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Quando meno te lo aspetti
….ti vien detto di bonificare (*)
Ancora incertezze in materia di bonifiche
SILVANO DI ROSA**
SOMMARIO:
– 1. Premessa; – 2. Il proprietario “irresponsabile” non si tocca; – 3.
…..neppure per la messa in sicurezza d’emergenza; – 4. La regola della
«preponderanza dell'evidenza» o «del più probabile che non»; – 5. Il
proprietario “jure successionis”; – 6. Proprietario, responsabile quando è
locatore ?; – 7. E se il proprietario-gestore…….fallisce? ; – 8. Confusione sul
significato di “bonificare”; – 9. Un caso particolare, comunque utile; – 10.
Conclusioni.
1 – Premessa
Capita a tutti di avere dei convincimenti, anche consolidati ed in apparenza
condivisi da molti. Poi, quando meno te l’aspetti, ti accorgi che c’è chi
continua a pensarla diversamente ed applica la normativa secondo una logica
alquanto diversa dal previsto. A tal punto, sorge spontanea l’esigenza di un
attento riesame critico, per rinsaldare le proprie idee o per approdare a nuovi
e ben diversi lidi.
L’esame di alcune recentissime sentenze costituisce l’occasione per verificare
la legittimità delle situazioni in cui, non sempre a proposito, ….vien detto
di bonificare un’area…. rivolgendosi direttamente al proprietario della
stessa.
Le norme di riferimento sono racchiuse nella Parte Quarta, Titolo V «
Bonifica di siti contaminati », del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152; cui è
ugualmente riferibile la pregressa disciplina di cui all’art. 17 del D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22 ed al D.M. 471/99.
2 – Il proprietario “irresponsabile” non si tocca
2.1 – La regola
E’ di questi giorni la sentenza TAR Lombardia, Milano, Sez IV, 27 aprile
2010, n. 1159, che annulla le ordinanze sindacali del Comune di Monza, con le
quali era stata ordinata la rimozione di rifiuti giacenti su di un terreno di
proprietà di una società; con obbligo di remissione in pristino dei luoghi e
della messa in sicurezza di tutta l’area, previo svolgimento di
un’indagine preliminare.
L’immobile in questione, originariamente, apparteneva ad una diversa società che
vi aveva esercitato – fino alla sopravvenuta dichiarazione di fallimento –
un’attività di produzione e commercio di vernici ed altre sostanze chimiche.
I legali rappresentanti della società divenuta da ultimo proprietaria del
cespite immobiliare – ed interessata dai provvedimenti caducati dal TAR –, non
erano mai stati soci, né amministratori, della precedente persona giuridica che
vi aveva svolto l’anzidetta attività produttiva. Infatti, i soggetti di cui
sopra, sono stati chiamati in causa, con le ordinanze impugnate, non come soci o
amministratori della prima società fallita, bensì come legali rappresentati
dell’attuale (società) proprietaria delle aree risultate contaminate.
Già questo, di per sé, costituisce elemento sufficiente a considerare
illegittimi i provvedimenti del Comune di Monza, in quanto è noto che, per
attribuire una responsabilità al proprietario del terreno su cui giacciono dei
rifiuti – ed al quale, fra l’altro, si chiede di effettuare una indagine
preliminare sugli effetti che tale presenza può aver determinato sulle matrici
ambientali –, deve essere accertato (in contraddittorio) che tale soggetto sia
coinvolgibile quantomeno a titolo di colpa; dandone atto nel provvedimento con
cui gli si ordina la rimozione dei rifiuti e le derivanti, pur se eventuali,
attività di bonifica da svolgere su suolo e sottosuolo.
Nel caso in esame risulta che l’accumulo dei rifiuti sia dipeso
dall’utilizzazione delle aree per l’attività di produzione di vernici, portata
avanti per anni da soggetti diversi. Appunto per questo, non è possibile – in
mancanza della prova di un proprio ed autonomo ruolo attivo – chiedere, a coloro
che sono solo gli attuali proprietari dell’area, il ripristino del sito
inquinato dai rifiuti ivi abbandonati da altri.
Il proprietario non colpevole non risponde dell’abbandono dei rifiuti effettuato
da terzi e neppure dell’eventuale necessità di provvedere a bonificare le
soggiacenti matrici ambientali.
Questo è il leitmotiv che ci accompagnerà in queste pagine.
2.2 – Il problema della “culpa in vigilando”
E’ legittimo attribuire una responsabilità al proprietario di un’area
per l’inosservanza di un dovere di vigilanza sui propri beni ? A tal
riguardo è interessante la sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez V, 4 marzo
2010, n. 1315, dalla quale emerge con chiarezza che, per l’imposizione
dell’obbligo di rimozione dei rifiuti e, più in generale, di messa in
sicurezza d’emergenza, non è sufficiente riferirsi ad una generica
“culpa in vigilando” del proprietario1
dell’area su cui questi giacciono.
Di questa forma di negligenza, però, tratteremo meglio nella successiva sezione
6.
Per il momento vorremmo limitarci a sottolineare come il provvedimento (ex-art
192 D.Lgs. 152/2006) del Comune di Castevolturno – oggetto della sentenza in
esame – abbia imposto ad un proprietario di provvedere alla messa in
sicurezza d’emergenza della propria area, avvertendolo che, qualora non
ottemperasse agli interventi di messa in sicurezza prescritti, gli stessi
sarebbero stati realizzati con “procedure in danno”.
Al fatto in sé (ordinare una messa in sicurezza d’emergenza), si somma il
problema che il Giudice campano – pur sottolineando come il soggetto interessato
dal provvedimento non fosse “responsabile” ma solo “proprietario”
e che la responsabilità di quest’ultimo presuppone l’addebitabilità ad esso, a
titolo di dolo o di colpa, della violazione posta in essere dal vero
responsabile2 – non si
sia soffermato sulla impossibilità di imporre una messa in sicurezza
d’emergenza dell’area ai sensi dell’articolo 192 prima richiamato. Eppure,
si tratta di un istituto tipico della disciplina vigente in materia di bonifiche
e non di una ipotesi attinente alla rimozione di rifiuti abbandonati sul suolo.
Ma, anche di questo tratteremo in seguito, nella sezione 8.
2.3 – L’eccezione
Date le circostanze sopraesposte, qualcuno potrebbe chiedersi come mai,
allora, con sentenza del Consiglio di Stato, Sez V, 15 marzo 2010, n. 1503, sia
stato respinto l’appello presentato dal Comune di Firenze – divenuto
proprietario di un’area contaminata – avverso la sentenza TAR Toscana3
che ha considerato legittimi i provvedimenti con cui l’omonima Regione aveva
nominato un commissario straordinario per la bonifica di un’area di proprietà
comunale e con i quali aveva disposto il recupero – in danno al Comune “gigliato”–
delle spese sostenute dalla Regione stessa per l’adempimento di interventi di
bonifica.
In apparenza, potrebbe sembrare che l’odierno proprietario incolpevole di
quell’area (il Comune di Firenze) sia stato chiamato, prima, a effettuare la
bonifica del proprio cespite immobiliare e, poi, inadempiente, a rimborsare alla
Regione le spese da questa sostenute, essendo intervenuta direttamente,
d’ufficio, in surroga dell’amministrazione comunale proprietaria.
Si tratta di un caso molto particolare, che vede il Comune di Firenze diventare
proprietario – con espropriazione del 1992 – di un’area in cui, fin dagli anni
‘80, era stata svolta, da terzi, un’ attività di recupero e lavorazione
di diluenti esausti4.
Una vicenda in cui il Comune stesso ha emanato molte ordinanze (1986, 1989,
1989), nei riguardi delle quali, però, il diretto responsabile della
contaminazione dichiarava l’impossibilità materiale ed economica di provvedere
alla disposta bonifica dell’immobile (da lui stesso occupato), facendo scattare
la previsione che oggi è inserita nell’articolo 253 del D.Lgs. 152/2006.
Senza stare ad addentrarci in una vicenda che ci porterebbe fuori dal seminato,
riteniamo sia sufficiente – per quanto di nostro interesse – precisare che il
Consiglio di Stato non ha condiviso la tesi del Comune di Firenze (chiamato alla
refusione dell’intervento di bonifica effettuato d’ufficio dalla Regione) per un
duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, per il fatto che trattasi di soggetto pubblico, tenuto
“all’esecuzione dell’intervento” in virtù non già del titolo di
proprietario, bensì per le attribuzioni specifiche di peculiare Ente
territoriale.
Subito dopo, perché – così sottolinea il Supremo Giudice Amministrativo – la
doverosità e necessità dell’intervento, era ben nota all’amministrazione
comunale appellante, già in epoca antecedente all’acquisizione (per
espropriazione) della proprietà dell’area. Area, oltretutto, inserita – con il
Piano regionale di Bonifica delle aree inquinate – tra quelle da bonificare.
Sono queste le ragioni per cui la Quinta Sezione del Giudice d’Appello ha
statuito la piena legittimità delle deliberazioni regionali, che si limitano a
constatare – pur nella provata consapevolezza dell’inquinamento del sito – la
“mancata attivazione”, da parte dell’Amministrazione comunale fiorentina, di
precisi doveri di impegno, volti all’eliminazione di un pericolo per la salute
della comunità di riferimento territoriale.
In questo caso, pertanto, l’amministrazione comunale – pur essendolo – non
risulta coinvolta a titolo di proprietaria dell’immobile in questione, ma solo
in quanto soggetto istituzionale necessitato a farlo.
E’ per questo, fra le altre cose, che il Consiglio di Stato ritiene non
applicabile al caso di specie il criterio secondo cui il proprietario (anche
incolpevole) di un immobile – in caso di interventi di bonifica d’ufficio –
risulta essere assoggettato alle conseguenze economiche derivanti dall’onere
reale (che, in tal caso, grava sull’immobile ex-art. 253 D.Lgs. 152/2006)
entro i limiti di valore del bene.
Tale criterio non si attaglia al soggetto pubblico (pur se titolare di
diritti reali) che la normativa primaria individua anche come responsabile della
gestione territoriale nel suo complesso. Così viene considerato il Comune, ex-art.
4 della legge 28 febbraio 1985, n. 475.
2.4 – L’apparenza
Vi sono poi situazioni “estreme”6,
in cui è il soggetto interessato da un provvedimento sindacale, in materia di
rimozione rifiuti, che cerca di difendersi confidando nell’apparente possibilità
di essere qualificato come mero proprietario di un’area e deducendo –
conseguentemente – l’omesso accertamento, da parte dell’amministrazione
procedente, degli elementi di responsabilità a lui imputabili, a titolo di dolo
o di colpa, senza i quali non si può giungere all’emissione di un’ordinanza
verso il proprietario del suolo.
E’ quanto sembra emergere dai motivi di ricorso presentati nel caso trattato
dalla sentenza TAR Piemonte, Sez II, 15 aprile 2010, n. 1913, dalla quale però
risulta subito evidente (al di là delle argomentazioni mosse dal ricorrente)
come il provvedimento impugnato sia stato adottato nei confronti di una società,
non perché proprietaria del terreno, ma in veste di soggetto autorizzato alla
realizzazione ed all’esercizio di un impianto di discarica di Seconda Categoria
tipo A, nella quale potevano essere conferite solo certe tipologie di rifiuti:
risultate, viceversa, difformi da quanto previsto nel provvedimento
autorizzatorio e determinanti, oltretutto, una contaminazione delle matrici
ambientali.
Quindi nessuna meraviglia per il fatto che il provvedimento sia stato
considerato del tutto legittimo.
3 – …..neppure per la messa in sicurezza d’emergenza
Vi sono casi in cui il proprietario incolpevole non viene chiamato a ad
attuare interventi di bonifica definitivi, bensì delle misure di prevenzione
– già note come di messa in sicurezza –.
Questo tema viene affrontato dalla recente sentenza TAR Toscana, Sez II, 3 marzo
2010, n. 594, con cui è stato sostanzialmente accolto il ricorso presentato da
una società – divenuta proprietaria di porzione di una zona industriale –
avverso il verbale e le determinazioni assunte da una Conferenza dei Servizi
decisoria svoltasi al M.A.T.T.M. in Roma, alla fine di dicembre del 2006, con
riferimento al sito di bonifica di interesse nazionale di Massa Carrara, entro
la cui perimetrazione l’immobile in questione ricadeva.
La nuova proprietaria del lotto di terreno – interessato dalle conclusioni della
sopradetta Conferenza – si è vista imporre l’obbligo di realizzare misure di
messa in sicurezza di emergenza, ritenute necessarie per il riscontrato
superamento delle soglie consentite per talune sostanze nocive (arsenico,
piombo, cadmio, rame, zinco e mercurio). Più in particolare, di provvedere alla
rimozione della fonte inquinante, nonostante tale società non potesse essere
considerata responsabile dell’inquinamento riscontrato, ma solo proprietaria
dell’area.
In tal senso e per tale ragione il G.A. per la Toscana ha ritenuto fondato il
ricorso, riscontrando la violazione del principio “chi inquina, paga”, di
derivazione comunitaria e, comunque, sancito sia dal D.Lgs. n. 22/1997, sia dal
D.Lgs. n. 152/2006. D’altronde è di tutta evidenza come quest’ultimo decreto,
agli artt. 242 e 257, confermi chiaramente che l’obbligo di bonifica grava sul
“responsabile” dell’inquinamento e non sul proprietario incolpevole,
quale sarebbe, nel caso di specie, la società che ha fatto ricorso7.
Con detta sentenza si precisa che, il citato principio – secondo cui l’obbligo
di intervenire grava solo su colui che ha dato causa (a titolo di dolo o colpa)
alla situazione di contaminazione – vale sia per le misure urgenti, sia
per quelle definitive.
Ancora una volta, pertanto, si ha conferma che l’obbligo di bonifica,
così come quello di messa in sicurezza, non può essere addossato al
proprietario incolpevole, ove manchi ogni responsabilità dello stesso8.
E’ per questo che la Pubblica Amministrazione non può imporre ai privati –
estranei all’origine del fenomeno contestato ed individuati solo
in quanto proprietari del bene – lo svolgimento delle attività di recupero e di
risanamento, in quanto il predetto principio “chi inquina, paga”9,
impone i costi della prevenzione o della riparazione solo a carico
del soggetto che determina un rischio di inquinamento e vale anche per le misure
di messa in sicurezza di emergenza come definite10
dall’art. 240, comma 1, lett. m), del citato D.Lgs. n. 152.
Nessun obbligo, quindi, per il proprietario incolpevole dell’area
risultata inquinata, ma solo la facoltà di eseguire gli interventi per mantenere
l’area interessata libera da pesi11
4 – La regola della «preponderanza dell'evidenza» o «del
più probabile che non»
L’impossibilità di coinvolgere il proprietario incolpevole nell’intimazione
ad effettuare interventi di bonifica e/o messa in sicurezza torna ad essere
ribadita anche con la sentenza Tar Piemonte, Sez I, 24 marzo 2010, n. 1575. Pure
qui, si conferma che, nell’attuale sistema normativo, l’obbligo di bonifica dei
siti inquinati grava in primo luogo sull’effettivo responsabile
dell’inquinamento stesso, che le competenti Autorità amministrative hanno
l’obbligo di individuare e ricercare. Ne consegue che la mera qualifica di
proprietario, o detentore del terreno inquinato, non implica un autonomo obbligo
di effettuazione della bonifica, salvo che esso venga individuato come
responsabile o corresponsabile dell'illecito12.
Si tratta solo di una conferma. Ma la sentenza in esame, contiene alcune
particolarità su cui vorremmo soffermarci.
In primo luogo precisa come il mero “richiamo” – contenuto nel
provvedimento impugnato – alle risultanze delle indagini svolte (in quel caso
dalla Guardia di Finanza) costituisca elemento sufficiente a determinare
l’individuazione del responsabile della contaminazione ed a ricondurre
all’attività del medesimo, sotto il profilo soggettivo, la contaminazione del
suolo. Poi, sottolinea che il positivo riscontro di un nesso di causalità,
fra la condotta a suo tempo posta in essere dal responsabile e la contaminazione
riscontrata in relazione alle sostanze inquinanti rinvenute nel terreno, può
essere anche «indiziario» purché appaia ragionevole.
E’ quindi degno di nota l’asserto secondo cui, sotto il profilo causale, anche
in campo amministrativo-ambientale vale la regola13
del “più probabile che non”.
Secondo tale regola, ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., un evento è da
considerarsi causa di un altro se – ferme restando le altre condizioni – il
primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Si tratta di un
principio che, temperato dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione
del nesso eziologico, va applicato alla peculiarità delle singole fattispecie
normative di responsabilità civile o amministrativa, dove muta la regola
probatoria.
Pertanto – mentre ai fini della responsabilità penale vige la regola della
prova oltre il ragionevole dubbio – nel processo civile (così come nel campo
della responsabilità civile o amministrativa) vige la regola della «preponderanza
dell'evidenza» o «del più probabile che non», facilmente
riscontrabile, in via presuntiva, nel caso affrontato dal Giudice piemontese,
per il fatto che dalle analisi chimiche effettuate sul terreno – monitorato
dalle Autorità – sono stati riscontrati dei valori intollerabili di idrocarburi
e di metalli pesanti, quali parametri «tipicamente riconducibili» all’attività
svolta su quell’area.
5 – Il proprietario “jure successionis”
Poco più di una settimana fa, abbiamo avuto modo di leggere la sentenza TAR
Lombardia, Milano, Sez I, 21 aprile 2010, n. 1107; risultata stimolante
non tanto per la pronuncia in sé14,
quanto perché si occupa di una vicenda più ampia, concernente la
stessa area di proprietà dei ricorrenti ed una precedente ordinanza ritenuta
legittima dal Consiglio di Stato con sentenza Sez V, 27 marzo 2009, n. 182615.
Ciò ci consente di analizzare un caso in cui il Giudice di prime cure ha dato
rilevanza e ragione alla figura del proprietario incolpevole, nei riguardi di un
ordine impartitogli al fine di bonificare un’area contaminata da soggetti terzi,
ottenendo però la censura del Giudice dell’Appello.
Infatti la Quinta sezione del Consiglio di Stato (nella sentenza 1826/2009) ha
dovuto esaminare la vicenda scaturita dal provvedimento comunale con cui era
stato imposto, a dei proprietari di terreni, di eseguire alcuni interventi
finalizzati alla bonifica, in quanto vi risultavano stoccate abusivamente melme
acide e terre decoloranti esauste.
I privati, avendo escluso di essere responsabili della contaminazione,
ottenevano l’intervento favorevole del TAR Lombardia, che – risultando, fra
l’altro, non provata la responsabilità dei proprietari ai sensi dell’art. 14,
comma 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 2216,
né risultando esperita una indagine tesa ad accertare gli effettivi responsabili
del fatto lamentato – si era pronunciato per l’illegittimità del provvedimento
comunale. Il Supremo Giudice Amministrativo, però, è stato di altro avviso,
nonostante risultasse acclarato che quella presenza di stoccaggi abusivi di
rifiuti fosse addirittura già stata segnalata dai proprietari alle Autorità.
Quanto sopra, non deve preoccupare la categoria dei proprietari incolpevoli,
bensì di coloro che ritengono e dichiarano di esserlo, pur non sussistendone
tutti i presupposti necessari.
Dalla sentenza 1826/200917,
risulta confermato come sia il soggetto che ha prodotto l’inquinamento del suolo
a dover sopportare le spese della bonifica del medesimo. Per converso non può
essere ritenuto responsabile il proprietario incolpevole, a meno che così non
possa essere qualificato.
Ed è proprio il caso in esame a costituire un esempio in cui il proprietario non
è andato esente dagli obblighi di bonifica, perché non ritenuto del tutto
estraneo ai predetti doveri.
La ragione è la seguente. Risulta appurato che i rifiuti pericolosi siano stati
depositati sui terreni degli appellati da industrie petrolifere, successivamente
fallite, che vi svolgevano la propria attività con il consapevole assenso dei
proprietari dell’epoca, che, pertanto, ne erano a conoscenza. Lo dimostra un
contratto di locazione stipulato negli anni ’60 fra il dante causa degli attuali
proprietari ed una industria chimica e petrolifera, che vi ha depositato i
residui catramosi della propria attività.
Non si tratta però di una ipotesi di successione fra vivi, tant’è che da una
vecchia sentenza Pretorile del 1989, risulta che gli attuali proprietari delle
aree in questione – all’epoca accusati di aver realizzato sui terreni discariche
abusive di rifiuti urbani e speciali – sono stati assolti dal reato di cui
all’art. 25, comma 2, del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, in quanto – gli
imputati – avevano ereditato i terreni sui quali il loro dante causa
aveva “consentito” il formarsi della discarica abusiva di rifiuti inquinanti.
Il Consiglio di Stato, però, nella sentenza in esame, non è certo chiamato a
valutare la responsabilità penale degli attuali proprietari, bensì la
sussistenza a loro carico dell’obbligo di provvedere alla bonifica delle aree,
di cui sono divenuti proprietari «jure successionis».
Gli attuali proprietari – pur se penalmente riconosciuti non responsabili –,
accettando l’eredità, sono subentrati nel patrimonio del loro dante causa, che
era «gravato» di una passività rappresentata dall’obbligo legale di
risanare l’area trasformata illecitamente in discarica di rifiuti inquinanti, in
ragione di un rapporto di locazione dal cui esercizio il de cuius aveva
tratto un consapevole vantaggio economico. Su tale scorta il provvedimento
indirizzato agli eredi è stato considerato legittimo.
6 – Proprietario, responsabile quando è locatore?
Il proprietario di un’area può essere considerato responsabile nel
caso in cui la conceda in locazione ad un soggetto che poi la contamina ?
La sentenza Tar Piemonte, Sez II, 15 aprile 2010, n. 1901, ci dice di no! Ma è
il caso di approfondire la questione.
Con un provvedimento del Comune di Fara Novarese, è stato ordinato al conduttore
di un terreno ed alla società proprietaria dello stesso il compimento
degli interventi di messa in sicurezza e delle operazioni di bonifica di cui
all’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97, ritenuti necessari per far fronte ad un
fenomeno di contaminazione ivi riscontrato.
Così facendo, l’ordine è stato impartito – in maniera indifferenziata – sia al
soggetto che di fatto gestiva l’area, sia alla società risultatane mera
proprietaria; ravvisando ipotetici elementi di responsabilità anche in capo a
quest’ultima.
Per comprendere la decisione adottata dal TAR è necessario precisare che la
vicenda trae origine dall’aver riscontrato, in detto terreno, abusivi e
reiterati conferimenti di rifiuti, interrati ed occultati a profondità variabile
dal conduttore, tanto da aver interessato la falda sottostante e l’adiacente
corpo idrico superficiale.
Il Giudice Amministrativo piemontese, a tal riguardo, osserva che – stante la
vigenza, all’epoca, del decreto legislativo n. 22/199718
– quanto statuito con il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere posto a
carico soltanto di colui che di tale situazione fosse stato riconosciuto
responsabile, per avervi dato causa, postulando, pertanto, da un punto di vista
soggettivo, il requisito del dolo o della colpa.
Anche in questa occasione si giunge al riconoscimento della mancanza di
responsabilità, e quindi dell’obbligo di bonificare o di mettere in sicurezza,
da parte del proprietario incolpevole19,
al quale – in piena conformità con il principio comunitario "chi inquina paga"20,
secondo cui chi fa correre un rischio di inquinamento o chi provoca un
inquinamento è tenuto a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione
– l’amministrazione non avrebbe potuto imporre lo svolgimento di attività di
recupero e di risanamento, se non riuscendo a dimostrarne una «responsabilità
diretta» sull’origine del fenomeno contestato. Quindi, non poteva certamente
indirizzargli un provvedimento per il solo fatto di averlo individuato in forza
della mera qualità di proprietario del bene risultato contaminato da altri.
Per rinsaldare detta conclusione il TAR Piemonte si riferisce all’art. 8, comma
3, del D.M. 471/9921,
confermando così che in capo al proprietario dell'area inquinata –
ovviamente non responsabile in alcun modo dell’origine della
contaminazione – sussiste unicamente la «facoltà» di eseguire gli
interventi ambientali in questione, con il solo fine di evitare l’espropriazione
del terreno interessato, in quanto potenzialmente gravato da onere reale,
al pari delle spese per gli interventi di recupero ambientale22
eventualmente sostenute dal Comune nel caso quest’ultimo abbia ad avviarli “d’ufficio”23.
Ciò detto, il Giudice Amministrativo rileva come – nel provvedimento impugnato –
non siano stati sufficientemente evidenziati né la natura, né i contenuti della
ritenuta responsabilità solidale della società proprietaria nella
causazione dell’evento, essendosi, il Comune di Fara Novarese, unicamente
limitato ad osservare che gli imponenti conferimenti di rifiuti in quell’area ed
i movimenti di terra a ciò finalizzati, non fossero compatibili con gli scopi
della locazione in essere. Questo è ciò che il Comune ravvisa come elemento
costitutivo della corresponsabilità del soggetto proprietario nella causazione
dei fatti accertati.
In altre parole, il Comune avrebbe considerato il rapporto di locazione –
esistente fra gestore dell’area e proprietario – come fonte di “responsabilità
per colpa” in capo al titolare del diritto di proprietà.
Non ci sentiamo di escludere che l’amministrazione comunale si sia ispirata a
quanto sostenuto da certa Giurisprudenza24
nelle ipotesi in cui l’abbandono incontrollato di rifiuti sia interpretabile
come conseguenza fisiologica dell’esercizio di un’attività economica,
consentita dal proprietario stesso in forza di un rapporto di locazione25.
E’ noto, infatti, come sia stato individuato un nesso tra il
comportamento illecito posto in essere dall’imprenditore conduttore di un
immobile avuto in locazione e l’utilità che il proprietario locatore
ritrae26 dalla
concessione al primo dei diritti di utilizzazione di quell’immobile.
In tal senso è stato considerato negligente quel proprietario/locatore
che non abbia sentito il bisogno di “stare accorto” circa la possibile
insorgenza di problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti “normalmente”
prodotti dal conduttore/locatario, quale tipica e prevedibile conseguenza
dell’esercizio di un’attività economica nel fondo locato. A dire il vero, ci
riferiamo a casi di abbandono incontrollato di rifiuti sul suolo; ma la
connessione fra tale ipotesi e la conseguente necessità di dover eventualmente
bonificare le matrici ambientali dell’area di deposito – per quanto cosa diversa
– non è né rara, né escludibile a priori.
Tornando al provvedimento impugnato – e sottoposto all’analisi del Giudice
piemontese –, l’amministrazione procedente27
potrebbe aver individuato nella mancata vigilanza nei riguardi
dell’operato dell’affittuario/conduttore, una condotta colpevole del
proprietario. Quindi, un proprietario ritenuto responsabile per essersi
disinteressato dal vigilare sulla gestione dei rifiuti, attuata dall’effettivo
gestore dell’area, e considerata come conseguenza fisiologica dell’esercizio di
un’attività economica “conosciuta” e “consentita” dal primo.
D’altronde, abbiamo già visto come l’abbandono in loco dei rifiuti prodotti dal
conduttore – che gestisce un’area in base ad un contratto di locazione – possa
considerarsi comportamento illecito dell’imprenditore/conduttore, legato da un
nesso con l’utilità che il locatore ritrae dai canoni locatizi.
Disinteressarsi delle problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti,
normalmente prodotti sul proprio fondo dato in locazione, potrebbe essere una
condotta potenzialmente negligente, che vede il proprietario gravato di
un dovere di prevenzione attiva (quindi una diligenza qualificata)
consistente, sia nell’esercizio di una attenta vigilanza su “come” il proprio
bene viene gestito dal conduttore/locatario, sia nella tempestiva segnalazione
all’autorità dei comportamenti dannosi o pericolosi da quest’ultimo posti in
essere.
Tale possibile negligenza potrebbe essere stata tradotta in un aver
favorito l’illegittimo abbandono dei rifiuti da parte del conduttore28.
Tutto ciò, però avrebbe dovuto risultare documentalmente accertato e
dettagliatamente motivato nel preambolo del provvedimento sottoposto a censura.
Al di là di quanto si può supporre in teoria, il Giudice adito osserva che il
rapporto di locazione – sulla cui scorta i proprietari dell’area affittata sono
stati chiamati a rispondere per colpa – prevedeva l’utilizzazione
dell’area quale mero «deposito-parcheggio» di camion e macchine operatrici, che,
di per sé, non implica la prevedibile formazione di specifici e peculiari
rifiuti29.
Già questo è sufficiente a distinguere il caso di specie rispetto ai generici ed
astratti riferimenti prima illustrati. Ma è interessante il fatto che, in ogni
caso, il Tribunale Amministrativo per il Piemonte affronta la fattispecie della
colpa “da rapporto locatizio” in maniera particolare ed
approfondita, ritenendo che non è ascrivibile al proprietario la
responsabilità per culpa in vigilando, in quanto il presupposto di tale
tipo di colpa è l’esistenza di un obbligo di custodia, che, viceversa,
viene meno qualora – come nel caso di specie – il bene venga concesso in
locazione, con conseguente assunzione dell’obbligo di custodia da parte
del conduttore.
Si tratta di un angolo visuale che porta a punti d’arrivo diversi da quelli
prospettati dalla Giurisprudenza prima richiamata (Vds. note 24 e 28).
Quindi sono due gli elementi su cui si fonda la statuizione d’illegittimità
dell’ordine impartito al proprietario dal Comune. In primo luogo l’assenza di un
obbligo di custodia da parte del proprietario. In secondo luogo, se anche si
cercasse di dare ugualmente rilevanza ad un obbligo di custodia del bene locato,
nel caso di specie il proprietario non avrebbe potuto ugualmente essere chiamato
a rispondere dei danni cagionati dal conduttore, in quanto provocati da un suo
comportamento volontario e difforme da quanto previsto dal titolo
contrattuale in essere fra i due: avendo utilizzato il fondo per scopi
diversi da quelli negozialmente previsti.
D’altronde è evidente che l’inquinamento riscontrato è dipeso da abusivi e
reiterati interramenti di rifiuti provenienti d’altrove. Quindi, non si tratta
di un fenomeno scaturito dal connaturale, fisiologico e previsto utilizzo del
sedime locato, determinando, ciò, l’impossibilità di far derivare dal solo
rapporto locatizio una responsabilità della società proprietaria.
Non è rilevabile alcuna ipotesi di omessa vigilanza da parte di quest’ultima,
trattandosi di occultamento volontario di sostanze, oltretutto, ritrovate sui
mezzi di esclusiva proprietà del conduttore, sui quali (questo è certo!!) è da
escludersi ogni concreta possibilità di controllo da parte del locatore, non
essendo configurabile – alla stregua della disciplina del contratto di locazione
– un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che è
così privo dei correlati poteri di vigilanza su quest’ultimo30.
Ad ulteriore sostegno di tale asserto viene richiamata la giurisprudenza
formatasi sull’art. 2051 C.C., secondo la quale il proprietario può essere
chiamato a rispondere solo dei danni “cagionati dall’intrinseco dinamismo
della cosa data in locazione” e non anche di quelli “derivanti
dall’azione dell’uomo; sia questi conduttore, detentore o terzo”.
Si tratta quindi di un caso che si chiude favorevolmente per il «proprietario-locatore»,
anche perché risulta che il contratto di locazione di quel terreno fosse stato
giudizialmente dichiarato risolto – per fatto e colpa del conduttore!! – e,
oltretutto, che i proprietari dell’area fossero stati assolti dall’imputazione
dei reati di cui agli artt. 51, comma 1, lett. a) e b), e 51bis (in relazione
all’art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/97), per non aver commesso i fatti:
residuando, come unico responsabile il conduttore.
7 – E se il proprietario-gestore…….fallisce?
La sentenza Tar Toscana, Sez II, 2 aprile 2010, n. 910, ci prospetta
un’ipotesi particolare, ma non per questo rara: il proprietario di un’area,
titolare di un’attività economica svolta sulla stessa, costretto a dichiarare
fallimento.
A dire il vero, la posizione analizzata31
è quella del curatore fallimentare che spesso – per quanto soggetto
diverso dall’originario proprietario – viene chiamato a rispondere per «colpa»
a seguito delle situazioni scaturenti dai rifiuti abbandonati nell’area
successivamente divenuta di specifica competenza della curatela ed a causa
delle conseguenze ambientali che ciò può determinare sulle matrici ambientali
soggiacenti l’immobile posto “nelle mani” del curatore stesso.
In primo luogo c’è un aspetto che – a grandi linee – accomuna il curatore
al proprietario: per entrambi, a fondamento dell’obbligo di ripristino e messa
in sicurezza – conseguente alla contaminazione del suolo e dell’ambiente di
un’area –, l’ordinamento32
pone il principio della responsabilità. Così che l’esercizio dei poteri
dell’amministrazione competente (nel caso di specie i Comuni di Pontedera e
Bientina) è subordinato alla circostanza che sia possibile considerare il
destinatario dell'ordine responsabile dello smaltimento abusivo o
dell’inquinamento, almeno a titolo di colpa, non potendosi configurare a
suo carico una responsabilità di tipo oggettivo33.
Ci manteniamo in linea con il leitmotiv di chiusura della sezione 2.1.
Per la figura del curatore fallimentare, in particolare, il Giudice
toscano – non intendendo discostarsi da precedenti statuizioni34
assunte in ordine a rifiuti abbandonati sul terreno di azienda posta in
liquidazione – ricorda che non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in
ordine all’abbandono dei rifiuti, in assenza dell’accertamento univoco di
un’autonoma responsabilità del medesimo, conseguente alla presupposta
ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi che abbiano
dato luogo al fatto antigiuridico. Giungendo a sostenere che – in linea di
principio – i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non costituiscono beni
da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di
apprensione da parte del curatore.
Il TAR Toscana, annullando i provvedimenti notificati a quel curatore, statuisce
che all’Amministrazione competente – in difetto della ascrivibilità soggettiva
della condotta preordinata allo scarico abusivo dei rifiuti – residua soltanto
la possibilità di procedere all’esecuzione d'ufficio "in danno dei soggetti
obbligati ed al recupero delle somme anticipate”35
che, nel caso di specie, può avvenire mediante insinuazione del relativo credito
nel passivo fallimentare36.
8 – Confusione sul significato di “bonificare”
Anche la sentenza Tar Puglia, Bari, Sez III, 29 aprile 2010, n. 1676
potrebbe esserci d’aiuto, ma preferiamo soffermarci sulla statuizione del TAR
Lombardia, Brescia, Sez I, 10 marzo 2010, n. 1148, concernente un provvedimento
con cui il Comune di Manerbio ha ingiunto all’ANAS di provvedere allo sgombero
di rifiuti (inerti e lastre in fibro-cemento) risultati abbandonati in una via,
nei pressi di un sottopasso della strada statale n. 668.
Nello specifico, con il provvedimento caducato dal Giudice di prime cure, viene
intimata “la necessaria bonifica dell’area suddetta, mediante lo
sgombero di tutti i rifiuti”. E qui si riaffacciano vecchi equivoci capaci
soltanto di generare confusione.
Dell’impropria utilizzazione del termine «bonificare» abbiamo già avuto
modo di trattare ampiamente qualche anno fa37,
ma l’occasione è propizia per sottolineare come anche il Giudice lombardo
ritenga indispensabile non confondere due aspetti che – pur potendo essere
consequenziali – sono ben distinti e regolamentati da norme diverse38.
Il Tribunale, infatti, ribadisce la necessità di un netto distinguo tra
rimozione dei rifiuti e bonifica del sito, ricordando che la prima
pone fine a una discarica incontrollata, mentre la seconda si occupa della
situazione di inquinamento che da tale discarica può eventualmente essere
scaturita; sottolineando che, con il provvedimento impugnato, viceversa, si
confondono questi concetti, giungendo ad ordinare la bonifica
tramite rimozione.
8.1 – La rimozione di rifiuti
Per quanto concerne l’eventuale obbligo di rimozione, dalla
sentenza emerge che al gestore della rete stradale – per quanto disponga di una
struttura organizzativa dispiegata capillarmente sul territorio – non può essere
imputata, a titolo di colpa, la mancata vigilanza di ogni singolo tratto di
strada, considerandolo un obbligo “di diligenza” eccessivamente ampio.
Ciò che, dalla sentenza, si desume possa essere considerata negligenza39
del gestore della rete stradale – con sua conseguente responsabilità colposa – è
esemplificato con le seguenti ipotesi:
a) qualora questo non segnali tempestivamente ai comuni l’abbandono di
rifiuti da parte di sconosciuti sulle strade e sulle relative pertinenze40;
b) qualora, pur essendo espressamente richiesto dai comuni interessati,
questo non esegua opere dirette a prevenire l’abbandono di rifiuti in punti
specifici della rete stradale41;
c) qualora questo non si attivi per rimuovere i rifiuti e ripristinare lo
stato dei luoghi in caso di inadempienza del trasgressore raggiunto
dall’ordinanza del prefetto oppure nei casi di immediato pericolo per la
circolazione e di impossibilità a provvedere da parte del trasgressore42
Niente di tutto ciò, comunque, risulta essere stato posto a fondamento delle
pretese racchiuse nel provvedimento del Comune, oltretutto, non costituitosi in
giudizio.
8.2 – La bonifica
Con riguardo alla bonifica del sito, si ribadisce che questa non
segue necessariamente alla rimozione dei rifiuti, in quanto il passaggio
dalla “remissione in pristino” dell’area, alla vera e propria (ma solo
eventuale) bonifica, è puntualmente disciplinato per fasi successive43:
(a) accertamento del superamento delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC); (b) caratterizzazione del sito inquinato ed analisi
di rischio sito-specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di
rischio (CSR); (c) obbligo di bonifica che insorge solo quando risultino
superate le CSR.
Dopo tali precisazioni risulta evidente che, nel caso di specie, la bonifica non
poteva essere imposta tout court al proprietario/gestore dell’area,
dovendo eventualmente essere effettuata d’ufficio dal Comune, con possibilità (n.d.r.:
in questo caso più teorica che pratica) di una rivalsa diretta, per le spese
sostenute, sul valore dell’area bonificata, pur se nei limiti del valore di
mercato determinato a seguito dell'esecuzione degli stessi interventi di
miglioramento44.
Si ha quindi ulteriore conferma che il proprietario incolpevole è estraneo
all’obbligo di bonificare il sito, ma non a quello di partecipare alle
spese di bonifica, che il TAR considera un’estrinsecazione del principio
civilistico che non ammette un arricchimento senza causa. Su tale asserto
non concordiamo, così come ci lascia perplessi il pensare di potersi
valere dell’onere reale riguardo ad una strada, ma il tempo e lo spazio a
disposizione ci impongono di limitarci ad evidenziare soltanto che, con il
provvedimento impugnato, non si poteva ordinare all’ANAS di eseguire la bonifica
del sito, e d’altra parte – non avendo il Comune eseguito alcuna bonifica – non
era neppure possibile chiederne la partecipazione alle relative spese.
9 – Un caso particolare, comunque utile
E’ certamente curioso il caso affrontato dal Giudice partenopeo con la
sentenza Tar Campania, Napoli, Sez I, 8 aprile 2010, n. 1824. Vediamone gli
antefatti.
Il Comune di San Giorgio a Cremano si è trovato a dover affrontare l’annosa
vicenda dell’emergenza rifiuti campana, e – a torto o ragione – vi ha
fatto fronte requisendo, per quattro anni, una vasta area scoperta appartenente
a dei privati.
L’amministrazione comunale, con svariate e consecutive ordinanze sindacali di
requisizione in uso, ha provveduto a realizzarvi lo stoccaggio temporaneo dei
rifiuti solidi urbani prodotti nel territorio di specifica competenza;
incorrendo, fra l’altro, nel provvedimento di sequestro, di una porzione d’area
di circa 400 mq, che il GIP territorialmente competente ha adottato a causa
della riscontrata presenza di liquido assimilabile a percolato “da
rifiuti”.
I proprietari dell’area, certamente tediati dalla scelta necessitata dell’Ente
Locale, si sono poi visti notificare un’ordinanza del Sindaco, con la quale –
sulla scorta di relazione tecnica attestante la riscontrata assenza di
contaminazione del sito e dell’assunto che la società affidataria dei servizi di
igiene ambientale, aveva portato a compimento “le operazioni di prelievo ed
avvio allo smaltimento dei rifiuti contenuti nei cassoni nel sito” – veniva
disposta la “derequisizione” del loro immobile, fatta eccezione per
quella parte ancora sottoposta a sequestro giudiziario.
I “padroni” dell’immobile, per niente convinti dell’assenza di
contaminazione nel bene che – dopo quattro anni di quell’utilizzo – si intende
rimettere nella loro piena disponibilità, si rivolgono al Giudice Amministrativo
per la Campania, sostenendo l’illegittimità dell’ordinanza di derequisizione, in
quanto adottata senza aver previamente ripristinato l’originario stato dei
luoghi, alterato dall’azione di gestione dei rifiuti solidi urbani, che – per
quanto posta in essere con atti esplicativi dell’esercizio di poteri
pubblicistici – ha certamente determinato un potenziale inquinamento del sito
(confermato dal sequestro giudiziario intervenuto medio tempore).
In altre parole, i proprietari lamentano che il Comune, prima avrebbe dovuto
provvedere alla bonifica del suolo, per poi giungere alla derequisizione dello
stesso, solo in un secondo momento.
Nel contenzioso si ha cura di sviscerare quale sia il presupposto di legittimità
dell’ordinanza di derequisizione45,
ma tale aspetto ci porterebbe fuori strada.
Ci interessa, invece, evidenziare che il Tar Campania, quasi a voler confortare
i ricorrenti, ricorda che l’obbligo di bonifica accompagna il responsabile
dell’inquinamento anche quando questi non goda più o si sia spogliato della
disponibilità del sito da lui contaminato. Con la conseguenza che non c’è
ragione di dover anteporre la fase di bonifica a quella della derequisizione.
E’ per questo che, secondo il Giudice di prime cure, l’aver ritrasferito ai
legittimi proprietari il possesso e la detenzione di un’area – che lo stesso
Comune potrebbe aver inquinato – non accolla a costoro alcuna responsabilità
circa l’onere di effettuare degli interventi di bonifica e ripristino ambientale
previsti – all’epoca dei fatti – dall’art. 17 del D.Lgs. n. 22/199746.
Il Giudice partenopeo – ed è questo ciò che per noi è rilevante!! – sottolinea
che l’obbligo di bonifica prescinde dalla disponibilità dell’area compromessa e
si collega semplicemente alla condotta determinativa dell’inquinamento o del
pericolo di inquinamento. Il responsabile del degrado è sempre tenuto a
ripristinare la precedente situazione ambientale, indipendentemente dal rapporto
giuridico sussistente in relazione al bene contaminato.
Ne consegue che – nel caso di specie – il Comune di San Giorgio a Cremano,
laddove venisse individuato come soggetto responsabile di attività inquinanti a
danno dell’immobile in questione, giammai potrebbe perdere tale qualità a causa
del semplice ri-trasferimento della detenzione dell’immobile stesso in altre
mani, che coincidono con quelle dei legittimi proprietari (ma ciò varrebbe
ugualmente anche nel caso in cui si trattasse di nuovi e diversi aventi causa).
Una volta accertato in via definitiva quale sia il soggetto responsabile della
contaminazione dell’area, nessun altro nuovo detentore/possessore/proprietario
della stessa, una volta entrato nella disponibilità del bene, potrebbe
acquistare – per le sole ragioni della detenzione – la posizione di coobbligato
dell’effettivo responsabile dell’inquinamento.
Anche in questo caso viene ribadito che l’obbligo di bonifica grava
sull’effettivo responsabile dell’inquinamento, mentre la mera qualifica di
proprietario o detentore del terreno inquinato non comporta il dovere di
bonificare, ricadendo sulle autorità amministrative l’obbligo di ricercare ed
individuare il responsabile dell’inquinamento, senza poter costringere il
titolare dell’area a porre in essere gli interventi necessari a ripristinarne le
condizioni ottimali47.
Su questo siamo assolutamente concordi, mentre non ci convincono le battute
conclusive della sentenza in esame, ove il Tribunale Amministrativo –
astraendosi un po’ troppo dalla vicenda in sé esaminata – sottolinea che tutt’al
più il proprietario dell’area avrebbe l’onere di eseguire gli interventi
ambientali al fine di evitare l’espropriazione del terreno, gravato ex lege da
onere reale e privilegio speciale, ricordando che l’eventuale coinvolgimento di
quest’ultimo – nelle attività di recupero ambientale – è contemplato
direttamente dalla legge e prescinde dal trasferimento della disponibilità del
bene.
Questo asserto potrebbe aver preoccupato i ricorrenti, che vorremmo rassicurare
ricordando che gli «Oneri reali e privilegi speciali», di cui
all’articolo 253 del vigente D.Lgs. 152/2006, acquistano rilevanza solo nel caso
in cui gli interventi di bonifica sui siti contaminati vengano effettuati
d'ufficio dall'autorità competente (che, ai sensi dell'articolo 250 stesso
decreto, è il Comune) che abbia dato seguito ad un provvedimento motivato con
cui si giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del
soggetto responsabile, oppure che comprovi l’impossibilità di esercitare azioni
di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto, ovvero la loro infruttuosità
Nel caso di specie – ove ciò risultasse confermato – il Comune di San Giorgio a
Cremano non potrebbe però essere individuato come autorità competente che
interviene d’ufficio (stante l'impossibilità di accertare l'identità del
soggetto responsabile o di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del
medesimo soggetto), bensì come diretto responsabile della
contaminazione, che, per quanto soggetto pubblico, sarà quindi tenuto a seguire
l’iter previsto dall’articolo 242 del citato decreto 152/2006 e non del
successivo articolo 250; senza alcun coinvolgimento dei proprietari nel
sostenere le relative spese.
10 – Conclusioni
Le conclusioni, per fortuna ci portano al nostro solito e consolidato
approdo, senza alcun bisogno di remare verso diversi e sconosciuti lidi: ciò
che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto
il sole.
Di conseguenza, il proprietario, se davvero incolpevole, non ha ragione
di temere che qualcuno lo consideri “responsabile” della contaminazione
del proprio fondo. Sappia però che potrebbe ugualmente non dormire sonni
tranquilli, perché – per quanto nessuno lo “obblighi” – potrebbe essere lui
stesso a ritenere conveniente intraprendere la bonifica dell’area, per evitare
che, in caso di intervento d’ufficio da parte dell’Autorità competente, egli
venga “espropriato” del bene, nei limiti del valore a tal punto da questo
raggiunto.
Qualcuno potrebbe anche suggerire di consultare sempre qualche esperto prima di
prendere decisioni o di dare attuazione a norme così complesse come quelle
vigenti in materia di bonifiche, ma sarebbe un epilogo non disinteressato.
Quindi ci limitiamo a proporla come mera opinione che, una volta detta, lascia
spazio alla nota filastrocca: stretta la foglia, larga la via, dite la vostra
che ho detto la mia!
* A breve verrà inserito nell’attivando sito
www.dirosambiente.it
** Consulente Legale Ambientale
Avvocato in Empoli (FI)
Docente Master di II livello in Diritto dell’Ambiente
Università degli Studi di Bergamo Facoltà Giurisprudenza
avv.silvanodirosa@dirosambiente.it
1 Consiglio di
Stato, Sez. V, 8 marzo 2005, n. 935; Consiglio di Stato, Sezione V, 25 agosto
2008, n. 4061
2 Ex multis cfr: T.A.R. Campania, Sez. V, 24 dicembre 2009, n.
9552
3 Tar Toscana, Sez II, 13 gennaio 2009, n. 6
4 Derivanti dal ciclo lavorativo delle carrozzerie situate sul
territorio comunale e provinciale fiorentino
5 Articolo abrogato dall'art. 136, D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 378
e dall'art. 136, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Le stesse disposizioni sono ora
contenute nell'art. 27 del testo unico emanato con il D.P.R. n. 380 del 2001.
6 In senso negativo
7 Società che, oltretutto, non è stata chiamata a partecipare
neppure alle Conferenze di Servizi, con evidente violazione del necessario
contraddittorio
8 Nella sentenza si richiamano alcune decisioni (T.A.R. Toscana,
Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio
2007, n. 1254; T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320) senza però tener
conto che all’articolo 245, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 è oggi previsto un
dovere di adozione delle “misure di prevenzione” anche da parte del Proprietario
incolpevole, da considerare – a nostro avviso – una «voce fuori dal coro»,
indicizzata dal tornare a parlare del desueto concetto di pericolo concreto ed
attuale di superamento delle C.S.C. di cui all’articolo 17, comma 2,
dell’abrogato D.Lgs. 22/97 ed all’articolo 4, comma 1, del D.M. 471/99.
9 Cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art.174, ex art.
130/R, del Trattato CE)
10 Ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in
opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di
contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione
delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre
matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori
interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente
11 Al di là della dissonanza contenuta all’articolo 245.2
D.Lgs. 152/2006 (Vds. nota 8), è possibile confermare che dal combinato disposto
degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava che, nell’ipotesi di
mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del
responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso –
e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti
interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A.
competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile oppure esercitare, ove
la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei
medesimi interventi, nei limiti del valore dell’area bonificata (T.A.R.
Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17
settembre 2009, n. 1448)
12 Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885
13 Codificata, per il processo civile, nel leading case
costituito dalla pronuncia della Cassazione civile, Sez. Un., 11 gennaio 2008,
n.581
14 Concernente l’impugnazione di un provvedimento emesso dal
Responsabile del servizio gestione del territorio del Comune di Cerro al Lambro,
con la quale – per quanto il Comune non si sia costituito in giudizio – il
ricorso è stato dichiarato inammissibile, trattandosi di una comunicazione di
avvio procedimento amministrativo e quindi di un atto di natura
endoprocedimentale, come tale non impugnabile in quanto non dotato di autonoma
lesività, potendo essere fatti valere eventuali suoi vizi, unicamente in via
derivata, impugnando il conseguente provvedimento finale, come unico atto avente
natura provvedimentale e carattere autoritativo e perciò lesivo.
15 Con la quale è stata annullata la sentenza TAR Lombardia n.
761/2000, avente ad oggetto la bonifica delle stesse aree
16 All’epoca vigente
17 Al di la della valutazione concernente l’art. 31-bis, comma
3, della legge regionale Lombardia 7 giugno 1980 n. 94, che al momento non ci
interessa.
18 Che non si discosta, in tal senso, dal vigente D.Lgs.
152/2006
19 Cfr., Tar Toscana, II; 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R.
Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8
ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320; T.A.R.
Campania, sez. V, 28 settembre 1998, n. 2988
20 art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE
21 Ma noi potremmo richiamare la previsione di cui all’art.
245, comma 2, del D.Lgs. 152/2006: « È comunque riconosciuta al proprietario o
ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento
volontariamente per la realizzazione degli interventi dì bonifica necessari
nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità »
22 Assistite anche da privilegio speciale immobiliare
23 Qualora – come oggi prevede il vigente art. 250 del D.Lgs.
152/2006 – i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano
direttamente agli adempimenti disposti dal titolo V ovvero non siano
individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti
interessati
24 T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263; CdS, Sez V, 01 luglio
2002, n. 3596.
25 A tal riguardo facciamo rinvio al precedente contributo: DI
ROSA SILVANO, Per l’art. 14 del “Ronchi” non è una colpa essere proprietari di
un terreno! – pubblicato nel sito www.leggiweb.it (nella sezione articoli del
«MENÙ PRINCIPALE»); nel sito www.ambientediritto.it (nella sezione dottrina);
nel sito www.lexambiente.it; nel sito www.altalex.it; nel sito www.diritto.it;
nel sito www.ergaomnes.net – con particolare riferimento ai “Casi particolari di
colpa” illustrati alla pagina 60 dell’articolo.
26 Di regola, a titolo di canone di affitto
27 Magari, pur avendo escluso una responsabilità oggettiva del
proprietario dell’area.
28 T.A.R. Campania – Napoli n. 6348/05; T.A.R. Veneto n.
1830/03; T.A.R. Liguria n. 297/03; T.A.R. Puglia – Bari n. 872/03; T.A.R. Emilia
Romagna – Parma n. 872/02
29 Come invece si sarebbe potuto verificare se l’attività
svolta fosse stata una industria chimica e comunque un insediamento produttivo.
30 In tal senso Cass.Civ. 28 maggio 1992, n. 6443
31 In linea con l’analoga sentenza Tar Toscana, Sez II, 19
marzo 2010, n. 700
32 Il TAR Toscana richiama l’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997, ma
la stessa cosa vale anche per l’art. 192 del D.Lgs. 152/2006, in tema di
abbandono di rifiuti che, poi, abbiano determinato una conseguente
contaminazione delle soggiacenti matrici ambientali, attivando così gli iter
previsti dal Titolo V della Parte Quarta dello stesso decreto.
33 T.A.R. Toscana, sez. II, 19 settembre 2008, n. 2052; T.A.R.
Veneto, sez. III, 19 giugno 2006 n. 1800
34 T.A.R. Toscana, sez. II, 1 agosto 2001, n. 1318
35 alla stregua di quanto stabilito dall'ultima parte del III
comma dell'art. 14 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, così come si ritrova nel
vigente art. 192, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. 152/2006
36 come del resto risultava previsto dal quinto comma dell'art.
18 del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, in base al quale "nel caso in cui il sito
inquinato sia oggetto ... delle procedure concorsuali di cui al R.D. 16 marzo
1942 n. 267, il Comune domanda l'ammissione al passivo ai sensi degli artt. 93 e
101 del decreto medesimo per una somma corrispondente all'onere di bonifica
preventivamente determinato in via amministrativa" (Cons. Stato sez. V, 25
gennaio 2005, n. 136; T.A.R. Toscana, sez. II, 1 agosto 2001, n. 1318; T.A.R.
Lombardia, Milano, sez. II, 10 maggio 2005, n. 1159; T.A.R. Lazio, Latina, 12
marzo 2005, n. 304)
37 Torniamo a riferirci al lavoro Per l’art. 14 del “Ronchi”
non è una colpa essere proprietari di un terreno! richiamato alla nota 25, con
particolare riferimento all’analisi della sentenza CdS, Sez. V, 16 novembre 2005
n. 6406, effettuata alla propria pagina 27
38 Con riferimento al vigente D.Lgs. 152/2006, ci riferiamo
agli articoli 192 e 240 ss.
39 Richiamiamo ancora il lavoro Per l’art. 14 del “Ronchi” non
è una colpa essere proprietari di un terreno! , riferendoci stavolta alla pagina
58
40 Argomento desumibile dagli art. 14 e 15 del Dlgs. 30 aprile
1992 n. 285.
41 Venendo così meno all’obbligo di garantire una manutenzione
utile ex art. 14 del Dlgs. 285/1992.
42 Vedasi l’art. 211 commi 4 e 6 del Dlgs. 285/1992.
43 Dall’articolo 242 del D. Lgs. 152/2006
44 Con tutti i limiti che tale asserto possa valere per una
pubblica via
45 Da individuare unicamente nella cessazione dello stato
necessitante valorizzato dalla precedente requisizione, senza il quale occorre
consentire al privato inciso il riacquisto delle facoltà inerenti al diritto di
proprietà, indipendentemente ed incondizionatamente dall’assolvimento
dell’obbligo di ripristino dello stato originario dei luoghi
46 Oggi Titolo V, Parte Quarta, D.Lgs. 152/2006
47 Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005 n. 4525;
TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 2 aprile 2008 n. 791; TAR Campania Napoli, Sez.
I, 12 dicembre 2005 n. 20141
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 04/05/2010