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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione VI del 26 maggio 2003, Sentenza n. 2387.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso in appello n. 3952/1997, proposto dal Consiglio regionale della federazione italiana della caccia quale organo gestore delle riserva di caccia di diritto nella Regione Friuli Venezia Giulia, e dalla Riserva di caccia di diritto di Sauris, in persona dei rispettivi rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dagli avvocati Romeo Bianchin e Orlando Sivieri, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ ultimo, in Roma, piazza della Libertà, n. 13;
contro
Comune di Sauris, in persona del Sindaco in carica,, rappresentato e difeso dall’avv. Silvio Beorchia, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Vincenzo Colacino, in Roma, via N. Ricciotti, n. 9;
e nei confronti di
Federazione italiana della caccia- sezione di Udine, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, 23 aprile 1996, n. 375, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003 il consigliere Rosanna De Nictolis e udito l'avvocato Colacino per il Comune appellato;
ritenuto e considerato quanto segue.


FATTO E DIRITTO


1. Il Sindaco del Comune di Sauris, nell’asserito esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, adottava il provvedimento 4 agosto 1995, prot. 3959, con cui, a tutela dell’incolumità pubblica, vietava l’esercizio della caccia al capriolo nella riserva di caccia di diritto di Sauris, per il periodo dal 4 agosto al 15 settembre 1995.
Avverso tale provvedimento insorgevano gli odierni appellanti, deducendo l’incompetenza del Comune ad adottare provvedimenti in materia di caccia e l’insussistenza, in concreto, di una situazione contingibile e urgente che giustificasse il divieto di caccia.


2. Il T.A.R. adito, con la sentenza in epigrafe, dichiarava il ricorso inammissibile in base al duplice rilievo che:
le riserve di caccia di diritto nella Regione Friuli Venezia Giulia sarebbero <<organi regionali>>, che possono agire in giudizio solo a mezzo del Presidente della Giunta regionale;
difetterebbe l’interesse al ricorso in quanto il provvedimento inibitorio della caccia esauriva i suoi effetti il 15 settembre 1995.


3. Hanno interposto appello gli originari ricorrenti osservando che:
sussiste la legittimazione ad agire in giudizio, in quanto in base alla L.R. F.V.G. 11 luglio 1969, n. 13, l’organo regionale della Federazione italiana della caccia è il soggetto gestore delle riserve di caccia di diritto;
sussiste l’interesse al ricorso, anche quando il provvedimento ha esaurito i suoi effetti, sia per le conseguenze risarcitorie, sia per ottenere un’affermazione di principio dell’illegittimità dell’operato dell’amministrazione, al fine di impedire la reiterazione di provvedimenti futuri di identico contenuto;
nel merito, vengono riproposte le censure di cui al ricorso di primo grado.


4. Ritiene il Collegio che vadano riconosciuti sia la legittimazione che l’interesse al ricorso degli appellanti, e che tuttavia il ricorso di primo grado sia infondato nel merito.


4.1. Quanto alla legittimazione al ricorso, il Collegio non condivide la ricostruzione operata dal giudice di prime cure, secondo cui le riserve di caccia di diritto sarebbero organi regionali.
Invero, la L.R. F.V.G. 11 luglio 1969, n. 13, costituisce taluni territori regionali in riserve di caccia di diritto, e ne affida la gestione agli organi regionali della Federazione italiana della caccia (art. 3). Viene prevista l’emanazione di un regolamento di esecuzione, che dovrà determinare <<le modalità per la assegnazione del numero massimo di soci in ogni riserva di diritto in rapporto alla superficie cacciabile ed alla situazione faunistica, nonché i criteri per la fissazione delle quote associative>> (art. 10).
E’ chiaro l’intento del legislatore regionale di configurare le riserve di caccia non come organi regionali, bensì come enti associativi tra i cacciatori, posto che:
in ogni riserva è previsto un numero massimo di soci;
gli stessi pagano quote associative;
la gestione delle riserve è affidata ad un organo di un soggetto privato, esponenziale dei cacciatori, vale a dire la Federazione italiana della caccia.
Solo per completezza il Collegio osserva che l’opzione per la natura associativa delle riserve di caccia, già desumibile, in via esegetica, dalla L. n. 13/1969, è esplicitata dalla successiva L.R.F.V.G. 31 dicembre 1999, n. 30, che qualifica le riserve di caccia come associazioni senza fini di lucro costituite da cacciatori.
Dalla natura giuridica associativa delle riserve di caccia, e dalla circostanza che la loro gestione fosse affidata, dalla L.R. n. 13/1969, alla Federazione italiana della caccia, ne discende la legittimazione di tale ente ad impugnare i provvedimenti che incidono sull’esercizio della caccia nel territorio delle riserve da essa gestite.
Non senza considerare un ulteriore profilo di legittimazione attiva della Federazione della caccia, quale ente esponenziale dei cacciatori, a dolersi dei provvedimenti, quale quello nella specie, limitativi dell’esercizio della caccia e dunque lesivi dell’interesse dei cacciatori (in tal senso v. C. Stato, sez. VI, 10 agosto 1999, n. 1022: <<La federazione italiana della caccia è legittimata a ricorrere contro i provvedimenti concernenti la cattura di animali vivi destinati all’utilizzazione quali animali da richiamo nell’esercizio della caccia da appostamento; la cattura di tali animali costituisce infatti attività finalizzata all’attività venatoria in senso stretto, strumentale all’interesse dei cacciatori di cui la federazione anzidetta è ente esponenziale>>).


4.2. Quanto all’interesse a ricorrere, e al suo permanere al momento della decisione, in caso di provvedimento temporaneo che ha nel frattempo esaurito i suoi effetti, osserva il Collegio che nel caso specifico il permanere dell’interesse non può essere negato in base al duplice rilievo che:
anche a fronte di provvedimenti temporanei che hanno nel frattempo esaurito i propri effetti permane l’interesse alla decisione del ricorso, in vista dell’eventuale tutela risarcitoria per equivalente;
a fronte di provvedimenti temporanei che hanno nel frattempo esaurito i propri effetti permane l’interesse alla decisione del ricorso ove si tratti di provvedimenti <<ripetibili>> che possono nuovamente essere adottati in futuro, sicché vi è l’interesse all’affermazione di principio dell’illegittimo agire dell’amministrazione, onde prevenire la futura adozione di provvedimenti di identico contenuto.


4.3. Passando all’esame del merito del ricorso di primo grado, lo stesso va ritenuto infondato.
A norma dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, in vigore all’epoca dei fatti: <<2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica>>.
Nel caso di specie, il provvedimento sindacale è motivato dall’esigenza di tutelare l’incolumità pubblica, durante il periodo estivo, in quanto dalle risultanze istruttorie emergeva che i turisti presenti nella zona venivano turbati e disturbati dall’esercizio della caccia al capriolo, che, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, non avveniva solo nelle prime ore del mattino e nelle ore successive al crepuscolo, ma dalla prime ore dell’alba continuativamente fino a due ore dopo il tramonto, secondo quanto consentito dalla L.R. F.V.G. 15 giugno 1987, n. 14.
Né può condividersi l’assunto di parte appellante secondo cui tale potere non poteva essere esercitato perché già l’art. 6, ult. co. L.R. n. 14 del 1987 prevede la competenza dei Presidenti delle amministrazioni provinciali, in caso di eccezionali e speciali circostanze, e a vietare la caccia selettiva per determinate specie.
Vero è che il potere sindacale di ordinanza contingibile e urgente è un potere extra ordinem esercitabile solo in difetto di altri specifici rimedi, tuttavia:
da un lato, il potere delle amministrazioni provinciali di cui all’art. 6, L.R. n. 14 del 1987, di vietare la caccia per determinate specie, è imposto a tutela degli interessi connessi con la caccia, e dunque non incide sui poteri sindacali a tutela dell’incolumità pubblica;
dall’altro lato, la residualità del potere sindacale va interpretata nel senso che il potere può essere esercitato anche quando, pur essendovi in astratto altri rimedi, l’urgenza è tale da non consentire di ricorrere agli stessi.
Neppure va condiviso l’assunto di parte appellante della insufficiente motivazione del provvedimento impugnato, per insussistenza, in concreto, di una situazione contingibile e urgente.
Il provvedimento è infatti motivato con riferimento alla circostanza che nel periodo estivo vi era nel Comune di Sauris una rilevante presenza di turisti, messi in pericolo dall’esercizio quotidiano della caccia. Tale esercizio era autorizzato durante l’intera giornata, e non solo all’alba e dopo il tramonto, come sostenuto da parte appellante.
Né è sufficiente ad escludere il pericolo la circostanza che la caccia al capriolo avviene senza cani, e solo da parte di tiratori specializzati, perché non sono solo i cani a creare pericolo per l’incolumità, né è sufficiente la particolare competenza dei cacciatori, ad impedire l’errore umano nell’uso delle armi, errore che può essere fatale in situazioni di particolare affollamento della zona a causa della presenza di turisti.
In conclusione, va riconosciuto il potere del Sindaco a vietare l’esercizio della caccia per un limitato periodo di tempo e in una zona circoscritta, con ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, a tutela dell’incolumità pubblica (in termini, T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 18 settembre 1991, n. 1368), e, in particolare, della salute dei turisti della zona in un determinato periodo dell’anno, ove l’urgenza sia tale da non consentire il ricorso tempestivo ad altri rimedi.


5. Per quanto esposto, va respinto il ricorso di primo grado.
Le spese di entrambi i gradi di lite possono essere compensate in considerazione della novità delle questioni.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 febbraio 2003, con la partecipazione di:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Pietro FALCONE Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere Est.


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Caccia - potere del Sindaco a vietare l’esercizio della caccia con ordinanza contingibile e urgente - legittimità - tutela dell’incolumità pubblica dei turisti di una zona in un determinato periodo dell’anno. Va riconosciuto il potere del Sindaco a vietare l’esercizio della caccia per un limitato periodo di tempo e in una zona circoscritta, con ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 38, co. 2, L. 8 giugno 1990, n. 142, a tutela dell’incolumità pubblica (in termini, T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 18 settembre 1991, n. 1368), e, in particolare, della salute dei turisti della zona in un determinato periodo dell’anno, ove l’urgenza sia tale da non consentire il ricorso tempestivo ad altri rimedi. Consiglio di Stato, Sezione VI del 26/05/2003, Sentenza n. 2387
 

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