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Eppur mi son scordato di te
….caro articolo 183
Prima del deposito temporaneo regolare non c’è mai gestione rifiuti ?
SILVANO DI ROSA*
SOMMARIO:
– 1. Premessa; – 2. Occupiamoci di un semplice produttore iniziale di
rifiuti; – 3. La gestione, la raccolta ed il trasporto di rifiuti; – 4. Il
recupero di rifiuti; – 5. La cernita, la selezione ed il raggruppamento di
rifiuti; – 6. Cernita e raggruppamento finalizzati al trasporto; – 7. Cernita e
raggruppamento finalizzati al deposito temporaneo; – 8. Alcuni casi concreti; –
9. Conclusioni.
1 – Premessa
Auspicando di non incorrere nelle ire di una nota band degli anni ‘70 o di
infastidire il grande Lucio Battisti, esordiamo con un «eppur mi son scordato di
te…» che non vorremmo trovarci a dover usare in ambiti istituzionali della
Pubblica Amministrazione, notoriamente poco melodici e non proprio adatti ad
esibizioni canore.
Col passare del tempo le abitudini cambiano, ma capita sempre di dover “fare di
necessità virtù”, quando, ad esempio – durante lunghe passeggiate e soste
forzose presso gli uffici delle Pubbliche Amministrazioni deputate al controllo
in materia ambientale –, si attende l’esito di certe valutazioni, con la
speranza che, magari, risultino favorevoli e conformi alle aspettative.
Nelle pause, fra una discussione e l’altra, non potendo dare per scontato di
avere sempre la meglio, resta comunque la soddisfazione di poter canticchiare
una canzonetta. Stavolta, abbiamo scelto un ritornello longevo, ma orecchiabile,
che rallegra l’animo e ci aiuta ad ingannare l’attesa, considerandolo di buon
auspicio.
Con evidente spirito goliardico vorremmo provare ad interrogarci su quale sia il
momento – o la fase – a partire dal quale si debba davvero cominciare a parlare
di «gestione rifiuti». D’altronde, è importante che il produttore iniziale di
rifiuti sappia fin dove, e quando, poter liberamente esercitare la propria
attività. Consapevolezza che si rivelerà utile ad affrontare certe prese di
posizione – a volte eccessivamente cautelative – degli organi di controllo,
davanti alle quali è indispensabile avere l’esatta percezione di quale sia la
“soglia” oltre la quale, per il citato produttore, si rende necessaria
l’acquisizione di un preventivo titolo abilitativo di natura amministrativa:
autorizzazione, comunicazione in regime semplificato, iscrizione; in alternativa
all’affidare lo svolgimento di certe operazioni – anche elementari e scontate –
ad un soggetto debitamente autorizzato.
Non è raro, infatti, che l’Autorità competente consideri “sempre e comunque”
gestione rifiuti, qualsiasi operazione di cernita e/o di selezione degli stessi,
indipendentemente dal momento in cui venga effettuata e senza neppure darti il
tempo di precisare quale sia il contesto in cui le si intendono svolgere:
(nell’ipotesi che intendiamo prospettare si tratta de) la fase preparatoria di
un deposito temporaneo.
Il nostro disaccordo sul liquidare la questione in maniera tanto generalizzata
appare scontato e derivante dal fatto che molti «casi pratici» – della vita
imprenditoriale di tutti i giorni – ci portano a conclusioni ragionevolmente
diverse. Alla luce di tali deduzioni pare eccessivo che anche questo argomento
vada a costituire un’ulteriore fonte di stress da pavor nocturnus o di ansia
diurna per l’imprenditore, costantemente assalito da dubbi e colto da
trepidazione per il possibile esito nefasto di un’eventuale ispezione ARPA1!!
Chi legge avrà capito che ci troviamo, ancora una volta, a girovagare nei
meandri della Parte Quarta del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152; interessandoci,
stavolta2, al Titolo
I e, nello specifico, all’articolo 183: «Definizioni» in materia di rifiuti.
Diciamo che, in previsione di una nuova modifica di tale articolo – come sembra
preannunciare lo schema di correttivo3
all’esame della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari per i
necessari pareri –, vorremmo dire la nostra su alcune questioni che lo
riguardano da vicino.
Concludendo questa non breve parte introduttiva, è importante sia chiara
l’intenzione di voler dar seguito ad una trattazione minimalista – ma non per
questo semplice –, cercando di rendere alla portata di tutti una questione che
riteniamo essere alquanto discussa o discutibile.
Proveremo, pertanto, a “metterci nei panni” dell’imprenditore comune, al quale,
per sentirsi a posto, dovrebbe essere sufficiente cercare di comprendere le
disposizioni del richiamato decreto legislativo 152 del 2006; senza
necessariamente dover affrontare tutto lo scibile dell’ordinamento comunitario
(fatta eccezione per i regolamenti UE) e la copiosa giurisprudenza della Corte
di Giustizia Europea.
La conoscenza – oltre che la corretta attuazione – della normativa ambientale
vigente nel nostro Bel Paese, dovrebbe renderlo un «imprenditore diligente»,
senza però escludere che gli sia necessario approfondire anche la prevalente
interpretazione giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione; utile, se
non altro, a capire come vengono «intese» le stesse norme da parte dell’Autorità
Giudiziaria. Si tratta di una precisazione solo apparentemente ridondante,
perché, a volte, il “conoscere le norme interne” non sembra essere sufficiente a
sentirsi “in regola”…… e questo è un bel problema!
2 – Occupiamoci di un semplice produttore iniziale di rifiuti
2.1 – Come definirlo
Ci siamo prefissati di affrontare la questione in maniera leggera4.
Quindi, prendiamo in esame il caso “elementare” di un comune produttore iniziale
di rifiuti.
Come tale deve intendersi: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti5.
Soggetto da tenere ben distinto rispetto a quello che effettua operazioni di
pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che mutano la natura o la
composizione di detti rifiuti, o delle parti che ne costituiscono l’insieme.
Possono essere produttori iniziali di rifiuti: il calzolaio, il tranciatore, il
demolitore edile, l’elettricista, l’escavatorista, il falegname, il
florovivaista, l’idraulico, il marmista, il sarto, il tappezziere, il tipografo,
il tornitore di metalli, il vetraio,……tanto per elencarne alcuni.
Fedeli alla promessa trattazione di tipo elementare, eviteremo le ipotesi in cui
il produttore iniziale possa essersi – doverosamente – organizzato per
qualificare, e far riconoscere, un proprio materiale residuale di produzione
come “sottoprodotto”6.
Ugualmente, non prenderemo in considerazione quei casi in cui il produttore
iniziale, abbia anche acquisito un titolo abilitativo per effettuare operazioni
di recupero7 e sia quindi
legittimato a svolgere una vera e propria gestione di rifiuti. Meglio limitarci
all’essenziale !
2.2 – Cosa può fare liberamente
Il produttore iniziale di rifiuti può movimentarli liberamente all’interno del
proprio stabilimento – e pertinenze contigue, a questo funzionalmente connesse8
–. La movimentazione “interna”, infatti, è attività del tutto libera in quanto,
di norma, finalizzata alla formazione del “deposito temporaneo”
9, a propria volta
definito: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel
luogo in cui gli stessi sono prodotti, purché realizzato rispettando le
condizioni riportate nell’articolo 183, comma 1, lettera m) del D.Lgs. 152/2006.
Anche il deposito temporaneo – nel rispetto di ciascuna delle condizioni cui
prima si è fatto riferimento10
– deve intendersi attività libera11,
dal momento in cui è considerato: sia come «prolungamento» dell’attività dalla
quale si originano i rifiuti12,
sia come momento preparatorio alla successiva gestione degli stessi13
E’ per questo che il nostro produttore potrà liberamente effettuare il
raggruppamento dei propri rifiuti (in termini dislocativi) nel luogo in cui gli
stessi sono prodotti e (in termini temporali), prima della relativa fase di
raccolta, alle condizioni previste per legge.
2.3 – Cosa non può fare senza “autorizzazione”
Senza un titolo abilitativo, il produttore iniziale, non può effettuare la
raccolta ed il trasporto dei propri rifiuti; neppure quando ricade nelle ipotesi
di cui all’articolo 212, comma 8, del D.Lgs. 152/200614.
Anche in quest’ultimo caso, infatti, è previsto l’obbligo di una «comunicazione»
alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente, la
quale rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni15.
La raccolta ed il trasporto (come vedremo) sono le fasi iniziali della «gestione
di rifiuti» e come tali – salvo le ipotesi particolari anzidette – possono
essere effettuate solo e soltanto da soggetti iscritti all’Albo di cui all’art.
212 del decreto 152/06, ai sensi e per gli effetti di cui al quinto comma stesso
articolo16 .
Non è escluso che il produttore iniziale dei rifiuti possa dotarsi anche di un
tale titolo abilitativo, ma preferiamo non prendere in considerazione una tale
evenienza, per non rendere del tutto vana la prefissataci semplicità della
trattazione in corso.
3 – La gestione, la raccolta ed il trasporto di rifiuti
Abbiamo parlato di gestione, di raccolta e di trasporto di rifiuti.
Per quanto siano concetti notori, sentiamo la necessità di delinearne per sommi
capi i contorni. Se non altro, per evitare di dover canticchiare troppo spesso
il ritornello posto a titolo del presente contributo.
3.1 – Gestione di rifiuti
La gestione di rifiuti è chiaramente definita al primo comma, lettera d), del
noto articolo 18317,
dove la si considera: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento
dei rifiuti18.
Quindi, se abbiamo detto (e l’abbiamo detto!) che il deposito temporaneo
“regolare” si colloca – sia in termini di spazio che di tempo – a monte della
fase di raccolta, abbiamo sotto gli occhi la conferma di come la formazione e la
conduzione dello stesso19
siano momenti – tipici della vita di un rifiuto – che esulano da ciò che può
essere considerata «gestione di rifiuti».
Anche la Suprema Corte – Cass. pen. Sez. III, (ud. 09-01-2008) 20-03-2008, n.
1241720 – argomenta
nel senso che il “deposito temporaneo” non rientra nella gestione di rifiuti,
giungendo alla conclusione che tale attività, di semplice “raggruppamento”, non
ha niente a che vedere con lo “stoccaggio” o col “deposito preliminare”,
rientranti nell’attività di smaltimento o di recupero (quindi di gestione) di
rifiuti.
Altra cosa viene a prospettarsi quando il deposito temporaneo non è “regolare”.
Ma di questo non intendiamo trattare21
in questa sede.
3.2 – Raccolta di rifiuti
La definizione di raccolta di rifiuti è riportata alla lettera e) del primo
comma del nostro caro articolo 18322
. In quelle righe, si legge che per raccolta deve intendersi: l’operazione di
prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti “per” il loro trasporto.
Volendo schematizzare tale concetto, potremmo dire che la raccolta è
quell’insieme di operazioni finalizzate (tutte!!) all’effettuazione del (e
quindi a rendere possibile il) trasporto di rifiuti. Operazioni che,
paritariamente, devono individuarsi in: cernita, raggruppamento, prelievo.
E qui cominciano a stagliarsi i contorni di alcuni elementi di dubbio. Difatti,
finché la cernita si colloca in tale ambito, non si pongono problemi
interpretativi: si tratta della fase di raccolta23
che la prevede espressamente. Quando, e se, la stessa operazione venisse invece
traslata a monte della fase – “non gestionale” – di deposito temporaneo,
potrebbe divenire argomento di discussioni anche sofferte.
Vediamo l’effetto di tale trasmigrazione:
1) se prendessimo il rifiuto dal punto di formazione dello stesso, per la
conseguente movimentazione interna, fin presso il luogo24
deputato alla formazione del deposito temporaneo, non vi sarebbe ragione per
sollevare alcuna obiezione;
2) se, viceversa, nel corso della formazione del rifiuto, effettuassimo una
cernita25 o una
selezione dei materiali di scarto che lo compongono, per poi dar seguito a
separate movimentazioni interne delle distinte tipologie di materiali – in tal
modo ottenute per mera separazione – fin presso il luogo26
deputato alla formazione del deposito temporaneo, potremmo vederci contestare lo
svolgimento di una operazione di recupero non autorizzata (Vds. successiva
sezione 4), con annesse sgradite conseguenze.
Trattandosi di una ipotesi più che possibile nella realtà, vale la pena
approfondirla, cercando di non “scordarci” quali siano le vigenti definizioni
contenute nel nostro articolo «183» .
3.3 – Trasporto di rifiuti
Per il trasporto di rifiuti è sufficiente sottolineare come questo abbia inizio
dal momento in cui l’automezzo lascia lo stabilimento, luogo di produzione dei
rifiuti, instradandosi sulla pubblica via. Rinviando i rimanenti e numerosi
altri aspetti di tale fase gestionale a lavori prodotti da chi ne ha parlato
prima di noi27.
4 – Il recupero di rifiuti
Affrontiamo l’argomento limitandoci all’ambito delle due più recenti
definizioni stabilite dalla normativa di settore; consapevoli che già altri28
ne hanno parlato in maniera dettagliata ed esaustiva.
Quindi, in linea con le nostre previsioni “di basso profilo”, osserviamo che la
definizione di recupero, contenuta nella versione originaria del decreto
152/200629,
prevedeva30 come
tale: le operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime
secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici,
chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione, e, in particolare, le
operazioni previste nell'Allegato C alla parte quarta del presente decreto.
Oggi, però, è necessario precisare che, con l’art. 2, comma 20, del correttivo
D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 431,
tale definizione è stata ridotta all’essenziale. Attualmente, invero, occorre
riferirsi al recupero di rifiuti in termini di: le operazioni previste
nell'allegato C alla parte quarta del presente decreto (il 152/2006)
Per quanto detto, a partire dal 13 febbraio 200832,
corre l’obbligo di considerare la dizione «…incluse la cernita o la selezione …»
del tutto estranea alla definizione di recupero; con il risultato che, dalla
stessa data, il diligente produttore iniziale di rifiuti deve – o dovrebbe –
poterne tener conto, comportandosi di conseguenza, anche giungendo a leggere “a
contrario” certa Giurisprudenza33
che mostra avere una qualche attinenza con la questione in argomento.
5 – La cernita, la selezione ed il raggruppamento di rifiuti
La semantica ambientale – a volte – costituisce un’importante fonte di
discernimento, ma – purtroppo di frequente – può anche essere scaturigine di
sofferte e vane meditazioni, foriere di rese incondizionate che lasciano
stremati e trepidanti, di fronte all’incerto futuro che si prospetta davanti
agli occhi degli sconsolati reduci dalla singolar tenzone.
5.1 – La cernita di rifiuti
Se semplice – o minimalista che dir si voglia – deve essere la trattazione, non
può che essere linearmente condivisa da tutti l’attuale assenza delle operazioni
di cernita (e di selezione) dal corpo della definizione di “recupero” di cui al
vigente articolo 183, comma 1, lettera h)34
.
Con altrettanta evidenza è innegabile che dette operazioni – di cernita o
selezione – non coincidono con nessuna delle attività attualmente indicate
nell’allegato C35
alla parte Quarta del decreto stesso.
A fronte di queste ovvietà resta salvo il fatto che la cernita – lo abbiamo
visto nella sezione 3.2 – è “anche” considerata una delle fasi della raccolta di
rifiuti.
Da ciò è necessario trarre una prima conclusione circa l’opportunità di aver
sempre ben presente se ci riferiamo ad ipotesi di cernita combinata al
“raggruppamento” di cui all’articolo 183, comma 1, lettera e): propedeutico al
trasporto dei rifiuti; oppure alla cernita potenzialmente connessa con il
“raggruppamento” di cui all’articolo 183, comma 1, lettera m): quale elemento
essenziale alla formazione del deposito temporaneo.
In fondo basta intendersi36!
Da persone ragionevoli, non parrebbe fuori luogo sostenere che possa esservi una
cernita insita nell’operazione di raccolta, che deve considerarsi ex-lege come
operazione di gestione di rifiuti: operazione “non libera” e, viceversa, ve ne
possa essere una (cernita) finalizzata alla formazione di un adeguato deposito
temporaneo – realizzabile in una fase appartenente ad un momento «non
gestionale» in senso tecnico-giuridico –.
Essenziale – nell’ambito della nostra ipotesi – è non avere la pretesa che la
cernita, di per sé, venga qualificata come un’operazione di recupero. D’altra
parte già altri autori37
lo hanno ben evidenziato.
La cernita di rifiuti di cui stiamo parlando – quella ipoteticamente effettuata
a monte del deposito temporaneo – ha soltanto il fine di ottimizzare il deposito
temporaneo di “rifiuti”.
Si tratta di un risultato piuttosto modesto, ma che costituisce il punto fermo
ed essenziale per trarre le conclusioni che ci interessano.
Potremmo cercare di trarre un ulteriore conforto leggendo38
che, nella nostra madre lingua, il termine cèrnita assume il significato di:
scelta; azione del separare cose diverse; operazione di suddividere in classi di
caratteristiche non molto diverse l’una dall’altra. Questo, però, ci aiuta solo
in parte, dal momento in cui – per quanto l’azione sia sempre la stessa, i
rifiuti siano i medesimi, così come lo è il luogo39
– lo “scegliere”, il “separare”, il “suddividere” dei rifiuti, a parità di
significato semantico, cambia qualificazione giuridica a seconda di quale sia la
fase in cui si realizza: per la formazione di un regolare deposito temporaneo, è
un’operazione che riteniamo si collochi a monte di (e quindi non ricada in)
quella che il decreto 152/06 definisce «gestione» di rifiuti, mentre le “stesse
azioni” finalizzate a consentire il trasporto di rifiuti (e quindi a valle del
deposito temporaneo) rientrano – a pieno titolo – fra le operazioni di tipo
gestionale, in quanto ricomprese nella fase di raccolta. Di questo particolare
caso tratteremo nella successiva sezione 6.
5.2 – La selezione di rifiuti
La selezione di rifiuti – anch’essa non più presente nella vigente definizione
di recupero, e, oltretutto, non ricompresa neppure in quella del «recupero dei
rifiuti generati da imballaggi» di cui vedremo a breve nella sezione 7 – crea
meno problemi di natura semantica, anche perché il significato italiano della
parola selezione non è affatto dissimile da quello di scelta (e quindi di
cernita), dal momento in cui scegliere significa distinguere, o prendere
separando dal resto. Quindi, non vale la pena intrattenersi sul tema, perché
torneremmo a ripeterci su quanto già detto nella sezione 5.1.
5.3 – Il raggruppamento di rifiuti
Tanto per non farci mancare niente, vogliamo anche precisare che per
raggruppamento si intende l’azione del riunire in gruppo o in gruppi.
Significato che si attaglia perfettamente a descrivere le azioni con cui viene
realizzato un deposito temporaneo di rifiuti.
In ogni caso, al di là di quale significato assuma, abbiamo già visto – pur se
in maniera sintetica – due casi di raggruppamento di rifiuti, espressamente
previsti dal D.Lgs. 152/2006.
A questi se ne aggiunge un terzo, previsto – con la sigla D13 – nell’allegato B40
alla parte Quarta di tale decreto.
Riepilogando, è così possibile avere un raggruppamento di rifiuti:
- effettuato prima della raccolta e nel luogo in cui gli stessi sono prodotti –
alle condizioni di cui all’articolo 183, comma 1, lettera m) del D.Lgs. 152/2006
–, che va a costituire la fattispecie del deposito temporaneo;
- effettuato durante la fase di raccolta dei rifiuti – così come definita dal
l’articolo 183, comma 1, lettera e) del citato decreto –, inquadrabile come
potenziale elemento costitutivo della stessa, quando e se finalizzato
all’effettuazione del trasporto di rifiuti;
- preliminare, nell’imminenza di una delle operazioni di smaltimento cui ai
punti da D1 a D1241
dell’allegato B alla parte Quarta del decreto in questione.
Non dovrebbe esserci il rischio che la fattispecie del raggruppamento –
effettuato all’interno del luogo di produzione dei rifiuti – possa essere
scambiata per operazione di recupero, così che potrà essere considerata
un’operazione di gestione rifiuti, quando risulti realizzata al fine di
consentire (a) il trasporto oppure (b) una operazione D1÷D12, mentre sarà
senz’altro da ritenersi un’attività libera, se realizzata al fine di dar vita ad
un deposito temporaneo “regolare”.
6 – Cernita e raggruppamento finalizzati al trasporto
Nella sezione 5.1 abbiamo già visto come il soggetto “autorizzato” alla
raccolta e trasporto di rifiuti – e quindi iscritto all’Albo Nazionale Gestori
Ambientali (A.N.G.A.) – abbia titolo ad effettuare delle operazioni di cernita
(finalizzata allo svolgimento della propria attività) rientranti ex-lege nella
fase di raccolta – da effettuare in regime SISTRI42
–. E’ scontato che la stessa non possa essere scambiata per un’operazione di
recupero (da cui si produca una materia prima secondaria o un “non rifiuto”),
essendo meramente finalizzata ad ottimizzare il trasporto. Quindi, operazione di
gestione rifiuti: si! Operazione di recupero: no!
Di conseguenza, il soggetto autorizzato al trasporto – iscrittosi all’A.N.G.A. e
quindi anche abilitato a raccogliere rifiuti –, nel corso della fase di prelievo43,
può “suddividere”44
e raggruppare i rifiuti, per renderne più appropriata e razionale la raccolta –
che è comunque un’operazione complessa finalizzata al trasporto –, senza
necessità di una autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 210 o 216 del più
volte citato decreto 152/06.
L’ipotesi della cernita prevista45
nel corso della fase di raccolta di rifiuti, può aversi nel caso in cui ci si
trovi di fronte ad un rifiuto «composito» (e quindi costituito da diversi
sottoinsiemi tipologici, fra loro frammisti ab origine e non certo prodotto per
il tramite di una miscelazione operata dopo il formarsi dei singoli
sottoinsiemi). D’altronde, se così non fosse, il legislatore non avrebbe dovuto
prevedere la necessità/possibilità di cernere rifiuti in funzione del loro
trasporto. Sembra scontato poter sostenere che si consente di effettuare una
cernita quando c’è qualcosa da scegliere, da suddividere o da selezionare;
altrimenti, perché mai dare la possibilità di separare, quando si debba per
forza prendere il tutto così com’è….punto e basta!?
Dopo una tale introduzione ipotizziamo venga posto in deposito temporaneo46
un rifiuto nel quale sia facilmente possibile distinguere – e quindi scegliere o
cernere – certe sue parti rispetto ad altre.
Il produttore – in un secondo momento47
– affiderà ad un «raccoglitore-trasportatore » (iscritto all’ A.N.G.A.)
l’incarico di raccogliere e trasportare il rifiuto di cui trattasi, fin presso
idonei impianti di destinazione finale (recupero o smaltimento) appositamente
individuati dal primo e dotati di autorizzazioni idonee a ricevere le tipologie
di rifiuto presenti nel citato deposito temporaneo.
Se non vi sono dubbi sul fatto che il trasportatore “autorizzato” possa
effettuare la raccolta dei rifiuti – prelevandoli direttamente dal deposito
temporaneo del committente – non possono esservene sul fatto che lo stesso, nel
dar seguito alla fase gestionale di «raccolta»48,
possa attuare anche le sub-fasi previste per legge: prelievo ÷ cernita ÷
raggruppamento.
Ovviamente, la separazione/differenziazione delle frazioni tipologiche
componenti il rifiuto «composito», dovrà avvenire sempre presso il luogo di
produzione dello stesso, subito a valle del deposito temporaneo ed in
coincidenza con l’inizio delle operazioni di «raccolta» o relative sub-fasi.
In altre parole, il “trasportatore autorizzato” – per dare attuazione a quel
raggruppamento finalizzato al trasporto – può effettuare una cernita (manuale o
realizzata avvalendosi di sistemi elementari: benne grigliate o vagli mobili), e
quindi una mera selezione/divisione tipologica delle frazioni componenti il
rifiuto – chiaramente non finalizzata, né qualificabile come operazione di
recupero (R1÷R13) –, a condizione che la stessa sia diretta solo ad ottenere
distinti raggruppamenti tipologici di rifiuti (cumuli separati – ad esempio – di
legno, plastica, laterizi, terra, metalli, ecc.), al fine di indirizzarli – in
maniera più logica e razionale – verso destinazioni finali, maggiormente
adeguate ad ogni singola tipologia, ovviamente individuate dal produttore
iniziale del rifiuto.
Il punto cruciale dell’ipotesi di una raccolta selettiva, consiste nel fatto che
il rifiuto, originariamente “composito” ed individuato con un unico CER (il
quale – prendendo come esempio un’attività di demolizione e scavo che spesso
compare nelle sentenze della Suprema Corte di Cassazione – potrebbe essere il
17.09.04 «rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, diversi da
quelli……. »), dopo essere stato legittimamente “selezionato/differenziato” (nel
corso della raccolta) dovrà essere posto in scarico49
utilizzando i singoli codici C.E.R., a tal punto, attribuibili ai vari
raggruppamenti (finalizzati al trasporto), ottenuti in ragione del grado di
separazione attuato dal raccoglitore/trasportatore/gestore autorizzato che opera
per conto e nell’interesse del produttore iniziale.
Quindi «in scarico» verranno utilizzati – in conformità all’esempio assunto – il
CER 17.01.07 (per il raggruppamento di rifiuti costituito da miscugli o scorie
di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, diverse……), il CER 17.02.01 (per il
raggruppamento di rifiuti costituito da legno), il CER 17.02.03 (per il
raggruppamento di rifiuti costituito da plastica), il CER 17.03.02 (per il
raggruppamento di rifiuti costituito da miscele bituminose diverse da
quelle…….), il CER 17.05.04 (per il raggruppamento di rifiuti costituito da
terre e rocce), il CER 17.01.01 (per il raggruppamento di rifiuti costituito da
cemento), il CER 17 08 02 (per il raggruppamento di rifiuti costituito da
materiali da costruzione a base di gesso diversi da……), il CER 17 04 07 (per il
raggruppamento di rifiuti costituito da metalli misti), la cui sommatoria
quantitativa (in scarico), va da sé, debba equivalere alla sommatoria della
massa posta “in carico” con le registrazioni effettuate nel corso della
formazione del deposito temporaneo del rifiuto composito originariamente
individuato con il CER 17 09 04. Tale equivalenza è condizione imprescindibile.
In tal modo, dovrebbe essere acclarato che quel
raccoglitore/trasportatore/gestore autorizzato, così facendo, effettua una
gestione di rifiuti (una cernita ed un raggruppamento compresi esplicitamente
nella definizione di raccolta), ma non un’operazione di recupero, in quanto
realizza dei raggruppamenti di frazioni tipologiche (del rifiuto composito
tenuto in deposito temporaneo) ottenute – senza far perdere le caratteristiche
“di rifiuto” –, una volta separate le une dalle altre, per essere – più
semplicemente e razionalmente – destinate in maniera adeguata ad impianti di
recupero settoriali (individuati dal produttore) deputati a trattare i singoli
materiali per “recuperarli”, trasformandoli – stavolta e solo stavolta – in
materie prime seconde.
Riteniamo che, per fare tutto questo, il soggetto autorizzato alla (sola!!) fase
di “raccolta-trasporto”, non necessiti di altre “autorizzazioni-iscrizioni”,
trattandosi di un intervento conforme a quanto previsto ex-lege dalla stessa
definizione di raccolta.
Non nascondiamo la difficoltà di operare con codici CER diversi fra le due fasi
di messa in carico50
e di messa in scarico51,
ma il tutto può essere debitamente chiarito con opportune correlazioni ed usando
la dovuta attenzione.
7 – Cernita e raggruppamento finalizzati al deposito temporaneo
Tornando a far visita al nostro coscienzioso imprenditore – mero produttore
iniziale di rifiuti –, potremmo trovarlo nuovamente afflitto da dubbi e
titubanze, se solo – avendone voglia – avesse letto anche l’articolo 218, comma
1, lettera m), dello stesso decreto 152/2006. Difatti, vi si ritrova ancora oggi
la cernita di rifiuti, inserita – per l’esattezza – nella definizione di
«recupero dei rifiuti generati da imballaggi»; con possibili conseguenze
patologiche (crisi di nervi) nel nostro paradigmatico imprenditore, dalle quali
potrà scampare solo nel caso in cui non abbia a che fare con tale tipologia di
rifiuti.
Assumendo – per nostra comodità – che il nostro archetipo imprenditoriale sia un
produttore di rifiuti diversi da quelli che ricadono nel campo di applicazione
del Titolo II della parte Quarta del decreto 152/2006, proseguiamo il cammino
intrapreso per vedere dove e se ci conduce da qualche parte.
Con tale spirito, vediamo che il nostro produttore iniziale – erudito da quanto
abbiamo scritto nella sezione 5 – dovrebbe aver dedotto di poter effettuare una
cernita, a monte del deposito temporaneo situato presso il luogo di produzione
dei rifiuti, in quanto non costituente – un’operazione di recupero e quindi –
una gestione di rifiuti, bensì una attività “libera” ed atta a consentire
l’adeguata e razionale formazione del “raggruppamento” di cui all’articolo 183,
comma 1, lettera m): deposito temporaneo.
In fondo, il nostro amico52
potrebbe anche trovare conforto nel fatto che la Giurisprudenza53,
riferendosi al deposito temporaneo, si esprime in termini di prevista
organizzazione tipologica del materiale, per attuare la quale (noi) non ce la
sentiamo di escludere si possa ricorrere ad operazioni di cernita e selezione.
Attività tanto libere quanto diverse da quelle viste nella precedente sezione 6,
perché svolte in momenti e contesti diversi.
Per testare la fondatezza dell’ipotesi in questione, prendiamo ancora una volta
in esame lo stesso «rifiuto composito»54,
di cui abbiamo parlato all’inizio della sezione 6. Esso, potrebbe essere
sottoposto – stavolta, direttamente da parte del produttore55
dello stesso –, simultaneamente o nel corso del suo prodursi, ad un intervento
di separazione delle proprie componenti originarie, al fine di razionalizzare la
formazione del necessario deposito temporaneo per categorie omogenee.
Appare evidente che, per poter considerare tale cernita un’attività liberamente
esercitabile, ci siano delle condizioni da rispettare.
Nello specifico, la stessa deve avvenire:
– subito, nel corso del processo di produzione del rifiuto,
– manualmente o grazie all’uso di elementari sistemi di separazione che non
modifichino la volumetria e le caratteristiche dei rifiuti costituenti le
singole frazioni56
componenti l’insieme composito,
– direttamente nel luogo di produzione del rifiuto,
– prima o in coincidenza del raggruppamento formante il deposito temporaneo.
Ove condivisibile, questa ipotesi consentirebbe, direttamente allo stesso
produttore iniziale del rifiuto – senza bisogno di autorizzazione, in quanto
operante a monte del deposito temporaneo cui darà origine –, di costituire
distinti raggruppamenti delle frazioni costituenti il rifiuto «composito»57
prodotto, senza che ogni frazione : perda l’originaria natura «di rifiuto», muti
le proprie caratteristiche chimico-fisiche e senza aver svolto alcuna operazione
di “gestione” rifiuti, trovandosi ad operare a monte o in coincidenza con la
formazione del deposito temporaneo e nel corso della produzione del rifiuto.
E’ importante ripetere che non si ha la pretesa che l’imprenditore abbia
ottenuto – da una congerie di materiali disomogenei e di tipo diverso –
materiali “direttamente utilizzabili”, come viceversa (a titolo esemplificativo)
risultava essere accaduto nel caso trattato dalla sentenza Cass. pen. Sez. III,
(ud. 07-04-2009) 10-07-2009, n. 2845458.
Tutt’altro ! Si ha piena consapevolezza di trovarsi ancora nel “mondo dei
rifiuti”, nel quale si intende permanere.
A ciascun raggruppamento di rifiuti ottenuto con la cernita (ed a tal punto
collocato in deposito temporaneo), dovrà essere direttamente attribuito il
codice CER più adeguato: 17.05.04 (terre), 17.01.07 (miscugli o scorie di
cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, diverse……), 17.02.01 (legno), ecc., a
seconda del grado di separazione che il produttore sia riuscito a raggiungere.
Ogni tipologia di rifiuto dovrà poi essere avviata a recupero, o a smaltimento,
in conformità con il nuovo sistema di tracciabilità SISTRI59,
fin presso le pre-individuate ed idonee destinazioni finali.
Non avendo la pretesa che si tratti di un’ipotesi esente da critiche, vogliamo
ricordare direttamente che esistono tesi60
– tanto autorevoli quanto contrapposte, oltre che formatesi in periodi di
vigenza di norme diverse – volte a considerare la cernita (ma anche la
selezione) come non riconducibile al novero delle trasformazioni preliminari61
di rifiuti – in quanto non capace di modificare radicalmente le proprietà e le
caratteristiche del rifiuto (come avviene in esito ad operazioni di recupero
completo) –, così come non mancano filoni dottrinari secondo i quali – pur
considerando: cernita, selezione, separazione62
come le operazioni minimali incapaci di intervenire in modo radicale
sull'identità merceologica della sostanza – non possono essere eseguite
liberamente delle operazioni di cernita su di un materiale residuale, per
consentirne il suo « inserimento diretto » in un nuovo ciclo produttivo
(esulando dall’applicazione della disciplina vigente in materia di rifiuti).
Diciamo solo che la diatriba in questione, sembrerebbe non riguardarci troppo da
vicino, in quanto – l’abbiamo più volte ripetuto – non era e non è nostra
intenzione teorizzare o sponsorizzare metodologie finalizzate all’ottenimento di
materie prime secondarie, né tantomeno utili a volgere la prua per un approdo
sicuro nella darsena del “sottoprodotto”. Restiamo “al largo”, nel mare dei
rifiuti. Abbiamo (rectius: il nostro produttore iniziale di rifiuti ha) la
consapevolezza di permanere senza scampo nell’ambito della disciplina vigente in
materia di rifiuti (prima e dopo, con o senza, un’eventuale cernita degli
stessi); sentendoci remissivamente ed ugualmente appagati dalla possibile
conferma di poterli perlomeno “maneggiare”63,
a monte del deposito preliminare, con una certa tranquillità, riducendo – o
illudendoci di poter ridurre – le probabilità che ci sia qualcuno pronto ad
alzare il cartellino “giallo” di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), oppure
quello “rosso” di cui alla successiva lettera b)64.
Con tale obiettivo – a nostro avviso – abbastanza modesto, non ci allarma più di
tanto il richiamo alla cernita o alla selezione, operato dall’articolo 6, comma
8, del D.M. 5 febbraio 1998 e s.m.i., in quanto riferibile alla Messa in Riserva
di rifiuti: istituto diverso dal deposito temporaneo.
Neppure la nozione di trattamento65,
contenuta nel vigente D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, dovrebbe procurarci ansia o
insonnia, per quanto al proprio art. 2, comma 1, lettera h), lo si definisca
come: «i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di
cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il
volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il
recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza».
A tal riguardo, infatti, osserviamo subito che si tratta di una definizione
fornita agli scopi e per gli effetti di cui al decreto di «Attuazione della
direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti»; valevole, quindi,
solo per tale ambito66.
Subito dopo occorre evidenziare che – pur citandola espressamente – la norma in
esame contempla “una cernita” peculiare:
– consistente in un “processo fisico” idoneo a modificare le caratteristiche del
rifiuto;
– effettuata allo scopo di:
• ridurne il volume
• ridurne la natura pericolosa,
• facilitarne il trasporto,
• agevolarne il recupero,
• favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza.
Quindi, se è vero – ed è vero – che la definizione di trattamento del D.Lgs.
36/03 riguarda i «rifiuti»67,
è altrettanto innegabile che le ipotesi oggetto della presente trattazione: (a)
esulano dall’ambito di applicazione della normativa vigente in tema di
discariche, (b) si collocano a monte di quella che deve considerarsi una
gestione rifiuti, (c) non sono volte a facilitarne il trasporto68
e (d) sono meramente finalizzate – non ad agevolare il recupero, ma – alla
formazione più razionale ed ottimale di un deposito temporaneo realizzato per
categorie omogenee, in piena sintonia analogica con il divieto di miscelazione69
di cui all’articolo 187 del decreto 152/2006.
A proposito di quest’ultimo articolo70
(che considera vietato “mischiare” •categorie diverse di rifiuti pericolosi di
cui all'Allegato G71
alla parte quarta del decreto 152/06 e • rifiuti pericolosi con rifiuti non
pericolosi), parrebbe logico, ragionevole e preferibile cercare di ottimizzare
razionalmente il raggruppamento per categorie omogenee – obbligatorio per una
corretta formazione del deposito temporaneo – piuttosto che rischiare di
infrangere il divieto di miscelazione72
anzidetto. D’altronde, l’anomalia che più frequentemente viene confutata in
relazione a depositi temporanei irregolari (oltre alle questioni di durata) è
proprio la mancanza di una corretta divisione dei rifiuti73
e non certamente la “eccessiva” divisione degli stessi in frazioni originarie
separabili le une dalle altre; che, solo per questo, potrebbe essere quantomeno
tollerata, se non addirittura…ben vista !
Incidentalmente aiutati da altri autori74,
riteniamo quindi che la semplice cernita di rifiuti, effettuata a monte del
deposito temporaneo regolare75
possa e debba considerarsi attività liberamente effettuabile dal produttore
iniziale di rifiuti. Il tutto fino a motivata prova contraria!!
8 – Alcuni casi concreti
Siccome l’intento propostoci non era quello di prodigarsi in evanescenti
virtuosismi giuridici, bensì l’altro di far fronte a problematiche che
comunemente vengono a crearsi nell’ambito di attività comuni (sempre più
bisognose di corrette indicazioni sul come operare al meglio e nel pieno
rispetto della complessa normativa vigente in materia ambientale), cerchiamo di
fornire esempi concreti.
8.1 – Demolizione ed Escavazione nei cantieri
Quando, in un cantiere edile – dopo aver già effettuato eventuali demolizioni ed
aver correttamente allontanato dal cantiere il rifiuto “macerie” che può essersi
formato in loco, per non generare alcuna promiscuità –, ci si appresta ad
effettuare operazioni di escavazione del suolo (o, come spesso capita, del primo
strato di riporto) non è raro – Vds. nota 54 – che le imprese si trovino ad
estrarre un materiale eterogeneo costituito da una sorta di melogeno fra terre,
rocce e significative quantità di vecchie macerie edilizie, sfridi di travicelli
in legno, spezzoni di tubo, ecc.. Di questo però, abbiamo già avuto modo di
parlare nelle precedenti sezioni 6 e 7, alle quali facciamo rinvio, per non
stancare il già provato lettore.
8.2 – Attività di tranceria
Nelle trancerie capita di dover realizzare sagome aventi la stessa forma, pur se
necessariamente costituite da materiali diversi. Di conseguenza, l’attento
imprenditore impilerà – sotto la stessa fustella – più lamine o strati di
materiali diversi (ad esempio: gomma rossa, tela, cartoncino), al fine di
ottenere, con una sola azione di tranciatura, delle sagome esattamente
sovrapponibili, ma aventi caratteristiche e qualità meccaniche diverse.
Alla fine della lavorazione si saranno accumulati dei ritagli inutilizzabili,
composti da vari materiali (ad esempio: gomma rossa, tela, cartoncino),
formatisi tutti contemporaneamente e che il produttore iniziale dovrà porre in
deposito temporaneo nel corso del processo produttivo.
Appare scontato che quest’ultimo possa selezionare, e quindi cernere, i ritagli
di gomma, rispetto a quelli di cartoncino, distintamente dalla tela; per poi
raggruppare separatamente detti materiali di scarto, affinché abbia a formarsi
il relativo deposito temporaneo per categorie omogenee di rifiuti.
8.3 – Produzione di calzature
Anche nei calzaturifici si producono rifiuti a base di gomma, di ritagli di
pellame, cuoio, sfridi di leghe metalliche, ecc.
Per quanto possano anche prodursi da linee produttive diverse – compresenti
nello stesso stabilimento – non è escluso che dallo stesso macchinario si
producano scarti di gomma di colore – e quindi composizione – diverso, oppure
ritagli di pellami ben diversi fra loro (dalla pelle più pregiata, alla
similpelle).
Anche in questo caso appare logico e legittimo, ma anche ragionevole, che il
produttore iniziale di rifiuti, provveda a selezionarli, raggruppandoli
separatamente per creare o approvvigionare razionalmente il proprio deposito
temporaneo, sempre nel corso della produzione del rifiuto. Il tutto, senza avere
la pretesa ed auspicando che nessuno gli possa/voglia contestare l’effettuazione
– con la mera cernita-selezione-raggruppamento – di operazioni di recupero non
autorizzate.
8.4 – Attività di florovivaismo
L’attività del florovivaista non è semplice e, oltre agli effetti nefasti dovuti
alle stagioni avverse, possono anche verificarsi eventi di origine antropica che
gli impongano di doversi disfare di un gran numero di vasi con arbusti o piante
oramai divenuti non commerciabili76.
Ove non vi sia la convenienza o la possibilità di poter riutilizzare i
contenitori e la torba o il terreno in essi contenuti, non resta altro da fare
che destinarli all’abbandono.
In questo caso vorremmo sperare che tale produttore iniziale di rifiuti possa
organizzare il proprio deposito temporaneo separando i contenitori in plastica
dal terreno/torba, per provvedere a raggruppare le frazioni costituenti il
rifiuto composito per categorie omogenee: vasi di plastica da una parte e
terreno da un’altra.
8.5 – Altri
Dal posatore di vetri, all’elettricista, passando per il falegname, l’idraulico,
il marmista, il sarto, il tappezziere, il tipografo, ecc., le ipotesi in cui si
possa produrre un rifiuto “originariamente composito” non sono poche, così come
non mancano le ragioni per poter formare un deposito temporaneo operando una
intelligente ed utile operazione di cernita e raggruppamento, che permanga nel
“regno dei rifiuti”.
9 – Conclusioni
Anche se nel nostro complesso ordinamento giuridico non sono rare le
situazioni in cui è possibile sostenere tutto ed il contrario di tutto, questa
volta, con il buon senso e la ragionevolezza, ci sembra davvero condivisibile la
conclusione secondo cui sia lecito poter provvedere ad una cernita-selezione di
rifiuti per formare un più razionale deposito temporaneo, raggruppando
separatamente le frazioni componenti il rifiuto, senza dover chiedere ed
ottenere alcuna autorizzazione.
La cosa importante è che, assieme all’equilibrio ed all’assennatezza, ci si
giovi anche della pazienza e si attinga alla propria memoria, onde non scordarsi
cosa ci insegna l’articolo 183 che, da questo momento, lasceremo riposare, dopo
uno stress “da richiamo”, di non poco conto, cui l’abbiamo sottoposto.
La speranza – che è sempre l’ultima a morire – ci porta a confidare di esser
riusciti a prospettare soluzioni condivisibili, sapendo che, in caso contrario,
l’eventuale errore commesso giustificherebbe il naturale prosieguo del motivetto
iniziale, da completarsi, a tal punto, con un: «…come ho fatto non so!!…»; cui –
ahimè – potrebbero far eco le urla degli intenzionati ad esercitare la propria
facoltà di…. scagliare la prima pietra.
La prudenza, però – che allunga la vita ed è quindi sempre preferibile –,
suggerisce di rinsaldare le conclusioni tratte, irrobustendole con “iniezioni”
di provenienza europea, quale può considerarsi la sentenza della Corte di
Giustizia CE, Sez. II, 11 dicembre 2008, causa C387-07.
Al punto 26 di tale decisione si legge che: «…Ne discende che, sebbene la
direttiva 75/442 non imponga agli Stati membri di adottare misure specifiche che
obblighino il produttore di rifiuti alla cernita e al deposito separato dei
rifiuti, utilizzando a tal fine i codici dell’elenco allegato alla decisione
2000/532, al momento del loro deposito temporaneo, prima della raccolta, nel
luogo in cui sono prodotti, gli Stati membri sono tenuti ad adottare siffatte
misure qualora ritengano che esse siano necessarie per raggiungere gli obiettivi
fissati dall’art. 4, primo comma, della citata direttiva».
Ne consegue che – al di là ed indipendentemente da come l’Italia abbia adottato
le misure necessarie a raggiungere gli obiettivi fissati dall’art. 4 di quella
che era77 la
Direttiva 75/442 –, pur non essendo vietata78
la commistione generalizzata (da parte del produttore) di rifiuti riconducibili
a codici CER diversi, al momento del loro deposito temporaneo, la Corte di
Giustizia afferma che gli Stati membri – qualora ritengano che siano necessarie
per raggiungere gli obiettivi fissati dall’art. 4, primo comma, della suddetta
direttiva – sono tenuti ad adottare misure che obbligano il produttore di
rifiuti alla cernita e al deposito separato dei rifiuti al momento del loro
deposito temporaneo, prima della loro raccolta, nel luogo in cui sono prodotti,
utilizzando a tal fine i codici C.E.R..
Cernita che, appunto per questo, non può essere considerata un’operazione di
recupero, in quanto, come ricorda la Corte79,
il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, è
escluso dall’elenco delle operazioni qualificate dalla direttiva 75/44280
come operazioni di smaltimento o operazioni di recupero. Fra non essere (la
cernita) obbligatoria, ed essere vietata senza un’autorizzazione, la differenza
è grande e rafforza le nostre idee.
Rinfrancati da una conferma di livello europeo, ci auguriamo che la stessa –
come il fosforo – abbia un effetto positivo sulla memoria, tanto da non dover
più solfeggiare le note del nostro troppo vecchio «eppur mi son scordato di
te…».
(*) CONSULENTE LEGALE AMBIENTALE
Avvocato in Empoli (FI)
Membro dell’Associazione Giuristi Ambientali – Roma
Docente Master di II livello in Diritto dell’Ambiente
Università degli Studi di Bergamo Facoltà Giurisprudenza
Studio in Empoli, Via Antonio Ligabue, n. 2/a
avv.silvanodirosa@dirosambiente.it
* Consulente
Legale Ambientale
Avvocato in Empoli (FI)
Docente Master di II livello in Diritto dell’Ambiente
Università degli Studi di Bergamo Facoltà Giurisprudenza
avv.silvanodirosa@dirosambiente.it
1 Senza,
ovviamente, voler escludere quelle di altri organi di controllo competenti in
materia: N.O.E., C.F.S….
2 Rispetto al precedente lavoro: Quando meno te lo aspetti ti
vien detto di bonificare, Aprile 2010, www.dirosambiente.it,
www.giuristiambientali.it
3 Approvato dal Consiglio dei Ministri del 16 aprile 2010
4 Abbiamo detto minimalista per adeguarsi alla pesantezza dei
nostri giorni
5 Art. 183, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 152/2006
6 Per un approfondimento, si rinvia a: Magri Marco, Rifiuto e
sottoprodotto nell'epoca della prevenzione: una prospettiva di soft law, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2010, 1, 28; Taina Monica, Sottoprodotti di origine
animale: ancora un'interpretazione dei giudici italiani (nota a cass. pen. n.
45057/2008), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 3, 228; Giesberts Ludger; Kleve
L.M.; Kleve Guido, Un rifiuto non e' «per sempre »: la cessazione della
qualifica di rifiuto, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 1, 20; Boccia Maria
Grazia, Orientamenti della cassazione e della corte di giustizia in materia di
scarti animali, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 10, 898, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 11, 991; Balossi Miriam Viviana, Terre e rocce
da scavo quali sottoprodotti? una disamina della giurisprudenza in materia, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 10, 904; Vergine A.L.; Panella S.M., Rifiuti,
materie prime, sottoprodotti: una storia infinita (nota a cass. pen. n.
44295/2007), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 5, 443; Borzì Antonio, Rifiuto e
sottoprodotto: evoluzione e prospettive di riforma in ambito comunitario, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 5, 428; Medugno Massimo, Mps e sottoprodotti:
cambia lo scenario ma non la gestione operativa, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA,
2008, 4, 349; Garzia Giuseppe, Corte di giustizia, residui di produzione e nuova
definizione di sottoprodotto nel «correttivo», in Ambiente&Sviluppo, IPSOA,
2008, 4, 344; Maglia Stefano, Balossi Miriam Viviana, L'evoluzione del concetto
di sottoprodotto, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 2, 109
7 Per un approfondimento, si rinvia a: Taina Monica, Recupero
rifiuti, mancato rispetto dei 90 giorni per l'inizio attivita', sequestro
preventivo (nota a cass. pen. 2009 nn. 4532, 6564, 6904), in Ambiente&Sviluppo,
IPSOA, 2009, 5, 411; Garzia Giuseppe, La nozione giuridica del «recupero » dei
rifiuti: il quadro vigente e le prospettive di riforma, in Ambiente&Sviluppo,
IPSOA, 2008, 1, 35.
8 Per un approfondimento: Cass. pen. Sez. III, (ud. 30-09-2008)
09-12-2008, n. 45447 e 45448, ove si legge : « il luogo di produzione dei
rifiuti rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi del
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. m), non è solo quello in
cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello in disponibilità dell'impresa
produttrice nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente
collegato a quello di produzione. (Fattispecie nella quale il deposito dei
rifiuti non avveniva nel luogo di produzione ma in un terreno non recintato di
proprietà di terzi, adiacente a quello in cui era ubicato lo stabilimento
dell'impresa produttrice dei rifiuti)". (Sez. 3, 11 luglio 2007, n. 35622, Pili,
m.237388)». Vds anche Cass. pen. Sez. III, (ud. 11-07-2007) 27-09-2007, n. 35622
in cui si sostiene che : «in via di principio che la contiguità tra luogo di
produzione del rifiuto e luogo che sia comunque nella disponibilità dell'impresa
produttrice dello stesso, ancorchè il primo e non il secondo sia recintato,
consente di estendere al secondo, ove funzionalmente legato al primo, la
qualificazione utile per la individuazione della nozione di deposito temporaneo»
9 Per un approfondimento, si rinvia a: Taina Monica, Deposito
temporaneo: ancora chiarimenti sul luogo di produzione (nota a cass. pen. n.
9856/2009), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 6, 517; Paone Vincenzo, Obblighi
e sanzioni in tema di produzione e deposito temporaneo dei rifiuti, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 4, 321; Balossi Miriam Viviana, Deposito
temporaneo di rifiuti: i requisiti del luogo di produzione (nota a cass. pen. n.
35622/2007), 2008, 3, 216. Vds. anche Cass. pen. Sez. III, (ud. 14-03-2007)
19-04-2007, n. 15997.
10 Cfr. Cass. pen. Sez. III, (ud. 03-03-2010) 23-04-2010, ove
si legge: « …la Direttiva Comunitaria 2008/98 nella quale, come accennato, si è
introdotta per la prima volta la nozione di deposito temporaneo essendosi
precisato al quindicesimo " considerando" che "occorre operare una distinzione
tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la
raccolta dei rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento. Gli
enti o le imprese che producono rifiuti durante la loro attività non dovrebbero
essere considerati impegnati nella gestione dei rifiuti e soggetti ad
autorizzazione per il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta»
11 Nel senso che può essere svolta senza bisogno di alcun
titolo abilitativo di cui al Titolo I, Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006. Vds
Cass. pen. Sez. III, (ud. 06-07-2007) 13-09-2007, n. 34768; Cass. pen. Sez. III,
(ud. 14-03-2007) 19-04-2007, n. 15997 ; Cass. pen. Sez. III, (ud. 11-10-2006)
30-11-2006, n. 39544, ove si legge : …il deposito temporaneo esula dalle
operazioni di smaltimento e in genere da tutta l'attività di gestione dei
rifiuti, costituendo una operazione preliminare o preparatoria alla gestione, e
- come tale - è libero, anche se è pur sempre soggetto al rispetto dei principi
di precauzione e di azione preventiva…
12 Cfr. Cass. pen. Sez. III, (ud. 08-06-2007) 05-09-2007, n.
33866, ove si legge : « il deposito temporaneo, nell'attuale normativa, continua
a caratterizzarsi come una forma del tutto peculiare di stoccaggio che precede
ogni e qualsiasi fase delta gestione (raccolta, trasporto, smaltimento,
recupero) e non rientra, pertanto, nel concetto di gestione in quanto si
configura sostanzialmente come un prolungamento dell'attività dalla quale si
originano i rifiuti.»
13 Cfr. Cass. pen. Sez. III, (ud. 20-05-2008) 04-07-2008, n.
27073, ove si legge che il deposito temporaneo : «esula dall'attività di
gestione dei rifiuti, costituendo un'operazione preliminare o preparatoria alla
gestione, il deposito temporaneo che è comunque soggetto al rispetto dei
principi di precauzione e di azione preventiva con il conseguente divieto di
miscelazione e obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico, inteso quale
raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono
prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dal D.Lgs. n. 152 del 2006,
art. 183, lett. m)»
14 Produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che
effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, oppure
produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta
e trasporto di trenta chilogrammi o trenta litri al giorno dei propri rifiuti
pericolosi, a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed
accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti.
15 Non è richiesta l'iscrizione all'Albo per il trasporto dei
propri rifiuti nel caso in cui lo stesso sia esclusivamente finalizzato al
conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con
il quale sia stata stipulata una convenzione (Vds. articolo 212, comma 8, ultimo
periodo)
16 Ove si prevede che l'iscrizione all'Albo è requisito per lo
svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi e
di rifiuti pericolosi
17 Per il quale non c’è più bisogno di richiamare
l’appartenenza al D.Lgs. 152/2006
18 Compreso il controllo di queste operazioni, nonché il
controllo delle discariche dopo la chiusura
19 Il deposito temporaneo “regolare”
20 Pur trattando di Ecopiazzole
21 Per un approfondimento, si rinvia a: Quaranta Andrea, Il
deposito temporaneo irregolare è un'operazione di recupero (dell'incertezza
giuridica ...), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2006, 12, 1105; Paone Vincenzo, Il
deposito temporaneo e' un'operazione di recupero rifiuti?, in Ambiente&Sviluppo,
IPSOA, 2006, 7, 629
22 Verso il quale ci permettiamo un approccio oramai
confidenziale: caro articolo 183.
23 Effettuabile soltanto da parte di soggetto “autorizzato”
24 Sempre interno allo stabilimento
25 Anche solo manuale, o con mezzi meccanici elementari che
non modifichino la forma e le caratteristiche dei materiali. Vds. successiva
nota 56.
26 Sempre interno allo stabilimento
27 Per un approfondimento, si rinvia a: Maglia Stefano -
Balossi Miriam Viviana, Prime osservazioni al "decreto sistri" (d.m. 17 dicembre
2009), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2010, 2, 110; Paone Vincenzo, Il regime
autorizzatorio del trasporto di rifiuti propri non pericolosi (nota a cass pen.
n. 9465/2009), in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 6, 510; Maglia Stefano -
Labarile Maria Anna, Trasporto di rifiuti di cartucce e toner: prime riflessioni
sul nuovo d.m. 22 ottobre 2008, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 1, 15; Paone
Vincenzo, Trasporto di rifiuti e iscrizione nell'albo delle imprese di
smaltimento, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2007, 7, 605; Albertazzi Bernardino,
La nuova disciplina dell'albo nazionale gestori ambientali, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2006, 12, 1097.
28 Ci riferiamo a: Giesberts Ludger; Kleve LL.M.; Kleve Guido,
Un rifiuto non è «per sempre»: la cessazione della qualifica di rifiuto, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 1, 20
29 Quella pubblicata nella Gazz. Uff. 14 aprile 2006, n. 88,
S.O.
30 Alla lettera h) del primo comma dell’originario articolo
183
31 Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 gennaio 2008, n. 24, S.O.
32 Data di entrata in vigore del citato correttivo
33 Muovendo dalle ipotesi sostenute in Cass. pen. Sez. III, (ud.
09-10-2007) 18-10-2007, n. 38514, riteniamo sia possibile giungere a dimostrare
un’opposizione nelle conseguenze ivi tratte. Quindi, se dalla sentenza in esame
emerge che: « Quanto al consistente materiale proveniente da demolizioni edili,
non vi è dubbio che si sia in presenza di rifiuti, che restano tali sino al
completamento delle attività' di separazione e cernita, in quanto la disciplina
in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle
operazioni di recupero, tra le quali il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183,
lett. h) indica la cernita o la selezione.», dal momento in cui queste ultime
operazioni non fanno più parte della definizione di recupero, le stesse, di per
sé, non determinano il prodursi di materie prime secondarie, tanto da poterle
effettuare su dei rifiuti senza che questi modifichino la propria natura e senza
che le si possano considerare operazioni di recupero; quindi attività «libere».
34 La cernita di rifiuti rimane solo nella definizione di
«recupero dei rifiuti generati da imballaggi» fornita ancora oggi dall’articolo
218, comma 1, lettera m), dello stesso decreto 152/2006, ma valevole per la
gestione degli imballaggi
35 Contenente l’elenco delle operazioni di recupero come
avvengono nella pratica
36 Magari rileggendo oggi le approfondite considerazioni del
Prof. Stefano Maglia – in Considerazioni sul concetto di «trattamento» nella
gestione dei rifiuti, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2007, 2, 83 – alla luce
dell’evoluzione definitoria del nuovo concetto di recupero.
37 Borzì Antonio, in La «complessa» nozione di «rifiuto» del
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2006, 7, 617) con
riferimento alla pregressa definizione di recupero, asserisce come essa andrebbe
letta nel senso che la cernita e la selezione rappresentano solo delle fasi di
operazioni di recupero più complesse, o quanto meno nel senso che esse non
possono costituire operazioni di recupero idonee ad escludere l'applicazione
della disciplina sui rifiuti (a meno che non siano da sole sufficienti a dar
vita a MPS non distinguibili dalle ordinarie materie prime). Vds. anche Sanna
Mauro, Carta e rottami ferrosi dopo la cernita continuano a considerarsi
rifiuti, in www.industrieambiente.it, 2008. Tratta di un caso particolare il
Prof. Franco Giampietro, in D.M. 22 maggio 2001: rifiuti alimentari sbarcati da
navi ed aerei caso particolare, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2002, 2, 132.
38 Sul Dizionario della lingua italiana Treccani
39 Che deve essere quello di produzione dei rifiuti
40 Operazioni di smaltimento come avvengono nella pratica
41 D1 Deposito sul o nel suolo; D2 Trattamento in ambiente
terrestre, D3 Iniezioni in profondità; D4 Lagunaggio; D5 Messa in discarica
specialmente allestita; D6 Scarico dei rifiuti solidi nell'ambiente idrico
eccetto l'immersione; D7 Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo
marino; D8 Trattamento biologico…., che dia origine a composti o a miscugli che
vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12;
D9 Trattamento fisico-chimico…. che dia origine a composti o a miscugli
eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12; D10
Incenerimento a terra; D11 Incenerimento in mare; D12 Deposito permanente.
42 Per un approfondimento rinviamo a: Maglia Stefano - Balossi
Miriam Viviana, Prime osservazioni al "decreto sistri" (d.m. 17 dicembre 2009),
in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2010, 2, 110.
43 Dal deposito temporaneo regolare
44 Tanto per non usare sempre lo stesso termine: cernita
45 Dall’articolo 183, comma 1, lettera e).
46 Presso il luogo di produzione, attribuendovi il codice
C.E.R. più adeguato
47 Entro i tempi e nel rispetto delle condizioni di cui
all’art.183.1, lettera m), D.Lgs. 152/2006
48 Che, abbiamo visto, è definita come l’operazione di
prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto.
49 Ancora per poco …sul registro di carico e scarico…,
nell’imminenza del sistema SISTRI
50 Indispensabile alla quantificazione della massa di rifiuto
prodotto
51 Indispensabile alla quantificazione della massa di rifiuti
avviati alla fase di trasporto e successive
52 Il rapporto con il produttore iniziale di rifiuti è
divenuto così stretto da consentirci toni confidenziali!!
53 Cass. pen. Sez. III, (ud. 15-05-2007) 22-06-2007, n. 24722
ove si legge: Ora per deposito controllato si intende un raggruppamento di
rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti quando
siano presenti precise condizioni relative alla qualità dei rifiuti, al tempo di
giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto di norme
tecniche.
54 Composto da un miscuglio originario di terre, rocce, sfridi
di vecchie macerie edilizie, parti di legno, plastica ecc., nel quale ci si può
imbattere andando a scavare in cantieri edili nelle città che hanno vissuto
l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale
55 Inteso come soggetto che, scavando un vecchio materiale di
riporto in un cantiere edile, diviene produttore del rifiuto che si genera dal
distacco materiale delle parti di riempimento che – di volta in volta – vengono
asportate dalla benna dell’escavatore, con materiale distacco delle stesse dal
bene presente in loco con funzione strutturale di basamento edilizio.
56 Quindi non attraverso macchinari che la Giurisprudenza [Cass.
pen. Sez. III, (ud. 10-05-2007) 18-06-2007, n. 23709] ha ritenuto incompatibili
con la gestione statica di un deposito temporaneo. In quel caso, presso il
deposito temporaneo – ma probabilmente a valle di questo – venivano impiegati un
impianto per la compattazione di rifiuti e due impianti destinati allo
schiacciamento di imballi e fusti di metallo, determinanti modificazione
volumetrica e delle caratteristiche del rifiuto. Vds. anche Cass. pen. Sez. III,
(ud. 21-06-2007) 25-09-2007, n. 35513 con la quale si conferma che non si può
parlare di mero deposito temporaneo quando risulti: «dimostrato...che sul posto
sarebbe stata svolta un'attività di recupero intermedio di rifiuti, distinta e
ulteriore rispetto alla mera gestione statica di un deposito di rifiuti sul
luogo di produzione degli stessi»
57 Terre, rocce, sfridi di vecchie macerie edilizie, parti di
legno, plastica ecc
58 In cui la Suprema Corte ha annullato la sentenza del
Giudice di prime cure, in quanto – pur trattandosi di macerie edilizie – avrebbe
dovuto spiegare (non in astratto ma in concreto) perché quel determinato e
specifico tipo di residuo necessitasse di preventivi trattamenti ed operazioni
di recupero, prima di essere subito reimpiegato nell'ambito dello stesso
cantiere per realizzare il sottofondo di un capannone e di un piazzale o
quantomeno ipotizzare che il riutilizzo del materiale in questione, tal quale,
comportasse un reale pericolo per l'ambiente. Secondo il Giudice di Legittimità,
il giudice di merito avrebbe dovuto anche valutare se, nel caso concreto,
sussistessero le condizioni per qualificare il materiale in questione come
sottoprodotto.
59 Salvo il possibile slittamento al 14 gennaio 2012 che
potrebbe verificarsi per alcune categorie imprenditoriali nel caso in cui
venisse formalmente approvato l’emendamento approvato dalla Prima Commissione
permanente della Camera dei Deputati al disegno di legge n. C 3209-bis-A
(concernente Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti tra la
Pubblica Amministrazione ed i cittadini) nel corso della seduta del 20 maggio
2010: rinvio di circa 18 mesi dell’operatività del sistema di tracciabilità
SISTRI (D.M. 17 dicembre 2009) per le imprese che occupano fino a 10 dipendenti
e che producono fino a 300 kg/anno o 300 litri/anno di rifiuti pericolosi.
60 Riferendoci a quelle possibiliste di Pasquale Giampietro,
in La Corte di Giustizia amplia la nozione di rifiuto limitando il riutilizzo
del «tal quale», in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2003, 1, pag. 64; così come in
Interpretazione autentica della nozione di rifiuto: controdeduzioni ai rilievi
della commissione CE, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2003, 2, 105 ed all’altra più
rigida di Vincenzo Paone, in I sottoprodotti tra diritto comunitario, testo
unico e«secondo decreto correttivo», 2008, 6, 513.
61 Per un approfondimento: Medugno Massimo, Mps e
sottoprodotti: cambia lo scenario ma non la gestione operativa, in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 4, 349; Paone Vincenzo, I sottoprodotti tra
diritto comunitario, testo unico e «secondo decreto correttivo», in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2008, 6, 513; Borzi Antonio, La «complessa» nozione di
«rifiuto» del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2006,
7, 617.
62 Ma anche vagliatura ed adeguamento volumetrico
63 Si rinvia alla successiva sezione 8
64 Art. 256 – 1. Chiunque effettua una attività
di…….recupero,…… in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o
comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è
punito: a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
65 Per un approfondimento, si rinvia al nostro: Maglia Stefano
- Taina Monica, Considerazioni sul concetto di «trattamento» nella gestione dei
rifiuti, in Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2007, 2, 83
66 Consapevoli che altri autorevoli giuristi la pensano
diversamente
67 Quindi l’ambito è quello giusto, in quanto non stiamo
discutendo di sostanze residuali con la pretesa che, se ed in quanto
qualificabili come sottoprodotti, sfuggano all'area del rifiuto.
68 Quelle sarebbero le operazioni di raccolta effettuate ai
sensi dell’art. 183, comma 1, lettera e).
69 Per un approfondimento: Balossi Miriam Viviana, La
miscelazione di rifiuti e i suoi limiti (nota a cass. pen. n. 19333/2009), in
Ambiente&Sviluppo, IPSOA, 2009, 9, 792; Sanna Mauro, Miscelare non è recuperare,
in ww.industrie ambiente.it. Cfr. anche: Cass. pen. Sez. III, (ud. 03-03-2010)
23-04-2010, n. 15680 e Cass. pen. Sez. III, (ud. 11-10-2006) 30-11-2006, n.
39544, ove si ribadisce che anche per il deposito temporaneo è previsto un
divieto di miscelazione dei rifiuti.
70 L’articolo 187 « Divieto di miscelazione di rifiuti
pericolosi »
71 Si tratta delle 40 categorie o tipi generici di rifiuti
pericolosi elencati in base alla loro natura o all'attività che li ha prodotti
72 Costituita da un'attività di unione e mescolatura dei
rifiuti, attuata in modo indistinto, tanto che l'effetto dell'operazione è
quello di rendere complessa, se non addirittura impossibile, la materiale
distinzione tra le varie categorie di rifiuti. Oppure: mescolanza, volontaria o
involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi
in modo da dare origine ad una miscela per la quale, invece, non esiste uno
specifico codice identificativo
73 Cfr. Cass. pen. Sez. III, (ud. 11-03-2009) 11-05-2009, n.
19883
74 Giesberts Ludger; Kleve LL.M.; Kleve Guido, Un rifiuto non
è «per sempre»: la cessazione della qualifica di rifiuto, cit., che ci ricordano
come la corte amministrativa federale tedesca (Bundesverwaltungsgericht) ha
stabilito che la separazione e la cernita degli stracci nelle loro varie
tipologie non rappresenta ancora un'operazione di recupero completo. In una
situazione dove ovviamente si trattava della determinazione della cessazione
della qualifica di rifiuto dei capi di vestiario usati: cosa che esorbita
dall’ambito della nostra trattazione, che non ha la pretesa di uscire dal “mondo
dei rifiuti” per avviare materiali direttamente ad uno specifico scopo o impiego
produttivo
75 Quindi, nel luogo di produzione e prima dell’inizio della
fase di raccolta, oltre che senza alcuna pretesa che ciò determini il prodursi
di materiali non più qualificabili come rifiuti
76 L’uso di un fertilizzante improprio o l’involontario ed
accidentale scambio di prodotti desiderati con altri indesiderati, potrebbe
compromettere intere partite di piante già invasate, con l’impossibilità di
riutilizzare anche terreno/torba presente nei vasi ed anche questi ultimi.
77 Che deve considerarsi abrogata con effetto dal 12 dicembre
2010, in forza di quanto stabilito dall’articolo 41 della Direttiva 2008/98/CE
del 19 novembre 2008
78 Salvo le previsioni di divieto di cui all’articolo 187
D.Lgs. 152/2006, di cui si è già detto
79 Al punto 21 della sentenza in esame
80 Vds. nota n. 77
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 04/05/2010