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Nucleare incivile
STEFANO PALMISANO*
“Strategia nucleare”, con tanto di “S” maiuscola: così i dottor
Stranamore di Villa Certosa hanno definito, con tutta la consueta sobrietà,
anche semantica, che connota questo esecutivo, “il documento programmatico
del Governo con il quale sono delineati gli obiettivi strategici in materia
nucleare”, come si legge all’art. 2, lett. “l”, dello “schema di
decreto legislativo, recante la disciplina della localizzazione, della
realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di
produzione di energia nucleare [….] ai sensi dell’art. 25 della legge 23 luglio
2009, n. 99”
La Strategia in questione ha il grande pregio, tra i tanti, di metter in vivida
luce, una volta per tutte, quale macroscopico “equivoco” (per così dire)
terminologico si celi sotto la locuzione “nucleare civile” in presunta
contrapposizione a quella di “nucleare militare”.
È già la citata legge delega dell’anno scorso, nell’art. 25, c. 2, a chiarire,
alla lettera a), ossia al suo primo principio e criterio direttivo,
l’aria democratica che tira nella gestione da parte di questo governo della
“materia nucleare”: vi si prevede, infatti, la “possibilità di dichiarare i
siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di
vigilanza e di protezione.”
Laddove qualcuno avesse avuto ancora dubbi sull’esatta gerarchia dei poteri
decisionali quando c’è di mezzo sua maestà l’atomo, la lett. f) serve a
fare definitivamente chiarezza sul punto, giacché si afferma la necessità della
“determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo del
Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi
enti locali coinvolti, secondo quanto previsto dall’art. 120 della
Costituzione.”
Anzitutto, c’è da evidenziare l’enigmatico riferimento ad una norma
costituzionale, l’art. 120, per l’appunto, che legittima l’intervento
sostitutivo del Governo nei confronti di “organi delle Regioni, delle Città
metropolitane, delle Province e dei Comuni” solo “nel caso di mancato
rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure
di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in
particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi
locali”.
In quale dei casi evocati dalla previsione costituzionale su citata dovrebbe
ricondursi la decisione di istallare una centrale nucleare per legittimare il
potere sostitutivo del Governo?
A tacere del fatto che il medesimo art. 120 si chiude con un’invocazione (che,
alla luce dei testi normativi che si stanno esaminando in questo scritto,
suscita grande tenerezza) a che “i poteri sostitutivi siano esercitati nel
rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.”
In ogni caso, l’elemento chiarificatore della su citata gerarchia di poteri
decisionali che si rinviene nella normativa di delega dello scorso anno è dato
dal fatto che in tutto l’articolo 25 non v’è alcuna previsione in ordine alla
“mera” determinazione delle modalità di raggiungimento delle intese con i
diversi enti coinvolti, né, men che meno, in ordine alla rilevanza, se non
vincolatività, di quelle intese nei confronti del Governo.
In pratica, l’unica disposizione che la maggioranza parlamentare ha pensato bene
di introdurre nel provvedimento di delega all’esecutivo sulla questione,
discretamente vitale in uno Stato democratico e, ancor più, solennemente
“federale”, del rapporto tra il potere centrale e quello degli enti locali in
una materia non proprio minore come quella nucleare, ha avuto come unica
finalità quella di “determinare le modalità” con cui il primo può “sostituire”,
ossia scavalcare, i secondi.
E cotanto Governo, essendo stato “delegato” dai suoi onorevoli mandanti in tale
munifica guisa, ovviamente non ha tradito le aspettative.
All’art. 11, in materia di “certificazione dei siti”, dello schema
di decreto legislativo su citato, infatti, si legge, al c. 5, che “il
Ministro dello sviluppo economico [….] sottopone ciascuno dei siti certificati
all’intesa della Regione interessata, che si esprime previa acquisizione del
parere del comune interessato.”
Dalla lettura di questa norma, sembrerebbe poco chiaro in quali forme si
acquisisca quest’ ultimo parere, ossia quello delle popolazioni direttamente
destinatarie del gentile omaggio di una centrale nucleare sul loro territorio,
ma soprattutto quale valore reale esso abbia rispetto alla decisione finale sul
“sito”.
Ancora una volta, la norma immediatamente successiva, quella del comma 6, fuga
ogni dubbio: “Ove [….] non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa
[….], si provvede all’intesa (sic!) con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione
del presidente della Regione interessata.”
In pratica, un’ “intesa” per decreto.
Ma, in compenso, con il presidente della Regione interessata che “partecipa”,
con un ruolo, se ne desume, della stessa pregnanza politica di quello
dell’appendiabiti della stanza governativa, al Consiglio dei ministri nel quale
si scrive il decreto del Presidente della Repubblica che “provvede all’intesa”.
Son soddisfazioni!
Naturalmente, stante una tale democraticità e partecipatività di tutto il
procedimento, il comma 7 statuisce che, “l’intesa ovvero il decreto del
Presidente della Repubblica di cui al comma 6 operano anche in deroga ai Piani
energetico ambientali delle Regioni interessate da ciascuna possibile
localizzazione.”
Altro mirabile esempio dell’idea, e soprattutto della pratica, di questo governo
di “federalismo”.
Ancora, all’art. 13, (“Autorizzazione unica per la costruzione e
l’esercizio degli impianti nucleari e per la certificazione dell’operatore”),
c. 10, si prevede una “conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e
seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 con l’Agenzia, i Ministeri
concertanti, la Regione e gli enti locali interessati e con tutti gli altri
soggetti e le amministrazioni coinvolti”.
Anche in tal caso, però, si tratta di una “trattativa” non proprio libera e
sovrana per gli enti seduti al tavolo.
Specie per gli enti locali.
Infatti, la norma che segue a ruota, quella del comma 11, sgombra anche qui il
campo da ogni equivoco: “Qualora in sede di conferenza di servizi di cui al
comma precedente, non venga raggiunta la necessaria intesa con un ente locale
coinvolto, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
dello sviluppo economico, assegna all’ente interessato un congruo termine per
esprimere l’intesa; decorso inutilmente tale termine, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri cui partecipa il Presidente della Regione interessata
all’intesa, è adottato [....] decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
sostitutivo dell’intesa.”
Repetita iuvant.
In conclusione, da questo ordito legislativo si ricava l’ennesima conferma che
in ambito energetico oggi ci si trova ormai di fronte a due prospettive
sostanzialmente incompatibili tra loro: o una produzione finalmente pulita,
diffusa e democratica di energia da fonti rinnovabili, necessariamente
accompagnata da un consumo sobrio ed efficiente; o una produzione certamente
inquinante e potenzialmente devastante da fonti fossili e nucleari, in cui i
pannelli fotovoltaici servono al massimo per decorare i tetti delle centrali
atomiche.
Una produzione, in quest’ultimo caso, ancora rigidamente concentrata in poche
mani e accentrata, per legge, nei suoi processi decisionali.
Con quelle stesse mani che da queste produzioni arraffano profitti principeschi
ed espellono le relative scorie, non necessariamente balsamiche per l’ambiente e
la salute pubblica, sui territori sedi di quelle attività.
Un gustoso quadretto finale che a questi territori, al nostro territorio, non è
propriamente sconosciuto.
* Avvocato in Fasano
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 23/02/2010