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L'impegno europeo nella ricerca per le fonti rinnovabili di energia

Samuele Larzeni (*)

"Signori, mettete l'1% del contributo che portate a casa in una scatola e chiamate quella scatola energia rinnovabile". La proposta - del Premio Nobel Carlo Rubbia alle autorità per l'utilizzo di parte del gettito fiscale raccolto dal settore energetico - cerca di promuovere l'innovazione nelle tecnologie rinnovabili, sottolineando una necessità di portata europea. Osservando i quindici Stati della Vecchia Europa, si è notato infatti che gli enti governativi ed i privati già investono nella ricerca per le fonti rinnovabili, sebbene le scatole nazionali varino per grandezza e contenuto. 


La Commissione Europea spese nel 2001 poco meno di 100 milioni di euro, che si aggiunsero ai quasi 700 milioni di euro spesi complessivamente dagli Stati europei, suddivisi in eguale misura fra il settore privato e quello governativo. Questa è la conclusione principale del progetto REDS, finanziato dalla Commissione e coordinato dallo IEFE dell'Università Bocconi di Milano (http://www.eu.fraunhofer.de/reds/), conclusosi nel 2003. Lo studio era finalizzato a delineare un quadro dello sforzo su scala europea della ricerca nel campo delle fonti rinnovabili: poiché il miglioramento tecnologico del settore è legato allo sviluppo e all'azione di una serie molteplice di fattori, sono stati delineati in tale progetto gli attori in gioco, la struttura e l'entità dei finanziamenti (in termini di spesa e di persone coinvolte), nonché il tipo di fonte rinnovabile sul quale il singolo Paese investe maggiormente. Da ultimo, si è esaminata altresì la cronologia degli investimenti su un periodo di dieci anni, con particolare attenzione al biennio 2000-2001, allo scopo di verificare se le scatole siano state create in passato, come siano state modificate e quanto siano state realmente implementate: è emerso come più dell'80% della spesa sia concentrata in sole sette nazioni, quali Danimarca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Regno Unito. 

 

Spicca, in particolare, la posizione della Germania, che da sola rappresenta la metà del personale coinvolto nel settore ed un terzo della spesa governativa; di rilievo è poi il fatto che i settori non governativi, soprattutto quello privato, rappresentino oltre la metà della spesa tedesca. Nell'ambito della ricerca governativa italiana, invece, fanno la parte del leone gli studi sul solare, fotovoltaico e termico; a seguire, troviamo le ricerche sullo sfruttamento di biomasse mentre una piccola parte è destinata all'eolico. 

 

Per il biogas, che comprende i gas da discarica ed i fanghi di depurazione, la spesa è inesistente, così come per il geotermico e l'idroelettrico.

 

Tabella - Spesa governativa per la ricerca e sviluppo di impianti dimostrativi nel campo delle fonti rinnovabili (Milioni di euro attualizzati al 2002)

 

Nazione  1993         1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

AT

 5.6       7.2   8.4 6.5 7.8 10.3 9.6 6.7 8.0

BE

 3.4       3.7 4.5 2.0 2.2 1.0  3.1  6.6 12.4

DE

 128.5        84.9 130.8  158.4 146.7 158.2 144.5 130.8 113.8

DK

 21.3         18.5 17.3 13.9 17.9 19.7 16.9 16.9 25.9

EL

 3.0         3.4 6.0 3.3 3.3 2.5 2.2 2.0 2.6

ES

 22.1         15.7 15.4 15.5 16.4 22.3 17.1 18.6 25.5

FI

 6.0         5.7 5.9 7.4 12.0 8.7 9.6 13.7 13.3

FR

 5.5        5.2  5.1 4.8 2.9 4.0 13.0 13.5 18.3

IE

 -- -- -- -- -- --  --  0.8 0.3

IT 

27.7         31.3 42.6 39.9 36.8 34.3 26.1 30.0 25.8

LU

 0.0         0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.3

NL

 20.1         25.1 22.3 26.7 35.4 39.3 41.2 39.5 51.1

PT

 1.4         0.6 0.5 1.2 0.6 1.3 1.4 0.8 0.9

SE

 15.2         18.2 13.8 8.6 8.8 26.5 30.9 25.3 25.3

UK 

30.2         17.9 17.5 11.4 7.7 5.7 7.9 21.4 32.5

Totale

 290.0         237.3 290.1 299.7 298.6 333.8 323.5 326.8 356.1


Fonti: progetto REDS (valore nero) integrato con valori dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (valori blu)

In termini percentuali rispetto al PIL, Francia e Irlanda, pur spendendo molto in ricerca, sembrano destinare poco alle fonti rinnovabili; all'inverso, la Danimarca e la Svezia eccellono di gran lunga in questo sforzo, toccando circa lo 0,02% del PIL, contro uno 0,004% dell'Italia, che si posiziona fra gli ultimi posti. In alcuni Stati, purtroppo, si è riscontrata una scarsa disponibilità di dati, in parte per la collaborazione a volte carente dei soggetti attivi in questo campo, ma soprattutto per la mancanza dei dati stessi, specie nel settore privato: ad esempio, in Italia non è stato possibile conoscere la spesa il settore dell'educazione, quantunque nelle Università si concentri molta ricerca sulle fonti rinnovabili, già oggi, e si presume che lo sarà sempre di più, stante la possibilità di accedere direttamente alla quota parte della bolletta elettrica destinata alla Ricerca di Sistema. Quest'ultima, ora svolta dal CESI, rappresenta la gran parte della spesa privata italiana di ricerca nel settore. 


Per aumentare la loro competitività, le fonti rinnovabili necessitano di cambiamenti organizzativi e regolatori nella politica energetica: la disponibilità costante di dati coerenti per tutti gli Stati dell'UE, compresi i nuovi entrati, permetterebbe un lavoro importante di confronto tra Paesi, in linea con la direttiva 2001/77/CE che, all'articolo 1, enuncia l'obiettivo di "[…] creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia di fonti di energia rinnovabile". In tale ambito, il progetto REDS è riuscito a delineare con sufficiente chiarezza l'entità delle spese e del personale coinvolti nella ricerca per le fonti rinnovabili: attraverso la correlazione tra la spesa e la registrazione di nuovi brevetti, lo studio ha evidenziato come l'innovazione avvenga nelle nazioni che investono di più. In Italia, dal 2002, il progetto "Solare termodinamico" dell'ENEA, voluto da Rubbia, ha quasi raddoppiato la spesa governativa; purtroppo della scatola destinata alla ricerca nel settore energetico, solo il 10% ha l'etichetta fonte rinnovabile, contro un 90% della Danimarca.


Appare evidente come il nostro sforzo rimanga esiguo e la nostra scatola sia ancora troppo piccola.



(*) IEFE, Università Commerciale L. Bocconi, Milano