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Scarichi industriali in acque superficiali, fognature e suolo, con superamento dei valori limite: sanzioni amministrative o penali?
(L’art. 137, comma 5 e 6, T.U. n. 152/2006, secondo
Cass. Pen. n. 37279/2008).
PASQUALE GIAMPIETRO*
SOMMARIO:
1. Un dibattito nuovo su una questione vecchia (e risolta): la disciplina
delle acque reflue industriali in pubblica fognatura, acque superficiali e
suolo.
2. La modulazione del regime sanzionatorio viene confermata dalla
successione delle fonti: l’art. 59,d.lgs. n. 152/99, prima e seconda versione a
confronto.
3. Il decreto correttivo n. 258/2000 e la più recente sentenza n.
37279/2008.
3.1 Gli articolati (ma non persuasivi) argomenti della Cassazione n.
1758/2003: sua riferibilità all’art. 137, comma 5 e 6, del T.U. ambientale.
3.2. Rilievi critici sulle due pronunce: la nuova formulazione del comma
5 e il rispetto della…. sintassi.
3.3. La ratio legis di un regime sanzionatorio differenziato e il
mancato rispetto del criterio di proporzionalità, secondo la diversa lesività
della condotta – La cancellazione, di fatto, della clausola di riserva dell’art.
54 e l’assenza della voluntas legis e legislatoris - La violazione dei
criteri di ragionevolezza scientifica.
3.4. I precedenti giurisprudenziali contrari e l’assoluta prevalenza
della tesi del doppio regime.
4. La lettura rigorista si espone a seri rilievi di incostituzionalità.
4.1. Trattamento uguale per situazioni differenziate.
4.2. Abrogazione, per via interpretativa, dell’art. 133, T.U. ambientale.
4.3. L’adesione perplessa di una attenta dottrina alla sentenza Serafini
2008.
4.4. Motivi ostativi di rilevanza costituzionale.
5. Conclusioni e proposte.
1. Un dibattito nuovo su una questione vecchia (e risolta): la disciplina
delle acque reflue industriali in pubblica fognatura, acque superficiali e
suolo.
Le riflessioni espresse in questa nota si rivolgono a tematiche ampiamente
dibattute, oltre che risalenti (agli anni ’70 del secolo scorso…). Ma una
recente pronuncia della sez. 3° penale della Suprema Corte1
le ha richiamate in vita, strappandole alla “storia”, e dando ad esse una
soluzione che contraddice una interpretazione giurisprudenziale e dottrinale,
ormai consolidata, che aveva trovato nel d. lgs n. 152/2006 il suo più recente
avallo.
In una vicenda di scarico di acque reflue industriali in acque superficiali
(ma lo stesso varrebbe nel caso di scarico in pubbliche fognature o in
suolo), con superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3,
dell’Allegato 5 (relativamente ai parametri del B.O.D. e del C.O.D.), la S.C.,
anziché ritenere applicabili le sanzioni amministrative previste dall’art.
133, del T.U. cit. (che, per l’appunto, punisce “lo scarico che superi i
valori lime di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5, nella
parte terza del presente decreto”, fra cui la tab. 3), ha ricondotto tale
violazione all’art. 137, comma 5, fornendo una lettura che, pur vantando
un precedente specifico2,
si presenta del tutto dissonante con i suoi stessi orientamenti,
prevalenti e consolidati (v. oltre); con la dottrina più attenta ma,
soprattutto, con la volontà del legislatore (che, da tempo, ha introdotto un
sistema sanzionatorio binario, articolato in sanzioni amministrative e
penali, a seconda della gravità del fatto, riservando queste ultime a condotte
di particolare disvalore sociale riferito ovviamente alla tutela dei valori
ambientali3).
Per arrivare a tali impegnative conclusioni (appena anticipate sopra), occorre
prendere le mosse dal dato normativo riferito al non breve arco temporale
che va dal 1976 (anno di entrata in vigore della legge Merli, n. 319/1976), al
1999 (in cui fu approvato il d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152) sino ad arrivare al
T.U. cit. del 2006, come novellato dai noti decreti correttivi (di cui l’ultimo
n. 4/2008) per due ragioni:
- perché il superamento della legge “Merli”, da parte del decreto 152/’99, si
compie in nome (anche) della depenalizzazione di molte ipotesi di reato
previste dalla stessa legge n. 319/76 (la quale aveva ricondotto a illeciti
penali tutte le forme di superamento dei limiti di accettabilità imposti agli
scarichi, in base all’art. 21, comma 3);
- in quanto l’art. 59, comma 5 e 6, del decreto n. 152 cit., come novellato, è
stato riprodotto identicamente (tranne una variante lessicale che si
indicherà) dall’art. 137, comma 5 e 6 del T.U. cit., tanto da giustificare il
richiamo alle problematiche e alle conclusioni maturate dalla giurisprudenza
prevalente e dalla dottrina formatesi sulla interpretazione, appunto,
dell’art. 59 (dal 1999 al 2006) delle quali la decisione della S.C. n.
37278/ 2008, pur optando per una lettura opposta, non si è fatta carico
di confutare le motivazioni, limitandosi a evocare, a suo supporto, l’isolato
precedente n. 4806 del 2003, cit.4
Non senza aver messo in luce, innanzi tutto, la rilevanza pratica delle
opposte opzioni interpretative:
A) quella più rispettosa della lettera e della volontà legislativa (ratio legis)
secondo cui costituisce regola generale il sottoporre a sanzioni
amministrative “.. il superamento dei valori limite di emissione fissati
nelle tabelle di cui all’allegato 5” (ex art. 54, del d. lgs. n. 152/1999
e dell’attuale art. 133, del T.U. ambientale), fatta salva l’eccezione
che tale superamento configuri un reato (come si legge testualmente
nell’identica espressione parentetica dei due articoli: “salvo che il fatto
costituisca reato”);5
B) la seconda, prospettata dalle due sentenze richiamate (n. 4806/2003 e n.
37278/ 2008) che, con riferimento alle fonti succedutesi nel tempo, hanno letto
l’art. 59, comma 5 e 6 (del decreto del ’99) e l’art. 137, comma 5 e 6 del T.U.
cit., nel senso che la sanzione penale andrebbe applicata, sempre e
comunque, non solo in caso di violazione dei limiti di emissione afferenti
le sostanze pericolose, ma anche di tutti gli altri valori limite fissati
nella tabella 3 (relativi alle emissioni in acque superficiali o in
fognatura delle acque reflue industriali) o nella tabella 4 (nel caso di
scarico nel suolo degli stessi reflui industriali) che non
riguardano i limiti fissati per le sostanze pericolose della tab. 5
dell’Allegato 5 (limiti per i quali tanto l’art. 54 che l’art. 133 fissavano e
fissano una sanzione amministrativa e non penale, per quanto osservato sub A).
**Come dire, in più chiare lettere, che tutte le imprese che scaricano i
propri reflui industriali in acque superficiali, suolo o in fognatura,
secondo le due decisioni richiamate, devono essere sottoposte a sanzioni penali,
relativamente severe (arresto fino a due anni e ammenda da tre mila a trenta
mila euro, senza possibilità di oblazione né ordinaria né speciale, ex art.
162 e 162 bis c.p.) - e non con la sanzione amministrativa, da tremila a
trentamila euro, come si ritiene (per le ragioni che seguono), ex art. 133,
cit. - per superamento anche di uno solo dei 51 parametri della tab. 3 e
dei 39 parametri della tab. 4, a prescindere dalla pericolosità o meno
delle sostanze immessi in detti corpi ricettori (e dunque anche in loro
assenza).6
Di più: a tale regime di maggiore severità e gravità, che risulta dissonante,
come vedremo, con il sistema a doppio binario, voluto dalla legge (sanzione
amministrativa o sanzione penale), andrà a colpire, ai sensi dell’art. 137,
comma 6 (già art. 59, comma 6) anche tutti “.. i gestori degli impianti
di trattamento delle acque reflue urbane”7
(ove recapitano gli scarichi delle acque reflue domestiche, industriali e/o
quelle meteoriche o di dilavamento, ex art. 74, comma 1, lett. i) cui viene
estesa la disciplina sanzionatoria penale del comma 5, nel caso in cui “effettuino
scarichi (fognari) che superino i valori limite previsti dallo stesso comma”
(5°), anche solo a titolo di colpa (non essendo più richiesto il dolo o
la colpa grave).
L’estensione dell’interpretazione più rigoristica ai gestori degli
impianti di trattamento delle fogne appare ancora più forzata e
ingiustificata ove si rifletta:
a) alla peculiarità di struttura di tale impianto (di trattamento delle acque di
fogna);
b) alla confluenza, in esso, di varie tipologie di scarichi, con diversa
provenienza e idoneità inquinante;
c) alla delicatezza dei problemi tecnico-gestionali di chi, come gestore
dell’impianto, “subirà” il più delle volte, nella assoluta inconsapevolezza, gli
altrui “superamenti” dei valori limite ovvero gli scarichi, del tutto anomali,
di utenti (spesso ignoti), rischiando di rispondere, sempre e comunque,
penalmente (anche) per fatto altrui…..8.
2. La modulazione del regime sanzionatorio viene confermata dalla successione
delle fonti. L’art. 59, d. lgs. n. 152/99: prima e seconda versione a confronto.
Ove si rifletta sulla evoluzione del dato normativo, chiamato a regolare
l’importante ed esteso ambito degli scarichi di acque reflue industriali,
domestiche e urbane nelle pubbliche fognature - secondo le definizioni
legislative di cui all’art. 74, comma 1, lett. g,h,i, T.U. ambientale, nonché
dei conseguenti scarichi (lett. ff), previo trattamento (lett. ii, ll, mm, dello
stesso disposto) – ci si avvede, pur nelle varianti lessicali, di alcune
note dominanti, già accennate, ma meritevoli di approfondimento:
1) l’uso generalizzato dello strumento penale, per garantire il rispetto dei
limiti di accettabilità (secondo la legge n. 319/1976), veniva
successivamente abbandonato, a partire dalla legge n. 172 del 17 maggio
1995, che introduceva una disciplina di favore, adottata dalle regioni,
per gli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili non
recapitanti in pubbliche fognatura (v. art. 14) per la cui violazione erano
previste sanzioni amministrative ove la condotta “non costituisse
reato o circostanza aggravante”, ex art. 21, comma 3 e 5 (nel caso di
mancata richiesta di autorizzazione ovvero di scarico con autorizzazione
revocata o negata); ovvero, ex art. 22 (per l’inosservanza delle prescrizioni di
autorizzazione); fermo restando che si applicava sempre la sanzione penale
(ammenda o arresto) “qualora siano superati i limiti di accettabilità
inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente o bioaccumulabile”
(ai sensi dell’art. 21, comma 4);
2) la legge comunitaria del 24 aprile 1998, n. 128, nel delegare il Governo a
dare attuazione a determinate direttive comunitarie (di cui quelle a tutela
delle acque dall’inquinamento, ex art. 17), dettava “criteri e principi
direttivi generali” (ex art. 2) che consolidavano,
istituzionalizzandolo, il doppio regime sanzionatorio (amministrativo e
penale: “saranno previste sanzioni amministrative e penali per le
infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi..”, ex lett. c), ovviamente in
ragione della lesione o esposizione a pericolo “.. degli interessi generali
dell’ordinamento interno.. “ (sanzione penale) ovvero “di interessi diversi da
quelli indicati” (sanzione amministrativa), secondo principi di adeguatezza e
proporzionalità, propri ed intriseci all’ordinamento interno e, prima
ancora, a quello comunitario. Da rispettare in modo rigoroso soprattutto quando
la norma da applicare irroghi una sanzione (sia essa penale che
amministrativa, ex art. 1, legge n. 689/1981) che dovrà modularsi, di volta in
volta, sulla offensività della condotta;
3) conformemente a tali criteri di delega, il d. lgs n. 152/1999 poneva, in
via ordinaria, un sistema di sanzioni amministrative, come reazione
punitiva al superamento dei limiti di emissioni (v. art. 54 cit.) oltre che
per l’inosservanza di altri obblighi di legge (v. i restanti disposti del Capo
I, del Titolo V: artt. 55/57), introducendo, in via di eccezione, le
sanzioni penali del solo art. 59 (Capo II).
In tale fase di evoluzione normativa, l’art. 59, comma 5 e 6, nella sua
prima versione, non poneva alcun dubbio nella sua concreta applicazione,
stante la palese chiarezza del suo dettato:
“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limite fissati nella
tabella 3 dell'allegato 5 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5
ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o delle Province autonome,
è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a
lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le
sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei
mesi a tre anni e l'ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di
depurazione che, per dolo o per grave negligenza, nell'effettuazione dello
scarico supera i valori limite previsti dallo stesso comma.”
Erano, infatti, previste, per gli scarichi industriali, due fattispecie
di reato rappresentate:
1) dal superamento dei limiti fissati dalla tab. 3 cit. (da riportare al p. 1.2.
“acque reflue industriali” e al ricettore: acque superficiali e
fognatura) “in relazione alle ” (cioè solo se “detti limiti”
riguardavano) “sostanze” pericolose (n. 18) “indicate nella Tabella 5”
(arsenico, cadmio, cromo, ecc., corrispondenti, nell’ordine, ai parametri 10.13,
14, ecc. della Tab. 3);
2) dal superamento dei limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle
Province autonome, sulla base di una previsione di legge che legittimava le
regioni a introdurre, in tal modo, delle prescrizioni tecniche
(“limiti diversi”) che costituivano il presupposto (o elemento normativo della
fattispecie) per l’applicazione di sanzioni penali (potestà riservata al
legislatore statale).9
Si è detto che la norma risultava assai chiara, nel suo dettato, anche se, con
riferimento alle sostanze pericolose, poteva essere meglio redatta
inserendo la proposizione parentetica (“in relazione alle sostanze indicate
nella Tabella 5”) – in quanto condizione comune, riferibile ad
entrambe le fattispecie – in fondo all’intero periodo del comma 5, in
questi termini:
“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limite fissati nella
tabella 3 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni
o delle Province autonome, in relazione alle sostanze indicate nella tabella
5, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire cinque
milioni a lire cinquanta milioni.”
3. Il decreto correttivo n. 258/2000 e la più recente sentenza n. 37279/2008:
I rilevanti problemi ermeneutici sottesi al duplice orientamento
giurisprudenziale sopra indicato, aggravati dalla più recente lettura
rigoristica della Cassazione del 2008 cit., sono sorti solo…. un anno
dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 152/1999, in occasione del decreto
correttivo del 18 agosto 2000, n. 258. Il quale, infatti, apportava delle
modifiche significative all’art. 59 che sono state lette, da una parte del
tutto minoritaria della giurisprudenza successiva (v. oltre, par. 3.4.),
come espressione di una volontà del legislatore di “criminalizzare” le
condotte di superamento dei limiti di emissioni degli scarichi industriali e
di quelli dei gestori delle reti fognarie, con riferimento ai limiti posti
nelle tabelle 3 (per i recapiti nelle acque superficiali e nella pubblica
fognatura) e 4 (recapito nel suolo) citt., sottraendole, di conseguenza, al
regime più favorevole delle sanzioni amministrative, di cui all’art. 54 cit. (v.
retro).
L’esame, in questa sede, di tali novità non risponde ad una curiosità storica o
ad una esigenza puramente teorica, ma ad una necessità pratica e di diritto
positivo vigente, in quanto, come accennato sopra, la ricostruzione
dell’art. 59, coma 5, novellato, consentirà di dare una corretta applicazione
all’attuale art. 137, comma 5, del T.U. cit. che ne riproduce identicamente
il dettato10.
Si impone, a questo punto:
a) il confronto fra la prima e la seconda formulazione dell’art. 59, per
scorgerne le modifiche apportate e per verificare, poi:
b) la validità degli argomenti testuali o di principio su cui si fonda
l’orientamento giurisprudenziale minoritario sul presunto ribaltamento del
sistema sanzionatorio sopra delineato (sanzioni amministrative, come regola,
ex art. 54; sanzioni penali, come eccezione, ex art. 59, comma 5 e 6, in casi
tassativi, connessi al rilascio di sostanze pericolose fuori limite, previamente
determinate).
Il testo del nuovo art. 59, nella parte che qui interessa, è il seguente:
“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul
suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi
fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a
norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella
tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con
l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati
anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A
dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda a lire
dieci milioni a lire duecento milioni.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di
trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico
supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.”
Dal dato normativo, appena riprodotto, la più recente sentenza della
Cassazione n 37278/2008 cit. ha ritenuto, “… in base ai consueti canoni
letterali e storici, nonché in base ai criteri teleologici illustrati da
Cass. Pen. n. 4806 del 29.10.2003… “ che “l’interpretazione che si impone” è
quella secondo cui “.. non v’è dubbio che, con la novella legislativa del 2000,…
il legislatore:
- ha voluto punire lo scarico di acque reflue industriali che
recapita in acque superficiali o in fognatura quando supera i valori limite
fissati nella tabella 3, nonché lo scarico sul suolo di acque reflue industriali
quando supera i valori limite fissati nella tabella 4, anche se il
superamento tabellare non riguarda le diciotto sostanze più pericolose elencate
nella tabella 5;
- ha punito inoltre con la stessa pena qualsiasi scarico di acque reflue
industriali (in acque superficiali, in fognatura, sul suolo) che superi i limiti
più restrittivi fissati dalle regioni, dalle province autonome o dalle autorità
di gestione del servizio idrico integrato, in relazione alle diciotto
sostanze elencate nella tabella 5, per le quali — in ragione della loro
maggior pericolosità — le autorità suddette non possono adottare limiti meno
restrittivi”.11
Trattasi, a ben vedere,
di motivazione assai scarna – in considerazione della gravità degli
effetti che ne derivano, dell’autorevolezza del Collegio che la pronunciava e
della circostanza di presentarsi come la prima pronuncia della Corte su tale
complessa questione (ex art. 137 commi 5 e 6 del T.U. cit.) – di tipo
assertivo e non argomentativo e, per ciò stesso, non idonea a superare i
tanti dubbi che si erano profilati, in precedenza, sullo spinoso tema, dubbi che
essa non si fa carico di diradare.
Si consideri, in proposito, che, nella parte motiva (v. par. 3), la decisione:
1) si limita ad osservare che la novità introdotte dall’art. 23 del decreto n.
258/2000 “… è stata confermata dal recente testo unico sull’ambiente, con
formulazione ancora più chiara” (ma non si indica in che cosa consista la
maggiore chiarezza12);
2) delinea poi le due nuove fattispecie penali, indicate sopra, già prefigurate
dalla sentenza 2003, Bonassi, senza alcuna argomentazione propria e/o
rafforzativa che giustifichi tale duplicazione, salvo la frase di esordio,
della seguente tenore:
“.. Orbene, non v’è dubbio che, con la novella legislativa del 2000, il
legislatore ha voluto punire le acque reflue industriali…. anche se il
superamento non riguarda le diciotto sostanze più pericolose
elencate nella tabella 5”,
dove è evidente la forzatura interpretativa di ritenere sostanze “pericolose”
(tute quelle di cui alle tabelle 3 e 4) e, conseguentemente, quelle della
tabella 5, “più pericolose”, contro il dettato della legge che
non conosce tale inedita distinzione o classificazione (“pericolose e più
pericolose…”);
3) asserisce che “… questa interpretazione si impone in base ai consueti
canoni letterali e storici, nonché in base ai criteri teleologici illustrati
da Cass. Pen. sez. 3 sentenza n. 4806 del 29 10 2003”, ma non esplicita come
siano stati applicati tali “canoni”, salvo un rinvio, per
relationem, alla motivazione della decisione Bonassi del 2003;
4) invoca, a suo conforto, due precedenti decisioni del 2004, qualificandole “prevalente
giurisprudenza”, senza avvedersi che la prevalenza degli orientamenti della
stessa sezione 3 e delle Sezioni Unite (v. il par. 3.4.) sono di segno
opposto: cioè meno rigorista. Di tale ultima esperienza, più che decennale,
la sentenza ricorda …. una sola pronuncia – la n. 25272/2004, Anselmi - che, per
come citata in motivazione, parrebbe completamente isolata (ed invece
rientra, per quanto detto, nell’indirizzo maggioritario e della quale,
comunque, non si fa carico di confutare le argomentazioni: v. oltre, par. 3.4.).
Poiché, in definitiva, la pronuncia del 2008 si limita a rinviare alla
motivazione della precedente sentenza, n. 1758/2003, è a quest’ultima che
bisogna far riferimento per conoscere “le radici” (logico-giuridiche) del
segnalato “ribaltamento” dell’apparato sanzionatorio.
3.1 Gli articolati (ma non persuasivi) argomenti della Cassazione n.
1758/2003: sua riferibilità all’art. 137, comma 5 e 6, del T.U. ambientale.
Ebbene una attenta lettura della sentenza n. 1758 del 29 ottobre 2003, est.
Postiglione, consente di capire che la profonda innovazione rintracciata dalla
Corte, nel nuovo dettato dell’art. 59, comma 5, si fonda soprattutto… sulla
diversa collocazione della frase riferita alle sostanze pericolose (“in
relazione alle sostanze indicate dalla Tab. 5”) posta, non prima, ma dopo
il
richiamo dei limiti regionali (a partire dall’anno 2000).
Da tale “spostamento”, la S.C. desume due diverse fattispecie penali autonome,
in questi termini: “… Il nuovo testo individua due tipi di soggetti13 di
riferimento:
— quelli che, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
superano i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul
suolo, nella Tabella 4 dell'Allegato 5;
— quelli che, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
superano i valori dei limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle
province autonome o dall'autorità competente, a norma degli articoli 33, comma
1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5”.
A tale conclusione essa perviene sulle seguenti considerazioni:
“Diversamente dalla iniziale versione contenuta nel D.lgs 152/99 originario, la
sanzione penale è stabilita indifferentemente per il superamento di tutti i
limiti previsti dalla tabella 3 e dalla Tabella 4, del D.lgs 152/99. La sanzione
penale rimane invece vincolata alle sostanze previste dalla tabella 5, solo nel
caso in cui il superamento riguardi i limi ti più restrittivi fissati dalle
Regioni. Infatti l'attuale formulazione colloca la frase "in relazione alle
sostanze indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5" non più prima, ma dopo il
richiamo del ruolo regionale, con specifico riferimento all'ipotesi di limiti
più restrittivi fissati dalle Regioni. Come è noto la violazione dei limiti
regionali "diversi" da quelli statuali è sanzionata soltanto in via
amministrativa (articolo 54, 1° comma), mentre l'ipotesi di limiti più
restrittivi ha bisogno di una specifica menzione per l'introduzione di una
sanzione penale (spettando allo Stato stabilire le ipotesi di reato). Ed è
quello che si è operato con la nuova dizione, introdotta con l’utilizzo della
congiunzione "ovvero" che non ha valore correttivo (per precisare o integrare un
concetto precedentemente espresso) ma disgiuntivo (nel senso della) introduzione
di una autonoma figura di reato). La nuova formulazione menziona altresì una
nuova Tabella (la n. 4 in aggiunta alla n. 3), che si riferisce agli scarichi
sul suolo”.
Come risulta dai passi della motivazione, sopra riportati, “.. la profonda
innovazione del decreto 258 è sostanzialmente ancorata ad un rilievo sintattico
che valorizza la diversa collocazione della frase menzionata (“in relazione alle
sostanze indicate nella tab. 5”) “non prima ma dopo il ruolo regionale, con
specifico riferimento ai limiti più restrittivi fissati dalla Regione”.14
Se, dunque, questo risulta essere il pilastro su cui poggiano tutte le ulteriori
affermazioni che se ne deducono (in termini di duplicità e autonomia delle due
fattispecie e della automatica criminalizzazione di tutte le ipotesi di
superamento dei limiti delle tabelle 3 e 4), mi sembra doveroso sottolineare, in
esordio, che esso si presenta intrinsecamente assai fragile oltre che inidoneo a
spiegare il completo capovolgimento del sistema sanzionatorio tratteggiato.
Un più attento e complessivo esame della portata e delle finalità sottese al
d.lgs. n. 258/2000 consente – infatti - di affermare che la sua funzione
“correttiva” era certamente volta a completare ed integrare il decreto 152/99,
rimuovendo delle sviste, ambiguità e/o colmando delle omissioni precedenti
ovvero introducendo delle nuove ipotesi di reato, ma senza innovare o
“ribaltare”- in ordine ai profili repressivi - il preesistente rapporto fra le
disposizioni del Capo I e il Capo II, del Titolo V, destinato alle “Sanzioni”,
fondato sull’evidenziato dualismo fra sanzioni amministrative (v. artt. 54/57,
oggi att. 133 e ss. T.U. cit. ) e sanzioni penali (cfr. artt. 59/61, oggi, art.
137 e ss. T.U.)15.
In questo senso militano ragioni formali e sostanziali, di seguito esposte,
volte a confutare le minoritarie tesi rigoriste, della recente e meno recente
giurisprudenza richiamata, a partire dalla considerazione delle innovazioni
testuali apportate.
In particolare:
- il nuovo dettato dell’art. 54, come modificato dall’art. 21, del decreto 258
cit. (rubricato “Sanzioni amministrative”), riduce, per un verso, l’area del
sanzionabile, con la soppressione delle ipotesi di “immissione occasionale”
fuori tabelle, e, per altro verso, conferma la stessa sanzione amministrativa
(da 5 a 50 milioni) per il superamento di tutti i limiti di emissione fissati
dalle tabelle di cui all’Allegato 5, integrando il comma con la previsione dei
limiti di emissioni stabiliti dalle regioni in relazione al novellato art. 33,
comma 1, ma lasciando immutata anche la sanzione amministrativa per gli scarichi
irregolari nelle aree di salvaguardia (che resta non inferiore a lire trenta
milioni).
- parimenti l’art. 23, del medesimo decreto, conserva, nella sostanza, la vera
portata dell’art. 59 il quale viene confermato nei suoi primi tre commi, in
relazione al regime delle sanzioni penali (natura e entità delle pene) che
riguardano il sistema autorizzatorio e la sua osservanza;
- altrettanto dicasi del comma 4 dove, all’identità della sanzione penale, si
affianca una integrazione necessaria, con riferimento alla ipotesi dell’art. 33,
comma 1 (in quanto novellato dallo stesso decreto, con sostituzione
dell’autorità d’ambito con il “gestore del servizio idrico integrato”, ecc.);
- quanto ai commi 5 e 6, essi restano confermati nella entità delle sanzioni e
integrati nelle rispettive previsioni, non risultando affatto giustificata
l’omissione contenuta nella prima versione del 1999 che sanzionava - con misura
amministrativa o penale - il superamento dei valori limite fissati della tabella
3 (recapito in acque superficiali o fognatura), omettendo del tutto di prevedere
la stessa condotta in relazione agli scarichi in suolo (da assoggettare,
parimenti, a pene amministrative o penali, a seconda che contengano o meno le
sostanze pericolose della tab. 5).
Ebbene tale vuoto è stato giustamente colmato dal decreto del 2000, inserendo,
dopo la prima fattispecie preesistente, la nuova previsione (seconda
fattispecie) con una “o” , con funzione disgiuntiva (e aggiuntiva rispetto alla
prima ipotesi) cui segue una terza fattispecie (già esistente) e legata alla
seconda, con una ulteriore locuzione disgiuntiva: “ovvero” (che sintatticamente
segue la prima e di essa costituisce una variante, con la stessa funzione:”
o…ovvero”16).
Ne è risultato il seguente testo:
“Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali (a)
supera i valori limite fissati dalla tabella 3 o” (b) “ nel caso di scarico nel
suolo, nella tabella 4, dell’allegato 5” (c) “ovvero i limiti più restrittivi
fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a
norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella
tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con
l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni ”17.
3.2. Rilievi critici sulle due pronunce: la nuova formulazione del comma 5 e il
rispetto della sintassi….
E’ a partire da questa nuova formulazione del periodo che si innesta l’assai
fragile argomento sintattico – delle due pronunce citate - con riferimento al
periodo relativo alle sostanze pericolose posto “non prima ma dopo il richiama
al ruolo regionale”, cioè dopo la fattispecie sub c), del paragrafo precedente,
diversamente dalla originaria versione.
Fragile non soltanto perché su di esso si tenta di sovvertire, in via
interpretativa, l’intero sistema sanzionatorio del decreto 152/99 (e, di
conseguenza, la stessa lettura del successivo art. 137 del T.U. cit.18) - nel
momento in cui si modifica sostanzialmente, anche se indirettamente, il
contenuto dell’art. 54 ed il suo rapporto con le disposizioni dell’art. 59
(due
norme fondative del sistema sanzionatorio binario19,
per cui ciò che è riportato
nella disciplina dell’art. 59 [sanzioni penali] , viene, contestualmente,
sottratto all’art. 54 [sanzioni amministrative]…); ma anche in quanto, proprio
le regole della sintassi ci forniscono una spiegazione (e una conseguente
esegesi) più corretta, e di segno opposto, del nuovo dettato del comma 520.
Si consideri che l’originario art. 59 contemplava due fattispecie (violazione
dei limiti della tab. 3, in relazione alle sostanze della tabella 5, e dei
limiti più restrittivi delle regioni) accomunate nella medesima sanzione penale.
Benché tale condizione (e relativa “frase”) fosse collocata nel mezzo del
periodo, relativo alle due fattispecie anziché in fondo, era comunque chiaro che
l’inosservanza dei limiti tabellari (relativi alle sostanze pericolose) si
riscontrava in tutte e due le ipotesi.
Nel momento in cui interviene la novella del 2000, con funzioni correttive ed
integrative, si presentava del tutto coerente, ai redattori della norma,
riportare, secondo le regole della sintassi, tale condizione21 -
comune alle (non
più due ma) tre fattispecie indicate (violazione dei limiti della tabella 3,
della tab. 4 e dei limiti più restrittivi regionali) - a conclusione del nuovo
periodo, proprio perché riferibile alle tre le condotte sanzionate.
Il nuovo art. 59 va dunque letto nel senso - “fatto palese dal significato
proprio delle parole, secondo la connessione di esse e dalla intenzione del
legislatore”, ex art. 12 Preleggi - che detto presupposto
(presenza di sostanze
pericolose negli scarichi fuori limite), connotando le tre vicende ed essendo ad
esse comune, anziché essere ripetuto tre volte per ciascuna di esse22, non poteva
che essere collocato, secondo canoni sintattici pacifici, in fondo alla
riformulazione del periodo.
Le disgiuntive usate (“o, ovvero”) servono, dunque, a distinguere i tre casi ma
anche ad elencarli in sequenza perché la sanzione finale (da collocare
sintatticamente a conclusione della descrizione della fattispecie) è prevista
per tutti e tre (una volta, invece, solo per due casi), stante anche la
comunanza di ratio afferente la pericolosità degli inquinanti.
Sintatticamente, il soggetto della proposizione finale (“è punito con l’arresto
ecc.”) va ricercato nel pronome indefinito singolare “chiunque” - che regge le
tre fattispecie - secondo la seguente logica del periodo:
“Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico …, supera i limiti” (seguono i tre
casi)”, in relazione alle sostanze indicate in tabella 5, è punito”.23
In conclusione, diversamente da quanto opinato dalle due decisioni della Corte
(del 2003 e 2008), le cui letture trovano la loro occasione e astratta
spiegazione in una qualche ambiguità della norma, ci sono buone ragioni, di
natura sintattica oltre che di logica del periodo e, soprattutto di ratio (v.
paragrafo successivo), per riferire la frase in questione (sulle sostanze
pericolose della tabella 5) a tutte e tre le ipotesi di reato e non solo a
quella relativa “ai limiti più restrittivi delle regioni”.
Il fatto che detta proposizione (“in relazione alle sostanze indicate…”) sia
collocata subito dopo il richiamo “al ruolo regionale”, non vuol dire affatto e
necessariamente, come congetturato, che essa venga correlata solo ed
esclusivamente a tale ultima ipotesi; inferendone, di rimbalzo, che la sanzione
penale relativa alle due prime fattispecie si estenderebbe a tutti i casi di
superamento dei limiti di emissione delle tabelle 3 e 4, senza alcun
collegamento con le sostanze pericolose). Ma, diversamente - in base alle regole
della sintassi richiamate (che debbono prevalere sulla considerazione del solo
dato topografico di detta espressione, di per sé equivoco e assai debole) - che
la condizione unica delle tre condotte (presenza di sostanze pericolose),
proprio perché comune, andava collocata dopo la descrizione della terza
fattispecie (quella appunto dei limiti regionali) perché potesse essere
riferibile e riferita, sintatticamente, a tutte e tre.24
3.3. La ratio legis di un regime sanzionatorio differenziato e il mancato
rispetto del criterio di proporzionalità, secondo la diversa lesività della
condotta – La cancellazione, di fatto, della clausola di riserva dell’art. 54 e
l’assenza della voluntas legis e legislatoris - La violazione dei criteri di
ragionevolezza scientifica.
I) Le due decisioni, in commento, trascurano un secondo, decisivo profilo -
assai più sostanziale di quello “topografico”25- desunto dalla riscrittura della
norma - che attiene alla ratio sottesa alle due disposizioni richiamate: l’art.
54 e l’art. 59 (v., oggi, gli artt. 133 e 137 del T.U.).
Era ed è di tutta evidenza che la modulazione della reazione sanzionatoria
binaria del decreto 152/1999, prima e dopo la novella del 2000, risulta
strettamente correlata alla presenza o meno delle sostanze pericolose negli
scarichi (di cui si superano i limiti di emissione).
Lo stesso criterio vale e valeva con riferimento alla possibilità o meno di
adottare limiti meno restrittivi di quelli indicati nella tab. 5, ex art. 28,
comma 2 cit. (oggi art. 101), analogamente a quanto si prevedeva per le sostanze
già “tossiche, persistenti e bioaccumulabile” previste dalla legge Merli.
Ebbene tale ratio si correla, per ragioni ovvie e condivise, di solare evidenza26, alla
maggiore pericolosità o lesività degli scarichi contenti le sostanze
pericolose (della tab. 5) che imponeva e ha imposto al legislatore (del 2000
come del 2006) - secondo i noti criteri di proporzionalità, adeguatezza e dissuasività della reazione sanzionatoria alla gravità della condotta - di
qualificare diversamente le relative fattispecie (di superamento dei limiti
previsti dalla legge) come reato o come illecito amministrativo: donde le
previsioni dell’art. 59, comma 5 e 6, da leggere contestualmente alla clausola
di salvezza dell’art. 54 (rubricato sanzioni amministrative e riferito alle
violazioni dei limiti di emissione delle tabelle di cui allegato 5) “salvo che
il fatto costituisca reato”.27
E, d’altronde, la stessa nuova direttiva 2008/99/CE, sulla tutela penale
dell’ambiente – spesso invocata per potenziare lo strumentario delle sanzioni
penali nel settore de quo - pone al legislatore nazionale l’obbligo di garantire
“…la piena osservanza della normativa .. ambientale”, ricorrendo, tramite la
normativa interna, anche alle sanzioni penali “ in quanto esse “… sono indice di
una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alla
sanzione amministrativa o ai meccanismi risarcitori di diritto civile” (v. 3°
Considerando).
E però essa si preoccupa altresì di sottolineare che le sanzioni penali sono da
riservare “.. a gravi violazioni del diritto comunitario in materia di tutela
ambientale (v. 10° Considerando) “per condotte illecite poste in essere
intenzionalmente o quantomeno per grave negligenza” (art. 3, par. 1), come nel
caso di “scarico…illecito di un quantitativo di sostanze .. nelle acque che
provocano o possono provocare il decesso o lesioni gravi delle persone o danni
rilevanti alla … qualità delle acque…” (stesso art. 3, sub lett. a) .28
II) Le stesse due pronunce29, riportando le tabelle 3 e 4 dell’Allegato 5,
nell’area dell’illecito penale, non riescono poi a spiegare come
l’interpretazione data - di penalizzazione della condotta di superamento dei
limiti di emissione di dette tabelle, anche in assenza di sostanze pericolose…-
sia compatibile con il dettato dell’art. 54, il quale, per effetto di tale
interpretazione, risulta sostanzialmente abrogato….(v. oltre)30 nel momento in cui
prevede, in linea generale, la sanzione amministrativa per “ il superamento dei
valori limite di emissione” (cos’, oggi, l’art. 133 T.U.).
Né esse chiariscono come si legga la clausola di riserva dell’art. 54 (oggi
133): “Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, .. supera i valori limite
di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5…”. Atteso che - secondo
la lettura più rigorosa, proposta per gli scarichi industriali e per le acque
reflue urbane che convogliano reflui industriali - il superamento dei valori
limite delle tabelle 3 e 4 costituirebbe sempre e comunque reato e, dunque,
detta clausola di riserva (benché conservata dalla novella 2000…) non avrebbe
alcuno spazio e senso (considerando che, quanto agli scarichi domestici e
urbani, che non convogliano reflui industriali, il superamento di detti limiti
non costituisce mai reato)31.
III) L’appello, spesso ripetuto, ad una sopravvenuta volontà punitiva e
rigoristica del legislatore (tanto del 2000 che del 2006) non trova
alcuna giustificazione o appiglio testuale né nei lavori… preparatori dei due
decreti legislativi né nelle leggi di delega, tanto da essere censurata da un attento
autore32, noto per la sua severità nella applicazione e lettura della norma
penale ambientale.
Il quale - pur consentendo formalmente con la interpretazione “più innovativa”33
che viene contrapposta ad una “interpretazione stazionaria” e prevalente
(sottovalutando, in tal modo, l’aureo principio dello stare decisis e
dell’utilità sociale derivante dalla continuità e coerenza di una giurisprudenza
equilibrata, in particolare del giudice di legittimità, cui è affidata, per
l’appunto, la preziosa e negletta funzione nomofilattica …34 ) - non può
sottrarsi dal rilevare che:
“….Tuttavia non possiamo negare che nutriamo qualche perplessità” (riferita alla
sentenza 1758/2003, come confermata nel 2008, n.d.s.) “ sia perché, comunque, la
formulazione letterale generale delle norme relative alle sanzioni penali ed
amministrative è poco chiara sia perché in realtà, se si leggono i lavori
preparatori non vi era certo questo intento innovativo-restrittivo nel
legislatore del 2000 e nel 2006. Tanto più che, per quanto ci risulta, ancora
oggi, in armonia con l’atteggiamento prevalente della Cassazione, in tutto il
paese è nettamente prevalente una applicazione delle sanzioni in senso conforme
alla prima formulazione della norma” (cioè sanzioni amministrative; n.d.s.) “ ed
un brusco passaggio alla tesi più rigorista e gravosa per gli imputati, in virtù
di una sola (pur pregevole) sentenza sul testo unico del 2006” (ci si riferisce
alla sentenza n. 37279/2008; n.d.s.) “non appare esente da censure”
35
IV) la soluzione (minoritaria) proposta dalle due decisioni - nell’equiparare,
nel comune regime penale, la violazione dei limiti di emissioni contenenti le 18
sostanze pericolose della tab. 5 a quella che riguarda i limiti di emissione
relativi a sostanze diverse da quest’ultime, appartenenti alle tab. 3 e 4
dell’allegato 5 cit. (riferendo la tab. 5, per motivi sintattici, ai soli limiti
regionali più restrittivi) - si configura altresì inaccettabile per motivi di
ragionevolezza, riconducibili alle regole proprie delle scienze naturali
(fisica, chimica, biologia) per le quali è del tutto pacifico, da tempo, su base
sperimentale, il diverso effetto di impatto (sulle matrici naturali e sull’uomo)
degli scarichi effettuati fuori tabella, a seconda che contengano o meno le
sostanze pericolose menzionate.
Una cosa sono, infatti, le conseguenze di pericolo o danno di uno scarico
industriale che si limiti a superare i limiti di emissione fissati, per es., per
il B.O.D., il C.O.D., i fluoruri, i fosfati, i tensioattivi, ecc. (di cui a tab.
3 e 4 dell’All. 5); altra, quelle derivanti dal rilascio, fuori valore limite,
per es., dell’arsenico, del cromo del mercurio, dei pesticidi, ecc, (della Tab.
5).
Sicché, voler ignorare o contraddire questa realtà fenomenica, ormai acquisita
dalla scienza e dall’esperienza, in nome di una astratta e supposta volontà
legislativa di penalizzazione di tutte le condotte dei commi 5 e 6 dell’art. 137
(o dell’art. 59) - senza alcun aggancio espresso di diritto positivo (che non
sia un incerto e deviante dato….. sintattico36) e senza alcun riscontro nella
“volontà della legge37 o del legislatore38”, ricorrendo ad una lettura che si
allontana da un indirizzo consolidato della stessa Sezione e della medesima
Corte, a Sezioni Unite - mi sembra un tentativo azzardato e da censurare39 (oltre
che da scoraggiare), anche sul terreno della ragionevolezza scientifica…
Come poneva in luce un acuto ed equilibrato cultore della materia, in occasione
del decreto legge di modifica della legge Merli (decreto n. 79/95, convertito in
legge n. 172/1995), circa quindici anni fa40, con riferimento alla possibilità
che le regioni potessero derogare ai limiti tabellari, allora vigenti, con
esclusione ovviamente di quelli inderogabili di natura tossica, persistente e bioaccumulabile (come oggi: metalli tossici, arsenico, cadmio, cromo, ecc.):
“… Non ha alcun senso, sul piano tecnico, ambientale o sanitario, precludere
alle regioni, per i parametri non tossici, ogni possibilità di modellare la
disciplina degli scarichi civili e fognari, anche in senso meno restrittivo
rispetto alle tabelle, in funzione delle situazioni locali e degli obiettivi di
risanamento. È illuminante ricordare, a questo riguardo, quanto affermato, in un
recente convegno dal professor Luciano Caglioti, docente di chimica inorganica
all’Università La Sapienza di Roma, circa l’assurdità tecnica della normativa
sulle acque preesistente ai decreti-legge, proprio con riferimento ai limiti
richiesti inderogabilmente per parametri privi di un concreto significato
ambientale o sanitario:«La situazione è paradossale come è dimostrato da questa
fialetta di soluzione fisiologica che si può acquistare in farmacia. Essa
contiene in cloruri, circa 9000 parti per milione. Ciò significa che un ammalato
o un infortunato si inietta, per flebo, una sostanza nove volte più concentrata
di quella che si può scaricare in un fiume per poi mandarla nel mare”..41.
3. 4. I precedenti giurisprudenziali contrari e l’assoluta prevalenza della tesi
del doppio regime.
Ma, come si preannunciava all’inizio, la stessa Cassazione aveva (ed ha) già
chiarito e risolto, ab immemorabili (anche a Sezione Unite), la dibattuta
questione, sin da quando si pose il problema di come si dovesse ricostruire, in
via interpretativa, la fase di passaggio fra la vecchia disciplina sulle acque
del 1976 (la c.d. legge Merli) e quella successiva del d. lgs. 152/1999.
In particolare, indicando, nelle sue decisioni (assolutamente prevalenti) che
andava comparata la norma vecchia e quella nuova, al fine di accertare, caso per
caso, se il superamento dei valori fissati dalle tabelle A e C, della legge del
1976 fossero ancora sanzionati penalmente o venissero invece puniti solo in via
amministrativa, riferendosi alle sostanze di cui alla tabella 3, ma non a quelle
elencate dalla tabelle 5, dell’Allegato 5, del d. lgs 152/1999.
Secondo questo coerente e ragionevole approccio, per quanto esposto sopra, la
Cassazione ha, in molteplici fattispecie concrete, dichiarato che l’avvenuto
superamento dei parametri previsti per gli scarichi industriali, in relazione:
- al B.O.D., al C.O.D., ai tensioattivi (v. Cass. Pen., sez. III 22 giugno 199942; Cass. Pen., sez. III, 30 ottobre 2000/21 settembre 200043; Cass. Pen., sez. III,
1° dicembre 200044;
- per i fluoruri (v. Cass. Pen., sez. III, n. 300/200045);
- per i solfati (Cass. Pen sex. III 1° dicembre 1999/ 13 ottobre 1999, imp.
Toglietti46);
- per i materiali sedimentabili (v. Cass. Pen. sez. III, 22 dicembre 1999/19
ottobre 1999, n. 1440147;
si configuravano come semplice illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 54
comma 1, poiché tali sostanze non erano ricomprese nella tabella 5 dell’Allegato
5 (come non sono elencate nella tabella 5 dell’’’Allegato 5, del T.U. ambientale
del 2006).
Ancora la Suprema Corte, con pregevole sentenza del 12 dicembre 2000/21
settembre 2000), Dallo48 ha, in proposito, argomentato che non era condivisibile
la tesi secondo la quale:
«…sarebbe sufficiente superare i parametri stabiliti dalla tabella 3
dell’Allegato 5, per qualsiasi sostanza, per configurarsi l’illecito penale
previsto dall’art. 59 comma quinto» perché «.. una simile interpretazione, oltre
ad essere apodittica, urta contro l’espresso dettato normativo nel quale si fa
riferimento al superamento dei valori limite fissati nella tabella 3
dell’Allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 giacché
non
si comprenderebbe il successivo richiamo ai limiti “più restrittivi” fissati
dalle Regioni o dalle province autonome, se il legislatore non avesse presenti
le sostanze della tabella 5 corrispondenti ai parametri di natura tossica,
persistente o bioaccumulabile, e non avrebbe significato la clausola di riserva
contenuta nella precedente disposizione di cui all’art. 54 primo comma, D.Lgs.
cit. relativa all’illecito amministrativo del superamento dei valori limite».
Il descritto orientamento si è consolidato nel tempo, arricchendo l’apparato
motivazionale sulla soluzione condivisa in questo parere, riaffermando che, per
la sussistenza del reato di cui all’art. 59 comma 5, è necessario il superamento
dei valori limite fissati nella tabella 3, in relazione alle sostanze indicate
nella tabella 5 e non dei soli parametri stabiliti dalla tabella 3 dell’Allegato
5.
In tal senso, si veda Cass. Pen. sez. III, 17 marzo 2003 (ud. 4 febbraio 2003),
n. 12361; nonché Cass. Pen., sez. 3., sentenza 28 febbraio 2003, secondo cui:
- «In tema di tutela delle acque dall’inquinamento lo scarico extratabellare da
insediamento produttivo in fognatura, già costituente reato, ex art. 21 comma 3,
legge n. 319/1976, conserva rilevanza penale, ex art. 59, comma 5, D.Lgs n.
152/1999, solo se trattasi di sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5
ovvero di quelle di cui alla tabella 3/A di cui al citato allegato; negli altri
casi, il superamento dei limiti di concentrazione costituisce illecito
amministrativo ex art. 54, D.Lgs. n. 152/1999 e deve escludersi l’applicabilità
della normativa transitoria di cui agli artt. 59, comma 2, e 62, comma 13, D.Lgs. n.152/1999, atteso che le nuove disposizioni non possono regolare che
situazioni ricadenti nell’alveo temporale successivo all’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 152/199».
- Parimenti, con decisione assunta nella pubblica udienza del 28 aprile 2004,
depositata, dep. il 9 giugno 2004, n. 25752, ric. Anselmi, la Sez. III penale ha
affermato il principio di diritto così massimato : "In tema di acque reflue
industriali, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 59,
comma quinto, occorre la ricorrenza simultanea di due condizioni: l'una che
siano superati i valori limite fissati nella Tabella 3 o, nel caso di scarico
sul
suolo, nella Tabella 4, dell'Allegato 5 e l'altra, che si tratti di
una delle sostanze individuate nella Tabella 5 dello stesso
allegato", riprendendo quanto già affermato da Sez. III, 18/03/04,n. 19522, dep. 27/04/04, Troiso.
Le stesse Sezioni Unite, 31 gennaio 2002 - 19 dicembre 2001, imp. Turina, n.
379849, già in precedenza, avevano ratificato, ancora una volta, l’indirizzo
assolutamente prevalente secondo cui lo scarico di acque reflue industriali
superiore ai limiti di legge, qualora relativo a sostanze inquinanti non
ricomprese nella tabella 5 dell’allegato 5, cui fa rinvio l’art. 59, comma 5,
non integra più la condotta penalmente illecita, di cui all’art. 21, della legge
10 maggio 1976, n. 319, con la quale la attuale disciplina non si pone in
termini di continuità.
Ebbene tutto questo consolidato patrimonio di certezze dovrebbe essere
cancellato, dopo dieci anni, per una variante sintattica affatto equivoca,
comparsa nel 2000 (e riprodotta nell’art. 137, comma 5, cit.), cui la
giurisprudenza non ha attribuito alcun peso per le tante e sostanziali ragioni,
appena rassegnate.
4. La lettura rigorista si espone a seri rilievi di incostituzionalità.
La lettura delle previsioni di cui all’art. 59, comma 5 e 6 (oggi dell’art. 137,
stessi commi) della decisione Bonassi, del 2003 – di recente richiamata, in modo
acritico, dalla sentenza Serafini del 2008, con riferimento al sopraggiunto T.U.
ambientale (v. sopra par. 3)50 - oltre a fondarsi:
1) su un fragile inciso sintattico, che può essere diversamente e più
correttamente ricostruito (v. retro par. 3.2.); 2) e a trascurare, del tutto,
senza una rilettura dedicata, i contributi, ragionati e consolidati, di una
prevalente giurisprudenza contraria, anche delle Sezioni Unite (messe, in tal
modo, in non cale..51);
non tiene in alcun conto, ai fini sanzionatori, dei diversi effetti di impatto
sulle matrici ambientali, delle distinte sostanze immesse negli scarichi fuori
tabella (a seconda che contengano o meno sostanze pericolose), ponendo, per ciò
solo, delicati problemi di costituzionalità della norma - in tal modo
interpretata - per i seguenti significativi profili:
a) nel momento in cui la presenza qualificante di dette sostanze pericolose
viene correlata esclusivamente ai limiti più restrittivi della regione – sulla
base del rilievo sintattico desunto dalla collocazione della nota frase
subordinata (“in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5”, riferita
unicamente a questi ultimi) - le due sentenze, in commento, ne inferiscono, come
sottolineato, che la pena dell’arresto e dell’ammenda52,
riferendosi alle tre
fattispecie descritte53, andrà necessariamente a colpire la violazione di
tutti i
limiti tabellari posti alle acque reflue industriali, ai sensi delle tabb. 3 e 4
(acque superficiali, fognatura e suolo), senza alcuna distinzione tra sostanze
pericolose e non pericolose contenute negli scarichi irregolari .
Questa conclusione conduce, logicamente (oltre che di fatto), ad una identità
indifferenziata del trattamento penale per i reflui industriali, in tutti e tre
i casi riportati - di superamento dei valori limite fissati dalla legge o dalle
regioni, sia che detti scarichi contengano le sostanze pericolose della tab. 5
dell’allegato 5 sia, nell’ipotesi inversa, che non le contengano.
4.1. Trattamento uguale per situazioni differenziate.
Orbene sembra corretto obiettare che - una volta appurato, come non
contestabile, che il legislatore italiano, sin dalle prime modifiche della legge
319/1976, ha voluto mantenere distinta la disciplina dei parametri da
rispettare, con riferimento ai limiti di emissione (o di accettabilità) degli
scarichi, in funzione della loro pericolosità, ai fini della tutela dei corpi
ricettori e/o della salute pubblica - tanto da contrapporre le sostanze (già)
tossiche, persistenti e bioaccumulabili (oggi: sostanze pericolose, in numero di
18) dalle altre sostanze pur sempre “tabellate” – qualsiasi interpretazione che,
allontanandosi da questi principi immanenti nella ormai risalente legislazione
italiana, imponesse un trattamento sanzionatorio comune a condotte (e fenomeni
naturali) del tutto diversi54, risulterebbe affetta da incostituzionalità, ai
sensi dell’art. 3, della Carta costituzionale.
Esemplificando, secondo l’orientamento interpretativo criticato, dovrebbe essere
punito, con la stessa sanzione penale, sia colui che immetta: a) scarichi di
acque reflue industriali - in acque superficiali, in fognatura o in suolo - in
violazione dei limiti di emissione delle tabb. 3 o 4, contenenti , per es.,
arsenico, cadmio, nichel, cromo ecc. (sostanze pericolose richiamate nella tab.
5 cit.) sia chi, superando i limiti posti dalle stesse tabelle, 2) non rilasci
alcuna delle sostanze pericolose richiamate, nei medesimi ricettori,
contro la
volontà espressa del legislatore che, proprio per tale assenza, ha previsto una
sanzione amministrativa ex art. 54 cit. (e, più di recente, ex art. 133 cit.,
con la riserva che “che il fatto costituisca reato”).
In punto di diritto è appena il caso di ricordare che “… il principio di
eguaglianza esige e si risolve, nell’eguale trattamento di fattispecie uguali o
analoghe e, nel diverso trattamento, delle diverse, secondo una definizione
largamente accolta da tutte le Corti dei vari Paesi”55.
Si è già osservato56 che il valore sostanziale,
sul piano tecnico-scientifico
oltre che giuridico, della differenziazione dei paramenti tabellari (o meglio:
delle sostanze contenute negli scarichi e previste dalle tabelle) costituisce la ratio legis che sottende alla distinta reazione sanzionatoria rispetto alla
condotta inadempiente (di superamento dei limiti) modulata in funzione del bene
giuridico tutelato (le matrici ambientali, la salute pubblica, il puntuale
rispetto della potestà provvedimentale o prescrittiva della P. A., ecc. ).
A fronte della inoppugnabile compresenza di due categorie di sostanze che
possono attingere le matrici ambientali (pericolose e non pericolose; un tempo:
“tossiche persistenti, bioaccumulabili o meno) - che ispira e permea la
normativa (anche tecnica) sulla gestione delle acque come dei rifiuti (prima e
dopo il recente T.U. del 2006) - non può essere accolta “una lettura” la quale
postuli una identità o analogia sostanziale di due situazioni oggettivamente
differenziate, sul piano fenomenico, prima ancora che logico-giuridico (cioè di
scarico con sostanze pericolose o non pericolose), e che, per ciò stesso,
esigono trattamenti distinti.57
Costituisce, infatti, “.. jus receptum che l’art. 3 Cost., postula l’omogeneità
delle situazioni giuridiche messe a confronto e pertanto non può essere invocato
quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee; in tal caso, invero,
una disciplina differenziata non può essere ritenuta arbitraria in quanto
giustificata dalla diversità suddetta”58.
“Nel valutare l’analogia o la differenza” delle due situazioni descritte, “….
risulta decisiva, appunto, la ratio legis“ che, nel nostro ordinamento
giuridico, fin dalle riforme degli anni ’90 (con la legge n. 172/1995 di riforma
della legge Merli), si è orientata nel senso di articolare il regime
sanzionatorio, secondo un sistema binario che affiancava, alla sanzione penale
quella amministrativa, per ipotesi di illeciti meno gravi (per es., con
riferimento agli scarichi civili o fognari, ecc. ovvero in relazione ai
parametri considerati “tossici, persistenti, bioaccumulabile e non… )59.
b) fornire una lettura di dubbia costituzionalità risulta contrario, ovviamente,
ad una direttiva di fondo del nostro ordinamento giuridico che sottende ad ogni
attività ermeneutica, soprattutto quella dell’organo giurisdizionale. Ma tentare
una interpretazione, come quella proposta dalla due sentenze (che comporta il
rovesciamento dell’assetto penale di due leggi-quadro… ) - sulla scorta di un
dato testuale, diversamente collocato nella sintassi del comma 5, dell’art. 59
(oggi dell’art. 137), all’interno di un decreto60 che pacificamente appare
connotato da gravi e diffuse imprecisioni lessicali, scarso coordinamento fra
disposizioni, vere e proprie sviste legislative61 – mi sembra un azzardo vero e
proprio, che avrebbe dovuto essere evitato dai menzionati Collegi giudicanti.
E, d’altronde, proprio chi62 si infervorava per la lettura “innovativa” delle due
sentenze (Bonassi e Bonfiglio), di contro a quelle “stazionarie” (che, peraltro
“… costituiscono l’atteggiamento prevalente della Cassazione”), non può esimersi
dal rilevare, con qualche incoerenza con la opzione avvertita personalmente come
più sintonica al suo modo di vedere, che: “….Insomma, quello che vorremmo
mettere preliminarmente in rilievo, è che comunque, a prescindere dalla
interpretazione che si voglia accogliere, il contesto normativo di riferimento
non è affatto chiaro e contiene sicuramente alcuni errori ed imprecisioni che
certamente non contribuiscono a pervenire ad una soddisfacente soluzione della
delicata questione”.
4.2. Abrogazione, per via interpretativa, dell’art. 133, T.U. ambientale.
Per meglio intendere gli ulteriori vizi di costituzionalità che si intende
denunciare, occorre richiamare, in poche battute – come indicato in premessa -
ai rapporti fra Stato e Regioni, nel sistema di disciplina degli scarichi,
sull’ovvio presupposto sistematico che, al primo, è riservata, per Costituzione,
la disciplina delle sanzioni penali e, alle seconde, sempre in base alla
previsione di legge, ex art. 1, legge n. 689/1981, quella delle sanzioni
amministrative.
1) Gli scarichi, in forza dell’art. 28, comma 1 (oggi: art. 101) devono
rispettare gli obiettivi di qualità dei corpi idrici e, al contempo, “i valori
limite di emissione previsti dall’allegato 5”;
2) alle Regioni la legge attribuisce la potestà di “definire valori limite di
emissione diversi da quelli di cui all’allegato 5, tenendo conto dei carichi
massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili” (comma 2), con la
precisazione che le stesse:
3) non possono “stabilire valori limite meno restrittivi” per le sostanze
indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato 5” (v. oggi, l’art. 101,
comma 2 e 133, primo comma, il quale ultimo prevede sanzioni amministrative per
la violazione dei valori limite di emissioni “.. fissati dalle tabelle di cui
all’allegato 5 .. oppure i diversi valori limite fissati dalle Regioni, a norma
dell’art. 101, comma 2…”);
4) i limiti posti dalle tabelle dell’allegato 5 debbono essere rispettati, nei
termini e alle condizioni di applicabilità delle stesse, solo se e fin tanto che
le Regioni non abbiano stabilito diversamente (v. sopra).
5) l’allegato 5 è articolato in quattro paragrafi63, che non riguardano però gli
scarichi in pubblica fognatura considerati nell’ambito della tabella 3, cui
rinvia l’art. 33, comma 164 (oggi l’art. art. 107, comma 1), il quale ribadisce
l’inderogabilità dei valori limite di emissione per le sostanze della tab. 5
cit. per le quali il gestore di rete, come le Regioni, non possono adottare
limiti meno restrittivi, ex art. 28, comma 2 cit.65
*** Da tale impianto normativo, posto dalla legge statale, si inferisce che -
alle Regioni o Province autonome - il legislatore attribuisce il potere di
derogare, in forma (diversa) - più restrittiva o meno restrittiva - i limiti di
emissione delle Tabelle 3 e 4 dell’allegato 5, e di sottoporre a sanzione
amministrativa la loro inosservanza, salvo le limitazioni appena sopra
individuate.
Ebbene, quando la sentenza Bonassi afferma che, in base alla ricostruzione data,
“.. le sanzioni penali, per il superamento dei valori posti dallo Stato nelle
tabelle 3 e 4 “, sarebbero “autonomamente” introdotte da quest’ultimo, ai sensi
dell’art. 59, comma 5 (oggi 137, comma 5) - in quanto alle Regioni, con
riferimento alle “sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5“, verrebbe
riservato solo “un ruolo aggiuntivo e non sostitutivo, senza alcuna interferenza
con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dallo Stato…
”, tanto che, “… quando questo superamento avviene…., si applica la sanzione
penale abbia provveduto o meno la Regione a fissare limiti più restrittivi per
alcune sostanze”66 - non sembra
avvedersi che:
- la sua esegesi ha per effetto di abrogare l’art. 54 (oggi: 133) il quale
stabilisce che il superamento dei limiti di emissioni “diversi” (più restrittivi
e/o meno restrittivi), stabiliti dalle Regioni, è punito, in linea di principio,
con sanzioni amministrative, ex art. 54 e, oggi, 13367;
- se “le autonome sanzioni penali, per il superamento dei valori posti dalla
Stato”, riguardano i valori delle tabb. 3 e 4, sia la condotta di superamento
che i limiti tabellari assurgono ad elementi costitutivi della fattispecie
penale, e, come tali, sono “intangibili” (cioè non modificabili dal legislatore
regionale né in senso più restrittivo né in quello meno restrittivo” , ex art.
28, comma 2, ed oggi ai sensi dell’art. 101, comma 2, ove si parla, come
ricordato, di “limiti diversi”) stante la riserva assoluta di legge in materia
penale, ex art. 25, comma 2 Cost. (v. oltre). D’altronde tale lettura sembra
rafforzata e anticipata dalle stessa sentenza Bonassi quando l’estensore mostra
di voler rimarcare “… il ruolo aggiuntivo e non sostitutivo delle Regioni… senza
alcun interferenza con le autonome sanzioni penali.. poste dallo Stato”
(riservando il ruolo aggiuntivo delle Regioni alle sostanze pericolose della
tab. 5);
-
- se le considerazioni che precedono risultano corrette, allora si deve
aggiungere, come corollario, che le pronunce cit. comportano, come esito
ulteriore, la soppressione di quella “autonomia” (recte: potestà legislativa
regionale) di fissare limiti di emissione diversi, riconosciuta loro dal
legislatore nazionale, ai sensi dell’ art. 28 comma 2 (ed oggi, dall’art. 101,
comma 2), con riferimento a limiti delle tabelle 3 e 4, che verrebbero, in tal
modo, “congelati e riservati” allo Stato e senza “alcuna interferenza” delle
Regioni, salvo il ruolo “aggiuntivo” delle medesime, per “i limiti più
restrittivi” afferenti le sostanze pericolose della tab. 5 (v. l’ultima parte
del comma 5, dell’art. 59 e oggi, dell’art. 137, comma 5).68
-
- In definitiva, le sentenze esaminate si pongono, altresì, in controtendenza ad
una direttiva di fondo dell’ordinamento costituzionale italiano che, come è
noto, mira ad esaltare le autonomie, in tutte le loro espressioni, ex art. 117
Cost., novellato, compresa quella relativa alla disciplina regionale degli
scarichi delle acque reflue, secondo limiti “diversi”, modulati sulla specifica
realtà territoriale, da garantire con sanzioni amministrative69.
4.3. Confutazione di altre possibili ricostruzioni della sentenza Serafini del
2008.
Per evitare il radicale mutamento di scenario, appena tracciato, si è
affacciato, da parte di un noto autore70, la seguente soluzione, anche se in
forma perplessa:
“… E, quindi, alla Regioni si attribuisce il potere non solo di modificare i
limiti base ma anche di far degradare, in caso di loro superamento, la sanzione
penale in sanzione amministrativa. Il che, nel giurista, desta rilevanti
perplessità, anche tenuto conto che la “gestione” della sanzione penale è
competenza solo dello Stato”. Si potrebbe, tuttavia, controbattere che, a ben
riflettere, trattasi di “anomalia” relativa. Perchè, anzi, si può pensare che il
legislatore, rispettoso dell’<<autonomia regionale>> (come recita l’art. 101,
comma 2), abbia voluto separare nettamente, a livello istituzionale, gli
obblighi imposti dallo Stato da quelli imposti dalle Regioni. Lo Stato impone
limiti generali e, come è suo potere, li sanziona penalmente. Ma se la legge
consente espressamente che le Regioni possano modificare i limiti statali,
allora appare consequenziale che la sanzione penale ceda il passo a quella
tipica della inosservanza di prescrizioni di Regioni ed enti locali, e cioè alla
sanzione amministrativa”.71
L’ardita ricostruzione del sistema complessivo, sopra descritto - che vede le
Regioni depenalizzare, di volta in volta, le sanzioni penali poste dallo Stato,
in via generale e a garanzia dell’osservanza delle tabelle 3 e 4, le quali
“cedono il passo” a quelle amministrative – non appare accettabile72.
E’ ben vero che “il legislatore è rispettoso dell’autonomia regionale”, ma
l’art. 101, comma 1 (ex art. 28, comma 2), con piena coerenza costituzionale,
nel momento in cui attribuisce all’ente regionale il potere di fissare “limiti
diversi” da quelli statali, ne punisce l’inosservanza “con sanzione
amministrativa” (ex art. 133, già art. 54), senza esplicitare, in alcun
passaggio del decreto (o nella legge di delega, o nei lavori preparatori), ove
fosse mai possibile, che le tabelle 3 e 4 sarebbero garantite da sanzione penale
salvo interventi modificativi della legge regionale (che avrebbero l’effetto
proprio della depenalizzazione dei reati, come “prospettati” dalla due
decisioni…).
C‘è piuttosto da chiedersi: ma la sentenza Bonassi non aveva rimarcato
testualmente “.. il ruolo aggiuntivo delle Regioni… senza alcuna interferenza
con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dalla Stato
nelle tabelle 3 e 4”?
4.4. Motivi ostativi di rilevanza costituzionale.
Di più: il prospettato potere regionale - di far transitare la sanzione penale
in illecito amministrativo, tramite i limiti di emissione “diversi” - a quali
conseguenze “pratiche” porterebbe, con riferimento alla posizione dei soggetti
destinatari della necessariamente articolata disciplina locale ?
E’ agevole ipotizzare che, nei venti territori regionali, le tabelle 3 e 4
dell’allegato 5 subirebbero delle modificazioni assai variegate…. con la
conseguenza che, nelle regioni con limiti di emissioni “diversi” (e
diversificati…), i cittadini inosservanti verrebbero puniti con la sanzione
amministrativa; mentre, in quelle in cui i limiti tabellari restassero immutati
(ex lege statale), la stessa condotta, di superamento dei valori tabellari, si
configurerebbe come reato.
Peggio: verrebbe sanzionato, come illecito amministrativo, un superamento di un
limite di emissione regionale più restrittivo di quello statale la cui
violazione, per le stesse sostanze, in distinte regioni (che non hanno
modificato le tabelle), sarebbe assoggettata a sanzione penale (benché i limiti
siano meno restrittivi di quelli modificati).
In definitiva, l’ipotesi di lettura suggerita sembra portare, ove accolta, ad
una applicazione della legge che si porrebbe in rotta di collisione con l’art. 3
della Costituzione, nel momento in cui genera una realtà normativa
differenziata, a pelle di leopardo, nel medesimo territorio nazionale, in cui
le
tabelle 3 e 4, modificate o non modificate dalle singole Regioni,
trasformerebbero lo stesso comportamento, a seconda dei casi, in illecito
amministrativo o penale.73
Comunque l’obiezione, a mio avviso dirimente, cui si espone la dottrina, in
esame, attiene alla potestà che essa riconosce alle regioni - partendo dalle due
sentenze della Cassazione cit. - di trasformare, a loro discrezione, degli
illeciti penali in illeciti amministrativi, in forza dell’invocato art. 133, del
T.U. (già art. 54) a fronte della (e contro la) riserva assoluta di legge, di
cui all’art. 25, comma 2, Cost.
Non è il caso, in questa sede, di richiamare il significato proprio del
principio di “stretta legalità”, secondo cui la competenza in materia penale
spetta soltanto allo Stato, con la sottolineatura che il termine legge, che
compare nella norma costituzionale, da ultimo cit., viene letta, nella
giurisprudenza costituzionale e nella dottrina prevalente, come legge “statale
(e non regionale), anche nel nuovo assetto costituzione (v. art. 117, comma 1)
in cui si ribadisce espressamente che:
“Lo Stato ha la legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme
processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa” (ex lett.
l), comma 2, art. 117, riformato dalla legge costituzionale n. 3/2001).74
Né vale la pena far cenno alle ragioni sostanziali per cui la costante
giurisprudenza della Consulta ha ritenuto di escludere il legislatore regionale
dall’area penale in base, di volta in volta o contestualmente, all’art. 120,
comma 1, Cost. novellato (ostacoli alla libera circolazione delle persone e
delle cose); ovvero, più convincentemente, all’art. 3, Cost. (violazione de
principio di eguaglianza fra i cittadini che verrebbero discriminati da norme
adottate da enti territoriali non sovrani e in modo parcellizzato, in assenza di
un assetto federale dello Stato); o, infine, in forza dell’art. 5, Cost.,
secondo cui la Repubblica italiana “.. è pur sempre, ed almeno per ora, uno
stato unitario e non può quindi tollerare la compresenza di una pluralità di
enti legittimati a prescrivere autonomamente norme di rilevanza penale”75 (ovvero,
come nel caso, a depenalizzare, ad libitum, norme penali statali).
Qui basta ribadire che la preclusione che l’ordinamento giuridico pone alle
regioni, nell’ambito penale, ha una portata generalissima, secondo la
giurisprudenza costituzionale, concernendo non solo le nuove incriminazioni ma
anche l’abrogazione di precedenti incriminazioni, la deroga, più o meno estesa,
alla loro applicazione, le cause di esclusione o estinzione dei reati o della
responsabilità penale, i presupposti di punibilità previsti dalla legge penale,
ecc.76
In definitiva, la ricostruzione delle due decisioni, come prospettata dal noto
autore, non può essere condivisa per i motivi di costituzionalità rassegnati.
Senza dire che è assai dubbio che i rispettivi Collegi giudicanti abbiano
pensato e voluto tale nuovo “… rapporto Stato-Regioni e sanzione penale-
sanzione amministrativa…” soprattutto in relazione al passaggio della sentenza Bonassi, in cui si rileva, con nettezza, il “ruolo aggiuntivo e
non sostitutivo
delle Regioni”, quanto alla tabella 5, “senza alcuna interferenza” (delle
Regioni) “con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti
dallo Stato” (nelle tab. 3 e 4).
Quale maggiore “interferenza” di quella rappresentata dalla sostituzione dei
valori tabellari statali con quelli “diversi” delle Regioni?77
5. Conclusioni e proposte.
In coerenza con le considerazioni che precedono, sono in grado di poter
formulare i seguenti punti fermi:
1) la disciplina degli scarichi delle acque reflue industriali, in acque
superficiali, fognatura e suolo, prevede il rispetto dei valori limite di
emissione delle tabelle 3, 3/A e 4, dell’allegato 5 della Parte Terza del
decreto 152/2006 e s.m.i.;
2) l’eventuale inosservanza di tali limiti tabellari o di quelli diversi posti
dalle regioni, con le limitazioni poste dall’art. 101, comma 2, sono puniti, in
linea generale, come illecito amministrativo dal T.U. cit., secondo quanto
previsto dall’art. 133, salvo che il fatto costituisca reato, in relazione alle
ipotesi tassative elencate nel successivo art. 137;
3) con riferimento ai commi 5 e 6, di tale ultimo disposto, non può essere
accolto l’orientamento giurisprudenziale, assolutamente minoritario,
rappresentato dalle due sentenze esaminate (n. 37279/2008 e 1758/2003), secondo
cui costituirebbe reato l’inosservanza dei valori limite delle tabelle 3 e 4
dell’allegato 5, anche in assenza delle sostanze pericolose di cui alla tabella
5, dell’allegato 5, fondato sul presupposto interpretativo – del tutto forzato -
della esclusiva riferibilità della frase pertinente “le sostanze pericolose” ai
“limiti più restrittivi fissati dalle regioni…”, in base alla sola
ricollocazione di tale espressione dopo il richiamo dei limiti regionali;
4) la lettura, più rigorista, merita di essere disattesa in conformità ad una
interpretazione, più corretta, del comma 5, anche sul piano sintattico (v. retro
par. 3.2.) oltre che nel rispetto della ratio legis; dei principi di
proporzionalità ed adeguatezza della pena alla lesività della condotta; dei
criteri di ragionevolezza scientifica, ecc. (v. par. 3.3.). Ma, soprattutto,
perché, in tal senso, si è pronunciata la giurisprudenza della Cassazione
penale, anche a sezioni unite, con argomentazioni convincenti e nel rispetto del
sistema sanzionatorio “binario”, voluto da legislatore degli anni ‘99 e del
2006, come sottolineato dalla dottrina più diffusa ed attenta (v. par. 3.4.);
5) le due sentenze criticate si espongono, ove accolte, a seri dubbi di
costituzionalità, imponendo un trattamento penale uguale a situazioni
oggettivamente differenziate (scarichi con o senza sostanze pericolose), finendo
con l’abrogare, indirettamente, l’art. 133 (v. parr. 4 / 4.4.).
Proposte - Non v’è dubbio, peraltro, che la sentenza n. 4806/2003 (Bonassi),
grazie alla sua diffusa (anche se non condivisibile) motivazione, potrebbe
suscitare l’adesione, ben oltre la pronuncia n. 37279/2008 (Serafini), di altri
collegi penali, della stessa Corte, generando un contrasto fra sezioni che
aggiungerebbe incertezza ad incertezza, con forte disorientamento delle
pubbliche amministrazioni deputate alla vigilanza e controllo78, e soprattutto,
grave pregiudizio delle imprese i cui reflui sono convogliati in pubblica
fognatura, acque superficiali e suolo, con modalità assai articolate79, nel
rispetto dei valori tabellari ricordati.
Per tale vasto settore del mondo imprenditoriale e dei gestori del servizio
idrico integrato non può essere indifferente sapere, se possibile, con sicurezza
ed in anticipo…., se l’eventuale superamento dei valori-limite posti dalla legge
(tabelle 3 e 4) o di quelli “diversi” adottate dalle Regioni, verrà punto con
sanzione penale o amministrativa, a seconda del luogo… e dell’organo
giudicante!.
Sarebbe lecito obiettare che la situazione non riveste i caratteri dell’urgenza
o della drammaticità in quanto, come ripetuto, l’orientamento relativo alla
criminalizzazione delle ipotesi di superamento dei valori limite delle tabelle 3
e 4 dell’allegato 5 (alla parte terza del decreto 152/2006) si presenta
largamente minoritario e non gode i favori della prevalente dottrina.
Ma l’obiezione potrebbe risultare consolatoria – ma non tranquillante - sia
perché l’evoluzione giurisprudenziale è suscettibile di modificare indirizzo,
“suggestionata” dalla recente sentenza Serafini del 2008, sia in quanto
l’attuale stato di incertezza rischierebbe, lasciato a se stesso, di
radicalizzarsi.
***Occorre dunque ricercare, precauzionalmente e prudentemente, delle soluzioni
più sicure che recuperino, nell’immediato, la chiarezza della disciplina e
l’uniformità della sua applicazione.
A tal fine si aprono tre possibili scenari.
Per il primo, parrebbe utile sollecitare, più che auspicare passivamente,
l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che, analizzando le
motivazione contrapposte dei due indirizzi interpretativi, li riconducano ad
unità, ripristinando “… l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della
legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale…”.80
Peraltro, tale soluzione si presenta indeterminata, nei tempi, e incerta nei
risultati, non potendosi prevedere, in anticipo, il clima culturale e
istituzionale in cui si formerebbe il convincimento degli appartenenti a detto
Collegio, tenendo conto, in specie, delle attuale tendenza di un parte della
magistratura (non solo inquirente), di valorizzare al massimo gli strumenti
penalistici per una (ritenuta) più avanzata tutela delle matrici ambientali, pur
consapevole che tali strumenti - se possono avere effetti dissuasivi - non
assicurano alcun obiettivo ripristinatorio né accelerano, per la inadeguatezza e
casualità dello strumento, una più sicura e condivisa cultura ambientale.
Per il secondo, il Dicastero dell’ambiente, esercitando le sue funzioni di
indirizzo e coordinamento, necessarie alla corretta attuazione della parte terza
del T.U., ai sensi dell’art. 75 T.U. cit., potrebbe determinarsi ad adottare una
“circolare interpretativa” o altro atto tipico o atipico, volto allo stesso
fine, in cui fornire l’interpretazione corretta delle disposizioni richiamate81,
con il risultato di favorire un’applicazione uniforme delle norme evocate -
confortato, in tale iniziativa, dalla giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite
e della dottrina prevalente - garantendo, in tal modo, agli Uffici sottordinati
e agli enti regionali (e delle province autonome) nonché agli enti locali
territoriali (e relative strutture operative) criteri univoci di
interpretazione.
Non possono sottovalutarsi i vantaggi che un tale strumento, se tempestivamente
adottato, può arrecare non solo alla pubblica amministrazione, centrale e
locale, ma anche agli operatori privati, rispettivamente in termini di chiarezza
applicativa e di sicurezza e buona fede dell’operatore (una volta che si
conformi alle direttive del Dicastero competente in materia). Ma, al contempo,
non di deve sottacere che la circolare, per sua natura (di direttiva, a
carattere interno, non a contenuto normativo), potrebbe non trovare un sicuro e
diffuso assenso, soprattutto con riferimento ad altri ordinamenti o ordini
esterni alla P.A. (si pensi agli organi di polizia giudiziaria come, ovviamente,
alla magistratura inquirente e giudicante), con conseguente depotenziamento
degli effetti sperati.
Per il terzo scenario, va seriamente valutata la possibilità - oltre che la
sicura opportunità - di risolvere il nodo gordiano di una interpretazione
difficoltosa e contrastata delle norme evocate - dovuta alla loro cattiva
formulazione e, come rilevato, ad un contrasto non sanato e persistente degli
indirizzi giurisprudenziali - con l’unico strumento disponibile, fornito dal
sistema costituzionale, che è quello della interpretazione autentica della
norma, da parte del legislatore ovvero di una sua riformulazione.
Questa soluzione, che potrà essere, per volontà e iniziativa Dicastero, anche
estremamente rapida in base alle modalità prescelte – comporta l’introduzione di
una nuova disposizione che indicherà, in modo univoco e vincolante per tutti
(cittadini, P.A. e magistratura), come deve essere intesa, secondo la
formulazione che si adotterà, la disposizione “controversa” esaminata (nella
specie, l’art. 137, comma 5). Si tratta, dunque, di dare il giusto ruolo alla
frase subordinata e parentetica indicata (“ in relazione alle sostanze indicate
nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto”)
chiarendo se essa è riferibile solo “ai limiti più restrittivi adottati dalla
regioni…ecc.” ovvero, come personalmente ritengo, anche, “ ai limiti fissati
dalle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5”.
Unicamente con tale intervento normativo si potrà definitivamente diradare ogni
incertezza interpretativa ed applicativa, rimuovendo gli ambiti di equivocità
dell’attuale dettato ed assicurando ai cittadini e alla P.A. il bene della
certezza giuridica di cui un Paese realmente democratico e moderno non può fare
a meno. *** Detto intervento si risolverebbe nella semplice: 1) ri-collocazione82
della proposizione subordinata - avente ad oggetto le sostanze pericolose - dopo
le prime due fattispecie riferite alle tabelle 3 e 4, con la soppressione 2) del
verbo “superi” e con 3) la sostituzione (del tanto valorizzato) “ oppure” con
“ovvero”, in questi termini:
[art. 137, comma 5 e 6]:
“ 5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali,
superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo,
nella tabella 4 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, in
relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 alla parte
terza del presente decreto, ovvero [oppure superi] i limiti più restrittivi
fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall'Autorità competente, a
norma dell'articolo 107, comma 1, in relazione alle stesse sostanze indicate
nella tabella 5, dell'allegato 5, sopra citato, è punito con l'arresto fino a
due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati
anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del
medesimo allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da
seimila euro a centoventimila euro
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di
trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico
supera i valori-limite previsti dallo stesso comma”.
La formulazione è ripetitiva e assai poco elegante, oltre che non necessaria,
secondo le regole della sintassi83, ma il dato testuale della norma, così
riformulata, imporrebbe comunque una esegesi “blindata”. Tale da resistere ad
ogni tentativo di “ribaltamento” del sistema sanzionatorio voluto dal
legislatore, vecchio e nuovo.
* Prof. Avv.
Pasquale GIAMPIETRO già Consigliere di Cassazione e Componente dell’Ufficio
Studi del C.S.M. Docente universitario Fondatore di “AMBIENTE” Ipsoa (Mi)
1 Del 12.6.2008, n. 37279, est. Onorato, ric. Serafini. Su
questa pronuncia, si vedano le prime note di M. Taina, Scarichi industriali
oltre i limiti tabellari: sempre sanzione penale, in Ambiente & Sviluppo, n.
2/2009 pag. 129; G. Amendola, Superamento dei limiti tabellari. La prima
sentenza della Cassazione dopo il testo unico ambientale, nota redatta per
Industriambiente.it 2008, , dal sito di www.lexambiente.it., con ampliamenti
rintracciabili nell’articolo titolato Acque. Superamento limiti tabellari 29
luglio 2008. Per la manualistica più recente, P. Fimiani, La tutela penale
dell’ambiente, Milano 2008, pag. 28 e ss.; L.. Prati e G. Galotto, Scarichi,
inquinamento idrico e difesa del suolo, Milano 2008; M. Chilosi (a cura di)
Tutela delle acque dall’inquinamento e disciplina degli scarichi, 2008, pag. 194
(con richiami alla letteratura e giurisprudenza precedente).
2 Anche se relativo alla legislazione precedente: mi riferisco a
Cass. Pen. sez. 3, 28.10. 2003, n. 4806, est. Postiglione, in proc. Bonassi e
Bonfiglio, che si richiamava all’art. 59, comma 5, del d. lgs. n. 152/1999). La
decisione è pubblicata in Ambiente n. 7/2004, pag. 687, con acuta e convincente
nota di L. Prati, La Cassazione ribalta l’orientamento in tema di superamento
dei valori tabellari, ivi, pag. 679 e ss..
3 Sui vari modelli di incriminazione, si richiamano i capitoli
relativi alle trattazioni generali della normativa sanzionatoria relativa alla
disciplina delle acque degli AA. cit. a nota 1. Ai quali adde, precedentemente:
L Butti –M.Mazzoleni, La nuova normativa per la tutela delle acque” IPA Servizi
2000; M. Medugno – M- Gabritotti e P. Pagliara, Il nuovo regime delle acque fra
‘presente e futuro”, La Tribuna, 2002.
4 “Alla cui articolata motivazione si rinvia”, come si legge
nella pronuncia del 2008. Su tale “isolamento” v. oltre, par. 3.4
5 Perché concerne limiti di emissione relativi alle sostanze
pericolose elencate, in numero di 18, nella Tabella 5, dell’Allegato 5. Concorda
nell’osservare che “con il d. lgs. n. 152/1999, la sanzione amministrativa
diventava la regola (art. 54), mentre quella penale, l’eccezione (art. 59)”, G.
Amendola, in “Superamento dei limiti cit.”; salvo ad aggiungere che il
correttivo del 2000 “apportava alcune importanti modifiche alla lettera della
norma penale” (v. oltre). Dello stesso avviso M. Chilosi, op. cit. pag. 156, che
rileva: “ A livello di sistematica generale, è anzitutto possibile osservare
come le tecniche di tutela utilizzate dal Legislatore siano rimaste
sostanzialmente invariate rispetto a quelle adottate sin dalla legge Merli. In
particolare, vengono affiancati i due modelli di illecito tipici della materia
ambientale, ossia l’illecito amministrativo e la contravvenzione, la cui
differenze, a livello di comportamento sanzionato, è puramente quantitativa” .
Così anche, L. Prati e G. Galotti, op. cit. pag. 137 (Cap. 6, “Sanzioni
amministrative e depenalizzazione”). Per una rassegna della giurisprudenza sul
decreto 152/1999 e s. m. i. v. L. Ramacci Il codice delle acque 2002, pag. 485.
6 E appena il caso di ricordare che le 18 sostanze pericolose
della Tab. 5 cit. possono anche essere derogate,in senso meno restrittivo, per
gli insediamenti produttivi, in forza di quanto previsto espressamente nelle
note 1 e 2 di detta tabella.
7 Le prescrizioni sugli scarichi immessi nella rete fognaria
urbana, saranno fissati, a livello regolamentare, dall’Autorità d’ambito; esse
si affiancano alle altre prescrizioni introdotte nelle autorizzazione, ex art.
124, comma 7.
8 In tema, si vedano le acute osservazioni di F. Giampietro, “La
riforma della riforma: Il d. lgs. n. 258/2000 a tutela delle acque
dall’inquinamento, in Ambiente n. 11/2000, (Editoriale) pag. 1 e ss. Consta che
il 19 marzo di quest’anno, il Presidente della Regione Marche si è rivolto al
Ministro dell’ambiente On. Stefania Prestigiacomo, con toni preoccupati, per
sottolinearle che, a seguito della sentenza del 2008, richiamata a nota 1, “…
presso i gestori del servizio idrico integrato della Regione Marche e presso le
organizzazioni imprenditoriali, quali Confindustria, Confartigianato e CNA, tale
interpretazione rigorosa dell’art. 137, commi 5 e 6 ha destato forte allarme ..
prevedendosi sanzioni penali” (anziché illeciti amministrativi: n.d.s.) “per
irregolarità negli scarichi delle acque reflue industriali ed impianti di
trattamento di acque reflue urbane”. … Durante una apposita riunione ci si è
chiesti se la citata sentenza….abbia interpretato correttamente la volontà del
normatore; .. infatti solo che si cambi la posizione di un inciso, nel testo del
comma 5, il senso cambia radicalmente … non si può quindi escludere che, nel
corso della laboriosa redazione del d. lgs. n. 152, la scrittura del testo abbia
tradito la reale intenzione del normatore… “. Si conclude, pertanto,
sollecitando un indispensabile intervento del legislatore (sul punto v. le
conclusioni assunte a par. 5).
9 Si tenga conto del dettato dell’art. 28, comma 2, che recita:
“ Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia,
tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche
disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui
all’allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità
massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o
famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno
restrittivi di quelli fissati nell’allegato 5:
a) nella tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi
idrici superficiali;
b) nella tabella 2 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi
idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;
c) nella tabella 3/A per i cicli produttivi ivi indicati;
d) nelle tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella tabella 5 del
medesimo allegato (v. oggi l’art. 101, del T.U. cit.).
10 Salvo alcune varianti che secondo G. Amendola, nella nota da
ultimo cit., assumerebbero importanza “… in quanto <<ovvero>> diventa
<<oppure>>, ecc.; ma, a prima vista, sembra che nella sostanza non sia cambiato
niente. A ben guardare, invece, la nuova norma penale (art. 137, comma 5)
contiene un’aggiunta molto rilevante. Infatti, adesso, la locuzione <<ovvero>>
viene sostituita con <<oppure superi>> (con la ripetizione, quindi, del verbo
<<superi>>)” .
L’osservazione peraltro non convince. Da un punto di vista grammaticale e
sintattico, è appena il caso di rilevare, in contrario, che la congiunzione
“oppure” ha l’identico significato del termine “ovvero” (sono termini sinonimi)
oltre che la stessa funzione “disgiuntiva” (cioè distinguono fattispecie
indicate in successione). In tal senso, v. G. Pittàno, “Sinonimi e contrari,
Zanichelli, 1987, voce “ovvero: “ ossia, ovverosia, oppure”, pag. 533. Quanto
alla aggiunta, nella frase, del verbo “recuperi”, essa svolge, all’evidenza, un
compito ripetitivo e rafforzativo del tutto pleonastico, nella sintassi del
periodo, stante l’unicità del soggetto (“Chiunque”) e del predicato verbale, in
questi termini: ” Chiunque…superi…oppure superi.”
Si ribadisce: ripetizione inutile del verbo su cui non si può ancorare
l’auspicato ribaltamento del sistema sanzionatorio, tanto più quando, lo stesso
Amendola, proprio con riferimento all’art. 137, comma 5, rilevandone le tante e
gravi imprecisioni terminologiche e gli erronei rimandi ad altre disposizioni, è
costretto ad ammettere che: “Insomma, quello che vorremmo mettere
preliminarmente in rilievo, è che comunque, a prescindere dalla interpretazione
che si voglia accogliere, il contesto normativo di riferimento non è affatto
chiaro e contiene sicuramente alcuni errori ed imprecisioni che certamente non
contribuiscono a pervenire ad una soddisfacente soluzione della delicata
questione”. Sul tema della struttura del periodo con cui è stato costruito il
comma 5 dell’art. 137 (già 59, comma 5), v. oltre par. 3.2. Sulla qualità della
scrittura del decreto 152, con riferimento al regime transitorio, v. V. Paone,
Scarichi esistenti e adeguamento al d. lgs. n. 152/1999, in Ambiente, n. 6/2000,
pag. 549.
11 Con l’aggiunta finale che “La innovazione normativa è stata
confermata dal recente testo unico sull’ambiente, approvato con D.Lgs. 3.4.2006
n. 152, il cui art. 137, comma 5, con formulazione ancora più chiara, punisce
con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila a trentamila euro
“chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi
i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella
tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i
limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o
dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, in relazione alle
sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente
decreto”; v. retro, n. 10, per la confutazione della maggiore chiarezza del
nuovo dettato.
12 Forse si fa riferimento all’aggiunta “oppure superi”,
valorizzata senza ragione, come osservato retro, dalla dottrina indicata a nota
10.
13 Per la verità i soggetti sono gli stessi (espressi dal
pronome personale “Chiunque”); ciò che cambia, semmai, sono “le condotte
oggettive di riferimento” .
14 Tale spiegazione è richiamata in modo tralatizio, e senza
alcun approfondimento, dalle uniche quattro sentenze che hanno condiviso questa
lettura e cioè: Cass. Pen. 22.8.2001, n. 33761, Pirotta; Cass. Pen. sez. 3, n.
1518 del 29.10.2003; Id. sentenza del 26/03/2004 (ud. .20/02/2004), Lo Piano, la
cui massima suona: ”In tema di scarichi di acque reflue industriali,
successivamente alle modifiche introdotte all'art. 59 del decreto legislativo 11
maggio 1999 n. 152 ad opera dell'art. 23 del decreto legislativo 18 agosto 2000
n. 258, il reato di superamento dei limiti tabellari posti dallo Stato si
configura anche in relazione alle sostanze diverse dalle 18 indicate nella
tabella 5 dell'Allegato 5 del citato decreto n. 152 del 1999; Cass. Pen. sez. 3,
n. 19254 del 20/05/2005 (ud. .13/04/2005), Granata, la quale ripete: “In tema di
scarichi di acque reflue industriali, a seguito del D.lgs . 18 agosto 2000 n.
258, modificativo dell'art. 59, D.lgs . 11 maggio 1999 n. 152, sono sottoposti a
sanzione penale gli scarichi che superano i limiti tabellari posti dallo Stato
ed individuati nelle Tabelle 3 e 4 anche se si tratta di sostanze diverse dalle
quelle indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5. Infatti nell'attuale
formulazione il riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 è stato
collocato dopo la previsione della possibilità, per le autorità diverse dallo
Stato, di stabilire "limiti più restrittivi", la violazione dei quali - in
applicazione del disposto dell'art. 54, comma primo, D.lgs . n. 152 del 1999 ed
in ossequio alla riserva statale dello "ius puniendi" - è sanzionata solo in via
amministrativa, salvo la sussistenza dell'ulteriore condizione che si tratti
delle diciotto sostanze pericolose incluse nella citata Tabella 5”.
Tale orientamento si presenta, però, del tutto minoritario (oltre che
acriticamente ripetitivo) rispetto ad un opposto e consolidato indirizzo della
stessa Suprema Corte (su cui v. oltre, par. 3.4.) assai meglio motivato, sul
punto.
15 Per la dottrina, si consideri, nel senso sostenuto nel
testo, L. Butti e S. Grassi, Le nuove norme sull’inquinamento idrico Milano,
2001, 57 e ss.; L. Prati, Inquinamento idrico, 2001, Milano, pag. 36; P. Fimiani,
La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2008, pag. 32 e ss., con nutriti
richiami di giurisprudenza e dottrina. Sul piano teorico-sistematico cfr., da
ultimo, F. Saitta, Le sanzioni amministrative nel Codice dell’ambiente: profili
sistematici e riflessioni critiche, in Riv. Giur. dell’ambiente, n. 1/2009, pag.
41 e ss.
16 Le congiunzioni “o”, “oppure”, “ovvero” assolvono la stessa
finalità disgiuntiva, cioè di distinzione delle tre condotte considerate dal
comma 5°, il quale si accresce di una seconda ipotesi, del tutto nuova, sub b),
di scarico in suolo. Posta dinanzi ad una determinata frase, le locuzioni “o”,
“ovvero” e “oppure” svolgono il compito di indicare o aggiungere un altro caso.
V., in tal senso, il vocabolario “Lo Zanichelli, 1998, ove si legge che il
termine “oppure” : “ in principio di frase prospetta un’altra ipotesi” (come
nelle tre fattispecie elencate sub a), “o” b) “ovvero” c), con identico soggetto
e verbo.
17 Sulla funzione meramente correttiva e integrativa del d.
lgs. n. 258/200, v. L. Prati, Inquinamento idrico, Milano, 2001, cit., pag. 180,
ove si rileva: “ In conclusione, il comma 5, non dovrebbe essere stato
radicalmente modificato dal D.Lgs. 258/2000 che, rispetto al D. Lgs. 152/1999,
ha opportunamente incluso, nel regime penale, il superamento della tabella 4,
nel caso residuale di scarico sul suolo, oltre al riferimento all’art. 33 comma
1. In relazione all’art. 33 comma 1, si noti che il D. Lgs. 152/1999 già
prevedeva la possibilità, da parte del «gestore dell’impianto di depurazione»,
di prescrivere valori limiti di emissione più restrittivi, ma non prevedeva che
tali limiti fossero approvati (e quindi controllati) dalla Regione”. Sul fatto
che il D. Lgs 258/2000 non abbia modificato di molto il disposto dell’art. 59,
coma 5, del D.Lgs. 152/1999 risulta convinto anche A. Postiglione, Un grave
passo indietro nella tutela delle acque, in Ambiente & Sicurezza n. 20/2000 p.
52, che se ne duole, rispetto al vecchio regime dell’art. 21, comma 3, della
legge Merli. Con riferimento al d. lgs, n. 258/2000, l’A. aggiunge che il
precedente decreto 152/99 “.. è stato sostanzialmente confermato”. Di tale
conclusione, peraltro, non sembra più persuaso quando, come relatore della
sentenza c.d. Bonassi, del 17 dicembre 2003, n. 1758, esaminata nel testo, legge
l’art. 59, comma 5 e 6, in tutt’altro modo, benché il legislatore sia
intervenuto solo un anno dopo … la prima versione degli artt. 54 e 59 e non vi
sia alcuna traccia, nei lavori preparatori, di tale volontà di sottoporre a
regime penale le violazioni di tutti i limiti di emissione delle tabelle 3 e 4,
dell’Allegato 5, da parte degli scarichi industriali (sulla inesplicabilità di
tale mutamento di rotta del legislatore, dopo appena un anno, si sofferma anche
L. Prati op. ult. cit., pag. 180 oltre che G. Amendola, Superamento dei limiti
tabellari e scarichi industriali. La prima sentenza di cassazione dopo il testi
unico ambientale, in Industriambiente.it, 2008 cit. .
18 Di identico tenore: v., retro, nota 10.
19 Ritenuto costituzionalmente legittimo dal Giudice delle
leggi: v. in proposito L. Butti e S. Grassi, op. cit., pag. 182 e ss, con
richiami delle sentenze della Corte costituzionale e della dottrina penalistica
in argomento (con menzione, in nota, dei contributi di Dolcini, Catenacci,
Picotti, Manna, ecc.).
20 Condivide tale impostazione, da ultimo, L. Prati e G.
Galotto, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, Milano, 2008, pag.
144, i quali, con riferimento alla sentenza del 2003, Bonassi, obiettano che
tale interpretazione più rigorista, e contraria agli approdi raggiunti sul tema
dalla Cassazione (ampiamente richiamate a note nn. 12/14), “non è imposta dalla
lettera della legge” .
21 Espressa dalla proposizione: “in relazione alle sostanze
indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5”.
22 Si sarebbe potuto scrivere - : “Chiunque,
nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali supera i valori
limite fissati dalla tabella 3 o “ nel caso di scarico nel suolo, nella tabella
4, dell’allegato 5”, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5
dell'allegato 5, “ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle
province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1,
in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, é punito
con l'arresto fino a due anni, e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire
cinquanta milioni”. Ma, come rilevato, trattandosi di condizione comune
(presenza delle 18 sostanze pericolose) ed al fine di evitare una ripetizione
inutile, (oltre che fastidiosa, sul piano formale), il legislatore ha optato per
inserire la frase subordinata (“in relazione alle sostanze…) a conclusione del
complesso articolato normativo.
23 In definitiva, considerando la sequenza delle congiunzioni
“o”, “ovvero”, la frase completa assume un significato univoco: “Chiunque supera
(a) i valori limite fissati nella tabella 3.. o (b) nella tabella 4… ovvero (c)
i limiti più restrittivi fissati dalle regioni…. , in relazione alle sostanze
indicate nella tabella 5, dell’allegato 5, è punito…”. Poiché la frase è
costituita da tre “proposizioni coordinate” legate da “congiunzione disgiuntiva”
(o oppure, ovvero) - e cioè “chiunque supera i limiti della tabella 3 o chiunque
supera i limiti della tab. 4 ovvero chiunque supera limiti più restrittivi” -
per ragioni di semplificazione sintattica, esse sono state espresse, con
l’indicazione, una sola volta, del soggetto e del predicato verbale (“Chiunque….
supera”). Parimenti, e per le stesse ragioni di semplificazione – poiché le tre
“coordinate” (con una propria autonomia grammaticale), sono legate ad una comune
proposizione “subordinata” (“in relazione alle sostanze indicate….”, che le
connota contestualmente, secondo tradizione, logica e ratio) - era coerente e
consequenziale che il legislatore del 2000, collocasse quest’ultima
(subordinata) alla fine della complessa frase in esame. Il comma 5 dell’art. 59
ha, dunque, un solo e comune soggetto (“chiunque”) - indicato una sola volta, in
testa alle tre proposizioni coordinate di cui di cui è composto - e una comune
proposizione subordinata, posta in coda alla stessa frase. Sulla varietà e
denominazioni delle “proposizioni coordinate e subordinate”, si veda: M. Dardano
e P. Trifone, La nuova grammatica della lingua italiana”, Zanichelli, 1997, pag.
385, nell’ edizione 2007, RCS, in cui sono esplicitate le regole sintattiche
richiamate.
24 La riprova di quanto sostenuto può trovarsi immaginando
come il comma 5, dell’art. 59, avrebbe dovuto essere scritto, secondo le due
sentenze, Bonassi (2003) e Serafini (2008), per escludere la nuova impostazione
rigoristica propugnata e confermare la interpretazione tradizionale. A seguire,
infatti, il criterio topografico dalle stesse valorizzato, il legislatore, al
fine di evitare ogni dubbio interpretativo, si sarebbe dovuto esprimere in
questi termini: “Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue
industriali supera i valori limite fissati dalla tabella 3 o, nel caso di
scarico nel suolo, nella tabella 4, dell’allegato 5, in relazione alle sostanze
indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero i limiti più restrittivi
fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a
norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella
tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con
l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni”. Ebbene, una
redazione siffatta della norma è apparsa non necessaria, sul piano sintattico
(v. nota 23 che precede) e inelegante, su quello stilistico, come dimostrato
dalla formulazione adottata (sufficientemente chiara, secondo la giurisprudenza
assolutamente prevalente della S.C., anche a sezioni unite e la dottrina
citata). Sulla decisione a sezione unite, Turina, si legga la densa e
approfondita nota di S. Beltrame, in Ambiente, n. 6/2002, pag. 569, con richiami
a tutta la giurisprudenza precedente favorevole e non.
25 Sulla diversa collocazione della proposizione sulle sostanze
pericolose.
26 Secondo la dottrina e giurisprudenza sinora richiamate.
27 V., oggi, gli artt. 133 e 137 del T.U. cit.
28 Come si percepisce chiaramente, siamo ben lungi dal
penalizzare, indiscriminatamente, tutte le condotte di superamento dei limiti di
emissione, di qualunque entità e misura, e cioè di ogni parametro delle tabelle
3 e 4 dell’Allegato 5, anche di quelli relativi a sostanze non pericolose,
prescindendo… dall’effetto lesivo o pericoloso per l’ambiente e/o dandolo per
presunto…, in ogni caso, iuris et de iure, di contro agli indirizzi contrari e
prevalenti dello stesso giudice di legittimità, anche a Sezioni Unite…. Sul
tema, v., da ultimo, le considerazioni giustamente critiche di L. Vergine, Nuovi
orizzonti di diritto penale ambientale?, in Ambiente & Sviluppo, n. 1/2009, pag.
5 e ss. ed ivi richiami esaurienti di dottrina.
29 Sentenza Bonassi, 2003 e Serafini, 2008 .
30 In questo senso L. Prati , La Cassazione ribalta
l’orientamento in tema di superamento dei valori tabellari, a commento della
sentenza Bonassi, in Ambiente, n. 7/2004, pag. 680.
31 In tal senso, L. Prati, in Ambiente, n. 7/2004, pag. 680,
cit. che rileva: “ Seguendo, infatti, l’interpretazione più rigorosa per gli
scarichi industriali e per le acque reflue che convogliano reflui industriali il
superamento delle tabelle 3 e 4 costituirebbe sempre reato e quindi la clausola
di riserva… non avrebbe più alcun significato.. posto che per gli scarichi
domestici ed urbani, non convoglianti reflui industriali, il superamento non è
mai reato”
32 G. Amendola, nella nota “Superamento dei limiti
tabellari…ecc.” cit. pag. 5.
33 Come se le innovazioni normative dovessero necessariamente
passare o addirittura coincidere con una criminalizzazione più estesa e spinta
delle condotte descritte, riportate dal legislatore del 1999 e del 20006
nell’area dell’illecito amministrativo, rispettivamente, ex art. 54 e 133 cit.
Sembra, invece, che le novità delle leggi di delega citt. sono da ricerca
altrove, come per es.: nell’aver assicurato una tutela anche quantitativa della
risorsa-acqua; nel puntare sulla prevenzione e riduzione dell’inquinamento
idrico; nel prevedere meccanismi incentivanti per il raggiungimento degli
obiettivi voluti; nell’insistere sul funzionamento di efficiente sistemi di
controllo, preventivo e successivo, ecc. V. anche oltre par. 3.5.2..
34 Cioè di garanzia dell’uniforme interpretazione della
legge….(che ovviamente dovrebbe evitare il contrasto fra diverse sezioni penali
della stessa Corte e, a maggior ragione, il conflitto fra sentenze scritte da
giudici appartenenti alla stessa sezione…) .
35 Osserva in proposito, G. Amendola, a nota 5 dell’articolo:”
: A questo proposito, desta perplessità l’affermazione, contenuta nella sentenza
in esame secondo cui la tesi sostenuta nella sentenza Bonassi “è stata seguita
dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte”. A noi, come abbiamo sopra
documentato, risulta esattamente il contrario”.
36 La diversa collocazione di una frase subordinata sulle
sostanze pericolose, che può e deve essere letto in senso opposto, secondo una
giurisprudenza prevalente e consolidata (richiamata di seguito) oltre che in
forza di una ricostruzione del periodo più corretta, anche solo in base alle
regole della sintassi: cfr., retro, par.3.2.
37 Tratta dal testo della norma (voluntas legis).
38 Desunta dai lavori preparatori che rivelano la volontà
storica del Parlamento o del Governo (voluntas legislatoris).
39 Anche G. Amendola, nella nota cit. sopra, nel testo, mi
sembra concludere nel senso della censurabilità del tentativo equiparato a “… un
brusco passaggio alla tesi più rigorista e gravosa per gli imputati, in virtù di
una sola (pur pregevole) sentenza sul testo unico del 2006 (che) non appare
esente da censure”. Lo stesso A. si augura che, ove non vi siano conferme di
quest’ultima giurisprudenza e continui il contrasto, si pronuncino, al più
presto, le sezioni unite.
40 Mi riferisco a L. Butti, Le nuove norme sull’inquinamento
idrico, Milano, 1995, pag. 94.
41 “Siamo allora di fronte”, proseguiva il Prof. Caglioti, “… a
quella che il napoletano medio chiama “fessaggine” cioè una situazione che non
ha né capo né coda…». Sulla diversità fra limiti di accettabilità derogabili e
inderogabili (in quanto relativi a sostanze tossiche, persistenti e
bioaccumulabile) e sulla necessità di distinguere gli effetti diversi delle
rispettive sostanze, secondo la legge Merli, si rimanda al volume di L. Butti,
Le nuove norme sull’inquinamento idrico, citato a nota precedente, a
dimostrazione della vetustà della questione e della ragionevolezza della
soluzione proposta, già a partire dagli anni ’70.
42 in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 6/2000 p. 1041.
43 in Ambiente & Sviluppo 20001 n. 1, p. 77.
44 in Ambiente & Sviluppo, 2001, n. 3 p. 284.
45 in Riv. Pen. 2000, p. 473.
46 in Rivista Giuridica dell’Ambiente 6/2000 p. 1040.
47 in Ambiente & sviluppo” 2000, n. 4, p. 387.
48 in Ambiente & Sviluppo 2001 n. 2, p. 183.
49 in Ambiente & Sviluppo 2002 n. 6, p. 569.
50 Per le ragioni esposte a par. 3 e ss..
51 Esposta a par. 3.4..
52 Rispettivamente da sei mesi a due anni e da dieci a duecento
milioni (oggi, fino a due anni di arresto e a trenta mila euro di ammenda, ex
art. 137, comma 5).
53 Superamento dei limiti delle tabelle 3 e 4 e dei limiti
regionali più restrittivi.
54 Come quella suggerita dalle due sentenze in commento.
55 Così, da ultimo, A. Cerri, voce Eguaglianza”, in Diritto
Costituzionale, Dizionari Sistematici de Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, pag. 408,
ed ivi esauriti richiami di letteratura e giurisprudenza, non solo italiana.
56 V. par. 3.3.
57 L’analogia viene intesa, in questi casi, in senso forte per
cui si esige il ricorrere del medesimo elemento cui si collega la disciplina, e
non in senso debole, per cui si valorizza il grado minore di differenza: così
Cerri, op. cit., con riferimenti bibliografici specifici sul punto.
58 Secondo un insegnamento consolidato del Giudice delle leggi:
v., ex multis, in questi termini assai limpidi, già, Corte cost. n. 171/1982.
59 In tal senso la dottrina unanime, da ultimo richiamata, da
S. Nespor – A.D.De Cesaris, Codice dell’ambiente, Milano 2009, passim.
60 Il n. 152/1999, la cui norma (art. 59) è ripresa
puntualmente dall’art. 137 cit.
61 Come sottolinea attentamente anche G. Amendola, in Acque.
Superamento dei limiti tabellari”, del 29.7.2008, in Lexambiente. It., ove
rileva: “…diciamo subito che purtroppo, qualunque tesi si voglia sostenere, il
quadro normativo su cui operare non è, comunque, chiaro in quanto presenta
alcune evidenti incongruenze che il D. Lgs del 2006 ha “ereditato” dal
precedente D. Lgs 152 del 1999-2000. In primo luogo, il richiamo nell’art. 133
(ex 54, sanzioni amministrative) al superamento dei limiti <<fissati
dall’autorità competente a norma … dell’art. 108 (ex 34), comma 1>>. Premesso
che l’art. 108 (così come l’art. 34 D. Lgs 152/99) riguarda gli <<scarichi di
sostanze pericolose>>, si tratta, comunque, qualsiasi interpretazione si adotti,
di richiamo senza senso in quanto l’art. 108, comma 1 (così come il vecchio art.
34, comma 1) non prevede alcuna possibilità di fissare limiti, anzi non si
occupa affatto di limiti, neppure indirettamente. La verità è che, come abbiamo
accennato, ci trasciniamo ancora oggi un errore del legislatore, il quale nel
2000 aveva ricopiato il primo comma del vecchio (prima stesura del 1999) art.
54, ove c’era appunto questo richiamo, dimenticando che, contestualmente, il
decreto correttivo del 2000, aveva modificato l’art. 34, inserendo un nuovo
primo comma, per cui il vecchio comma 1 era diventato comma 2. Già nel D. Lgs
152/99 dopo il 2000, quindi, doveva trattarsi del superamento dei limiti
<<fissati dall’autorità competente a norma … dell’art. 34, comma 2>>; e cioè di
limiti, più restrittivi di quelli prescritti dalle tabelle o da Regioni o
Province autonome ai sensi dell’art. 28, commi 1 e 2, che l’autorità competente
al rilascio dell’autorizzazione poteva, comunque, fissare in situazioni
particolari di accertato pericolo per l’ambiente. Con l’ulteriore incongruenza
che il richiamo in esame riguarda le sanzioni amministrative, mentre tutte le
violazioni delle prescrizioni dell’autorizzazione in tema di scarichi di
sostanze pericolose sono punite con sanzione penale (cfr. art. 137, comma 3, che
fa salve solo le violazioni punite, sempre con sanzione penale dal comma 5)”.
62 Così, G. Amendola, in Acque. Superamento dei limiti
tabellari”, appena cit., cui si devono le ultime espressioni fra virgolette del
testo. Detto Autore, riprendendo con ampliamenti, l’articolo pubblicato da
Industriambiente.it 2008 cit., indica, diligentemente, tutti i numerosi casi di
malintesi, errori, e scoordinamenti fra disposti, rinvenuti nel d. lgs. 152/1999
e riprodotti nel T.U. del 2006.
In particolare, sul tema in esame, Amendola osserva: “ … Nello stesso quadro, se
si mettono a confronto l’art. 133, comma 1 e l’art. 137, comma 5, e si considera
che dovrebbe trattarsi di due norme complementari (e, quindi, speculari), nel
senso che la prima si applica <<salvo che il fatto costituisca reato>>, e cioè
salvo che non si debba applicare la seconda, appare evidentissimo che qualcosa
non quadra. Mentre, infatti, l’art. 133, parla di <<diversi valori limite
stabiliti dalle regioni a norma dell’art. 101, comma 2>>, l’art. 137,
riferendosi, ovviamente agli stessi valori limite (anche se solo quelli più
restrittivi, in relazione alle sostanze della tabella 5), parla invece di
<<limiti … fissati dalle regioni e dalle province autonome>> senza richiamare,
in alcun modo, l’art. 101, comma 2. Entrambi gli articoli, poi, parlano dei
limiti <<fissati dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1>> ma
l’art. 133 – e non l’art. 137 - aggiunge anche, come si è visto, <<o dell’art.
108, comma 1 >>.
63 Relativi agli scarichi in corpi d’acqua superficiali; sul
suolo; “Indicazioni generali” e “Metodi di campionamento e analisi”.
64 Ai sensi del quale «gli scarichi di acque reflue industriali
che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche alle
prescrizioni regolamentari ed ai valori limite di emissione emanati dal gestore
dell’impianto di depurazione», ma «ferma restando l’inderogabilità dei valori
limite di emissione per le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5», tabella
che non fissa alcun valore limite, essendo solo l’elenco delle «sostanze per le
quali non possono essere adottati, dalla regione e dal gestore della fognatura
limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3».
65 Pertanto la inderogabilità, ai sensi dell’art. 28,
sembrerebbe riferibile al divieto di porre limiti meno restrittivi, non più
restrittivi (che sarebbero sempre ammessi).
66 Con l’aggiunta”.. e con pena aggravata per le sostanze
contenute nella Tab. 3/A”.
67 Tranne i casi esclusi, di cui si è detto sopra, ex art. 28,
comma 2, art. 33, comma 1, art. 59 comma 5 e 6 (e, aggiungerei, tranne i limiti
di emissione posti da tabelle diverse da quelle 3 e 4). Avverte le conseguenze
destabilizzanti – sul rapporto Stato-Regioni - delle interpretazioni proposte
dalle due sentenze cit. G. Amendola, nella nota da ultimo citata, ove si
osserva: “… Ci sembra, invece, decisivo l’aspetto sostanziale, e quindi
verificare se, accettando la tesi innovativa, non si arrivi a conclusioni non
sostenibili sotto il profilo logico giuridico. Da questo punto di vista,
“l’anomalia” più rilevante è, senza dubbio, costituita dal rapporto
Stato-Regioni e sanzione penale-sanzione amministrativa in caso di scarico
industriale superiore ai limiti. Accettando la tesi innovativa della Cassazione,
infatti, il superamento delle tabelle 3 e 4 da parte di scarico industriale
costituisce reato, ma, in caso le Regioni stabiliscano, per le stesse sostanze,
limiti <<diversi>>, il loro superamento, a norma dell’art. 133, comma 1, sarà
punito, di regola, con sanzione amministrativa, a meno che essi non siano più
restrittivi e riguardino le sostanze della Tabella 5.
68 V., retro, par. 3.3., p. II).
69 Sul sistema sanzionatorio degli illeciti ambientali, con
particolare attenzione anche agli aspetti teorici della tematica accennata nel
testo, v. il bel volume (a cura di) F. Giunta, Codice commentato dei reati e
degli illeciti ambientali, Padova, 2005, passim e per aggiornamenti
bibliografici, v. A. L. Vergine, in Ambiente n. 1/2009, cit.
70 G. Amendola, op. cit.
71 Salvo ad aggiungere: “ Unica eccezione per le sostanze che
più preoccupano, e cioè quelle della Tabella 5 ove resta la sanzione solo penale
anche nel caso in cui le Regioni le modifichino nell’unico modo loro consentito
dall’art. 101, comma 2, e cioè in senso più restrittivo (il che, evidentemente,
implica trattarsi di situazione preoccupante)”.
72 O, per dirla con lo stesso Autore, non solo “desta gravi
perplessità” ma perplessità insuperabili.
73 Non possono, pertanto, condividersi le conclusione assunte
da Amendola, op. cit., in queste battute finali: “ … In altri termini, si
potrebbe ritenere che, salvo questa eccezione, se una Regione ritiene,
ovviamente in base allo studio della situazione locale, di intervenire per
allargare i limiti base statali (presidiati con sanzione penale), essa se ne
assume fino in fondo la responsabilità, esonerandone lo Stato e garantendo i
risultati con le sanzioni di sua competenza, che sono quelle amministrative.”
Osservo, intanto, che “modificare i limiti statali”, come indica l’Autore, nel
brano riportato nel testo, non è la stessa cosa che “allargare i limiti statali”
(che farebbe pensare a limiti ulteriori e/o più favorevoli di quelli tabellari
che la Regione può modificare solo in limiti più o meno restrittivi, cioè
“diversi”). La rappresentazione, poi, di una Regione che, nel sostituire le
sanzioni penali con proprie sanzioni amministrative “si assume fino in fondo la
responsabilità” della sua iniziativa - “esonerandone lo Stato e garantendo i
risultati con le sanzioni di sua competenza” – (a parte l’approccio e la forma
espressiva, più sintonica al linguaggio della politica che a quello del diritto)
non mi sembra (ancora) compatibile con l’attuale assetto costituzionale in cui
le leggi regionali, pur potendo svolgere una funzione integrativa della
normativa penale, non possono essere fonti di diritto penale né in funzione
incriminatrice né in funzione scriminante, neppure nelle materie che l’art. 117
Cost. assegna alla loro competenze (peraltro l’art. 117, comma 2, lett. s),
Cost. attribuisce la tutela dell’ambiente alla competenza esclusiva dello
Stato). Osserva, da ultimo, F. Giunta, sotto la “voce” “Depenalizzazione”, in
Diritto Penale - Dizionari sistematici - de “Il Sole 24 Ore”, Milano, 2008, pag.
45, che “… il vero ostacolo alla competenza penale delle regioni appare
piuttosto di tipo istituzionale: il decentramento anche parziale della potestà
punitiva“ (nel caso di depenalizzazione del reato statale), è compatibile solo
con un assetto federale”. Ma non credo che siamo arrivati a questo punto, nel
tormentato percorso verso il c.d. “federalismo” (quale?).
74 Si veda, in proposito, la fondamentale sentenza della Corte
costituzionale n. 487/1989.
75 Così, T. Padovani, Diritto penale, 7° ed., Milano, 2006,
pag. 21.
76 In argomento, si rimanda all’esauriente giurisprudenza
riportata nel volume “La legge penale” (a cura di M. Ronco), Zanichelli,
Bologna, 2006, pag. 26 e ss (“Riserva di legge e legge regionale”), con completi
richiami anche alla dottrina penalista e costituzionalista. Né potrebbe essere
invocato utilmente l’art. 9 della legge n. 689/1981, non solo per la prevalenza
della sanzione penale, di cui al comma 2, ma anche perché non si verifica
l’ipotesi del comma 1, che postula la concorrenza e coesistenza della norma
penale e di quella che prevede una sanzione amministrativa (mentre nella
ricostruzione della dottrina cit. la disposizione regionale, che fissa limiti di
emissione diversi, va a sostituire la norma sui limiti tabellari statali).
77 Per quanto sinora esposto non si può che apprezzare la
coerente e pacata conclusione di L. Prati, nell’articolo “La cassazione
ribalta.. cit., in Ambiente, n. 7/2004 pag. 681 secondo cui: “ Per ritenere che
il comma 5 del D.lgs. n. 152/1999 sia effettivamente stato radicalmente
modificato dal D.lgs n. 258/2000, nel senso ritenuto dalla decisione in
questione, parrebbe necessario un argomento più solido di quello relativo alla
ricollocazione della frase “in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5
dell’Allegato 5” dopo il richiamo del ruolo regionale”. E, aggiungo, senza
soprattutto tener conto della
ratio posta a base del differente trattamento sanzionatorio riservato alle
sostanze di cui alla tabella 5 come scolpita dal presente passo di Cass. pen. ,
sez. feriale, 17 settembre 2001/22 agosto 2001, n. 33761 nei seguenti termini:
“Questa disciplina differenziata trova la sua logica ispiratrice nella
circostanza che le sostanze previste dalla tabella 5 sono state ritenute dal
legislatore maggiormente pericolose per la salute pubblica come è dimostrato
dalla circostanza che per queste sostanze è previsto, per la regioni e per il
gestore delle fognature il divieto di adottare limiti meno restrittivi di quelli
indicati nella tabella 3. Si comprende quindi perché il legislatore abbia voluto
ricomprendere la condotta in esame (sversamento di sostanze non indicate nella
tab. 5) nella fattispecie costituente violazione amministrativa prevista
dall’art. 54 del D.lgs n. 152/1999 che ricomprende tutti i casi di superamento
dei valori limite fissati nelle tabelle di cui all’all. 5 che non costituiscono
reato”.
Con riferimento a tale decisione lo stesso Prati conclude: “.. Dette
considerazioni restano anche dopo il D.lg. n. 258/2000 valide e tutto sommato
più convincenti delle argomentazioni letterali desumibili dalla “rivisitazione”
del sistema sanzionatorio apportata dalla novella del 2000 la quale, come detto,
non brilla certo per chiarezza”. Nello stesso senso si esprime la “Introduzione”
di un Codice ambientale, di prossima pubblicazione che gentilmente gli Autori mi
hanno inviato, in visione, che sottolinea, sul punto: “.. Tuttavia la sentenza
2008 ignora completamente l’art. 133 del D.lgs. n. 152, riguardanti le sanzioni
amministrative. …L’orientamento (ri)proposto dalla pronuncia del 2008 non appare
coerente con le intenzioni del legislatore ambientale che, nella materia, ha
previsto sanzioni amministrative (quindi più lievi) per le fattispecie meno
gravi ed un maggiore rigore sanzionatorio per gli scarichi maggiormente
“inquinanti”,
78 Merita segnalare, fin da ora, che in alcune regioni (come in
Toscana) l’Agenzie Regionali per l’Ambiente si è attivata per informare gli
altri uffici regionali competenti che, con la sentenza Serafini del 2008,
l’indirizzo della giurisprudenza da condividere deve essere ritenuto quello più
severo, con la conseguenza di suggerire alle Province di considerare reato il
superamento dei limiti tabellari cit.; di attivare un contatto con le Procure
ecc. V., per es., la missiva dell’ARPAT del 24.3.2009, prot. 23769 del seguente
tenore: “… Oggi la seconda tesi” (quella più severa; n.d.s.) “ è stata accolta
da alcune sentenze della Cassazione Penale, sez. III, n. 1518 del 12/06/2008,
ecc…. e, dal momento che ha ricevuto l’avallo di tale autorevole giurisprudenza,
si ritiene opportuno aderire a questa interpretazione sicuramente più rispettosa
del dato testuale e individuare come reato il superamento di tutti i limiti
indicati nelle tabelle 3 o 4 dell’allegato 5, senza alcun riferimento alle 18
sostanze ritenute pericolose, elencate nella tabella 5 dell’allegato 5. Si
invitano pertanto le SSVV a comunicare alla Province che l’Agenzia, da oggi,
alla luce delle motivazioni esposte, rileverà nella fattispecie in un reato”.
Sembra che l’Agenzia regionale sia convinta dal criterio quantitativo e dalla
attualità della giurisprudenza “ .. più rispettosa del dato testuale”, senza
tener conto che l’indirizzo maggioritario, della stessa sezione della Cassazione
è contrario e annovera, dalla sua parte, la maggiore “autorevolezza” anche delle
Sezioni Unite, a prescindere dalla dottrina richiamata, assai critica, e
soprattutto dalle conseguenze teoriche e pratiche di cui si è fatto cenno nel
testo.
79 Secondo le previsione degli artt 107, T.U. (già art. 33) e
137, T.U. (già art. 59 cit.).
80 Per ripetere l’enfatica formula dell’art. 65
dell’Ordinamento Giudiziario, di cui a R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 e s.m. i., il
quale, peraltro, riporta tale funzione “nomofilattica”, alle singole sezioni
della Cassazione (ma, come si è visto nel nostro caso, invano…) e non solo alle
sezioni unite.
81 Con riferimento alla disciplina degli scarichi industriali
immessi in suolo, acque superficiali o in pubbliche fognature, con riferimento
ai limiti delle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5, come richiamati dall’art. 137,
comma 5, T.U. cit.(già art. 59, comma 5.cit. d. lgs. 152/99).
82 Come nella prima versione dell’art. 59, comma 5, ricordato,
prima delle modifiche del d. lgs. n. 158/2000.
83 Come ho chiarito a par. 3.2..
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 16/07/2009