Prevenzione dei rifiuti: i settori della carta e dell'alimentare
Waste prevention, application to the fields of the paper and feeding
GENNARO BUONAURO(*)
Summary
This work wants to be a point of reference and departure to study waste
prevention. It wants to give a foundation of technical tools, environmental
policy and knowledge about 2 industrial fields: paper and feeding.
In particular this work can be subdivide in three parts:
1. identification of bigger chain for paper and alimentary trade in Brescia
town;
2. identification and quantification of flow-in and flow-out chain;
3. definition of waste prevention strategy in some chain points.
Lo studio di seguito presentato, ha come obiettivo quello di fornire una base di
strumenti tecnici, di politica ambientale e di conoscenze su alcuni settori
industriali, che possa servire come punto di riferimento e di partenza per lo
studio della prevenzione dei rifiuti.
Oggetto dello studio è l’identificazione delle maggiori filiere dei settori
della carta e dell’alimentare e dei relativi flussi in entrata ed in uscita, il
tutto al fine di fornire uno strumento utile ad individuare “dove” (in quale
fase della filiera) e “come” (la strategia di prevenzione più adatta) prevenire.
1. Premessa
Quando si intuisce un possibile danno, occorre operare in maniera
preventiva, e predisporre le condizioni affinché il danno non avvenga o,
perlomeno, i suoi effetti siano il più possibile contenuti.
In generale la prevenzione, in quanto rivolta ad una serie di possibili effetti
che non è dato prevedere con precisione, costituisce una strategia complessa,
che si evolve nel tempo in funzione delle conoscenze disponibili e della
rilevanza che i fenomeni assumono nella coscienza collettiva.
Negli ultimi decenni è emersa una nuova coscienza dei problemi legati alla
salvaguardia della natura e, successivamente, quella che può essere definita più
propriamente “coscienza ambientale”.
Si è cominciato allora a parlare di “prevenzione ambientale”, di politiche
rivolte alla salvaguardia delle risorse e alla regolazione delle economie che ne
governano lo sfruttamento; in altri termini di sviluppo sostenibile. E si
è avviata una svolta culturale e scientifica per raggiungere una conciliazione
tra mercato, rapporti sociali e ambiente.
La sensibilità ambientale è cresciuta in modo generalizzato e diffuso fino a
divenire parte integrante della politica delle imprese produttrici di beni di
consumo. Il nuovo impegno è quello di tener conto della variabile ambientale,
non solo in riferimento alla produzione ma anche rispetto a tutte le fasi del
consumo. Si tratta di aggiungere alla responsabilità di processo anche una nuova
responsabilità di prodotto, in altre parole, alle imprese viene chiesto di
preoccuparsi non solo dell’impatto ambientale dei propri cicli produttivi, ma
anche di esercitare una responsabilità su tutta la vita del prodotto, fino al
suo recupero o smaltimento finale.
Sono, però, diversi i soggetti coinvolti nella prevenzione:
• i produttori dell’imballaggio;
• gli utilizzatori industriali e commerciali.
I produttori dell’imballaggio e dei suoi materiali tendono a raggiungere un
equilibrio ottimale, a parità di prodotto contenuto, tra prestazioni, quantità
di materiali impiegati. Mettere in atto interventi di prevenzione per loro
significa ridisegnare il processo produttivo, ridurre le componenti pericolose,
aumentare la riciclabilità dell’imballaggio, ottimizzare i cicli dei materiali.
Gli utilizzatori industriali e commerciali, a loro volta, richiedendo un
packing con certe caratteristiche, dettate dal marketing, dalle esigenze
della propria logistica, e anche da principi di prevenzione, possono spostare
l’imballaggio verso un territorio di sostenibilità.
1.1 Riferimenti Normativi
La normativa europea in tema dei rifiuti prende in considerazione
esplicitamente solo due profili della prevenzione rispetto ai rifiuti:
• l’aspetto quantitativo - riduzione del peso e volume dei rifiuti prodotti;
• l’aspetto qualitativo - diminuzione della pericolosità dei rifiuti.
A questi aggiunge le nuove politiche ambientali di seconda generazione,
delegandone però l’attuazione all’iniziativa volontaria dei diversi soggetti
implicati. A livello comunitario, si assiste quindi mix di iniziative che
integrano norme dettate dai governi nazionali con azioni promosse dai sistemi
nazionali di gestione, cui si aggiungono programmi specifici per settori
particolari. I risultati modesti raggiunti si spiegano con la mancanza di una
strategia generale diretta a promuovere la prevenzione.
Per quanto riguarda le pratiche di riutilizzo, la maggiore attenzione, in
generale, è stata riservata ai contenitori per bevande (i cosiddetti “refillable”).
In alcune nazioni le quote di contenitori destinati al riutilizzo sono fissate
per legge, in altre vengono stabiliti dei target da parte delle Agenzie
dell’Ambiente, e in quasi tutti i Paesi, i refillable sono comunque
esentati dagli obblighi di recupero e riciclo stabiliti dai sistemi di gestione
autorizzati. E, ancora, in alcuni stati membri è in vigore un sistema
obbligatorio di deposito/resa, mentre in altri intervengono vere e proprie
tassazioni sui non refillable.
I sistemi deposito/rimborso prevedono una spesa aggiuntiva per il consumatore
all’atto dell’acquisto (deposito) e un rimborso al momento della riconsegna
dell’imballaggio (o in certi casi del prodotto).
A livello nazionale il Decreto Ronchi (Decreto Legislativo 22/97, del 5 febbraio
1997) ha rappresentato l’attuazione delle Direttive europee 91/156/CEE sui
rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti
di imballaggio. In particolare, gli imballaggi e i rifiuti d’imballaggio sono
contemplati nel Titolo II del Decreto (dall’articolo 34 all’articolo 43), il cui
titolo è “Gestione degli imballaggi”.
Il Titolo II del Decreto fornisce una definizione di prevenzione relativa agli
imballaggi e ai rifiuti di imballaggio (art.35, c.1, lett. g) mutuata dalla
Direttiva 94/62/CE (art.3, c.4). Inoltre indica la prevenzione come uno dei
principi generali a cui uniformare l’attività di gestione degli imballaggi e dei
rifiuti di imballaggio (art.36, c.1).
Uno degli obiettivi della Direttiva 94/62/CE (modificata recentemente dalla
Direttiva 2004/12/CE) è adottare misure di tutela dell’ambiente, tramite
l’attuazione di azioni di prevenzione sugli imballaggi volte a ridurne l’impatto
sull’ambiente (art.1, c.1 e 2). La Direttiva incoraggia gli Stati membri a
prendere anche misure di prevenzione autonome o in collaborazione tra loro,
misure intese anche a responsabilizzare il produttore dell’imballaggio riguardo
al minimo impatto ambientale possibile che questo deve avere (art.4, c.1 e 2).
Vengono indicati dei requisiti minimi che gli imballaggi devono avere per essere
commercializzati (allegato II), quindi caratteristiche da stabilire al momento
della progettazione e della scelta delle materie prime di imballaggio.
La prevenzione rientra tra i temi affrontati dalla politica ambientale europea,
che negli ultimi anni ha rafforzato l’attenzione per il controllo delle
emissioni e dei rifiuti. La gestione degli imballaggi si inquadra allora
all’interno di un panorama, più ampio, di sviluppo sostenibile, a cui l’Europa
vuole allineare la propria crescita futura.
Alla prevenzione la Commissione europea ha dedicato un documento strategico,
la Comunicazione verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei
rifiuti” (COM 301 del 2003), che indica le linee guida a cui conformare
l’attività dell’Unione in materia di prevenzione e riciclo dei rifiuti e traccia
un quadro generale della situazione in Europa riguardo alla prevenzione. La COM
301 della Commissione ripone molta fiducia nell’approccio integrato adottato
dalla Direttiva IPPC (96/61/CE) (Integrated Pollution Prevention and Control,
Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). Tale documento parte
dal presupposto che è necessario un controllo omogeneo (cioè integrato) delle
emissioni in aria, acque e suolo. L’IPPC costituisce il primo orientamento
basato su una visione d’insieme della questione ambientale, e che chiama alle
loro responsabilità tutti i soggetti interessati. Vengono previsti obblighi ed
adempimenti per un insieme di categorie di attività e di impianti industriali,
volti a limitare le emissioni, gli sprechi e la produzione di rifiuti. Vengono,
inoltre, istituiti i requisiti minimi, basati sulle “migliori tecniche
disponibili”, quelle che consentono le migliori prestazioni ambientali al minor
costo possibile, senza i quali gli impianti non sono autorizzati a funzionare.
Nell’approccio integrato dell’IPPC la prevenzione è uno degli aspetti primari
per raggiungere l’obiettivo di una crescita economica e produttiva
ambientalmente sostenibile (considerando 1, art. 3 punto c). Si tratta di una
prevenzione “di processo”, in quanto sono da tenere sotto controllo le emissioni
degli impianti indicati dalla Direttiva.
L’attenzione si rivolge anche alla prevenzione “di prodotto” con l’approccio IPP
(Integrated Product Policy, Politica integrata di prodotto), enunciato
nel Libro Verde della Commissione europea (COM 68 del 2001). L’IPP guarda a
tutte la fasi del ciclo di vita dei prodotti, cercando di ridurre l’impatto
ambientale complessivo di ciascuna fase. “Dalla culla alla tomba” di un prodotto
vengono coinvolti diversi soggetti: l’IPP vuole incoraggiare ogni parte
interessata a migliorare le proprie prestazioni ambientali. In particolare, la
responsabilità del produttore è da realizzare anche tramite una politica dei
prezzi che tenga conto dei costi ambientali, in modo tale da incentivare la
prevenzione in fase di progettazione.
2.Tipologie di prevenzione
E’ molto importante studiare il comportamento del consumatore (cosa consuma
ed in che modo), così da capire come (quale strategia di prevenzione adottare) e
dove (in quale punto della filiera) intervenire.
Sarebbe riduttivo, però, parlare di prevenzione solo nell’ottica della riduzione
degli imballaggi.
Prevenzione significa, anche e soprattutto, comunicazione (verso i cittadini),
coinvolgimento, sensibilizzazione, educazione.
Infatti, è fondamentale educare il consumatore a comportamenti attenti alla
qualità del prodotto (durata di vita del prodotto e qualità tecnologica dello
stesso). E’ per questo che tra le tipologie di prevenzione di seguito riportate,
si fa riferimento ad una comunicazione mirata, alla partecipazione dei
consumatori, alla redazione di progetti locali ed all’ottenimento e divulgazione
dei risultati ottenuti.
Le principali metodologie di prevenzione sono:
• attività regolativa:
○ Standard IPPC (standard europeo);
○ Standard di emissione e rifiuti (permessi di scarico);
• attività fiscale che colpisce gli
scarichi non differenziati;
• comunicazione (mirata);
• partecipazione (con associazioni ambientaliste, consumatori, operatori,…);
• progetti locali che rappresentano la documentazione del vantaggio ambientale e
territoriale e permettono la restituzione dei risultati:
• restituzione dei risultati.
3. I settori
La Environment Agency della Gran Bretagna ha condotto nel 2004 un’indagine
sull’attuazione dell’IPPC In Inghilterra e Galles, avente come obiettivi quelli
di:
• effettuare una panoramica sull’attuazione della direttiva in termini di
miglioramenti nell’efficienza delle risorse presso i settori industriali
regolamentati,
• identificare settori prioritari nei quali promuovere misure di gestione
efficiente delle risorse e riduzione dei rifiuti attraverso lo strumento dell’IPPC.
Da questa indagine risulta che, nel periodo in cui è stata attuata la direttiva,
molte aziende sottoposte a regolamentazione hanno ottenuto risultati
significativi in termini di riduzione dei rifiuti e recupero/riutilizzo delle
risorse. Nonostante i miglioramenti nell’efficienza, nella gestione delle
risorse, sono dovuti primariamente dall’aumentata competitività, che spinge le
aziende a ridurre i costi, e dalla legislazione in materia (ad esempio la tassa
sulle discariche), sembra che l’IPPC abbia incoraggiato questi comportamenti. La
cosa davvero interessante è che sembra che l’IPPC abbia effetti più diretti
sull’efficienza nell’utilizzo delle risorse nei settori relativamente nuovi allo
strumento dell’autorizzazione integrata, come quello alimentare e delle
bevande.
Un altro risultato interessante è che nei settori in crescita economica, come
quello della carta, la riduzione nell’ammontare dei rifiuti prodotti può essere
attribuita interamente ai miglioramenti nell’efficienza delle risorse.
L’analisi delle motivazioni dei miglioramenti nell’efficienza delle risorse, è
fondamentale per stabilire le priorità d’intervento indirizzate a settori
specifici nei quali si possono ottenere i miglioramenti più significativi.
Queste osservazioni supportano dunque la scelta di prendere in considerazione i
settori:
• Alimentare;
• Carta.
Vediamo pertanto nel dettaglio come si caratterizzano questi settori e quali
sono i principali impatti ambientali che essi generano.
3.1 Il settore alimentare
La trasformazione alimentare in Italia esprime 88 miliardi di Euro di
fatturato, 30mila aziende, 350mila dipendenti. Il settore si pone al terzo posto
per fatturato, fra i grandi settori manifatturieri nazionali, dopo il
metalmeccanico e il tessile-abbigliamento. A livello comunitario, esso
rappresenta oltre il 15% dell’intera produzione industriale europea. E’ il primo
settore industriale della Comunità, con un fatturato che supera i 650 miliardi e
un numero di dipendenti di oltre 2,5 milioni di unità. L’industria alimentare
europea stacca di molto gli Stati Uniti ed è la prima industria alimentare del
mondo.
Nel quinquennio 1996-2000, la produzione dell’industria alimentare nazionale è
cresciuta del +11,1%. In parallelo, nello stesso periodo, l’industria italiana
nel suo complesso ha mostrato un aumento del +7,7%.
Nel 2001, tuttavia, il trend di sviluppo è rallentato. Il fenomeno ha
peraltro riguardato la generalità dei settori industriali, per la minore
dinamica complessiva del ciclo economico.
Nei primi otto mesi dell’anno numerosi comparti hanno mostrato variazioni
negative sullo stesso periodo del 2000. Fra questi: la lavorazione della carne
(-3,3%); del pesce (-3,9%); la conservazione di frutta e ortaggi (-5,5%); la
produzione di farina di frumento tenero (-4,2%); la fabbricazione di oli e
grassi vegetali e animali (-2,6%); il riso (-5,4%); gli “altri” prodotti
alimentari. In positivo, invece, si sono posti il comparto dell’alimentazione
animale (+8,6%) e l’industria delle bevande (+6,7%).
I dati per comparto dell’industria alimentare italiana evidenziano il primato,
in termini di fatturato, del settore lattiero-caseario (25mila miliardi),
seguito dal dolciario (16.200 miliardi), dalla trasformazione della carne
(14.200 miliardi) e dal vino (13mila miliardi).
Le brevi schede che seguono riguardano alcuni fra i principali comparti
dell’industria alimentare italiana.
3.1.1 Bevande Gassate
La produzione di bevande gassate nel 2000 ha raggiunto l’ammontare di 2.900
milioni di litri, con un aumento del 5,0%. Il fatturato ha superato i 3.100
miliardi di lire.
L’occupazione diretta del settore raggiunge le 5.450 unità. L’indotto indiretta
è valutabile in 16.200 unità, per un’occupazione complessiva di 21.650 unità. Il
consumo pro-capite di bevande gassate è passato dai 41 litri del 1988 ai 49
litri del 1998 (+19.7%).
La produzione 2001 (censita dall’Istat cumulativamente con le acque minerali) ha
registrato, nei primi otto mesi, una variazione del +3,7%. Il commercio estero
dei soft drinks (classificati dall’Istat come “gassose”) ha visto nei
primi sette mesi dell’anno un export di 137 miliardi, con un incremento del
30,9%. Il quantitativo esportato ha raggiunto 153.800 tonn., con una crescita
del +23,7%. L’import, nello stesso periodo, ha raggiunto quota 127,9 miliardi,
con un aumento del +12,4%. Esso corrisponde ad un quantitativo importato di
142.000 tonn. (+16,7%). Il saldo ha registrato un marginale attivo di 9,1
miliardi, speculare rispetto al passivo di 9,1 miliardi dei primi sette mesi
2001.
3.1.2 Dolciario
Il settore ha raggiunto nel 2000 una produzione complessiva di 1.588.150
tonn., con un aumento dello 0,7% sull’anno precedente. Il fatturato ha toccato i
16.100 miliardi e si è confermato al secondo posto, dopo il lattiero-caseario,
tra i settori della trasformazione alimentare nazionale.
La produzione, su base decennale, è salita del +51,9% in valore e del +21,9% in
quantità. La maggiore dinamica espansiva in volume nel decennio è stata
evidenziata dal comparto cioccolatiero (+ 33,9%), seguito da quello dei prodotti
da forno (+ 22,6%) e da quello dei gelati (+ 20,2%). Sostanziale stabilità ha
caratterizzato invece i prodotti della confetteria. La propensione all’export è
passata, in volume, dal 14,8% del 1991 sul totale produzione, al 27,5% del 2000.
L’export 2000 del comparto ha complessivamente raggiunto 2.463,1 miliardi, con
un aumento del 6,8% sull’anno precedente. In quantità, le esportazioni 2000 sono
state pari a 417.604 tonn., con una crescita del 8,8% sulle 383.807 tonn.
esportate nel ’99. All’interno dell’export, la quota maggioritaria è stata
conquistata dal comparto della biscotteria e pasticceria, con 1.456,3 miliardi
esportati, seguito dai prodotti a base di cacao, con 604,8 miliardi.
L’import 2000 ha raggiunto complessivamente 1.285,3 miliardi, con un aumento del
4,1% sull’anno precedente. In quantità, le importazioni hanno raggiunto 266.176
tonn., con un aumento del 6,7% sulle 249.520 tonn. importate nel ’99.
La produzione dei primi otto mesi 2001 ha registrato un aumento del +1,0%.
L’export, nei primi sette mesi del 2001, ha raggiunto 1.378 miliardi, con un
incremento del 16,5% sull'identico periodo del 2000. In quantità, l’export del
periodo ha toccato 237.000 tonn., con un aumento del 9,7% sulle 216.195 tonn.
esportate nei primi sette mesi 2000. L’import del periodo ha raggiunto 717,2
miliardi, con una variazione del + 12,9% sui primi sette mesi 2000. In quantità,
l’import ha complessivamente raggiunto nel periodo 147.182 tonn., con un aumento
dell'8,1% sulle 136.137 tonn. importate nei primi sette mesi 2000.
Il saldo attivo è pari a 660,7 miliardi, con una crescita di 113,6 miliardi sul
saldo di 547,1 miliardi dei primi sette mesi 2000.
3.1.3 Lattiero-Caseario
La produzione 2000, considerata nel suo complesso, ha registrato un aumento
del 2,4% rispetto all’anno precedente. Il fatturato ha raggiunto 25.000
miliardi, confermandosi di gran lunga al primo posto tra i settori della
trasformazione alimentare nazionale. La produzione 2000 si è articolata in: 31
milioni di quintali di latte 9,6 milioni di quintali di formaggi, 1,1 milioni di
quintali di burro, 1,9 milioni di quintali di yogurt e altri latti fermentati, 1
milione, infine, i quintali di altri prodotti a base di latte.
Il latte complessivamente utilizzato in Italia (113,1 milioni q.li prodotti più
18,8 milioni q.li importati) ha raggiunto 131,9 milioni di q.li complessivi. Di
questo quantitativo, 100,8 milioni di q.li (76,4%) sono stati destinati alla
trasformazione industriale; 31,1 milioni (23,6%) all’alimentazione diretta.
Il comparto, assieme alla trasformazione della carne suina e al comparto
enologico, è caratterizzato dalla più alta presenza di prodotti tipici e a
denominazione di origine, sia a livello di produzione che di export.
Le esportazioni 2000 del settore hanno raggiunto nel complesso 1.835,1 miliardi
di lire, con un aumento del 13,2%. Molto elevata (circa il 75%, al loro
interno), la presenza di prodotti DOP e IGP. In quantità, l’export ha raggiunto
306.600 tonn., con un aumento del 9,0% rispetto alle 281.300 tonn.
complessivamente esportate nel ’99. Le esportazioni specifiche di formaggi hanno
toccato 1.663,1 miliardi, con un aumento del +12,5%. In quantità, l’export di
formaggi è stato pari a 168.900 tonn., con una crescita del +5,1% rispetto al
quantitativo, pari a 160.700 tonn., esportato nel 1999.
Le importazioni 2000 hanno complessivamente raggiunto 3.640,1 miliardi, con un
aumento del +8,2%. In quantità, esse hanno raggiunto 788.800 tonn., con un
aumento del +3,5% rispetto alle 762.100 tonn. importate nel ’99. Le importazioni
di formaggi hanno raggiunto 2.138,6 miliardi, con un aumento del +7,9%. In
quantità esse hanno raggiunto 347.200 tonn., con un aumento del +8,5% sulle
320.100 tonn. importate nel ’99.
Il saldo complessivo 2000 è stato passivo per 1.805 miliardi, in aumento
rispetto al passivo di 1.745,1 miliardi del ’99.
La produzione dei primi otto mesi 2001 è diminuita del 2,8%. Le esportazioni dei
primi sette mesi 2001 sono state pari a 1.189 miliardi, con un aumento del
17,6%. In quantità, esse hanno raggiunto 179.900 tonn., con una crescita
limitata allo 0,2% sulle 179.600 tonn. esportate nei primi sette mesi del 2000.
Le esportazioni specifiche di formaggi dei primi sette mesi 2001 hanno raggiunto
1.086,5 miliardi, con variazione del 18,3% sullo stesso periodo 2000. In
quantità, esse sono state pari a 104.300 tonn., con un aumento del +10,1% sulle
94.800 tonn. esportate nei primi sette mesi 2001.
Le importazioni dei primi sette mesi 2001 hanno raggiunto 2.176,4 miliardi, con
una variazione del +16,4% sullo stesso periodo del 2000. In quantità, esse hanno
complessivamente raggiunto 435.300 tonn., con una crescita del 1,1% sulle
430.700 tonn. importate nei primi sette mesi 2000.
Le importazioni specifiche di formaggi dei primi sette mesi dell’anno sono state
pari a 1.271,8 miliardi, con un aumento del +17,1% sui primi sette mesi 2000. In
quantità, esse hanno raggiunto 191.900 tonn., con un aumento del +5,1% sui primi
sette mesi 2000. Il saldo specifico dei formaggi, nei primi sette mesi 2001, è
stato negativo per 185,3 miliardi, con un leggero aggravio rispetto al passivo
di 168,1 miliardi dello stesso periodo 2000.
3.1.4 Gli aspetti ambientali
La questione ambientale ha assunto recentemente ancora maggiore importanza
nell’industria alimentare, sia per via di eventi che hanno portato alla ribalta
la questione della sicurezza alimentare (basti pensare alla vicenda “mucca
pazza” o all’attuale influenza aviaria), sia per via della crescente
preoccupazione per l’obesità e la conseguente ricerca di cibi sani e genuini al
posto del junk food, che ha comportato anche la forte spinta al biologico
o comunque alla sostenibilità della produzione alimentare.
Le questioni ambientali più rilevanti della produzione e distribuzione
alimentare riguardano:
• la contrapposizione tra agricoltura biologica e non biologica;
• le implicazioni ambientali dell’ingegneria genetica nell’industria alimentare;
• l’efficienza energetica nei processi produttivi;
• le fonti, il controllo e i costi dell’inquinamento dell’aria e del rumore
prodotto dall’industria alimentare;
• le acque di scarico;
• gli scarti di lavorazione;
• la conservazione degli alimenti nei magazzini e nella distribuzione;
• le opzioni di imballaggio;
• lo smaltimento finale degli imballaggi utilizzati.
Di questi aspetti occorre tenere conto nell’impostare un’efficace politica di
riduzione dei rifiuti.
3.2 Il settore della carta
La produzione della carta avviene a partire da materie prime provenienti dal
mondo vegetale. Essa, infatti, è essenzialmente costituita da cellulosa,
principale componente delle piante. Non tutte le piante però ne contengono in
quantità tale da renderne vantaggiosa l'estrazione. Solo alcune di esse sono
idonee a fornire cellulosa. La carta di migliore qualità è ottenuta da stracci
di fibre vegetali come il cotone, il lino, la canapa (pasta + straccio). Essendo
questo tipo di materia prima particolarmente costoso, si è pensato di ottenere
cellulosa da alberi di legno tenero come il pioppo, il pino, l'abete, la
betulla, per mezzo di trattamenti chimici (pasta chimica).
La materia prima legnosa utilizzata dall'industria cartaria europea è costituita
da legno di piccole dimensioni proveniente da sfoltimenti necessari in
selvicoltura (28%) e da abbattimenti di fine rotazione (37%) oltre che da
residui di segheria (26%) e da raccolti provenienti da specie a rapido
accrescimento (come, ad esempio, il pioppo).
L'industria cartaria nazionale, a causa della mancanza strutturale di risorse
forestali interne, deve importare oltre 3 milioni di tonnellate all'anno di
paste per carta. Queste importazioni provengono principalmente da aree di
consolidata tradizione nell'industria forestale come il Nord America (Stati
Uniti e Canada) e la Scandinavia, che offrono attualmente sostanziali garanzie
sulla corretta utilizzazione delle loro risorse forestali.
Alla salvaguardia ambientale, oltre che a motivi di carattere economico, è
legata anche l'attenzione sempre crescente verso la produzione di carta
riciclata.
L'uso delle materie seconde (maceri) limita infatti il ricorso alle materie
prime vergini e contemporaneamente riduce la quantità di materiali destinati
alle discariche.
Si può ottenere carta di qualità meno pregiata anche dalla pasta-legno o
dalla pasta-carta (detta, quest'ultima, anche pasta-cartaccia). La prima si
ottiene sfibrando, ossia riducendo in piccoli pezzi le fibre di legno. Dalla
sfibratura, attraverso passaggi successivi, si giunge ad un prodotto sempre più
minuto ed omogeneo. Sia la pasta-legno che la pasta chimica possono essere
immagazzinate sotto forma di fogli disidratati simili a cartoni. La
pasta-carta si ottiene invece riducendo in poltiglia la carta usata. Questo
tipo di pasta ha assunto negli ultimi tempi una notevole importanza per l'alto
costo assunto dalle paste più pregiate e perché, sostituendo la materia prima
legnosa, consente un maggiore controllo del patrimonio boschivo.
Il prodotto semilavorato (pasta), una volta giunto in cartiera, viene nuovamente
sminuzzato e mescolato con acqua per mezzo di idroapritori, contenitori simili
ad una grossa scodella muniti di una paletta che gira vorticosamente.
Segue la raffinazione per mezzo di macchine dette Olandesi, che sono grosse
vasche dove lame inossidabili riducono la lunghezza delle fibre.
Quest'operazione viene effettuata per favorire il processo di feltrazione o
feltraggio, fenomeno che permette la formazione del foglio. Con la feltrazione,
infatti, le fibre si dispongono in modo disordinato una sull'altra e la
successiva pressatura ed asciugatura fa sì che esse si incastrino tra di loro,
costituendo una struttura resistente. Attualmente si tende a sostituire, in
alcuni settori, la macchina Olandese con altre macchine che permettono un ciclo
continuo, tale da produrre pasta raffinata in continuazione. La qualità del
prodotto finale può essere migliorata con l'aggiunta di varie sostanze. Ciò può
avvenire durante la raffinazione oppure in un secondo tempo. In questo caso la
pasta viene messa nel mescolatore, per fare in modo che gli additivi si
mescolino bene e formino un prodotto dalle caratteristiche costanti.
Solitamente le aggiunte sono costituite dalla carica, dalla collatura e dalla
colorazione. La carica consiste nell'aggiunta di minerali in polvere come il
talco, il caolino, il marmo. Serve a dare al prodotto il peso desiderato, la
stampabilità, l'opacità.
La collatura consiste nell'aggiunta di colla di origine animale, vegetale oppure
sintetica. Essa serve a dare ai prodotto la capacità di ricevere la scrittura e
di resistere maggiormente all'acqua. La collatura può essere effettuata anche
quando il foglio è già formato; in questo caso si tratta di collatura
superficiale. Con la colorazione si aggiungono sostanze tali da dare al prodotto
il colore desiderato. Altre aggiunte possono essere effettuate quando si
desidera ottenere un prodotto per usi particolari.
Dopo di ciò, la pasta viene inviata in una macchina detta 'continua' che produce
fogli di carta di lunghezza praticamente illimitata. La continua è il risultato
della meccanizzazione e della modificazione dello staccio, con l'aggiunta di
cilindri rotanti che funzionano da presse, e 'spremono' l'acqua rimasta nella
pasta. All'uscita da questa macchina la carta si presenta avvolta in enormi
bobine spesso della lunghezza di qualche decina di chilometri. II prodotto viene
successivamente tagliato e ridotto a formati commerciali o accoppiato ad altri
materiali secondo l'uso cui è destinato.
4. Applicazioni e risultati
Il lavoro ipotizzato in partenza può essere suddiviso in tre parti:
• identificazione delle maggiori filiere per i settori della carta e
dell’alimentare;
• individuazione e quantificazione dei flussi in entrata ed in uscita;
• definizione di possibili strategie di prevenzione dei rifiuti.
Lo studio è durato tre mesi, durante i quali sono state sviluppate le prime due
parti; queste rappresentano la base da cui partire per l’identificazione delle
strategie più adatte di prevenzione dei rifiuti.
Il lavoro è stato applicato alla città di Brescia.
Le filiere (per ognuno dei settori) sono state individuate sulla base della
quantità prodotta e dei rifiuti generati da ognuna di esse.
I dati ottenuti si riferiscono ai flussi che accompagnano ogni fase delle
filiere (quantificazione dei flussi), sono espressi in tonnellate/anno e sono
stati forniti da associazioni di categoria (Assocarta, Federalimentare),
consorzi (Conai, Comieco), Camera di Commercio di Brescia, Apat, Asm. Alcuni di
questi dati erano originariamente riferiti all’intera produzione italiana e sono
stati poi applicati alla città di Brescia convertendo il valore, su scala
nazionale, in percentuale (rispetto alla produzione totale) e riportando tale
percentuale su scala locale, nota la produzione su Brescia.
4.1 Carta
Per la carta, il lavoro svolto è rappresentato dalla seguente figura:
Figura 1 - schema carta, fonte: elaborazione dell’autore.
Questo è lo schema identificativo delle maggiori filiere individuate e dei
relativi flussi quantificati mediante i dati descritti sopra.
Le frecce verso l’alto rappresentano i rifiuti indifferenziati, destinati alla
termodistruzione, mentre quelle verso il basso raffigurano i rifiuti raccolti in
maniera differenziata.
La cartiera presa in considerazione è quella di Toscolano perché la produzione
di carta ad essa associata rappresenta circa il 90% della produzione complessiva
a Brescia e provincia. I relativi flussi in entrata sono la pasta per carta, gli
additivi ed il macero, proveniente, quest’ultimo, dal circuito differenziato. In
realtà, la carta da macero si distingue in: “macero pre-consumo”, che è
rappresentato dagli scarti cellulosici della cartiera, e “macero post- consumo”,
costituito dalla carta riciclata in fase di distribuzione e di consumo. In
questo caso, il macero pre-consumo rappresenta una piccolissima parte delle
materie utilizzate dalla cartiera per la produzione di carta e ciò è dovuto al
fatto che tale cartiera produce solo carta pregiata.
Nello schema elaborato, per “resto del mondo” si intende convenzionalmente tutto
ciò che è destinato all’export e quello che viene poi importato a Brescia. In
realtà, non è facilmente quantificabile la quantità esportata ed importata, per
cui sono stati utilizzati dei dati APAT su base nazionale, rielaborati come
descritto sopra. Analogo discorso vale per la quantità di carta per imballaggi
fornita alla GDO (grande distribuzione organizzata) e proveniente dai vari
produttori di merci. Come dati in uscita dalla cartiera vi sono anche i rifiuti
generati durante la produzione (fanghi, pigmenti, collanti,…).
I distributori di carta riforniscono gli uffici e l’editoria.
Da notare che la maggior parte della carta da macero post-consumo proviene dalla
GDO e i rifiuti destinati alla raccolta differenziata superano di circa duemila
t/a quelli indifferenziati.
4.2 Alimentari
Lo schema riportato di seguito offre una rappresentazione delle principali
filiere e dei flussi:
Figura 2 - schema alimentare, fonte: elaborazione dell’autore.
Le frecce verso l’alto rappresentano i rifiuti indifferenziati, quelle verso il
basso costituiscono la raccolta differenziata. A differenza dello schema sulla
carta, qui abbiamo due tipi di rifiuti: organici e da imballaggio (di carta e di
plastica), ognuno dei quali avrà sia un percorso differenziato che
indifferenziato.
Sono state individuate tre filiere (GDO, grandi mense, piccoli negozi); nella
fase di ingrosso è stato considerato il mercato ortofrutticolo per la quantità
di scarti organici prodotti; nella fase di produzione vi sono tre sottosettori
dell’industria alimentare: lattiero-caseario, carne, prodotti da forno; essi
sono stati individuati sulla base dei rifiuti generati, delle quantità prodotte
e del numero di addetti.
Il quadro dei dati non è completo, per la difficoltà trovata nel reperimento
degli stessi, e non è sempre esaustivo, per il diverso grado di accuratezza dei
dati ottenuti; in ogni caso è possibile avere una fotografia generale
sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo del lavoro svolto.
Lo schema identificativo delle quantità associate ai flussi è il seguente:
Figura 3 - schema quantità, fonte: elaborazione dell’autore.
I dati relativi alla parte organica differenziata sono di carattere generale in
quanto comprendono anche gli scarti da giardinaggio; nonostante questo, i
rifiuti organici indifferenziati sono maggiori di circa mille tonnellate/anno;
potrebbe essere migliorata la raccolta dell’organico domestico e di quello
proveniente dalla GDO.
I dati sulla quantità di carta per imballaggio provengono dallo schema
precedente relativo alla carta.
E’ da notare infine come la quantità di rifiuti di plastica differenziati sia
irrisoria rispetto al gran numero di plastiche che finiscono
nell’indifferenziato.
Richiami bibliografici
[1] Dossier Prevenzione: Progetti e Soluzioni per Imballaggi Ecocompatibili,
CONAI
[2] N. Buclet, O. Godard, Municipal Waste Management in Europe, Kluwer academic
Publisher
[3] S. Pogutz, A. Tencati, I Mercati del Recupero, Maggioli, 2003
[4] G. Barbiero, S. Camponeschi, A. Femia, G. Greca, A. Macrì, A. Tudini, M.
Vannozzi, 1980-1998 Material-Input-Based Indicators Time Series and 1997
Material Balance of the Italian Economy, Istat
[5] Rapporto Ambientale dell’Industria Cartaria Italiana, ASSOCARTA
[6] Rapporto di Sostenibilità e Bilancio, COMIECO
[7] Il Ciclo del Riciclo, COMIECO
[8] I.Ivoi, M.Santi, Analisi propedeutiche alla individuazione di azioni di
prevenzione e minimizzazione della produzione del rifiuto, ASM
[9] I.Ivoi, M.Santi, Prevenzione Produzione Rifiuti e Analisi del Territorio
Bresciano, ASM
[10] Rapporto Rifiuti 2003, APAT, Osservatorio Nazionale Rifiuti
[11] Rapporto Rifiuti 2004, APAT, Osservatorio Nazionale Rifiuti
[12] Rapporto Rifiuti 2005, APAT, Osservatorio Nazionale Rifiuti
[13] P. Amadei, Un Centro Progetti Bresciano per la Prevenzione, la Raccolta
Differenziata e il Riciclaggio dei Rifiuti
[14] Waste Prevention and Minimization, Europa-Commissione Ambiente
[15] Waste Management Options and Climate Change,Europa-Commissione Ambiente
Pubblicato su www.ambientediritto.it il 03/07/2006