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ATTIVITA’ ESTRATTIVA E RICICLAGGIO DEGLI INERTI. Nella gestione dei rifiuti inerti un paradosso tutto italiano.
FRANCESCO MONTEFINESE*
Secondo i dati riportati nell’ultimo rapporto ISPRA sulla produzione dei rifiuti
in Italia, i rifiuti inerti rappresentano la voce più rappresentativa.
Infatti, pur non avendo riscontri ed elementi certi di raffronto, la produzione
annuale si aggira su circa 50 milioni di tonnellate annue. La percentuale
avviata al recupero si attesta intorno al 10%. Il confronto dei dati con alcune
realtà dell’Unione Europea ci crea imbarazzo per la scarsa attività di recupero
e la spregiudicata attività estrattiva.
Infatti, per quanto riguarda l’attività estrattiva, sembra che l’Italia sia
rimasta bloccata al metodo antiquato che scavare ed estrarre sia più facile e
redditizio.
L’ultimo rapporto Legambiente conferma dati avvilenti: 6 mila cave in esercizio
e circa 10 mila abbandonate. Migliaia di fianchi di colline e di montagne
restano piaghe aperte, in alcune regioni si insiste ancora sull’estrazione
fluviale.
Le Regioni dove l’attività estrattiva effettua il prelievo maggiore sono la
Puglia con 25 milioni di metri cubi, la Lombardia con 23,6 milioni di metri cubi
e il Lazio con 19,2 milioni di metri cubi. In queste tre regioni si estraggono
circa la metà del quantitativo totale. Eppure il canone di estrazione richiesto
è estremamente basso, o del tutto inesistente nel caso della Puglia.
Le alternative esistono e funzionano. In Danimarca da oltre 20 anni, il problema
è stato risolto con una politica di tassazione che arriva a far pagare 50 euro a
tonnellata per buttare in discarica gli inerti: così il 90 per cento dei
materiali inerti utilizzati viene dal riciclo. In Italia avviene il contrario.
Porre rimedio è solo questione di indirizzo e controllo. Basta incrementare
l’attività di recupero dei rifiuti inerti. E’ necessario applicare e far
rispettare la normativa in vigore, dal Testo Unico Ambientale che ha
regolamentato e stabilito le norme sulla gestione dei rifiuti al Decreto n°
203/2003 (c.d. Decreto 30%) che ha introdotto l’obbligo per la Pubblica
Amministrazione di coprire i propri fabbisogni con almeno il 30% di prodotti
rinvenienti da recupero.
I rifiuti inerti recuperati, conformi agli standard della Circolare MinAmbiente
n° 5205 del 15/7/2005, iscritti al Repertorio del Riciclaggio, possono essere
utilizzati, nel settore edile-stradale ed ambientale, in sostituzione dei
materiali naturali per:
- la realizzazione del corpo dei rilevati di opere in terra;
- la realizzazione di sottofondi stradali,ferroviari,aeroportuali;
- la realizzazione di strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e
di piazzali civili ed industriali;
- la realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate;
- la realizzazione di strati accessori (anticapillare/drenante);
- per il confezionamento di calcestruzzi con classe di resistenza Rck < 150……
Il recepimento della Direttiva n° 2008/98/CE del 19/11/2008, impone il
raggiungimento, entro il 2020, di una percentuale di recupero, in termini di
peso, pari al 70% dei rifiuti prodotti. Raggiungere questo obiettivo permetterà
agli stati membri e sopratutto all’Italia, di incrementare notevolmente la
produzione di aggregati riciclati da destinare al riutilizzo, eliminare
dall’abbandono e dal degrado milioni di tonnellate di rifiuti e dimezzare
l’attività estrattiva, destinandola esclusivamente alla produzione di materiali
con lavorazioni più nobili, quali sabbie, calcestruzzi, asfalti, ecc., così
facendo riporteremmo solo vantaggi.
* Resp. Programma
RECinert
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 28/04/2010