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 Black-out, ritorno al nucleare?

Dott. Antonio Sileo* e Dott. Hermann Franchini**

 

Premessa

Il presente articolo è stato pensato e scritto prima dei noti fatti di Scanzano Ionico.

L’estrema conflittualità sociale, caratterizzante quei giorni, è  una delle criticità, forse la più grave, che contraddistingue l’energia nucleare, specie nel nostro Paese. E’ uno dei costi, lato sensu, da noi già evidenziati come nascosti ed in potenza perniciosi.

L’intera vicenda dimostra come il problema Nucleare non possa prescindere da esigenze di corretta informazione e comunicazione in ordine alla praticabilità di tale opzione.

Di qui, dunque, il carattere attuale delle considerazioni che seguono.

1. Il fatto 

La cronaca è nota a tutti: nella notte tra il 27 ed il 28 settembre, il nostro Paese ha vissuto una esperienza sino ad allora inconcepibile: il black-out[1]!.

L’evento ha avuto, com’era comprensibile, una notevole eco a livello sia nazionale che internazionale; dopotutto, diversamente da analoghi accadimenti verificatisi altrove (USA e Inghilterra), il black-out nostrano s’è contraddistinto, per così dire, per un impatto territoriale maggiore: eccezion fatta per la Sardegna, tutto il restante territorio ha convissuto, sia pure in maniera difforme sotto il profilo temporale, con il trauma della mancanza di energia elettrica!

Già nell’immediatezza dell’evento, la (fatidica) domanda s’è affacciata sulla scena del dibattito: cosa fare, per evitare che l’Italia riviva in un prossimo futuro analoghe esperienze?. Approfittando dell’attenzione riservata dai mass media, ecco (ri)comparire l’energia atomica.

Invero, a causa l’inverificabile Black-out, il fronte trasversale del nucleare è tornato a farsi sentire, adducendo svariate motivazioni a favore di un inevitabile ritorno all’atomo, tra cui una molto semplice: in Francia e Svizzera queste cose non succedono!.

Il carattere (vagamente) apocalittico dell’asserzione - unito ai richiamati pericoli di distacco dell’energia elettrica della scorsa estate - ha fatto breccia (anche) nei cuori e nelle menti di autorevoli esponenti non solo della classe politica, ma anche del mondo scientifico.

Ne è scaturita l’invocazione all’energia nucleare, questa ultima vista, come la cura, per i gravi mali energetici del nostro Paese.

Ma il ritorno al nucleare rappresenta davvero l’unica soluzione?

Proveremo a rispondere a questa domanda, che si ripropone in un contesto che nel corso degli anni si è profondamente modificato, sia culturalmente che dal punto di vista delle tecnologie disponibili nel settore energetico. 

2. L’energia nucleare nel Mondo

Alla fine del 2002, erano in esercizio nel mondo 441 reattori nucleari con una potenza complessiva di 359 Gigawatt, pari a quasi il 19% dell’intera produzione elettrica mondiale, capaci di soddisfare il 17% fabbisogno elettrico del pianeta, il 25% dei paesi dell’OCSE e il 35% dell’Europa.

Naturalmente, l’importanza della produzione elettro-nucleare varia da paese a paese sia in termini assoluti che relativi; possiamo, quindi, individuare quattro gruppi di Stati.  

Produzione elettro-nucleare (% sulla produzione energetica totale nel Paese)

Superiore al 50%

Compresa tra il 25% ed il 50%

Compresa tra il 12% e il 25%

Inferiore al 12%

Francia

Lituania

Belgio

Slovacchia

Ucraina

Bulgaria

Corea del Sud

Ungheria

Svezia

Svizzera

Slovenia

Giappone

Armenia

Finlandia

Germania

Spagna

Regno Unito

Repubblica Ceca

USA

Russia

Canada

Romania

Argentina

Sud Africa

Olanda

Messico

India

Brasile

Pakistan

Cina

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: EIA - Energy Information Administration

Dal quadro esposto emerge chiaramente che l’energia nucleare non è molto diffusa, ma dove è presente ha di solito un peso rilevante nella produzione elettrica. 

Negli ultimi venti anni si sono ottenuti notevoli miglioramenti tecnici, in impegno di potenza e  disponibilità del servizio, si è passati da un funzionamento a piena potenza per il 65% del tempo con una vita utile di 25 anni ad un 75-80% con vita utile superiore ai 35 anni.  

In alcuni paesi si considera che senza il ricorso al nucleare potrebbe essere molto difficile rispettare l’impegno del Protocollo di Kyoto di ridurre le emissioni di CO2.

Nondimeno il tasso di crescita della produzione è calato notevolmente e gli ordinativi e l’entrata in funzione di nuovi reattori sono diminuiti: si è passati da 25-30 nuovi reattori l’anno tra il 1980 e 1987, ai 5-6 del 2000-2001, quasi tutti in Cina ed India.

3. L’Italia e l’energia nucleare: profili giuridici 

Dopo l’incidente di Chernobyl del 26 Aprile 1986 ed in seguito al referendum popolare dell’autunno 1987, il Governo italiano dispose una moratoria di cinque anni per la costruzione di nuovi impianti nucleari; ordinando, inoltre, la sospensione dei lavori per le centrali in costruzione (Trino Vercellese 2 e Montalto di Castro), la chiusura della centrale di Latina e la sospensione dell’esercizio delle centrali di Trino Vercellese 1 e Caorso, la cui chiusura definitiva fu deliberata dal CIPE il 26 Luglio 1990.  

Da un punto di vista strettamente normativo è necessario sottolineare come la regolazione della materia in questione sia fortemente influenzata dalla normativa sovranazionale, basti pensare infatti alle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia come quella costitutiva della Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM) ratificata nel 1957 e quella relativa alla costituzione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) con Legge n.876/1957[2]. 

Il diritto internazionale nucleare ha da sempre previsto un utilizzo pacifico dell’energia atomica, infatti già a partire dal dopoguerra si pensava che un impiego sempre maggiore dell’energia nucleare potesse essere un sicuro motore di sviluppo economico e industriale per i singoli stati, si incoraggiava dunque all’uso della stessa. 

Nel corso degli anni invece, si è assistito ad una sostanziale inversione di tendenza, ovvero non

si incoraggia più all’adozione del nucleare in modo indiscriminato, ma si invita ad un’attenta analisi costi-benefici; a tal proposito le direttive EURATOM 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/461, 92/3 in materia di tutela dei lavoratori, della popolazione e delle persone dalle radiazioni ionizzanti e al controllo delle spedizioni transfrontaliere di residui radioattivi sembrano riassumere in modo evidente questo nuovo orientamento da parte della Comunità Europea. 

Questo cambiamento di direzione, passando da un atteggiamento, quasi promozionale  nell’utilizzo dell’energia atomica, ad una atteggiamento più prudente, è a nostro avviso il frutto di una riflessione, non solo a livello Comunitario, relativa alle problematiche legate al sistema e all’indotto del nucleare, problematiche che vanno dalla salute dei lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti ai danni (potenziali) ingentissimi per l’ecosistema, siano essi dovuti ad eventuali incidenti agli impianti, oppure allo smaltimento non corretto o addirittura criminale delle scorie radioattive. 

La normativa comunitaria tocca tutti questi aspetti trasmettendo un’idea di maggiore rigidità nelle procedure e nella regolamentazione dei medesimi.  

Sul piano nazionale il recepimento delle menzionate direttive comunitarie con il Dlgs. N.230/1995, ha rinnovato il sistema normativo in tale settore, fatta esclusione però per gli aspetti legati alla sanità per i quali resta fonte legislativa di riferimento il T.U. delle leggi sanitarie del 1934; gli impianti ed i laboratori nucleari sono classificati infatti come industrie insalubri di prima classe (D.M. 2 Marzo 1987).

Attualmente, a Bruxelles, sono in dirittura d’arrivo due nuove direttive, una sulla sicurezza, che, più che altro è rivolta agli Stati che sono in procinto di entrare a far parte dell’Unione in virtù del cosiddetto “allargamento”, e l’altra sulla gestione centralizzata delle scorie, materia molto interessante che potrebbe riguardarci da vicino.

4. Conclusioni

Avendo un quadro più chiaro sul nucleare possiamo rispondere alla domanda iniziale e controbattere alla semplice argomentazione di sopra, con tre motivazioni: 

I motivi sono da ricercarsi sia nei ritardi dell’attuazione del piano di emergenza da parte del GRTN, sulle cui cause sono in corso ben 7 inchieste sia nell’obsolescenza della nostra rete, che non è stata concepita per trasportare quantitativi così ingenti di energia dall’estero. 

 

Costi fissi alti, che non è detto siano compensati da costi variabili bassi.

Costo del kilowattora, che non sempre rispecchia l’intero ciclo di vita dell’impianto, poiché i costi di dismissione sono talmente elevati, che si preferisce lavorare per prolungare la vita dell’impianto, come dimostra il caso francese.

Costi nascosti nella gestione delle scorie, e nella stessa implementazione della tecnologia nucleare.

Tempi di ritorno dell’investimento sicuramente più lunghi, rispetto ad altre tipologie di impianto, cosa che spaventa gli azionisti e allontana i finanziatori privati.

Questi motivi - e prescindendo in questa sede da ulteriori ragionamenti in termini di esternalità, impatto ed accettabilità - paiono più che sufficienti a scoraggiare l’attore privato, che non è dotato di sufficiente lungimiranza, (ottica di lungo periodo), e solvibilità (in caso di malaugurato incidente); si tratta, a ben vedere, d’attributi che meglio si addicono agli Stati, ben governati, che alle imprese, ben gestite.

Né va taciuto, ad avviso di chi scrive, che questa tecnologia non può prescindere dall’aiuto pubblico, sia per le conoscenze di base (leggi: università), sia in ricerca e sviluppo e, caratteristica peculiare, fino alla realizzazione dei prototipi di piena scala.

Gli argomenti sopra svolti ci inducono, pertanto, alla seguente considerazione finale: il nucleare è inadatto a nascere, od a risorgere, in mercati che hanno imboccato la via della liberalizzazione del settore energetico, apparendo in contrasto con quelle che sono le caratteristiche peculiari di siffatti mercati: vale a dire:

 

 

Bibliografia

Atti convegno: L’ENERGIA NUCLEARE IN EUROPA: UN PROBLEMA APERTO, CNEL ENEA IEFE Bocconi, Milano 14 luglio 2003

ENEA CNEL  - Rapporto ENEA sullo stato di attuazione del Patto per l’Energia e l’Ambiente , 2001

Chiesa P., Macchi E., Bregani F., Presente e futuro del parco termoelettrico italiano: scenari possibili, in “Energia” n.3 pp. 16-26., 2002

Curcio E. -Settore elettrico :la lista d’attesa in “Energia Blu”, n. 4, luglio-agosto 2002, pp 22-24

IEA - IEA STATISTICS - Ediz. OECD Bruxelles, 2002

Fantigrossi U., Codice dell’Ambiente, Piacenza 2003

Marchello F., Perrini M., Serafini S., Diritto dell’Ambiente, Ed. Simone 2002

www.eia.doe.gov

 

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[1] In realtà, nel 1994, c’è stato un altro Black-out, che ha “spento” gran parte dell’Italia meridionale per 6-7 ore.

[2] Ad oggi, l’EURATOM è confluito nella Comunità Europea, mentre l’AIEA è ancora operante.

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*  Dott. Antonio Sileo, laureato in economia e ha frequentato li Master in Economia e Management Ambientale presso l’Università Bocconi (MEMA), collabora attualmente con lo IEFE Bocconi.

** Dott. Hermann Franchini, laureato in giurisprudenza e ha frequentato li Master in Economia e Management Ambientale presso l’Università Bocconi (MEMA) svolge attività di consulente  giuridico ambientale per programmi di sviluppo economico e di riqualificazione ambientale del territorio.