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Balcani, reti di trasporto e di energia: un’opportunità per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno.
MASSIMO LA SCALA(*)
Premessa
La sfida di uno sviluppo rapido del Mezzogiorno, in grado di portarlo a livelli
comparabili con il resto dell’Europa occidentale, non è persa e non esiste nulla
di inevitabile nel superamento di una condizione di arretratezza economica e
sociale di un territorio. I tempi per la realizzazione di questo obiettivo
dipendono fortemente dal grado di determinazione dei gruppi dirigenti portatori
di innovazione, dalla volontà fattiva di fare impresa e dalla capacità di
realizzare un consenso sociale che diventa esso stesso motore dell’economia.
Il Mezzogiorno non è più quello caratterizzato dal limite storico e non solo
geografico del mondo di Eboli, paese dove la strada e il treno abbandonano la
costa e si addentrano nelle terre aride e desolate della Basilicata. Non è
neanche quello degli anni ottanta e primi anni novanta, quando dominavano ancora
trasferimenti e aiuti, ed erano evanescenti le responsabilità e le risorse
finanziarie locali. Non è neppure quello di fine anni novanta, quando il nuovo
progetto di sviluppo dell’area aveva mosso solo i primi passi.
Oggi, il Mezzogiorno, seppure dimenticato nel grande dibattito nazionale, è,
nonostante tutto, un’area in fermento con forti processi di cambiamento ma al
tempo stesso con forti resistenze; le Regioni cariche di un ruolo sempre più
significativo rispetto a pochi anni fa, scontano limitazioni nel processo
decisionale di selezione delle priorità; infrastrutture e servizi seppure in
lento miglioramento, non producono gli effetti sperati in termini di
produttività, che tarda a farsi sentire; l’occupazione non cresce, etc.
La questione meridionale esiste ancora, poiché in questa area la contemporanea
carenza di concorrenza e di servizi collettivi pesa sull’intera economia
mantenendo un carattere sistemico e bloccano la crescita della produttività e
del benessere.
Alcune analisi mostrano come per il complesso delle Regioni europee, i
differenziali di produttività dipendono fortemente dalla qualità di alcuni
servizi, quali, ad esempio, il livello di istruzione ed i sistemi di trasporto.
Risulta, pertanto, importante per attrarre investimenti un impegno costante
nella realizzazione di infrastrutture e nel miglioramento della gestione dei
servizi di pubblica utilità – acqua, gas, energia elettrica, raccolta rifiuti.
Forte è il divario accumulato dal Sud nell’istruzione, divario che i progressi
compiuti nella riduzione della dispersione scolastica non sono sufficienti a
colmare.
Generalmente il processo che viene considerato virtuoso al fine di colmare il
divario Nord-Sud si basa su due direttrici quali la learning economy e lo
sviluppo dell’economia endogena.
Aggiungerei a questa linea di sviluppo anche la necessità di una maggiore
interazione con una economia esogena in rapida evoluzione inquadrando il
contesto meridionale in un quadro geopolitico più ampio che tenda a superare
quella perifericità dall’attuale baricentro europeo. Si tratta di vedere il
mezzogiorno come un’entità che deve tendere a integrarsi nella macro area
mediterranea e del Sud Est Europa. Per l’area balcanica, in particolare, dopo un
periodo di instabilità si osservano chiari e decisi segni di crescita economica.
E’ importante notare come le esportazioni nel Mediterraneo siano coperte per il
60% da tre regioni italiane del Nord quali Lombardia, Piemonte e Veneto.
Paradossalmente, il Mezzogiorno appare più periferico rispetto all’area
mediterranea del Centro-Nord.
I Trasporti
Appare di importanza strategica la realizzazione di grandi opere destinate ai
collegamenti tra il Mezzogiorno e l’area euro-mediterranea. Tornando a Carlo
Levi, oggi, Eboli è più ad Est; la strada che abbandona il mare e si addentra in
terre difficili da raggiungere potrebbe essere la direttrice
Durazzo-Kicevo-Skopje piuttosto che il collegamento ferroviario Bar-Belgrado.
L’area balcanica ed il Sud-est Europa appaiono decisive per lo sviluppo del
Mezzogiorno e della Puglia in particolare. Questa area risulta già fortemente
integrata con il nostro Paese sia per il decentramento produttivo sia nei flussi
commerciali, negli investimenti diretti e nella cooperazione. Il Mezzogiorno di
Italia esporta prodotti a non altissima incidenza tecnologica quali, ad esempio,
quelli del tessile, dell’abbigliamento e le calzature. Bisogna considerare la
forte attrattiva che per questi Paesi ha ancora il Made in Italy. D'altronde,
sebbene, in questi tempi si parli di rinnovare tecnologicamente la nostra
industria e di dare maggiore e più significativo impulso alla ricerca ed alla
innovazione, pur condividendo questa linea di azione, bisogna riconoscere che
per lo meno nel breve periodo l’industria italiana e quella meridionale in
particolare non saranno in grado di realizzare questo mutamento. Per questo
motivo, appare opportuno che almeno nel breve periodo si perseguano tutte le
strade per aprire nuovi mercati potenzialmente interessati ai nostri prodotti
più classici. Il mercato dell’area del Sud-Est Europa appare caratterizzato da
un commercio con il Mezzogiorno inferiore al suo potenziale e, quindi, potrebbe
crescere rapidamente se sospinto da una maggiore diversificazione dei prodotti.
Inoltre, in momento di crisi come questo per i prodotti italiani appare
fondamentale un’integrazione tra produzioni nazionali ed estere al fine di
realizzare una maggiore efficienza con vantaggio reciproco di entrambe le parti.
Infine, l’integrazione e la cooperazione tra il Sud e l’area balcanica
potrebbero essere intensificate, ad esempio, con interventi diretti di
investimento o di cooperazione nel settore dei servizi municipali e delle
utilities.
Negli ultimi anni il traffico complessivo di merci con l’area balcanica si è
incrementato a tassi superiori al 7% annuo.
Esiste una forte differenziazione per quantità movimentate e modi di trasporto
utilizzati tra Italia centro-settentrionale e Mezzogiorno.
Per i traffici terrestri con i Balcani le regioni italiane settentrionali hanno
a disposizione:
Ø la direttrice a Nord delle Alpi, attraverso l’Austria e l’Ungheria (Romania);
Ø la direttrice a Sud delle Alpi (Corridoio 5), attraverso la Slovenia, per la
Romania (via Budapest) e i Balcani occidentali e la Bulgaria;
Ø Itinerario a Nord delle Alpi (per la Romania): più lungo ma completamente
autostradale sino a Budapest, abbastanza efficiente da un punto di vista
ferroviario;
Ø Accesso a Sud delle Alpi (Corridoio 5): presenta ancora gravi carenze sulla
direttrice Lubiana-Budapest (traffici con la Romania, con l’Europa
centro-orientale e l’ex URSS).
Sono forti le differenze tra il Mezzogiorno e l’Italia settentrionale e
centrale, per la collocazione geografica e le difficoltà di accesso all’area
balcanica. Infatti, l’interscambio del Mezzogiorno con i Balcani (10% del valore
complessivo degli scambi italiani con l’area e 20% in termini di quantità
trasportate via mare, strada e ferrovia) è svolto quasi esclusivamente via mare.
I traffici riguardano soprattutto:
Ø due paesi adriatici: Croazia e Albania (61,5%);
Ø due del Mar Nero: Romania e Bulgaria (25,0%).
La maggior parte dei traffici si realizza attraverso l’Adriatico via mare,
traghettando i camion. I porti dell’Adriatico orientale risultano poco o per
nulla utilizzabili al fine dei traffici con l’interno dell’area balcanica. Il
traffico con l’interno dei Balcani viene eventualmente effettuato, per quote
minori, attraverso itinerari molto più lunghi e costosi mare/terra, con
l’utilizzo prevalente dei porti greci.
Diventa strategico, pertanto, un impegno prioritario dell’Italia su due
collegamenti, uno stradale (Albania-Macedonia) e uno ferroviario (Bar-Belgrado e
collegamenti con l’area balcanica), individuabili rispettivamente come corridoio
8 e 8A.
Sul piano finanziario, è primaria importanza la richiesta di una continuazione
degli investimenti europei ma anche la predisposizione, da parte italiana, di un
fondo per interventi mirati che mostri l’effettiva volontà del nostro Paese di
realizzare queste opere. Il fondo potrebbe assumere la forma di uno strumento
operativo al servizio di una strategia di politica economica estera, ispirandosi
a fondi analoghi di alcuni paesi europei (ad es. il greco HiPERB - Hellenic Plan
for the Economic Reconstruction of the Balkans - 2002-2006 -550 M€).
La creazione di società miste per la gestione dei collegamenti deve vedere anche
coinvolte le principali aree interessate dagli interventi tra cui sicuramente la
Regione Puglia e le altre regioni meridionali interessate.
E’ necessario, quindi, aprire al Mezzogiorno una possibilità di accesso ai
mercati balcanici in rapido sviluppo. E’ indispensabile una forte azione di
politica economica estera da parte dell’Italia per la realizzazione di
collegamenti Ovest-Est tra l’Adriatico meridionale e i Balcani (Corridoio 8),
nel medio periodo, pena una diminuzione della competitività dei traffici
dell’Italia rispetto all’Est Europa e del Mezzogiorno rispetto all’area dei
Balcani.
L’Adriatico non è più il confine tra due mondi ma un mare interno e deve essere
superato.
L’energia
Un altro aspetto rilevante nell’area del Sud-Est Europa (SEE) è, anche, la
nascita di un nuovo mercato regionale dell’energia. Negli ultimi anni,
successivamente alla stabilizzazione socio-politica della regione si è avuta una
ripresa generalizzata della domanda elettrica con conseguente avvio di progetti
di ammodernamento delle centrali e ripristino delle infrastrutture elettriche
danneggiate dalla guerra.
La recente sincronizzazione del Sud-Est Europa con il resto del sistema Europeo
(UCTE), avvenuta con successo nell’ottobre 2004, apre nuove prospettive, non
solo per la creazione di un mercato elettrico regionale, ma anche per una piena
integrazione con il mercato elettrico continentale.
Per facilitare questo processo, già dal novembre 2002 è stato firmato un accordo
(Memorandum of Understanding) che ha dato origine al cosiddetto “processo di
Atene”. Lo scopo di tale processo è creare le condizioni per il funzionamento
del mercato dell’elettricità nel Sud-est Europa dall’anno 2005. A tal fine il
“processo di Atene” si occupa di definire un piano regionale di medio-lungo
termine che affronti i seguenti temi:
• riforme istituzionali e strutturali;
• sviluppo delle regole di mercato e degli aspetti regolatori;
• pianificazione strategica per gli investimenti nelle infrastrutture basati su
un approccio regionale della previsione della futura domanda e disponibilità di
generazione.
È altresì previsto che i futuri sviluppi del “processo di Atene” integrino i
seguenti aspetti:
• sviluppo delle reti del gas e oleodotti;
• sicurezza degli approvvigionamenti di energia;
• efficienza e risparmio energetico;
• energie rinnovabili.
Infine, la recente ricongiunzione delle reti UCTE 1 e 2, restate per ben 13 anni
separate, ha aumentato ancora più l’interesse dell’UE per la regione del Sud-Est
Europa. In particolare, l’Italia vede in prospettiva la regione del SEE come un
importante corridoio per un’eventuale importazione di energia a prezzi
relativamente ridotti.
Il ruolo dell’Italia è passato nel tempo da quello di puro osservatore a quello
di partecipante attivo. Attualmente l’Autorità italiana per l’energia elettrica
e il gas è chiamata a guidare lo sviluppo del “Processo di Atene” .
Esistono due priorità di sviluppo delle interconnessioni:
creazione o rinforzo delle interconnessioni all’interno della regione;
costruzione di nuovi corridoi con le aree limitrofe.
Per quanto riguarda la prima linea di sviluppo, è da osservare che all’interno
del SEE esistono tuttora Paesi non interconnessi direttamente tra loro. Ancora
una volta appare strategico lo sviluppo del Corridoio paneuropeo 8 (Burgas-Durres)
in quanto Bulgaria, Macedonia ad Albania non sono direttamente interconnessi.
Le linee di sviluppo delle interconnessioni tra SEE ed aree limitrofe mirano ad
una maggiore integrazione con l’Europa Centrale, l’integrazione della Turchia
con il SEE ed interconnessioni dirette tra Croazia e Bosnia-Erzegovina con
l’Italia tramite collegamenti attraverso il mar Adriatico. Ciò consentirebbe
all’Italia l’importazione di energia idroelettrica dalla Bosnia-Erzegovina, di
cui si stima un potenziale disponibile di 18 TWh e la possibilità di
importazione di energia dai Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS).
Emerge, quindi, che i Paesi del Sud-est Europa si trovano ad una svolta cruciale
nella loro evoluzione economica e conseguente integrazione delle infrastrutture
energetiche. Vista la piccola dimensione dei Paesi della regione, la creazione
di un mercato regionale dell’elettricità, cui potrebbe seguire quello del gas, è
la via da perseguire per far fronte alla crescita economica di questi Paesi
ottimizzando i prezzi dell’energia elettrica. Ciò permetterà di utilizzare al
meglio le risorse della regione, integrando, nell’immediato, il potenziale
idrico disponibile essenzialmente in Bosnia-Erzegovina, Albania e Montenegro ed
i bacini carboniferi della Serbia.
La possibilità per il Mezzogiorno di interconnettersi tramite nuove linee
elettriche e gasdotti a questo sistema risulta fondamentale al fine di una
riduzione dei costi di approvvigionamento dell’energia.
E’ da osservare che, durante il 2004, il prezzo di vendita dell’energia
elettrica in Italia è stato caratterizzato da una differenziale medio in alcuni
casi superiore ai 20 €/MWh (ad esempio, tra “zona Nord” dove è risultato pari a
53,37 €/MWh e Calabria dove si sono raggiunti mediamente 75,60 €/MWh). Questo
dato, sebbene non incida direttamente e solo sul Mezzogiorno grazie
all’esistenza di un Prezzo Unico Nazionale (media pesata sui consumi dei prezzi
zonali riconosciuti ai produttori), è indicatore di una inefficienza
strutturale. Qualora si passasse ad un mercato zonale classico e non ci fosse la
mediazione del PUN questo implicherebbe un costo più elevato dell’energia nel
Mezzogiorno.
Differenze nel mix produttivo, possibilità di accesso solo tramite la frontiera
settentrionale ad una energia più conveniente e la presenza di colli di
bottiglia nella rete nazionale che danno origine costantemente ad una
congestione di rete sono le cause di queste differenze di prezzo. Si pensi che,
durante il 2004, l’Italia è stata caratterizzata da un prezzo unico di vendita
solo per 204 ore ( pari al 3% del totale) mentre nelle altre ore la divisione
dell’Italia in zone dava origine a prezzi differenziati ovviamente più
sfavorevoli per il Meridione. Ancora una volta un problema infrastrutturale
difficilmente risolvibile tenendo presente i vincoli amministrativi e di tutela
ambientale che generalmente rendono difficile la realizzazione di nuovi impianti
ed elettrodotti (emblematico il caso dell’elettrodotto Matera – S. Sofia nella
nostra area).
Non va dimenticato, inoltre, l’aspetto occupazionale legato ad un maggior costo
dell’energia. Vanno ricordate alcune esperienze fatte in altri paesi dove fu
dimostrato nei fatti che alcune aree depresse potevano rapidamente
reindustrializzarsi semplicemente favorendo l’accesso di nuove industrie ed
aziende tramite una riduzione delle tariffe elettriche. Emblematico è il caso
del progetto Appleseed che, a metà degli anni ’80, riuscì a riqualificare
una area urbana depressa (il Bronx) creando circa 50.000 posti di lavoro tramite
una riduzione tariffaria di circa il 25% della tariffa elettrica.
Appare interessante approfondire questo tema e mirare alla realizzazione di
infrastrutture di collegamento di sistemi energetici orientate alla riduzione
dei costi di approvvigionamento ed alla eliminazione di colli di bottiglia nei
sistemi di distribuzione.
In merito, poi, agli aspetti legati all’impatto ambientale della produzione di
energia elettrica, è sintomatica la condizione della Puglia che concentra un
polo produttivo di energia elettrica da fonte fossile di tutto rilievo
caratterizzato da esternalità ambientali rilevanti. E’ interessante confrontare
il valore stimato delle esternalità ambientali della regione Puglia con il
corrispondente valore del PIL prodotto secondo un nostro studio. L’incidenza
percentuale sul PIL prodotta dalle esternalità della regione si attesta su un
valore pari al 1,7%. Tale valore confrontato con il corrispettivo dato nazionale
pari a circa 0,7% mette in evidenza che i danni socio-ambientali dovuti alla
produzione di energia elettrica hanno un notevole peso rispetto alla ricchezza
prodotta dalla regione Puglia.
In definitiva, questa Regione contribuisce significativamente al bilancio
energetico nazionale e dell’Italia meridionale pagando un prezzo, in termini di
impatto negativo ambientale, che in relazione al PIL prodotto localmente è tra i
più alti, non riuscendo poi a ricavarne un giusto tornaconto in termini di
possibilità di approvvigionamento più a basso costo.
Una pianificazione energetica su base regionale che inquadri, in senso più
ampio, le potenzialità derivanti da una politica energetica mirata al
miglioramento dell’efficienza energetica ed alla integrazione con il mercato
balcanico può offrire delle risposte a questa problematica.
Sul piano dell’interesse nazionale, nel suo complesso, non bisogna dimenticare,
inoltre, la necessità di un nuovo piano energetico nazionale ed il completamento
di un processo di liberalizzazione del mercato che allo stato attuale è solo
parziale e soggetto a cambiamenti in corso che creano disagi per gli operatori
del settore elettrico. Il mercato elettrico nazionale e quello dell'industria
elettromeccanica sono prossimi a un punto di non ritorno che prelude a una
deindustrializzazione con conseguenze negative, oltre che sull'intero futuro
industriale e produttivo del Paese nel suo complesso, sulla situazione
occupazionale. E’ doveroso ricordare che, in un decennio, il dato occupazionale
totale rileva una perdita di posti di lavoro superiore al 50% nella filiera
elettrica della produzione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica.
I nuovi investimenti infrastrutturali nell’area balcanica creano opportunità per
tutta la filiera elettrica italiana dalla produzione alla trasmissione e
distribuzione dell’energia. Costituisce, inoltre, un’opportunità anche per le
aziende installatrici e per le aziende distributrici e municipalizzate di
definire rapporti di collaborazione, assistenza tecnica/gestionale e possibilità
di investimento nella realizzazione delle necessarie infrastrutture per il pieno
sviluppo di questa area.
Conclusioni
Il Mezzogiorno avrà possibilità di sviluppo se saranno risolti i problemi
infrastrutturali interni a quest’area e se la politica economica estera saprà
guardare alle sua potenzialità, allargando la visione da un contesto puramente
nazionale, permettendone una maggiore integrazione con mercati emergenti
dell’area euro-mediterranea.
Una delle possibilità a disposizione della politica sta nel perseguire, con
maggiore decisione, nella realizzazione delle necessarie infrastrutture
paneuropee sia nel settore dei trasporti che degli approvvigionamenti energetici
costruendo un ruolo centrale dell’Italia e del Mezzogiorno che sicuramente vedrà
da questo investimento un ritorno per il sistema produttivo dell’area.
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(*) Professore
ordinario di sistemi elettrici per l’energia presso il Politecnico di Bari,
Senior member dell’Institute of Electrical & Electronics Engineers (IEEE) e
presidente della sezione pugliese dell’Associazione Elettrotecnica ed
Elettronica Italiana (AEI). Rif. lascala@poliba.it.