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Il tributo “ambientale” della Regione Siciliana.

 

ANTONIO SILEO* - HERMANN FRANCHINI

 

 

Nel corso degli ultimi anni, si è spesso registrato, da parte di soggetti politici e amministrativi, un abuso dell’aggettivo “ambientale”, per mascherare situazioni o provvedimenti ambigui, che in realtà hanno finalità che esulano dalla tutela dell’ambiente.
I fatti esposti ne rappresentano un chiaro esempio.

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La Regione Siciliana, con la Legge Finanziaria del 2002, ha introdotto un “tributo ambientale” gravante su Snam Rete Gas, società proprietaria della rete nazionale di trasporto del gas naturale metano nel tratto che attraversa la Sicilia da Mazara del Vallo a Messina.


A tal proposito l’art. 9 della Legge Regionale in questione individua il cosiddetto tributo ambientale: …“allo scopo di finanziare investimenti finalizzati a ridurre e prevenire il potenziale danno ambientale derivante dalle condotte installate sul territorio della Regione Siciliana e nelle quali è contenuto il gas metano”.


Attualmente il mercato del gas in Italia è regolato dalla D.Lgs. n.164/2000 (Decreto Letta), che recepisce la Direttiva Comunitaria n.98/30/CE.


Tale provvedimento prevede la separazione societaria delle attività costituenti la filiera del mercato del gas:


Solo i soggetti posti agli estremi della filiera sono liberi di determinare un prezzo, mentre le società che si occupano di stoccaggio, trasporto o distribuzione applicano tariffe stabilite dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (di seguito AEEG).


Fatte queste indispensabili premesse, possiamo più facilmente capire come Snam Rete Gas, in quanto soggetto regolato, non poteva far altro che riversare in toto, l’onere del tributo siciliano nella tariffa pagata dalle società di vendita, e di conseguenza sui clienti finali, siciliani e continentali.


L’AEEG, pur contestando la legittimità del tributo siciliano in quanto contrario alla normativa comunitaria, ha rigettato la proposta di Snam Rete Gas volta a trasferire la debenza del tributo in tariffa, adducendo diverse motivazioni tra le quali appare fondamentale la non conformità all’art. 120 della Costituzione che stabilisce:


La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito fra le Regioni. Non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni.” Inoltre, secondo la Corte Costituzionale: “Le Regioni … non possono legiferare con effetti che vanno al di là del proprio ambito territoriale” (Corte cost. 285/1997).


In effetti solo se fosse stata accertata la legittimità del tributo - aveva rilevato l’AEEG - il suo riconoscimento in tariffa sarebbe stato automatico e retroattivo.


A fronte di questa situazione Snam Rete Gas adottando un approccio prudenziale, ha deciso di versare le prime rate relative al tributo in oggetto, comunque inoltrando ricorso contro l’AEEG, presso il TAR Lombardia.


Quest’ultimo, con Sentenza 20 dicembre 2002, ha sostanzialmente confermato le motivazioni del Regolatore (AEEG), ritenendo il tributo in contrasto con le norme, direttamente applicabili, della direttiva di liberalizzazione del mercato del gas.


La legge comunitaria prevede infatti la possibilità di introdurre obblighi di servizio pubblico anche relativi alla tutela dell’ambiente, ma a condizione che siano chiaramente definiti, trasparenti e, soprattutto, non discriminatori.


A questo punto la società di trasporto non ha potuto far altro che presentare richiesta di rimborso per le rate già pagate; sulla quale si pronuncerà la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo.
D’altra parte, già nel 2001 la Regione Siciliana aveva cercato di introdurre un tributo relativo al transito di gas naturale importato dall’Algeria e destinato all’Italia continentale, che tuttavia era stato bloccato dal Commissario di Governo, poiché manifestamente contrario al disposto dell’art.120 della Cost., come modificato dalla Legge Cost. N. 3/2001, che esclude l’introduzione da parte delle Regioni di dazi d’importazione, esportazione o transito tra le regioni stesse.


Nel 2002 invece il Commissario di Governo in virtù di un potenziale danno ambientale non ha mosso censure di incostituzionalità sulla disposizione dell’ art. 9, istitutiva del tributo ambientale.


In realtà non è possibile sostenere che si tratta di un tributo ambientale, in quanto il passaggio del gas nelle condotte non ha alcun effetto inquinante sull’ecosistema, inoltre il gas non può fuoriuscire dalle stesse e quindi non può in alcun modo recare danno all’ ambiente.


Sotto un profilo giuridico, potremmo, oltre a quanto già stabilito dal TAR, ravvisare la violazione dell’art. 3 e dell’art. 53 della Carta Costituzionale.


Non pare, infatti, giustificabile alla luce dei principi di eguaglianza/ragionevolezza e capacità contributiva, il fatto di assoggettare ad imposta patrimoniale la sola proprietà delle condotte in cui transita gas metano e non anche quelle in cui transitano altre sostanze, ad esempio come l’acqua.


Inoltre non viene tassata la proprietà di tutti i metanodotti esistenti sulla regione, ma solo quelli con maggior portata; nulla è dovuto dai proprietari dei metanodotti di minor portata (rete di distribuzione),
anch’essi contenenti gas naturale metano.


Emerge, quindi, in modo evidente, la discriminazione e l’istituzione di fatto di un vero e proprio tributo ad personam.


Inoltre, il tributo regionale in esame, viola palesemente i limiti posti dalla Costituzione, in materia di potestà normativa di imposizione in materia tributaria della Regione Siciliana (cfr. art. 36 dello Statuto Regione Siciliana).


La suddetta potestà, è soltanto concorrente rispetto a quella statale, dunque deve necessariamente svolgersi nel rispetto dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.

La giurisprudenza costituzionale afferma, a tal proposito, che la riconducibilità del tributo regionale ad una tipologia rinvenibile nella legislazione statale deve potersi apprezzare sia su di un piano formale (struttura giuridico-formale) che sul piano dei contenuti, dunque tutte le volte che ciò non sembra possibile, i principi dettati dalla normativa statale devono ritenersi violati dalla legge regionale.


Al di là dell’aspetto legato alla potestà normativa regionale, ci sono dubbi anche sulla possibilità che la materia cui afferisce il tributo, non avendo esso valide finalità di tutela ambientale, rientri tra quelle di competenza regionale ai sensi dell’art. 17 Statuto Regione Siciliana.


Si può inoltre sottolineare la violazione dell’art. 120 Cost. e dei principi delle norme comunitarie in materia doganale e di politica commerciale comune, poiché il tributo si configura come un misura fiscale di fatto equivalente ad un dazio sull’importazione, sull’esportazione e sul transito del gas naturale metano.


Tralasciando gli impatti e gli effetti distorsivi che il tributo avrebbe avuto su tutto il mercato nazionale e l’effetto emulativo che stava già generando (analogo provvedimento tentato dalla Regione Friuli Venezia Giulia), ciò che ci preme sottolineare è l’utilizzo gratuito e strumentale dell’aggettivo ambientale sotto diversi profili.


Infatti, pur attribuendo nobili intenzioni al legislatore, esse non vanno oltre il potenziale danno che sarebbe potuto scaturire dalla eventuale rottura delle tubature; lo stesso afferirebbe più all’assicurazione, che alla sostenibilità (ambiente) o alla equità (fiscalità).


Questa vicenda non dovrebbe ripetersi, poiché il disposto attuale del DdL Marzano (Legge di riordino del settore energia), attualmente in discussione al Senato, recita all’art. 4:
Lo Stato e le Regioni, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia nelle sue varie forme e in condizioni di omogeneità sia con riguardo alle modalità di fruizione, sia con riguardo ai criteri di formazione dei prezzi, garantiscono:

a) il rispetto delle condizioni di concorrenza sui mercati dell’energia, in conformità alla normativa comunitaria e nazionale;
b) l’assenza di vincoli, ostacoli o oneri, diretti o indiretti, alla libera circolazione dell’energia all’interno del territorio nazionale e dell’Unione Europea;
c) l’assenza di oneri di qualsiasi specie che abbiano effetti economici diretti o indiretti ricadenti al di fuori dell’ambito territoriale delle autorità che li prevedono;
d) l’adeguatezza delle attività energetiche strategiche di produzione, trasporto e stoccaggio per assicurare adeguati standard di sicurezza e di qualità del servizio nonché la distribuzione e la disponibilità di energia su tutto il territorio nazionale;
e) l’unitarietà della regolazione e della gestione dei sistemi di approvvigionamento e di trasporto nazionale e transnazionale di energia”.

Concludendo, possiamo affermare che l’aggettivo “ambientale”, in questo caso, è stato certamente oggetto di una vera e propria usurpazione, utilizzato, come spesso accade oggi, solo per nobilitare atti amministrativi e politici che non hanno, nella sostanza, nessuno scopo volto a favorire la salvaguardia degli ecosistemi.


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*Iefe-Bocconi