La nozione giuridica di rifiuto:
Una teoria a confronto
Prof. Renato Federici.
Audizione
del professore associato di diritto amministrativo e di diritto minerario presso
l'università La Sapienza di Roma, Renato Federici.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professore associato di
diritto amministrativo e di diritto minerario presso l'università La Sapienza
di Roma, Renato Federici. La Commissione intende verificare lo stato di
attuazione delle normative vigenti in materia di gestione e smaltimento dei
rifiuti. In particolare, nella giornata odierna, si è convenuto di proseguire
nella serie di audizioni programmate in merito alle problematiche inerenti alla
definizione normativa della nozione di «rifiuto».
L'audizione del professore di diritto amministrativo e di diritto minerario
presso l'università La Sapienza di Roma, Renato Federici, potrebbe costituire
un utile contributo al fine di acquisire ulteriori dati ed elementi informativi
sulle diverse problematiche che ineriscono alla questione dell'esatta
definizione giuridica della categoria dei rifiuti.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata,
do la parola al professor Federici, riservando eventuali domande dei colleghi
della Commissione al termine del suo intervento.
RENATO FEDERICI, Professore associato di diritto amministrativo e di diritto minerario presso l'università La Sapienza di Roma. Signor presidente, ringrazio innanzitutto la Commissione per l'invito che mi è stato rivolto; per me è un grande onore partecipare a questa riunione, per la quale ho predisposto una relazione, che non leggerò ma che, se lo riterrete opportuno, potrò lasciare agli atti della Commissione.
PRESIDENTE. L'acquisiremo con piacere.
RENATO
FEDERICI, Professore associato di diritto amministrativo e di diritto
minerario presso l'università La Sapienza di Roma. In questo documento
vengono riportati, in forma abbastanza analitica, i concetti fondamentali
intorno ai quali ci si deve muovere per comprendere il concetto giuridico di
rifiuto. Noi conosciamo la definizione data dalle autorità europee attraverso
le direttive: i rifiuti sarebbero quelle sostanze o quegli oggetti di cui il
detentore o il titolare si devono disfare, si stanno disfacendo, hanno l'obbligo
di disfarsi o hanno deciso di disfarsi. Il concetto è quello del «disfarsi».
Molta giurisprudenza, sia italiana sia e soprattutto comunitaria, gira intorno a
tale definizione, non riuscendo ad andare oltre una descrizione di questa
formula, che in sé potrebbe essere anche azzeccata - non dico che lo sia -,
perché descrive il momento in cui il titolare del rifiuto decide di fare
qualcosa, e lo sta facendo nel senso che si sta disfacendo di un oggetto, per
esempio sta gettando i rifiuti urbani nell'apposito cassonetto, ha deciso di
disfarsi della batteria usata, del frigorifero ormai inservibile oppure
dell'autovettura non più funzionante. Ed allora dovrà assumere tutti gli
obblighi relativi. Il termine «obblighi» è quello che ci aiuterà.
Il detentore di una sostanza o di un oggetto che non gli è più utile e che non
riesce a vendere perché nessuno ritiene la cosa di valore ed utile ha in mano
un rifiuto, che non può gettare come e dove vuole, che non può abbandonare
liberamente. A seconda del tipo di rifiuto dovrà assumersi degli obblighi e dei
costi per dismetterlo in forma corretta. Se possiede un frigorifero non lo può
lasciare in mezzo alla strada, ma non può neanche depositarlo in un luogo
qualsiasi: dovrà chiamare gli addetti dell'apposito servizio che si occupano di
quel genere di oggetti, che lo dismetteranno nel modo adeguato. Lo stesso vale
per gli oli esausti, per gli elettrodomestici e per gli oggetti e le sostanze che, a seguito del loro deterioramento, non
sono più utili e quindi vengono considerati rifiuti.
Una prima critica alla
definizione assunta dalla Comunità europea attraverso le sue direttive, in
particolare la n. 91/156, ed a quella raccolta dal legislatore italiano, che non
ha fatto altro che copiarla, è che quella definizione in sé descrive un fenomeno
che poi non è stato compreso nella sua essenza. Infatti, l'essenza del rifiuto è
quella di essere una cosa - spiegherò tra poco ciò che intendo per cosa - che
non è più oggetto di diritti, ma che lo è stata: era un frigorifero, che ho
acquistato e poi usato per dieci o quindici anni, che oggi non è più riparabile
e non più utilizzabile; dunque, ho deciso di disfarmene. Nel momento in cui
decido di disfarmene e di comprarne uno nuovo, per quello vecchio, ammesso che
non lo voglia più detenere in quanto non più funzionante, sono obbligato a
seguire la procedura prevista dall'ordinamento: devo consegnarlo al servizio
pubblico di raccolta di quel materiale, che verrà a ritirarlo e mi farà pagare
una certa somma (qualche volta il servizio è gratuito). In sostanza, non posso
abbandonarlo dove e come voglio. Lo stesso discorso vale per le batterie
esaurite, gli oli esausti dei motori e via dicendo.
Il concetto base
dell'ordinamento giuridico è quello contenuto nell'articolo 810 del codice
civile, per il quale sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.
Le cose che non possono formare oggetto di diritti non sono beni. Dunque, vi è
una distinzione innanzitutto tra cosa e bene, perché i concetti non si
equivalgono, sono profondamente diversi. Nell'articolo 810 questo è chiaro,
mentre in altre disposizioni del codice civile i due termini vengono usati come
sinonimi; non si tratta di un uso corretto, anzi è ampiamente criticato, e
nella relazione che metto a vostra disposizione ne do prova. Partendo da questo
concetto base, l'abitazione, il fondo agricolo, l'autovettura, il telefonino,
sono cose materiali che rappresentano dei beni perché su di essi è possibile
stabilire un rapporto di diritto tipico, quello di proprietà; non è l'unico,
ma è il diritto fondamentale. Potrebbe anche trattarsi di un diritto di
proprietà pubblica: basti pensare ai beni demaniali, come le spiagge, il
demanio idrico - fiumi e laghi -, tutti beni in quanto cose oggetto di
proprietà, in questo caso pubblica. Qual è la cosa che non è bene? Pensiamo
al sole e alla luna: si tratta di cose che esistono, di cose materiali, ma che
non sono oggetto di proprietà. Su questi concetti mi sono soffermato studiando
un'altra cosa che non era un bene, il sottosuolo. Il fondo agricolo è
senz'altro un bene, perché è oggetto di proprietà, ed i giacimenti minerari
contenuti nel sottosuolo o anche in superficie sono senza dubbio beni, in quanto
sono oggetto di proprietà, pubblica o privata (le miniere sono pubbliche, le
cave sono private, le acque sotterranee sono beni pubblici). Nel sottosuolo
esistono anche i beni archeologici. Sono tutte cose che, essendo oggetto di
proprietà, pubblica o privata, sono beni; però il sottosuolo in se stesso,
quello che regge il suolo, è oggetto di sovranità, ma non è oggetto di
particolare proprietà, non essendo del proprietario fondiario. Qui esiste una
teoria che risale a Jheriing, che è stato uno dei più grandi giuristi
dell'800, il quale si trovò a dover risolvere una questione all'epoca
importantissima, come è per noi quella dei rifiuti: le ferrovie dovevano
passare nel sottosuolo, sotto una collinetta, ed il proprietario fondiario
voleva essere risarcito del danno della proprietà che gli veniva sottratta.
Egli affermò, sconvolgendo in un certo senso il vecchio brocardo, che alcuni
facevano risalire al diritto romano, che il proprietario fondiario lo era usque
ad inferos, dicendo che invece il proprietario è padrone del fondo fino
dove arriva il suo interesse concreto; in sostanza, non avendo nel sottosuolo un
pozzo o una cantina, non è necessario un indennizzo.
Questa tesi è stata accolta da tutte le legislazioni moderne, dal codice
svizzero a quello tedesco fino a quello italiano, all'articolo 840 del codice
civile. Questo è semplicemente un ricordo storico. Il sottosuolo dunque non è
un bene, sicuramente è una cosa che non è oggetto di sovranità: infatti, se
costruisco una ferrovia per unire Campione d'Italia, che si trova in territorio
svizzero, al nostro paese, non c'è bisogno di ottenere l'autorizzazione del
proprietario dei terreni, ma in questo caso occorre l'autorizzazione dello Stato
sovrano. Lo stesso vale se si volesse costruire un tunnel sotto la Città del
Vaticano per aprire una stazione della metropolitana (che potrebbe anche essere
comoda per questo Stato): in ogni caso la sovranità si estende nel sottosuolo
per una profondità che potrebbe arrivare fin dove arriva lo stato solido e poi
comincia quello liquido, altrimenti, come si dice, al centro della terra. Questo
per quanto riguarda la sovranità, mentre la proprietà arriva fin dove esiste
un interesse concreto del proprietario fondiario. Tutto quello che è al di
sotto quindi è una cosa, che però non è un bene; possono esistere delle cose
che non sono beni, ed una di queste è il sottosuolo. Altri esempi di scuola
sono rappresentati dalle piccole cose che si trovano per terra, come i
sassolini, che sono quasi insignificanti. Poi esistono cose che non sono neanche
oggetto di sovranità, come ho detto in precedenza: il sole, la luna e via
dicendo.
Abbiamo dunque due categorie: in primo luogo i beni, le cose oggetto di diritti,
come quello della proprietà pubblica o privata oppure collettiva; per esempio
l'aria che respiriamo, una cosa indispensabile, è un bene che viene considerato
res communes, come
l'acqua del mare. Si tratta di beni collettivi che appartengono a tutti, però
sono beni. Esistono poi cose che non sono beni, come il sottosuolo, un non bene,
una cosa che però è oggetto di sovranità; poi abbiamo altre cose che, come le
stelle e il sole, hanno notevole utilità per la vita dell'uomo, ma che non
essendo oggetto di diritti particolari non possono essere considerati
beni.
Ero arrivato a queste conclusioni nel corso di uno studio in materia di beni
minerari (Contributo allo studio dei beni minerari, Cedam, 1996), e stavo
riprendendo l'argomento per una relazione che dovevo preparare per l'università
di Camerino; a quell'epoca incontrai un amico chimico, il quale mi disse che si
stava occupando di rifiuti. Rimasi un po' meravigliato, forse perché pensavo
che quel collega fosse affaccendato in pensieri più eterei; vedendo la mia
espressione, mi spiegò l'importanza della materia. In effetti, riconosco il mio
errore. Tornando a casa, pensai a cosa fossero i rifiuti in senso giuridico (il
mio amico chimico se ne occupava sotto il profilo tecnico) e feci queste
valutazioni: beni non sono; lo erano in precedenza. I rifiuti sono cose
materiali, anche se possono essere allo stato gassoso, liquido e solido, di cui
il detentore o il proprietario o comunque colui che le ha prodotte vuole
liberarsi, in quanto non più utili, altrimenti non se ne libererebbe. Non sono
più utili per lui ma molto spesso non lo sono neanche per gli altri, tant'è
vero che se volesse venderle non ci riuscirebbe. Quindi, per potersene liberare,
per poterle abbandonare, per potersene disfare come prevede la legge deve
assumere degli obblighi: innanzitutto, finché li detiene, lo deve fare
correttamente e in modo che non inquinino; poi deve contattare un servizio
pubblico o privato, a seconda dei casi, e poi consegnarli correttamente
all'impresa o all'ente che gestisce il servizio. Questa consegna non viene
effettuata a titolo gratuito; se si tratta di un industria, essa dovrà pagare all'impresa che raccoglie quel tipo di rifiuti, oppure se si tratta di un servizio pubblico vi è una forma di tassa per quel servizio.
Allora, a seconda che si tratti di una tassa o di un contributo oppure di un servizio reso da un privato, le cose cambiano: se il servizio è reso da un privato c'è un rapporto bilaterale e dunque c'è un contratto; se invece il servizio è reso dal comune o da un'azienda comunale oppure da un'azienda comunque pubblica o sotto controllo pubblico, come è in genere il servizio di raccolta di nettezza urbana, abbiamo dei rapporti unilaterali. Infatti, da una parte vi è il comune che impone una certa tassa per un servizio, in base a certi parametri piuttosto approssimativi (non si pesano i rifiuti che si consegnano) e dall'altra parte vi è il cittadino che si serve di quel servizio e che deposita i propri rifiuti a seconda del tipo nell'apposito contenitore. Non facendo questo, viola un obbligo.
I rifiuti dunque sono cose materiali oggetto di obblighi. Nel momento in cui me ne devo disfare devo rispettare i relativi obblighi. Arriviamo adesso a un caso concreto come potrebbe essere quello sotto gli occhi di tutti in questi giorni a seguito del rinvio alla Commissione europea della questione dei rottami di ferro, una questione scottante: ci sono due giudizi, uno dinanzi al tribunale di Terni ed un'altro dinanzi al GIP di Udine. Da quel poco che ne so, alcuni di questi rottami ferrosi sono degli ex carri ferroviari provenienti da un paese dell'est; giunti in Italia, sono stati sequestrati perché sono entrati nel nostro paese senza rispettare la normativa sui rifiuti. La controparte ribatte che non si tratta di rifiuti. Sono o non sono rifiuti? Un caso simile è quello di un carico di ferro vecchio bloccato in Umbria, nei pressi di Terni, materiale
che può avere un suo prezzo;
qualcuno dice che i rifiuti possono avere un prezzo, ma questo non incide sulla
qualifica dei rifiuti. Qui c'è una parte della verità, non tutta. A mio
avviso, la verità sta nel verificare tutto il processo dal momento in cui il
primo soggetto ha dismesso il bene; in questo caso il proprietario dei carri,
probabilmente le ferrovie rumene, che forse hanno sostituito i carri merci
vecchi con altri nuovi, e che comunque ha deciso di dismetterli. Li ha dismessi
gratuitamente oppure è stata pagata per questa dismissione? Ha forse pagato
perché fossero ritirati? Se ha pagato perché fossero ritirati, togliendo
l'ingombro, e perché fossero portati via, allora erano senz'altro rifiuti; se
invece c'è stato qualcuno, un'impresa, che li ha ritirati e poi non so in che
misura li ha trasformati in rottami, li ha schiacciati o via dicendo, pagando le
ferrovie, quei carri sono stati consegnati gratuitamente? Per i carri è stato
pagato del denaro oppure no? Se è stato pagato del denaro, è intervenuto un
contratto di compravendita, ed allora si trattava non di rifiuti ma di beni di
valore infinitamente inferiore a quello dei carri nuovi, ma comunque erano un
bene che si era trasformato nel tempo. Si trattava non più di carri merci ma di
ferro, ma se esisteva un acquirente disposto a comprarlo in base ad un contratto
regolare (stiamo parlando di fenomeni normali e non patologici o con risvolti
penali), per le due parti era un bene. Chi ha comprato quei carri e li ha
schiacciati in modo da poterli trasportare meglio e poi ha ricevuto, quando li
ha rivenduti, un maggior prezzo, ha ottenuto un guadagno e quindi l'attività
economica è stata svolta in modo efficiente e non falso. Se i vari passaggi -
se più passaggi si sono avuti - sono stati effettuati sotto forma di contratti
di compravendita reali, quella cosa anche di poco conto, il cui valore è
diminuito moltissimo nel tempo, non è ancora sottoposta al regime dei rifiuti.
Diverso è il caso se anche uno solo dei passaggi è stato a titolo gratuito
oppure è stata pagata una cifra per il servizio di rimozione. In conclusione, i
beni sono le cose oggetto di diritti, i rifiuti sono le cose oggetto di
obblighi. È questa la definizione fondamentale, sulla base della quale noi
potremmo risolvere tutte le questioni relative ai rifiuti.
Per quanto non trattato faccio riferimento alla relazione, che lascio agli atti
della Commissione, dal titolo La nozione giuridica di rifiuto: una teoria a
confronto. Vi ringrazio ancora per avermi ricevuto. Ho consegnato anche il
lavoro dal titolo A proposito di cose che non sono beni: sottosuolo e rifiuti,
che ritengo innovativo in tema di rifiuti e dalla cui elaborazione sono sorte le
chiarificazioni che ho avuto l'onore di illustrarvi.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Federici per la disponibilità e per
l'approfondita relazione e gli auguro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.45.