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Controversie telefoniche. Ancora sulla necessità del tentativo di conciliazione. Inammissibilità o improcedibilità della domanda?
 

LUIGI VINGIANI

 

 


Con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Nocera Inferiore avv.Vincenzo Iannucci , ha disposto la restituzione delle somme indebitamente percepite dal precedente gestore telefonico a seguito di sostituzione dello stesso con altro operatore ed in particolare, ha aderito a quella tesi giurisprudenziale (Cfr. Sentenza Tribunale di Nola del 16 Maggio 2007) secondo cui non è necessario il preventivo tentativo di conciliazione.
La società convenuta aveva eccepito l’improponibilità della domanda richiamando l'art. 1, comma 11, della legge n. 249 del 1997 – il quale, nell'attribuire all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di disciplinare con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra utenti ed organismi di telecomunicazioni, ha disposto che per tali controversie «non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione» – nonché gli artt. 3, 4 e 12 del regolamento adottato dalla medesima Autorità, in attuazione della predetta disposizione legislativa, con la deliberazione n. 182/02/CONS, i quali, rispettivamente, stabiliscono: «gli utenti […] ovvero gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell'Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio» (art. 3); «il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione» (art. 4); l'utente ha «la facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Corecom […], un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della Commissione 2001/310/CE» (art. 12).
Il Giudicante ha rilevato che la normativa di cui alla delibera dell’Autorità n° 182/2002 Cons non può trovare applicazione nella fattispecie in questione, atteso che, il tentativo di conciliazione, in quanto norma speciale non suscettibile d’interpretazione estensiva risulta circoscritto alle controversie aventi ad oggetto diritti tutelati da accordi di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni e non per la tutela di un diritto soggettivo protetto da una norma di legge.
Peraltro, la stessa delibera n°182/2002 nel provvedere che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sia effettuata presso i Co.Re.Com la subordina alla data di effettivo esercizio delle funzioni delegate art. 1 comma 3, di tal che la previsione di legge non può ritenersi vincolante di fronte alla concreta impossibilità di attivare il tentativo di conciliazione per mancata istituzione nella Regione di residenza del cliente dell’organo competente al suo espletamento, circostanza pacificamente non contraddetta dalla difesa di parte appellante.
Con riguardo al merito della questione, alcuni giudici di merito hanno dubitato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, della legittimità dell’art. 1, comma undici, della Legge n. 249/1997 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) e degli artt. 3, 4 e 12 della deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 19 giugno 2002 n. 182/02/CONS (Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti) nella parte in cui tali norme stabiliscono che, per le controversie inerenti ai rapporti tra utenti ed organismi di telecomunicazioni, può essere proposto ricorso giurisdizionale solo dopo che sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom) competente per territorio.
Secondo tali giudici, le disposizioni normative in precedenza richiamate, richiedendo che l’utente esperisca il tentativo di conciliazione prima di proporre ricorso in sede giurisdizionale, violerebbero il principio di eguaglianza, in quanto renderebbero “meno uguali” i cittadini che intendono convenire in giudizio società come la Telecom, obbligandoli ad un esperimento dilatorio e defatigante (tenuto conto che i Corecom sono localizzati solo nei capoluoghi di regione e che la procedura appare abbastanza complessa).
D’altro canto le norme censurate si porrebbero in contrasto con il principio costituzionale sancito nell’art. 24, secondo il quale “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” e con il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).
La Corte Costituzionale con ordinanza 24.03.2006 n° 125 ha ribadito che il Giudice investito del giudizio principale, prima di rimettere gli atti alla Corte, ha il dovere di tentare di individuare una interpretazione conforme alla Costituzione della norma denunciata (Corte Costituzionale, ordinanza n. 427/2005), in particolare ha evidenziato che Il giudice a quo, nell’ordinanza di rimessione, non deve formulare in modo apodittico le censure di manifesta illegittimità delle norme, dovendo fornire adeguata motivazione dell’iter logico – giuridico che lo ha portato a sollevare la questione e motivando in ordine all’esatto contenuto della norma (ritenuta illegittima!) ed alla qualificazione che egli ha scelto (ex plurimis Corte Costituzionale, ordinanze nn. 372/1999 e 456/1992).
A parere dello scrivente è opportuno richiamare i principi di diritto sopra dedotti e si ritiene che l’unica interpretazione conforme a Costituzione, è quella di leggere il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di mera procedibilità dell’azione, (così come, peraltro, lasciato intuire dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza richiamata) e non anche di proponibilità della stessa.
In definitiva si deve affermare che “il tentativo obbligatorio di conciliazione deve intendersi obbligatorio soltanto rispetto al particolare procedimento coltivato dall’utente innanzi all’Autorità di Garanzia (per il quale esso costituisce condizione di proponibilità), ma non condiziona l’eventuale azione giudiziaria che il privato intenda promuovere avanti alla A.G.O. nei confronti del gestore di telefonia, essendo soltanto preclusa, per il privato stesso, la possibilità di adire il giudice ordinario sino a che non sia concluso il tentativo di conciliazione precedentemente promosso avanti il Garante delle Comunicazioni” ( cfr. Giudice di Pace di Torre Annunziata, sentenza 14/11/2005 Biesuz, Canone Telecom: clausola vessatoria e diritto alla restituzione dell’indebito).
Qualificato il tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità dell’azione.ritiene il giudicante che nella fattispecie si ravvisa una situazione analoga a quella disciplinata per la cognizione di tutte le controversie individuali di lavoro per le quali il legislatore, ha individuato uno strumento alternativo al ricorso al giudice e lo ha ritenuto opportuno anche per esigenze di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso al fine di evitare un ulteriore aggravamento della gestione degli uffici giudiziari . La norma applicabile ,in via analogica è quella di cui all’art. 412 bis c.p.c. –
Alla luce delle suesposte considerazioni , ne consegue che il meccanismo della condizione di procedibilità è il seguente:
se il giudice rileva che il tentativo non è stato promosso, o che la domanda giudiziale è stata proposta prima della scadenza del termine di 90 giorni, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di 60 giorni per promuovere il tentativo.
Una volta espletato il tentativo, o decorso il termine di 90 giorni, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di 180 giorni.
Ove ciò non avvenga, il giudice dichiara la estinzione del processo con decreto, reclamabile ex art. 308 c.p.c..
Infine, non è inopportuno precisare, che la giurisprudenza in merito alle controversie di lavoro, ha prevalentemente ritenuto che il tentativo di conciliazione vada sempre effettuato, poichè l' art. 412 bis, 6 ° comma c.p.c. esclude espressamente il previo tentativo solo “'per i provvedimenti speciali d'urgenza e quelli cautelari previsti dal capo III del titolo I del libro IV" e ciò, evidentemente, in ragione delle specifiche caratteristiche del procedimento considerato.
Infine per completezza espositiva si sottolinea che nel merito il Giudicante ha precisato che nessun gestore telefonico può addebitare servizi non richiesti richiamando la decisione del Tribunale di Genova Sezione VI Sentenza n°4005 del 04.11.2006.

 

 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI NOCERA INFERIORE


In persona del Giudice Avv. Vincenzo Iannucci, ha pronunciato la seguente


S E N T E N Z A


Nella causa iscritta al n° 7779/07 R.G. avente ad oggetto: Restituzione Somme e Risarcimento Danni.


T R A


Manfredini Lidia nata a Scafati il 18.11.1966 e residente in Scafati alla Via della Resistenza 4° trav. n°6, C.F. MNF LDI 66S58 I483D ed elettivamente domiciliata in Scafati alla Via Monte Grappa n°11 presso lo studio dell’ Avv. Vincenzo Barbato che la difende e rappresenta come da mandato in atti.

ATTORE


E


TELECOM ITALIA S.p.A. in persona del Legale Rapp.te pro-tempore Dr. Amedeo Parente con sede in Milano alla P.zza degli Affari n°2, rappresentata e difesa come da mandato in atti dall’ Avv. Jean Iacques Kerambrun ed elettivamente domiciliata in Salerno al C.so Garibaldi n°154 presso lo studio dell’ Avv. Giovanni De Martino.

CONVENUTA


Conclusioni delle parti: All’udienza relativa le parti costituite concludevano riportandosi alle rispettive richieste e domande formulate nei propri atti e scritti difensivi, di cui chiedevano l’accoglimento


S V O L G I M E N T O d e l P R O C E S S O


Con atto di Citazione ritualmente notificato in data 1 Agosto 2007, a mezzo dell’Ufficiale Giudiziario del Tribunale di Nocera Inferiore, la Sig. Manfredini Lidia conveniva in giudizio la Telecom Italia S.p.A. premettendo: di essere titolare dell’utenza telefonica n°081-8504650 e che
nel mese di Marzo del 2005 provvedeva ad attivare il servizio Wind Infostrada; che con tale Tipologia di contratto era consentito un risparmio sulle chiamate locali, nazionali, internazionali ed internet; che a seguito di tanto la Telecom con nota del 21.03.2005 prendeva atto della richiesta e precisava:”..pertanto dal 16.03.2007 tutte le sue telefonate..saranno effettuate automaticamente con Wind Telecomunicazioni S.p.A. che provvederà anche ad inviarle, per tali chiamate la relativa fattura”; nonostante ciò la Telecom continuava a richiedere somme non dovute per i successivi bimestri imputandoli a voci quali: Servizi telefonici supplementari, tutto 4 Star e servizio di informazione con prezzo fisso. Tali costi sono dettagliatamente descritti nei conti telecom n°3/05, riferito al periodo febbraio/marzo 2005; n°4/05 riferito al periodo aprile/maggio 2005; n°6/05 riferito al periodo giugno/luglio 2005 e n°1/06 riferito al periodo ottobre/novembre 2005, il tutto per un totale di € 46,95.
Che l’attrice proponeva richiesta di conciliazione prevista dall’art.35 delle condizioni generali di abbonamento, onde ottenere quanto illegittimamente richiesto e pagato.
Tanto premesso la Sig. Manfredini Lidia citava la Telecom Italia S.p.A. a comparire innanzi a questa Giustizia onde sentirla condannare alla restituzione della somma di € 46,95 oltre interessi; nonché la condanna della medesima convenuta al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa, secondo il disposto di cui all’art.114 disp. Att. Cod. Civ., e comunque sempre di competenza di questo Giudicante.
All’udienza di prima comparizione si costituiva la convenuta Telecom Italia S.p.A. impugnando e contestando quanto ex adverso dedotto e sollevando eccezioni di rito e di merito, in particolare eccepiva l’improponibilità ed improcedibilità della domanda, per mancato esperimento del tentativo di conciliazione previsto dagli artt.3 e 4 della delibera n°182/2002 Cons: e la incompetenza per valore del giudice adito e nel merito la infondatezza della domanda attorea per essere stato legittimo il comportamento avuto nell’occasione dalla Telecom Italia S.p.A.
Nel corso dell’istruttoria, ritenuta la causa provata per tabulas, acquisita la documentazione prodotta, precisate le conclusioni come in epigrafe riassunte, questo Giudice tratteneva la causa in decisione, concedendo giorni 20 per deposito memorie conclusionali.


M O T I V I d e l l a D E C I S I O N E


Preliminarmente và ricordato che il Decreto Legge dell’8 Febbraio 2003, convertito con la Legge 7 Aprile 2003 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n°84 del 10 Aprile 2003, entrata in vigore l’ 11 Aprile 2003, ha definitivamente chiarito che il Giudice di Pace, decide secondo equità le cause il cui valore non eccede 1.100,00 Euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del Codice Civile
Preliminarmente deve rilevarsi che le eccezioni di rito di improponibilità e/o improcedibilità così come eccepite dalla convenuta Telecom Italia S.p.A., per mancato preventivo esperimento del tentativo di conciliazione vanno rigettate perché infondate.
Rileva questo Giudicante che la delibera n° 182/2002 Cons., all’art.3 prevede che “ gli utenti singoli o associati ovvero gli organi di telecomunicazione, che lamentino la violazione di un proprio diritto privato o dalla norma in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’autorità e che intendono agire in giudizio, sono tenute a promuovere preventivamente il tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM competente per territorio”, e la Regione Campania ha istituito il CORECOM- Comitato Regionale per le Comunicazioni- con Legge Regionale n°9 del 01.07.2002 ma, detto organo di conciliazione non è ancora operante, e la conciliazione presso altri organismi- Camera di Commercio- è facoltativa ex art.12 della delibera 182/02 del COM.
Appare inoltre opportuno evidenziare che il mancato tentativo di conciliazione non possa mai comportare la improcedibilità della domanda con il conseguente rigetto della stessa.
Infatti, mancando disposizioni riguardo alla sanzione conseguente al mancato tentativo di conciliazione, va fatta applicazione, per analogia iuris, della simile disposizione di cui all’art.412 bis del c.p.c. Pertanto, in presenza di un CO.RE.COM svolgente effettivamente le funzioni delegate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il rilievo d’ufficio o l’eccezione sollevata da una parte del mancato tentativo di conciliazione comporterebbe esclusivamente la sospensione del giudizio con fissazione alle parti di un termine perentorio per promuovere lo stesso.
Rileva questo Giudicante che la predetta normativa non può trovare applicazione nella fattispecie in questione, atteso che, il tentativo di conciliazione, in quanto norma speciale non suscettibile d’interpretazione estensiva risulta circoscritto alle controversie aventi ad oggetto diritti tutelati da accordi di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni e non per la tutela di un diritto soggettivo protetto da una norma di legge.
In tal senso il Tribunale di Nola precisa ” Nulla autorizza- stante la natura della norma, la quale influendo sulla tutela concreta dei diritti, non può che essere in suscettibile di interpretazioni analogiche- a ritenere assoggettate al tentativo di conciliazione tutte le controversie in cui sia parte un esercente l’attività di telecomunicazioni, ovvero ogni controversia che deriva, comunque, da rapporto instaurato per effetto del contratto di abbonamento.”
Ed ancora il Tribunale di Nola ribadisce:” Peraltro, la stessa delibera n°182/2002 nel provvedere che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sia effettuata presso i Co.Re.Com la subordina alla data di effettivo esercizio delle funzioni delegate art. 1 comma 3, di tal che la previsione di legge non può ritenersi vincolante di fronte alla concreta impossibilità di attivare il tentativo di conciliazione per mancata istituzione nella Regione di residenza del cliente dell’organo competente al suo espletamento, circostanza pacificamente non contraddetta dalla difesa di parte appellante”Tribunale di Nola Sez. Civile Sent. del 16 Maggio 2007.
La domanda è risultata proponibile, ammissibile e procedibile, atteso che l’attore ha fornito prova di aver adempiuto agli obblighi di cui agli artt.163 e 163 bis c.p.c..
Considerato che la materia oggetto del presente giudizio è senz’altro complessa sia per la configurazione contrattuale dell’utenza telefonica e sia per il particolare regime probatorio cui fa riferimento, infatti il contratto di utenza telefonica deve inquadrarsi tra i contratti di somministrazione previsti dall’art.1559 Cod. Civ., ad esecuzione continuata, rientra tale tipo di contratto nella categoria dei contratti cosiddetti per adesione con la particolarità che lo schema non è predisposto solo dalla concessionaria, ma è in parte direttamente fissato da provvedimenti legislativi od amministrativi, pur conservando sempre la sua natura contrattuale di diritto privato. Cass. Civ. Sez. Unite n°5613 del 29.11.1978.
Poiché è pacifico che trattasi di un contratto sinallagmatico, l’emissione della fattura periodica non può apparire come un negozio di accertamento, inteso a rendere certa ed incontestabile l’entità della periodica somministrazione e la quantificazione del relativo corrispettivo dovuto dall’utente, ma si configura solo come un atto unilaterale di mera natura contabile, diretto a comunicare e far risultare all’utente, al fine di ottenere il pagamento- consumo – secondo precise scadenze, le prestazioni già eseguite secondo la conoscenza ed il convincimento dell’emittente, che resta rettificabile in caso di divergenza con dati reali senza che per la sua contestazione debba trovare applicazione la disciplina circa l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore prevista dall’art.1428 Cod. Civ. per gli atti di natura negoziale- Cass. Sez. Civ. I° n°847 del 17.02.1986.
E’ appena il caso di osservare che nessun gestore telefonico può addebitare servizi non richiesti e ciò anche in considerazione della già pronunzia del Tribunale di Genova Sezione VI Sentenza n°4005 del 04.11.2006.
Si osserva che nessun vincolo giuridicamente rilevante era sorto tra la Telecom e l’attrice relativamente ai contratti denominati Tutto 4 Star e Servizi supplementari, attesa l’assenza di manifestazione di volontà e l’impossibilità di attribuire valore di consenso al silenzio serbato dal consumatore; la nullità e/o inesistenza deriva comunque dall’applicazione del Dlgsv. n°185 del 22 Maggio 1999 riguardante la disciplina dei contratti a distanza conclusi dai consumatori; il comportamento tenuto dalla società dei servizi oltre che lesivo dei diritti dell’attore presenta a livello generale profili di non trasparenza nei riguardi dell’intero pubblico degli utenti tanto da portare la Sezione Genovese del Movimento consumatori ad inviare in data 3.1.2001 diffida ai sensi della Legge 281/98 in merito all’illegittimità della pratica quale quella posta in opera con l’attrice.
Peraltro parte convenuta non ha contestato l’inesistenza di alcuna manifestazione di consenso espressa da parte attrice con riferimento ai servizi opzionali per cui è causa, limitandosi ad osservare che il gestore aveva avuto nell’occasione un legittimo comportamento ma, come sopra detto, non risulta essere mai intervenuta richiesta da parte dell’attrice di poter fruire delle condizioni oggetto dei servizi addebitati.
La Telecom, citata in giudizio, non ha prodotto alcun documento attestante tale presupposto né si è mai offerta di provare tale fatto assunto come ordine verbale, peraltro neppure ha contestato la circostanza dedotta da parte attrice
Nella fattispecie non sussiste sicuramente l’ipotesi di cui all’art.1333 Cod. Civ., posto che dall’attivazione del servizio derivava un onere economico, se pure contenuto, mensile; nel nostro sistema, inoltre, non sussiste alcuna qualificazione in termini di espressione della volontà del silenzio come tale, al di fuori dell’ipotesi appena ricordata contenuta nell’art. 1333 Cod. Civ., ove il principio è quello della necessità del rifiuto, vale a dire che poiché il principio generale è individuato nell’art.1325 Cod. Civ. e l’accordo delle parti è previsto quale primo requisito per l’esistenza del contratto, sanzionata a pena di nullità del medesimo la sua assenza ai sensi dell’art.1418 Cod. Civ. ne deriva che, nella presente fattispecie, non sussistendo tale accordo in quanto certamente non può dedursi a posteriori dalla mancanza di contestazione per un dato periodo di tempo, il contratto deve essere dichiarato nullo e non idoneo a produrre effetti dal suo assunto sorgere.
In materia di contratti del consumatore, poi, alla luce della ritenuta necessità, di stampo pubblicistico, di protezione ulteriore a cagione della diversa forza economica connaturale al soggetto imprenditore rispetto all’utente o fruitore finale, sussistono norme specifiche ulteriormente restrittive rispetto alla disciplina generale: tale è l’art.9 contenuto nel Dec. Lgsv. 22.05.1999 di attuazione della direttiva CEE 97/7 ove si legge la necessità di una previa ordinazione qualora la fornitura comporti richiesta di pagamento ed espressamente, nel comma 2, si indica “ la mancata risposta non significa consenso”; tale norma prevede il divieto per forniture al di fuori della disciplina di insorgenza del rapporto così regolamentata; nel caso in esame siamo in presenza dunque di violazione di divieto e di assoluta nullità del contrato.
Relativamente alla domanda di risarcimento del danno, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella pronuncia n°6572 del 24.03.2006 ha statuito:” in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva- non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale- non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale- da intendere come ogni pregiudizio ( di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di elementi dedotti (caratteristiche, durata, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni posti in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto)- il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico- si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art.115 Cod. Proc. Civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove”
Nel caso in esame, l’incidenza sull’assetto relazionale della vita legata alla necessità di doversi “ difendere” da modalità comportamentali aggressive poste in opera da un soggetto economico molto forte, subdole per le modalità con le quali vengono poste in essere a fronte peraltro di esborsi contenuti, quali possono rendere “poco visibili” agli utenti le lesioni della sfera dei diritti di libertà economica così posti in essere porta alla necessità di riconoscere una lesione e dunque il diritto ad un risarcimento del danno esistenziale. Attesa la mancata prova specifica di ulteriori profili di danno, questo deve essere contenuto in € 500,00.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, in ragione del valore della domanda, dell’attività svolta e delle vigenti tabelle professionali.


P. Q. M.


Il Giudice di Pace di Nocera Inferiore, Avv. Vincenzo Iannucci, definitivamente pronunciando, sulla domanda proposta da Manfredini Lidia, ogni contraria o diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:
1- Rigetta la eccezione di rito di improcedibilità della domanda sollevata dalla convenuta Telecom Italia S.p.A.
2- Accoglie la domanda e per l’effetto condanna la Telecom Italia S.p.A., in persona del Legale Rapp.te pro-tempore, a corrispondere all’attore Sig. Manfredini Lidia la somma di € 46,95 oltre interessi legali dal dì dei singoli addebiti
3- Dichiara tenuta e condanna la Telecom Italia S.p.A. a risarcire a parte attorea il danno che liquida in complessive € 500,00.
4-Condanna la Telecom Italia S.p.A. in persona del Legale Rapp.te pro-tempore al pagamento delle competenze di giudizio in favore dell’attore che liquida in complessive € 550,00 di cui € 50,00 per spese, € 300,00 per diritti ed € 200,00 per onorario, oltre 12,50% ex art.14 D.M. 127/04 ed oltre CPA ed IVA come per Legge, con attribuzione all’ Avv. Vincenzo Barbato per dichiarata anticipazione
Dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva come per Legge ex art.282 c.p.c.


Così deciso in Nocera Inferiore il 4 Giugno 2008


Il Cancelliere

 

Il Giudice di Pace
Avv. Vincenzo Iannucci
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 16/03/2010

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