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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Attività edilizia dei privati su aree demaniali*
MORENA LUCHETTI
1. Nozione di demanio
2. Gli interventi edilizi sulle aree demaniali
2.1 L’edilizia privata sul demanio marittimo costiero
1. NOZIONE DI DEMANIO
All’art. 822 del Codice Civile è stabilito che “Appartengono allo Stato e
fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade, e i
porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle
leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.
Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le
strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aeroporti; gli acquedotti; gli
immobili riconosciuti d’interesse storico archeologico e artistico a norma delle
leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle
biblioteche; e infine i beni che dalla legge sono assoggettati al regime proprio
del demanio pubblico.”
Ne consegue, secondo l’elencazione contenuta nel primo comma, la bipartizione
del demanio in demanio marittimo e demanio idrico-fluviale, mentre al secondo
comma sono indicati i beni appartenenti al demanio stradale, a seguire quelli
del demanio storico-artistico ed infine, con un rimando “residuale”, quelli
direttamente tipizzati dalla legge in quanto soggetti al regime del demanio
pubblico.
• Demanio marittimo. I beni del demanio marittimo sono identificati,
oltrechè dal Codice Civile, anche dal Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo
1942 n. 327) e sono costituiti da: a) il lido, la spiaggia, le rade e i
porti; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di
acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano
liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.
Per decretare l’appartenenza di un bene al demanio marittimo valgono i seguenti
criteri, sanciti anche come idonei elementi di giudizio dalla giurisprudenza
(Cass. Pen. Sez. III, n. 7393 del 7.09.1983): l’iscrizione del bene nel demanio
dello Stato; la sua prossimità al mare; l’inserimento fra altri beni demaniali;
la mancanza di un provvedimento esplicito di sdemanializzazione da parte della
Pubblica Amministrazione o di un comportamento manifestamente incompatibile con
la volontà di mantenere il carattere demaniale del bene medesimo.
Il concetto di “demanialità” si estende anche alle c.d. pertinenze, ossia alle
costruzioni ed alle altre opere appartenenti allo Stato che, se esistenti entro
i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono soggette allo
stesso regime previsto per il demanio. A norma degli artt. 817, 818 e 819 del
codice civile, infatti, le pertinenze “seguono” la sorte del demanio a cui
accedono, con la conseguenza che fintantoché permane la demanialità dell’area,
anche le costruzioni su di essa presenti sono da considerarsi del demanio
statale e dunque appartengono allo Stato. Di converso, all’esito di un’eventuale
sdemanializzazione, la proprietà pubblica statale viene meno tanto per il bene
principale (l’area) quanto per le pertinenze.
• Demanio idrico-fluviale. Secondo l’art. 822 c.c. ne fanno parte i
fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in
materia.
Anche il terreno, interessato dallo scorrimento delle acque pubbliche di un
fiume, è demaniale. In questo caso la demanialità discende dalla “funzione” che
il terreno assume a supporto e contenimento del fiume medesimo, funzione che,
automaticamente, viene meno in conseguenza di fenomeni naturali quali fenomeni
“di piena” e “di magra”, che non abbiano carattere transitorio, ma che siano in
grado di determinare in modo irreversibile la cessazione di quella funzione. Ciò
che si verifica, ad esempio, nel caso di ritiro delle acque da una riva verso
l’altra, ovvero nel caso dell’abbandono dell’alveo (Cass. Civ., Sez. II, n.
10607 del 9.10.1991).
Inoltre, fanno parte del demanio idrico-fluviale le sponde e le rive interne dei
fiumi, in quanto rientranti nel concetto di alveo. Il discrimine rispetto alle
sponde e rive esterne è dato dall’essere, le zone interne, soggette a immersione
nel caso di piene ordinarie, a differenza delle esterne che possono essere
invase dalle acque solo nell’ipotesi di piene straordinarie. Queste zone
esterne, proprio perché escluse dall’alveo, sono private ed appartengono ai
proprietari dei fondi rivieraschi1.
Quanto alle acque pubbliche, esse, salvo diversa previsione legale, fanno parte
del demanio dello Stato in considerazione tanto del citato art. 822 c.c. quanto
del R.D. 11 dicembre 1933 n. 17752.
La riorganizzazione dal punto di vista delle funzioni amministrative della
tutela delle acque e della difesa del suolo avvenuta con la Legge 18 maggio 1989
n. 183, che ha affidato ai Comuni gran parte delle suddette funzioni, non ha
scalfito la regola della demanialità, restando inalterata la titolarità del
diritto dominicale in capo allo Stato3.
• Demanio stradale. Nel demanio stradale sono compresi i beni quali
strade, autostrade e strade ferrate, semprechè appartenenti allo Stato (art. 822
secondo comma c.c.)4.
Con riferimento alle strade ferrate, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, n.
2635 del 04.03.1993) ha specificato l’inclusione, nel concetto, del suolo e
delle strutture essenziali necessarie al funzionamento della linea,
estromettendo invece il materiale rotabile e gli edifici, non inerenti alla
strada ferrata, facenti parte del patrimonio indisponibile ai sensi dell’art.
826, ultimo comma, del codice civile.
Oltre al demanio pubblico statale, l’art. 824 c.c. prevede il demanio pubblico
c.d. provinciale e quello c.d. comunale, laddove i beni indicati al secondo
comma dell’art. 822 appartengano alle province o ai comuni.
La tripartizione dei beni demaniali in statali, provinciali e comunali è
ricondotta ad unità nel momento in cui il codice civile prevede per tutti lo
stesso regime, statuendo all’art. 823 la loro inalienabilità e l’impossibilità
che formino oggetto di diritti a favore di terzi, “se non nei modi e limiti
stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Recentemente il Governo ha approvato il D. Lgs. 28 maggio 2010, n. 85,
pubblicato in G.U. n. 134 dell’11 giugno 2010.
Tale decreto, in attuazione del federalismo fiscale per la parte diretta ad
attuare il c.d. “federalismo demaniale”, determina il trasferimento a Regioni,
Province, Comuni e Città Metropolitane di beni dello Stato, secondo un criterio
di base di valorizzazione del bene stesso5.
Subordinatamente all’adozione di uno o più decreti attuativi del Presidente del
Consiglio dei Ministri, lo Stato trasferirà agli Enti suddetti tanto i beni “demaniali”
quanto i beni “patrimoniali”, fatta eccezione per alcune tipologie
espressamente contemplate all’art. 5 comma 2 (immobili aventi comprovate
finalità istituzionali, porti e aeroporti di rilevanza nazionale e
internazionale, beni del patrimonio culturale, beni oggetto di accordi o intese
con gli Enti territoriali, le reti di interesse statale comprese quelle
energetiche, le strade ferrate in uso).
Quanto ai beni demaniali, saranno trasferiti alle Regioni i beni del demanio
marittimo, e relative pertinenze (art. 5 comma 1 lett. a)), e quelli del demanio
idrico, anche qui con le relative pertinenze (art. 5 comma 1 lett. b)), eccezion
fatta, in quest’ultimo caso, dei beni consistenti in laghi privi di emissari di
superficie che insistono sul territorio di una sola Provincia, che saranno
attribuiti a tale Ente. Alla Provincia andranno anche le miniere, previste
all’art. 5 comma 1 lett. d).
La parte residuale dei beni demaniali, non assegnata a Regioni e Province, potrà
dunque essere assegnata agli altri Enti, unitamente ai beni patrimoniali.
L’enucleazione delle tipologie di beni trasferibili – tanto demaniali quanto
patrimoniali – è contenuta nel citato articolo 5, primo comma, che completa il
quadro indicando alla lettera c) “gli aeroporti di interesse regionale o
locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative
pertinenze” diversi da quelli di interesse nazionale, ed alla lettera e)
“gli altri immobili dello Stato”, ad eccezione di quelli esclusi dal
trasferimento.
Il decreto apre la strada ad un significativo ampliamento del demanio degli Enti
Territoriali trasferendo loro l’appartenenza dei beni dello Stato6.
Il regime giuridico demaniale rimane, per espressa previsione normativa, lo
stesso di prima, ossia quello previsto dal codice civile, dal codice della
navigazione e dalle leggi regionali, statali e comunitarie di settore (art. 4).
La sola eccezione possibile riguarda i beni demaniali diversi da quelli del
demanio marittimo, idrico e aeroportuale, e dovrà farsi risalire al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri di attribuzione dei beni con il quale,
eventualmente, sarà consentito disporre, ove ne ricorrano i presupposti,
l’inclusione del bene nel patrimonio indisponibile.
Dal punto di vista della cura, gestione e tutela del demanio resteranno dunque
vigenti le norme civilistiche, prima fra tutte l’art. 823 c.c..
Il decreto prevede da un lato l’iniziativa dello Stato nell’individuazione e
nell’elencazione dei beni da trasferire, dall’altro quella degli Enti
interessati per vedersi attribuito il bene, mediante espressa richiesta.
L’assegnazione, è detto, avviene a titolo non oneroso e sarà sorretta da alcuni
criteri fondamentali quali a) sussidiarietà, adeguatezza e territorialità,
b) semplificazione, c) capacità finanziaria, d) correlazione
con competenze e funzioni, e) valorizzazione ambientale (art. 2).
I beni possono essere attribuiti agli Enti anche in quote indivise (art. 2 comma
5), sempre nell’osservanza dei criteri anzidetti, e ciò varrà per quegli
immobili a vocazione territoriale “esterna” la cui valorizzazione è in grado di
generare benefici che vanno al di là dei confini di una sola giurisdizione.
2. GLI INTERVENTI EDILIZI SULLE AREE DEMANIALI
Il demanio può essere concesso ai privati per la realizzazione di opere
edilizie.
Posto che l’art. 822 c.c. pone a carico dell’autorità amministrativa (statale,
provinciale, comunale ecc…) la gestione delle aree demaniali, compresa la
funzione di concessione delle stesse, è nel Testo Unico dell’Edilizia – D.P.R. 6
giugno 2001 n. 380 (TUE) – all’art. 8 che trova accoglimento il principio della
edificabilità privata dell’area demaniale, disciplinata dalla norme ivi
contenute7.
In considerazione, però, della natura pubblica e degli interessi sottesi alla
sua tutela, la realizzazione degli interventi edilizi sul demanio è generalmente
sottoposta ad una serie di vincoli e restrizioni speciali, inesistenti nei casi
di edificazione “ordinaria”.
I regimi giuridici speciali vengono a diversificarsi, poi, in relazione alla
specifica tipologia di bene interessato, appartenente al demanio marittimo, o a
quello idrico-fluviale, o a quello stradale ecc…
Se si considera il demanio marittimo, come si dirà più diffusamente a breve, la
disciplina speciale è costituita dal Codice della Navigazione nonché dalla Legge
Galasso n. 431/1985 e dal Codice dei beni culturali e del paesaggio – c.d.
Codice Urbani - approvato con d. lgs. n. 42/2004.
Lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio ha fortemente influenzato
anche l’attività ad edificandum sul demanio idrico-fluviale a causa del
vincolo paesaggistico posto a tutti i beni di tale demanio (art. 142). Questi
sono assoggettati primariamente al piano paesaggistico nonché ad una
pianificazione speciale a difesa del suolo e delle acque costituita dai piani di
bacino. Nell’insieme, i piani sono sovraordinati agli strumenti urbanistici
comunali e prevalgono sulle disposizioni eventualmente difformi, stanti i valori
e gli interessi da essi tutelati tutti di rilievo costituzionale (art. 145 d.
lgs. n. 42/2004; art. 65 d. lgs. n. 152/2006, c.d. Codice dell’Ambiente - Cons.
St., Sez. II, n. 548 del 20.05.1998, TAR Sardegna, Sez. II, n. 2241 del
13.12.2007).
Quanto al demanio stradale e autostradale, la disciplina speciale è rinvenibile
nella Legge quadro n. 151/1981 concernente la pianificazione speciale dei
trasporti e della viabilità.
2.1 L’edilizia privata sul demanio marittimo costiero
In considerazione del duplice rapporto che si instaura tra privato e Pubblica
Amministrazione (PA) relativo, da un lato, all’occupazione dell’area demaniale
per uso privato e, dall’altro, alla costruzione dell’opera, discende che:
- la sottrazione all’uso pubblico dell’area costiera per un prevalente interesse
privato meritevole di tutela è subordinata al rilascio di apposita
concessione demaniale;
- la realizzazione dell’opera è, invece, subordinata al possesso da parte del
privato di idoneo titolo abilitativo (permesso a costruire, d.i.a.,
super-dia ecc…) tra quelli previsti dal TUE.
La concessione demaniale è atto conclusivo del procedimento amministrativo con
il quale l’autorità amministrativa, prima coincidente con quella mercantile oggi
con quella regionale o comunale8,
concede al privato di occupare uno spazio del demanio marittimo, prescrivendo
una serie di condizioni, di regola “generali” e “speciali”, disciplinanti il
rapporto ed il regime di responsabilità delle parti. Essa, in quanto diretta a
sottrarre all’uso pubblico il “dominus soli” altrimenti destinato per sua natura
e vocazione al godimento di tutti, ha una durata temporanea e può subire, anche
in corso di vigenza, brusche interruzioni dovute a pronunce di decadenza o
revoca.
Rappresentando l’atto legittimante l’occupazione e l’utilizzo del bene
demaniale, la concessione riveste carattere pregiudiziale rispetto al titolo
abilitativo. In sua assenza, infatti, il privato, pur se in possesso del
permesso a costruire, non può avviare i lavori, restando senza effetto il titolo
ottenuto.
E’ dunque prioritaria la richiesta di rilascio della concessione rispetto a
quella del titolo abilitativo, dovendo, a stretto rigore, l’autorità
amministrativa rilasciare il titolo edificatorio solo al soggetto che sia già
concessionario del bene. In ogni caso, la compresenza dei due provvedimenti è
indispensabile al fine del concreto inizio dei lavori.
Sulla natura del diritto che il privato acquista per effetto dell’intervento
edilizio operato sull’area demaniale, la Suprema
Corte ha sancito il configurarsi di un diritto di superficie in capo a colui che
ha costruito (Cass. Civ, Sez. Unite, n. 1324 del 13.02.1997). L’acquisto avviene
a titolo originario ed il diritto, di consistenza reale ma temporaneo, ha la
stessa durata limitata della concessione del bene demaniale su cui l’opera
insiste e, pertanto, con l’estinzione della concessione si estingue anche il
diritto.
Ne consegue che tutti gli eventi modificativi dell’esistenza e della durata
della concessione quali la revoca (art. 42 cod. nav.), la decadenza (art. 47
cod. nav.) la scadenza e l’estinzione influiscono sul diritto di superficie
determinandone la cessazione, con conseguente applicazione dell’istituto
dell’accessione di cui all’art. 953 c.c. ed incremento della proprietà del
suolo.
Vincoli. Tra le restrizioni specifiche cui è soggetta l’attività
edilizia sulle aree demaniali marittime, vi è quella riconducibile all’art. 49
cod. nav. dal titolo “devoluzione di opere non amovibili”.
E’ previsto che alla scadenza della concessione, salvo che non sia diversamente
stabilito nell’atto, le opere “non amovibili” restano acquisite allo Stato (o
Regione, Comune…) senza alcun compenso o rimborso. Ne deriva una particolare e
specialissima caratteristica tecnica riguardante tutte le opere costruite sulle
zone costiere che, secondo il Codice, dovrebbero quindi realizzarsi in modo tale
da potersi definire di facile rimozione (senza essere incardinate al
suolo, fatte con materiali privi di c.a. ecc…).
Ciò, vista la necessaria osservanza, in sede di realizzazione dell’opera, delle
normative antisismiche e di tutela della sicurezza pubblica, può comportare
delle difficoltà di “armonizzazione” in sede interpretativa ed applicativa.
Altro vincolo è rappresentato dall’autorizzazione paesaggistica, introdotta con
la legge Galasso n. 431/1985. Oggi la prescrizione è contenuta all’art. 142 del
d. lgs. n. 142/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) che prevede che
“ i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri
dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare” sono
direttamente assoggettati al vincolo paesistico, con conseguente obbligatorietà
della relativa autorizzazione prima di costruire su dette zone.
L’autorizzazione, definita quale atto autonomo e presupposto tanto del
permesso a costruire quanto degli altri titoli che legittimano l’intervento
edilizio, potrebbe essere richiesta anche dopo l’ottenimento del titolo
edificatorio ma, nel caso, quest’ultimo rimane inefficace sino al rilascio
dell’autorizzazione, della quale peraltro deve recepire eventuali prescrizioni e
limiti (Cons. St., Sez. V, n. 738 del 20.11.1989).
Al fine di snellire e semplificare l’attività amministrativa, è possibile, per
l’amministrazione procedente (Comune, ad esempio) ricorrere allo strumento della
Conferenza dei Servizi di cui all’art. 14 e ss. della Legge n. 241/1990 (come
modificata dalla legge n. 15/2005 e dalla legge n. 69/2009) per esaminare
contestualmente tutti gli interessi coinvolti nella procedura di rilascio del
permesso a costruire e per acquisire da parte delle altre amministrazioni i
relativi atti di assenso comunque denominati (art. 14 comma 3).
Nell’ambito di applicazione della conferenza rientra anche l’autorizzazione
paesaggistica. L’art. 14-quater9,
con le novelle introdotte nella riforma del 2005, prevede, infatti, che
nell’ipotesi di dissenso espresso dall’amministrazione preposta alla tutela
ambientale o paesaggistico-territoriale (nonché del patrimonio storico-artistico
o della tutela della salute e della pubblica incolumità) la decisione assunta in
conferenza venga rimessa dall’amministrazione procedente ad un organo superiore
per la decisione definitiva (Cons. St., ad. plen., n. 9 del 14.12.2001).
* Contributo tratto dall’articolo “Attività edilizia dei privati
su aree demaniali” curato dall’avv. Morena Luchetti di imminente uscita ne
“Guida Pratica EDILIZIA”, Edizione 2010, della Collana “Le Guide Pratiche de Il
sole 24 ore”.
______________________
1 Cass. Civ. Sez. Unite, n. 12701 del 18.12.1998.
2 V. anche D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 che ribadisce la
demanialità delle acque pubbliche.
3 Cass. Civ. Sez. Unite, n. 12272 del 05.07.2004.
4 Anche qui alcune sentenze della Suprema Corte hanno sancito
l’essenzialità, ai fini dell’accertamento della natura pubblica della strada, di
“un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge
sia di proprietà di un ente pubblico territoriale ovvero che a favore del
medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa
sia destinata all’uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o
tacita dell’ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine, l’esplicarsi
di fatto del transito del pubblico né la mera previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica o l’intervento di atti di riconoscimento da parte
dell’amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta” (Cass. Civ.,
Sez. II, n. 8204 del 07.04.2006).
5 D. Lgs. 28 maggio 2010 n. 85 “Attribuzione a Comuni, Province,
Città Metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio,in attuazione
dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42” .
6 Art. 6, primo comma: <<Al fine di favorire la massima
valorizzazione dei beni e promuovere la capacità finanziaria degli enti
territoriali (…) i beni trasferiti agli enti territoriali possono (…) essere
conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare (…)>>.
Il legislatore sembra voler, con la suddetta disposizione, incentivare non solo
la capacità finanziaria degli enti territoriali ma anche quella più generale di
tipo <<imprenditoriale>>.
Ciò si desume anche dal successivo art. 9, comma 5, in base al quale <<Le
risorse nette derivanti a ciascuna Regione ed ente locale dalla eventuale
alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito (…) nonché
quelle derivanti dalla eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i
medesimi beni siano stati conferiti sono acquisite dall’ente territoriale per un
ammontare pari al settantacinque per cento delle stesse. Le predette risorse
sono destinate alla riduzione del debito dell’ente (…)>>
7 Il principio in base al quale l’attività edificatoria sul
demanio deve dirsi sottoposta al preliminare permesso a costruire è da riferirsi
alla legge n. 765/1967 c.d. legge Ponte che, innovando l’art. 31 comma 3 della
legge urbanistica vigente, la l. n. 1150/1942, introdusse la norma per cui “Per
le opere da costruirsi da privati su aree demaniali deve essere richiesta sempre
la licenza del sindaco”.
8 Delega di funzioni. La concessione demaniale veniva rilasciata
dagli organi periferici dello Stato, quali le Capitanerie di Porto, sino al
d.lgs. n. 112/1998 che, all’art. 105 comma 2 lett. l) stabilisce di conferire
alle Regioni le funzioni relative al “rilascio di concessioni di beni del
demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare
territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di
energia; tale conferimento non opera nei porti e nelle aree di interesse
nazionale individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
21 dicembre 1995”.
Successivamente al decreto, molte Regioni delegano con proprie leggi le funzioni
di rilascio delle concessioni demaniali, soprattutto per attività
turistico-ricreative, ai Comuni.
9 ART. 14-QUATER LEGGE 241/1990 Commi 3 e 3bis “Effetti del
dissenso espresso nella conferenza dei servizi”:
“Se il motivato dissenso è espresso da un’amministrazione preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla
tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa
dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei
Ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, di seguito denominata “Conferenza Stato-regioni”, in caso
di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più
amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all'articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra
un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la
decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio
dei Ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata,
valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per
un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni”; “Se il motivato dissenso
è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di
propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa dall'amministrazione
procedente, entro dieci giorni: a) alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso
verte tra un'amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni
regionali; b) alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra una regione o
provincia autonoma e un ente locale. Verificata la completezza della
documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta
giorni, salvo che il Presidente della Conferenza Stato-regioni o della
Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di
prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta
giorni”.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
l'1/9/2010