Interventi commenti
IL PUNTO SULL'ELETTROSMOG (*)
di Stefano Maglia
L'inquinamento elettromagnetico è senza
dubbio una delle forme di danno alla salute ed all'ambiente potenzialmente più
pericolose; tanto più pericolosa e subdola proprio perché ancora poco
conosciuta e poco studiata.
Potenziale aumento della leucemia
infantile; potenziale pericolosità di cellulari, televisori e phon; potenziale
incremento di rischi tumorali per chi abita vicino ad elettrodotti. Tutto
potenziale o, tuttalpiù, possibile quando non probabile.
Il rischio di finire come con l'amianto è
elevatissimo. Un prodotto usato persino come coibentante per le scuole si è
rivelato (dopo quanti anni?) una pericolosissima sostanza per l'organismo
umano.
Gli interessi in gioco sono enormi. Si
pensi solo al settore delle telecomunicazioni, probabilmente quello di maggior
impatto economico-politico mondiale.
Fatto sta che la legislazione italiana (ma
anche quella europea) si è occupata molto limitatamente di questo tema e, fino
a poco tempo fa, solo con riferimento alle basse frequenze (elettrodotti) o
alla salute dei lavoratori.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 257 del 3
novembre scorso è stato infine pubblicato il decreto del Ministero
dell'ambiente (d'intesa con quelli delle sanità e delle comunicazioni) 10
settembre 1998, n. 381, regolamento recante norme per le determinazioni dei
tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana, decreto entrato in
vigore il 2 gennaio scorso.
Finalmente, pur con certi evidenti limiti,
anche le emissioni da campi elettromagnetici in alta frequenza iniziano ad
avere una loro regolamentazione.
Non è certo né mio compito né mia
intenzione addentrarmi nelle diatribe squisitamente tecniche relative alla
qualità dei limiti fissati e - più in generale - alla discussione scientifica
attorno ai reali effetti delle radiazioni elettromagnetiche sulla salute, ma
certamente - perlomeno da utente - non posso fare a meno di sollevare alcune
perplessità sullo stato del dibattito in corso su quest'ultimo aspetto, se non
altro con riferimento ai documenti che ho avuto modo di consultare nella
preparazione a questo incontro ed all'esame della pur scarsa giurisprudenza
sinora espressasi su questo tema.
Proprio qui a Bologna nel 1996 la Giunta
comunale istituì una commissione tecnico-scientifica al fine di approfondire la
tematica, commissione che formulò una proposta conclusiva nella quale si suggerivano
"i limiti di campo per le frequenze estremamente basse (50 Hr.) e per le
alte frequenze e quindi per le linee elettriche e per i campi elettromagnetici
generati da antenne per telefoni cellulari e televisivi".
Sempre in tale proposta conclusiva si
legge: "Le evidenze di cancerogenicità dei campi elettromagnetici (CEM),
ancora non del tutto convincenti, sono così riassumibili:
a) gli studi epidemiologici suggeriscono
che i campi elettrici e magnetici a bassa frequenza (50/60 Hz) vadano
classificati come "probabili cancerogeni" anche se la positiva
associazione tra esposizione a tali campi e alcuni tipi di tumore, quali la
leucemia infantile e, in alcuni studi, i tumori cerebrali e mammari nel
maschio, appare di modesta entità e non è sufficiente a stabilire un nesso
causale tra esposizione ed effetto patogeno;
b) l'esposizione ai campi ad alta
frequenza (radiofrequenze, microonde) sembra rappresentare un possibile fattore
cancerogeno per l'uomo, sia pure di modesta entità, con bersagli dell'azione oncogena
simili a quelli citati per le ELF, anche se i dati disponibili sono assai più
scarsi di quelli relativi alle basse frequenze".
Venivano poi suggerite norme di cautela
personale relative all'uso di termocoperte, televisori, phon, rasoi elettrici,
apparecchi aerosol, radiosveglie, forni a microonde e telefoni cellulari.
In particolare si raccomandava - a chi
deve prendere decisioni pubbliche - di "mantenere adeguata distanza dai
ripetitori televisivi che in Italia sono molto numerosi e ad alta potenza; non
installare antenne e stazioni radiobase per cellulari in prossimità di scuole,
asili e altri luoghi per l'infanzia, senza una preventiva valutazione e
successive misurazioni dei campi".
Il mio intervento è incentrato
sull'analisi tecnico-giuridica del decreto in questione e sul punto della
giurisprudenza italiana in materia di elettrosmog.
Sulla prima parte sarò molto breve in
quanto nessuno più che il dr. Biondi - che mi ha preceduto - potrebbe
effettuare un'analisi giuridico-testuale di tanto spessore.
Ritengo però opportuno e doveroso
soffermarmi su qualche aspetto che ho trovato particolarmente interessante e
sul quale vorrei esporre le mie interpretazioni e/o le mie perplessità.
In primo luogo la tipologia della
disposizione normativa: un decreto,
il quale, come tale, non contiene - non avendo "l'autorità" per farlo
- le sanzioni. Siamo pertanto in una fase in cui - nell'attesa della
legge-quadro che riporti le sanzioni relative - chi non ottempera alle
disposizioni che stiamo studiando oggi non rischia nulla.
E i tempi? Il decreto è in vigore da quasi
un mese, ma quando sarà emanata la legge-quadro? Chi lo sa.
La norma generatrice del D.M. 381 è l'art.
1, comma 6, lett. a), n. 15, della L. 31 luglio 1997, n. 249 (Suppl. ord. alla
Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 1997), il quale, istituendo l'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, individua fra le competenze di tale Autorità la
vigilanza "sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana. .
. Il rispetto di tali indici rappresenta condizione obbligatoria per le licenze
o le concessioni all’installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche.
Il Ministero dell’ambiente, d’intesa con il Ministero della sanità e con il
Ministero delle comunicazioni, sentiti l’Istituto superiore di sanità e
l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA), fissa entro sessanta giorni i tetti di cui al
presente numero, tenendo conto anche delle norme comunitarie".
I 60 giorni scadevano i primi giorni di
ottobre del 1997, ed il decreto è stato emanato il 10 settembre dell'anno dopo.
Come è evidente non c'è troppo da fare affidamento sulle date nemmeno quando
vengono riportate, figurarsi quando non v'è nemmeno traccia. Una cosa è
comunque certa: senza sanzioni il decreto è inefficace.
In realtà l'iter della "legge quadro
sull'inquinamento elettromagnetico" sta andando avanti. La proposta di
legge (n. 446 del relatore Vigni) è stata discussa proprio il 27 gennaio
all'VIII Commissione e contiene elementi di grande interesse.
Quello che emerge con grande chiarezza è
che noi oggi stiamo discutendo di una disposizione
normativa tendenzialmente transitoria. Infatti l'art. 6, comma 1 di tale
futura legge quadro prevede (rebbe) infatti la "determinazione degli
interventi per la massima riduzione possibile della esposizione ai fini della
protezione da possibili effetti a lungo termine, individuando a tal fine valori
di attenzione ed obiettivi di qualità. La determinazione di tali valori ed
obiettivi è effettuata" con apposito D.P.C.M. Attenzione! L'art. 11 che
prevede le famose sanzioni (pagamento di una somma fra i 10 e i 200 milioni) si
riferisce solo a chi "superi i limiti di cui al D.P.C.M. previsto
dall'art. 6, comma 1, lett. a" e non ad altre disposizioni normative. E’
pur vero però che l'art. 14 (regime transitorio) fa salve - fino all'emanazione
di tale D.P.C.M. - le disposizioni del D.P.C.M. 23 aprile 1992 e pertanto, fino
ad allora ritengo - per analogia, e sempre che l'ultima stesura del testo della
proposta di legge non faccia espresso riferimento al D.M. 381 - che, una volta
emanata la legge quadro, tali sanzioni saranno applicabili anche al suddetto
decreto.
Trovo comunque corretto l'approccio al
problema come emerge dalla lettura della relazione dell'on. Vinci, quando,
nella situazione di incertezza scientifica, ed avendo così vicini i casi del
benzene e dell'amianto, si afferma che "ciò che sappiamo. . . e già
sufficiente per spingerci ad adottare una politica di prevenzione e di massima
cautela possibile. Pensiamo, in altre parole, che si debba applicare quel
principio cautelativo indicato dall'OMS, in base al quale nel campo della
salute pubblica e dell'ambiente, non si deve attendere, per intervenire, che la
scienza dimostri in modo definitivo gli effetti nocivi dell'esposizione ad
agenti morbosi o sospetti. Bisogna intervenire prima. "Evitare per
prudenza": così gli americani chiamano questa regola di
comportamento".
Non è il caso di approfondire l'esame di
una legge che ancora non c'è: temi come il risanamento delle situazioni
esistenti (1200 km. di elettrodotti superano attualmente gli stessi limiti del
D.P.C.M. del 1995), gli spazi destinati all'infanzia; la tutela dell'ambiente e
del paesaggio; l'informazione e gli obblighi per i fabbricanti, sono argomenti
che richiederebbero troppo tempo e troppe energie.
Un dato è certo: questa legge quadro
cambierà ancora molto dell’impianto normativo e speriamo arrivi presto in
porto.
Altro limite del D.M. 381, ben sollevato
del resto da RAFFAELE GIGANTE sul n. 1 di Ambiente
& sicurezza, è quello di cui al terzo comma dell'art. 4 (e al primo
comma dell'art. 5), per cui "la reale applicazione delle disposizioni
introdotte dal decreto, è rinviata alla redazione da parte delle Regioni e
Province autonome della disciplina relativa al conseguimento dei valori di
qualità, nonché delle modalità per l'attuazione delle eventuali azioni di
risanamento. Ciò costituisce un notevole limite,
perché la materia sarà oggetto di valutazioni diverse da parte degli Enti
coinvolti e, soprattutto, in quanto si determinerà una diversa applicazione
temporale delle disposizioni stesse".
E poi c’è da chiedersi che rapporto c'è
tra questi valori e limiti di qualità e quelli previsti dalla futura legge
quadro?
Ancora. Nelle premesse al D.M. 381 si
legge come l'Istituto superiore di sanità pur condividendo "l'esigenza di
una politica cautelativa che individui obiettivi di qualità anche al di là
dell'adozione di limiti di esposizione mirati alla tutela degli effetti
acuti" abbia manifestato perplessità "nei riguardi dell'adozione di misure
più restrittive specifiche per l'esposizione a campi modulati in
ampiezza".
Inoltre sempre nella premessa si
sottolinea come non sia stata accolta la proposta di emendamento all'art. 4,
comma 2 "in quanto renderebbe meno certa e sicura la tutela della
popolazione per effetti a lungo termine conseguenti ad esposizione
prolungata". A questo proposito è interessante fare un breve cenno a
quanto stabilisce appunto l'art. 4.
Tale norma innanzitutto si rapporta con
l'art. 3 affermando che fermi i limiti "generali" di esposizione per
la popolazione ai campi elettromagnetici di cui a quella norma, quando si
tratta di sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti fra
i 100 KHz e i 300 GHz è necessario "produrre i valori di campo elettromagnetico
più bassi possibile, compatibilmente
con la qualità del servizio svolto dal sistema stesso al fine di minimizzare
l'esposizione della popolazione". Tali generiche - e come tali pressoché
inutili - misure particolari di tutela sono un minimo concretizzate solo con
riferimento agli "edifici adibiti a permanenze non inferiori a 4 ore"
con riferimento ai quali non devono essere superati i valori di cui al comma 2.
Comunque non so nemmeno se valga la pena soffermarsi troppo su questi aspetti
visto la mancanza di sanzioni e la probabile revisione di tutto il sistema dei
limiti.
D'altronde una scarsa attenzione al
"testo" del decreto è dimostrato anche dal fatto che un evidentissimo
errore di cui al comma 2 dell'art. 1 ("predetto" anziché
"presente") è stato oggetto di una errata corrige pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio, ovvero quasi 2 mesi e mezzo dopo la
pubblicazione del D.M. 381.
Tra le novità normative c'è poi da
segnalare il D.M. 11 novembre 1998 (Gazzetta Ufficiale n. 292 del 15 dicembre
1998), relativo al riconoscimento di organismi
competenti in materia di compatibilità elettromagnetica, di cui all'art. 1,
comma 1, lett. e), del D.L.vo 12 novembre 1996, n. 615. A parte il fatto che
tutte le domande presentate sono state accolte, vien da porsi una amara
considerazione.
Il citato D.L.vo 615/96 attuativo della
dir. CEE 89/336 è la più organica disposizione normativa in tema di
elettromagnetismo mai emanata in Italia. E di cosa si occupa? Della
"compatibilità elettromagnetica" ovvero dell'idoneità di un
dispositivo a produrre "disturbi elettromagnetici inaccettabili",
cioè a creare "disturbi elettromagnetici che possono alterare il
funzionamento di un dispositivo, di un'apparecchiatura o di un sistema".
Insomma prima si sono studiati - e realizzate le relative norme - i danni alle
macchine e poi - e stiamo ancora nell'incertezza - i danni alla salute.
Tutto ciò non può non far riflettere.
Tornando agli aspetti strettamente
giuridici ho ritenuto infine fare cosa gradita riportare agli atti una rassegna di giurisprudenza in materia di
c.d. elettrosmog, per fare il punto della situazione del dibattito in sede
contenziosa.
Ovviamente il grosso degli interventi si
riferisce al tema degli elettrodotti, con riferimento al quale sostanzialmente
tutte le pronunce (di merito) emesse sin da 10 anni a questa parte hanno
escluso "un rapporto di causalità tra i campi elettromagnetici di
elettrodotti a 380 Kv e danno alla salute", sino alla pronuncia del Tar
Lazio del 17 aprile 1997 (n. 933), per cui "deve ritenersi pregiudizievole
per la salute pubblica un elettrodotto realizzato a distanza inferiore a quella
minima fissata dall'art. 5 D.P.C.M. 23 aprile 1992. Pertanto, verificato,
attraverso una relazione tecnica dell'Ispsel che il rischio alla esposizione ai
campi magnetici è significativamente influenzato sia dalla distanza dei
fabbricati dai conduttori dell'elettrodotto, sia dalla potenza dell'impianto,
può ovviarsi al pericolo disponendo che la potenza dell'elettrodotto venga
contenuta entro i limiti massimi consentiti da altro impianto preesistente a
quello oggetto del procedimento, fino al ripristino da parte dell'Enel delle
distanze minime fissate dal D.P.C.M. predetto".
Più recentemente, peraltro, si è avuta
notizia di un procedimento penale avviato dalla Procura Circondariale di Rimini
per il reato di lesioni colpose e pendente nella fase dibattimentale, nel corso
del quale in sede di incidente probatorio è stata riconosciuta una correlazione
tra esposizione prolungata a campi magnetici e le patologie riscontrate in
alcuni cittadini residenti in una zona interessata dall'irradiazione
proveniente da linee elettriche ad alta tensione.
Ma, visto il tema odierno, più
interessanti sono le pur poche pronunce rilevate in tema di radiotrasmissione e
telefonia cellulare.
Prima di ciò mi si consenta porre
l'attenzione su una sent. della Cass. (n. 3889/77) la quale con riferimento
all'art. 844 c.c. (immissioni), pur riguardo ad una fattispecie del tutto
differente, giunge ad ammettere l'applicabilità di tale norma (per
interpretazione estensiva) ad ipotesi in cui ("per esempio, correnti
elettriche e onde elettromagnetiche") tale immissione influisca
oggettivamente sull'organismo umano o su apparecchiature.
Pertanto, una volta provata l'oggettiva
influenza di tale forma di inquinamento (ed ovviamente solo qualora venga
superata la soglia della "normale tollerabilità" di cui all'art. 844
c.c.) ritengo sia applicabile la norma sulle immissioni anche in caso di
inquinamento elettromagnetico.
Interessante è al proposito notare che già
gli artt. 2 e 6 della L.R. Veneto n. 33 del 1985 assimilavano le radiazioni
elettromagnetiche alle emissioni di vibrazioni e rumori, ovvero alle più
tipiche forme di immissione ex art. 844 c.c.
Altre norme codicistiche che sono state
utilizzate nel campo dell'inquinamento elettromagnetico sono gli artt. 674 e
675 c.p. che trattano - rispettivamente - del getto pericoloso e del
collocamento pericoloso di cose. Approfittando infatti della amplificata ed elastica
applicabilità - in particolare - della prima norma, il Gip della Pretura penale
di Venezia, con decreto 1 marzo 1997, n. 791 (in Riv. pen. 1997, 617 con nota
di L. RAMACCI) ha reputato "ammissibile il sequestro preventivo di
impianti di radiotrasmissione che generano campi elettromagnetici ad alta
frequenza potenzialmente pericolosi, potendosi nella fattispecie ravvisare
l'ipotesi contravvenzionale contemplata dagli artt. 674 o 675 c.p." in
quanto - si legge in motivazione - "le più recenti valutazioni
scientifiche, accuratamente elencate dal P.M., hanno evidenziato la sussistenza
di un rischio effettivo per le persone esposte a campi elettromagnetici anche a
bassa frequenza, come nel caso in esame".
Interessante è notare che nella
fattispecie il Gip ha addirittura disposto che fino all'adempimento delle
prescrizioni da esso imposte sarebbe dovuto essere apposto "in prossimità
dell'impianto un cartello di avviso di pericolo".
Ancora sugli impianti ricetrasmittenti si
segnala la pronuncia del Tar Emilia-Romagna, ord. 16 ottobre 1992, n. 704 (in Giur. merito 1995, III, 149) per cui
"nel caso di un provvedimento sindacale che ordina la rimozione di una
antenna ricetrasmittente per ragioni di inquinamento elettromagnetico, misurato
da competente laboratorio, ove da una successiva verificazione compiuta dallo
stesso laboratorio emerga un "forte abbassamento" di tale
inquinamento, sussistono le condizioni per valutare l'interesse pubblico alla
tutela del diritto alla salute in comparazione con l'interesse imprenditoriale
fatto valere dall'emittente e per individuare il punto di equilibrio tra i due
interessi nella sospensione dell'atto impugnato degli impianti accertato dalla
tecnica indicata in precedenza".
Tale comparazione tra interesse pubblico
alla salute e interesse della produzione - tipica, tra l'altro,
nell'applicazione del secondo comma dell'art. 844 c.c. - si ritrova anche in
una ord. del Tar Lazio (18 dicembre 1996, n. 3806, in Arch. loc. e cond. 1997, 875) in tema di telefonia cellulare, per
cui "in materia di installazione di stazioni radio base per telefonia
cellulare, in presenza di documentazione, consistente in una relazione clinica,
attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una persona
residente nello stabile e l'attivazione degli impianti, deve cautelarmente
essere considerato prevalente l'interesse primario alla salute rispetto ad ogni
altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente sospensione del
provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere
concernenti l'installazione e l'attivazione dell'impianto. (Fattispecie in cui
una stazione radio base per telefonia cellulare era stata installata sul
terrazzo di uno stabile condominiale)".
Qui, dunque, e nel solco del più recente
orientamento giurisprudenziale che ritiene prevalente il bene salute (ex art.
32 Cost.) in quanto bene primario ed assoluto, il Tar del Lazio - con una
pronuncia confermata dallo stesso Cons. di Stato con ord. 25 marzo 1997 -
assume una posizione protettiva nei confronti dei cittadini in quanto - si
legge in motivazione - pur "nella difformità tra le conclusioni tecniche
di istituzioni pubbliche (I.S.P.E.S.L. e I.S.S.) e in presenza di
documentazione di parte attestante possibili relazioni tra pregiudizi alla salute
subiti in concreto e l'attivazione degli impianti, debba cautelarmente
ritenersi prevalente l'interesse primario alla salute rispetto ad ogni altro
interesse giuridicamente protetto".
Nella fattispecie tale sospensione aveva
ad oggetto "non solo la realizzazione delle opere ma anche la loro
attivazione".
A conferma dello stato confusionale dei
controlli in materia prima della predisposizione di limiti certi e precisi si
segnala che in questo caso per l'I.S.P.E.S.L. si era di fronte ad un
"livello significativo di inquinamento", mentre per l'I.S.S.
"non vi sono elementi per ritenere che i campi elettromagnetici. . .
costituiscono un rischio per la salute".
In materia è intervenuto anche il Trib.
Piacenza (13 febbraio 1998, n. 51, in Arch.
loc. e cond. 1998, 420), il quale con riferimento ad un ricorso per
denuncia di nuova opera e/o di danno temuto per l'installazione di un
ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un
edificio condominiale ha ritenuto che non sussiste alcun riscontro scientifico
della pericolosità di tale impianto per la salute dei condomini, sulla base di
una certificazione dell'U.S.L. locale per cui "non esiste pericolo per la
salute dei condomini".
Da ultimo - e concludo - segnalo la
recentissima ordinanza (13 gennaio 1999) del Tar Emilia-Romagna, nella causa
fra alcuni cittadini di Spilamberto contro il comune e l'Omnitel.
Il Tar ha sospeso - in quanto
sussisterebbero nella fattispecie i danni gravi e irreparabili dall'esecuzione
dell'atto di cui all'art. 21, ultimo comma, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tar) - l'esecuzione
della delibera comunale che aveva approvato una modifica al Piano Regolatore al
fine di mutare la destinazione di un terreno comunale da "uso verde
pubblico" a "funzione produttiva al fine di consentire alla Omnitel
l'installazione di una infrastruttura per stazione per telefonia
cellulare".
Concludo con un auspicio.
Si faccia finalmente chiarezza, e che le
lezioni del passato ci aiutino presto a trovare la strada giusta, stretta,
forse, ma sicura, verso uno sviluppo realmente sostenibile e rispettoso della
la natura e della salute.
(*) Relazione
svolta al Convegno "Campi elettromagnetici generati da sistemi fissi per
telecomunicazioni e radiotelevisivi", tenutosi a Bologna il 29 gennaio
1999.
(tratto dal sito
"TuttoAmbiente - Rivista on line a cura di Stefano
Maglia" in
link diretto di collaborazione con il nostro sito)
www.utenti.tripod.it/stefanomaglia/