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Ratio legis: la dottrina del diritto tra filosofia ed etica.
Sin da tempi lontani, considerato che il diritto vanta radici assai remote, il
dibattito sulla validità del diritto positivo si è incentrato sulla questione
della naturalità o meno del diritto.
Conteso tra razionalità ed idealismo, ed in particolare sull’interrogativo se la
Natura sia Ragione e la Ragione sia Natura ovvero sull’esistenza dell’ “uomo
interiore” e dell’ “uomo esteriore”, l’annoso dibattito ha condotto alla
formulazione di tesi opposte secondo cui, per un verso, la natura comprenda il
diritto (Aristotele, U. Grozio) e, per altro verso, che il Giuridico derivi
soltanto dall’uomo.
L’adesione all’una o l’altra tesi conduce a conclusioni diverse.
Nel primo caso, il diritto non conterrebbe altri doveri che quelli del diritto
naturale (I. Kant), voluto peraltro da Dio stesso poiché di per sé giusto e, per
la sua universalità, comune a tutti gli uomini (Huig Van Groot-Grozio,
1583-1645): l’unico potere, quello civile, si fonderebbe, pertanto, sulle leggi
di natura e queste sarebbero ben fondate perché date da Dio.
Anche il diritto di punire deriverebbe dalla legge di natura. La legge
dell’ordine, pertanto, sarebbe data dal Creatore, connaturata all’uomo e
precedente alla società civile: quest’ultima sarebbe, quindi, soltanto uno
strumento di questa legge (Carrara). Anche il concetto di libertà consisterebbe
non nella libertà di scelta bensì nel non essere impediti nell’esplicazione
della propria azione naturale: libertà intesa, quindi, come potere di agire
seguendo la propria natura (Thomas Hobbes, 1588-1679).
Diversamente, la competenza alla creazione ed alla definizione della norma
spetterebbe unicamente all’uomo, senza che questi debba fare ricorso ad alcun
principio naturalmente precostituito se non all’uso della logica o
dell’esperienza. La psicologia umana sarebbe, infatti, tesa a conoscere il bene
e la verità attraverso il senso e l’intelletto (Marsilio Ficino, 1433-1499).
L’uomo, a differenza delle altre creature rigorosamente collocate da Dio in un
ordine preciso da cui non possono evadere, sarebbe stato gratificato della
possibilità di scegliere ed agire sulla sua stessa natura che è libertà e
capacità di scelta. L’uomo sarebbe, quindi, il centro della realtà ed il signore
degli eventi e del mondo naturale: egli non è collocato in una gerarchia ma
sarebbe in grado di eleggere liberamente da sé il suo posto (Pico Della
Mirandola, 1463-1494) ed al centro della realtà naturale e storica (Voltaire).
Secondo tale tesi, la ragione è libertà e sobrietà: essa, e non la natura,
genera la storia. E’ necessario, in base a tale visione, tradurre le forme
giuridiche materiali in principi astratti (C.F. Gerber, 1846): gli assiomi di
detta tesi sono la sacralità del diritto perché creato dall’uomo ed il primato
della persona sulla società.
Gli uomini non sarebbero guidati da alcuni principi naturali bensì opererebbero
secondo criteri imposti da situazioni storiche, geografiche, tradizioni e leggi
precedenti: in altri termini, le situazioni di fatto in cui un popolo vive
determinerebbero un certo “spirito” che si concretizza in determinate leggi.
Compito dell’uomo sarebbe, comunque, allargare le proprie conoscenze in ogni
campo e tendere a realizzare una sempre maggiore libertà e felicità (Charles di
Secondat- Montesquieu, 1689-1755) e compito principale della legge sarebbe
soddisfare i bisogni e gli interessi della persona.
La Natura rappresenterebbe, cioè, il disordine: perciò, la legge sarebbe
soltanto quella coniata dall’uomo.
E’ da rilevare, tuttavia, che tale legge è fallibile se la ragione viene
mitizzata: la Giustizia sfuggirebbe alla Ragione e, comunque, quest’ultima, in
quanto entità superindividuale posta per un fine superiore, sfuggirebbe al
controllo umano. La validità della ragione sarebbe, cioè, strettamente
dipendente da quella del pensiero: quest’ultimo, però, può essere il mero
risultato di una certa epoca storica.
Sulla base della considerazione che la legge segue il fatto, si sostiene che il
diritto, in realtà, non sia preesistente o precostituito e debba, quindi,
seguire la propria evoluzione. Se l’uomo è in grado di mutare il diritto vuol
dire che non esiste una sorta di precostituzione del diritto.
Si replica che tale evoluzione sarebbe, comunque, utile ad includere principi
naturali ed, in quante tale, essa stessa naturalmente precostituita:
l’evoluzione, in altri termini, sarebbe consentita o addirittura necessaria al
solo fine di perseguire il miglioramento del diritto.
Nella prospettiva de iure condendo, il diritto, sarebbe, comunque,
delegittimato in tutte quelle ipotesi in cui si rivelasse non conforme alle
proprie radici.
Non coltivare il ricordo del passato equivale a seminare non sulla terra ma sul
cemento (Giovanni Guareschi): il passato proietta già una storia (Andrè Gide).
Viceversa, sarebbe l’uomo a predeterminare il diritto, generando le basi di un
conflitto, anche mediato, con situazioni od eventi ignorati.
Il diritto naturale comprende le qualità e le condizioni naturali dell’uomo e
del suo ambiente e non va, invece, confuso con gli istinti naturali di condotta.
Per diritto naturale, segnatamente, si intende il complesso di regole che,
nell’elaborazione della ragione umana, si ritengono connaturate ai rapporti di
convivenza fra gli uomini, senza la necessità di un intervento esterno da parte
del legislatore. Tuttavia, è stato affermato che si tratti di principi di ordine
morale e sociale che non possono essere considerati veri e propri principi e
norme giuridiche finchè non vengono tradotti in precetti positivi.
Peraltro, pur optando per la tesi della piena legittimazione esclusiva ed
incondizionata dell’uomo, si può notare che il suo intervento regolatore si
fermerebbe fino al proprio interesse, senza spingersi oltre questa
“considerazione di convenienza”: non vi sarebbero, cioè, leggi eternamente
giuste, universalmente vere, al di fuori dei gusti, dell’opportunismo,
dell’interesse dei più forti.
La tesi positivista sarebbe destituibile di fondamento considerando che essa è
sostenuta da coloro che non hanno concettualmente in considerazione la natura o
il suo valore. La stessa democrazia non è un mito che può sostituire la legge
morale naturale.
Non sarebbe, peraltro, sostenibile l’invalidità (o l’insanità) di una regola
sulla mera eccezione che la stessa conduca alla rinuncia di una parte di sé o
entri in conflitto con la volontà o i bisogni soggettivi ovvero sia dal singolo
acquisibile con sforzo. D’altra parte, le valutazioni soggettive non
contribuirebbero automaticamente alla comprensione delle regole naturali: queste
ultime sarebbero, inoltre, semplicemente superiori alle regole stabilite
dall’uomo.
Così non sarebbe, invece, per quel positivismo di ispirazione religiosa secondo
cui Dio sarebbe nell’uomo, manifestandosi con le opere dei Santi. L’uomo, creato
da Dio, sarebbe il “naturale portatore della divina volontà di Bene” (Giannozzo
Manetti, 1396-1459). Dio include (e complica) tutte le cose ed, al tempo stesso,
grazie all’atto creativo porta ad unità tutte le cose: ecco, così, che ogni
singolo può cogliere Dio interiormente (Nicola Cusano, 1401-1464).
“Ogni cosa è in ogni cosa” (Anassagora).
Dio sarebbe un’idea innata nell’uomo e tale idea servirebbe come garanzia della
realtà del mondo: l’esistenza di Dio sarebbe testimoniata direttamente dalla
Coscienza dell’uomo (Renè Descartes-Cartesio, 1596-1650) ovvero dalla sua
ragione: se i sensi permettono di raccogliere il materiale sensibile, è la
ragione ad elaborarlo e ciò sarebbe dovuto ad un’anima spirituale originata da
Dio (Pierre Gassendi, 1592-1655). E’ stato, altresì, affermato che Dio sarebbe
presente nell’animo umano sotto forma di desiderio: tale sentimento, che avverte
la necessità di un sovrammondo di giustizia, sarebbe sufficiente a non dubitare
dell’esistenza di Dio (Rousseau).
Una terza tesi, intermedia, sostiene che la Natura non comprenda tutto il
diritto e che il giuridico non derivi interamente dall’uomo. L’uomo, quindi,
sarebbe legittimato ad intervenire esclusivamente là dove la natura non regoli
ed, altresì, quando, pur contrastando un fatto naturale o il suo naturale
accadimento o la sua naturale evoluzione, l’intervento non finisca per alterare
la natura delle cose nella forma e nella sostanza.
L’uomo agisce in una realtà fatta di concatenazioni causali naturali delle quali
fa, però, parte anche il suo atto di libera volontà (Pomponazzi).
Viceversa, il diritto così introdotto sarebbe innaturale, potendo, altresì,
parlare di abuso di diritto ovvero di una sorta di illegalità.
Sarebbe, inoltre, consentito intervenire a mezzo della norma nei casi, anche
alternativamente considerati, in cui: a) si tratti di garantire la possibilità
effettiva di ottenere il ristoro di un danno di particolare rilevanza; b) il
rimedio si attesti come la naturale possibilità o conseguenza di un normale
processo evolutivo; c) il rimedio oggetto dell’intervento normativo sia
disponibile in natura; d) la norma si dimostri il modo per ovviare
all’indisponibilità naturale del rimedio.
Un’ulteriore tesi è quella che identifica in Dio la Natura e la Ragione.
Nell’universo sarebbe presente una “causalità finale” (Aristotele) ed ogni atto
umano sarebbe, quindi, semplicemente irrazionale. L’esperienza naturale, cioè,
costituirebbe il dono di Dio per eccellenza (Bacon).
L’uomo potrebbe fare solo ciò che Dio ha già prestabilito (M. Lutero,
1483-1546). Dio, quale Assoluto in ogni senso, ha stabilito, sin dall’inizio, il
destino di ogni singolo individuo: i meriti o i demeriti degli uomini non
possono mutare i suoi disegni (Giovanni Calvino, 1509-1564).
Dio è presente costantemente nella natura, è “intelletto universale”, “causa”
animatrice, luogo di tutte le idee, Dio-Natura, forma-materia (Giordano Bruno,
1548-1600).
Dio, principio d’ordine dell’universo in cui l’uomo è inserito armonicamente
secondo un criterio di universale equilibrio (Anthony Shaftesbury, 1671-1713),
sarebbe “sostanza che, per esistere, ha bisogno solo di se stessa”: è
l’animatore presente nella natura e non trascendente ovvero è causa “immanente”,
Dio-sostanza, e non causa esterna al mondo (distinto cioè dal prodotto).
Dio è la “sostanza in assoluto” e coincide con la natura.
La realtà è espressione di una necessità razionale immanente e, perciò, dedotta
da Dio-principio assoluto, una sua logica conseguenza: è un tutto divino che
vive in una dimensione atemporale (Spinoza).
La stessa natura sembra celare una provvidenzialità che rimanda a Dio (Butler).
In altri termini, ogni realtà esistente, non potendo emergere dal nulla, deve
necessariamente avere una causa. Non potendo risalire all’infinito nella
concatenazione causale, è necessario ammettere che esista una realtà non causata
(Dio) dal quale dipenda tutta la realtà (Clarke).
L’uomo, cioè, deve pensare che esista qualcosa di assolutamente necessario:
questo è Dio ed è la condizione necessaria di ogni possibilità (Immanuel Kant,
1724-1804).
Si tratterebbe, per lo meno, di accogliere la convinzione dell’esistenza di Dio,
una “scommessa” (Pascal).
L’uomo possiede una natura imperfetta e finita e ciò dimostrerebbe che egli non
è la causa di se stesso (Cartesio): l’esistenza di Dio sarebbe, quindi, una
sorta di esigenza (Antonio Genovesi, 1713-1769).
Il mondo della natura sarebbe stato creato da Dio e, quindi, nella sua genesi e
nel suo sviluppo sarebbe destinato a rimanere ignoto all’uomo (Hobbes).
Le ragioni dell’universo si trovano, cioè, soltanto nell’infinita mente divina:
Dio, oltre ad aver creato l’universo, interviene instancabilmente per correggere
e guardare l’universo (Isaac Newton, 1642-1727).
L’uomo, quindi, in quanto facente parte di tale concatenazione necessaria
Dio-natura che è la ratio e l’ordine della realtà, non è libero e la sua
personalità individuale si smarrisce nel Tutto. Tale ordine, peraltro, non può
essere infranto da atti e gesti di libertà: l’uomo, infatti, non sarebbe una
realtà distinta dagli altri aspetti della natura (Spinoza).
L’uomo sarebbe soltanto uno spettatore di una realtà stabilita continuamente da
Dio (Arnold Geulinx, 1624-1669) il quale ha dato un ordine necessario
all’universo (Johannes Keplero, 1571-1630). L’universo ha, cioè, bisogno di un
eterno garante dell’ordine: in tale ordine, regolato da un Essere supremo, è
inserito anche l’uomo (Francois Marie Arouet-Voltaire, 1694-1778).
La natura, nel suo intimo e nella sua totalità, può essere conosciuta soltanto
da Dio e le relazioni sono volute secondo scopi precisi dal finalismo divino (Gassendi).
Si è parlato, altresì, della totale sproporzione tra l’uomo e l’universo anche
senza fare riferimenti espliciti ad un’entità divina. L’uomo, nell’universo,
sarebbe, cioè, solo una parte del Tutto, mosso unicamente da cause che egli non
vede e mai potrà vedere (Cyrano de Bergerac, 1619-1655) e non sarebbe libero ma
vivrebbe in una precisa concatenazione a cui non si potrebbe sottrarre (D’Holbach).
La pre-scienza divina, tuttavia, non potrebbe essere del tutto determinante nei
confronti della libertà umana, sebbene proprio l’onnipotenza divina escluda che
l’uomo possa essere libero fino in fondo (Lorenzo Valla, 1407-1457).
Soltanto l’esercizio della libertà, infatti, consentirebbe al singolo di
guadagnarsi il favore divino con una vita creativa e libera da meschini vincoli
(Erasmo da Rotterdam, 1466-1536).
Dio, suprema consapevolezza, ha, cioè, creato il mondo, scegliendone uno solo
tra gli infiniti mondi possibili, secondo precise strutture logiche, mettendo in
atto una serie di possibilità ideali: l’uomo, tuttavia, sarebbe libero nelle
proprie scelte e, perciò, eticamente responsabile (Gottfried Wilhelm Leibniz,
1646-1716).
Proprio per la libera volontà dell’uomo che concede il suo assenso ad un
giudizio intellettuale malcerto, la possibilità dell’errore umano è sempre
presente e non è possibile imputare a Dio gli errori umani (Cartesio).
L’uomo sarebbe, comunque, in grado di percepire grazie alla sostanza spirituale
e questa dimostra la propria esistenza in quanto permane attraverso il continuo
svariare delle sensazioni: l’uomo, quindi, è sostanza spirituale dotata di
intelletto e di capacità di disposizione delle idee.
Ciò indica che deve esistere uno Spirito infinito e supremo, Dio, creatore della
realtà esclusivamente spirituale: la realtà oggettiva esiste perché è
rappresentata e percepita da Dio il quale è la struttura permanente di tutte le
idee (George Berkeley, 1685-1753). In altri termini, Dio, filosofia senza
specificazione, come visione organica e totale del reale (Capograssi).
Esisterebbe, in tal senso, una sorta di cerchio divino che pone in collegamento
legge naturale, dignità umana e diritti. La legge naturale sarebbe scritta da
Dio nella coscienza umana e costituirebbe un denominatore comune a tutti gli
uomini ed una guida universale su cui tutti possono intendersi (Benedetto XVI).
Pertanto, nessun uomo sarebbe solo davanti a Dio: soltanto Dio sarebbe solo
davanti agli uomini (Wiesel).
La dignità di ogni uomo, però, è garantita veramente soltanto quando tutti i
suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi, tenendo
presente che i diritti umani sono solidamente fondati in Dio e sono quelli
essenzialmente fondati da Dio (Benedetto XVI, 11-12-2008).
Per altro verso, Dio non potrebbe essere inteso come la forza che determina i
singoli fatti naturali ma, al più, come principio di coesione generale nel senso
che avrebbe demandato alle forze insite nella natura il compito di realizzare
quelle finalità fisiche e naturali proprie alla natura: natura e Dio sarebbero,
cioè, distinti (Bernardino Telesio, 1509-1588).
L’universo sarebbe, quindi, al di fuori di ogni finalismo teologico, sarebbe
messo in moto da Dio una volta per tutte e si muoverebbe secondo una necessità
meccanica pura e semplice (George Louis de Buffon, 1707-1788): la natura
sarebbe, così, una realtà autonoma rispetto ad ogni principio teologico, in
trasformazione e capace di agire su stessa in senso evoluzionistico, mediante
certe regole della compatibilità e della convenienza (Denis Diderot, 1713-1784).
L’uomo, fruendo dell’opera di Dio, agirebbe, cioè, secondo finalità che emergono
dal fluire delle cose ovvero secondo un complesso sistema di fini che
scaturiscono di volta in volta da fini precedenti, e non da un ordinato progetto
precostituito da Dio. Pertanto, l’uomo sarebbe il protagonista libero della
storia e quest’ultima percorsa da una tendenza finalistica intesa a realizzare
la “città del genere umano”.
Il Fato o il Caso non potrebbero aiutare a comprendere le ragioni del corso
degli eventi: le vicende umane sarebbero destinate, infatti, ad “alterne sorti”
(corsi e ricorsi storici) (Giambattista Vico, 1668-1744).
Secondo un certo positivismo giuridico fondato su una base atea, Dio, in realtà,
sarebbe soltanto un’entità-alibi al fine di delegittimare la ragione, la volontà
e l’operato normativo dell’uomo.
La realtà (e l’uomo) sarebbe soltanto fisica e naturale e vivrebbe secondo la
legge della necessità (Dietrich d’Holbach, 1723-1789): l’uomo, cioè,
governerebbe se stesso secondo precise leggi naturali (istinto) che impongono ad
ogni vivente precise logiche di comportamento (Julien Offroy de La Mettrie,
1709-1751). La storia sarebbe, così, un tendere progressivo (Gotthald Ephraim
Lessing, 1729-1781).
Il fanatismo e l’intolleranza in tema di religione, d’altra parte,
dimostrerebbero che l’esperienza religiosa nasce da un assieme di sentimenti
umani (Hume).
La cultura umanistica, poi, ha inteso trasferire l’interesse culturale da una
prospettiva teocentrica ad una antropocentrica: la sorte di un uomo sarebbe,
così, rimessa alle scelte operate da altri uomini ovvero risiederebbe in se
stesso.
Un’ulteriore tesi ha, infine, negato, contemporaneamente, il primato a Dio, alla
Natura ed all’Uomo, sostenendo l’inesistenza di una finalità che regga il mondo
e che tutto sia, in realtà, giocato su una sequenza affidata al caso o ad una
causalità meccanica “efficiente”: la legge fisica, ad es., non sarebbe un’entità
ma semplicemente una funzione indicante l’interdipendenza di due dati variabili
(Galileo Galilei, 1564-1642).
Tale causalità sarebbe estranea alle intenzioni ed alle aspirazioni umane e,
perciò, destinata a rimanere incomprensibile alla mente dell’uomo: a
quest’ultimo, quindi, non potrebbe essere riconosciuto alcun privilegio
gerarchico ed egli stesso non potrebbe essere ritenuto depositario della verità
o metro di ogni misura morale (Michel de Montaigne).
E’ stato, peraltro, affermato che la legge sia volizione non dell’Universale o
dell’individuale bensì di una generalità astratta (Croce), tendente al
perseguimento di fini economici.
Il diritto, specie quello contemporaneo, si rivela spesso confliggente con il
desiderio di scienza e conoscenza su tematiche difficili, quali quelle inerenti
l’economia e le condizioni di esistenza dell’uomo, e la sua inquietudine.
In conclusione, l’importanza delle dottrine è dato dal fatto che le stesse
pongono le basi etiche ed ideologiche delle organizzazioni sociali nei relativi
molteplici aspetti.
Si tende sempre più ad ipotizzare, nella mera adesione ad una dottrina, maggiori
possibilità in termini di plagio e di orientamento passivo e ad identificare la
validità di una dottrina nella relativa capacità di proporre soluzioni
possibili, a prescindere dal soggetto proponente.
Qualunque sia l’interpretazione o il punto di vista dell’uomo, la legge non può,
in sintesi, prescindere dai valori dell’uomo, della Natura e di Dio
* avvocato, giornalista pubblicista, conciliatore
professionista, Dottore di Ricerca Interfacoltà Agraria-Giurisprudenza in
“uomo-ambiente”, Responsabile sezione cultura “uomo-ambiente” dell’Associazione
dei Dottori in Scienze Agrarie e Forestali della provincia di Foggia
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 15/12/2010