Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 29.04.2004, Sentenza n. 29651
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III, 29 Aprile 2004, Sentenza n. 29651
Pres. SAVIGNANO - Est. FRANCO - P.M. PASSACANTANDO - Imp. Tridici
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVIGNANO Giuseppe
-Presidente Dott. DE MAIO Guido
-Consigliere Dott. TARDINO Vincenzo
-Consigliere Dott. VANGELISTA Vittorio
-Consigliere Dott. FRANCO Amedeo
-Consigliere ha pronunciato la
seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza emessa il 13 febbraio 2003 del giudice del tribunale di
Lecce, sezione distaccata di Casarano;
udita nella Pubblica udienza del 29 aprile 2004 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento dei fatti
Il giudice del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano, con la
sentenza in epigrafe, dichiarò Tridici Claudio colpevole dei reati di cui:
a)
all’art. 25, primo comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, perchè, quale titolare
di un panificio, non aveva richiesto l’autorizzazione regionale per l’emissione
dei fumi in atmosfera ai sensi dell’art. 12 del medesimo decreto;
b) all’art. 659, secondo comma, cod. pen. per avere, nella qualità di titolare
di un panificio, disturbato le occupazioni delle persone con inquinamento
acustico mediante le attrezzature del proprio panificio.
In particolare, in ordine al reato di cui al capo A), il giudice osservò che
dagli accertamenti eseguiti era risultato che il consumo di farina giornaliera
del panificio era non superiore a 1500 Kg./g., ed aveva una potenzialità di
produzione superiore a 74 quintali di pane al giorno e che quindi si trattava di
attività a ridotto inquinamento atmosferico secondo l’allegato 2A del D.P.R. 25
luglio 1991, per la quale era necessaria l’autorizzazione regionale di cui
all’art. 12 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203.
L’imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) violazione dell’art. 25, primo
comma, DPR 24 maggio 1988, n. 203. Lamenta che il giudice ha errato nel
ritenere che egli rientrasse in quella tipologia di impianto per la quale la
legge richiede l’autorizzazione ex art. 12 d.p.R.24 maggio 1988, n. 203.
Infatti, il D.P.R. 25/7/91, include, tra le attività ad inquinamento atmosferico
poco significativo (per il cui esercizio non è richiesta autorizzazione) quella
di panetteria, pasticceria e affini con non più di 300 Kg. di farina al giorno,
e tra le attività a ridotto inquinamento atmosferico (per le quali è richiesta
autorizzazione) la panificazione con consumo di farina non superiore a Kg. 1.500
al giorno; mentre i panifici con consumo di farina superiore a Kg. 1.500 al
giorno rientrano nell’ambito dell’art. 6 del DPR 24 maggio 1988, n. 203. Ora
il giudice ha stabilito che il panificio dell’imputato rientrasse tra le
attività a ridotto inquinamento atmosferico basandosi sui risultati degli
accertamenti eseguiti, ed in particolare sulle dichiarazioni del teste Nocita,
che ha affermato essere la potenzialità dell’impianto del Tridici di ben 74
quintali di pane al giorno. Invece, ai fini del corretto inquadramento
dell’attività, il dato da considerare è quello della produzione effettiva
giornaliera di pane, anzi del consumo effettivo di farina, e non la potenzialità
astratta dell’impianto, che è un mero dato astratto inidoneo a determinare la
fascia di appartenenza dell’impianto. Negli atti non esiste alcuna prova
relativa al quantitativo di farina effettivamente consumato quotidianamente nel
panificio in questione, così che la classificazione fatta dal giudice della sua
attività è del tutto arbitraria e priva di motivazione;
b) osserva che il fatto contestatogli è quello di avere proseguito nell’esercizio dell’attività di panificazione senza aver presentato domanda di autorizzazione nel termine di un anno dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni prescritto dall’art. 12 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203. Egli però era nell’impossibilità di ottemperare a tale precetto, in quanto era subentrato nella attività di panificazione solo con l’acquisto della quota aziendale avvenuto l’8 marzo 1999, e quindi dopo un decennio dalla scadenza del termine per la presentazione della domanda;
c) quanto al reato di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen. osserva innanzitutto che nella specie, date le caratteristiche del compressore da cui proveniva il rumore, doveva escludersi la natura obiettivamente rumorosa della sua attività, con la conseguenza della rilevanza dell’indagine circa l’intensità e la tollerabilità in concreto dei rumori. In secondo luogo le emissioni rumorose accertate rendevano impossibile il disturbo di un numero indeterminato di persone, essendo percepibili solo da chi si fosse trovato nel locale contiguo. In terzo luogo non era stata superata la soglia di normale tollerabilità sia per il ridotto lasso temporale di produzione del rumore sia perchè questo era udibile solo a finestre aperte;
Motivi della decisione
Il secondo motivo, che può essere
esaminato preliminarmente, è manifestamente infondato.
L’art. 12 del D.P.R. 24
maggio 1988, n. 203 (riguardante la attuazione delle direttive CEE numeri
80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità
dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento
prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’articolo 15 della legge 16
aprile 1987, n. 183) dispone che per “tutti gli impianti che possono dar luogo
ad emissione nell’atmosfera” (v. art. 1) già esistenti “deve essere presentata
domanda di autorizzazione alla regione o alla provincia autonoma competente
entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, mentre
il successivo art. 25, secondo comma, dispone che “chi, esercitando un impianto
esistente, non presenta alle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 12, la
domanda di autorizzazione nel termine prescritto, è punito con l’arresto fino a
due anni o con l’ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni”. L’assunto
del ricorrente secondo cui tale norma non sarebbe a lui applicabile perchè egli
era nell’impossibilità di ottemperare al detto precetto in quanto era subentrato
nell’attività di panificazione in questione solo l’8 marzo 1999, e quindi dopo
un decennio dalla scadenza del termine per la presentazione della domanda, è
palesemente privo di qualsiasi pregio.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in materia
di inquinamento dell’aria, il reato di cui all’art. 25, primo comma D.P.R. 24
maggio 1988, n. 203, consistente nella mancata presentazione della domanda di
autorizzazione nel termine prescritto, continua a sussistere anche dopo la
scadenza del termine stesso, perchè l’esercizio degli impianti esistenti
richiede sempre un controllo preventivo della Regione nella forma di una
autorizzazione espressa e specifica, provvisoria o definitiva (Sez. 3^, 9 giugno
1994, Viglione, m. 199.338). Si tratta infatti di un reato omissivo che permane
sino a quando il responsabile dell’impianto esistente non presenti alla regione
- anche oltre il termine prescritto - la domanda di autorizzazione per le
emissioni atmosferiche prodotte (Sez. 3^, 14 marzo 1995, Cascone, m. 202.483;
Sez. 3^, 7 ottobre 1999, Cipriani, m. 214.989; Sez. 3^, 27 marzo 2002, Pinon, m. 221.954).
Stante la pacifica natura permanente del reato in esame, è altresì evidente come
debbano ritenersi responsabili del reato stesso anche coloro i quali abbiano
proseguito nell’esercizio dell’impianto sapendo e comunque dovendo sapere (e
controllare) chela domanda di autorizzazione non era stata presentata, a suo
tempo, con le prescritte modalità, dal precedente gestore dell’impianto stesso (Sez.
3^, 29 maggio 1996, Simonetti, m. 206.237).
E’ quindi evidente la responsabilità del prevenuto per avere proseguito nella
gestione del panificio in questione sapendo (o comunque non essendosi
colpevolmente attivato per accertare) che non era stata presentata la domanda di
autorizzazione ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 24 maggio 1988. n. 203.
Per quanto riguarda il primo motivo va ricordato che, con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989, emanato in forza dell’art. 9 della
legge 8 luglio 1986, n. 349 (recante Istituzione del Ministero dell’ambiente e
norme in materia di danno ambientale), fu emanato Atto di indirizzo e
coordinamento alle Regioni per l’attuazione e l’interpretazione del decreto del
Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, recante norme in materia di
qualità dell’aria relativamente a specifici agenti inquinanti e di inquinamento
prodotto da impianti industriali.
Questo D.P.C.M., è stato a sua volta modificato con il D.P.R. 25 luglio 1991,
recante modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento 21luglio 1989 in
materia di emissioni poco, significative e di attività a ridotto inquinamento
atmosferico.
L’art. 2 di tale D.P.R. 25luglio 1991, dispone che “le attività di cui
all’allegato 1 sono, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 1, del D.P.R.
24 maggio 1988. n. 203, attività ad inquinamento atmosferico poco significativo
ed il loro esercizio non richiede autorizzazione”.
I successivi artt. 4 e 5, invece, contengono disposizioni relative alle attività
a ridotto inquinamento atmosferico, indicando i criteri per la loro
individuazione e stabilendo, tra l’altro, all’art. 4, comma 2, che “sono,
altresì, considerate attività a ridotto inquinamento atmosferico anche quelle
che utilizzano, nel ciclo di produzione, materie prime ed ausiliarie che non
superano le quantità o i requisiti indicati nell’allegato 2 al presente decreto”,
e disponendo poi, all’art. 5, che, in conformità a quanto previsto dal punto 19
dell’atto di indirizzo e coordinamento emesso con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989, per le attività a ridotto inquinamento
atmosferico le regioni e le altre autorità di cui all’art. 17 del D.P.R. 24
maggio 1988, n. 203, possono altresì predisporre procedure specifiche anche con
modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e
le qualità delle emissioni siano deducibili dall’indicazione delle quantità di
materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo.
L’allegato 1 al detto D.P.R. 25 luglio 1991, che contiene l’elenco delle attività
ad inquinamento atmosferico poco significativo, per le quali non è richiesta
autorizzazione, contempla al n. 11 l’attività di “panetteria, pasticceria ed
affini con non più di 300 kg di farina al giorno.
L’allegato 2 al medesimo D.P.R. 25 luglio 1991, che contiene l’elenco delle
attività a ridotto inquinamento atmosferico, per le quali è invece richiesta
autorizzazione, contempla al n. 9 la attività di “panificazione, pasticceria e
affini con consumo di farina non superiore a 1.500 kg/g”.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che l’attività svolta dall’imputato
dovesse considerarsi attività a ridotto inquinamento atmosferico, e quindi
necessitante di autorizzazione, in quanto era stato accertato un consumo di
farina superiore a 300 Kg. al giorno ma inferiore ai 1.500 Kg. al giorno.
Il ricorrente contesta tale valutazione ritenendo che, nell’accertare il tipo di
attività svolta dall’imputato, il giudice si sarebbe illogicamente basato sulle
dichiarazioni del teste Nocita e sul fatto che, come era evincibile dalla
licenza rilasciata dalla camera di commercio, l’impianto del Tridici aveva una
potenzialità produttiva di 74 quintali di pane al giorno, e quindi avrebbe
erroneamente tenuto conto,della potenzialità produttiva astratta dell’impianto e
non invece della produzione effettiva giornaliera di pane, o meglio del consumo
effettivo giornaliero di farina, sul quale invece non esisteva alcuna prova.
Orbene, innanzitutto non appare esatto il presupposto interpretativo su cui si
basa il motivo, e cioè che per l’inquadramento dell’attività il giudice si
sarebbe dovuto basare sul concreto consumo giornaliero di farina e non sulla
potenzialità di consumo giornaliero di farina che aveva l’impianto. Infatti, il
citato punto 19 dell’atto di indirizzo e coordinamento emanato con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 21luglio 1989 nonchè gli art. 4, secondo
comma, e 5, secondo comma, del D.P.R. 25 luglio 1991, fanno riferimento, per
individuare le attività ad inquinamento atmosferico poco significativo e quelle
a ridotto inquinamento atmosferico, ad attività per le quali la quantità e la
qualità delle emissioni siano deducibili dalla quantità di materie prime ed
ausiliarie utilizzate nel ciclo produttivo. Sembrerebbe quindi logico, semmai,
interpretare la norma, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, nel senso
che la quantità e la qualità delle emissioni (idonee a demarcare le attività ad
inquinamento atmosferico poco significativo, per le quali non è richiesta
autorizzazione, e quelle a ridotto inquinamento atmosferico, per le quali è
invece richiesta autorizzazione rilasciabile con procedura semplificata) debbano
essere dedotte - salvo prova diversa da fornirsi da parte dell’interessato - non
dalla quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate in determinati giorni
in determinati periodi nel ciclo produttivo, ossia da un dato altamente
variabile sulla base delle più diverse e contingenti situazioni, bensì da un
dato certo e costante, rappresentato appunto della quantità di materie prime ed
ausiliarie che quel determinato impianto è potenzialmente idoneo ad utilizzare
nel ciclo produttivo.
Del resto (poiché il gestore
ben può in ogni momento utilizzare l’impianto ai massimo della sua potenzialità
produttiva) è proprio la quantità di materie prime ed ausiliarie potenzialmente
utilizzabile nel ciclo produttivo a determinare la quantità e qualità delle
potenziali emissioni dell’impianto e quindi la sua maggiore o minore idoneità e
potenzialità a provocare inquinamento atmosferico. Tutto ciò, come si è
accennato, salvo prova diversa da fornirsi da parte dell’interessato. Può
infatti ragionevolmente ritenersi che ci si debba invece riferire non alle
quantità di materie prime ed ausiliarie che l’impianto è potenzialmente idoneo
ad utilizzare nel ciclo produttivo ma alle minori quantità effettivamente
utilizzate in concreto allorchè l’interessato fornisca la prova che, nonostante
una maggiore potenzialità produttiva, quel determinato impianto in concreto e
normalmente non superi, in nessuna occasione, una diversa ed inferiore quantità
giornaliera di materie prime ed ausiliarie utilizzate.
Nel caso di specie, quindi, non avendo l’imputato fornito la prova, e del resto
nemmeno allegato, che il suo impianto in concreto utilizzava normalmente una
diversa e minore quantità di farina, iI giudice ben avrebbe potuto considerare,
ai fini della qualificazione dell’impianto, il dato rappresentato dalla
potenzialità produttiva di 74 quintali di pane al giorno, e quindi non
comprendere l’impianto de quo nemmeno tra quelli a ridotto inquinamento
atmosferico. Il giudice di primo grado, invece, si è attenuto ad una diversa
interpretazione, molto più favorevole all’imputato, poichè ha qualificato
l’impianto come attività a ridotto inquinamento atmosferico, in considerazione
non già della sua potenzialità di produzione, bensì - pur in mancanza di una
qualsiasi prova contraria da parte dell’imputato - del consumo effettivo di
farina che, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato,
e quindi non censurabile in questa sede, ha fissato in una quantità inferiore ai
1.500 Kg. al giorno, ma superiore a 300 Kg. al giorno, sulla base degli
accertamenti compiuti dal teste Nocita. Costui infatti aveva dichiarato di avere
accertato che la produzione giornaliera di pane da parte dell’imputato si
aggirava intorno agli 8 - 9 quintali al giorno, e che, poichè con 100 Kg. di
farina si ottengono mediamente 120 Kg. di pane, doveva ritenersi che il consumo
di farina giornaliero dovesse valutarsi in circa 650 - 700 Kg. E’ evidente che
se invece il giudice - in mancanza di una prova contraria - avesse considerato la
potenzialità produttiva dell’impianto, accertata in 74 quintali al giorno sulla
base di quanto risultante dalla licenza della camera di commercio, il consumo di
farina giornaliero avrebbe dovuto essere calcolato in una quantità di gran lunga
maggiore e l’impianto in questione non avrebbe potuto essere qualificato nemmeno
come impianto a ridotto inquinamento atmosferico, e come tale ammesso alle
procedure di autorizzazione semplificate.
Il primo motivo deve dunque essere respinto.
Per quanto concerne il terzo motivo, va preliminarmente osservato che
all’imputato è stato contestato il reato di cui all’art. 659, secondo comma,
cod. pen. per avere esercitato un mestiere rumoroso contro le disposizioni della
legge o le prescrizioni dell’autorità, avendo il compressore utilizzato dal
panificio causato un inquinamento acustico superiore al valore previsto dalla
normativa vigente. E per tale reato, ossia per la ipotesi di cui al secondo
comma dell’art. 659 cod. pen. l’imputato è stato condannato, avendo il giudice
di primo grado ritenuto irrilevante l’accertamento della concreta intensità e
tollerabilità del rumore provocato e del numero di persone potenzialmente
investite dal rumore stesso, posto che, relativamente alla fattispecie in
questione, l’evento perturbante è presunto iuris ed de iure sulla base del solo
esercizio del mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le
prescrizioni della autorità.
Senonchè, la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ha da tempo affermato il
principio in base al quale, poichè l’art. 10, comma secondo, della legge n. 447
del 1995 (c.d. legge quadro sull’inquinamento acustico) punisce con sanzione
amministrativa “chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o
mobile di emissioni sonore, supera i valori di emissione e di immissione di cui
all’art. 2, comma primo, lettere e) ed f), fissati in conformità al disposto
dell’ari. 3, comma primo, lett. a)”, stabilendo un limite, oltre il quale
l’inquinamento acustico è presunto, mentre l’art. 659, comma secondo, cod pen.,
punisce “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le
disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità”, data l’identità della
situazione considerata dalla norma del codice penale e di quella sanzionata in
via amministrativa (peraltro di contenuto più ampio, in quanto riferita a
“chiunque”, e non solo a chi eserciti professioni o mestieri per loro natura
fonti di rumore), la fattispecie prevista da quest’ultima disposizione - almeno
limitatamente “alle prescrizioni della autorità” - si presenta come disposizione
speciale ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che, in
concorrenza con norma penale regolatrice del medesimo fatto, deve essere
applicata a preferenza di quella generale (Sez. l^, 19 giugno 1997, Sansalone,
m. 208.495; Sez. l^, 21 gennaio 1997, Marasco Petromilli, m. 206.992).
La disposizione di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen. deve pertanto
ritenersi parzialmente depenalizzata, in forza del principio di specialità di
cui all’art. 9 legge 24 novembre 1981, n. 689, almeno limitatamente alla
condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni
sonore derivanti dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi (Sez. 1^, 3
marzo 1998, Herpel, m. superamento dei limiti di emissione del rumore stabiliti
dal D.P.C.M 1^ marzo 1991 (Sez. l^, 26 marzo 1998, Girolimetti, m. 210.425),
costituendo tale condotta l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, secondo
comma, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995 (Sez. l^, 18
marzo 1999, De Mitri, m. 213.461).
Residua invece un circoscritto ambito di applicazione della norma penale di cui
all’art. 659, secondo comma, cod pen. ai soli casi di violazione, nell’esercizio
di professioni o mestieri rumorosi, di tutte le disposizioni o prescrizioni
diverse da quelle disciplinanti limiti di emissioni o immissioni sonore (ad es.,
orari consentiti, adozione di particolari accorgimenti e simili) (Sez. l^, 8
novembre 2002, Romanisio, m. 222.946; Sez. l^, 8 marzo 1998, Herpel, m.210.237;
Sez. l^, 4 luglio 1997, Vita, m. 208.578).
Nel caso di specie l’addebito riguardava esclusivamente il superamento dei
limiti di emissione del rumore previsti dalla normativa vigente, e quindi il
fatto integrava il solo illecito amministrativo di cui all’art. 10, secondo
comma, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente
all’imputazione di cui al capo B) (art. 659, secondo comma. cod pen.) perchè
il fatto non è più previsto dalla legge come reato. L’annullamento può essere
pronunciato senza rinvio perchè questa Corte può procedere direttamente
all’eliminazione della relativa pena fissata dal giudice del merito in Euro
50,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui
al capo B) perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la
relativa pena di Euro 50,00.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile
2004.
Inquinamento atmosferico - Disciplina applicabile in materia di inquinamento e qualità dell’aria - Mancata presentazione della domanda di autorizzazione nei termine - Scadenza del termine - Art. 25, 1 c. D.P.R. n. 203/1988 - Configurabilità - Reato omissivo - Permanenza - Esercizio degli impianti esistenti - Fattispecie: proseguimento nella gestione di un panificio in assenza di autorizzazione. In tema d'inquinamento atmosferico, l’art. 12 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (riguardante la attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’articolo 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183) dispone che per “tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell’atmosfera” (v. art. 1) già esistenti “deve essere presentata domanda di autorizzazione alla regione o alla provincia autonoma competente entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, mentre il successivo art. 25, secondo comma, dispone che “chi, esercitando un impianto esistente, non presenta alle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 12, la domanda di autorizzazione nel termine prescritto, è punito con l’arresto fino a due anni o con l’ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni”. Sicché, il reato di cui all’art. 25, primo comma D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, consistente nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione nel termine prescritto, continua a sussistere anche dopo la scadenza del termine stesso, perchè l’esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un controllo preventivo della Regione nella forma di una autorizzazione espressa e specifica, provvisoria o definitiva (Sez. 3^, 9 giugno 1994, Viglione, m. 199.338). Si tratta infatti di un reato omissivo che permane sino a quando il responsabile dell’impianto esistente non presenti alla regione - anche oltre il termine prescritto - la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte (Sez. 3^, 14 marzo 1995, Cascone, m. 202.483; Sez. 3^, 7 ottobre 1999, Cipriani, m. 214.989; Sez. 3^, 27 marzo 2002, Pinon, m. 221.954). Stante la pacifica natura permanente del reato in esame, è altresì evidente come debbano ritenersi responsabili del reato stesso anche coloro i quali abbiano proseguito nell’esercizio dell’impianto sapendo e comunque dovendo sapere (e controllare) chela domanda di autorizzazione non era stata presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente gestore dell’impianto stesso (Sez. 3^, 29 maggio 1996, Simonetti, m. 206.237). Nella specie, è stata riconosciuta la responsabilità di un panettiere per avere proseguito nella gestione del panificio sapendo (o comunque non essendosi colpevolmente attivato per accertare) che non era stata presentata la domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 24 maggio 1988. n. 203. Pres. Savignano - Est. Franco - P.M. Passacantando - Imp. Tridici (annulla limitatamente, Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 aprile 2004, sentenza n. 29651
Inquinamento acustico - Esercizio di professioni o mestieri rumoroso - Legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995 - Art. 659 c.p. - Parziale depenalizzazione - Fattispecie: attività di panificazione, esercizio di mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità, avendo il compressore utilizzato dal panificio causato un inquinamento acustico superiore al valore previsto dalla normativa vigente. In materia d'inquinamento acustico, la giurisprudenza ha affermato il principio in base al quale, poichè l’art. 10, comma secondo, della legge n. 447 del 1995 (c.d. legge quadro sull’inquinamento acustico) punisce con sanzione amministrativa “chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori di emissione e di immissione di cui all’art. 2, comma primo, lettere e) ed f), fissati in conformità al disposto dell’ari. 3, comma primo, lett. a)”, stabilendo un limite, oltre il quale l’inquinamento acustico è presunto, mentre l’art. 659, comma secondo, cod pen., punisce “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità”, data l’identità della situazione considerata dalla norma del codice penale e di quella sanzionata in via amministrativa (peraltro di contenuto più ampio, in quanto riferita a “chiunque”, e non solo a chi eserciti professioni o mestieri per loro natura fonti di rumore), la fattispecie prevista da quest’ultima disposizione - almeno limitatamente “alle prescrizioni della autorità” - si presenta come disposizione speciale ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che, in concorrenza con norma penale regolatrice del medesimo fatto, deve essere applicata a preferenza di quella generale (Sez. l^, 19 giugno 1997, Sansalone, m. 208.495; Sez. l^, 21 gennaio 1997, Marasco Petromilli, m. 206.992). La disposizione di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen. deve pertanto ritenersi parzialmente depenalizzata, in forza del principio di specialità di cui all’art. 9 legge 24 novembre 1981, n. 689, almeno limitatamente alla condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi (Sez. 1^, 3 marzo 1998, Herpel, m. superamento dei limiti di emissione del rumore stabiliti dal D.P.C.M 1^ marzo 1991 (Sez. l^, 26 marzo 1998, Girolimetti, m. 210.425), costituendo tale condotta l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, secondo comma, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995 (Sez. l^, 18 marzo 1999, De Mitri, m. 213.461). Residua invece un circoscritto ambito di applicazione della norma penale di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen. ai soli casi di violazione, nell’esercizio di professioni o mestieri rumorosi, di tutte le disposizioni o prescrizioni diverse da quelle disciplinanti limiti di emissioni o immissioni sonore (ad es., orari consentiti, adozione di particolari accorgimenti e simili) (Sez. l^, 8 novembre 2002, Romanisio, m. 222.946; Sez. l^, 8 marzo 1998, Herpel, m.210.237; Sez. l^, 4 luglio 1997, Vita, m. 208.578). Fattispecie: all’imputato è stato contestato il reato di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen. per avere esercitato un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità, avendo il compressore utilizzato dal panificio causato un inquinamento acustico superiore al valore previsto dalla normativa vigente. Ma, riguardando l’addebito esclusivamente il superamento dei limiti di emissione del rumore previsti dalla normativa vigente, il fatto ha integrato il solo illecito amministrativo di cui all’art. 10, secondo comma, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447/1995.Pres. Savignano - Est. Franco - P.M. Passacantando - Imp. Tridici (annulla limitatamente, Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 aprile 2004, sentenza n. 29651
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