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Concezioni innovative di discarica

 

GIOVANNI GIRAUDI



La discarica è un sistema di smaltimento che prevede lo stoccaggio definitivo dei rifiuti per strati sovrapposti, allo scopo di facilitare la fermentazione della materia organica.
I processi di decomposizione che avvengono in discarica portano alla formazione di biogas e percolato, i quali possono provocare l’inquinamento delle falde acquifere, il possibile danneggiamento dello strato di ozono (emissione di CFC), la formazione di odori molesti, e dare un contributo all’effetto serra (in particolare con la presenza di anidride carbonica e metano nel biogas), quindi è necessario limitare il flusso degli inquinanti verso l’ambiente esterno (ad esempio tramite la realizzazione di barriere di impermeabilizzazione, di sistemi di drenaggio del percolato e di pozzi di captazione del biogas).
L’impatto ambientale di una discarica può durare per centinaia di anni.
La discarica, quindi, deve poter rientrare in un sistema più ampio di gestione integrata dei rifiuti che preveda i seguenti punti:
    •     la riduzione della produzione di rifiuti;
    •     il recupero di materiale riutilizzabile;
    •     la produzione di energia dai rifiuti attraverso l’incenerimento, la digestione anaerobica, produzione di RDF, ecc.;
    •     l’ottenimento di un residuo che possa andare in discarica senza produrre grossi rischi per l’ambiente.
Tuttavia, in molte nazioni, tra le quali l’Italia, la discarica risulta ancora essere la forma più diffusa di smaltimento dei rifiuti.
Risulta essere quindi estremamente importante l’analisi delle concezioni innovative di discarica, che vanno dal Flushing Bioreactor Lanfdill al Landifill mining, passando per la discarica semiaerobica ed aerobica.

 

 

Flushing Bioreactor Lanfdill

Tale sistema mira a ridurre il potenziale inquinante dei rifiuti mediante un forte dilavamento (come liquido può essere usata acqua pulita oppure è possibile ricircolare il percolato), generalmente equivalente a 2-3 volte la precipitazione media annua. L’obiettivo è quello di ottenere la rimozione di gran parte del carico inquinante entro un tempo di 30-50 anni attraverso lo sviluppo di alcune condizioni nella massa di rifiuti. Innanzi tutto deve essere favorita una distribuzione uniforme dell’umidità, raggiungendo valori del contenuto d’acqua superiori alla capacità di campo dei rifiuti. Questo ha l’effetto, come largamente provato, di accelerare i processi di reazione. Il secondo obiettivo deve essere la rimozione dei prodotti delle reazioni (carbonio organico, azoto solubile e dagli ioni inorganici) attraverso il dilavamento (Robinson, 1998).
In una discarica tradizionale tali prodotti vengono per lo più rimossi come biogas (circa il 90%) e solo il 10% come percolato.
Con il flushing dei rifiuti si cerca di rimuovere il carico inquinante dovuto all’azoto, agli ioni inorganici e al carbonio organico che normalmente viene rimosso con la fase metanigena. Molti costituenti del percolato, in particolare l’ammoniaca e altri ioni solubili inorganici, vengono col tempo allontanati dai rifiuti tramite un effetto di dilavamento, il quale è funzione sia della concentrazione, sia della miscelazione. Più il rifiuto è a contatto con l’acqua, maggiormente avviene la solubilizzazione degli acidi grassi a lunga catena e degli ioni inorganici. Più veloce è l’allontanamento degli ioni disciolti, più veloce è la solubilizzazione di nuovi ioni (Friedman, 1962).
Se consideriamo una discarica come un reattore completamente miscelato, allora ogni quantità d’acqua introdotta si miscela completamente con l’acqua contenuta nell’ammasso e con il percolato, contribuendo a diluirlo. La riduzione delle concentrazioni nel percolato è legata alla quantità d’acqua introdotta. In base a queste considerazioni, la concentrazione di una specie inquinante nelle emissioni può essere dimostrata da una legge esponenziale (Knox et al., 1993):


Ct = C
o e (-t/θ)   



dove:
    •     Ct = concentrazione al tempo t;
    •     Co = concentrazione iniziale;
    •     θ = tempo di ritenzione idraulico.
Grazie a queste ipotesi, Walker et al. hanno stimato una quantità d’acqua necessaria a rimuovere interamente il potenziale inquinante dei rifiuti pari a 5-7,5 m3/tonnellata di rifiuto umido. Questo significa che ogni m3 di rifiuti in una discarica di profondità d viene posto in contatto con 5 m3 di liquido, per cui il volume di percolato da rimuovere per unità di superficie è 5.d (m3/m2). Considerando un periodo di 50 anni, il tasso di flushing richiesto sarà:

 


                   5.d (m3/m2)       d
F (m/anno) = —————-  = ——
                          50              10

 


Quindi, per una discarica di 30 m di profondità, F = 3 m/anno.

La realizzazione del flushing dei rifiuti presenta ovviamente delle difficoltà:

    - si deve cercare il più possibile di eliminare la formazione di percorsi preferenziali all’interno del corpo rifiuti per garantire uniformità nella distribuzione del fluido all’interno della massa dei rifiuti, per cui si rende necessaria la triturazione dei rifiuti prima del loro conferimento in discarica, cosi da uniformare le caratteristiche idrogeologiche;
    - la profondità della discarica non deve essere troppo elevata (massimo 30 m) per ottenere un valore di permeabilità superiore a 10-7 m/s;
    - si deve lasciare uno strato di rifiuti di alcuni metri in condizioni non sature così da permettere il drenaggio del biogas.

Test di laboratorio dimostrano come dopo 206 giorni di flushing i rifiuti presentavano una riduzione del TOC (Carbonio Organico Totale) pari al 67% e un livello particolarmente basso di ammoniaca (pari a 10 – 40 mg/l) nel percolato.
 


La discarica semiaerobica.

Tale tipologia di discarica sfrutta la differenza di temperatura tra l’ambiente esterno (più freddo) e la massa dei rifiuti (più calda) per creare un flusso d’aria attraverso i rifiuti stessi grazie ad un processo di convezione naturale.
Questo permette l’instaurazione, all’interno dei rifiuti, di reazioni aerobiche che hanno l’effetto di aumentare la velocità di degradazione consentendo una veloce riduzione dei valori di COD (Richiesta chimica di ossigeno) e BOD (Richiesta biologica di ossigeno) nel percolato, e di diminuire i volumi prodotti di metano e H2S. I costi per il trattamento del percolato sono quindi minori rispetto a quelli di una discarica tradizionale.
La velocità di decomposizione è, per una discarica aerobica, 2 o 3 volte maggiore rispetto a quella della discarica tradizionale anaerobica. Il calore generato dall’attività batterica, in ambiente aerobico, consente di ottenere valori di temperatura pari a 50-70 °C che facilitano l’afflusso dell’aria, per convezione naturale, verso l’ammasso. La Figura seguente riporta uno schema del funzionamento.





 

Disegno schematizzato di una discarica semiaerobica (Hanashima et al., 2000).
 

 


L’afflusso dell’aria avviene grazie al sistema di collettori di raccolta del percolato e ad un sistema di tubi verticali situati alle intersezioni dei tubi orizzontali, i quali garantiscono un’espansione maggiore della zona aerobica all’interno della massa. I collettori fessurati posti sul fondo e i tubi verticali consentono il trasporto del percolato e dell’aria. Se ci sono diversi gradi di differenza di temperatura tra la massa di rifiuti e l’ambiente esterno, è possibile ottenere velocità di afflusso pari a 1 m/s e oltre all’interno dei tubi (Hanashima, 1999).
Il percolato raccolto nel bacino può essere ricircolato, per mezzo di pompe, nel corpo discarica attraverso i collettori verticali. Questo comporta il vantaggio di una riduzione dell’azoto nel percolato per mezzo dei processi di nitrificazione e denitrificazione grazie al carbonio organico presente nei rifiuti. Il trattamento del percolato risulta quindi più facile e meno costoso.
E’ possibile gestire la discarica semiaerobica in due fasi. Infatti, se c’è necessità di sfruttare il biogas per motivi energetici, in una prima fase è possibile fermare l’afflusso di aria nei rifiuti. Successivamente, in una seconda fase, quando la produzione di biogas è diminuita, si può decidere di riprendere l’afflusso di aria, accelerando così i processi di stabilizzazione (Hanashima, 2000).




 

 

Schema del sistema di collettori in una discarica semiaerobica (Matsuto et al., 1991, modificato).
 

 


La discarica aerobica


Come per la discarica semiaerobica, anche in questo caso lo scopo è quello di ottenere una più veloce degradazione dei rifiuti grazie all’instaurazione di condizioni aerobiche. Il metodo di applicazione è simile, solo che nella discarica aerobica l’aria viene immessa con sistemi di iniezione (ad es. compressori) mediante dei tubi orizzontali fessurati, che vanno ad aggiungersi al sistema previsto dalla discarica semiaerobica. In questo modo si incrementa il flusso di aria all’interno dei rifiuti. Mentre in una discarica semiaerobica l’ossigeno presente è quasi nullo, dato che quello che fluisce viene immediatamente consumato grazie all’attività batterica, in una discarica aerobica si cerca di ottenere un eccesso di ossigeno nella massa dei rifiuti, in modo tale da consentire lo sviluppo di reazione aerobiche in tutto il corpo rifiuti. L’immissione forzata di aria comporta ovviamente dei costi di gestione più elevati.
 


 

 

Qualità del percolato per i diversi tipi di discarica (Hanashima, 2000, modificato).

 

 

 

 

post smaltimento

Discarica

Parametro

Fase di smaltimento

6 mesi dopo

1 anno dopo

2 anni dopo

 

 

 

 

 

 

anaerobica

BOD (mg/l)

40000-50000

40000-50000

30000-40000

10000-20000

COD (mg/l)

40000-50000

40000-50000

30000-40000

20000-30000

N-NH4+ (mg/l)

800-1000

1000

800

600

pH

~ 6

~ 6

~ 6

~ 6

semiaerobica

BOD (mg/l)

40000-50000

5000-6000

100-200

50

COD (mg/l)

40000-50000

10000

1000-2000

1000

N-NH4+ (mg/l)

800-1000

500

100-200

100

pH

~ 6

~ 7

~ 7,5

7 - 8

aerobica

BOD (mg/l)

40000-50000

200-300

50

10

COD (mg/l)

40000-50000

2000

1000

500-50

N-NH4+ (mg/l)

800-1000

50

10

1-2

pH

~ 6

~ 8,5

7 - 8

~ 8,5

 

 

Analisi eseguite su campioni di rifiuto prelevati dalla discarica, dopo 11 mesi di trattamento aerobico, hanno rivelato come i rifiuti avevano un aspetto simile al compost ottenuto da pretrattamenti biologici. La frazione organica, composta da resti di cibo, di vegetazione e prodotti della carta, si presentava sotto forma di materiale umico, con uno sviluppo molto ridotto di odori. In compenso, i campioni provenienti da rifiuti di zone anaerobiche, aventi la stessa età, presentavano minimi effetti di degradazione.
Alcune analisi compiute su campioni di rifiuto hanno indicato valori di sali, pH e metalli entro i limiti di sicurezza. Inoltre, non sono stati trovati organismi patogeni nel materiale. L’alta temperatura, creata dal calore sviluppato dalle reazioni aerobiche, ha infatti avuto l’effetto di distruggere gli organismi pericolosi per la salute umana. Alla fine del periodo di studio, il materiale prelevato dalle discariche presentava una frazione (oltre il 50%) simile a compost, con un contenuto di umidità del 30%; un altro 30% era costituito da plastica, metalli e vetro e il resto da materiale inerte.
L’analisi del biogas ha indicato, all’inizio della ricerca, un aumento del contenuto di O2 e una diminuzione della CO2. Successivamente, in relazione al consumo di ossigeno, è aumentato il contenuto di anidride carbonica. Nello stesso tempo è aumentata la temperatura. Il metano, invece, dopo 3 settimane era già diminuito dall’80% al 5%, valore che poi ha mantenuto per tutta la durata del test (Hudgins et al., 1999).
La tecnica della discarica aerobica può essere applicata anche alle vecchie tradizionali discariche così da accelerare i processi di degradazione dei rifiuti, tale metodologia prende il nome di “Aerazione in situ”.
Grazie a questo sistema si possono ottenere diversi vantaggi:
    •     riduzione dei costi di trattamento del percolato e di bonifica del sito;
    •     riduzione dei costi della copertura;
    •     riduzione della fase di post- controllo;
    •     riduzione dell’impatto ambientale di una vecchia discarica limitando le emissioni gassose e il carico inquinante del percolato.
L’aria viene insufflata in pressione nei pozzi verticali e si diffonde nella massa dei rifiuti grazie ai fenomeni convettivi e diffusivi. Il grado di ossigenazione raggiunto e l’accelerazione dei processi degradativi della sostanza organica dipendono dalla frequenza e dalla durata dell’aerazione.

 


Landfill Mining.

Il “Landfill Mining” prevede che i rifiuti, precedentemente stoccati e trattati aerobicamente in discarica, vengano estratti e trattati.
Il processo tipico implica una serie di operazioni meccaniche pianificate per permettere il recupero di:
    •     materiale riciclabile;
    •     frazione combustibile;
    •     frazione terrosa;
    •     spazio in discarica per il deposito dei nuovi rifiuti.
Generalmente lo scavo in discarica viene eseguito con i mezzi classici usati per effettuare uno scavo all’aperto; il materiale estratto può essere trattato immediatamente o stoccato in pile per essere usato in seguito.
Eseguito lo scavo si procede alla separazione della massa estratta in diverse correnti, il numero delle quali e la loro composizione, dipende dal grado di recupero che si vuole ottenere.
Il materiale, prima di tutto, viene vagliato con un setaccio a maglie larghe; il sottovaglio viene inviato a un secondo vaglio a maglie più fini, mentre il sopravaglio viene scartato. Il materiale che passa attraverso i due vagli è solitamente la frazione ferrosa. Dopo una terza vagliatura eseguita con un vibro-vaglio, il sopravaglio viene inviato verso un magnete per recuperare la parte ferrosa; la frazione non ferrosa, invece, è sottoposta ad una classificazione ad aria.
La complessità del processo dipende ovviamente dallo scopo che ci si prefigge: maggiore è il materiale che si vuole recuperare, maggiore è la complessità dell’impianto.
La percentuale di materiale recuperato dipende da:
    •     le proprietà chimiche e fisiche delle risorse;
    •     l’efficacia del tipo di estrazione effettuata in discarica;
    •     l’efficienza con cui la tecnologia è applicata.

La fattibilità del processo dipende dalle caratteristiche dei rifiuti stoccati, dal tipo di materiali che si vuole recuperare, solitamente plastica che viene usata nelle industrie in combinazione a quella non riciclata, ferro e materiale ad alto contenuto energetico e dalla capacità o meno di produrre una quantità di materiale recuperato che soddisfi la domanda.
Le condizioni chiave che indicano la fattibilità o meno del “Landfill Mining” in un preciso sito sono:
    •     la composizione iniziale dei rifiuti stoccati in discarica;
    •     le procedure di trattamento dei rifiuti applicate precedentemente;
    •     il livello di degradazione dei rifiuti;
    •     la richiesta di materiale riciclato.

I costi per il “Landfill Mining” dipendono da una grande varietà di fattori, quali: il livello e la velocità di estrazione stabilita, il costo delle macchine operatrici. Sulla base di alcuni dati statistici si può affermare che il costo medio è di 10$/tonnellata, di cui circa 16000/19000 $/mese viene recuperato con il riciclaggio del materiale (Lee, 1989).
Il “Landfill Mining” pone le basi di un futuro sistema guida per la gestione dei rifiuti solidi urbani cosi che il problema della salute pubblica e del rischio ambientale diventino un “problema controllabile” (Lee and Jones, 1989).
Il “Landfill Mining” include una serie di benefici economici:

    •    l’uso della frazione terrosa recuperata come copertura giornaliera della discarica risparmiando altri sistemi di copertura che possono essere usati per altre vicine discariche;

    •     il recupero di rifiuti ad alto contenuto energetico;
   •    la riduzione della costruzione di nuove celle risolvendo così il problema della continua estensione delle discariche;
    •     la riduzione dei costi di chiusura e post- chiusura;
    •     il recupero di materiale riutilizzabile (Es. plastica, vetro, ferro).
Comunque esistono ancora notevoli difficoltà per l’applicazione del “Landfill Mining”, la presenza di materiali tossici in discarica e la presenza di gas esplosivi (metano) fa si che il lavoro di estrazione risulti essere particolarmente delicato. I lavoratori, quindi, devono essere adeguatamente controllati e protetti. Questo fa sicuramente lievitare i costi di gestione del “Landfill Mining” e fa si che tale progetto debba ancora essere adeguatamente studiato prima di poter essere applicato su larga scala.