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ASPETTI GIURIDICI E AMMINISTRATIVI PER LO SVILUPPO DI IMPIANTI ENERGETICI A BIOMASSA
 


Lorenzo Dotti *
 

 

 

Introduzione - Cosa si intende per biomassa
 

Biomassa è una locuzione che riunisce una gran quantità di materiali di natura estremamente eterogenea.
In generale con tale termine si designa ogni sostanza organica di origine vegetale o animale da cui sia possibile ottenere energia attraverso processi di tipo termochimico o biochimico. Queste sostanze sono disponibili come prodotti diretti o residui del settore agricolo-forestale, come sottoprodotti o scarti dell’industria agro-alimentare, e come scarti della catena della distribuzione e dei consumi finali.
 

La biomassa è considerata un’energia rinnovabile anche se viene combusta per produrre energia perché ha origine dalla fotosintesi clorofilliana di acqua e CO2 che da luogo a carboidrati vegetali.
Questi carboidrati quando vengono usati come combustibili producono nuovamente CO2 che può rinnovare il ciclo della fotosintesi. Quindi a livello globale l’utilizzo delle biomasse vegetali per produzione di energia riduce il ricorso ai combustibili fossili tradizionali contribuendo a diminuire la quantità globale di anidride carbonica e degli altri gas che contribuiscono all’effetto serra.
 

In particolare poi, l’anidride carbonica emessa da impianti di produzione energia alimentati a legna non viene conteggiata ai fini degli accordi del Protocollo di Kyoto e quindi tutta l’energia prodotta in tal modo è da considerarsi ad emissione zero. La composizione della biomassa pur variando a seconda delle tipologie, è costituita mediamente a secco dal 25% di fibre lignee e dal 75% di carboidrati.
 

L’emissione specifica di CO2 dipende dalla composizione chimico fisica e si attesta tra 50 e 70 kg/GJ.
Per una definizione normativa occorre far riferimento al D.Lgs. n° 387 del 29 dicembre 2003 che ha dato attuazione alla direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità e, soprattutto, al DPCM 8 marzo 2002 che contiene la disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione.
 

In base all’Allegato III del suddetto decreto, sono individuati come biomassa:
- materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;

- materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate;

- materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura;

- materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli non contaminati da inquinanti aventi le caratteristiche previste per la commercializzazione e l’impiego;materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli, avente le caratteristiche per la commercializzazione e l’impiego.

Si può facilmente constatare come, tra le principali novità apportate da quest’ultimo decreto rispetto alla normativa vigente, vi sia proprio l’introduzione tra i combustibili ammessi per usi civili ed industriali delle biomasse combustibili e, nell’ambito di questa categoria, degli scarti legnosi non trattati, che in precedenza erano classificati dal D.M. 05/02/1998 n°72 come rifiuti non pericolosi e che quindi potevano essere avviati al recupero energetico solo seguendo le rigide procedure previste dal Decreto Ronchi.


Cosa significa fare investimenti in biomassa

L’aspetto saliente degli investimenti in biomassa di origine forestale è sicuramente la stretta interdipendenza con il territorio e questo determina un uso razionale delle rispettive potenzialità che può portare notevoli benefici ad entrambi i sistemi.Gli aspetti economici e sociali legati all’avvio di una filiera bioenergetica possono, se appositamente studiati e promossi, rappresentare un fattore di interesse per imprenditori e pubbliche amministrazioni.Il concetto di sviluppo locale, inteso anche come sistema culturale di valorizzazione delle risorse territoriali, risulta quindi ovviamente collegato anche allo sfruttamento delle risorse energetiche locali.
 

L’attivazione di una filiera bioenergetica implica necessariamente l’avvio e il coordinamento di una serie complessa di relazioni sul territorio. Tale peculiarità rende il settore delle biomasse bisognoso di supporto, coordinamento e promozione, considerando che si tratta del meccanismo più complesso fra le fonti rinnovabili. Lo sviluppo di progetti efficienti per la valorizzazione energetica delle biomasse forestali necessita di un iter complesso poiché l’intersecarsi di plurime competenze rende il processo pregno di difficoltà, sia endogene che esogene, collegate principalmente al vasto numero di attori coinvolti, oltre che ad una notevole complessità progettuale insita nella realizzazione di una filiera economica e produttiva economicamente autosufficiente.
 

Elemento di particolare difficoltà è il raggiungimento di un equilibrio su scala locale tra domanda e offerta di biomassa. La massima valorizzazione della filiera avviene infatti prevedendo di mantenere le attività di raccolta, trasformazione e utilizzo in ambito locale attraverso l’adozione di impianti medio piccoli che utilizzino le risorse disponibili in zone ristrette e servite da una buona rete stradale.
 

L’avvio e il coordinamento di una filiera biomassa-energia acquisisce così una valenza trasversale destinata ad abbracciare settori tra loro non sempre contigui, dove l’alto numero di relazioni e attività imprenditoriali impegnate nel processo rappresenta sicuramente uno degli elementi principali. La filiera biomassa energia in ambito territoriale può essere schematizzata in cinque fasi principali.
 

Raccolta
Trasporto/Stoccaggio
Pretrattamento Conversione
Utilizzo/Distribuzione



Ciascuno di questi momenti implica necessariamente un sistema diretto ed indiretto di attività a carattere imprenditoriale che spesso rimangono nascoste.
 

La fase di raccolta della biomassa, considerata la più critica del processo, impiega operatori agricoli o forestali per le operazioni di taglio ed esbosco. Oltre a queste attività propriamente imprenditoriali occorre rilevare l’importanza di quelle di tipo pubblicistico che vengono gestite dagli enti territoriali (piani di assestamento, rilevazione, programmazione territoriale, monitoraggio e controllo).
 

Importante evidenziare come il funzionamento della filiera legno energia implichi un’attività di trasporto ben organizzata che ha lo scopo di assicurare il flusso del legno dalla produzione all’utilizzo in caldaia lungo tutte le tappe (essiccazione, depezzatura, trasporto). Per tali operazioni sono necessari, oltre ad un sistema viario efficiente, mezzi di trasporto e strumenti meccanici che richiedono necessariamente fornitori, distributori e manutentori.
 

A secondo dell’utilizzo finale, ma anche delle fasi operative da collegare, e dell’organizzazione di cantiere adottata, si tratta di movimentare legno in differenti pezzature: tronchi di piante intere, oppure tronchetti o scaglie pronti all’uso come combustibile. La modalità di trasporto deve essere attentamente valutata anche in riferimento all’incidenza economica, potenzialmente rilevante, che può avere questa operazione sul costo finale del combustibile pronto all’uso.
 

In merito, particolare attenzione va data alla fase di carico e scarico tra sede di provenienza-vettore e sede di arrivo, utilizzando di volta in volta le soluzioni, manuali o meccaniche (con pinza idraulica, benna, cippatrice ecc.), più opportune. Per effettuare il trasporto possono essere impiegati trattori con rimorchi agricoli, eventualmente dotati di sponde alte, o comuni mezzi da strada.I parametri che incidono maggiormente sulla scelta del vettore e sulle modalità di carico e scarico sono:
- tipo (in base alla pezzatura) e quantità (in peso e volume) del materiale da trasportare all’anno e per singolo viaggio;

- distanza e tipo di viabilità da percorrere;

- spazi disponibili e livello di accessibilità della sede di partenza e di arrivo del materiale;

- macchinari vari: costo/disponibilità;

- manodopera: costo/disponibilità.

La biomassa, raccolta in aree di stoccaggio, viene prelevata e trasportata in un centro, preferibilmente baricentrico rispetto alle aree di raccolta e vicino all’impianto di produzione, per le attività di pretrattamento (selezione, cippatura ed eventuale pellettizzazione). La procedura raccolta – trasporto – pretrattamento non avviene necessariamente in questa sequenza poiché, a secondo delle caratteristiche morfologiche e delle esigenze specifiche, il pretrattamento può avvenire anche immediatamente o contestualmente alle fasi di raccolta.
 

Nell’ambito del pretrattamento, un aspetto indubbiamente importante è rivestito dall’essiccazione. Considerato che durante l’abbattimento il legno presenta un contenuto di acqua piuttosto elevato, anche se variabile a seconda della specie, e che per la combustione è essenziale utilizzare legno con bassa umidità, risulta importante effettuare una buona essiccazione.
 

Per i tronchetti la sede abituale di essiccazione è il deposito stagionale in cui, operativamente, viene favorita dal libero passaggio d’aria tra i pezzi di legno. Per il cippato, ossia il legno sminuzzato in scaglie che necessita di luoghi di stoccaggio maggiormente strutturati come i silos, le ragioni di una buona essiccazione sono anche legate alla necessità di minimizzare l’insorgenza di muffe sulle particelle di legno che ne riducono il potere calorifero.
 

Passando alla fase della produzione di energia (termica e/o elettrica), è necessario evidenziare preliminarmente che la conversione energetica delle biomasse avviene tramite tecnologie ormai ampiamente conosciute, anche se in fase di continuo sviluppo. Facendo riferimento alle tecnologie realmente disponibili sul mercato nazionale, si parla di caldaie di ogni gamma di potenza e tipologie per le biomasse solide (materiali sfusi, cippati o densificati) per la produzione di energia termica per un vasto settore di utenze (dalla singola abitazione ai casi più complessi).
 

In questo contesto si può ritenere che l’attuale sviluppo tecnologico risenta di tre fattori:
l’aspetto economico, che riassume in se i problemi legati all’efficienza energetica della tecnologia, alle incertezze del settore (dovute alle variazioni dei prezzi dell’energia e delle incentivazioni delle fonti rinnovabili) e a buona parte dei requisiti normativi (sia in termini di leggi che di norme tecniche) che incidono sui costi di produzione;l’aspetto ambientale, che si pone sempre più frequentemente come un fattore di natura sociale che poi alla fine si trasforma in economico;lo sviluppo culturale e tecnico, che si manifesta con idee di dominio pubblico (che possono incidere sulla normativa), ma soprattutto come disponibilità di risorse umane in grado di risolvere dei problemi sia di natura tecnica che di carattere generale.
 

Quest’ultimo aspetto è di importanza strategica e aiuta a comprendere come l’introduzione di tecnologie sul territorio porti alla creazione di capacità professionali locali preziose per la loro diffusione, accettazione e miglioramento. Tale fenomeno richiede tuttavia tempo e una certa costanza delle condizioni di sviluppo. Ritornando all’aspetto pratico dell’utilizzo delle biomasse, occorre innanzitutto sottolineare l’esigenza di un parco legno, un luogo cioè dove la biomassa pronta all’uso viene stoccata e trattata come un combustibile pronto ad alimentare l’impianto.
 

Per inciso, un elemento delicato del funzionamento dell’impianto è proprio quello legato ai contratti di fornitura della biomassa, che non deve mai venir meno, e al fatto che tali contratti garantiscano la provenienza locale di una percentuale maggioritaria di biocombustibile.La scelta della taglia di impianto o di una tra le diverse tecnologie di produzione di energia termica od elettrica, deve essere compatibile innanzitutto con la disponibilità areale di biomassa e con le utenze energetiche.
 

A titolo puramente informativo, tra le tecnologie di conversione energetica occorre menzionare, oltre alla combustione tal quale, anche la pirolisi o gassificazione.La combustione diretta, che è stata per molto tempo l’unico mezzo per produrre calore ad uso industriale e domestico, può interessare non solo la legna, ma anche scarti forestali, paglia, residui dell’industria del legno (segatura, trucioli) e dell’industria agro-alimentare (sansa delle olive, gusci, noccioli, ecc.).
 

Questi materiali presentano caratteristiche di dispersione nel territorio, di modesto valore unitario, di grandi volumi e di discontinuità nel tempo e questo pone problemi economici, di non facile risoluzione, di raccolta, conservazione, pretrattamento e distribuzione. Il processo di combustione permette la trasformazione dell’energia chimica intrinseca alla biomassa in energia termica, mediante una successione di reazioni chimico-fisiche che partendo dall’essiccazione in camera di combustione, passa poi, man mano che la temperatura aumenta, ai processi di pirolisi, gassificazione e combustione.
 

Il risultato di questi processi è la produzione di calore che viene recuperato mediante scambiatori di calore in cui si trasferisce l’energia termica ad aria o acqua. La quantità di energia termica fornita dalla biomassa dipende ovviamente dal tipo utilizzato, dalla quantità di ceneri e dal contenuto di umidità; in linea generale il potere calorifico della biomassa è pari a circa 2800 kcal/kg, con un rendimento di conversione del 20% ne occorre 1,5 kg per produrre 1 kWh (860 kcal).
 

È sicuramente da sottolineare il fatto che gli impianti per la produzione di calore si prestano anche per la generazione di elettricità in piccole di taglie (pari circa al 15% della potenza termica) utilizzando la tecnologia del ciclo Rankine a condensazione con caldaie a griglia mobile o a letto fluido, che è il più importante ciclo motore a combustione esterna. Le principali problematiche di funzionamento risultano legate alla pulizia delle superfici scambianti, all’affidabilità dei sistemi di alimentazione e all’approvvigionamento del combustibile. I primi due problemi sono di natura strettamente tecnica e sono quindi superabili in fase di progettazione, mentre il terzo è di carattere strategico e implica capacità organizzative iniziali tali da non provocare mai la mancanza di combustibile alla bocca dell’impianto.
 

La cogenerazione localizzata in vicinanza dei centri abitati, pur essendo fortemente razionale dal punto di vista strategico, energetico e ambientale, trova oggi evidenti limiti nel costo delle reti. Non servono analisi dettagliate per dimostrare come l’elemento dirompente sia rappresentato dal costo del trasporto di calore; necessitano allora interventi mirati, consistenti innanzitutto nell’individuazione dei siti ove sviluppare, nelle condizioni attuali, questo tipo di applicazione.
 

Dal punto di vista tecnologico quindi, le principali implicazioni riguardano lo sviluppo di sistemi di distribuzione del calore più economici di quelli attuali, la scelta di sistemi alternativi alle reti come il servizio calore con combustibili derivanti dalle biomasse con caratteristiche standard (ad esempio il pellet) o, in alternativa, lo sviluppo di sistemi di cogenerazione utilizzanti biomasse idonei soprattutto per le taglie più piccole (ad esempio 1-2 MWt e 150-300 kWe).
 

Proprio in riferimento ai pellets, è interessante considerare la possibilità di usufruire delle biomase forestali per la produzione di questo biocombustibile solido diffuso già da molti anni in diversi Paesi europei, che potrebbe rappresentare una scelta di notevole interesse nell’ambito di politiche tese a favorire l’utilizzo delle risorse locali e il miglioramento delle loro economie. Più in dettaglio, il pellet può essere costituito da legno vergine di scarto essiccato e pressato meccanicamente attraverso macchine pellettizzatrici in piccoli cilindretti (dal diametro variabile tra i 5 e gli 8 mm e lunghezza di 10-20 mm), senza alcuna aggiunta di additivi.
 

Esso costituisce un combustibile con eccellenti performance ambientali, un elevato potere calorifico (pari a 4200 kcal/kg) e, aspetto da non trascurare, di facile stoccaggio e movimentazione che lo rende competitivo con gli altri combustibili tradizionali. Il mercato dei pellets può essere un vettore di sviluppo rilevante di attività tra loro correlate come, ad esempio, le attività di raccolta e di conversione delle biomasse, sostituzione, retrofitting e manutenzione dei sistemi di riscaldamento privati, pubblici (scuole, piscine, palestre) ed industriali; realizzazione e gestione di

centrali per la produzione di energia.
 

Ritornando alle biomasse in generale, un ultimo elemento, che spesso non viene tenuto in debita considerazione, riguarda l’utilizzo delle ceneri di risulta della combustione, che rappresentano circa il 2% della legna bruciata e nelle quali sono presenti microelementi (K, P, Ca, Mg), macroelementi (Al, Fe) ed anche metalli pesanti (As, Cd, N). In base al decreto Ronchi, queste ceneri sono considerate a tutt’oggi un rifiuto e quindi sono destinate a finire in discarica; potrebbero invece, debitamente trattate, essere utilizzate come compost, nei conglomerati cementizi o nelle massicciate delle strade.
 

Sono state elaborate delle linee guida, che però non sono ancora utilizzabili concretamente oltre che per questioni di tipo normativo, anche a causa della mancanza di una filiera, cioè di un’organizzazione in grado di gestire queste ceneri in tutti i passaggi necessari. Insomma, investire in biomassa consente di mettere in risalto le importanti e variegate ricadute ambientali che contraddistinguono queste fonti di energia rinnovabile, caratterizzate non solo dal fatto di essere accumulabili, idonee per diverse applicazioni e diffuse sul territorio, ma dalla loro capacità di creare una cultura diffusa che incoraggi e promuova la sostituzione di combustibili fossili con quelli di origine vegetale.
 

L’approccio forestale allo sviluppo della filiera foresta legno energia è quindi volto a determinare le maggiori, possibili, ricadute economiche sui soggetti (proprietari, gestori e utilizzatori) che operano in bosco nelle prime fasi della filiera perché si possano valorizzare le attività selvicolturali e, infine, la gestione multifunzionale dei soprassuoli. Sotto l’aspetto più strettamente economico, nel valutare gli impianti alimentati a biomassa, è bene tener conto dell’indice di fattibilità economica, cioè del rapporto fra costo accettabile della biomassa alla bocca dell’impianto termico/termoelettrico (stimato fra i 4/5 centesimi di Euro al kg.) e costo medio presunto nelle condizioni attuali.
 

La situazione si prospetta favorevole solo quando questo indice è superiore a 1, anche se questo valore orientativo non è applicabile ai piccoli impianti destinatari della biomassa forestale che possono accettare costi superiori a quello considerato accettabile per le altre varietà di biomasse.Nella tabella qui sotto è rappresentato il potenziale di biomasse oggi utilizzabili in Italia e la quantità di energia teoricamente producibile.
 

Tipo di biomassa Potenziale teorico

Energia producibile

Indice di fattibilità economica
EE   ET COG
Residuale agricola 13 Mt/a si s.s 15 43 50 0,5
Forestale 6 Mt/a di s.s 7 21 24 0,5
Residui industriali (RU ) secchi 8 Mt/a di s.s 10 32 37 >1
RU per fermentazione anaerobica 1,3 Mtep/a 4,5 11 12 >1
Dedicata 20 Mt/a di s.s 23 78 89 ?
Biomassa da RSU 7 Mt/a di t.q 4 11 13 >1

(Fonte: elaborazione CTI, 2004)


Va notato poi che la disponibilità di sistemi di piccola-media taglia darebbe la possibilità di promuovere la generazione distribuita sul territorio, offrendo l’opportunità agli imprenditori rurali di considerare attività alternative o perlomeno integrative a quelle tradizionali. La pratica, tuttavia, indica come necessari consistenti incentivi di carattere economico, soprattutto quando si pensa di utilizzare a fini energetici il territorio agricolo-forestale.
 

Risulta quindi del tutto evidente, a fianco delle necessarie migliorie tecnologiche mirate soprattutto al contenimento dei costi e alla massimizzazione del rendimento, l’imprescindibilità di un quadro normativo e finanziario particolarmente favorevole che va costruito sulla base di un quadro politico realmente aperto allo sviluppo delle energie rinnovabili.

 

Fonti normative per lo sviluppo delle biomasse

A partire dal 2000, l’Unione Europea ha proposto un considerevole numero di strumenti legali per promuovere le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.
Fra i provvedimenti di diretto interesse per il settore delle biomasse è opportuno menzionare:

- Direttiva 2003/30/CE per la promozione dei biocombustibili;
- Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici;
- Direttiva 2004/8/CE per la promozione della cogenerazione;
- Direttiva 2001/77/CE per la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

Questo è sostanzialmente l’universo nel quale si sta sviluppando la politica dell’U.E. in tema di fonti rinnovabili e risparmio energetico e che andrebbe integrato, in un approccio olistico, con le politiche di afforestazione/riforestazione che potrebbero incidere anche in termini di disponibilità di combustibile. Ai fini di questa ricerca, comunque, l’atto normativo maggiormente attinente risulta essere il D.Lgs. 387/2003 con il quale il Legislatore italiano ha finalmente recepito e dato efficacia alla sopra menzionata Direttiva 2001/77/CE. Le disposizioni contenute nel predetto decreto sono dirette ad incrementare l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità, nonché a promuovere misure idonee a favorire l’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili e favorire lo sviluppo di impianti di microgenerazione elettrica alimentati sempre dalle suddette fonti, soprattutto in relazione alle aree montane e agricole.
 

Per comprendere completamente la portata del decreto 387/2003, occorre esaminare con attenzione l’art.2, lettera a), sulla base del quale vengono considerate fonti energetiche rinnovabili “…le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”
 

Nell’ambito di questo articolo risulta poi importante la definizione di impianti di microgenerazione che rappresentano quegli impianti con capacità di generazione non superiori a 1 MW elettrico.


Al fine di incentivare in modo sempre maggiore l’impiego delle fonti rinnovabili, vengono potenziate anche le agevolazioni, introdotte appunto con il decreto, e individuabili sia in termini economici, attraverso il riconoscimento dell’accesso al regime dei certificati verdi, sia in termini amministrativi di accesso alle procedure autorizzative semplificate.
 

A tal proposito è doveroso segnalare che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, devono essere considerate di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili. Inoltre, ed è questo un passaggio davvero rilevante, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, nonché tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio, sono soggetti ad un’unica autorizzazione, la quale viene rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate e svolto sulla base dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla L.241/1990.
 

Risulta poi interessante una particolarità relativa al periodo di riconoscimento dei certificati verdi, in riferimento al quale l’art. 20 del D.Lgs. 387/2003 concernente le disposizioni transitorie e finali, al comma 5 stabilisce infatti un arco temporale di otto anni, mentre il successivo comma 6 stabilisce che “Al fine di promuovere in misura adeguata la produzione di elettricità da impianti alimentati da biomassa e da rifiuti, ad esclusione di quella prodotta da centrali ibride…, il periodo di riconoscimento dei certificati verdi di cui al comma 5 può essere elevato, anche mediante rilascio, dal nono anno, di certificati verdi su una quota di energia elettrica prodotta anche tenuto conto di quanto previsto al precedente art.17. Al medesimo fine, possono essere utilizzati i certificati verdi attribuiti al Gestore della rete…”
 

Si tratta in tutta evidenza di un ulteriore disposizione tendente ad agevolare l’impiego di biomassa e rifiuti per la produzione di energia elettrica, ponendosi in linea con tutto l’impianto normativo delineato dal nuovo decreto.


Più nel dettaglio le misure nazionali volte a favorire il consumo di elettricità derivante da fonti rinnovabili sono rappresentate, secondo quanto disposto dall’art. 3 del D.Lgs. 387/2003, oltre che dalle specifiche misure contenute nel decreto stesso, anche da quelle risultanti dal D.Lgs. 79/1999 e dai provvedimenti assunti al fine dall’attivazione della Legge 120/2000 di ratifica del Protocollo di Kyoto.
 

In particolare il sopra citato D.Lgs. 79/1999 introduce l’obbligo a carico dei grandi produttori e importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica a decorrere dal 2002 una quota minima, pari al 2%, di elettricità prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1 aprile 1999.


A tal fine, riprendendo il D.Lgs. 387/2003 e precisamente l’art. 4, è previsto a decorrere dall’anno 2004 e fino al 2006 che questa quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili sia incrementata annualmente di 0,35 punti percentuali.
 

Di notevole interesse risultano poi i Decreti Ministeriali del 20 luglio 2004 sull’efficienza energetica che hanno sostituito i DM del 24 aprile 2001. Questi provvedimenti mirano, tra l’altro, a creare un vero e proprio mercato di titoli di efficienza energetica, i cosiddetti certificati bianchi, con un meccanismo per certi versi simile a quello previsto per i certificati verdi. In tale ambito dovrebbe rientrare anche il teleriscaldamento a biomasse, citato espressamente nella Tabella A dell’allegato 1, visto che esso è considerato risparmio di energia primaria e quindi presenta tutte le caratteristiche per far parte delle fattispecie aventi diritto all’emissione di un titolo di efficienza energetica.
 

È doveroso comunque citare anche l’interpretazione che ritiene tali decreti come un’occasione mancata per incentivare l’uso delle biomasse in quanto avrebbe diritto all’emissione del titolo sopracitato solo l’impianto che andrebbe a sostituire gas o energia elettrica; penalizzando così le zone di montagna non ancora allacciate alla rete del gas. Questo breve excursus sulla normativa nazionale può essere completato con il già citato DPCM 8 marzo 2002 che, oltre ad enucleare la classificazione merceologica delle biomasse, ne disciplina all’allegato III punto 2 le condizioni di utilizzo elencando i metodi della combustione diretta e della pirolisi o gassificazione.
 

Lo stesso provvedimento indica inoltre i limiti di emissione riferiti ad un’ora di funzionamento di questi impianti, esclusi i periodi di avviamento, arresto e guasti, con l’indicazione puntuale delle condizioni operative al fine del rispetto dei valori limite che rappresentano indubbiamente un aspetto non trascurabile anche, se non soprattutto, agli occhi delle comunità in cui gli impianti a biomassa vengono installati, sempre più attente agli aspetti socio-ambientali.
 


Strumenti finanziari per lo sviluppo delle biomasse

La programmazione 2000-2006 dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea ha determinato un passaggio importante nelle politiche comunitarie di promozione delle fonti rinnovabili. Le fonti energetiche rinnovabili sono state individuate dalla Commissione Europea come uno tra i possibili fattori di crescita economica e sociale per le aree d’Europa che presentano difficoltà strutturali e che necessitano di avviare percorsi di riconversione economica e sociale.


Tra le fonti rinnovabili, la bioenergia, viste le relazioni imprenditoriali che vi sono connesse, risulta, a tale proposito, di particolare rilievo.
 

I Fondi strutturali istituiti a suo tempo dal Regolamento CEE 2052/88 sono gli strumenti di cui si avvale la Comunità Europea per ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle diverse Regioni e tra i diversi Stati Membri dell’Unione Europea. Il Regolamento CE 1260/1999 recante “Disposizioni generali sui Fondi Strutturali” disciplina l’intervento finanziario della Comunità Europea per la Programmazione 2000/2006.Nell’ambito di questi fondi, rivestono importanza, ai fini di questa ricerca, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – FESR – gestito dalla Direzione Generale per la Politica Regionale e il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia – FEOGA – gestito dalla Direzione Generale per l’Agricoltura.
 

Tali Programmi sono attuati a livello regionale attraverso il recepimento, sulla base delle indicazioni nazionali e regionali, in Programmi quali il DocUp – Documenti Unici di programmazione - e i PSR – Piani di Sviluppo Rurale.
L’importante dotazione finanziaria dei Fondi Strutturali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, alla quale partecipano per l’attuazione sul territorio anche le risorse di stato e Regioni, ci può far capire quanto l’Unione Europea abbia puntato sullo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili.
 

I finanziamenti concessi con il FERS e con il FEOGA assumono la forma di sovvenzioni non rimborsabili.
Gli stanziamenti sono utilizzati tramite programmi di sviluppo, che costituiscono l’insieme delle misure ammissibili a beneficiare degli aiuti strutturali.Non appena la Commissione e le autorità degli Stati membri raggiungono un accordo su un determinato programma, vengono messi a disposizione stanziamenti comunitari per realizzare gli obiettivi del programma.
 

Per quanto concerne il FERS, sono previste misure di finanziamento per lo sviluppo di fonti rinnovabili di energia con riferimento, fra gli altri, agli impianti di cogenerazione e distribuzione del calore in teleriscaldamento di potenza non superiore a 5 MW termici alimentati da biomasse di origine agro-forestale e a reti di distribuzione di calore in teleriscaldamento alimentate sempre da impianti che utilizzano biomasse agro-forestali.Lo sviluppo delle energie rinnovabili è stato individuato dalla Commissione Europea come un elemento di sostegno per le cosiddette aree Obiettivo 1 e 2 e, cioè quelle aree europee che necessitano di una riconversione economica e sociale presentando ritardi nello sviluppo e difficoltà strutturali.
 

In Italia tali zone coincidono principalmente con il Mezzogiorno e le aree montane.
Soggetti destinatari dell’intervento sono gli operatori e la popolazione residente, mentre la copertura geografica riguarda le aree obiettivo 2 e le aree a sostegno transitorio.Occorre inoltre menzionare il Regolamento n° 1257/ 99 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione orientamento, (FEOAG) che ha previsto un sistema articolato di misure di intervento contenute nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR) di durata settennale (2000 – 2006).
 

All’art. 2 del suddetto Regolamento viene ricordato come il sostegno allo sviluppo rurale, legato alle attività agricole e alla loro riconversione, possa riguardare, fra le varie attività, anche uno sviluppo forestale sostenibile. L’art. 30 evidenzia invece come gli investimenti nel settore forestale debbano comunque essere legati all’uso diretto del legname come materia prima con operazioni precedenti la trasformazione industriale.
 

Nella pratica poi, proprio sfruttando le opportunità insite tra le righe di tale normativa, alcune Regioni, hanno istituito bandi del PSR per finanziare l’acquisto e la messa in opera di impianti termici funzionanti a biomassa ed incentivare interventi agro-forestali per la produzione di biomasse.Un interessante programma di supporto comunitario per le azioni non tecnologiche nell’ambito dell’energia è rappresentato dall’Intelligent Energy Europe – EIE.
 

Si tratta, più precisamente, di un programma rivolto al tema dell’efficacia energetica e alle fonti di energia rinnovabili inaugurato nel 2003 e destinato a durare fino al 2006.Obiettivo di EIE è quello di sostenere le politiche dell’Unione europea in ambito energetico, offrendo un contributo bilanciato nell’ottenimento degli obiettivi generali di sicurezza, fornitura energetica, competitività e protezione dell’ambiente.
 

Fra i quattro ambiti di azione, merita di essere menzionato ALTENER, che raccoglie iniziative volte alla promozione delle fonti di energia nuova e rinnovabile per la produzione centralizzata e decentralizzata di elettricità e calore, e alla loro integrazione nell’ambiente locale e nei sistemi energetici.Un altro strumento finanziario istituito a livello europeo specificatamente per l’ambiente che può costituire un interessante fonte di finanziamento per incentivare l’uso delle biomasse è rappresentato dal LIFE.
 

Obiettivo generale del LIFE, istituito con Regolamento n° 1655/2000 e parzialmente modificato con Regolamento n° 1682/2004, è quello di contribuire all’applicazione, all’aggiornamento e allo sviluppo della politica comunitaria nel settore dell’ambiente e della legislazione ambientale, in particolare nel settore dell’integrazione dell’ambiente nelle altre politiche, nonché nello sviluppo sostenibile della Comunità.Più precisamente, l’art. 4 comma 2 stabilisce che possono essere finanziati progetti che mirino allo sviluppo di tecnologie pulite, ponendo l’accento sulla prevenzione, compresa la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
 

A livello statale risulta molto interessante per il finanziamento parziale di progetti pilota il fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile istituito dall’art.109 della Legge n° 388/2000 – Legge finanziaria 2001 – modificato dall’art.62 delle Legge n° 448/2001 – Legge Finanziaria 2002.Tramite queste disposizioni, è stato istituito presso il Ministero dell’Ambiente un fondo destinato a finalizzare ed incentivare misure ed interventi di promozione dello sviluppo sostenibile.
 

Sempre questa normativa stabilisce che entro il 31 dicembre di ogni anno, il suddetto Ministero dovrebbe definire il programma annuale di utilizzazione dei fondo e sottoporlo all’approvazione del CIPE.


Di fatto poi, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica - CIPE - ha individuato, con le delibere n° 16, n° 63 e n° 80 del solo anno 2002, nelle misura 3 e 5 importanti settori di intervento per dare impulso allo sviluppo sostenibile.
 

Più specificatamente la misura 3, dedicata alla promozione della ricerca di base e applicata, nonché dell’innovazione tecnologica finalizzata alla protezione dell’ambiente, alla riduzione del consumo delle risorse naturali e all’incremento dell’efficienza energetica, può rappresentare una fonte di finanziamento solo interpretando in maniera estensiva la previsione in favore dello sviluppo di prototipi ad alta efficienza energetica e a bassa emissione nel settori dell’industria e dei trasporti.
 

La misura 5 - elaborazione ed attuazione di piani di sostenibilità in aree territoriali di particolare interesse dal punto di vista delle relazioni fra i settori economico, sociale e ambientale – risulta invece più facilmente adattabile allo sviluppo di progetti legati alle biomasse.Fra le finalità viene infatti citato il recupero di aree sottoposte a processi di degrado ambientale (rinaturalizzazione, ripristino aree boschive, recupero e ridestinazione di aree industriali dismesse, recupero ambientale di aree di interesse storico e culturale).
 

La stessa misura stabilisce inoltre che i soggetti proponenti gli interventi dovranno stipulare con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio specifiche intese di programma che identifichino l’intervento finanziato, le modalità di finanziamento o di cofinanziamento dei programmi già avviati o in corso di realizzazione, nonché gli strumenti di monitoraggio e controllo.
 


Aspetti gestionali e amministrativi

Intento di quest’ultimo paragrafo è quello di delineare, in rapida sequenza, gli aspetti gestionale ed amministrativi più rilevanti che vengono affrontati da un ente pubblico interessato a disporre di tali tipi di impianti. Fra i diversi istituti e strumenti giuridici a disposizione della Pubblica Amministrazione per la realizzazione e la gestione degli impianti termici a biomassa, meritano di essere ricordate queste possibili soluzioni:
- c.d. gestione in economia;
- concessione (di lavori/ di servizi);
- società a capitale misto pubblico locale;
- appalto pubblico (di lavori, di servizi, di forniture, misto).

Occorre, innanzitutto, sottolineare che nel caso della gestione in economia, consistente nel ricorso all’apparato organizzativo proprio dell’ente, è necessario che l’Amministrazione proceda comunque al conferimento all’esterno di alcune fasi della gestione del servizio pubblico di erogazione dell’energia termica prodotta, per quanto riguarda il reperimento dell’impianto, la sua manutenzione e la fornitura della biomassa.

 

Si ritiene, inoltre, che, data la particolarità e novità del ricorso a impianti termici a biomasse per la gestione del servizio pubblico di erogazione del calore e di conseguenza delle connesse problematiche, appaia poco probabile che gli enti territoriali possano vantare al proprio interno un complesso organizzativo dotato delle conoscenze tecniche e dell’esperienza necessaria.
 

Per quanto riguarda, invece, la concessione di lavori pubblici, è giusto focalizzare l’attenzione sulle considerazioni che tale modulo organizzativo presuppone la distribuzione del calore a privati cittadini con la corresponsione di una tariffa di servizio, l’obbligo del concessionario di appaltare a soggetti terzi almeno il 40% dei lavori in appalto e la necessaria identità giuridica fra soggetto esecutore dei lavori (e/o fornitore dell’impianto) e soggetto gestore.
 

La praticabilità di questa ipotesi è allora condizionata a casi di valore economico sufficientemente elevato da rendere la gestione interessante per l’imprenditore privato e dalla previsione di servizio a favore, in tutto o in parte, di utenti terzi rispetto all’amministrazione concedente (soggetti, appunto, alla corresponsione della tariffa).Le condizioni che rendono invece efficiente il ricorso al modello gestionale della società a capitale misto pubblico/privato si possono riassumere nei seguenti fatti:
l’attività affidata (quale oggetto societario) deve essere, per dimensione e valore, di entità adeguata a sostenere la gestione;
è importante non limitare la prestazione a impianti tecnologici non convenzionali, ma estenderla alla più generale attività di erogazione tecnica;
ci deve essere interesse, da parte dell’Amministrazione, a coinvolgere patners (e di conseguenza capitali e know how) privati nell’iniziativa imprenditoriale;
occorre infine prevedere la prospettiva di estendere l’attività anche oltre le prestazioni immediatamente affidate alla società, è cioè necessario che sussista un piano economico e gestionale che giustifichi la natura imprenditoriale dello strumento prescelto.
 

Passando infine a considerare il contratto d’appalto, è bene preliminarmente ricordare che, tramite questo tipico strumento privatistico, la Pubblica Amministrazione acquisisce sul mercato quelle risorse materiali, strumentali e anche intellettuali necessarie allo svolgimento delle sue funzioni e alla gestione dei servizi pubblici. Nell’ipotesi di pubblico appalto affidato direttamente dall’ente interessato, quest’ultimo potrà variamente decidere:
- di appaltare la fornitura e la posa in opera e/o i lavori di realizzazione dell’impianto mantenendo la gestione internamente;
- di appaltare con distinte procedure i lavori/fornitura e l’attività di gestione (qualificabile come appalto di servizi) affidandole pertanto a due distinti soggetti esterni;
- di appaltare mediante unica gara di appalto misto fornitura, installazione e gestione ad un unico soggetto terzo.

Quest’ultima alternativa consiste nell’affidamento in toto non solo della costruzione dell’impianto ma anche della gestione per un numero di anni sufficienti all’aggiudicatario, in modo che lo stesso recuperi il capitale investito e riceva dall’investimento l’equo utile d’impresa. L’aggiudicatario rimane proprietario dell’impianto fino al termine del suddetto periodo, terminato il quale la responsabilità della gestione passa alla Pubblica Amministrazione, che potrà scegliere tra le forme di prosecuzione di affidamento della gestione oppure la gestione in proprio.
 

Tale scelta può essere alternativamente implementata sia a mezzo della concessione di lavori pubblici che di appalto misto di servizi e lavori (e/o forniture).
 

Per quanto le due alternative siano tra loro diverse dal punto di vista delle soluzioni contrattuali tra appaltante ed appaltatore, per la specificità della tipologia d’impianto esse hanno in comune la necessità di conferire l’affidamento ad un soggetto che sia effettivamente qualificato.In effetti, anche nel caso di sola costruzione, occorre che l’appaltatore conosca comunque a fondo i vari momenti della gestione di un impianto di produzione e distribuzione di energia termica, alimentato ad esempio a cippato di legno, per cui la sola realizzazione deve prevedere anche obblighi precisi per l’appaltatore di fornitura, oltre che di bene materiali, anche di quelle informazioni atte a consentire all’appaltante una corretta gestione dell’impianto durante tutta la vita tecnica del medesimo.
 

Tutti questi elementi amministrativi e gestionali (che richiedono comunque approfondimenti specifici), abbinati alle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, confermano, una volta di più, la complessità delle tematiche legate allo sfruttamento di questa fonte di energia rinnovabile che rappresenta comunque un opportunità che merita di essere studiata a fondo e sperimentata.

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 * Giurisperito, diplomato MEMA terza edizione.



Bibliografia

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