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Elettromagnetismo: un rischio reale?
ANTONIO DI MARTINO
1.1 Premessa.
L’uso crescente delle nuove tecnologie, peculiare degli ultimi decenni, ha implicato l’aumento esponenziale nella presenza sul territorio delle sorgenti di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, e reso d’estrema attualità la problematica delle conseguenze connesse alla esposizione dell’uomo a tali radiazioni: invero, la predetta esposizione cresce di pari passo con l’avanzare della tecnologia, alimentando la preoccupazione dei cittadini circa i potenziali effetti negativi sulla salute che tali radiazioni potrebbero cagionare1. Sebbene nelle società moderne i rischi per la salute umana siano legati a molte forme di inquinamento, il c.d. elettrosmog scatena particolare allarmismo per la sua stessa natura: le onde emesse da antenne, ripetitori, cellulari, elettrodomestici, ecc. non si sentono, sono impercettibili e, pertanto, ingenerano timori.
Al dunque: il rischio c’è o non c’è?.
Rispondere a tale quesito non è semplice, dal momento che le indagini epidemiologiche sul tema sono ancora in corso ed evidenziano risultati tutt’altro che univoci. Ragion per cui, al fine di non turbare la tranquillità dei cittadini, l’unica strada percorribile pare quella di esplicitare in maniera obiettiva, pur nella necessaria sinteticità e schematicità della trattazione, i risultati sinora raggiunti dagli studi scientifici condotti sull’argomento, nonché le risposte messe in campo sul piano politico-normativo2.
1.2 Le conoscenze per la valutazione dei rischi.
Gli apparecchi elettrici producono onde elettromagnetiche. Ogni onda è caratterizzata da una particolare frequenza, che viene misurata in Hertz (Hz); a partire da una certa frequenza, le onde sono dette ionizzanti: a questa frequenza esse possono alterare o danneggiare le cellule umane (ad esempio: raggi X, sostanze radioattive); a frequenze più basse, si trovano le onde non ionizzanti (emesse da cellulari, elettrodomestici, antenne, ripetitori, ecc.), che invece non danneggiano la struttura della materia.
Le radiazioni non ionizzanti possono produrre diversi effetti, in relazione alla frequenza ed all’intensità delle onde (nonché alle eventuali sinergie con altri fattori inquinanti): per questa ragione, si usa convenzionalmente distinguere tra gli effetti biologici indotti dai campi a bassa frequenza (come tali, intendendo i campi generati dalle sorgenti contrassegnate da una frequenza compresa tra 50 e 300 Hz: impianti elettrici, centrali elettriche, elettrodotti) da quelli indotti dai campi c.d. ad alta frequenza (vale a dire, i campi prodotti da impianti aventi una frequenza da 100 Khz a 300 Ghz: ripetitori radio televisivi, ponti radio, antenne, centrali elettriche).
Allo stato attuale delle conoscenze, i rischi per la salute sono legati ad esposizioni ai campi elettromagnetici molto elevate (c.d. effetti acuti): studi scientifici hanno evidenziato, in casi simili, sintomi quali brividi, irritabilità, emicrania, malattie del sistema nervoso o anche, a dosi acute, tumori e sterilità. L’esposizione alle onde elettromagnetiche può provocare anche il riscaldamento dei tessuti (è il principio dei forni a microonde).
Esistono ancora grossi margini di incertezza circa la possibilità che le radiazioni prodotte dai campi elettromagnetici siano causa di disturbi o malattie nei casi di prolungata esposizione (c.d. effetti a lungo termine), sebbene entro rigorosi limiti di sicurezza fissati in via normativa.
Per rispondere a questi dubbi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1996, ha istituito il progetto internazionale EMF al quale partecipano, anche con la propria supervisione, 8 organizzazioni internazionali ed oltre 45 organizzazioni nazionali: tale progetto è finalizzato alla pubblicazione di rapporti scientifici e di promemoria3, volti alla determinazione di ogni possibile conseguenza sanitaria avversa di un’esposizione di basso livello e di lungo termine ai campi elettromagnetici nell’intervallo di frequenze 0-300 Ghz. In particolare, nel promemoria n. 205 del novembre 1998 “Campi elettromagnetici e salute pubblica: campi a frequenza estremamente bassa (ELF)”, l’OMS riferisce che “non v’è nessuna evidenza che l’esposizione a campi ELF provochi danni diretti alle molecole biologiche, compreso il DNA. È quindi improbabile che essi possano iniziare il processo di cancerogenesi. Tuttavia, sono ancora in corso studi per stabilire se l’esposizione ai campi ELF possa influenzare la promozione o co-promozione del cancro”.
Con riferimento, inoltre, al tema dell’inferenza tra campi elettromagnetici e leucemia infantile, l’OMS ha costituito un’agenzia specializzata, la International Agency for Research on Cancer (IARC, Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), che ha esaminato le informazioni contenute nei precedenti studi epidemiologici sulla leucemia infantile e concluso che i campi magnetici sono “possibilmente cancerogeni per l’uomo”. Il significato e le implicazioni di tale classificazione sono stati chiariti nel Promemoria n. 263 dell’OMS (WHO, fact-sheet, 2001): “possibilmente cancerogeno per l’uomo è una classificazione utilizzata per denotare un agente rispetto al quale vi sia una limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo ed un’evidenza meno che sufficiente di cancerogenicità negli animali da laboratorio”; pertanto, tale classificazione è tra le categorie più deboli (“non classificabile”, “probabilmente non cancerogeno per l’uomo”, “possibilmente cancerogeno per l’uomo”, “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, “cancerogeno per l’uomo”), utilizzate (in ordine crescente) dall’IARC per classificare i cancerogeni potenziali sulla base delle evidenze scientifiche pubblicate4.
1.3 Gli orientamenti normativi.
Perdurando simile situazione d’incertezza, la tendenza della normativa è nel senso di avallare scelte protezionistiche di tipo cautelativo, ossia considerando anche le situazioni nelle quali il nesso eziologico tra esposizione e conseguenza sanitaria non sia stato stabilito con certezza. Ne è scaturita l’elaborazione del principio c.d. di precauzione (o cautelativo): formulato per la prima volta in occasione della Conferenza Internazionale di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo (1992), esso stabilisce che “qualora esista il rischio di danni gravi e irreparabili, la mancanza di piena certezza scientifica non può costituire il pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci, anche non a costo zero, per la prevenzione del degrado ambientale”.
Il 12 luglio 1999, il Consiglio dell’Unione Europea ha emesso una Raccomandazione agli Stati Membri5, volta alla creazione di un quadro comune di protezione della popolazione dai campi elettromagnetici, basato sui migliori dati scientifici disponibili; dando seguito a tale atto di indirizzo, il nostro Parlamento ha emanato la legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici)6 la quale, pur non menzionando esplicitamente il principio di precauzione, ha cura di statuire che “la presente legge ha lo scopo di dettare i principi fondamentali diretti a […] assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili” (art. 1, comma 1, lett. c).
La legge in discorso individua tre di livelli di protezione – il limite di esposizione, il valore di attenzione e l’obiettivo di qualità -, che così definisce all’art. 3:
• limite di esposizione: è “il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato come valore di immissione, definito ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non deve essere superato in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori […]”;
• valore di attenzione: costituisce “il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagneti-co, considerato come valore di immissione, che non deve essere superato negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze […]. Esso costituisce misura di cautela ai fini della protezione da possibili effetti a lungo termine e deve essere raggiunto nei tempi e nei modi previsti dalla legge”;
• obiettivi di qualità : tali “sono: 1) i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizio-ni e le incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, indicati dalle leggi regionali […]; 2) i valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, definiti dallo Stato […], ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi medesimi”.
La legge (art. 2, commi 1 e 2) ha per oggetto gli impianti, i sistemi e le apparecchiature per uso civile, militare e delle forze di polizia, che possono comportare l’esposizione della popolazione e dei lavoratori a campi magnetici, con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 Ghz; si applica agli elettrodotti ed agli impianti radioelettrici, compresi gli impianti di telefonia mobile, i radar e gli impianti per la radiodiffusione; non trova applicazione nei casi di esposizione intenzionale per scopi diagnostici o terapeutici.
L’art. 4, comma 2, rinvia ad appositi decreti governativi la concreta fissazione de “i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, le tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico e i parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti”: a mente del successivo art. 16, nelle more di tali decreti attuativi, “si applicano, in quanto compatibili con la presente legge, le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 1992 […], le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 settembre 1995 […], nonché le disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 10 settembre 1998, n. 381”.
1.4 La normativa relativa ai campi elettromagnetici a bassa frequenza.
La prima normativa che, nel nostro Paese, ha disciplinato gli effetti sanitari dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici è stata il d.p.c.m. 23 aprile 19927 il quale, successivamente integrato dal d.p.c.m. 28 settembre 1995 relativamente all’ambiente esterno ed abitativo, fissava (art. 4) i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici, generati dalla frequenza industriale di 50 Hz, nella misura seguente:
- 5 Kv/m e 100 microtesla (per il campo elettrico e quello magnetico, rispettivamente), per aree od ambienti ove si presume che un individuo possa trascorrere una parte significativa della giornata;
- 10 Kv/m e 1000 microtesla, nel caso in cui l’esposizione sia ragionevolmente limitata a poche ore al giorno.
I limiti sopra riferiti erano fissati con riferimento ai soli effetti sanitari immediati ed acuti, ad esclusione pertanto delle conseguenze sanitarie collegate ad una esposizione prolungata nel tempo: a tale fattispecie si riferiva invece l’art. 5, relativo alle distanze dagli elettrodotti per i fabbricati adibiti ad abitazione o ad altra attività che comporti tempi di permanenza prolungata (fissate in 10, 18 e 28 metri, rispettivamente, a seconda che la potenza del conduttore di linea fosse pari a 132, 220 e 360 Kv), nel quale mancava l’espressa previsione di limiti soglia diversi da 100 microtesla (considerato come limite di esposizione acuta).
Tale lacuna è superata dal recente d.p.c.m. 8 luglio 2003 (Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50Hz) generati dagli elettrodotti)8 il quale, agli articoli 2 e 3, prescrive che:
• nel caso di esposizione a campi elettrici e magnetici alla frequenza di 50 Hz generati da elettrodotti, non deve essere superato il limite di esposizione di 100 µT per l'induzione magnetica e 5 kV/m per il campo elettrico, intesi come valori efficaci;
• a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine, eventualmente connessi con l'esposizione ai campi magnetici generati alla frequenza di rete (50 Hz), nelle aree gioco per l'infanzia, in ambienti abitativi, in ambienti scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, si assume per l'induzione magnetica il valore di attenzione di 10 µT, da intendersi come mediana dei valori nell'arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio;
• nella progettazione di nuovi elettrodotti in corrispondenza di aree gioco per l'infanzia, di ambienti abitativi, di ambienti scolastici e di luoghi adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore e nella progettazione dei nuovi insediamenti e delle nuove aree di cui sopra in prossimità di linee ed installazioni elettriche già presenti nel territorio, ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti operanti alla frequenza di 50 Hz, é fissato l'obiettivo di qualità di 3 µT per il valore dell'induzione magnetica, da intendersi come mediana dei valori nell'arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio.
1.5 La disciplina sui campi elettromagnetici ad alta tensione.
Le emissioni ad alta frequenza hanno trovato una loro regolamentazione in Italia in seguito all’entrata in vigore del decreto del Ministero dell’Ambiente 10 settembre 1998 , n. 381, recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana.
L’art. 1 del decreto, nel delimitare il campo d’applicazione della disciplina, precisava che “le disposizioni del presente decreto fissano i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz” (comma 1) e che “i limiti di esposizione di cui al predetto decreto, non si applicano ai lavoratori esposti per ragioni professionali” (comma 2). Pertanto, trovavano regolamentazione gli impianti fissi per la telefonia mobile, la generazione e trasmissione di segnali radio e televisivi, i radioamatori, ecc.: viceversa, restavano esclusi i sistemi mobili (come, ad esempio, telefoni cellulari, scanner, apparecchi CD portatili) che, pur utilizzando radiazioni elettromagnetiche ricadenti nell’intervallo di frequenza considerato, non operano nel settore delle telecomunicazioni o delle trasmissioni televisive.
Alla stregua del successivo art. 4, la progettazione e la realizzazione dei sistemi fissi delle teleco-municazioni e radiotelevisivi, nonché l'adeguamento di quelli preesistenti, doveva avvenire in modo da produrre valori di campo elettromagnetico più bassi possibile, compatibilmente con la qualità del servizio svolto dal sistema stesso al fine di minimizzare l'esposizione della popolazione; inoltre, nell’ultimo comma del medesimo articolo si accennava alle competenze di Regioni e Province autonome per la disciplina riguardante l’installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione, nonché si accennava al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità.
Infine, l’art. 5 del medesimo decreto prevedeva che, in caso di superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione nelle zone abitative o nelle zone comunque accessibili alla popolazione, dovessero attuarsi azioni di risanamento, a carico dei titolari degli impianti, secondo modalità e tempi di esecuzione prescritti dalle Regioni e Province autonome; tuttavia, esulavano da tali azioni di risanamento le situazioni di esposizioni multiple generate da più impianti, ciascuno nei limiti di legge, ma la cui somma esponeva la popolazione a radiazioni superiori ai limiti legali: per situazioni siffatte mancava ogni tutela, semplicemente.
Come si vede, la disciplina del decreto 381/1998 presentava una struttura aperta a futuri sviluppi: accanto alla demarcazione di compiti tra lo Stato e gli Enti autonomi, vi era un accenno agli obiettivi di qualità ed erano previste azioni di risanamento nel caso di superamento dei valori limite prefissati.
Su tale scia si colloca il d.p.c.m. 8 luglio 2003 (Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz)9 il quale fissa e disciplina, accanto ai limiti di esposizione ed ai valori di attenzione (art. 3: cfr. Tabelle 1 e 2), anche gli obiettivi di qualità: invero, a mente dell’art. 4 del medesimo, “ai fini della progressiva mi-nimizzazione della esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di immissione dei campi oggetto del presente decreto, calcolati o misurati all'aperto nelle aree intensamente frequentate, non devono superare i valori indicati nella tabella 3 dell'allegato B (cfr. Tabella 3). Detti valori devono essere mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti. Per aree intensamente frequentate si intendono anche superfici edificate ovvero attrezzate permanentemente per il soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi”10.
Tabella 1
Limiti di esposizione Intensità di campo elettrico E (V/m) Intensità di campo magnetico H (A/m) Densità di potenza (W/m²) 0,1 ‹ f ≤ 3 MHz 60 0,2 - 3 ‹ f ≤ 3000 MHz 20 0,05 1 3 ‹ f ≤ 300 GHz 40 0,01 4
Tabella 2
Valori di attenzione Intensità di campo elettrico E (V/m) Intensità di campo magnetico H (A/m) Densità di potenza (W/m²) 0,1 MHz ‹ f ≤ 300 GHz 6 0,016 0,10 (3 MHZ-300 GHZ)
Tabella 3
Obiettivi di qualità Intensità di campo elettrico E (V/m) Intensità di campo magnetico H (A/m) Densità di potenza (W/m²) 0,1 MHz ‹ f ≤ 300 GHz 6 0,016 0,10 (3 MHZ-300 GHZ)
Tali limiti sono previsti, come nel passato, con riferimento ai soli campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 Khz e 300 Ghz: diversamente dal decreto 381/1998 – che nulla statuiva in proposito, dando vita ad una pericolosa lacuna del sistema -, la nuova disciplina prevede ora che “a tutela dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettro-magnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, generati da sorgenti non riconducibili ai sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi, si applica l'insieme completo delle restrizioni stabilite nella raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 12 luglio 1999”. Concretamente, ciò significa che per le sorgenti mobili, anziché il (generale) valore di attenzione di 6 V/m, valgono, rispettivamente, i limiti di 20 V/m nel caso della telefonia mobile e dei ripetitori radiofonici in onde corte e radiotelevisivi, di 40 V/m per i ponti radio e di 60 V/m per i ripetitori radiofonici in onde medie11.
Di notevole interesse è, infine, l’art. 5 del decreto: alla stregua di esso, “nel caso di esposizioni multiple generate da più impianti, la somma dei relativi contributi normalizzati […] deve essere minore di uno. In caso contrario si dovrà attuare la riduzione a conformità […]. Nel caso di superamenti con concorso di contributi di emissione dovuti a impianti delle Forze armate e delle Forze di polizia, la riduzione a conformità dovrà essere effettuata tenendo conto delle particolari esigenze del servizio espletato”.
1.6 I piani di risanamento e l’apparato sanzionatorio.
Una delle principali lacune della normativa sopravvenuta tra il 1992 ed il 1998 consisteva nella mancata previsione di sanzioni, nel caso di superamento dei valori soglia stabiliti: in proposito, la dottrina aveva evidenziato “l’inadeguatezza della tipologia normativa” di un decreto ministeriale (nella fattispecie, il decreto 381/1998) che, per la sua stessa natura, non aveva l’autorità di comminare sanzioni12.
Tale inconveniente è superato dalla legge quadro 36/2001 che, nell’ordine, pone regole stringenti in tema di localizzazione e realizzazione di impianti generanti onde elettromagnetiche (art. 5), di piani di risanamento degli impianti non in regola (art. 9), di controlli e sanzioni (artt. 14 e 15).
Senza scendere nel dettaglio delle scelte normative, basti dire che tanto la legge quadro, quanto i decreti attuativi del 2003 affidano al sistema Apat-Arpa il compito di misurazione e rilevamento dei livelli di esposizione, sotto la vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Si tratta, com’è comprensibile, di compiti di estrema delicatezza: per monitorare in tempo reale le emissioni di stazioni tv ed impianti di telefonia mobile, ad esempio, il Ministero delle Comunicazioni ha previsto di dotare le Arpa di speciali centraline di rilevamento; tuttavia, sulle oltre 1.200 centraline che dovrebbero essere diffuse sul territorio del nostro Paese, ne sono state fornite alle Arpa soltanto 12013. Occorre, pertanto, un doveroso impegno di mezzi e risorse umane al fine di un appropriato monitoraggio del fenomeno: i fatti dimostreranno se agli impegni presi corrisponderanno le adeguate iniziative.
1.7 Conclusioni.
La tendenza che traspare dalla disciplina in precedenza richiamata è nel senso di un’attenzione al tema della tutela della salute (art. 32 Cost.) più rigorosa rispetto all’approccio internazionale: stante il principio di precauzione, la normativa nazionale mostra di tenere in debita considerazione l’esigenza di contenere il rischio connesso con esposizioni prolungate nel tempo (principalmente rappresentato dalla generazione di malattie neoplastiche nei soggetti esposti) a livelli molto bassi, anche in assenza di un’accertata connessione di causa-effetto tra l’esposizione e tali danni14.
Finora nessuno studio ha dimostrato con assoluta certezza l’evidenza scientifica degli effetti negativi delle radiazioni sulla salute: almeno, sino a quando l’esposizione sia inferiore ai limiti cautelativi imposti dalla legge.
A tutela dei cittadini, tuttavia, si può e deve fare di più. In particolare, in tre direzioni:
• oltre alla mappatura delle principali sorgenti a rischio (antenne e ripetitori) distribuite sul territorio, urge la realizzazione del Catasto nazionale degli impianti emittenti onde elettromagnetiche, come previsto dall’art. 7 della legge quadro: la pubblicazione del Catasto è importante giacché garantirebbe ai cittadini maggiore informazione e trasparenza sull’argomento, spesso gestito in modo allarmistico;
• maggiori controlli e la pubblicazione/divulgazione dei risultati raccolti sono indispensabili per tutelare il cittadino e, contestualmente, tranquillizzarlo rispetto ai timori di una esposizione passiva incontrollata alle onde elettromagnetiche. A tal proposito, vanno potenziate le Arpa, nella loro attività di controllo e monitoraggio degli impianti;
• in attesa che la scienza dia altre risposte sugli effetti dell’elettromagnetismo, conviene cautelarsi: come insegna l’esperienza, se il principio di precauzione fosse stato adottato per altre criticità ambientali (si pensi all’amianto, per esempio), si sarebbero ridotti enormemente rischi e problemi per l’uomo e l’ambiente.
In conclusione, per circoscrivere il problema dell’elettromagnetismo e razionalizzarlo, diventa imprescindibile informarsi sullo stato delle cose e sulle iniziative in atto nel nostro Paese: in tale ottica, occorre anche la consapevolezza che la disciplina di settore, specie per i profili più propriamente tecnici (vale a dire, la fissazione dei limiti soglia di esposizione), lungi dall’essere qualcosa di intangibile, deve essere sempre aperta agli sviluppi, anche in senso più restrittivo, che le evidenze scientifiche dovessero evidenziare in un futuro più o meno prossimo.
BIBLIOGRAFIA
Accanto ai contributi richiamati nelle note al testo, si segnalano, per un inquadramento generale del tema, le seguenti opere:
Crosetti A., Ferrara R., Fracchia F., Olivetti Rason N., Diritto dell’ambiente, Laterza, Roma-Bari, 2002, 305-316.
Dell’Anno P., Introduzione alla legge sull’inquinamento elettromagnetico, in Ambiente, n. 5/2001, pagg. 423-476.
Di Marco C., La tutela dell’inquinamento elettromagnetico, Noccioli, 2001.
Fabri V., Viola M., Inquinamento elettromagnetico. Effetti biologici, normative, metodi di misura, Trieste, 2000, in www.cfambiente.com
E. Fiora Belgrado, L’inquinamento elettromagnetico. Legge nº 36-2001: analisi e contenuto, in www.dirittoambiente.com.
Siti web visitati
www.apat.it
www.elettrosmog.info
NOTE
1. Per comprendere la vastità del fenomeno, basti pensare ad esempio che in Italia ci sono oltre 1.100.000 km di linee elettriche, così suddivise per tensione: 1.042.696 Km, con tensione inferiore a 40 kV; 37.715 Km, con tensione tra 40 e 150 kV; 9.751 Km, con tensione pari a 220 kV; 9.967 km, con tensione pari a 380 kV (il dato si ricava da Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, Annuario dei dati ambientali-Sintesi, ed. 2003, pag. 72, Figura 15.1). Per questo motivo, si registrano oggi valori di fondo per la radiazione elettromagnetica da un milione a un miliardo di volte più elevati di quelli generati dalla Terra e dai corpi celesti.
2. Un'esauriente disamina degli studi scientifici condotti sull'elettromagnetismo si trova in A.G. Levis, Inquinamento elettromagnetico: leggenda metropolitana o reale emergenza sanitaria?, in www.unipd.it, ove si menzionano anche studi le cui evidenze divergono da quelle indicate nel testo.
3. Tali dati sono reperibili sul sito web dell'OMS: www.who.int/emf.
4. Si rinvia, per maggiori ragguagli, al sito www.iarc.fr.
5. Pubblicata in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GUCE) L199 del 30 luglio 1999, pagg. 59-70, la Raccomandazione è consultabile al sito web: www.europa.eu.int/comm/health/ph/programmes/ph_fields_cr_it.pdf.
6. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 marzo 2001, n.55.
7. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 1992, n. 104.
8. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2003, n. 200.
9. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 agosto 2003, n. 199.
10. Si tratta, nella sostanza, degli stessi valori soglia già codificati con il decreto 381/1998.
11. La deroga appare, almeno dal punto di vista tecnico-giuridico, di dubbia legittimità ed opportunità: dopotutto, per il principio di precauzione, l'unico discrimen potrebbe essere quello relativo alla frequenza delle onde elettromagnetiche; in caso contrario, si rischia di trattare le sorgenti fisse alla stregua di figli minori, rispetto agli impianti mobili.
12. Così E. D'Arpe, L'inquinamento elettromagnetico o elettrosmog: approccio giuridico su un problema attuale, in TAR, 2001, fasc. 5-6 (giugno), pagg. 415-424.
13. Il dato è tratto da Altroconsumo, n.166, dicembre 2003, 6.
14. Ciò non significa, beninteso, che i limiti fissati dai decreti attuativi della legge quadro 36/2001 sia esenti da critiche: anzi, obiezioni circa la loro congruità sono state sollevate sia da coloro che li reputano inutilmente severi (specie in rapporto agli standard internazionali), sia da quanti pensano che andrebbero adottati limiti ancora più rigidi, a tutela della salute dei cittadini. Resta il fatto, comunque, che i limiti previsti dalla normativa italiana sull'elettrosmog risultano essere tra i rigidi in assoluto: basti pensare che in Francia, Germania e Gran Bretagna sono previsti limiti di attenzione nell'ordine di 60 volt metro (contro il nostro valore di 6 v/m). Solo in Svizzera è dato registrare analogo rigore: si veda, in proposito, la "Ordinanza sulla protezione delle radiazioni non ionizzanti" del dicembre 1999, in vigore dal 1º febbraio 2000.