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La sicurezza del sistema energetico e l’approccio federalista
THE SECURITY OF THE ENERGY SYSTEM AND THE FEDERALIST APPROACH
Fabio Tambone
Abstract
The energy sector is the key for every country's economic growth. It is
complex and needs continuous financial support since it runs on the very
delicate border line between political and economic power and influence.
The international energy market integration and, at the same time, the process
of decentralisation of powers from central State to local Authorities, as it
happened in Italy with the new article 117 of the Title V (Italian Republic
Constitution), have dramatically modified the structure of rules and competences
in the energy sector framework.
As a consequence a very deepen challenge is on going due to the transition from
a monopolistic market to liberalised one and this process affects politics,
finance, industry and consumers interests.
In Italy the federalist approach took place but so far this did not bring any
particular result, in particular regarding the energy sector. And, considering
the last events, namely the Italian black-out of September 2003, two priorities
are envisaged as a must: the security of the system and its management.
The black-out inverted the trend getting back powers and competences to central
State and consolidated the relationships with local Authorities through an ad
hoc dialogue. Moreover the international cooperation became more intense due to
the world-wide tendency towards the regional energy markets.
All these issues put on the table difficult but very interesting pillars which
will strongly impact on the growth and development of the industrial system in
Italy.
Background
In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, approvata con il
Referendum dell’Ottobre 2001, l’energia è diventata materia di concorrenza.
Infatti, secondo tale riforma è allo Stato che spettano i principi fondamentali
della materia energetica mentre alle Regioni tocca legiferare sulle norme di
maggiore dettaglio. Tutto ciò appare semplice a parole, ma è tutt’altra cosa nei
fatti. Oggi, a tre anni dall’avvio del processo di riforma federalista si
procede ad un ritmo lento e in qualche caso si registra una inversione di
tendenza e in direzione di un nuovo accentramento delle competenze in materie
energetiche in seno al Ministero delle Attività Produttive. Infatti, alla luce
del recente black-out di settembre 2003, ci si è posti il problema della
“sicurezza del sistema energetico” come priorità.
Il black-out, definito da alcuni come “l’assenza totale di tensione su porzioni
più o meno estese della rete elettrica che provocano rilevanti disalimentazioni
dell’utenza”, risulta oggi essere un elemento che ha avuto la forza di
accelerare un processo decisionale da tempo “ingolfato” da una forte
contrapposizione fra Stato ed autonomie locali.
Da un lato il decreto cosiddetto “anti black-out” ha permesso di velocizzare
l’iter autorizzativo per nuovi impianti, dall’altro l’effetto psicologico
dell’urgenza ha consentito una maggiore predisposizione dei decison makers
a favore di misure concrete per migliorare la sicurezza del sistema energetico
in un’ottica federalista delle competenze.
E’ importante sottolineare che il fattore “incertezza” risulta essere
particolarmente delicato in un settore quale quello energetico che necessita di
un quadro decisionale “blindato” nel medio lungo termine. Ciò per garantire da
un lato la sicurezza del sistema, dall’altro per tutelare gli interessi degli
investitori al fine di ottenere un adeguato pay-back dell’investimento
sostenuto.
Per le ragioni suddette quando con l’articolo 117 del Titolo V della
Costituzione si delinea il confine di competenze fra Stato e Regioni, per cui al
primo spetta la funzione di garantire l’omogeneità di fondo della disciplina e
allo stesso tempo di coordinarsi con le Regioni stesse, mentre le seconde si
vedono attribuite le competenze legislative per l’attuazione dei principi
generali definiti in sede statale, si profila una situazione di indubbia
difficoltà data la peculiarità della materia energetica. Tante sono state le
“battaglie sul campo” da parte delle amministrazioni locali nei confronti di
progetti per nuove infrastrutture, fra l’altro considerate necessarie alla
sicurezza del sistema e ad oggi risulta essere di estrema necessità un’attività
di coordinamento e programmazione che ha avuto finalmente inizio con il “tavolo
dell’energia” in seno al Ministro per le Attività Produttive.
Il richiamo quindi è ad una doverosa chiarezza di definizione dei confini
tracciati dalla norma costituzionale relativamente a competenze da mantenere sul
versante centrale e quelle da assegnare al versante regionale e locale. Ciò si
giustifica alla luce del potenziale di interventi da parte delle Autonomie
locali per un sicuro successo a favore di:
• un uso razionale dell’energia
• una razionalizzazione e contenimento dei consumi
• un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili.
Tutto ciò al fine di mitigare i rischi dovuti alle perturbazione del mercato
internazionale petrolifero ed ai nuovi “indici” imperativi derivanti dal
protocollo di Kyoto da poco ratificato.
Lo studio si articolerà in quattro segmenti per cui nel primo si porterà
all’attenzione la specificità della riforma costituzionale (articolo n. 117 del
Titolo V) ed il suo conseguente impatto, attraverso una serie di valutazioni,
presenti e prospettiche, relative alla sicurezza del sistema energetico nel suo
complesso ed alla luce degli input che vengono dall’Unione europea; nel secondo
paragrafo verrà affrontato il tema relativo agli elementi che condizionano la
politica energetica in Italia nel quadro di una necessaria tutela e sicurezza
del sistema energetico nel suo complesso, considerando anche le possibili
soluzioni adottate per un adeguato “governo dell’energia”; nella terza parte
verrà posta in evidenza la centralità di ruolo della rete di trasporto come
elemento necessario per il funzionamento di un settore quale quello energetico,
ma soprattutto la difficoltà della sua gestione e miglioramento alla luce del
nuovo approccio federalista dettato dall’approvazione delle nuovo norme
costituzionali; infine nella quarta ed ultima sezione si affronterà il quadro
generale e internazionale cercando di individuare alcuni elementi che possono
rappresentare un benchmark o essere di applicazione in Italia.
La riforma della Costituzione con il Titolo V, articolo n. 117. L’impatto
sulla sicurezza del sistema energetico, valutazioni e prospettive.
L’articolo 117 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale del 18
ottobre 2001 delinea la potestà legislativa su tre diversi livelli:
• potestà legislativa statale;
• concorrente Stato-regioni;
• regionale residuale.
E’ quindi data indicazione di una tripartizione delle materie di rilevanza
istituzionale. Ne risulta un gioco cooperativo che rappresenta un importante
elemento di novità e comuni obiettivi da raggiungere attraverso chiare regole di
complementarietà.
L’attuazione della riforma costituzionale esige pertanto il buon funzionamento
dei rapporti istituzionali e l’applicazione di strumenti di raccordo e
concertazione per il superamento della separazione ed a favore di una leale
rapporto collaborativo. Ciò che colpisce è l’assenza all’interno della riforma
delle altre fasi della filiera energetica accanto a “produzione, trasporto e
distribuzione”, cioè importazione e dispacciamento per l’elettricità e gas, e
stoccaggio per il gas, tuttavia ciò non dovrebbe derivare da un tentativo di
escludere tali attività dalla potestà legislativa concorrente.
E’ opportuno precisare che per ricostruire i confini della competenza statale in
materia energetica fare riferimento esclusivo all’articolo 117 della
Costituzione sembra essere una soluzione piuttosto riduttiva. Infatti esistono
oggi in Italia materie strettamente correlate alla politica energetica che la
riforma costituzionale rimette alla legislazione esclusiva dello Stato, e cioè
la tutela ambientale, della sicurezza e la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Inoltre, alcune materie di competenza esclusiva dello Stato costituiscono in
realtà “clausole trasversali” caratterizzate dalla previsione non solo di
competenze in senso stretto, ma anche di tipologie di competenza che implicano
il perseguimento di valori dell’ordinamento legislativo e che sono
potenzialmente idonee ad investire tutte le materie.
L’interpretazione più o meno flessibile di tale competenza trasversale sposta il
baricentro dei rapporti di produzione legislativa fra Stato e Regioni: quanto
più ampio sarà l’ambito di applicazione delle competenze, appunto trasversali,
tanto maggiore potrà essere la riassegnazione allo Stato di competenze normative
anche in materia concorrente quale l’energia.
In questo caso la flessibilità delle competenze potrà rappresentare un vero e
proprio strumento di garanzia a favore delle esigenze sistemiche della rete
energetica. Fra le cosiddette clausole trasversali possono identificarsi
l’ordinamento civile, la tutela ambientale e della concorrenza, l’organizzazione
dello Stato relativamente ai rapporti con l’UE.
La distribuzione di competenze e poteri per ciò che riguarda il cosiddetto
“governo dell’energia” è dunque sensibilmente diversa rispetto a qualche anno
fa. Infatti, la situazione attuale è il frutto dell’interazione di due processi
distinti e cioè l’apertura dei mercati energetici e la nuova architettura
post-riforma. La conseguenza oggi è un duplice livello di decentramento, le
regioni e gli Enti locali, che presuppone uno sforzo enorme in direzione di un
coordinamento sostanziale fra i vari livelli di governo e pone problemi di
natura tecnica assolutamente non trascurabili nelle attività di generazione e
trasporto dell’energia.
E’ quindi urgente e di primaria importanza dare un quadro denso di certezze agli
operatori e tale risultato potrà essere raggiunto attraverso una serie di misure
correttive della riforma che chiarifichino ruoli e competenze una volta per
tutte.
A questo proposito la prima criticità rilevante deriva dal fatto che le attività
di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia hanno ambito nazionale per
le perché assolvono a servizio pubblico necessario, ma allo stesso tempo
producono esternalità negative allorquando impattano negativamente sul
territorio. La letteratura identifica tale trade-off come
enterpreneurial politics1,
cioè una politica che produce asimmetrie fra benefici diffusi a livello generale
e costi a livello locale.
Da qui il pillar della letteratura moderna che si scontra con il problema della
“security of the energy system”, e cioè la sindrome NIMBY – Not in my
back yard, e cioè l’ostracismo da parte delle comunità locali nei confronti
di iniziative di investimento infrastrutturale.
E’ giusto o sbagliato? Dipende. Le comunità hanno desiderio di partecipare e
godere dei benefici della tecnologia, dei servizi più efficienti (è il caso non
solo dell’energia elettrica o gas, ma comunque di tutti i servizi a rete come
ferrovie, telecomunicazioni, autostrade….), tuttavia provoca conflitti
istituzionali poiché esse non vogliono assolutamente che l’investimento e quindi
l’infrastruttura in questione sia localizzata in casa propria (appunto NIMBY).
E’ chiaro che tale problema è andato accentuandosi con la liberalizzazione del
mercato energetico e comunque di tutti i servizi a rete; in passato l’unico
interlocutore era lo Stato, il Governo centrale, oggi i singoli
operatori/investitori privati devono negoziare a livello centrale e locale per
ottenere una serie di autorizzazioni, o licenze, necessarie all’inizio dei
lavori.
Un'altra segnalazione da fare in merito, che si collega strettamente a quanto
detto, riguarda lo spazio fisico necessario a realizzare le infrastrutture, ad
esempio elettriche, ed allo stesso tempo la garanzia di “sicurezza” delle
infrastrutture.
Per un ottimale sviluppo di un mercato competitivo, che porti quindi benefici al
cliente finale in termini di qualità del servizio reso e prezzo offerto, è
necessaria la realizzazione di infrastrutture per una idonea ridondanza del
sistema che garantisca l’affidabilità ed i margini di sicurezza richiesti. Tutto
ciò è ostacolato in Italia, ma anche altrove, dalla carenza di spazio fisico, da
problemi di compatibilità ambientale, da difficoltà ad individuare nuove servitù
e da processi amministrativi complessi. La ricerca ci da indicazioni in merito
suggerendo ad esempio l’utilizzazione di materiali nuovi per i conduttori di
energia elettrica che consentono la utilizzazione di maggiore capacità agli
stessi livelli di tensione oppure l’utilizzo di cavi interrati che pongono
minori problemi dal punto di vista dell’impatto ambientale e quindi
dell’accettabilità da parte della pubblica opinione. Il costo di questi ultimi,
però, è sensibilmente superiore.
Da quanto detto ne deriva che il trade-off fra obiettivi di mercato e
pubblico interesse, anche alla luce della nuova riforma costituzionale, si
risolve attraverso il perseguimento di diversi obiettivi quali:
• un quadro di regole certe e durature nel tempo al quale partecipano soggetti
istituzionali a livello centrale e locale quali le Autorità di regolamentazione,
il Governo centrale, le Regioni e le autonomie locali;
• un flusso di investimenti adeguato che garantisca da un lato la sicurezza del
sistema energetico e dall’altro il pay-back nel medio lungo termine degli
investimenti fatti;
• un’adeguata competizione fra operatori nel quadro di principi di trasparenza,
non discriminazione ed a garanzia della qualità del servizio reso a prezzi
adeguati e quindi concorrenziali.
Ma tutto ciò ci fa pensare che alla luce del nuovo quadro di competenze e poteri
per ciò che riguarda il cosiddetto “governo per l’energia” è sempre più
importante una cabina di regia che coniughi i diversi interessi e che sia in
grado di “mediare” fra i vari poteri dello Stato del mondo privato.
Con la riforma, la nuova ripartizione di competenze fra Stato e Regioni pone non
pochi problemi in merito ad aspetti tecnici ma anche per ciò che concerne
ragioni che hanno a che fare con la politica e comunque di ambito più generale.
Infatti, oggi, la maggior parte delle Regioni italiane non si sono dotate di
efficienti apparati amministrativi in grado di gestire la grande autonomia a
loro assegnata. E’ anche vero che la riforma costituzionale fa parte di un
disegno ex-ante poiché già da diversi anni le regioni esercitano di fatto
competenze ad esempio in materia ambientale o di management del territorio e che
in alcuni casi tali attribuzioni hanno riguardato in modo evidente il settore
dell’energia.
Un riferimento in merito potrebbe essere fatto oggi ai Piani regionali
dell’energia, e solo alcune regioni italiane sono state in grado di approvarne
uno.
D’altro canto è’ anche vero che il riconoscimento della potestà legislativa alle
Regioni conferisce loro il potere di legiferare anche in assenza di principi
generali elaborati dallo Stato centrale.
Dal punto di vista del settore energetico, e più specificatamente tecnico, le
maggiori problematiche che coinvolgono decisioni a livello centrale e periferico
fanno chiaro riferimento a due attività:
• quella di generazione;
• quelle di trasporto.
In particolare per meglio comprendere quale sia l’impatto della nuova riforma
costituzionale per la fase a monte della filiera energetica, cioè l’attività di
produzione o generazione, è necessario fare riferimento da un lato ai
procedimenti di autorizzazione amministrativa e dall’altro alla complessa
attività di planning energetico.
La riforma, avendo investito le Regioni di una nuova e diretta competenza
legislativa ne riconosce il ruolo fondamentale nell’attività di programmazione;
infatti le amministrazioni regionali sono in grado oggi di utilizzare i propri
Piani energetici come strumenti per predisporre un progetto complessivo di
sviluppo dell’intero sistema che sia coerente con quello socioeconomico e
produttivo del loro territorio.
Lo strumento del Piano Energetico Regionale è destinato a conoscere quindi una
duplice espansione di funzione con meccanismi bottom-up e top-down.
In particolare, nel primo caso esso rappresenta un acceleratore del peso
specifico regionale relativamente alla politica di livello nazionale e
comunitaria, insomma uno strumento efficace di pianificazione strategica per
promuovere una più intensa utilizzazione delle fonti rinnovabili per la
produzione di energia elettrica e per la riduzione dei costi dell’energia
attraverso misure di efficienza energetica (ad esempio oggi i certificati
bianchi).
Nel secondo caso il Piano energetico regionale può rappresentare un importante
elemento di interfaccia per il confronto continuo fra Regioni, Province, Enti
locali, imprese, sindacati, associazioni, etc…Infatti, gli Enti locali saranno
sempre più di frequente chiamati a collaborare nelle varie fasi di raccolta dei
dati di bilancio energetico, di elaborazione degli stessi ed a partecipare
attivamente alle previsioni del trend relativi ai consumi futuri dell’energia.
Da ciò potrebbe derivare, molto probabilmente, un meccanismo sicuramente
virtuoso, generato dalla riforma costituzionale, che potrebbe responsabilizzare
i livelli di governo periferici e generare una maggiore accettabilità a livello
locale degli investimenti infrastrutturali in un nuovo ed innovativo quadro di
negoziazione e programmazione energetica concertata.
Il rovescio della medaglia, come fra l’altro già accennato nei precedenti
paragrafi, è che la decentralizzazione delle scelte relative all’attività di
produzione dell’energia elettrica potrebbe generare anche una esternalità
negativa per ciò che riguarda le problematiche della sicurezza degli
approvvigionamenti e dei prezzi dell’elettricità. Infatti una regione potrebbe
dal canto suo fissare particolari e restrittivi tetti di tolleranza ambientale o
proporsi in maniera negativa nei riguardi di progetti di nuove infrastrutture
energetiche oppure, un’altra possibilità ancora, avviare una politica di
valorizzazione dell’energia pulita ma a costi estremamente alti con conseguente
innalzamento dei prezzi finali dell’energia elettrica sotto forma di tassazione
a livello locale.
Un’altra storia invece è l’attività di trasporto della filiera energetica. Non
dobbiamo dimenticare che l’essenza del settore energetico è la sua
caratteristica di “sistema a rete”.
La sua caratteristica fondamentale rispetto ad un insieme di reti fra loro
intersecate è rappresentata proprio dall’azione unificante dell’attività di
allocazione, di configurazione, di funzionalità per garantirne come risultato
finale la “sicurezza” tecnica dell’intero sistema.
Da ciò ne deriva che è piuttosto ovvio che adeguate “politiche di rete” non
potrebbero assolutamente esistere prescindendo da elementi derivanti da una
dimensione di tipo nazionale, e come tali affrontabili solamente a livello
nazionale.
Politiche di questa tipologia fanno riferimento ad attività oggi gestite dal
Gestore della rete di trasmissione nazionale (GRTN) come ad esempio il
management della domanda e dell'offerta aggregate di energia elettrica.
Tale questione è di grande importanza, soprattutto in un contesto come quello
dell’Italia che soffre di una grande difficoltà o necessità, l’ammodernamento
della rete elettrica. E’ per questa ragione che viene naturale chiedersi come
conciliare tali esigenze con quelle del nuovo apparato del nuovo Titolo V della
Costituzione che sottopone a legislazione concorrente l’attività di trasporto
dell’energia.
La criticità più importante rimane, è ovvio, il forte bisogno di coordinamento
sia attraverso canali o piattaforme istituzionali, al fine di evitare che la
Regione portata a legiferare in maniera assolutamente indipendente in merito
all’attività di trasporto con l’alto rischio di discriminazione a svantaggio di
operatori, utenti funzionalmente alla loro ubicazione geografica2.
Sicuramente da considerare è il fatto che la rete di trasporto dell’energia
elettrica è soggetta a strozzature o “colli di bottiglia” che dividono il Paese.
Il caso più evidente è quello della Regione Sardegna che è collegata alla
penisola da un solo cavo, obsoleto di diversi decenni3.
Un altro caso è che si registrano diversi problemi di congestioni sulle
interconnessioni con l’estero (che vedono l’Italia rapportarsi con ben quattro
Paesi) per le quali sono necessari nuovi investimenti4.
Una gestione di tipo decentralizzato avrebbe due effetti negativi: un incremento
significativo dei costi di coordinamento e un forte contrasto alle azioni
dell’Unione europea in favore di una rete integrata ed un sistema di scambi di
energia elettrica5.
Una ulteriore considerazione da fare è che il costo di un mancato coordinamento
delle attività dovuto ad una eccessiva burocratizzazione o complessità dei
processi produrrebbe ulteriori costi relativi alle inefficienze prodotte.
Per concludere è necessario evidenziare che una gestione coordinata e concertata
del processo decisionale in merito all’approvazione di nuove investimenti
infrastrutturali o agli interventi necessari di ristrutturazione o al
potenziamento di sistemi energetici (elettricità e gas) possono sicuramente
consentire di raggiungere risultati ottimali e consentire un’adeguata
integrazione del sistema energetico italiano in quello europeo.
In Europa la Commissione ha “forzato la mano” adottando decisioni in favore di
un maggiore coordinamento relativo alle procedure operative delle reti ed ha
favorito l’interconnesione dei sistemi di trasmissione scommettendo anche sulla
possibilità di libero scambio con i Paesi dell’Est europeo. Nonostante tutte
queste azioni anche in Europa si avverte l’esigenza di un più intenso
coordinamento e ad oggi il primo passo risulta essere la unificazione delle due
zone UCTE6
1 e 2 che comprendono l’Europa orientale e occidentale, anche alla luce dei
recenti black-out non solo in Italia ma anche in Gran Bretagna, Scandinavia ed
altri Paesi d’Europa e del mondo (emblematico il black-out che ha spento New
York il 10 agosto 2003).
I fattori condizionanti della politica energetica in Italia nel quadro della
sicurezza del sistema e delle riforme
Il piano energetico nazionale del 10 agosto 1988 è stato per molto tempo l’unico
documento di riferimento per la politica energetica italiana e ad oggi rimane
l’ultimo piano ufficiale elaborato in sede governativa.
Il piano, reso urgente dalla necessità di fronteggiare le conseguenze della
rinuncia al nucleare (Referendum del 1987) fissava importanti obiettivi
guardando ad uno scenario temporale di lungo periodo: il risparmio energetico
per “alleggerire” la domanda di energia, la protezione dell’ambiente e della
salute come obiettivo primario da raggiungere attraverso la fissazione di
standard appropriati, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e
dei Paesi di provenienza delle stesse, la competitività del sistema produttivo
del Paese assicurando alle imprese costi operativi non superiori a quelli
sostenuti dai concorrenti di altri Paesi.
E’ incredibile come tali obiettivi risultano essere oggi di grande attualità,
tuttavia il quadro oggi è notevolmente cambiato. Infatti da un lato è evidente
il condizionamento internazionale derivante da una legislazione europea sempre
più incisiva, dall’altro il processo di decentramento amministrativo ha
consegnato enormi prospettive ai governi regionali e locali per una loro più
ampia partecipazione al processo decisionale.
Si fa strada inoltre una tesi, soprattutto oggi con la nuova stagione di
liberalizzazioni, e cioè che il settore energetico, fondamentale per lo sviluppo
economico di un Paese, comporti il ricorso a dinamiche di mercato ed alla libera
iniziativa superando così l’antica concezione di regolazione centralizzata e
assoluta, ma piuttosto di indirizzo e di monitoraggio.
Il segnale è chiaro, si sente la necessità di un nuovo modo di fare politica
energetica che si poggi su metodologie concertative, sul decentramento delle
responsabilità, sull’utilizzo di meccanismi competitivi e di mercato. Tale
segnale è forte e lo si avverte dagli atti dei lavori della Conferenza nazionale
per l’energia e ambiente del 1988. Viene siglato all’occasione un Patto per
l’energia e ambiente fra le rappresentanze istituzionali, le forse economiche e
sociali, l’associazionismo ambientalista e dei consumatori.
La pluralità degli attori coinvolti rappresenta quindi l’elemento più importante
di “rottura” col passato e la logica degli accordi diventa uno strumento di
semplificazione amministrativa ed di progettazione strategica per superare
l’oramai obsoleto concetto di “rigida pianificazione”. In quell’occasione il
Governo italiano ha pertanto costruito un programma di azioni per conseguire una
serie di effetti quali: la sicurezza degli approvvigionamenti e del sistema, la
valorizzazione dell’uso più efficiente dell’energia, il raddoppio della quota
energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2010, standard minimi di qualità
nella fornitura dei servizi energetici, l’economicità dei servizi stessi, la
compatibilità ambientale, anche cooperando con i Paesi in via di sviluppo (clean
development mechanism e joint implementation7),
una più intensa attività di ricerca per energia e ambiente.
Ma la nuova metodologia deve fare i conti con altri problemi che hanno a che
fare con gli aspetti strutturali del nostro sistema energetico, vedi ad esempio
la “dipendenza dall’estero”: oggi l’Italia, come già anticipato nel precedente
paragrafo, importa il 15% circa dell’energia elettrica destinata al consumo ed
oltre l’80% dei combustibili utilizzati nella produzione sono importati. Tale
valore è destinato a salire al 90% entro il 2010. Infatti la capacità di
generazione nazionale è vincolata ad impianti poco efficienti e che nel 70% dei
casi circa sfruttano appunto come materie prime l’olio combustibile (39%) e il
gas metano (31%).
La potenza disponibile interna8
non è da sola in grado di soddisfare l’intera domanda nazionale in situazione di
picco massimo (come verificatosi in alcuni momenti degli scorso anno, sia
d’estate che d’inverno). Se poi ricordiamo la caratteristica fisica di non
stoccabilità dell’energia elettrica tutto ciò è ancora più allarmante.
La dipendenza dell’Italia dall’estero per la fornitura di energia elettrica non
deriva solo da necessità strutturali ma anche da esigenze di economicità e di
risparmio. Non è un mistero infatti che nel nostro Paese il prezzo finale
dell’energia elettrica è più alto di circa il 20% della media europea. Le cause
principali sono dovute sostanzialmente all’alta incidenza dell’olio combustibile
nel paniere produttivo che concorre a formare la tariffa9
e la bassa efficienza media degli impianti di produzione; insomma un parco di
generazione obsoleto che necessità di un ampia strategia di repowering.
Da ciò deriva che il costo dell’energia importata è di solito sensibilmente
inferiore a quello dell’energia prodotta. Accade così che durante la notte
quando i consumi sono mediamente meno elevati si arriva ad importare più di un
quarto del nostro fabbisogno. Ciò è stato ampiamente dimostrato con il black-out
in Italia durante la notte del 28 settembre 2004.
Tutto ciò dimostra una grave debolezza del sistema energetico nazionale per la
sicurezza degli approvvigionamenti ed è un ostacolo ai potenziali benefici che
il processo di liberalizzazione potrebbe offrire, come è già successo in altri
Paesi.
Ma cosa si intende veramente per sicurezza degli approvvigionamenti? Nonostante
se ne senta un bel parlare non esiste una definizione ufficiale è ciò è
preoccupante alla luce del fatto che essa ovviamente è strettamente legata al
concetto di sicurezza del sistema. Diversi possono essere i fattori che
contribuiscono a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti: l’efficienza
degli investimenti, il mantenimento del sistema, l’operatività e la qualità
della fornitura di elettricità e gas. Tuttavia una definizione chiara potrebbe
sicuramente contribuire a porre in essere adeguate strategie fra loro
interagenti per raggiungere un unico obiettivo, ad esempio: “i clienti finali
hanno sicuro accesso ai servizi dell’elettricità e del gas nel momento del
bisogno secondo standard minimi prestabiliti”.
Viene naturale quindi affermare che il concetto di security of supply si
sposa con tre concetti essenziali: nuovi investimenti, un livello di concorrenza
apprezzabile e l’apertura dei mercati.
Quanto detto deve necessariamente essere inquadrato in un ambito nazionale e la
struttura delocalizzata delle decisioni, oggi presente in Italia, dovrebbe avere
solo carattere di contribuzione o integrazione e non di modifica della sostanza
delle decisioni. Pensiamo alle diverse aree geografiche di provenienza dei
combustibili utilizzati per la produzione; sarebbe in grado una singola regione
di contrattare un prezzo conveniente con il Presidente di Gazprom10?
Difficile, anche alla luce dei complicati equilibri politico-economici che
derivano dalla crisi petrolifera. D’altra parte, una pluralità di attori “forti”11
attivi nella produzione di elettricità o gas e nell’attività di importazione
contribuirebbero a diversificare il rischio e quindi a garantire una più
adeguata strutturazione degli approvvigionamenti energetici.
Inoltre un altro fattore che ha un forte impatto sulla sicurezza degli
approvvigionamenti è quello del finanziamento delle infrastrutture di trasporto
ma anche di produzione. Un investitore ha necessità di un ritorno sugli
investimenti fatti nel medio-lungo periodo, considerando la peculiarità del
settore energetico, capital intensive.
Oggi il mercato non è sempre capace di dare i corretti segnali per una strategia
di investimento, soprattutto perché l’ambito di cui si parla è quasi sempre
relativo ad un periodo di ritorno sul capitale di almeno venti anni.
Esiste un tentativo concreto per colmare questo gap a livello europeo, infatti
la Commissione ha proposto una serie di misure che dovrebbero allo stesso tempo
contribuire a migliorare le condizioni per gli approvvigionamenti energetici e
dare indicazioni precise in merito a progetti di interesse primario per la
sicurezza del sistema energetico europeo. Un primo obiettivo della Commissione è
un livello di interconnessioni elettriche che consentano di scambiare almeno il
10% della capacità produttiva totale disponibile.
Alla luce di quanto detto sembra ancora più improbabile che una regione italiana
possa negoziare da sola un investimento di una infrastruttura che avrebbe poi un
impatto importante sul sistema di scambi dell’Unione Europea.
Un altro aspetto da considerare relativamente alla sicurezza riguarda le
cosiddette “leve esterne” al nostro al nostro mercato. Infatti se pensiamo che
il nostro paniere energetico si basa essenzialmente sui combustibili fossili
(come abbiamo detto olio combustibile e gas naturale) e che la maggior parte di
essi sono importati e guardiamo alle attuali condizioni congiunturali ma anche a
fattori endogeni o esogeni relativi ai Paesi esportatori, come ad esempio le
congiunture economiche, le guerre, le guerre civili, risulta di vitale
importanza una politica energia di hedging del rischio, attraverso
un’azione preventiva e di garanzia che porti a diversificare le fonti ed i punti
di importazione.
A questo proposito viene da dire, anche alla luce del Titolo V della
Costituzione, che è di primaria importanza un’allocazione efficiente delle
competenze fra i diversi livelli di amministrazione e di governo del settore
energetico. E’ quindi necessario ripartire i ruoli secondo diversi livelli
decisionali. Infatti, riconosciuto il cosiddetto “interesse generale” della
commodity energia, la transizione del settore energetico dal quadro
normativo costituzionale precedente a quello attuale richiede che venga fatta
chiarezza nel contesto istituzionale di riferimento. Necessaria risulta la
comprensione delle relazioni che intercorrono fra i diversi livelli di governo e
le rispettive competenze. Dato essenziale comunque risulta essere il livello di
cooperazione fra i diversi livelli di Governo o Amministrazione, soprattutto
qualora il rapporto fra i diversi soggetti istituzionali è di tipo verticale e
cioè Stato, Regione, Provincia, Comune.
Comunque, indipendentemente dalla forma o tipologia di rapporti fra i vari
attori, la creazione di sedi istituzionali di cooperazione sono fondamentali,
soprattutto in un settore come quello dell’energia che per le sue
caratteristiche strategiche, forte natura a rete e l’impatto socio-economico
necessita di un fortissimo coordinamento che oggi in Italia trova la sua sede
Istituzionale in seno alla un complesso ma efficace “Sistema delle Conferenze”12
.
Nell’ordinamento italiano non si prevede una Camera del Parlamento composta dai
rappresentanti delle Regioni e delle Autonomie locali e ciò ha reso il nostro
regionalismo deficitario di una forte componente di interfaccia fra Governo
centrale e locale.
Tuttavia, il fatto che tutte le esigenze di coordinamento gravino sul “Sistema
delle Conferenze” pone però il problema del livello di tensione che in questa
sede può svilupparsi e del suo corretto livello di funzionamento organizzativo e
metodologico. Tale attività di mediazione degli interessi è inoltre tanto
importante quanto appesa al debole filo dei rapporti politici e degli equilibri
in continua evoluzione dovuti anche ai risultati delle elezioni. E’ prova di
questo il fatto che nessuna legislazione vincolante esce da tale sede, pur
essendo frutto di reali concertazioni. Allo stesso tempo è un fatto che tale
“contenitore” si trova oggi a farsi carico del confronto, a tutti i livelli, fra
i diversi segmenti di Governo della Repubblica.
Ma soluzioni di questo tipo, se da un lato potrebbero risolvere il “problema
nazionale” non fanno altrettanto per quello europeo dove nonostante gli
obiettivi delineati dalle ultime Direttive europee per la liberalizzazione
dell’elettricità e del gas13,
numerose ed importanti sono le difficoltà e gli elementi di criticità presenti.
L’ultimo rapporto14
della Commissione europea relativo allo stato di implementazione delle direttive
energetiche evidenzia da un lato progressi apprezzabili, ma registra altresì gap
irrisolti, fra i quali quelli di maggiore rilevanza e che incidono negativamente
su un’adeguata sicurezza e competitività del sistema energetico risultano
essere:
• insufficienza della capacità di interconnesione per gli scambi;
• diversi regimi di accesso alle reti che provocano barriere all’entrata e non
rendono trasparenti i mercati nazionali;
• forti asimmetrie relative al grado di apertura del mercato;
• disparità relative all’armonizzazione delle regole che determinano differenze
nella libertà di scelta dei clienti liberi nei diversi Paesi ed alterano il
posizionamento competitivo delle imprese che operano a livello internazionale e
quindi del mercato europeo;
• mancanza del principio di reciprocità nel comportamento competitivo
Il superamento di questi vincoli significherà iniziare a beneficiare realmente
dei vantaggi derivanti da un unico mercato dell’energia in termini di prezzi più
bassi, sicurezza del sistema e qualità del servizio reso.
La rete fra federalismo e sicurezza
Il funzionamento di un sistema elettrico deriva da caratteristiche o concetti
non meramente accademici, ma piuttosto empirici che riguardano la rete elettrica
e quindi aspetti di adeguatezza e sicurezza.
Mentre il primo aspetto viene assicurato da un’attività di programmazione per la
copertura del fabbisogno del giorno successivo, il secondo è garantito
attraverso una serie di servizi essenziali quali la riserva, la regolazione di
frequenza e di tensione, ed altri.
La gestione della rete di trasmissione elettrica è probabilmente l’aspetto più
critico al fine di garantire un’adeguata sicurezza del sistema. Oggi l’attività
di gestione e di sviluppo della rete spetta al GRTN ed avviene a centralizzato.
La riforma costituzionale tuttavia conferisce alle Regioni italiane il potere di
legiferare in materia di trasporto di energia e ciò comporta che lo Stato “ceda”
una parte delle sue competenze a livello periferico. Ma per esprimere
un’opinione circa i possibili effetti di tale organizzazione è necessario
distinguere l’attività di gestione della rete da quella di programmazione e
sviluppo. Pertanto, per ciò che riguarda l’attività di gestione le oramai
stringenti leve della “sicurezza del sistema” convincono del fatto che il
management non deve essere segmentato fra soggetti distinti su diverse basi
territoriali proprio in ragione del fatto che la rete stessa è tipicamente
“nazionale”; essa è, infatti, interconnessa e gestita in modo unitario a
garanzia della sicurezza tecnica15.
Inoltre in una situazione di disomogenea distribuzione degli impianti di
produzione la gestione a livello centrale e coordinata del network è
indispensabile per il corretto bilanciamento fra domanda e offerta.
D’altro canto per ciò che riguarda la funzione di programmazione e sviluppo
della rete i vari progetti sono oggi decisi dal GRTN in seguito a diversi
indicatori quali le necessità di connessione di nuovi impianti di generazione,
le esigenze che derivano dall’incremento della domanda di elettricità, quelle di
potenziamento dell’interconnessione, ed infine quelle mirate al superamento dei
vincoli di separazione delle zone geografiche e dei poli limitatati di
produzione.
Da ciò deriva che gli andamenti della domanda e dell’offerta di energia
elettrica hanno un impatto molto forte relativamente allo sviluppo della rete.
Ed è proprio grazie al nuovo contesto normativo che le Regioni e le autonomie
locali assumono un ruolo rilevante nell’attività di programmazione energetica e
quindi nello sviluppo delle reti. La criticità è proprio il coordinamento,
infatti è assurdo che ogni autonomia territoriale vada in una direzione che
prescinda da quelle delle altre e non sia presente una vera e propria funzione
di coordinamento.
Quindi se da un lato il governo della rete nazionale dovrebbe essere gestito e
regolato da un unico attore nazionale, pur coinvolgendo le Regioni e le
autonomie locali nell’attività di programmazione del suo sviluppo, dall’altro
diverse iniziative che riguardano il trasporto dell’energia potrebbero
sicuramente scontrarsi con una regolamentazione diversificata da una Regione
all’altra.
Un altro dossier strategico è quello del management delle importazioni
dall’estero che portano l’Italia ad interfacciarsi con ben cinque Paesi:
Francia, Svizzera, Austria, Slovenia e Grecia. L’Italia oggi importa circa il
15% dell’energia destinata al consumo, quindi una parte molto importante. Tale
attività necessita di un coordinamento a livello europeo16
fra i diversi gestori di rete (Transmission System Operators), per cui
una gestione a livello delle diverse regioni risulterebbe complessa e comunque
incompatibile con i transiti internazionali ed i meccanismi di compensazione
fisica e finanziaria attuali, aumentando a dismisura i costi di coordinamento.
Inoltre è importante riflettere sul fatto che diversi meccanismi di gestione o
allocazione della capacità potrebbero creare effetti negativi notevoli per un
adeguato livello di concorrenza.
Un altro aspetto da considerare è quello dell’attrazione degli investimenti.
Come si può pensare che un investitore istituzionale o privato possa orientarsi
a favore di un progetto o di un altro quando deve interfacciarsi con una miriade
di soggetti che rischiano di interrompere il percorso amministrativo ?
Per cui ne deriva che non è chiara la definizione dei ruoli e quindi la
ripartizione dell’onere di mantenimento e di ristrutturazione (e quindi nuovi
investimenti) del sistema stesso fra i diversi attori del mercato considerando
che il potenziamento del sistema di trasporto si confronta sia con difficoltà
derivanti dal processo autorizzativo che con il problema della difficile
accettabilità pubblica dell’infrastruttura in questione e dell’impatto
ambientale conseguente.
In alcuni Paesi la mancata ripartizione dei suddetti oneri di mantenimento e
ristrutturazione della rete sono all’origine del processo inarrestabile di
obsolescenza della rete di trasmissione.
A questo punto risulta essere necessario fare alcune considerazioni che possono
aiutare da un lato a comprendere il quadro della situazione delle reti a livello
mondiale, dall’altro a confermare che la gestione della rete di trasmissione
necessita di un approccio “nazionale”.
Il sistema di trasporto, in molte aree del mondo non è stato oggetto delle
dovute attenzioni e di investimenti; anche in presenza di un parco di
generazione sufficiente, come nel caso USA ad esempio17,
un mercato competitivo mette in seria discussione il sistema poiché i flussi
sono variabili e incerti e seguono le direttrici della maggiore convenienza
economica; le attuali reti di interconnessione fra sistemi diversi sono state
progettate con l’obiettivo di svolgere la propria funzione in condizioni di
soccorso e di emergenza, mentre oggi la loro utilizzazione è prevalentemente
destinata agli scambi fisici (con i contratti commerciali sottostanti)
dell’energia elettrica; la tecnologia utilizzata per la realizzazione dei
sistemi di trasmissione risale almeno a trenta anni or sono e con il nuovo
regime di competitività l’attenzione si è spostata a favore della realizzazione
di nuove centrali poiché esse costituiscono il cuore del “business” elettrico.
L’Unione europea ha posto in essere le linee guida dell’attività di scambio
dell’energia elettrica fra i vari Paesi attraverso il regolamento sui transiti
transfrontalieri (n. 1228) ed ha scommesso anche sulla possibilità di libero
scambio con l’Est Europa.
Oggi le due zone UCTE 1 e 2 sono interconnesse e tutto ciò grazie anche
all’enorme lavoro fatto in sede di Forum di Atene18
che ha lo scopo di creare un unico mercato dell’energia nell’area balcanica.
Il sistema di trasmissione costituisce quindi il principale vincolo al mercato
dell’energia elettrica e lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale
risulta essenziale affinché le transazioni commerciali stipulate nelle apposite
sezioni del mercato possano trovare la loro realizzazione fisica in termini di
scambio di potenza sulla rete.
In un contesto come quello di oggi, liberalizzato, la pianificazione e lo
sviluppo del sistema rappresentano elementi di criticità importanti per il fatto
che risulta piuttosto complesso attribuire le competenze ed i costi per gli
interventi necessari, inoltre la spinta in favore di determinati interventi non
è sempre percepita dalle Autorità locali preposti alla loro approvazione.
Una forte decentralizzazione delle competenze può comportare il rischio di non
arrivare ad avere una pianificazione organica della rete per cui è necessario
che le competenze relative alla programmazione di grandi reti infrastrutturali e
l’approvazione degli indirizzi di sviluppo generale siano affidati allo Stato,
tenendo però conto dei piani energetici regionali.
Il quadro generale internazionale e il governo dell’energia, esperienze,
approfondimenti e un nuovi elementi di supporto alle decisioni
Oggi chiari segnali macroeconomici e congiunturali rimettono in discussione la
strategia di politica energetica ed industriale italiana.
La crisi petrolifera, l’approvazione e la ratifica definitiva del Protocollo di
Kyoto19
con la firma di quest’anno della Repubblica russa, il sistema europeo di crediti
di emissione (Emission Trading System – ETS), il fenomeno cinese e la
crisi dei distretti industriali italiani, la guerra ed i dinamici cambiamenti
degli equilibri politici in Europa centrale e mediorientale, il fenomeno
terroristico ed altri ancora, rappresentano elementi di straordinaria importanza
che fanno rilevare una necessità di dinamico adattamento e di adeguata
flessibilità delle decisioni anche se in un quadro di regole certe e durature
nel tempo.
D’altro canto il problema oggi incombente della tutela ambientale, sempre più
cavallo battaglia di lotte politiche fra Governo centrale, investitori e
comunità locali, si contrappone decisamente ai delicati equilibri derivanti
dalla necessità di sicurezza del sistema energetico e degli approvvigionamenti.
La grande dipendenza del mondo occidentale dal petrolio ed i suoi derivati e la
grande volatilità del trend di forniture, e di conseguenza dei prezzi, rendono
ancora più delicato il ruolo delle regioni mediorientali e dell’Arabia Saudita.
Alla luce di questi fatti l’industria energetica dovrà perseguire obiettivi
contrastanti e perseguire cambiamenti radicali così da poter usufruire della
commodity energia nei modi più disparati.
Tale processo richiederà una sempre maggiore ed incisiva capacità di governo la
cui architettura, alla luce delle decisive evoluzioni legislative in Italia, si
presenta sempre più complessa e dinamica.
Il settore energetico è fra i più complessi, richiede sempre capitali ingenti e
le decisioni di investimento prese oggi avranno un impatto ultra ventennale.
Inoltre le politiche nazionali si riflettono sempre di più a livello
internazionale ed i diversi mercati tendono ad integrarsi fra loro, anche se
lentamente, nonostante le insistenze pressanti della Commissione europea.
Risulta evidente quindi che il processo di trasformazione, e quindi le politiche
da adottare, sarà graduale e richiederà il sostegno forte a tutti i livelli, e
di tutti i segmenti della società civile ed economica e cioè dal Governo
centrale a quello locale, dalla grande impresa a quella più piccola, di un’area
politica e di quella di opposta fazione.
Il fenomeno epocale della liberalizzazione dei mercati energetici, che coinvolge
una moltitudine di operatori e soggetti con interessi abbastanza di sovente
contrapposti ed in competizione fra loro, rende difficoltoso il suo governo,
anche se adeguati segnali di prezzo e un quadro legislativo forte e duraturo nel
tempo potranno consentire di traghettare il settore energetico dal monopolio ad
un vero e proprio mercato competitivo, come è successo ad esempio in Gran
Bretagna durante gli anni novanta.
Gli operatori per supportare le attività di investimento hanno necessità di
individuare le migliori opportunità di business e solo in quest’ottica potranno
offrire un adeguato livelli di qualità del servizio a prezzi competitivi (anche
se le logiche di prezzo sono ben più complesse).
Ancora di più, soprattutto alla luce di queste nuove e urgenti problematiche, il
tema della “struttura di governo” del settore energetico si fa ancora più
pressante, anche perché nuove misure saranno necessarie per sostenere
incoraggiare importanti “passi in avanti” in direzione di alternative valide
alla struttura dell’offerta sia dal punto di vista degli operatori che dei
combustibili utilizzati. In particolare, alcuni esempi di misure attuali ed
innovative sono:
• un sistema di sostegno pubblico attraverso ad esempio fondi organizzati a
sostegno delle varie fonti produttive che si intendono prioritarie in un
determinato momento;
• leve fiscali per raggiustare il paniere dei combustibili da utilizzare a
favore per esempio di impianti ad energia rinnovabile;
• un sistema di incentivazione per produrre energia elettrica da determinate
fonti, com’è il caso dei certificati verdi per le fonti rinnovabili;
• misure da parte dei legislatori (Governi, regolatori, etc..) a favore
dell’entrata di nuovi operatori nei rispettivi mercati attraverso un libero
accesso di terzi alle reti e procedure trasparenti e non discriminatorie
relative agli scambi di energia offerta;
• un chiaro disegno di politica industriale in un’ottica di programmazione e di
durata nel medio-lungo termine;
• la creazione di fondi di ricerca e di sviluppo a favore di nuove ed innovative
tecnologie energetiche;
• passi consistenti in direzione di un uso efficiente dell’energia e adeguate
campagne di comunicazione a garanzia di un’adeguata accettabilità da parte dei
consumatori (ad esempio in Italia oggi i certificati bianchi).
Da quanto detto ne deriva che oggi nella fase di progettazione delle politiche
energetiche due sono le variabili determinanti e cioè la presenza di un
indirizzo forte ed unitario da un lato e l’esigenza di tutela e valorizzazione
della dimensione locale dall’altro, al fine di evitare che quest’ultima subisca
passivamente gli interventi programmati a livello centrale attraverso il già
citato meccanismo top-down.
Risulta chiaro come sia il livello locale che quello centrale necessitano di
avere da un lato l’autorità decisionale necessaria, ma è opportuno altresì che
essi seguano una logica di proficua collaborazione e cooperazione all’interno
del meccanismo delle “conferenze”.
E’ esplicita la ricerca, non solo in Italia, di un nuovo equilibrio unitario fra
diversi livelli di governo ed alla luce dei forti cambiamenti dovuti ai processi
di liberalizzazione del settore energetico e comunque di tutti i settori a rete.
Ciò vale anche per alcuni Paesi con forte tradizione federale quali la Germania
e gli Stati Uniti d’America ed a questo proposito è il caso di ricordare che per
i Paesi facenti parte dell’Unione europea si rende ancora più necessario un
ulteriore livello di cooperazione quello sovranazionale: infatti lo Stato
nazionale per finalizzare le scelte di politica energetica, se da un lato
continuerà a cedere le proprie competenze verso il basso, cioè verso la
dimensione locale, mentre dall’altro dovrà cedere poteri verso l’alto, l’Unione
europea, in particolare per le politiche macroeconomiche e del mercato
regionale, assolverà a ruolo di interfaccia e di coordinamento con il Governo
europeo e locale mantenendo un ruolo di pianificazione e di garanzia.
Per entrare poi nel merito della questione due sono i casi che potrebbero essere
degni di attenzione sia perché molto diversi fra loro ma anche per la loro
“vicinanza” al nostro Paese sia geografica che culturale: la Germania e la Gran
Bretagna.
Per ciò che riguarda la Germania, la costituzione tedesca dopo la caduta del
regime fascista si è strutturata secondo uno schema federale al fine di
promuovere il pluralismo e impedire la concentrazione dei poteri. La forse
“eccessiva” spinta al decentramento ha provocato una serie di effetti negativi a
cui si è tentato di porre rimedio con le riforme istituzionali degli anni
sessanta. Esse hanno previsto un sistema congiunto di pianificazione fra centro
e periferia, che, nel caso del settore energetico, si struttura come segue:
l’ambiente e l’energia risultano materia concorrente fra Stato centrale e
Governo locale, mentre la restante materia è interamente affidata alle
municipalità. La diretta conseguenza degli amplissimi spazi affidati alle
amministrazioni locali è stata che il mercato dell’elettricità tedesco è
estremamente frammentato in società verticalmente integrate20
a carattere regionale (laender) che soddisfano in media circa l’80% della
domanda dell’intero Paese. Ciò ha un effetto ridondante estremamente negativo
per il mercato europeo e quindi per chi vuole accedere al mercato tedesco (forti
barriere all’entrata, e ciò vale anche per il mercato del gas). Recentemente in
Germania una nuova stagione di cooperazione si è inaugurata fra Governo federale
e locale in occasione delle politiche di promozione delle fonti rinnovabili.
Nel Regno Unito la disciplina del settore energetico ha da sempre fatto
riferimento ad un modello di tipo centralizzato e solamente durante gli ultimi
anni un rinnovato interesse a favore di un orientamento federalista ha fatto si
che anche la gran Bretagna divenisse territorio di riforme. Infatti si è partiti
dalla devolution scozzese nel 1999, con la creazione di un Parlamento
proprio, per continuare con quella del Galles che ha raggiunto la piena
autonomia nel 2000 e si è ancora in discussione per quella da sempre contestata
dell’Irlanda del Nord.
Nonostante la proclamazione in senso federale dello Stato non si è mai
considerata la tematica dell’energia. Solo ultimamente al Governo di Scozia sono
state cedute le competenze in materia di gestione delle scorie nucleari, dello
sviluppo delle risorse rinnovabili, della tutela ambientale, ed per finire sono
stati ceduti alcuni poteri amministrativi relativi alla localizzazione degli
impianti di generazione e delle reti di trasporto. Tuttavia spetta al Parlamento
britannico fissare le linee guida della politica energetica nazionale.
Conclusioni
La riforma del Titolo V della Costituzione ci pone oggi di fronte ad una serie
di interrogativi da risolvere soprattutto alla luce dei cambiamenti epocali
derivanti dai processi di liberalizzazione del settore energetico in Italia ed
in Europa.
Il lavoro si propone di dare alcuni segnali “forti” soprattutto relativi alla
necessità di coordinamento e cooperazione fra amministrazione centrale e locale,
ma anche fra queste ed una nuova e sempre più importante amministrazione
sovranazionale, l’Unione europea.
Il Governo del sistema deve perciò porre in essere una serie di misure regole
che consentano da un lato un ottimale funzionamento del mercato e dall’altro una
tutela adeguata del consumatore finale ma soprattutto del “cittadino”, centro
nevralgico della società civile.
Gli strumenti proposti ed in alcuni casi in “corso d’opera” rappresentano
segnali positivi e di parziale comprensione del problema, soprattutto agli
ultimi eventi recenti che ci hanno consegnato il pericoloso messaggio della
“sicurezza del sistema” energetico: il black-out.
L’augurio è che il nostro sistema politico ed economico sarà in grado di
affrontare con decisone tali problematiche scontando anche, e soprattutto, gli
effetti negativi e ridondanti di decisioni impopolari ma che nel lungo termine
potranno garantire la tutela della nostra quotidianità.
La sfida è grande ma la volontà di fare e la conoscenza dei problemi lo è
altrettanto.
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ANNEX
I diversi grafici e dati allegati suffragano quanto espresso nella ricerca.
Infatti, risulta dai dati aggregati di borsa (GME), in termini di liquidità
totale, produzione regionale, e prezzi, e dalla magliatura della rete di
trasmissione nazione (380kv), che c’è una forte disparità di prezzo e di costo
fra il Nord e Sud d’Italia. In particolare la Calabria risulta essere la regione
più cara.
Si spera che nel corso di questo anno, quando anche il sistema di offerta, oggi
per così dire competitivo, si confronterà con un sistema competitivo della
domanda (la domanda è gestita a livello aggregato dal GRTN) i prezzi dovrebbero
beneficiare di un trend positivo al ribasso21.
I dati, quindi, fanno emergere una forte esigenza di nuovi impianti e comunque
infrastrutture soprattutto al sud d’Italia, ma anche una esigenza di
rafforzamento delle interconnessioni con l’estero.
Di tali cambiamenti ha forte necessità di un sistema come quello odierno, che
pone in essere condizioni perequative forti che sono poi socializzate a livello
nazionale, e un approccio federalista non opportunamente coordinato fra
amministrazioni locali, regionali e nazionali potrebbe essere di “intralcio” ad
una ferma strategia atta a rendere il sistema energetico italiano più sicuro.
_____________________________________
1 Wilson, 1980
2 Caso emblematico è stato la oramai celebre “tassa sul tubo”
della Regione Sicilia di qualche tempo fa contro un gasdotto di Snam Rete Gas
(legge regionale n. 2 del 26 marzo del 2002). La legge siciliana ha istituito un
tributo ambientale gravante sui proprietari di gasdotti presenti sul territorio.
La legge ha dato ragione a SRG facendo prevalere gli interessi nazionali
relativi all’obbiettivo generale di liberalizzazione del mercato che sarebbe
stata impedita da un aggravio fiscale da far ricadere poi o sull’impresa in
questione o sui cittadini per il principio della socializzazione dei costi.
3 Il Black-out del 28 Settembre non ha coinvolto la Sardegna, un
curioso aneddoto.
4 Un’inchiesta internazionale da parte del regolatore francese
ed italiano ha indagato sulle cause che hanno portato al Black-out del 28
Settembre originatosi appunto dalla linea di interconnessione con la Svizzara.
5 Il regolamento UE n 1228/2003 relativo agli scambi
transfrontalieri di energia elettrica.
6 Union for the coordination of transmission of electricity.
7 Clean development mechanism (CDM): meccanismo flessibile
previsto dal protocollo di Kyoto
8 La potenza istallata netta è pari a circa 77.000 MW, mentre la
potenza reale disponibile è un intorno dei 50.000 MW.
9 La tariffa elettrica in Italia si compone di tre parti: la
prima corrisponde al costo del combustibile, la seconda riflette gli oneri
generali di sistema e la terza rappresenta i costi sempre riferiti al sistema
elettrico nazionale.
10 Il gigante monopolista del gas della Repubblica Russa.
11 Oggi ENI e Snam Rete Gas fanno la parte del leone nelle
importazione di olio combustibile e gas in Italia. Una situazione di chiaro
monopolio.
12 Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni,
Province autonome; Conferenza Stato –Autonomie locali; Conferenza unificata.
13 Direttive 2003/54/CE per l’elettricità e 2003/55/CE per il
settore del gas.
14 Noto come Benchmarking repoort che la Commissione ogni anno
deve pubblicare obbligatoriamente chiedendo le informazioni ai Governi degli
Stati membri ed ai Regolatori.
15 In una rete interconnessa le leggi della fisica rendono
necessario il coordinamento centralizzato degli operatori poiché le azioni
relative ad una specifica parte del sistema hanno un effetto sulla stabilità del
sistema stesso. Tale principio è reso ancora più forte oggi in un ottica di
mercato europeo di scambi (cross border trade).
16 E’ stato approvato recententemente il regolamento dell’UE
relativo agli scambi trasfrontalieri n. 1228.
17 Vedi il black-out di New York e del Nord Est degli USA il 14
agosto 2003.
18 Il Forum di Atene è promosso dalla Commissione Europea e
prende le mosse dal Memorandum of Understanding firmato dai Paesi dell’area
balcanica e quelli limitrofi fra cui l’Italia. Vi partecipano i Governi dei
Paesi firmatari, i regolatori, la World Bank, la Commissione Europea, la BEI, la
BERS, USAID (USA), CIDA (Canada), ETSO, EFET.
19 Il Protocollo di Kyoto, approvato in dicembre 1997, è un
atto esecutivo che individua e definisce una serie di obiettivi di tutela
ambientale su scala mondiale; le azioni e le misure a Kyoto rappresentano il
punto di partenza fondamentale in direzione del tema del cambiamento climatico e
di un quadro più generale di sviluppo sostenibile.
20 Il regime di separazione delle attività in Germania è molto
debole, al contrario di altri Paesi come l’Italia dove l’Unbundling è societario
e non semplicemente amministrativo o contabile che risulta essere la forma più
debole al fine di evitare sussidi incrociati fra le varie attività della filiera
energetica.
21 Nel corso di un recente convegno sulla Borsa elettrica
all’Università Bocconi (La borsa elettrica italiana: i primi mesi di
funzionamento -9 novembre 2004) è venuto alla luce il ruolo “importante del
monopolista del mercato elettrico nella formazione dei prezzi, ma forse è il
sistema da migliorare, ENEL è una impresa che deve garantire un equilibrio del
conto economico. Inoltre, non solo l’IPEX ha subito un forte standby dei prezzi
dei combustibili, ma anche il mercato vincolato, per effetto delle strategie di
approvvigionamento di energia elettrica effettuale dall’Acquirente Unico.