comma 5,
della legge n.447/1995: a) l'entità dei fondi accantonati annualmente e
complessivamente a partire dalla data di entrata in vigore della legge n.447/1995;
b) lo stato di avanzamento fisico e finanziario dei singoli interventi previsti,
comprensivo anche degli interventi conclusi”.
Il richiamato art. 10, comma 5 prevede che “le società e gli enti gestori di
servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, nel caso di
superamento dei valori di cui al comma 2, hanno l'obbligo di predisporre e
presentare al comune piani di contenimento ed abbattimento del rumore, secondo
le direttive emanate dal Ministro dell'ambiente con proprio decreto entro un
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Essi devono indicare
tempi di adeguamento, modalità e costi e sono obbligati ad impegnare, in via
ordinaria, una quota fissa non inferiore al 7 per cento dei fondi di bilancio
previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture
stesse per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore.”
Si osserva che l’impugnato decreto si limite a prevedere la comunicazione dei
fondi accantonati in applicazione di una norma di rango superiore.
La necessità, o meno, di accantonare fondi per il risanamento acustico in
assenza del superamento dei limiti non deriva quindi dal decreto impugnato, ma
costituisce una questione di interpretazione dell’art. 10, comma 5, della legge
n. 447/1995.
Tuttavia, appare chiaro che con l’impugnato decreto, nel prevedere l’obbligo di
comunicare i fondi accantonati a partire dalla data di entrata in vigore della
legge, il Ministero abbia presupposto che l’obbligo di accantonamento scatta a
prescindere dall’effettiva verifica del superamento dei limiti acustici.
E questo è il significato della legge, tenuto conto delle chiare espressioni
letterali ( “sono obbligati” “in via ordinaria”).
Del resto, il termine “Essi”, contenuto nella norma deve essere riferito alle
società aeroportuali, e non ai piani di contenimento, come sostenuto dalle
ricorrenti, in quanto solo le società possono essere il soggetto passivo di un
obbligo di accantonare fondi in bilancio.
Ogni questione sulla ragionevolezza di tale obbligo anche in assenza del
superamento dei limiti è estranea all’oggetto del presente giudizio, con cui le
società ricorrenti hanno impugnato una disposizione che si limita, come detto, a
prevedere la comunicazione dei fondi accantonati.
Anche il secondo motivo dei ricorsi è quindi infondato.
5. Con il terzo motivo le società ricorrenti lamentano l’irragionevolezza e la
disparità di trattamento tra i diversi operatori del trasporto della previsione
secondo cui gli obiettivi di risanamento previsti dal piano di contenimento e
abbattimento del rumore devono essere conseguiti dagli aeroporti entro 5 anni,
mentre per gli altri settori del trasporto tale termine è di 15 anni.
Il motivo è privo di fondamento.
Non sussiste alcuna disparità di trattamento in quanto il diverso termine è
stato previsto per il conseguimento degli obiettivi di risanamento in presenza
di situazioni profondamente differenti, quali un intervento, sicuramente
complesso, ma circoscritto, come quello posto a carico delle società di gestione
aeroportuale, rispetto ad un intervento più esteso gravante sui gestori di
servizi di trasporto, quali ferrovie e strade, che si sviluppano sull’intero
territorio nazionale o interessano più regioni e/o più comuni.
Inoltre, i rispettivi termini di 5 e di 15 anni non sono omogenei e
paragonabili, perché mentre il termine di 15 anni deve essere calcolato in base
ad una serie di scadenze temporali, che iniziano a decorrere con l’entrata in
vigore della legge n.4547/1995, il differente termine di 5 anni decorre per le
società aeroportuali da scadenze il cui termine iniziale decorre dalla
perimetrazione della fasce aeroportuali, di cui si è detto in precedenza.
Infine, la possibilità di proroga del termine da parte delle Regioni comporta
che l’eventuale inidoneità del termine concretamente assegnato per il
risanamento potrà essere successivamente contestato dalle singole società
aeroportuali.
6. E’ infondata anche l’ultima censura, relativa alla dedotta irragionevolezza
della previsione di una attività di risanamento congiunta di più gestori, non
coordinata con il menzionato diverso termine cronologico per la realizzazione
dei piani di risanamento.
Come appena evidenziato, la diversa decorrenza dei termini previsti per gestori
diversi può comportare che in concreto le date entro cui portare a termine il
piano di risanamento potrebbero anche coincidere o non essere profondamente
differenti.
La previsione di una attività congiunta di risanamento non risulta essere quindi
irragionevole e le possibili difficoltà lamentate dalle società ricorrenti
costituiscono un aspetto esecutivo, che non attiene alla legittimità
dell’impugnato decreto, ma alla sua futura fase applicativa.
Peraltro, anche in questo caso è previsto un intervento delle Regioni al fine di
indicare priorità diverse nell’esecuzione dei piani di risanamento in modo da
assicurare quella coincidenza temporale di esecuzione dei piani di risanamento
aeroportuali con quelli delle altre infrastrutture.
Infine, la diversità dei criteri di misurazione del rumore aeroportuale(espresso
in Lva) rispetto a quelli previsti per gli altri tipi di sorgenti (Leq), non
costituisce un impedimento all’esecuzione congiunta, né comporta la
irrazionalità del criterio di ripartizione percentuale degli oneri, essendo il
valore del rumore aeroportuale tecnicamente rapportabile ai valori espressi in
Leq (come sostenuto dal Ministero e non contraddetto dalla citata relazione
tecnica di parte, in cui il passaggio da Lva a Leq viene definito “non di facile
attuazione”, ma non impossibile).
7. In conclusione, i ricorsi in appello devono essere respinti, seppur con
motivazione parzialmente diversa rispetto a quella del giudice di primo grado
per quanto riguarda il primo motivo proposto.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe, con motivazione parzialmente diversa
rispetto a quella dell'impugnata sentenza.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2004 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Carmine VOLPE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Roberto CHIEPPA Consigliere Est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
7 Settembre 2004
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
1) Inquinamento acustico – DPCM 14/11/1997 – L. 447/1995 – Valori limite delle sorgenti sonore – Aeroporti – Mancata perimetrazione delle fasce di rispetto – Verifica del superamento dei valori limite e obbligo di predisposizione dei piani di contenimento del rumore – Inapplicabilità. Il DPCM 14/11/1997, che fissa per gli aeroporti i valori limite delle sorgenti sonore e l’art. 10, c. 5 L. 447/1995, che obbliga la predisposizione dei piani di contenimento del rumore, in caso di superamento di detti limiti, non trovano applicazione all’interno delle fasce di pertinenza delle infrastrutture di trasporti, ma solo all’esterno di esse, e solo a seguito di perimetrazione (da fissarsi con decreto attuativo, ai sensi dell’art. 3, comma 2, DPCM citato). Le fasce di rispetto (zone “A, B e C”, come da DM 31/10/1997, recante: “Metodologia di misura del rumore aeroportuale”), costituiscono delle “zone cuscinetto” per il rumore aeroportuale, dopo la cui perimetrazione diventano concretamente applicabili i limiti fissati dal DM 31/10/1997 (all’interno delle fasce) e dal DPCM 19/11/1997 (all’esterno). Pres. Schinaia, Est. Chieppa – S. S.p.A. (Avv.ti Sandulli e Riguzzi) c. Ministero dell’Ambiente (n.c.) – Conferma, con mot. parz. diversa, T.A.R. Lazio, Sez. II bis, n. 3382/2002 - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 7 settembre 2004, n. 5822
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