Gli strumenti a copertura dei rischi ambientali
Financial Instruments covering environmental risks
Antonio Di Martino
Abstract
Besides new conquests, scientific and technical progress also bears new
risks: environmental damages generated by human activities have reached a
consistence sometimes greater than natural catastrophes, always insidious and
unforeseeable in their consequences.
EC Directive 2004/35/CE on environmental responsibility pursues the objectives
of protection and improvement of environmental quality, safeguard of citizens’
health and ensuring of a shrewd and responsible use of natural resources: for
all of these reasons, the Directive allows Member States to adopt measures
encouraging the development by economic and financial operators of instruments
and markets of financial guarantee.
Civil responsibility is the main instrument enforcing the “polluter pays”
principle: under this view, this paper focuses on the technical/financial
instruments currently used to make actual the right for compensation, for
damages to third parties deriving from environmental pollution.
1. Premessa
La frequente ripetizione di emergenze ecologiche (talvolta, di vere e proprie
catastrofi), da un lato, e le crescenti aspettative di rispetto ambientale da
parte della collettività, dall’altro, rendono di stringente attualità il tema
degli strumenti di tutela contro i pregiudizi all’ecosistema.
Gli stessi principi ispiratori della politica ambientale europea hanno subito,
del resto, a partire dagli anni novanta, un sensibile cambiamento, grazie al
superamento dei sistemi c.d. di “comando e controllo” – fondati, cioè, sul
rigido rispetto di standard normativi a protezione delle matrici ambientali
(acqua, aria e suolo) e sulla verifica della loro osservanza, mediante procedure
di controllo amministrativo1
– in favore dell’integrazione delle norme di salvaguardia con le regole del
mercato, nella convinzione che l’interesse alla tutela dell’ecosistema vada
conciliato, nella misura massima possibile, con gli interessi propri del sistema
produttivo2:
gli strumenti normativi vengono finalizzati pertanto all’imputazione dei costi
dell’inquinamento (c.d. esternalità) sul soggetto che li ha prodotti, allo scopo
precipuo di promuovere una “concorrenza verde” e penalizzare gli sprechi delle
risorse naturali3.
In quest’ottica, assumono centrale importanza gli strumenti tecnico/finanziari a
garanzia dei rischi ambientali. Con tale locuzione si intendono le
conseguenze negative per l’integrità dell’ecosistema che possono derivare
dall’attività d’impresa: tali pericoli possono discendere o da eventi improvvisi
e/o fortuiti (inquinamento accidentale), oppure dall’accumulo progressivo di
residui tossici e/o azioni inquinanti atti a manifestarsi in modo lento e
progressivo (inquinamento graduale). I rischi ambientali condizionano oramai la
competitività e la redditività dell’impresa, stante la disciplina sempre più
stringente sull’uso e la tutela delle risorse naturali. La scienza economica,
già da qualche tempo, li esamina e studia nell’ambito della categoria dei
rischi d’impresa; questi ultimi, se ottimizzati – così s’argomenta –,
possono diventare una delle principali fonti di remunerazione del capitale e,
dunque, un’area strategica per la gestione dell’impresa, per la quale sono stati
sviluppati strumenti e metodologie alquanto sofisticati, secondo un approccio di
risk management4.
Sul piano tecnico-normativo, la
gestione dei rischi ambientali è garantita dallo strumento della
responsabilità civile: essa mira, ove possibile, al ripristino delle
condizioni precedenti l’illecito ambientale in modo da assicurare,
rispettivamente, la responsabilità del danneggiante ed il diritto al
risarcimento delle parti lese. Più in generale, la responsabilità civile:
- garantisce il principio “chi inquina paga”;
- è funzionale alla protezione delle risorse naturali, nella misura in cui la
copertura dei rischi è sempre preceduta da un’indagine sui sistemi di
prevenzione adottati dall’impresa;
- assicura comunque il risarcimento dei danni ai terzi danneggiati, qualora la
prevenzione della risorsa naturale non possa avere luogo.
In linea con siffatti indirizzi, la Commissione europea – nel predisporre la
Proposta di direttiva sulla responsabilità ambientale – ha ritenuto che
l’assicurazione obbligatoria di tale danno, oltre a rappresentare per le
Autorità pubbliche un efficace strumento di effettiva riparazione dei pregiudizi
all’ecosistema, in linea con il principio del “chi inquina paga”, avrebbe
consentito agli operatori industriali di ripartire i rischi e, in parallelo, al
settore assicurativo di sviluppare un mercato consistente. Si argomentava, a tal
proposito, che le responsabilità in materia ambientale, compresa quella per i
costi di risanamento, già da alcuni decenni sono previste negli Stati Uniti,
dove hanno favorito lo sviluppo e la diffusione di idonee coperture
assicurative: pertanto, si riteneva che l’esperienza statunitense avrebbe potuto
mutuarsi anche sul mercato europeo, dove già alcuni Stati membri hanno adottato
meccanismi di garanzia per la responsabilità ambientale.
L’assunto è stato tuttavia contrastato dagli operatori del settore, i quali
paventavano il rischio che un regime, come quello delineato nella proposta di
direttiva, potesse compromettere la competitività delle imprese europee, sia nel
mercato interno che nei rapporti commerciali con i Paesi esteri5.
Alla fine, il legislatore comunitario ha deciso di mitigare questo profilo della
disciplina: invero, l’articolo 14 della direttiva 2004/35/CE6
statuisce che “gli Stati membri adottano misure per incoraggiare lo sviluppo,
da parte di operatori economici e finanziari appropriati, di strumenti e mercati
di garanzia finanziaria, compresi meccanismi finanziari in caso di insolvenza,
per consentire agli operatori di usare garanzie finanziarie per assolvere alle
responsabilità ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva” (comma
1°) e che “anteriormente al 30 aprile 2010 la Commissione presenta una
relazione in merito all’efficacia della direttiva in termini di effettiva
riparazione dei danni ambientali e in merito alla disponibilità a costi
ragionevoli e alle condizioni di assicurazione e di altri tipi di garanzia
finanziaria per le attività contemplate dall’allegato III. La relazione esamina
anche relativamente alla garanzia finanziaria i seguenti aspetti: un approccio
graduale, un massimale per la garanzia finanziaria e l’esclusione di attività a
basso rischio. Alla luce di tale relazione e di una valutazione approfondita
dell'impatto, che include un’analisi costi/benefici, la Commissione presenta, se
del caso, proposte per un sistema di garanzia finanziaria obbligatoria
armonizzata” (comma 2°).
La formula, a carattere palesemente programmatico, è il punto di equilibrio
raggiunto dai soggetti coinvolti (autorità pubbliche, associazioni ambientaliste
e industriali, settore assicurativo): ciò malgrado, un sistema comunitario di
garanzie finanziarie per il danno ambientale rappresenta l’approdo necessario
per realizzare l’effettiva applicazione del principio “chi inquina paga” in modo
uniforme sul territorio della Comunità.
L’esperienza dirà se e come conseguire simile risultato: nel frattempo, è
possibile esaminare le soluzioni/esperienze fin qui elaborate dai Paesi che,
come il nostro, hanno già “regolamentato”, lato sensu, questo versante
della responsabilità ambientale.
2. L’assicurazione
L’articolo 1882 c.c. definisce l’assicurazione come il contratto mediante
il quale l’assicuratore si obbliga, dietro pagamento di un premio, a rivalere
l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno a questi derivato da un
sinistro (assicurazione contro i danni) ovvero a pagare un capitale o una
rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (assicurazione
sulla vita). La funzione del contratto risiede quindi nel trasferimento del
rischio dall’assicurato alla compagnia assicuratrice (c.d. principio
indennitario), dietro il versamento di un corrispettivo, detto premio, dal primo
alla seconda. Una peculiare forma di questo negozio giuridico è l’assicurazione
della responsabilità civile (art. 1917 c.c.): suo referente è il principio
generale (art. 2740 c.c.) alla cui stregua il debitore risponde dell’adempimento
delle sue obbligazioni con l’intero suo patrimonio e, di conseguenza,
l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato di quanto questi debba pagare
a terzi in dipendenza della responsabilità dedotta in contratto. Su questa forma
di assicurazione hanno agito, ampliandone l’operatività, i caratteri della
moderna società industriale, nella quale le occasioni di danno, e quindi di
responsabilità, sono direttamente proporzionali al grado di industrializzazione:
è questo, appunto, lo strumento che può venire in considerazione contro i rischi
ambientali.
Il rischio ambientale presenta tuttavia specifici problemi di assicurabilità, in
quanto:
o le perdite possono assumere anche
dimensioni catastrofiche, tali da compromettere la solvibilità
dell’assicuratore;
o l’esposizione al rischio non è definita e certa, potendo l’evoluzione
normativa creare esposizioni nuove ed inattese;
o è difficile costruire attendibili serie storiche di sinistrosità;
o il costo medio dei danni ha una scarsa significatività, stante un elevato
grado di variabilità delle perdite;
o i tempi di manifestazione dei danni non sono certi7.
Per tutte queste ragioni, il nostro mercato assicurativo ha elaborato e
perfezionato nel tempo polizze ad hoc per l’assicurazione dei rischi ambientali,
quali la Responsabilità Civile Generale delle Imprese (RC imprese) e,
soprattutto, la Responsabilità Civile da Inquinamento (RC inquinamento).
La polizza RC imprese assicura l’ipotesi del danno da inquinamento
accidentale ma esclude, solitamente, i pregiudizi conseguenti ad inquinamento
dell’aria, dell’acqua e del suolo: questi ultimi possono assicurarsi con
specifica condizione aggiuntiva al contratto. Il massimale di tale condizione
aggiuntiva è comunque molto basso (di norma, non supera il milione di euro).
2.1. La polizza RC inquinamento
Di ben altro spessore si rivela invece la polizza RC inquinamento (RCI):
essa copre i costi che l’assicurato sia chiamato a sostenere per i danni
involontariamente cagionati a terzi, in conseguenza dell’inquinamento c.d.
graduale e/o accidentale arrecato all’ambiente nell’esercizio della propria
attività d’impresa8.
I sinistri risarcibili a termini di polizza sono definiti come “quei danni
che si verificano in conseguenza della contaminazione dell’acqua, dell’aria e
del suolo”: pertanto, i pregiudizi che si determinino per via diretta, senza
cioè il tramite della contaminazione delle matrici ambientali, non rientrano in
questa specifica garanzia, bensì eventualmente nella polizza RC generale, che
copre tutti i rischi aziendali.
La polizza RCI afferisce innanzitutto ai danni alla persona, elencati con una
formula volutamente generica (“morte e lesioni personali”) in modo da
ricomprendere tutte le possibili evoluzioni che, nei campi legislativo e
giurisprudenziale, possano prevedersi al riguardo9.
Vengono poi menzionati i danneggiamenti diretti e materiali alle cose ed agli
animali e, soprattutto, i danni derivanti da “interruzioni o sospensioni di
attività industriali, commerciali, agricole o di servizi ed, in genere,
impossibilità di utilizzare i beni che si trovino nell’area interessata
dall’inquinamento”: si tratta di fattispecie, normalmente escluse dalle
polizze di responsabilità civile (ovvero assunte con limitazioni quantitative),
che nelle ipotesi di inquinamento abbisognano di una copertura completa. Si
pensi, ad esempio, ad accadimenti come la “vicenda Seveso”, che ha comportato
l’evacuazione di un intero abitato ed i conseguenti turbamento, sospensione e
cessazione d’attività di ogni tipo nella zona interessata dalla catastrofe.
Altro profilo importante riguarda le spese c.d. di neutralizzazione e
contenimento del sinistro: come tali, si intendono quegli esborsi relativi a
interventi urgenti e temporanei, che l’imprenditore sia chiamato ad eseguire al
primo scatenarsi dell’evento – e, dunque, ancor prima che si determini un danno
– o che comunque servano a contenerne l’entità (l’indennizzo di tali spese è
limitato solitamente al 10% del massimale). Questi costi, di norma riguardanti
le attività realizzate entro il perimetro dello stabilimento, vanno nettamente
distinte da quelle di bonifica dell’ambiente colpito, che invece fanno parte del
danno10.
Come ogni contratto di assicurazione, anche la polizza RCI ha un’efficacia
limitata nel tempo, a garanzia dell’assicuratore e dell’assicurato: in
particolare, per il primo, la delimitazione temporale individua il periodo di
esposizione al rischio; per il secondo, è garanzia del rapporto assicurativo,
allorquando sia difficile stabilire la data dell’evento che fa scattare la
copertura assicurativa. Il problema assume particolare rilevanza nei casi di
inquinamento graduale, la cui origine potrebbe non avere una data certa: al
riguardo, dopo una prima fase nella quale le imprese assicuratrici hanno
applicato il criterio della manifestazione del danno (loss occurrence),
si è affermata la clausola c.d. claims made, che identifica il sinistro
con la richiesta di risarcimento. Alla sua stregua, l’assicurazione è ritenuta
valida per le richieste risarcitorie che fossero avanzate all’assicurato durante
il periodo d’efficacia del rapporto assicurativo: in caso di richieste plurime
di risarcimento, originate da un’unica causa di inquinamento, la data della
prima richiesta sarà considerata come riferimento di tutte le altre, anche se
presentate dopo la scadenza della polizza. La formula claims made consente
altresì di assicurare gli eventi dannosi che abbiano a verificarsi prima della
stipulazione del contratto purché, ovviamente, non conosciuti né conoscibili
dall’assicurato al momento della stipula.
Nell’ipotesi di successione di diverse polizze, anche con assicuratori
differenti, le richieste risarcitorio, imputabili ad un unico fenomeno di
inquinamento, graveranno su un’unica polizza: in particolare, su quella vigente
al momento di presentazione della prima domanda di risarcimento.
Quanto infine all’estensione territoriale, la polizza RCI garantisce dai danni
che abbiano origine sul territorio italiano (anche se verificatisi all’estero),
senza alcuna limitazione.
2.2. Il Pool per l’assicurazione della RCI
La polizza RCI è idonea a coprire i rischi caratterizzati da potenzialità di
danno catastrofiche e, pertanto, richiede la mobilitazione di ingenti risorse
tecniche e finanziarie. Nel nostro Paese, la polizza de qua viene offerta
da un gruppo di compagnie che, a partire dalla fine degli anni settanta, hanno
costituito il Pool per l’assicurazione e la riassicurazione della
responsabilità civile per danni a terzi da inquinamento: accanto alle
attività di prevenzione/ispezione dei siti e di assistenza tecnica alle
compagnie in caso di sinistro, tale organismo agisce principalmente in una
logica di tipo riassicurativo11,
attraverso lo scambio e la ripartizione fra le compagnie aderenti della
copertura dei rischi caratterizzarti da un’elevata potenzialità di danno.
Rispetto alla singola compagnia di assicurazioni, il Pool tra imprese consente
quindi:
a. la raccolta di elevate risorse finanziarie, offrendo massimali di importo
elevati (fino a 40 milioni di euro) a garanzia di quei danni che possano
assumere proporzioni catastrofiche;
b. una copertura completa del rischio, tale da assicurare sia gli eventi di
natura accidentale, sia quelli di natura graduale;
c. il frazionamento dei rischi tra gli aderenti;
d. la condivisione di esperienze tecniche di valutazione dei rischi12.
L’attività del Pool prevede una procedura d’assunzione del rischio in grado di
fornirne all’assicuratore una puntuale rappresentazione e indurre l’assicurato a
comportamenti virtuosi di prevenzione dei sinistri. Propedeutica alla
valutazione ed acquisizione del rischio è poi la fase conoscitiva, con esame
della proposta/questionario, cui fa seguito un sopralluogo a cura di tecnici
specializzati e finalizzato ad accertare la tipologia di attività, i processi di
produzione, le caratteristiche degli impianti, la natura di suolo, sottosuolo ed
aree circostanti, l’esistenza e mantenimento in efficienza di sistemi di
prevenzione dei danni.
Di particolare rilevanza è a tal fine la verifica dell’adesione e
dell’applicazione volontarie dei piani/programmi di prevenzione, come ad esempio
gli standard ISO 14000 ed EMAS. Al riguardo, è opportuno ricordare che il 10
marzo 2004 è stato stipulato da ANIA e Confindustria il Protocollo di intesa
sulla prevenzione dell’inquinamento ambientale13,
inteso a favorire la diffusione tra le imprese italiane dei processi di
eco-certificazione ambientale, anche tramite la previsione di condizioni
contrattuali agevolate per la sottoscrizione delle polizze assicurative di RCI:
con tale accordo, in particolare, il Pool si è impegnato a riconoscere alle
imprese con certificazione ambientale sconti sulle polizze sottoscritte, nella
misura massima del 10% del premio richiesto.
1.3 L’assicurabilità del danno ambientale
La polizza RCI assicura quei beni/diritti (individuali) che l’ordinamento
giuridico tradizionalmente tutela, come i danni che colpiscano la proprietà, la
salute e le disponibilità economiche del danneggiato. Viceversa, manca in
polizza ogni riferimento al “bene ambiente” – e, dunque, al danno immateriale ad
un bene di cui fruisce la collettività – e della relativa riparazione: la
fattispecie sembra esulare invero dalla copertura di questo strumento
assicurativo.
La dottrina14
suole infatti distinguere un duplice regime di responsabilità ambientale,
basato, rispettivamente, sull’applicazione delle fattispecie di danno previste
dal codice civile ovvero dalla specifica normativa del settore. Il discrimen
si fonda sulla distinzione tra danno da inquinamento (o danno all’ambiente)
e danno ambientale “in senso stretto”: il primo riguarda il pregiudizio alla
persona o al patrimonio subito dall’individuo a seguito di fenomeni
d’inquinamento generatisi in precedenza; il secondo afferisce invece alle
alterazioni arrecate alle risorse naturali ed agli ecosistemi, prescindendo da
ogni riferimento ai riflessi che questo danno possa arrecare nei confronti di
persone e cose.
Nell’ipotesi di danno da inquinamento, la disciplina applicabile è quella
definita negli articoli 2043 e segg. del codice civile poiché, in questi casi,
l’inquinamento risulta solo la causa del danno prodotto a terzi. Legittimato
all’azione sarà quindi il soggetto che abbia visto leso il proprio diritto in
conseguenza o di un’azione dolosa o colposa (art. 2043 c.c.) o di una delle
attività descritta agli artt. 2049-2051 c.c. (ipotesi di responsabilità
oggettiva), con competenza in capo al giudice ordinario e secondo un regime che
prevede il risarcimento per equivalente.
Nel caso invece del danno ambientale stricto sensu, l’ambiente viene in
rilievo come bene giuridico immateriale, meritevole di risarcimento
indipendentemente dalla lesione di diritti soggettivi, sulla scorta di una
normativa che, valorizzando gli aspetti sanzionatori della tutela pubblicistica
su quelli risarcitori del diritto privato, ha posto notevoli problemi in punto
di assicurabilità di tale pregiudizio.
Vigendo ancora l’articolo 18 della legge n. 349/86, l’esclusione è stata
motivata per due ordini di ragioni: la prima tecnica, la seconda giuridica15.
Sotto il primo profilo, si argomentava che l’articolo 18 de quo ha
introdotto il concetto di danno ambientale senza darne un’esatta definizione e,
soprattutto, fornire elementi utili a consentirne un’univoca valutazione.
Conseguentemente, all’assicuratore sarebbe stata preclusa ogni valutazione circa
le tipologie di danno possibili e, dunque, la possibilità di stimare la
possibile esposizione sul singolo rischio.
Sotto il profilo prettamente giuridico, il disposto letterale 6° comma16
ha indotto le imprese assicuratrici, in un primo momento, ad escludere
l’operatività delle polizza RCI in ogni fattispecie di danno all’ambiente,
poiché veniva in considerazione un criterio – come quello dell’ammontare
dell’indennità in proporzione al grado di colpa ed al profitto conseguito dal
trasgressore – del tutto estraneo al principio indennitario, tipico dello
strumento assicurativo. In un momento successivo, le imprese di assicurazione
hanno rivisto parzialmente tale assunto, distinguendo nell’ambito dell’articolo
18 due aree di rischio:
- il risarcimento c.d. per equivalente (comma 6°), considerato non assicurabile
posto che la riparazione del danno assume, in tal caso, una spiccata
configurazione sanzionatoria e in quanto tale non può accollarsi a persona
diversa dal destinatario della pena;
- la condanna al ripristino dello stato dei luoghi (comma 8°), ritenuto invece
assicurabile giacché la reintegrazione, commisurata al solo costo di ripristino,
rientrerebbe nell’ambito tipico dei criteri di risarcimento.
Il problema è destinato a riproporsi con l’entrata in vigore della nuova
disciplina del danno ambientale, come introdotta dal decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”17
– c.d. “codice dell’ambiente” o “testo unico ambientale” –, in attuazione della
direttiva 2004/35/CE. In attesa di verificare il (ri)posizionamento del mercato
assicurativo rispetto alla novella legislativa, è utile richiamare l’opinione
dottrinaria favorevole alla tesi dell’assicurabilità del danno ambientale, sulla
scorta delle seguenti argomentazioni:
1. la direttiva 2004/35/CE ed il d.
lgs. n. 152/06 superano la logica sanzionatoria (sottesa invece, come visto
sopra, alla l. n. 349/86) a favore di un sistema definito sulla tradizionale
alternativa risarcimento – reintegrazione del danno cagionato;
2. il concetto di danno viene definito e limitato alle tre sole tipologie del
danno alle acque, al terreno, alle specie e habitat naturali protetti;
3. sono previsti (allegato II alla direttiva) meccanismi di riparazione
dell’illecito ambientale attraverso unità di grandezza – investimenti,
macchinari, ore di lavoro – definite direttamente dal mercato e, quindi,
agevolmente utilizzabili dalle compagnie assicuratrici18.
Fermo restando quanto sopra detto, l’inquinamento delle matrici ambientali
(acqua, aria e suolo) è considerato dalla polizza in argomento alla stregua di
una causa immediata dei danni, anziché come danno risarcibile.
3. Strumenti alternativi all’assicurazione
Il rischio ambientale, per le sue caratteristiche, ben si presta alla soluzione
assicurativa; ciononostante, la sua copertura mediante assicurazione può
costringere le imprese a ricorrere, forzatamente, a programmi alternativi: la
tutela ambientale si associa infatti a situazioni di rischio che le compagnie
sono talvolta restie ad accettare, se non a tassi elevati, risultando
estremamente difficoltosa la valutazione di congruità del premio richiesto
rispetto alla perdita attesa.
Pertanto, quando il rischio non sia trasferibile (se non a costo di elevati
premi assicurativi), la ritenzione diviene una scelta obbligata per l’impresa;
all’inverso, allorquando il rischio ambientale sia trasferibile, situazioni di
non convenienza del premio potrebbero orientare l’operatore verso scelte di tipo
auto-assicurativo. A ciò si aggiunga, in termini più generali, che
l’assicurazione si associa ad una serie di inconvenienti, o costi, che la
letteratura economica suole distinguere in:
- costi amministrativi, legati
all’acquisizione dei rischi presso il cliente e alla liquidazione dei sinistri19;
- costi connessi ad atteggiamenti opportunistici dell’assicurato, quali i costi
di selezione avversa20
e di azzardo morale21.
L’assicurazione neppure è vantaggiosa, infine, in ipotesi di rischi c.d.
fisiologici, caratterizzati cioè da un’alta probabilità di accadimento ed
una bassa gravità economica: simili sinistri andrebbero ritenuti dall’impresa,
per non incorrerebbe in alti costi assicurativi; né conviene, in questi casi,
accantonare le somme eccedenti (poiché gli accantonamenti a bilancio sono
soggetti a tassazione, secondo la vigente normativa fiscale).
Per tali ragioni, il sistema economico si cimenta da tempo nell’individuazione e
promozione di strumenti (di copertura del danno ambientale) alternativi
all’assicurazione: la potenziale elevatezza dei danni in questione richiede
invero l’impiego di soluzioni di natura ibrida – che consentano di combinare
sistemi di ritenzione con metodi di trasferimento – per rendere sopportabile la
possibile perdita economica.
Alle coperture del mercato assicurativo si affiancano, ormai da qualche anno,
specie sul mercato statunitense, le cosiddette alternative di finanziamento o
trasferimento del rischio (alternative risk transfer – a.r.t. – o
alternative risk financing – a.r.f.): come tali, si intendono quegli
strumenti/tecniche che offrono soluzioni di copertura del rischio alternative (rectius:
complementari) all’assicurazione tradizionale, in una logica di prodotto
finanziario. Le banche d’affari e il mondo della finanza offrono
soluzioni/prodotti che modificano profondamente l’ottica nella quale ha operato,
finora, il mercato assicurativo, in quanto consentono di superare l’assunto per
il quale si considerava possibile il trasferimento assicurativo dei soli rischi
puri (e non, quindi, per quelli speculativi). Viceversa, diventa possibile
gestire attraverso le soluzioni offerte dal mercato finanziario anche il rischio
puro: l’esempio forse più noto è rappresentato dai titoli obbligazionari
denominati “catastrophe bonds”, dove il rischio legato all’evento grava
completamente sui mercati finanziari, mentre l’assicuratore altro non è che il
veicolo col quale si realizza la raccolta dei premi ed il trasferimento del
rischio22.
Il trasferimento del rischio ai mercati finanziari rappresenta del resto
un’efficace alternativa per la stessa industria assicurativa, che per tale via
ha la possibilità sia di aumentare il numero dei rischi, sia di sottoscrivere e
gestire il capitale in modo più efficiente: il trasferimento dei rischi dal
comparto assicurativo al mercato finanziario crea invero un ulteriore legame tra
questi settori, che già interagiscono attraverso la partecipazione delle
compagnie di assicurazione al mercato dei capitali quali investitori
istituzionali.
La compagnia captive e l’emissione di risk bonds sono ulteriori
esempi di strumenti finanziari, in alternativa all’assicurazione, per la
copertura delle esposizioni ambientali.
La captive è una società di assicurazione, interamente controllata da
un’impresa operante in un settore diverso, che agisce secondo una logica
identica a quella dell’ordinaria compagnia assicuratrice: l’impresa affiliata
versa i premi (per i rischi che intende assicurare) alla capogruppo, mentre
quest’ultima si obbliga a pagare gli indennizzi al verificarsi dei sinistri.
L’aggregazione delle esposizioni tra soggetti che abbiano rischi analoghi si
rivela particolarmente conveniente i rischi ambientali, rendendo sopportabile
una perdita con dimensioni potenzialmente molto elevate. L’impiego della
compagnia captive – che consente alle compagnie partecipanti di trasferire i
rischi dal comparto assicurativo al mercato dei capitali23
– permette di avvantaggiarsi delle efficienze di una gestione su larga scala e
di un volume di acquisti sul mercato riassicurativo, impensabili qualora il
singolo membro intraprendesse un programma individuale. A ciò vanno sommati i
vantaggi di natura tributaria: poiché rappresenta uno strumento di
riassicurazione, la captive gode del medesimo trattamento fiscale conseguibile
con l’assicurazione (rispetto al normale accantonamento, abbiamo qui formalmente
un premio, deducibile fiscalmente). Le stesse riserve in accantonamento
usufruiscono inoltre di regimi giuridici favorevoli, nella misura in cui tali
società sono domiciliate solitamente in territori con modesti, o addirittura
nulli, livelli di tassazione sulle riserve.
I risk bonds sono invece strumenti finanziari c.d. indicizzati, ossia
consistenti in obbligazioni con rendimento più elevato rispetto a quello
normalmente praticato. L’extra-rendimento viene associato al rischio: qualora si
verificasse quest’ultimo, i sottoscrittori del titolo non riceveranno alcuna
cedola.
Tale prodotto finanziario è finalizzato a coinvolgere i capitali idonei ad
integrare, all’occorrenza, le riserve tecniche degli assicuratori; all’opposto,
in assenza di sinistri di significativa entità, le riserve tecniche saranno
utilizzate per la corresponsione degli interessi. I risk bonds sono estremamente
vantaggiosi per i potenziali sottoscrittori, sia per gli elevati rendimenti
offerti, sia per il contributo in termini di diversificazione di portafoglio24.
In termini più generali, gli strumenti finanziari di gestione del rischio si
pongono nell’ottica di ottimizzare la gestione del capitale dell’impresa. Due
sono i cardini sui quali poggiano queste tipologie, quali:
» la “copertura multi-rischio” –
mediante identificazione di un paniere (basket) di rischi da trattare – sul
presupposto della minore probabilità del verificarsi di una pluralità di eventi
dannosi legati a rischi diversi e la conseguente diminuzione di richiesta di
capacità al mercato assicurativo, integrando così in un’unica copertura garanzie
fornite normalmente da più rami assicurativi;
» la pluriennalità del periodo di copertura, durante il quale il limite (o
finanziamento) che lo stesso assicurato ritiene in proprio per gli eventi
dannosi che si dovessero verificare è unico, cioè “aggregato” per il periodo. Il
risultato finale è costituito dalla massima riduzione del costo opportunità
conseguente alla minimizzazione del portafoglio dei rischi e anche dalla
diversificazione delle tipologie di rischi, trasferendo quelli caratterizzati da
minore frequenza e rilevante magnitudo.
4. Conclusioni
La nuova disciplina sulla responsabilità ambientale, sopravvenuta con la
direttiva 2004/35/CE, impone alle imprese industriali italiane e dell’Unione
europea di ripensare le proprie strategie organizzative e gestionali: tale
normativa costituirà infatti una delle variabili strategiche dell’impresa più
rilevanti, rispetto alla quale l’imprenditore dovrà essere in grado di
sviluppare adeguate scelte gestionali, organizzative e tecniche. In quest’ottica,
l’assetto normativo andrà inteso non come mero sistema di vincoli, bensì quale
opportunità che richiede all’impresa, per essere realmente competitiva, di
adeguare le modalità operative delle proprie attività (cui sono associati
specifici rischi ambientali) al contesto economico/operativo di riferimento,
individuando contestualmente i possibili margini di miglioramento in una vera e
propria logica/politica di prevenzione e controllo25.
Il sistema produttivo è chiamato a concorrere attivamente alla protezione ed al
miglioramento della qualità dell’ambiente,così da salvaguardare la salute dei
cittadini ed utilizzare in modo accorto e razionale le risorse naturali: per
tale profilo, nella conduzione dell’impresa, deve assumere un’evidente
centralità l’implementazione degli Strumenti di Gestione Ambientale (SGA), in
quanto finalizzati alla certificazione ambientale delle imprese medesime.
Sotto altro aspetto, infine, posto che la verificazione di sinistri resta una
componente ineliminabile del moderno sistema industriale, le imprese dovranno
impegnarsi in un’attenta valutazione economica dei costi associabili ai danni
connessi con i rischi identificati, al fine di poterli confrontare con quelli
necessari per la prevenzione e, nell’ipotesi della loro copertura, ricorrere
agli strumenti (l’assicurazione e/o i prodotti finanziari) messi a disposizione
dagli operatori del settore.
________________________
1 A quest’impostazione
si è contestata la creazione di un’eccessiva complessità e burocratizzazione dei
controlli ambientali e, quindi, un peso talvolta insostenibile a carico delle
imprese: la molteplicità e la lunghezza degli itinera burocratici hanno
rallentato sovente i processi decisionali, a tutto svantaggio delle esigenze di
tempestività e certezza degli operatori economici sottoposti al sistema dei
controlli.
2 Quantunque le leggi ambientali trovino applicazione in via
generale ed astratta, rivolgendosi quindi all’intera collettività, è altrettanto
indubbio che esse si rivolgono principalmente ai soggetti esercenti le attività
economiche: per questa ragione, nel prosieguo del testo, il discorso farà
esclusivo riferimento agli operatori economici.
3 Ai tradizionali strumenti di tutela si sono affiancate nuove
modalità di cura dell’interesse pubblico ambientale, imperniate sulla
valorizzazione di iniziative spontanee dei produttori e sul loro interesse a
conquistare peculiari quote di mercato: si pensi a strumenti quali l’Ecolabel,
l’EMAS (Eco-Management and Audit Scheme), le norme ISO 9000 per
l’implementazione dei sistemi di qualità ambientale, le ISO 14000 che
definiscono gli standard dei Sistemi di Gestione Ambientale, i Rapporti e
bilanci ambientali e la Contabilità ecologica. In argomento, si rinvia a
MARANGONI, Strategia e gestione ambientale, in GILARDONI (a cura di),
Health, Safety & Environment. Indirizzi strategici e problematiche operative,
Milano, 2000, 277-310 (e bibliografia ivi richiamata).
4 Rispetto alla gestione dei classici rischi imprenditoriali, il
risk management ambientale ha specifiche peculiarità, posto che i rischi
ambientali:
>> presentano un forte impatto
sociale, trovandosi l’impresa ad interagire con altri interlocutori della
collettività;
>> richiedono idonee strategie di comunicazione sociale, necessari alla
definizione/individuazione di una soglia di loro accettabilità. Tali processi di
informazione e partecipazione dell’opinione pubblica possono infatti
condizionare la prevenzione e/o la gestione delle emergenze ambientali.
5 Le perplessità
riguardavano innanzitutto l’indeterminatezza della valutazione del danno alla “biodiversità”,
che comporterebbe l’impossibilità per le imprese di stimare in anticipo i costi
connessi all’applicazione del nuovo regime. Ciò avrebbe costituito un
disincentivo a nuove iniziative d’impresa, oltre che un ostacolo al
proseguimento di attività esistenti. In secondo luogo, anche l’ampiezza stessa
del regime di responsabilità era vista come un aspetto critico, per
l’impossibilità del settore assicurativo a fornire coperture a tutti i rischi
inclusi nella Direttiva.
6 Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 21 aprile 2004 “sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione
e di riparazione del danno ambientale”, pubblicata in GUCE, serie L 143/56,
del 30 aprile 2004.
7 SELLERI, I rischi catastrofali e ambientali. Principi di
valutazione e strumenti di gestione, Milano, 1996; TAGLIAVINI, Il
controllo finanziario dei rischi, in GILARDONI (a cura di), cit.;
PIVATO-TENCATI (a cura di), Gestione dell’ambiente e della sicurezza
aziendale, Milano, 2005; ANDRIOLA-GUERRIERI, Le compagnie di
assicurazione, il rischio ambientale e le “polizze della Responsabilità Civile
da Inquinamento” (RCI), in www.confindustrialazio.it/guida/oltre/9-3.pdf.
8 La polizza non copre tuttavia i danni derivanti da:
>> intenzionale inosservanza delle
disposizioni di legge;
>> volontaria mancata prevenzione del danno per omesse riparazioni o migliorie
da parte dell’impresa;
>> rischi nucleari (sottoposti ad apposito regime assicurativo);
>> alterazioni di carattere genetico.
9 Si pensi per
esempio alle figure del danno biologico e/o esistenziale, di cui molto discutono
dottrina e giurisprudenza.
10 Non sono ascrivibili a questa categoria le spese per gli
impianti fissi di prevenzione, evidentemente a carico dell’assicurato.
11 La riassicurazione è il meccanismo mediante il quale
l’impresa assicuratrice, una volta assunto contrattualmente il rischio
dell’assicurato, lo trasferisce, in tutto o in parte, ad altra compagnia – c.d.
riassicuratore – che non ha alcuna relazione negoziale con l’assicurato iniziale
(art. 1929 c.c.). La riassicurazione, cui attendono imprese specializzate, come
i Lloyd’s di Londra, è, giuridicamente, un contratto di assicurazione, regolato
in quanto tale dalle norme corrispondenti.
A seconda dei rapporti convenuti tra assicuratore e riassicuratore, è possibile
distinguere tra:
1. riassicurazione obbligatoria:
utilizzata per coprire interi portafogli, essa impone alla compagnia
assicuratrice di cedere al riassicuratore, a sua volta obbligato ad accettare,
una quota dei rischi. Solitamente, tale contratto ha durata annuale;
2. riassicurazione facoltativa: impiegata a copertura dei rischi
individuali, consente all’assicuratore di scegliere i rischi da trasferire al
riassicuratore mentre questi, da parte sua, è libero di accettare o rifiutare il
rischio od i rischi offertigli. Tale forma di riassicurazione è suddistinta in
proporzionale (l’assicuratore offre il rischio alle stesse condizioni e
con lo stesso premio ricevuto dall’assicurato originario, di modo che l’impresa
assicuratrice ed il riassicuratore si dividono premi o sinistri secondo
percentuali contrattualmente definite tra loro) e non proporzionale (la
quota di rischio a carico delle parti è in funzione dell’ammontare del sinistro
verificatosi, che l’assicuratore pagherà sino ad un certo importo, detto
priorità o priority, mentre il riassicuratore indennizzerà i sinistri eccedenti
rispetto a tale somma e sino ad un ammontare predefinito contrattualmente, detto
portata o cover).
12 Nello specifico, il Pool ha identificato tre diverse polizze a copertura dei rischi di danno da inquinamento:
a. la RC da inquinamento
dell’insediamento, la più diffusa, specificamente rivolta all’attività
sviluppata all’interno degli insediamenti dai quali potrebbe discendere l’evento
dannoso;
b. la RC per la committenza del trasporto di merci pericolose;
c. la RC per le operazioni di carico e scarico di automezzi.
13 Il testo del
protocollo è consultabile al sito www.ania.it/rc_generale/attivita/PROTO155COMU.pdf.
14 Cfr., ad esempio, POZZO, Il danno ambientale, Milano,
1998; MAGLIA – TANIA, Nuovi orientamenti in materia di responsabilità per
danno ambientale, in Rivista Ambiente e Lavoro, n. 10/2004.
15 Sulla questione, si rinvia a: CANDIAN, Responsabilità
civile per danno ambientale e assicurazione, in A.A.V.V., La parabola del
danno ambientale, Milano, 1994; POZZO, Il danno ambientale, cit.;
MAGLIENTI, Profili assicurativi della risarcibilità del danno ambientale,
in www.tuttoambiente.it/comm/danno.html.
16 La norma statuiva che “Il giudice, ove non sia possibile
una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via
equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del
costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore
in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali”.
17 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2006, n.
88, Supplemento Ordinario n. 96.
18 Così, FREY- IRALDO-BATTAGLIA, Gli effetti sulla gestione
ambientale della Direttiva CE sul danno ambientale e i possibili riflessi sul
piano assicurativo, in www.insat.sssup,it/documenti/danno_gestione_ambientale.pdf
(si vedano, in particolare, le pagg. 15-17 del testo).
19 Rientrano in questa categoria le incertezze riguardanti
tempi e/o entità degli indennizzi: nell’esperienza corrente, le compagnie
assicuratrici provvedono alla liquidazione del sinistro e al pagamento delle
somme dovute con molta lentezza e, comunque, secondo tempi non prevedibili a
priori. Frequenti si rivelano anche le controversie sull’interpretazione delle
clausole contrattuali, in esito alle quali si addiviene al risarcimento dopo una
negoziazione complessa e costosa e, spesso, in misura inferiore alle
aspettative.
20 È il fenomeno delle asimmetrie informative nella stipula del
contratto, tra compagnia di assicurazione ed assicurato: quest’ultimo potrebbe
decidere di non rivelare per intero alla controparte la verità in ordine al
proprio profilo di rischio. Ne deriva che: i soggetti più a rischio saranno,
evidentemente, propensi a dotarsi di un’assicurazione; l’assicuratore, per
prevenire il fenomeno, dovrà sostenere dei costi per esaminare e tariffare
diversamente i soggetti da assicurare – in relazione appunto alla bontà dei
rischi trasferiti – una quota dei quali sarà caricata sul premio di polizza di
tutti i clienti; gli operatori dotati di efficaci sistemi di prevenzione del
rischio, e dunque più a basso rischio, saranno costretti verosimilmente a pagare
un premio superiore a quello atteso.
21 Come tale si intende l’atteggiamento opportunistico
derivante dal controllo del soggetto assicurato sul rischio dedotto in vigenza
del contratto: una volta trasferite le conseguenze economiche del danno, questi
potrebbe mostrarsi poco interessato ad assumere misure di prevenzione
dell’evento dannoso o, addirittura, indotto a provocarne l’accadimento. La
compagnia assicurazione è indotta a tutelarsi mediante l’applicazione sul premio
di una maggiorazione di costo, che riflette la possibilità di simili
comportamenti dell’assicurato.
22 In argomento, v. CORVINO, Gli strumenti innovativi di
finanziamento dei rischi ambientali, in FORESTIERI-GILARDONI, Le imprese
e la gestione del rischio ambientale. Profili aziendali, giuridici e
assicurativi, Milano, 1999.
23 Il fenomeno è noto con la formula di bancassurance o
assurbanking: si veda, ad esempio, ENTE PER GLI STUDI MONETARI, BANCARI E
FINANZIARI “Luigi Einaudi” Quaderni di Ricerche n. 33, Verso un sistema
bancario e finanziario europeo?, in www.enteluigieinaudi.it/pdf/Pubblicazioni/Quaderni/Q_33.pdf.
24 Così CORVINO, Gli strumenti innovativi di finanziamento
dei rischi ambientali, cit..
25 In questi termini, FREY- IRALDO-BATTAGLIA, Gli effetti
sulla gestione ambientale della Direttiva CE sul danno ambientale e i possibili
riflessi sul piano assicurativo, cit.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 3/06/2006