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I residui dell'industria cartaria: la depurazione dei reflui e possibilità di riutilizzo dei fanghi(*).

 

Rocco Pandolfo, Francesco Russo, Domenico Molfese, Francesco Colangelo

 


 



Sommario
L'industria cartaria è caratterizzata da un'elevata intensità di investimento e, nella struttura dei costi, da un forte peso delle materie prime. Tra i fattori di produzione spiccano l'energia, spesso autoprodotta dalle stesse cartiere (terzo settore industriale per autoproduzione) e l'impiego di risorse idriche (l'acqua è indispensabile per produrre la pasta di carta che servirà per produrre carta). Proprio in virtù della caratteristica incidenza dei costi delle materie prime, da tempo l'industria ha imboccato la via dell'ottimizzazione delle risorse energia ed acqua. Dall'inizio degli anni '70 a oggi il consumo specifico di energia è sceso del 40%, mentre la quantità di acqua utilizzata dalle cartiere italiane dall'inizio di questo decennio si è ridotta di oltre il 50%, rispetto a dieci anni prima. Con riferimento in specifico all'energia, va considerato che il cartario è tra i settori del comparto manifatturiero a più elevata intensità energetica e i costi energetici rappresentano una parte rilevante dei bilanci delle imprese cartarie.


Introduzione
Il riutilizzo degli scarti e dei sottoprodotti dell’industria cartaria sta divenendo per il settore, così come per molti altri comparti, uno degli aspetti più importanti, anche in chiave competitiva. Verso questa problematica si stanno profondendo i maggiori sforzi, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale legato alla produzione della carta, ricercando soluzioni sia indirizzate alla diminuzione della richiesta di materie prime vergini e di energia non autoprodotta, sia finalizzate alla riduzione dei flussi di rifiuto da avviare a smaltimento.


La sbianca e il cloro
Sotto il profilo ambientale l'attenzione si è, finora, concentrata sul processo di imbianchimento delle paste, che consente alle carte di raggiungere il grado di bianco richiesto dal mercato per ragioni non solo estetiche, ma anche e soprattutto tecniche. L'agente di imbianchimento tradizionalmente più usato è il cloro, inizialmente in forma di gas e poi in forma di biossido. L'evoluzione più recente ha portato ad individuare agenti di imbianchimento alternativi quali l'ozono e il perossido di idrogeno. La ricerca di imbiancanti con ridotto impatto ambientale legato alle emissioni di solventi organici clorurati (AOX) è tuttora aperta ed è stata utilizzata soprattutto da molte industrie europee in chiave competitiva. Infatti, mentre gran parte dei produttori di paste e di carta si spostavano verso le paste Ecf (Elementar chlorine free, prive di cloro elementare), alcune industrie hanno forzato il concetto Tcf (Totally chlorine free, pasta totalmente priva di cloro elementare). Ambedue i concetti possono essere interpretati in modo distorto poiché danno l'impressione che siano la cellulosa o la carta a essere prive di cloro, anziché il processo di sbiancamento. Il cloro è un elemento estremamente reattivo presente in natura ed in tutti i materiali, pertanto è improprio parlare di carta priva di cloro. Secondo la definizione della Cepi (Confederazione Europea dell'Industria Cartaria) va dunque correttamente inteso come Ecf il processo di imbianchimento nel quale non viene utilizzato cloro-gas o composti di cloro. Premesso che, come vedremo più avanti, i problemi di reflui liquidi del settore cartario sono risolti anche senza ricorrere al Tcf, l'industria cartaria è in linea con gli orientamenti del mercato internazionale. La pasta Ecf ha sostituito largamente quelle prodotte con cloro-gas e rappresenta ormai lo standard: ciò soprattutto nelle carte da scrivere e da stampa, basate prevalentemente su fibre vergini. Per quanto riguarda il Tcf una parte dei produttori nazionali ha in catalogo una linea di carte Tcf; i volumi di tale tipo di pasta effettivamente utilizzati sono tuttavia modesti, prevalentemente per prodotti esportati in Germania e altri Paesi dell'Europa Centrale.


Le emissioni dell’industria cartaria
L'utilizzo di fibre vergini e secondarie nel processo produttivo cartario genera emissioni gassose prevalentemente contenenti vapore (c.d. "fumane", più visibili in inverno) che, generalmente, non determinano problemi ambientali. L'industria cartaria nazionale sta usando sempre più ampiamente il metano come combustibile, con l'obiettivo di ridurre al minimo le emissioni di anidride solforosa nell'aria. In tutte le fasi della fabbricazione sono presenti quantità non trascurabili di acqua, ed è questo che condiziona i vari processi tecnologici attraverso i quali passa la produzione delle materie fibrose prima e della carta poi. L'acqua scompare dal ciclo solo nell'ultima fase della produzione, quando ormai il prodotto è praticamente finito, anche se non completamente, in quanto la carta è un materiale igroscopico e contiene, sotto forma di umidità, una certa quantità di acqua, che in condizioni normali è compresa tra il 2 ed il 6%. In ogni cartiera la gestione della risorsa acqua non può ignorare una regola essenziale: più acqua si immetterà nel sistema, più aumenterà l'investimento necessario per gli impianti di depurazione, spesa strettamente proporzionale ai volumi da trattare; cresceranno di conseguenza i loro costi di esercizio e i relativi consumi di energia; aumenterà, inoltre, la quantità di materia prima pregiata (fibre cellulosiche sia vergini sia secondarie) che, convogliata nell'acqua, tenderà a “sfuggire” dal sistema.
Per questo, progressivamente, è stata rivolta una grande attenzione alla razionalizzazione dei consumi dell'acqua con un notevole sviluppo del riciclo delle acque di processo (c.d. "chiusura dei cicli") reso possibile dal miglioramento tecnico degli impianti e dalla introduzione di nuovi prodotti di supporto; ciò ha portato come conseguenza ad una sensibile riduzione nei consumi d'acqua. Così facendo si sono ottenuti i seguenti vantaggi:
 

• riutilizzo di acque con appropriate caratteristiche nei punti opportuni (riutilizzo delle acque provenienti dalle coclee addensatrici nella preparazione impasti ecc.);
• minori quantità di acqua da trattare per procedere al recupero di fibre; in altre parole nell'ambito di ogni riciclo parziale è più facile ed economico (con un minor dispendio di energie e un impatto sull'ambiente inferiore) procedere a singole depurazioni (recuperi di fibra) essendo fisicamente molto vicini al punto in cui le fibre stesse sono riutilizzate;
• notevole risparmio energetico in virtù delle minori dimensioni delle apparecchiature e delle minori energie necessarie per i trasporti di massa.
 

In termini numerici questa "chiusura dei cicli" ha ridotto il consumo specifico di acqua, che può assumersi, per tonnellata di carta prodotta, intorno a 40-50 metri cubi (fino ai 4-5, possibili per certi prodotti finali). Il miglioramento della gestione della risorsa acqua in cartiera ha portato dei benefici da un punto di vista economico ed ambientale. Allo stesso tempo, comporta anche un caricamento (a volte eccessivo) di sali, colloidi, con conseguenze sull'efficacia dei prodotti utilizzati nei processi di fabbricazione e ciò, in assenza di ulteriori interventi mirati, avrebbe potuto avere delle ripercussioni sia sulla qualità del prodotto finito sia sugli impianti di trattamento delle acque. Per questo la chiusura del ciclo delle acque di cartiera non è potuta andare oltre un certo valore che è legato alla tipologia delle carte prodotte: in ogni caso deve esser tenuto conto che una certa quantità di acqua viene restituita all'ambiente sotto forma di evaporazione. Il consumo di acqua ha, come conseguenza, lo scarico a valle del processo di un'elevata quantità di reflui liquidi contenenti particelle cellulosiche sospese, sostanze che assorbono ossigeno dall'acqua (BOD e COD) e sostanze organiche clorate (AOX). Tutti e tre i tipi di emissioni sono stati drasticamente ridotti attraverso impianti di trattamento meccanico e biologico e cambiando il processo di produzione delle paste, nonché mediante la realizzazione di impianti per il riciclo continuo dell'acqua nel processo produttivo attraverso interventi di purificazione della stessa. Va sottolineato che l'attuale normativa italiana non favorisce il riciclo dell'acqua poiché fissa i limiti di concentrazione per gli inquinanti anziché le quantità scaricabili di BOD/COD in funzione della quantità di carta prodotta.


Il trattamento delle acque reflue di cartiera
Lo schema tipico di un impianto di depurazione per acque reflue è molto simile alla classica architettura di un impianto per il trattamento sanitario-ambientali delle normali acque reflue fognarie. Ciononostante non è superfluo sottolineare l’utilizzo di biodischi nella fase di ossidazione biologica al posto della canonica vasca a fanghi attivi, che apporta diversi vantaggi, analizzati nel seguito.
I biodischi sono costituiti da pannelli di polietilene ad alta densità raccolti in più spicchi montati circolarmente lungo un albero cilindrico. La struttura è immersa per circa il 40% nell’acqua da depurare e viene mantenuta in rotazione lente mediante un’apposita motorizzazione. I pannelli risultano esposti alternativamente all’acqua ed all’aria; sulla loro superficie si forma una flora batterica aerobica che utilizza come substrato nutritivo il contenuto organico inquinante dell’acqua. La superficie dei pannelli che esce dall’acqua, grazie alla lenta rotazione, trascina un film liquido: all’interfaccia di tale film avviene uno scambio gassoso che permette il continuo sviluppo della flora aerobica. La massa batterica in eccesso si distacca automaticamente e passa nel liquido, da cui dovrà essere separata in uno stadio di trattamento successivo. Il processo biologico avviene in continuo: in questo modo, le sostanze organiche solubili presenti nell’acqua vengono trasformate in cellule batteriche. La disposizione del fango sui pannelli plastici concentra in volumi ridotti elevate quantità di fango biologico, ragione per cui i biodischi sono utilizzati soprattutto in campo industriale, dove il risparmio di spazio è una esigenza primaria. Un altro pregio dei biodischi è anche quello di autoregolare l’allontanamento del fango biologico in eccesso, prodotto come risultato finale della depurazione. Nei biodischi il ciclo vitale del fango passa attraverso fasi di crescita, maturazione e morte, che determina in modo naturale e, senza intervento del gestore, il distacco della pellicola biologica vecchia.

 



Figura 1. Schema di trattamento acque reflue

 

Il trattamento biologico con biodischi, specialmente nel trattamento dei reflui di cartiera, consente inoltre altri vantaggi:


   
% bassi consumi energetici (circa 40% in meno rispetto ad un impianto a fanghi attivi);
   
% minimo impegno da parte del personale di gestione;
   
% nessun problema di “bulking”;
   
% bassissimi livelli di rumore (data la bassa velocità di rotazione dei biodischi);
   
% nessun problema di odori e/o aerosol;
   
% minimo impatto ambientale (ogni biodisco è dotato di copertura).


Filtrazione per riutilizzo acque
Uno delle fonti di impatto più importanti dell’industria cartaria è, come detto, il consumo di acque di processo; il loro riutilizzo porta sicuramente i seguenti vantaggi:

    • contenimento dei consumi;
    • maggiore abbattimento del BOD5 nell’effluente finale.

Per poter efficacemente riutilizzare le acque di processo, è necessario sottoporle ad una fase di filtrazione a valle della chiarificazione finale.
La filtrazione in letto di sabbia è usata frequentemente ed è un metodo molto valido per rimuovere i solidi in sospensione dall'acqua.
I filtri a sabbia rientrano nella più ampia categoria dei filtri a gravità e sono costituiti da vasche a cielo aperto, in cui è posto il mezzo filtrante, costituito dalla sabbia disposta in strati a granulometria uniforme via via più fine. L’acqua
entra dalla parte alta del letto filtrante, lo permea e ne esce dal fondo del sistema di drenaggio.



 

Figura 2. Esempio di filtri a sabbia
 


I filtri a sabbia hanno un funzionamento in discontinuo, perché dopo un certo periodo di funzionamento, vanno rigenerati mediante lavaggio in controcorrente, allo scopo di rimuovere i solidi trattenuti; sono disponibili in diversi formati e materiali e funzionano sia manualmente che automaticamente.
Accanto a questa tipologia classica di filtri, si stanno applicando specificatamente nell’industria cartaria i filtri a dischi. Questi presentano peculiarità che portano numerosi vantaggi:

    1. funzionamento completamente automatico;
    2. elevata superficie di filtrazione con ingombro ridotto;
    3. sistema di controlavaggio a tubi oscillanti, che assicura una pulizia migliore con il minimo utilizzo di acqua;
    4. elasticità di funzionamento sia in termini di portata che di carico trattabile;
    5. basse perdite di carico;
    6. estrema semplicità di gestione e manutenzione.

Questa tipologia di filtri può essere applicata per:

    1. filtrazione delle acque in uscita dal sedimentatore/flottatore finale;
    2. filtrazione delle acque a valle del trattamento biologico a biodischi in alternativa al sedimentatore finale.
 


Figura 3. Esempio di filtro a dischi



Il filtro a dischi è costituito da una serie di dischi filtranti montati solidalmente su un tubo centrale. L’acqua fluisce per gravità dal tubo centrale di alimentazione attraverso i pannelli filtranti montati sui dischi che operano sommersi per circa il 60 % del loro diametro. I solidi sono trattenuti sulla superficie interna dei pannelli filtranti stessi che hanno normalmente una luce di passaggio da 10 a 40 m.
L’accumulo dei solidi ostacola il passaggio dell’acqua attraverso i pannelli, con il conseguente innalzamento dell’altezza dell’acqua all’interno del filtro, fino ad intercettare un sensore di livello che determina la rotazione temporizzata dei dischi e l’effettuazione del ciclo di controlavaggio. La pressione dell’acqua di lavaggio stacca i solidi trattenuti dal mezzo filtrante, convogliandoli in una tramoggia di raccolta e scarico.
Il controlavaggio, che utilizza una parte dell’acqua già filtrata, richiede dall’1 al 2 % del totale della portata trattata, in funzione della concentrazione dei solidi sospesi in ingresso. Il sistema mobile di controlavaggio a tubi oscillanti assicura l’efficiente pulizia delle tele filtranti, l’aumento della durata delle stesse ed un risparmio del 20 % nel consumo di acqua di controlavaggio.


La gestione dei rifiuti
L'industria cartaria nazionale produce una ridotta tipologia di rifiuti, classificati non pericolosi, che possono essere quindi smaltiti anche in discariche per rifiuti non pericolosi. Da un punto di vista fenomenologico assumono rilievo i fanghi di cartiera (suddivisi in diverse tipologie) sempre più utilizzati nella produzione di altra carta, nell'industria dei laterizi, nei cementifici, per il ripristino ambientale e la copertura delle discariche, nei conglomerati edilizi, nei rilevati e nei sottofondi stradali. Detti fanghi, peraltro, sottoposti ad essiccamento potrebbero essere proficuamente utilizzati in cartiera per la produzione di energia, contribuendo al fabbisogno energetico degli impianti produttivi e sottraendo agli impianti di smaltimento quantità rilevanti di rifiuti. In questo senso la tecnologia è ormai matura e gli ostacoli verso un più deciso orientamento in questa direzione sono, ormai, di tipo normativo-amministrativo.
Altro residuo tipico dell'industria cartaria è quello derivante dal trattamento della carta da macero (c.d. scarti di pulper). Per esso la normativa già prevede delle norme tecniche per avviarlo a combustione con recupero di energia secondo tecnologie e modalità già consolidate.


Nastropressa per fanghi
I fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue di cartiera sono caratterizzati da un contenuto in sostanze organiche di circa il 20% del peso secco e da un potere calorifico che si attesta attorno a 2000 kcal•kg-1. Un semplice essiccamento a 100 °C produce, generalmente, una perdita di peso superiore al 50%. La componente inorganica è data principalmente da SiO2, Al2O3 e, in taluni casi, MgO e CaO.
Abbiamo visto, in precedenza, come sia in atto un cambiamento qualitativo dei fanghi prodotti dall’industria cartaria, provocato sia dalla qualità delle materie prime impiegate (materiali di recupero con contenuti di ceneri sempre più elevati), sia dall’evoluzione dei processi adottati in ambito produttivo (come ad esempio la sempre più elevata ritenzione di fibre nella zona di formazione).
In conseguenza di questo cambiamento qualitativo, il comportamento del fango alla disidratazione risulta più critico, richiedendo accorgimenti tecnologici in precedenza non necessari per poter ottenere risultati apprezzabili in secco finale e portata trattata. È sempre più frequente la presenza sul mercato di nastropresse specifiche per la disidratazione dei fanghi di cartiera.

 


 

Figura 4 e 5. Alcuni esempi di nastropresse per fanghi di cartiera



La nastropressa è particolarmente indicata nei casi in cui è necessario ottenere una riduzione sostanziale del tenore in acqua del fango, nonché una facile trasportabilità dello stesso. Essa è generalmente installata a valle delle linee di trattamento dei fanghi, ed è costituita essenzialmente da un telaio con due robuste fiancate laterali collegate fra loro, una tramoggia di carico del fango, una vasca di accumulo e scarico dell'acqua filtrata, due teli coniugati attraverso i quali passa il fango da disidratare, dei rulli aventi funzione di drenaggio e pressione del fango, altri rulli aventi funzione di centraggio e tiro del telo, un sistema di lavaggio mediante ugelli, un motovariatore del tipo a vite senza fine che consente una velocità del nastro variabile. Il fango viene disidratato, per stadi successivi, attraverso teli coniugati, dove viene pressato dai rulli; entra nella tramoggia ed è distribuito sul telo inferiore tramite un deflettore e, successivamente, incontra il telo superiore e subisce una bassa pressione. Continuando lo scorrimento, viene a contatto con un secondo rullo di grandi dimensioni, avente funzione di drenaggio dell'acqua, quindi un terzo rullo che esercita una pressione media; infine altri rulli esercitano un'elevata pressione con riduzione del tenore in liquido e volume del fango stesso. Dopo l'evacuazione dei fanghi i teli subiscono un lavaggio per l'allontanamento del materiale residuo.

Possibilità di riuso dei fanghi di cartiera nell’edilizia
Negli ultimi anni sono stati sviluppati un gran numero di prove sperimentali relative al possibile reimpiego, nell’industria dei laterizi, di un’ampia gamma di scarti sia urbani che industriali. Tra le ricerche effettuate spiccano certamente quelle riguardanti la possibilità di reimpiego dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue di cartiera (Figura 6), che sono caratterizzati da un contenuto in sostanze organiche di circa il 20% del peso secco (con un potere calorico di circa 2000 kcal/kg); da SiO2, Al2O3 e, in taluni casi, MgO e CaO, come componente inorganica.
 

Figura 6. Esempio di granuli di fanghi di cartiera essiccati, pronti all’utilizzo


Prove sperimentali hanno dimostrato che l’aggiunta agli impasti, in quantità ottimali, di tali fanghi essiccati si attesta fra 3% e 8%. Le migliori prospettive concernono i materiali ricchi in sostanze organiche, in quanto la loro combustione in fase di cottura permette un significativo risparmio energetico, anche se usati in quantità ridotte (<10%). Queste aggiunte producono sull’impasto un lieve incremento del contenuto dell’acqua di impastamento e del ritiro in secco. Nelle fasi di estrusione ed essiccamento non si è notato l’insorgere di particolari problemi, sebbene in alcuni casi si lamentino delle difficoltà in fase di dosaggio e di trafilatura a causa delle parti fibrose vegetali contenute nei fanghi.
Le proprietà dei laterizi così prodotti non vengono particolarmente influenzate dalle modeste aggiunte di fanghi dell’industria cartaria. Sono stati tuttavia riscontrati lievi incrementi di assorbimento d’acqua e di attitudine alle efflorescenze, associati ad un lieve decremento della resistenza meccanica e talora un peggioramento di aspetto del prodotto finito. In conclusione si può affermare che gli studi riportati in letteratura mostrano che l’utilizzo dei fanghi dell’industria cartaria sembrerebbe economicamente conveniente, senza compromettere la qualità del prodotto finito. In effetti, il riciclaggio di questi scarti è divenuto ormai una realtà in una serie di laterifici italiani.

* L’articolo è stato elaborato all’interno del Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente Università degli Studi della Basilicata, rif.: rpandolfo@unibas.it.


Bibliografia


1. G. Bertanza: “Nuovi orientamenti nella progettazione e gestione della linea fanghi”, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Brescia;
2. Sernagiotto Tecnologies SpA:“Depurazione biologica dei reflui di cartiera con biodischi alla luce della direttiva IPPC”; XXXI Riunione Annuale ATICELCA, Baveno, 1-2 giugno 2000;
3. Sernagiotto Tecnologies SpA: “Evoluzioni tecnologiche nella disidratazione dei fanghi di cartiera”; Seminario ATICELCA “Ambiente, impianti e processi di depurazione”, Milano 24 Aprile 1998;
4. Sernagiotto Tecnologies SpA: “La disidratazione dei fanghi con nastropressa ad alto tenore di secco”, Application report n°4 – 2000;
5. M. Dondi, M. Marsigli: “Rassegna delle esperienze di riciclaggio di scarti industriali ed urbani nella produzione di laterizi”, CNR-IRTEC;
6. Sernagiotto Tecnologies SpA: “Innovativo sistema di filtrazione per il riutilizzo delle acque dai flottatori/sedimentatori e per la rimozione dei fanghi a valle dei trattamenti biologici con biodischi”, Application report n°6 – 2001.