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L’inquinamento elettromagnetico:
la competenza Stato-Regioni alla luce dei recenti interventi della Corte Costituzionale
Antonio Di Martino*
Lo sviluppo di cui tutti siamo spettatori e fruitori porta all’aumento, nel numero e nella portata, delle fonti di inquinamento: tra queste, il c.d. elettrosmog rappresenta una delle forme di danno tra le più pericolose ed ambigue per l’ambiente e la salute umana, date le discordanti opinioni espresse dalla comunità scientifica sui risultati delle ricerche effettuate in tal senso. Così, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - pur estremamente cauta sull’argomento - colloca “l’emergenza elettrosmog” tra le quattro principali criticità che l’umanità è chiamata affrontare nel nuovo millennio, altri negano in radice l’esistenza del problema, asserendo come sia improprio parlare di inquinamento elettromagnetico, almeno sino a quando non si dimostri appieno la diretta correlazione tra l’esposizione della collettività all’influsso dei campi elettrici e magnetici, da un lato, e l’insorgenza di patologie, dall’altra.
La crescente sensibilità dei cittadini per i possibili effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici si scontra, pertanto, con indagini scientifiche le cui risultanze sono ancora insufficienti a delineare un quadro esaustivo. Tali ricerche hanno evidenziato risultati riconducibili a due opzioni di fondo: “conservativa” la prima, “cautelativa” la seconda.
La posizione conservativa si fonda sui seguenti assunti:
• gli effetti nocivi sinora accertati, per la salute umana, dell’esposizione alle onde elettromagnetiche sono soltanto quelli a breve termine (c.d. acuti), quali ustioni, emorragie, necrosi;
• diversamente, difetterebbe una sufficiente documentazione in merito agli effetti cronici (c.d. a lungo termine), in particolare tumori e mutazioni genetiche;
• una volta definiti i limiti di esposizione (contro il rischio di eccessivo riscaldamento dei tessuti), non ci sarebbe più bisogno di mettere in discussione questi limiti, essendo sufficiente garantirne il rispetto.
Di segno opposto è la posizione c.d. “cautelativa”, alla cui stregua si sostiene che:
• l’esposizione ai campi elettromagnetici provocherebbe tanto effetti biologici acuti (o a breve termine), quanto effetti a lungo termine, di tipo “cancerogenetico”, “genotossico” (effetti mutageni) o riconducibili ad altri meccanismi biologici (promozione tumorale);
• è necessario prevedere, accanto ai limiti di esposizione, una tutela particolare (mediante limiti particolarmente bassi, definiti “valori di cautela” e “obiettivi di qualità”) per i “soggetti sensibili” (come bambini, malati, anziani), a tal fine approntando misure precauzionali circa la localizzazione degli impianti che emettono onde elettromagnetiche ed interventi di risanamento sugli impianti già esistenti, che superino i limiti di esposizione “cautelativi”.
In termini più ampi, non sfugge come il fenomeno dell’elettromagnetismo abbia forti ricadute, oltre che sull’ambiente e sulla salute umana, sul sistema industriale ed economico e sulla innovazione tecnologica in settori altamente strategici, quali le telecomunicazioni e l’energia: in particolare, è pressante l’esigenza di garantire la presenza di reti di trasmissione e la prestazione di alcuni servizi sull’intero territorio statuale, senza alterare la concorrenza in un contesto di competizione globale.
I legislatori, spinti anche dalla necessità di fornire risposte in qualche modo tranquillizzanti per l’opinione pubblica, si mostrano sempre più propensi ad accogliere un approccio metodologico di tipo prudenziale. Ne è scaturita l’elaborazione del principio di precauzione (o cautelativo): formulato per la prima volta in occasione della Conferenza Internazionale di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo (1992), esso stabilisce che “qualora esista il rischio di danni gravi e irreparabili, la mancanza di piena certezza scientifica non può costituire il pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci, anche non a costo zero, per la prevenzione del degrado ambientale”.
Quest’impostazione è stata recepita, in tempi più recenti, anche nell’ordinamento giuridico italiano: il nostro diritto positivo, contraddistintosi nel passato per un costante inseguimento delle scoperte scientifiche e la conseguente creazione di norme ad hoc - norme che necessariamente arrivavano dopo la scoperta, quando gli (eventuali) danni s’erano già prodotti e manifestati -, si incentra adesso su un principio, quello di precauzione appunto, idoneo ad assicurare protezione in via preventiva e sostanziale.
Tale impianto logico si rinviene, puntualmente, nella più recente disciplina afferente il tema dell’elettromagnetismo: invero, l’art. 1, comma 1, lett. c) della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ), pur non menzionando esplicitamente il principio di precauzione, statuisce che “la presente legge ha lo scopo di dettare i principi fondamentali diretti a […] assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili”.
Il regime di tutela s’incentra sulla previsione (art. 3) di limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità: ai sensi del successivo art. 4, la competenza circa la loro fissazione spetta allo Stato, in considerazione del “preminente interesse nazionale alla fissazione di criteri unitari e di normative omogenee…”; lo Stato, inoltre, ha il compito di definire le tecniche di misurazione e di rilevamento dell’inquinamento in discorso, coordinare la raccolta e la diffusione dei dati, istituire il catasto nazionale delle sorgenti fisse e delle aree interessate all’emissione delle stesse, definire i tracciati degli elettrodotti con tensione superiore ai 150 kV (stabilendo una nuova disciplina per le autorizzazioni e l’esercizio dei medesimi: art. 8).
Spettano, invece, alle Regioni (artt. 8 e 9): l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per la radiodiffusione; la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione non superiore a 150 kV; le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; la realizzazione e la gestione, in coordinamento con quello nazionale, del catasto delle sorgenti fisse dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; l’individuazione degli strumenti e delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità; il concorso all’approfondimento delle conoscenze scientifiche relative agli effetti per la salute, in particolare quelli a lungo termine, derivanti dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; l’adozione, su proposta dei soggetti gestori e sentiti i comuni interessati, dei piani di risanamento necessari ad adeguare gli impianti radioelettrici già esistenti ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità stabiliti dalla legge.
Sul riparto di competenze, così delineato dalla l. n. 36/2001, hanno di seguito inciso fattori, quali:
- la riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione (l. cost. n. 3 del 2001): il nuovo art. 117 cost., mentre assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, tra le altre, la disciplina della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (comma 2, lett. s)), sottopone a legislazione concorrente materie come “ […] tutela della salute; governo del territorio, ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”;
- nelle more dei decreti attuativi della legge quadro, alcune Regioni – segnatamente, la Campania, le Marche, la Puglia e l’Umbria - hanno varato, tra il 2001 e 2002, normative afferenti gli impianti di telecomunicazione, radiotelevisivi e gli elettrodotti, al fine di introdurre discipline per alcuni aspetti più severe di quella statale: a tal proposito, dette amministrazioni si sono richiamate alla giurisprudenza costituzionale - antecedente al 2001, a dire il vero - che aveva riconosciuto loro, spesso nel quadro della normativa urbanistica, la possibilità di legiferare nella materia, anche fissando limiti di esposizione e distanze di rispetto più severi di quelli stabiliti a livello statale (cfr., ad es., sent. cost. n. 382/199);
- correlativamente, il legislatore nazionale ha dettato discipline nel campo dell’emittenza radiotelevisiva (l. 20 marzo 2001, n. 66; d. lgs. 198/2002, c.d. “sblocca antenne”) che, prevedendo una procedura accelerata per la costruzione di infrastrutture per reti di telefonia cellulare, banda larga e digitale terrestre, riconoscevano penetranti poteri all’amministrazione centrale, così comprimendo il campo dell’autonomia regionale nel settore (strategico) delle telecomunicazioni.
Era perciò naturale che la Corte costituzionale intervenisse per dirimere le controversie e precisare i criteri di riparto delle competenze; i giudici della Consulta hanno reso in argomento una serie di pronunce (Corte cost., sent. n. 303, 307, 308 e 312 del 2003), fissando i seguenti punti:
- la “tutela dell'ambiente” ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, anziché una materia in senso stretto, configura un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi, validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste ultime; ma ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate dalle regioni nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione o di quella “residuale” di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (cfr. sentenza cost. n. 307, considerazioni in diritto n.5; in dottrina, si veda già A. Ferrara, 2001, pagg. 1-7);
- la logica che ispira la legge n. 36/2001 è quella di affidare, rispettivamente, allo Stato la fissazione delle soglie di esposizione, alle Regioni la disciplina afferente l'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, nonché i relativi procedimenti autorizzativi: tutto ciò, in coerenza con il ruolo riconosciuto alle Regioni per quanto attiene al governo e all'uso del proprio territorio;
- le Regioni non possono derogare dai valori–soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità) fissati dallo Stato: ad es., prevedendo limiti più bassi, regole più rigorose o tempi più ravvicinati per la loro adozione. Come hanno argomentato i giudici della Consulta, se la ratio di tale prerogativa “consistesse esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell'inquinamento elettromagnetico, potrebbe invero essere lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato, in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati […] Ma in realtà, nella specie, la fissazione di valori–soglia risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche (e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto); dall'altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell'energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del “preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” che, secondo l'art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l'attribuzione allo Stato della funzione di determinare detti valori–soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori–soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell'energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” (cfr. sent. cost. n. 307, considerazioni in diritto n. 6 e 7; sent. n. 308, considerazioni in diritto n. 3);
- le Regioni e gli enti locali conservano intatte le loro prerogative in tema di localizzazione degli impianti, con l’unico limite del rispetto delle esigenze di pianificazione nazionale degli impianti ed il vincolo di non impedire od ostacolare in modo ingiustificato l’insediamento degli stessi (cfr. sent. cost. n. 307, considerazioni in diritto n. 7 );
- qualora manchi una netta demarcazione delle competenze Stato - Regioni, dovrà applicarsi il principio di leale cooperazione, suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità della pur necessaria collaborazione (cfr. sent. cost. n. 308, considerazioni in diritto n. 4; sent. cost. n. 312, considerazioni in diritto n. 6 ).
Alla luce degli assunti della Corte costituzionale, si possono effettuare valutazioni del tipo:
• i valori di elettrosmog fissati dallo Stato, visti anche gli standard internazionali, rappresentano il punto di equilibrio fra tutela ambientale e della salute, per un verso, e le esigenze connesse alla realizzazione di infrastrutture, per altro verso. Le Regioni, perciò, non possono introdurre valori diversi e più restrittivi, nemmeno per ragioni di cautela: si comprometterebbe, altrimenti, la possibilità di realizzare impianti su tutto il territorio nazionale, in maniera uniforme;
• spetta invece alle Regioni, responsabili dell’uso razionale del territorio, ogni decisione afferente alla localizzazione degli impianti. Un esempio concreto: la regione Puglia può legittimamente vietare l’impianto di antenne e ripetitori in prossimità di “ospedali, case di cura o di riposo, scuole e asili nido” (art. 10, comma 1, l. r. 8 marzo 2002, n. 5), trattandosi di una scelta perfettamente in linea con criteri di qualità e di corretto uso del territorio;
• è necessario, in assenza di una netta demarcazione dei compiti normativi, dare luogo a pratiche ispirate al principio della “leale collaborazione”.
Da quanto detto, è possibile trarre questi rilievi:
- la letteratura scientifica è ben lungi dal raggiungimento di risultati pacifici in tema di conseguenze connesse all’esposizione ai campi elettromagnetici;
- stante simile situazione d’incertezza, il legislatore è costretto a compiere scelte che una scienza incerta non è in grado di impostare, assumendosi l’onere di sciogliere per via normativa le irrisolutezze del sapere scientifico;
- la regolamentazione della materia non può prescindere da un approccio metodologico, guidato dai principi di:
• partecipazione: ogni scelta normativa deve essere preceduta dalla messa a disposizione e discussione dei risultati scientifici mano a mano conseguiti;
• precauzione: in caso d’incertezza delle conoscenze scientifiche, deve precludersi l’autorizzazione allo svolgimento d’ogni intervento od attività potenzialmente pericolose per la salute e l’ambiente, come ha cura di rammentarci la stessa l. n. 36/2001.
Infine, in un’ottica più ampia, l’intera vicenda offre un eloquente esempio in merito alla complessa demarcazione delle competenze di Stato e Regioni, in un ordinamento che decida d’incamminarsi sulla strada del federalismo.
A tal proposito, è oramai indifferibile la creazione di nuovi meccanismi di compensazione/equilibrio tra istanze regionali e centrali, altrimenti condannate ad una situazione di conflittualità perenne: una stanza di compensazione che, tuttavia, non può ricercarsi nella Corte Costituzionale, pena il rischio di caricarla di pesanti responsabilità, anche di carattere politico, bensì nell’istituzione di una Camera delle Regioni (o delle autonomie) che permetta agli enti territoriali di raccordare ex ante al centro la propria azione, fra loro e con lo Stato.
BIBLIOGRAFIA
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Siti web visitati
www.cortecostituzionale.org
www.parlamento.it
www.elettrosmog.info
*Dott. A. Di Martino, laureato in giurisprudenza, ha frequentato il Master in Economia e Management Ambientale (MEMA) presso l’Università Bocconi di Milano.