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Scarichi industriali in acque superficiali, fognature e suolo, con superamento dei valori limite: sanzioni amministrative o penali?


(L’art. 137, comma 5 e 6, T.U. n. 152/2006, secondo Cass. Pen. n. 37279/2008).

 

PASQUALE GIAMPIETRO*
 

 

SOMMARIO:

1. Un dibattito nuovo su una questione vecchia (e risolta): la disciplina delle acque reflue industriali in pubblica fognatura, acque superficiali e suolo.

2. La modulazione del regime sanzionatorio viene confermata dalla successione delle fonti: l’art. 59,d.lgs. n. 152/99, prima e seconda versione a confronto.

3. Il decreto correttivo n. 258/2000 e la più recente sentenza n. 37279/2008.
3.1 Gli articolati (ma non persuasivi) argomenti della Cassazione n. 1758/2003: sua riferibilità all’art. 137, comma 5 e 6, del T.U. ambientale.
3.2. Rilievi critici sulle due pronunce: la nuova formulazione del comma 5 e il rispetto della…. sintassi.
3.3. La ratio legis di un regime sanzionatorio differenziato e il mancato rispetto del criterio di proporzionalità, secondo la diversa lesività della condotta – La cancellazione, di fatto, della clausola di riserva dell’art. 54 e l’assenza della voluntas legis e legislatoris - La violazione dei criteri di ragionevolezza scientifica.
3.4. I precedenti giurisprudenziali contrari e l’assoluta prevalenza della tesi del doppio regime.

4. La lettura rigorista si espone a seri rilievi di incostituzionalità.
4.1. Trattamento uguale per situazioni differenziate.
4.2. Abrogazione, per via interpretativa, dell’art. 133, T.U. ambientale.
4.3. L’adesione perplessa di una attenta dottrina alla sentenza Serafini 2008.
4.4. Motivi ostativi di rilevanza costituzionale.

5. Conclusioni e proposte.






1. Un dibattito nuovo su una questione vecchia (e risolta): la disciplina delle acque reflue industriali in pubblica fognatura, acque superficiali e suolo.

Le riflessioni espresse in questa nota si rivolgono a tematiche ampiamente dibattute, oltre che risalenti (agli anni ’70 del secolo scorso…). Ma una recente pronuncia della sez. 3° penale della Suprema Corte1 le ha richiamate in vita, strappandole alla “storia”, e dando ad esse una soluzione che contraddice una interpretazione giurisprudenziale e dottrinale, ormai consolidata, che aveva trovato nel d. lgs n. 152/2006 il suo più recente avallo.

In una vicenda di scarico di acque reflue industriali in acque superficiali (ma lo stesso varrebbe nel caso di scarico in pubbliche fognature o in suolo), con superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3, dell’Allegato 5 (relativamente ai parametri del B.O.D. e del C.O.D.), la S.C., anziché ritenere applicabili le sanzioni amministrative previste dall’art. 133, del T.U. cit. (che, per l’appunto, punisce “lo scarico che superi i valori lime di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5, nella parte terza del presente decreto”, fra cui la tab. 3), ha ricondotto tale violazione all’art. 137, comma 5, fornendo una lettura che, pur vantando un precedente specifico2, si presenta del tutto dissonante con i suoi stessi orientamenti, prevalenti e consolidati (v. oltre); con la dottrina più attenta ma, soprattutto, con la volontà del legislatore (che, da tempo, ha introdotto un sistema sanzionatorio binario, articolato in sanzioni amministrative e penali, a seconda della gravità del fatto, riservando queste ultime a condotte di particolare disvalore sociale riferito ovviamente alla tutela dei valori ambientali3).

Per arrivare a tali impegnative conclusioni (appena anticipate sopra), occorre prendere le mosse dal dato normativo riferito al non breve arco temporale che va dal 1976 (anno di entrata in vigore della legge Merli, n. 319/1976), al 1999 (in cui fu approvato il d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152) sino ad arrivare al T.U. cit. del 2006, come novellato dai noti decreti correttivi (di cui l’ultimo n. 4/2008) per due ragioni:


- perché il superamento della legge “Merli”, da parte del decreto 152/’99, si compie in nome (anche) della depenalizzazione di molte ipotesi di reato previste dalla stessa legge n. 319/76 (la quale aveva ricondotto a illeciti penali tutte le forme di superamento dei limiti di accettabilità imposti agli scarichi, in base all’art. 21, comma 3);
- in quanto l’art. 59, comma 5 e 6, del decreto n. 152 cit., come novellato, è stato riprodotto identicamente (tranne una variante lessicale che si indicherà) dall’art. 137, comma 5 e 6 del T.U. cit., tanto da giustificare il richiamo alle problematiche e alle conclusioni maturate dalla giurisprudenza prevalente e dalla dottrina formatesi sulla interpretazione, appunto, dell’art. 59 (dal 1999 al 2006) delle quali la decisione della S.C. n. 37278/ 2008, pur optando per una lettura opposta, non si è fatta carico di confutare le motivazioni, limitandosi a evocare, a suo supporto, l’isolato precedente n. 4806 del 2003, cit.4


Non senza aver messo in luce, innanzi tutto, la rilevanza pratica delle opposte opzioni interpretative:


A) quella più rispettosa della lettera e della volontà legislativa (ratio legis) secondo cui costituisce regola generale il sottoporre a sanzioni amministrative “.. il superamento dei valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5” (ex art. 54, del d. lgs. n. 152/1999 e dell’attuale art. 133, del T.U. ambientale), fatta salva l’eccezione che tale superamento configuri un reato (come si legge testualmente nell’identica espressione parentetica dei due articoli: “salvo che il fatto costituisca reato”);5

B) la seconda, prospettata dalle due sentenze richiamate (n. 4806/2003 e n. 37278/ 2008) che, con riferimento alle fonti succedutesi nel tempo, hanno letto l’art. 59, comma 5 e 6 (del decreto del ’99) e l’art. 137, comma 5 e 6 del T.U. cit., nel senso che la sanzione penale andrebbe applicata, sempre e comunque, non solo in caso di violazione dei limiti di emissione afferenti le sostanze pericolose, ma anche di tutti gli altri valori limite fissati nella tabella 3 (relativi alle emissioni in acque superficiali o in fognatura delle acque reflue industriali) o nella tabella 4 (nel caso di scarico nel suolo degli stessi reflui industriali) che non riguardano i limiti fissati per le sostanze pericolose della tab. 5 dell’Allegato 5 (limiti per i quali tanto l’art. 54 che l’art. 133 fissavano e fissano una sanzione amministrativa e non penale, per quanto osservato sub A).


**Come dire, in più chiare lettere, che tutte le imprese che scaricano i propri reflui industriali in acque superficiali, suolo o in fognatura, secondo le due decisioni richiamate, devono essere sottoposte a sanzioni penali, relativamente severe (arresto fino a due anni e ammenda da tre mila a trenta mila euro, senza possibilità di oblazione né ordinaria né speciale, ex art. 162 e 162 bis c.p.) - e non con la sanzione amministrativa, da tremila a trentamila euro, come si ritiene (per le ragioni che seguono), ex art. 133, cit. - per superamento anche di uno solo dei 51 parametri della tab. 3 e dei 39 parametri della tab. 4, a prescindere dalla pericolosità o meno delle sostanze immessi in detti corpi ricettori (e dunque anche in loro assenza).6

Di più: a tale regime di maggiore severità e gravità, che risulta dissonante, come vedremo, con il sistema a doppio binario, voluto dalla legge (sanzione amministrativa o sanzione penale), andrà a colpire, ai sensi dell’art. 137, comma 6 (già art. 59, comma 6) anche tutti “.. i gestori degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”7 (ove recapitano gli scarichi delle acque reflue domestiche, industriali e/o quelle meteoriche o di dilavamento, ex art. 74, comma 1, lett. i) cui viene estesa la disciplina sanzionatoria penale del comma 5, nel caso in cui “effettuino scarichi (fognari) che superino i valori limite previsti dallo stesso comma” (5°), anche solo a titolo di colpa (non essendo più richiesto il dolo o la colpa grave).

L’estensione dell’interpretazione più rigoristica ai gestori degli impianti di trattamento delle fogne appare ancora più forzata e ingiustificata ove si rifletta:

a) alla peculiarità di struttura di tale impianto (di trattamento delle acque di fogna);
b) alla confluenza, in esso, di varie tipologie di scarichi, con diversa provenienza e idoneità inquinante;
c) alla delicatezza dei problemi tecnico-gestionali di chi, come gestore dell’impianto, “subirà” il più delle volte, nella assoluta inconsapevolezza, gli altrui “superamenti” dei valori limite ovvero gli scarichi, del tutto anomali, di utenti (spesso ignoti), rischiando di rispondere, sempre e comunque, penalmente (anche) per fatto altrui…..8.

2. La modulazione del regime sanzionatorio viene confermata dalla successione delle fonti. L’art. 59, d. lgs. n. 152/99: prima e seconda versione a confronto.

Ove si rifletta sulla evoluzione del dato normativo, chiamato a regolare l’importante ed esteso ambito degli scarichi di acque reflue industriali, domestiche e urbane nelle pubbliche fognature - secondo le definizioni legislative di cui all’art. 74, comma 1, lett. g,h,i, T.U. ambientale, nonché dei conseguenti scarichi (lett. ff), previo trattamento (lett. ii, ll, mm, dello stesso disposto) – ci si avvede, pur nelle varianti lessicali, di alcune note dominanti, già accennate, ma meritevoli di approfondimento:


1) l’uso generalizzato dello strumento penale, per garantire il rispetto dei limiti di accettabilità (secondo la legge n. 319/1976), veniva successivamente abbandonato, a partire dalla legge n. 172 del 17 maggio 1995, che introduceva una disciplina di favore, adottata dalle regioni, per gli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognatura (v. art. 14) per la cui violazione erano previste sanzioni amministrative ove la condotta “non costituisse reato o circostanza aggravante”, ex art. 21, comma 3 e 5 (nel caso di mancata richiesta di autorizzazione ovvero di scarico con autorizzazione revocata o negata); ovvero, ex art. 22 (per l’inosservanza delle prescrizioni di autorizzazione); fermo restando che si applicava sempre la sanzione penale (ammenda o arresto) “qualora siano superati i limiti di accettabilità inderogabili per i parametri di natura tossica, persistente o bioaccumulabile” (ai sensi dell’art. 21, comma 4);

2) la legge comunitaria del 24 aprile 1998, n. 128, nel delegare il Governo a dare attuazione a determinate direttive comunitarie (di cui quelle a tutela delle acque dall’inquinamento, ex art. 17), dettava “criteri e principi direttivi generali” (ex art. 2) che consolidavano, istituzionalizzandolo, il doppio regime sanzionatorio (amministrativo e penale: “saranno previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi..”, ex lett. c), ovviamente in ragione della lesione o esposizione a pericolo “.. degli interessi generali dell’ordinamento interno.. “ (sanzione penale) ovvero “di interessi diversi da quelli indicati” (sanzione amministrativa), secondo principi di adeguatezza e proporzionalità, propri ed intriseci all’ordinamento interno e, prima ancora, a quello comunitario. Da rispettare in modo rigoroso soprattutto quando la norma da applicare irroghi una sanzione (sia essa penale che amministrativa, ex art. 1, legge n. 689/1981) che dovrà modularsi, di volta in volta, sulla offensività della condotta;

3) conformemente a tali criteri di delega, il d. lgs n. 152/1999 poneva, in via ordinaria, un sistema di sanzioni amministrative, come reazione punitiva al superamento dei limiti di emissioni (v. art. 54 cit.) oltre che per l’inosservanza di altri obblighi di legge (v. i restanti disposti del Capo I, del Titolo V: artt. 55/57), introducendo, in via di eccezione, le sanzioni penali del solo art. 59 (Capo II).


In tale fase di evoluzione normativa, l’art. 59, comma 5 e 6, nella sua prima versione, non poneva alcun dubbio nella sua concreta applicazione, stante la palese chiarezza del suo dettato:
“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limite fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o delle Province autonome, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di depurazione che, per dolo o per grave negligenza, nell'effettuazione dello scarico supera i valori limite previsti dallo stesso comma.”
Erano, infatti, previste, per gli scarichi industriali, due fattispecie di reato rappresentate:

1) dal superamento dei limiti fissati dalla tab. 3 cit. (da riportare al p. 1.2. “acque reflue industriali” e al ricettore: acque superficiali e fognatura) “in relazione alle ” (cioè solo se “detti limiti” riguardavano) “sostanze” pericolose (n. 18) “indicate nella Tabella 5” (arsenico, cadmio, cromo, ecc., corrispondenti, nell’ordine, ai parametri 10.13, 14, ecc. della Tab. 3);

2) dal superamento dei limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome, sulla base di una previsione di legge che legittimava le regioni a introdurre, in tal modo, delle prescrizioni tecniche (“limiti diversi”) che costituivano il presupposto (o elemento normativo della fattispecie) per l’applicazione di sanzioni penali (potestà riservata al legislatore statale).9

Si è detto che la norma risultava assai chiara, nel suo dettato, anche se, con riferimento alle sostanze pericolose, poteva essere meglio redatta inserendo la proposizione parentetica (“in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5”) – in quanto condizione comune, riferibile ad entrambe le fattispecie – in fondo all’intero periodo del comma 5, in questi termini:

“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limite fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o delle Province autonome, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni.”

3. Il decreto correttivo n. 258/2000 e la più recente sentenza n. 37279/2008:

I rilevanti problemi ermeneutici sottesi al duplice orientamento giurisprudenziale sopra indicato, aggravati dalla più recente lettura rigoristica della Cassazione del 2008 cit., sono sorti solo…. un anno dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 152/1999, in occasione del decreto correttivo del 18 agosto 2000, n. 258. Il quale, infatti, apportava delle modifiche significative all’art. 59 che sono state lette, da una parte del tutto minoritaria della giurisprudenza successiva (v. oltre, par. 3.4.), come espressione di una volontà del legislatore di “criminalizzare” le condotte di superamento dei limiti di emissioni degli scarichi industriali e di quelli dei gestori delle reti fognarie, con riferimento ai limiti posti nelle tabelle 3 (per i recapiti nelle acque superficiali e nella pubblica fognatura) e 4 (recapito nel suolo) citt., sottraendole, di conseguenza, al regime più favorevole delle sanzioni amministrative, di cui all’art. 54 cit. (v. retro).

L’esame, in questa sede, di tali novità non risponde ad una curiosità storica o ad una esigenza puramente teorica, ma ad una necessità pratica e di diritto positivo vigente, in quanto, come accennato sopra, la ricostruzione dell’art. 59, coma 5, novellato, consentirà di dare una corretta applicazione all’attuale art. 137, comma 5, del T.U. cit. che ne riproduce identicamente il dettato10.


Si impone, a questo punto:
a) il confronto fra la prima e la seconda formulazione dell’art. 59, per scorgerne le modifiche apportate e per verificare, poi:
b) la validità degli argomenti testuali o di principio su cui si fonda l’orientamento giurisprudenziale minoritario sul presunto ribaltamento del sistema sanzionatorio sopra delineato (sanzioni amministrative, come regola, ex art. 54; sanzioni penali, come eccezione, ex art. 59, comma 5 e 6, in casi tassativi, connessi al rilascio di sostanze pericolose fuori limite, previamente determinate).


Il testo del nuovo art. 59, nella parte che qui interessa, è il seguente:
“5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.”


Dal dato normativo, appena riprodotto, la più recente sentenza della Cassazione n 37278/2008 cit. ha ritenuto, “… in base ai consueti canoni letterali e storici, nonché in base ai criteri teleologici illustrati da Cass. Pen. n. 4806 del 29.10.2003… “ che “l’interpretazione che si impone” è quella secondo cui “.. non v’è dubbio che, con la novella legislativa del 2000,… il legislatore:

- ha voluto punire lo scarico di acque reflue industriali che recapita in acque superficiali o in fognatura quando supera i valori limite fissati nella tabella 3, nonché lo scarico sul suolo di acque reflue industriali quando supera i valori limite fissati nella tabella 4, anche se il superamento tabellare non riguarda le diciotto sostanze più pericolose elencate nella tabella 5;
- ha punito inoltre con la stessa pena qualsiasi scarico di acque reflue industriali (in acque superficiali, in fognatura, sul suolo) che superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni, dalle province autonome o dalle autorità di gestione del servizio idrico integrato, in relazione alle diciotto sostanze elencate nella tabella 5, per le quali — in ragione della loro maggior pericolosità — le autorità suddette non possono adottare limiti meno restrittivi”.11

 

Trattasi, a ben vedere, di motivazione assai scarna – in considerazione della gravità degli effetti che ne derivano, dell’autorevolezza del Collegio che la pronunciava e della circostanza di presentarsi come la prima pronuncia della Corte su tale complessa questione (ex art. 137 commi 5 e 6 del T.U. cit.) – di tipo assertivo e non argomentativo e, per ciò stesso, non idonea a superare i tanti dubbi che si erano profilati, in precedenza, sullo spinoso tema, dubbi che essa non si fa carico di diradare.

Si consideri, in proposito, che, nella parte motiva (v. par. 3), la decisione:

1) si limita ad osservare che la novità introdotte dall’art. 23 del decreto n. 258/2000 “… è stata confermata dal recente testo unico sull’ambiente, con formulazione ancora più chiara” (ma non si indica in che cosa consista la maggiore chiarezza12);

2) delinea poi le due nuove fattispecie penali, indicate sopra, già prefigurate dalla sentenza 2003, Bonassi, senza alcuna argomentazione propria e/o rafforzativa che giustifichi tale duplicazione, salvo la frase di esordio, della seguente tenore:
“.. Orbene, non v’è dubbio che, con la novella legislativa del 2000, il legislatore ha voluto punire le acque reflue industriali…. anche se il superamento non riguarda le diciotto sostanze più pericolose elencate nella tabella 5”,

dove è evidente la forzatura interpretativa di ritenere sostanze “pericolose” (tute quelle di cui alle tabelle 3 e 4) e, conseguentemente, quelle della tabella 5, “più pericolose”, contro il dettato della legge che non conosce tale inedita distinzione o classificazione (“pericolose e più pericolose…”);

3) asserisce che “… questa interpretazione si impone in base ai consueti canoni letterali e storici, nonché in base ai criteri teleologici illustrati da Cass. Pen. sez. 3 sentenza n. 4806 del 29 10 2003”, ma non esplicita come siano stati applicati tali “canoni”, salvo un rinvio, per relationem, alla motivazione della decisione Bonassi del 2003;

4) invoca, a suo conforto, due precedenti decisioni del 2004, qualificandole “prevalente giurisprudenza”, senza avvedersi che la prevalenza degli orientamenti della stessa sezione 3 e delle Sezioni Unite (v. il par. 3.4.) sono di segno opposto: cioè meno rigorista. Di tale ultima esperienza, più che decennale, la sentenza ricorda …. una sola pronuncia – la n. 25272/2004, Anselmi - che, per come citata in motivazione, parrebbe completamente isolata (ed invece rientra, per quanto detto, nell’indirizzo maggioritario e della quale, comunque, non si fa carico di confutare le argomentazioni: v. oltre, par. 3.4.).

Poiché, in definitiva, la pronuncia del 2008 si limita a rinviare alla motivazione della precedente sentenza, n. 1758/2003, è a quest’ultima che bisogna far riferimento per conoscere “le radici” (logico-giuridiche) del segnalato “ribaltamento” dell’apparato sanzionatorio.

3.1 Gli articolati (ma non persuasivi) argomenti della Cassazione n. 1758/2003: sua riferibilità all’art. 137, comma 5 e 6, del T.U. ambientale.
Ebbene una attenta lettura della sentenza n. 1758 del 29 ottobre 2003, est. Postiglione, consente di capire che la profonda innovazione rintracciata dalla Corte, nel nuovo dettato dell’art. 59, comma 5, si fonda soprattutto… sulla diversa collocazione della frase riferita alle sostanze pericolose (“in relazione alle sostanze indicate dalla Tab. 5”) posta, non prima, ma dopo il richiamo dei limiti regionali (a partire dall’anno 2000).
Da tale “spostamento”, la S.C. desume due diverse fattispecie penali autonome, in questi termini: “… Il nuovo testo individua due tipi di soggetti13 di riferimento:
— quelli che, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superano i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella Tabella 4 dell'Allegato 5;
— quelli che, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superano i valori dei limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente, a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5”.
A tale conclusione essa perviene sulle seguenti considerazioni:
“Diversamente dalla iniziale versione contenuta nel D.lgs 152/99 originario, la sanzione penale è stabilita indifferentemente per il superamento di tutti i limiti previsti dalla tabella 3 e dalla Tabella 4, del D.lgs 152/99. La sanzione penale rimane invece vincolata alle sostanze previste dalla tabella 5, solo nel caso in cui il superamento riguardi i limi ti più restrittivi fissati dalle Regioni. Infatti l'attuale formulazione colloca la frase "in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5" non più prima, ma dopo il richiamo del ruolo regionale, con specifico riferimento all'ipotesi di limiti più restrittivi fissati dalle Regioni. Come è noto la violazione dei limiti regionali "diversi" da quelli statuali è sanzionata soltanto in via amministrativa (articolo 54, 1° comma), mentre l'ipotesi di limiti più restrittivi ha bisogno di una specifica menzione per l'introduzione di una sanzione penale (spettando allo Stato stabilire le ipotesi di reato). Ed è quello che si è operato con la nuova dizione, introdotta con l’utilizzo della congiunzione "ovvero" che non ha valore correttivo (per precisare o integrare un concetto precedentemente espresso) ma disgiuntivo (nel senso della) introduzione di una autonoma figura di reato). La nuova formulazione menziona altresì una nuova Tabella (la n. 4 in aggiunta alla n. 3), che si riferisce agli scarichi sul suolo”.
Come risulta dai passi della motivazione, sopra riportati, “.. la profonda innovazione del decreto 258 è sostanzialmente ancorata ad un rilievo sintattico che valorizza la diversa collocazione della frase menzionata (“in relazione alle sostanze indicate nella tab. 5”) “non prima ma dopo il ruolo regionale, con specifico riferimento ai limiti più restrittivi fissati dalla Regione”.14
Se, dunque, questo risulta essere il pilastro su cui poggiano tutte le ulteriori affermazioni che se ne deducono (in termini di duplicità e autonomia delle due fattispecie e della automatica criminalizzazione di tutte le ipotesi di superamento dei limiti delle tabelle 3 e 4), mi sembra doveroso sottolineare, in esordio, che esso si presenta intrinsecamente assai fragile oltre che inidoneo a spiegare il completo capovolgimento del sistema sanzionatorio tratteggiato.
Un più attento e complessivo esame della portata e delle finalità sottese al d.lgs. n. 258/2000 consente – infatti - di affermare che la sua funzione “correttiva” era certamente volta a completare ed integrare il decreto 152/99, rimuovendo delle sviste, ambiguità e/o colmando delle omissioni precedenti ovvero introducendo delle nuove ipotesi di reato, ma senza innovare o “ribaltare”- in ordine ai profili repressivi - il preesistente rapporto fra le disposizioni del Capo I e il Capo II, del Titolo V, destinato alle “Sanzioni”, fondato sull’evidenziato dualismo fra sanzioni amministrative (v. artt. 54/57, oggi att. 133 e ss. T.U. cit. ) e sanzioni penali (cfr. artt. 59/61, oggi, art. 137 e ss. T.U.)15.
In questo senso militano ragioni formali e sostanziali, di seguito esposte, volte a confutare le minoritarie tesi rigoriste, della recente e meno recente giurisprudenza richiamata, a partire dalla considerazione delle innovazioni testuali apportate.
In particolare:
- il nuovo dettato dell’art. 54, come modificato dall’art. 21, del decreto 258 cit. (rubricato “Sanzioni amministrative”), riduce, per un verso, l’area del sanzionabile, con la soppressione delle ipotesi di “immissione occasionale” fuori tabelle, e, per altro verso, conferma la stessa sanzione amministrativa (da 5 a 50 milioni) per il superamento di tutti i limiti di emissione fissati dalle tabelle di cui all’Allegato 5, integrando il comma con la previsione dei limiti di emissioni stabiliti dalle regioni in relazione al novellato art. 33, comma 1, ma lasciando immutata anche la sanzione amministrativa per gli scarichi irregolari nelle aree di salvaguardia (che resta non inferiore a lire trenta milioni).
- parimenti l’art. 23, del medesimo decreto, conserva, nella sostanza, la vera portata dell’art. 59 il quale viene confermato nei suoi primi tre commi, in relazione al regime delle sanzioni penali (natura e entità delle pene) che riguardano il sistema autorizzatorio e la sua osservanza;
- altrettanto dicasi del comma 4 dove, all’identità della sanzione penale, si affianca una integrazione necessaria, con riferimento alla ipotesi dell’art. 33, comma 1 (in quanto novellato dallo stesso decreto, con sostituzione dell’autorità d’ambito con il “gestore del servizio idrico integrato”, ecc.);
- quanto ai commi 5 e 6, essi restano confermati nella entità delle sanzioni e integrati nelle rispettive previsioni, non risultando affatto giustificata l’omissione contenuta nella prima versione del 1999 che sanzionava - con misura amministrativa o penale - il superamento dei valori limite fissati della tabella 3 (recapito in acque superficiali o fognatura), omettendo del tutto di prevedere la stessa condotta in relazione agli scarichi in suolo (da assoggettare, parimenti, a pene amministrative o penali, a seconda che contengano o meno le sostanze pericolose della tab. 5).
Ebbene tale vuoto è stato giustamente colmato dal decreto del 2000, inserendo, dopo la prima fattispecie preesistente, la nuova previsione (seconda fattispecie) con una “o” , con funzione disgiuntiva (e aggiuntiva rispetto alla prima ipotesi) cui segue una terza fattispecie (già esistente) e legata alla seconda, con una ulteriore locuzione disgiuntiva: “ovvero” (che sintatticamente segue la prima e di essa costituisce una variante, con la stessa funzione:” o…ovvero16).
Ne è risultato il seguente testo:
Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali (a) supera i valori limite fissati dalla tabella 3 o” (b) “ nel caso di scarico nel suolo, nella tabella 4, dell’allegato 5” (c) “ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni17.
 

3.2. Rilievi critici sulle due pronunce: la nuova formulazione del comma 5 e il rispetto della sintassi….
E’ a partire da questa nuova formulazione del periodo che si innesta l’assai fragile argomento sintattico – delle due pronunce citate - con riferimento al periodo relativo alle sostanze pericolose posto “non prima ma dopo il richiama al ruolo regionale”, cioè dopo la fattispecie sub c), del paragrafo precedente, diversamente dalla originaria versione.
Fragile non soltanto perché su di esso si tenta di sovvertire, in via interpretativa, l’intero sistema sanzionatorio del decreto 152/99 (e, di conseguenza, la stessa lettura del successivo art. 137 del T.U. cit.18) - nel momento in cui si modifica sostanzialmente, anche se indirettamente, il contenuto dell’art. 54 ed il suo rapporto con le disposizioni dell’art. 59 (due norme fondative del sistema sanzionatorio binario19, per cui ciò che è riportato nella disciplina dell’art. 59 [sanzioni penali] , viene, contestualmente, sottratto all’art. 54 [sanzioni amministrative]…); ma anche in quanto, proprio le regole della sintassi ci forniscono una spiegazione (e una conseguente esegesi) più corretta, e di segno opposto, del nuovo dettato del comma 520.
Si consideri che l’originario art. 59 contemplava due fattispecie (violazione dei limiti della tab. 3, in relazione alle sostanze della tabella 5, e dei limiti più restrittivi delle regioni) accomunate nella medesima sanzione penale.
Benché tale condizione (e relativa “frase”) fosse collocata nel mezzo del periodo, relativo alle due fattispecie anziché in fondo, era comunque chiaro che l’inosservanza dei limiti tabellari (relativi alle sostanze pericolose) si riscontrava in tutte e due le ipotesi.
Nel momento in cui interviene la novella del 2000, con funzioni correttive ed integrative, si presentava del tutto coerente, ai redattori della norma, riportare, secondo le regole della sintassi, tale condizione21 - comune alle (non più due ma) tre fattispecie indicate (violazione dei limiti della tabella 3, della tab. 4 e dei limiti più restrittivi regionali) - a conclusione del nuovo periodo, proprio perché riferibile alle tre le condotte sanzionate.
Il nuovo art. 59 va dunque letto nel senso - “fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”, ex art. 12 Preleggi - che detto presupposto (presenza di sostanze pericolose negli scarichi fuori limite), connotando le tre vicende ed essendo ad esse comune, anziché essere ripetuto tre volte per ciascuna di esse22, non poteva che essere collocato, secondo canoni sintattici pacifici, in fondo alla riformulazione del periodo.
Le disgiuntive usate (“o, ovvero”) servono, dunque, a distinguere i tre casi ma anche ad elencarli in sequenza perché la sanzione finale (da collocare sintatticamente a conclusione della descrizione della fattispecie) è prevista per tutti e tre (una volta, invece, solo per due casi), stante anche la comunanza di ratio afferente la pericolosità degli inquinanti.
Sintatticamente, il soggetto della proposizione finale (“è punito con l’arresto ecc.”) va ricercato nel pronome indefinito singolare “chiunque” - che regge le tre fattispecie - secondo la seguente logica del periodo:
Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico …, supera i limiti” (seguono i tre casi)”, in relazione alle sostanze indicate in tabella 5, è punito”.23
In conclusione, diversamente da quanto opinato dalle due decisioni della Corte (del 2003 e 2008), le cui letture trovano la loro occasione e astratta spiegazione in una qualche ambiguità della norma, ci sono buone ragioni, di natura sintattica oltre che di logica del periodo e, soprattutto di ratio (v. paragrafo successivo), per riferire la frase in questione (sulle sostanze pericolose della tabella 5) a tutte e tre le ipotesi di reato e non solo a quella relativa “ai limiti più restrittivi delle regioni”.
Il fatto che detta proposizione (“in relazione alle sostanze indicate…”) sia collocata subito dopo il richiamo “al ruolo regionale”, non vuol dire affatto e necessariamente, come congetturato, che essa venga correlata solo ed esclusivamente a tale ultima ipotesi; inferendone, di rimbalzo, che la sanzione penale relativa alle due prime fattispecie si estenderebbe a tutti i casi di superamento dei limiti di emissione delle tabelle 3 e 4, senza alcun collegamento con le sostanze pericolose). Ma, diversamente - in base alle regole della sintassi richiamate (che debbono prevalere sulla considerazione del solo dato topografico di detta espressione, di per sé equivoco e assai debole) - che la condizione unica delle tre condotte (presenza di sostanze pericolose), proprio perché comune, andava collocata dopo la descrizione della terza fattispecie (quella appunto dei limiti regionali) perché potesse essere riferibile e riferita, sintatticamente, a tutte e tre.24


3.3. La ratio legis di un regime sanzionatorio differenziato e il mancato rispetto del criterio di proporzionalità, secondo la diversa lesività della condotta – La cancellazione, di fatto, della clausola di riserva dell’art. 54 e l’assenza della voluntas legis e legislatoris - La violazione dei criteri di ragionevolezza scientifica.
I) Le due decisioni, in commento, trascurano un secondo, decisivo profilo - assai più sostanziale di quello “topografico”25- desunto dalla riscrittura della norma - che attiene alla ratio sottesa alle due disposizioni richiamate: l’art. 54 e l’art. 59 (v., oggi, gli artt. 133 e 137 del T.U.).
Era ed è di tutta evidenza che la modulazione della reazione sanzionatoria binaria del decreto 152/1999, prima e dopo la novella del 2000, risulta strettamente correlata alla presenza o meno delle sostanze pericolose negli scarichi (di cui si superano i limiti di emissione).
Lo stesso criterio vale e valeva con riferimento alla possibilità o meno di adottare limiti meno restrittivi di quelli indicati nella tab. 5, ex art. 28, comma 2 cit. (oggi art. 101), analogamente a quanto si prevedeva per le sostanze già “tossiche, persistenti e bioaccumulabile” previste dalla legge Merli.
Ebbene tale ratio si correla, per ragioni ovvie e condivise, di solare evidenza26, alla maggiore pericolosità o lesività degli scarichi contenti le sostanze pericolose (della tab. 5) che imponeva e ha imposto al legislatore (del 2000 come del 2006) - secondo i noti criteri di proporzionalità, adeguatezza e dissuasività della reazione sanzionatoria alla gravità della condotta - di qualificare diversamente le relative fattispecie (di superamento dei limiti previsti dalla legge) come reato o come illecito amministrativo: donde le previsioni dell’art. 59, comma 5 e 6, da leggere contestualmente alla clausola di salvezza dell’art. 54 (rubricato sanzioni amministrative e riferito alle violazioni dei limiti di emissione delle tabelle di cui allegato 5) “salvo che il fatto costituisca reato”.27
E, d’altronde, la stessa nuova direttiva 2008/99/CE, sulla tutela penale dell’ambiente – spesso invocata per potenziare lo strumentario delle sanzioni penali nel settore de quo - pone al legislatore nazionale l’obbligo di garantire “…la piena osservanza della normativa .. ambientale”, ricorrendo, tramite la normativa interna, anche alle sanzioni penali “ in quanto esse “… sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alla sanzione amministrativa o ai meccanismi risarcitori di diritto civile” (v. 3° Considerando).
E però essa si preoccupa altresì di sottolineare che le sanzioni penali sono da riservare “.. a gravi violazioni del diritto comunitario in materia di tutela ambientale (v. 10° Considerando) “per condotte illecite poste in essere intenzionalmente o quantomeno per grave negligenza” (art. 3, par. 1), come nel caso di “scarico…illecito di un quantitativo di sostanze .. nelle acque che provocano o possono provocare il decesso o lesioni gravi delle persone o danni rilevanti alla … qualità delle acque…” (stesso art. 3, sub lett. a) .28
II) Le stesse due pronunce29, riportando le tabelle 3 e 4 dell’Allegato 5, nell’area dell’illecito penale, non riescono poi a spiegare come l’interpretazione data - di penalizzazione della condotta di superamento dei limiti di emissione di dette tabelle, anche in assenza di sostanze pericolose…- sia compatibile con il dettato dell’art. 54, il quale, per effetto di tale interpretazione, risulta sostanzialmente abrogato….(v. oltre)30 nel momento in cui prevede, in linea generale, la sanzione amministrativa per “ il superamento dei valori limite di emissione” (cos’, oggi, l’art. 133 T.U.).
Né esse chiariscono come si legga la clausola di riserva dell’art. 54 (oggi 133): “Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, .. supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5…”. Atteso che - secondo la lettura più rigorosa, proposta per gli scarichi industriali e per le acque reflue urbane che convogliano reflui industriali - il superamento dei valori limite delle tabelle 3 e 4 costituirebbe sempre e comunque reato e, dunque, detta clausola di riserva (benché conservata dalla novella 2000…) non avrebbe alcuno spazio e senso (considerando che, quanto agli scarichi domestici e urbani, che non convogliano reflui industriali, il superamento di detti limiti non costituisce mai reato)31.
III) L’appello, spesso ripetuto, ad una sopravvenuta volontà punitiva e rigoristica del legislatore (tanto del 2000 che del 2006) non trova alcuna giustificazione o appiglio testuale né nei lavori… preparatori dei due decreti legislativi né nelle leggi di delega, tanto da essere censurata da un attento autore32, noto per la sua severità nella applicazione e lettura della norma penale ambientale.
Il quale - pur consentendo formalmente con la interpretazione “più innovativa33 che viene contrapposta ad una “interpretazione stazionaria” e prevalente (sottovalutando, in tal modo, l’aureo principio dello stare decisis e dell’utilità sociale derivante dalla continuità e coerenza di una giurisprudenza equilibrata, in particolare del giudice di legittimità, cui è affidata, per l’appunto, la preziosa e negletta funzione nomofilattica …34 ) - non può sottrarsi dal rilevare che:
“….Tuttavia non possiamo negare che nutriamo qualche perplessità” (riferita alla sentenza 1758/2003, come confermata nel 2008, n.d.s.) “ sia perché, comunque, la formulazione letterale generale delle norme relative alle sanzioni penali ed amministrative è poco chiara sia perché in realtà, se si leggono i lavori preparatori non vi era certo questo intento innovativo-restrittivo nel legislatore del 2000 e nel 2006. Tanto più che, per quanto ci risulta, ancora oggi, in armonia con l’atteggiamento prevalente della Cassazione, in tutto il paese è nettamente prevalente una applicazione delle sanzioni in senso conforme alla prima formulazione della norma” (cioè sanzioni amministrative; n.d.s.) “ ed un brusco passaggio alla tesi più rigorista e gravosa per gli imputati, in virtù di una sola (pur pregevole) sentenza sul testo unico del 2006” (ci si riferisce alla sentenza n. 37279/2008; n.d.s.) “non appare esente da censure 35
IV) la soluzione (minoritaria) proposta dalle due decisioni - nell’equiparare, nel comune regime penale, la violazione dei limiti di emissioni contenenti le 18 sostanze pericolose della tab. 5 a quella che riguarda i limiti di emissione relativi a sostanze diverse da quest’ultime, appartenenti alle tab. 3 e 4 dell’allegato 5 cit. (riferendo la tab. 5, per motivi sintattici, ai soli limiti regionali più restrittivi) - si configura altresì inaccettabile per motivi di ragionevolezza, riconducibili alle regole proprie delle scienze naturali (fisica, chimica, biologia) per le quali è del tutto pacifico, da tempo, su base sperimentale, il diverso effetto di impatto (sulle matrici naturali e sull’uomo) degli scarichi effettuati fuori tabella, a seconda che contengano o meno le sostanze pericolose menzionate.
Una cosa sono, infatti, le conseguenze di pericolo o danno di uno scarico industriale che si limiti a superare i limiti di emissione fissati, per es., per il B.O.D., il C.O.D., i fluoruri, i fosfati, i tensioattivi, ecc. (di cui a tab. 3 e 4 dell’All. 5); altra, quelle derivanti dal rilascio, fuori valore limite, per es., dell’arsenico, del cromo del mercurio, dei pesticidi, ecc, (della Tab. 5).
Sicché, voler ignorare o contraddire questa realtà fenomenica, ormai acquisita dalla scienza e dall’esperienza, in nome di una astratta e supposta volontà legislativa di penalizzazione di tutte le condotte dei commi 5 e 6 dell’art. 137 (o dell’art. 59) - senza alcun aggancio espresso di diritto positivo (che non sia un incerto e deviante dato….. sintattico36) e senza alcun riscontro nella “volontà della legge37 o del legislatore38”, ricorrendo ad una lettura che si allontana da un indirizzo consolidato della stessa Sezione e della medesima Corte, a Sezioni Unite - mi sembra un tentativo azzardato e da censurare39 (oltre che da scoraggiare), anche sul terreno della ragionevolezza scientifica…
Come poneva in luce un acuto ed equilibrato cultore della materia, in occasione del decreto legge di modifica della legge Merli (decreto n. 79/95, convertito in legge n. 172/1995), circa quindici anni fa40, con riferimento alla possibilità che le regioni potessero derogare ai limiti tabellari, allora vigenti, con esclusione ovviamente di quelli inderogabili di natura tossica, persistente e bioaccumulabile (come oggi: metalli tossici, arsenico, cadmio, cromo, ecc.):
“… Non ha alcun senso, sul piano tecnico, ambientale o sanitario, precludere alle regioni, per i parametri non tossici, ogni possibilità di modellare la disciplina degli scarichi civili e fognari, anche in senso meno restrittivo rispetto alle tabelle, in funzione delle situazioni locali e degli obiettivi di risanamento. È illuminante ricordare, a questo riguardo, quanto affermato, in un recente convegno dal professor Luciano Caglioti, docente di chimica inorganica all’Università La Sapienza di Roma, circa l’assurdità tecnica della normativa sulle acque preesistente ai decreti-legge, proprio con riferimento ai limiti richiesti inderogabilmente per parametri privi di un concreto significato ambientale o sanitario:«La situazione è paradossale come è dimostrato da questa fialetta di soluzione fisiologica che si può acquistare in farmacia. Essa contiene in cloruri, circa 9000 parti per milione. Ciò significa che un ammalato o un infortunato si inietta, per flebo, una sostanza nove volte più concentrata di quella che si può scaricare in un fiume per poi mandarla nel mare”..41.

3. 4. I precedenti giurisprudenziali contrari e l’assoluta prevalenza della tesi del doppio regime.
Ma, come si preannunciava all’inizio, la stessa Cassazione aveva (ed ha) già chiarito e risolto, ab immemorabili (anche a Sezione Unite), la dibattuta questione, sin da quando si pose il problema di come si dovesse ricostruire, in via interpretativa, la fase di passaggio fra la vecchia disciplina sulle acque del 1976 (la c.d. legge Merli) e quella successiva del d. lgs. 152/1999.
In particolare, indicando, nelle sue decisioni (assolutamente prevalenti) che andava comparata la norma vecchia e quella nuova, al fine di accertare, caso per caso, se il superamento dei valori fissati dalle tabelle A e C, della legge del 1976 fossero ancora sanzionati penalmente o venissero invece puniti solo in via amministrativa, riferendosi alle sostanze di cui alla tabella 3, ma non a quelle elencate dalla tabelle 5, dell’Allegato 5, del d. lgs 152/1999.
Secondo questo coerente e ragionevole approccio, per quanto esposto sopra, la Cassazione ha, in molteplici fattispecie concrete, dichiarato che l’avvenuto superamento dei parametri previsti per gli scarichi industriali, in relazione:
- al B.O.D., al C.O.D., ai tensioattivi (v. Cass. Pen., sez. III 22 giugno 199942; Cass. Pen., sez. III, 30 ottobre 2000/21 settembre 200043; Cass. Pen., sez. III, 1° dicembre 200044;
- per i fluoruri (v. Cass. Pen., sez. III, n. 300/200045);
- per i solfati (Cass. Pen sex. III 1° dicembre 1999/ 13 ottobre 1999, imp. Toglietti46);
- per i materiali sedimentabili (v. Cass. Pen. sez. III, 22 dicembre 1999/19 ottobre 1999, n. 1440147;
si configuravano come semplice illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 54 comma 1, poiché tali sostanze non erano ricomprese nella tabella 5 dell’Allegato 5 (come non sono elencate nella tabella 5 dell’’’Allegato 5, del T.U. ambientale del 2006).
Ancora la Suprema Corte, con pregevole sentenza del 12 dicembre 2000/21 settembre 2000), Dallo48 ha, in proposito, argomentato che non era condivisibile la tesi secondo la quale:
«…sarebbe sufficiente superare i parametri stabiliti dalla tabella 3 dell’Allegato 5, per qualsiasi sostanza, per configurarsi l’illecito penale previsto dall’art. 59 comma quinto» perché «.. una simile interpretazione, oltre ad essere apodittica, urta contro l’espresso dettato normativo nel quale si fa riferimento al superamento dei valori limite fissati nella tabella 3 dell’Allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 giacché non si comprenderebbe il successivo richiamo ai limiti “più restrittivi” fissati dalle Regioni o dalle province autonome, se il legislatore non avesse presenti le sostanze della tabella 5 corrispondenti ai parametri di natura tossica, persistente o bioaccumulabile, e non avrebbe significato la clausola di riserva contenuta nella precedente disposizione di cui all’art. 54 primo comma, D.Lgs. cit. relativa all’illecito amministrativo del superamento dei valori limite».
Il descritto orientamento si è consolidato nel tempo, arricchendo l’apparato motivazionale sulla soluzione condivisa in questo parere, riaffermando che, per la sussistenza del reato di cui all’art. 59 comma 5, è necessario il superamento dei valori limite fissati nella tabella 3, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 e non dei soli parametri stabiliti dalla tabella 3 dell’Allegato 5.
In tal senso, si veda Cass. Pen. sez. III, 17 marzo 2003 (ud. 4 febbraio 2003), n. 12361; nonché Cass. Pen., sez. 3., sentenza 28 febbraio 2003, secondo cui:
- «In tema di tutela delle acque dall’inquinamento lo scarico extratabellare da insediamento produttivo in fognatura, già costituente reato, ex art. 21 comma 3, legge n. 319/1976, conserva rilevanza penale, ex art. 59, comma 5, D.Lgs n. 152/1999, solo se trattasi di sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 ovvero di quelle di cui alla tabella 3/A di cui al citato allegato; negli altri casi, il superamento dei limiti di concentrazione costituisce illecito amministrativo ex art. 54, D.Lgs. n. 152/1999 e deve escludersi l’applicabilità della normativa transitoria di cui agli artt. 59, comma 2, e 62, comma 13, D.Lgs. n.152/1999, atteso che le nuove disposizioni non possono regolare che situazioni ricadenti nell’alveo temporale successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/199».
- Parimenti, con decisione assunta nella pubblica udienza del 28 aprile 2004, depositata, dep. il 9 giugno 2004, n. 25752, ric. Anselmi, la Sez. III penale ha affermato il principio di diritto così massimato : "In tema di acque reflue industriali, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 59, comma quinto, occorre la ricorrenza simultanea di due condizioni: l'una che siano superati i valori limite fissati nella Tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella Tabella 4, dell'Allegato 5 e l'altra, che si tratti di
una delle sostanze individuate nella Tabella 5 dello stesso allegato", riprendendo quanto già affermato da Sez. III, 18/03/04,n. 19522, dep. 27/04/04, Troiso.
Le stesse Sezioni Unite, 31 gennaio 2002 - 19 dicembre 2001, imp. Turina, n. 379849, già in precedenza, avevano ratificato, ancora una volta, l’indirizzo assolutamente prevalente secondo cui lo scarico di acque reflue industriali superiore ai limiti di legge, qualora relativo a sostanze inquinanti non ricomprese nella tabella 5 dell’allegato 5, cui fa rinvio l’art. 59, comma 5, non integra più la condotta penalmente illecita, di cui all’art. 21, della legge 10 maggio 1976, n. 319, con la quale la attuale disciplina non si pone in termini di continuità.
Ebbene tutto questo consolidato patrimonio di certezze dovrebbe essere cancellato, dopo dieci anni, per una variante sintattica affatto equivoca, comparsa nel 2000 (e riprodotta nell’art. 137, comma 5, cit.), cui la giurisprudenza non ha attribuito alcun peso per le tante e sostanziali ragioni, appena rassegnate.


4. La lettura rigorista si espone a seri rilievi di incostituzionalità.
La lettura delle previsioni di cui all’art. 59, comma 5 e 6 (oggi dell’art. 137, stessi commi) della decisione Bonassi, del 2003 – di recente richiamata, in modo acritico, dalla sentenza Serafini del 2008, con riferimento al sopraggiunto T.U. ambientale (v. sopra par. 3)50 - oltre a fondarsi:
1) su un fragile inciso sintattico, che può essere diversamente e più correttamente ricostruito (v. retro par. 3.2.); 2) e a trascurare, del tutto, senza una rilettura dedicata, i contributi, ragionati e consolidati, di una prevalente giurisprudenza contraria, anche delle Sezioni Unite (messe, in tal modo, in non cale..51);
non tiene in alcun conto, ai fini sanzionatori, dei diversi effetti di impatto sulle matrici ambientali, delle distinte sostanze immesse negli scarichi fuori tabella (a seconda che contengano o meno sostanze pericolose), ponendo, per ciò solo, delicati problemi di costituzionalità della norma - in tal modo interpretata - per i seguenti significativi profili:
a) nel momento in cui la presenza qualificante di dette sostanze pericolose viene correlata esclusivamente ai limiti più restrittivi della regione – sulla base del rilievo sintattico desunto dalla collocazione della nota frase subordinata (“in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5”, riferita unicamente a questi ultimi) - le due sentenze, in commento, ne inferiscono, come sottolineato, che la pena dell’arresto e dell’ammenda52, riferendosi alle tre fattispecie descritte53, andrà necessariamente a colpire la violazione di tutti i limiti tabellari posti alle acque reflue industriali, ai sensi delle tabb. 3 e 4 (acque superficiali, fognatura e suolo), senza alcuna distinzione tra sostanze pericolose e non pericolose contenute negli scarichi irregolari .
Questa conclusione conduce, logicamente (oltre che di fatto), ad una identità indifferenziata del trattamento penale per i reflui industriali, in tutti e tre i casi riportati - di superamento dei valori limite fissati dalla legge o dalle regioni, sia che detti scarichi contengano le sostanze pericolose della tab. 5 dell’allegato 5 sia, nell’ipotesi inversa, che non le contengano.


4.1. Trattamento uguale per situazioni differenziate.
Orbene sembra corretto obiettare che - una volta appurato, come non contestabile, che il legislatore italiano, sin dalle prime modifiche della legge 319/1976, ha voluto mantenere distinta la disciplina dei parametri da rispettare, con riferimento ai limiti di emissione (o di accettabilità) degli scarichi, in funzione della loro pericolosità, ai fini della tutela dei corpi ricettori e/o della salute pubblica - tanto da contrapporre le sostanze (già) tossiche, persistenti e bioaccumulabili (oggi: sostanze pericolose, in numero di 18) dalle altre sostanze pur sempre “tabellate” – qualsiasi interpretazione che, allontanandosi da questi principi immanenti nella ormai risalente legislazione italiana, imponesse un trattamento sanzionatorio comune a condotte (e fenomeni naturali) del tutto diversi54, risulterebbe affetta da incostituzionalità, ai sensi dell’art. 3, della Carta costituzionale.
Esemplificando, secondo l’orientamento interpretativo criticato, dovrebbe essere punito, con la stessa sanzione penale, sia colui che immetta: a) scarichi di acque reflue industriali - in acque superficiali, in fognatura o in suolo - in violazione dei limiti di emissione delle tabb. 3 o 4, contenenti , per es., arsenico, cadmio, nichel, cromo ecc. (sostanze pericolose richiamate nella tab. 5 cit.) sia chi, superando i limiti posti dalle stesse tabelle, 2) non rilasci alcuna delle sostanze pericolose richiamate, nei medesimi ricettori, contro la volontà espressa del legislatore che, proprio per tale assenza, ha previsto una sanzione amministrativa ex art. 54 cit. (e, più di recente, ex art. 133 cit., con la riserva che “che il fatto costituisca reato”).
In punto di diritto è appena il caso di ricordare che “… il principio di eguaglianza esige e si risolve, nell’eguale trattamento di fattispecie uguali o analoghe e, nel diverso trattamento, delle diverse, secondo una definizione largamente accolta da tutte le Corti dei vari Paesi”55.
Si è già osservato56 che il valore sostanziale, sul piano tecnico-scientifico oltre che giuridico, della differenziazione dei paramenti tabellari (o meglio: delle sostanze contenute negli scarichi e previste dalle tabelle) costituisce la ratio legis che sottende alla distinta reazione sanzionatoria rispetto alla condotta inadempiente (di superamento dei limiti) modulata in funzione del bene giuridico tutelato (le matrici ambientali, la salute pubblica, il puntuale rispetto della potestà provvedimentale o prescrittiva della P. A., ecc. ).
A fronte della inoppugnabile compresenza di due categorie di sostanze che possono attingere le matrici ambientali (pericolose e non pericolose; un tempo: “tossiche persistenti, bioaccumulabili o meno) - che ispira e permea la normativa (anche tecnica) sulla gestione delle acque come dei rifiuti (prima e dopo il recente T.U. del 2006) - non può essere accolta “una lettura” la quale postuli una identità o analogia sostanziale di due situazioni oggettivamente differenziate, sul piano fenomenico, prima ancora che logico-giuridico (cioè di scarico con sostanze pericolose o non pericolose), e che, per ciò stesso, esigono trattamenti distinti.57
Costituisce, infatti, “.. jus receptum che l’art. 3 Cost., postula l’omogeneità delle situazioni giuridiche messe a confronto e pertanto non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee; in tal caso, invero, una disciplina differenziata non può essere ritenuta arbitraria in quanto giustificata dalla diversità suddetta58.
“Nel valutare l’analogia o la differenza” delle due situazioni descritte, “…. risulta decisiva, appunto, la ratio legis“ che, nel nostro ordinamento giuridico, fin dalle riforme degli anni ’90 (con la legge n. 172/1995 di riforma della legge Merli), si è orientata nel senso di articolare il regime sanzionatorio, secondo un sistema binario che affiancava, alla sanzione penale quella amministrativa, per ipotesi di illeciti meno gravi (per es., con riferimento agli scarichi civili o fognari, ecc. ovvero in relazione ai parametri considerati “tossici, persistenti, bioaccumulabile e non… )59.
b) fornire una lettura di dubbia costituzionalità risulta contrario, ovviamente, ad una direttiva di fondo del nostro ordinamento giuridico che sottende ad ogni attività ermeneutica, soprattutto quella dell’organo giurisdizionale. Ma tentare una interpretazione, come quella proposta dalla due sentenze (che comporta il rovesciamento dell’assetto penale di due leggi-quadro… ) - sulla scorta di un dato testuale, diversamente collocato nella sintassi del comma 5, dell’art. 59 (oggi dell’art. 137), all’interno di un decreto60 che pacificamente appare connotato da gravi e diffuse imprecisioni lessicali, scarso coordinamento fra disposizioni, vere e proprie sviste legislative61 – mi sembra un azzardo vero e proprio, che avrebbe dovuto essere evitato dai menzionati Collegi giudicanti.
E, d’altronde, proprio chi62 si infervorava per la lettura “innovativa” delle due sentenze (Bonassi e Bonfiglio), di contro a quelle “stazionarie” (che, peraltro “… costituiscono l’atteggiamento prevalente della Cassazione”), non può esimersi dal rilevare, con qualche incoerenza con la opzione avvertita personalmente come più sintonica al suo modo di vedere, che: “….Insomma, quello che vorremmo mettere preliminarmente in rilievo, è che comunque, a prescindere dalla interpretazione che si voglia accogliere, il contesto normativo di riferimento non è affatto chiaro e contiene sicuramente alcuni errori ed imprecisioni che certamente non contribuiscono a pervenire ad una soddisfacente soluzione della delicata questione”.


4.2. Abrogazione, per via interpretativa, dell’art. 133, T.U. ambientale.
Per meglio intendere gli ulteriori vizi di costituzionalità che si intende denunciare, occorre richiamare, in poche battute – come indicato in premessa - ai rapporti fra Stato e Regioni, nel sistema di disciplina degli scarichi, sull’ovvio presupposto sistematico che, al primo, è riservata, per Costituzione, la disciplina delle sanzioni penali e, alle seconde, sempre in base alla previsione di legge, ex art. 1, legge n. 689/1981, quella delle sanzioni amministrative.
1) Gli scarichi, in forza dell’art. 28, comma 1 (oggi: art. 101) devono rispettare gli obiettivi di qualità dei corpi idrici e, al contempo, “i valori limite di emissione previsti dall’allegato 5”;
2) alle Regioni la legge attribuisce la potestà di “definire valori limite di emissione diversi da quelli di cui all’allegato 5, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili” (comma 2), con la precisazione che le stesse:
3) non possono “stabilire valori limite meno restrittivi” per le sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato 5” (v. oggi, l’art. 101, comma 2 e 133, primo comma, il quale ultimo prevede sanzioni amministrative per la violazione dei valori limite di emissioni “.. fissati dalle tabelle di cui all’allegato 5 .. oppure i diversi valori limite fissati dalle Regioni, a norma dell’art. 101, comma 2…”);
4) i limiti posti dalle tabelle dell’allegato 5 debbono essere rispettati, nei termini e alle condizioni di applicabilità delle stesse, solo se e fin tanto che le Regioni non abbiano stabilito diversamente (v. sopra).
5) l’allegato 5 è articolato in quattro paragrafi63, che non riguardano però gli scarichi in pubblica fognatura considerati nell’ambito della tabella 3, cui rinvia l’art. 33, comma 164 (oggi l’art. art. 107, comma 1), il quale ribadisce l’inderogabilità dei valori limite di emissione per le sostanze della tab. 5 cit. per le quali il gestore di rete, come le Regioni, non possono adottare limiti meno restrittivi, ex art. 28, comma 2 cit.65
*** Da tale impianto normativo, posto dalla legge statale, si inferisce che - alle Regioni o Province autonome - il legislatore attribuisce il potere di derogare, in forma (diversa) - più restrittiva o meno restrittiva - i limiti di emissione delle Tabelle 3 e 4 dell’allegato 5, e di sottoporre a sanzione amministrativa la loro inosservanza, salvo le limitazioni appena sopra individuate.
Ebbene, quando la sentenza Bonassi afferma che, in base alla ricostruzione data, “.. le sanzioni penali, per il superamento dei valori posti dallo Stato nelle tabelle 3 e 4 “, sarebbero “autonomamente” introdotte da quest’ultimo, ai sensi dell’art. 59, comma 5 (oggi 137, comma 5) - in quanto alle Regioni, con riferimento alle “sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5“, verrebbe riservato solo “un ruolo aggiuntivo e non sostitutivo, senza alcuna interferenza con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dallo Stato… ”, tanto che, “… quando questo superamento avviene…., si applica la sanzione penale abbia provveduto o meno la Regione a fissare limiti più restrittivi per alcune sostanze66 - non sembra avvedersi che:
- la sua esegesi ha per effetto di abrogare l’art. 54 (oggi: 133) il quale stabilisce che il superamento dei limiti di emissioni “diversi” (più restrittivi e/o meno restrittivi), stabiliti dalle Regioni, è punito, in linea di principio, con sanzioni amministrative, ex art. 54 e, oggi, 13367;
- se “le autonome sanzioni penali, per il superamento dei valori posti dalla Stato”, riguardano i valori delle tabb. 3 e 4, sia la condotta di superamento che i limiti tabellari assurgono ad elementi costitutivi della fattispecie penale, e, come tali, sono “intangibili(cioè non modificabili dal legislatore regionale né in senso più restrittivo né in quello meno restrittivo” , ex art. 28, comma 2, ed oggi ai sensi dell’art. 101, comma 2, ove si parla, come ricordato, di “limiti diversi”) stante la riserva assoluta di legge in materia penale, ex art. 25, comma 2 Cost. (v. oltre). D’altronde tale lettura sembra rafforzata e anticipata dalle stessa sentenza Bonassi quando l’estensore mostra di voler rimarcare “… il ruolo aggiuntivo e non sostitutivo delle Regioni… senza alcun interferenza con le autonome sanzioni penali.. poste dallo Stato” (riservando il ruolo aggiuntivo delle Regioni alle sostanze pericolose della tab. 5);
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- se le considerazioni che precedono risultano corrette, allora si deve aggiungere, come corollario, che le pronunce cit. comportano, come esito ulteriore, la soppressione di quella “autonomia” (recte: potestà legislativa regionale) di fissare limiti di emissione diversi, riconosciuta loro dal legislatore nazionale, ai sensi dell’ art. 28 comma 2 (ed oggi, dall’art. 101, comma 2), con riferimento a limiti delle tabelle 3 e 4, che verrebbero, in tal modo, “congelati e riservati” allo Stato e senza “alcuna interferenza” delle Regioni, salvo il ruolo “aggiuntivo” delle medesime, per “i limiti più restrittivi” afferenti le sostanze pericolose della tab. 5 (v. l’ultima parte del comma 5, dell’art. 59 e oggi, dell’art. 137, comma 5).68
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- In definitiva, le sentenze esaminate si pongono, altresì, in controtendenza ad una direttiva di fondo dell’ordinamento costituzionale italiano che, come è noto, mira ad esaltare le autonomie, in tutte le loro espressioni, ex art. 117 Cost., novellato, compresa quella relativa alla disciplina regionale degli scarichi delle acque reflue, secondo limiti “diversi”, modulati sulla specifica realtà territoriale, da garantire con sanzioni amministrative69.


4.3. Confutazione di altre possibili ricostruzioni della sentenza Serafini del 2008.
Per evitare il radicale mutamento di scenario, appena tracciato, si è affacciato, da parte di un noto autore70, la seguente soluzione, anche se in forma perplessa:
“… E, quindi, alla Regioni si attribuisce il potere non solo di modificare i limiti base ma anche di far degradare, in caso di loro superamento, la sanzione penale in sanzione amministrativa. Il che, nel giurista, desta rilevanti perplessità, anche tenuto conto che la “gestione” della sanzione penale è competenza solo dello Stato”. Si potrebbe, tuttavia, controbattere che, a ben riflettere, trattasi di “anomalia” relativa. Perchè, anzi, si può pensare che il legislatore, rispettoso dell’<<autonomia regionale>> (come recita l’art. 101, comma 2), abbia voluto separare nettamente, a livello istituzionale, gli obblighi imposti dallo Stato da quelli imposti dalle Regioni. Lo Stato impone limiti generali e, come è suo potere, li sanziona penalmente. Ma se la legge consente espressamente che le Regioni possano modificare i limiti statali, allora appare consequenziale che la sanzione penale ceda il passo a quella tipica della inosservanza di prescrizioni di Regioni ed enti locali, e cioè alla sanzione amministrativa”.71
L’ardita ricostruzione del sistema complessivo, sopra descritto - che vede le Regioni depenalizzare, di volta in volta, le sanzioni penali poste dallo Stato, in via generale e a garanzia dell’osservanza delle tabelle 3 e 4, le quali “cedono il passo” a quelle amministrative – non appare accettabile72.
E’ ben vero che “il legislatore è rispettoso dell’autonomia regionale”, ma l’art. 101, comma 1 (ex art. 28, comma 2), con piena coerenza costituzionale, nel momento in cui attribuisce all’ente regionale il potere di fissare “limiti diversida quelli statali, ne punisce l’inosservanza “con sanzione amministrativa” (ex art. 133, già art. 54), senza esplicitare, in alcun passaggio del decreto (o nella legge di delega, o nei lavori preparatori), ove fosse mai possibile, che le tabelle 3 e 4 sarebbero garantite da sanzione penale salvo interventi modificativi della legge regionale (che avrebbero l’effetto proprio della depenalizzazione dei reati, come “prospettati” dalla due decisioni…).
C‘è piuttosto da chiedersi: ma la sentenza Bonassi non aveva rimarcato testualmente “.. il ruolo aggiuntivo delle Regioni… senza alcuna interferenza con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dalla Stato nelle tabelle 3 e 4”?


4.4. Motivi ostativi di rilevanza costituzionale.
Di più: il prospettato potere regionale - di far transitare la sanzione penale in illecito amministrativo, tramite i limiti di emissione “diversi” - a quali conseguenze “pratiche” porterebbe, con riferimento alla posizione dei soggetti destinatari della necessariamente articolata disciplina locale ?
E’ agevole ipotizzare che, nei venti territori regionali, le tabelle 3 e 4 dell’allegato 5 subirebbero delle modificazioni assai variegate…. con la conseguenza che, nelle regioni con limiti di emissioni “diversi” (e diversificati…), i cittadini inosservanti verrebbero puniti con la sanzione amministrativa; mentre, in quelle in cui i limiti tabellari restassero immutati (ex lege statale), la stessa condotta, di superamento dei valori tabellari, si configurerebbe come reato.
Peggio: verrebbe sanzionato, come illecito amministrativo, un superamento di un limite di emissione regionale più restrittivo di quello statale la cui violazione, per le stesse sostanze, in distinte regioni (che non hanno modificato le tabelle), sarebbe assoggettata a sanzione penale (benché i limiti siano meno restrittivi di quelli modificati).
In definitiva, l’ipotesi di lettura suggerita sembra portare, ove accolta, ad una applicazione della legge che si porrebbe in rotta di collisione con l’art. 3 della Costituzione, nel momento in cui genera una realtà normativa differenziata, a pelle di leopardo, nel medesimo territorio nazionale, in cui le tabelle 3 e 4, modificate o non modificate dalle singole Regioni, trasformerebbero lo stesso comportamento, a seconda dei casi, in illecito amministrativo o penale.73
Comunque l’obiezione, a mio avviso dirimente, cui si espone la dottrina, in esame, attiene alla potestà che essa riconosce alle regioni - partendo dalle due sentenze della Cassazione cit. - di trasformare, a loro discrezione, degli illeciti penali in illeciti amministrativi, in forza dell’invocato art. 133, del T.U. (già art. 54) a fronte della (e contro la) riserva assoluta di legge, di cui all’art. 25, comma 2, Cost.
Non è il caso, in questa sede, di richiamare il significato proprio del principio di “stretta legalità”, secondo cui la competenza in materia penale spetta soltanto allo Stato, con la sottolineatura che il termine legge, che compare nella norma costituzionale, da ultimo cit., viene letta, nella giurisprudenza costituzionale e nella dottrina prevalente, come legge “statale (e non regionale), anche nel nuovo assetto costituzione (v. art. 117, comma 1) in cui si ribadisce espressamente che:
“Lo Stato ha la legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa” (ex lett. l), comma 2, art. 117, riformato dalla legge costituzionale n. 3/2001).74
Né vale la pena far cenno alle ragioni sostanziali per cui la costante giurisprudenza della Consulta ha ritenuto di escludere il legislatore regionale dall’area penale in base, di volta in volta o contestualmente, all’art. 120, comma 1, Cost. novellato (ostacoli alla libera circolazione delle persone e delle cose); ovvero, più convincentemente, all’art. 3, Cost. (violazione de principio di eguaglianza fra i cittadini che verrebbero discriminati da norme adottate da enti territoriali non sovrani e in modo parcellizzato, in assenza di un assetto federale dello Stato); o, infine, in forza dell’art. 5, Cost., secondo cui la Repubblica italiana “.. è pur sempre, ed almeno per ora, uno stato unitario e non può quindi tollerare la compresenza di una pluralità di enti legittimati a prescrivere autonomamente norme di rilevanza penale”75 (ovvero, come nel caso, a depenalizzare, ad libitum, norme penali statali).
Qui basta ribadire che la preclusione che l’ordinamento giuridico pone alle regioni, nell’ambito penale, ha una portata generalissima, secondo la giurisprudenza costituzionale, concernendo non solo le nuove incriminazioni ma anche l’abrogazione di precedenti incriminazioni, la deroga, più o meno estesa, alla loro applicazione, le cause di esclusione o estinzione dei reati o della responsabilità penale, i presupposti di punibilità previsti dalla legge penale, ecc.76
In definitiva, la ricostruzione delle due decisioni, come prospettata dal noto autore, non può essere condivisa per i motivi di costituzionalità rassegnati. Senza dire che è assai dubbio che i rispettivi Collegi giudicanti abbiano pensato e voluto tale nuovo “… rapporto Stato-Regioni e sanzione penale- sanzione amministrativa…” soprattutto in relazione al passaggio della sentenza Bonassi, in cui si rileva, con nettezza, il “ruolo aggiuntivo e non sostitutivo delle Regioni”, quanto alla tabella 5, “senza alcuna interferenza” (delle Regioni) “con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dallo Stato” (nelle tab. 3 e 4).
Quale maggiore “interferenza” di quella rappresentata dalla sostituzione dei valori tabellari statali con quelli “diversi” delle Regioni?77

5. Conclusioni e proposte.
In coerenza con le considerazioni che precedono, sono in grado di poter formulare i seguenti punti fermi:
1) la disciplina degli scarichi delle acque reflue industriali, in acque superficiali, fognatura e suolo, prevede il rispetto dei valori limite di emissione delle tabelle 3, 3/A e 4, dell’allegato 5 della Parte Terza del decreto 152/2006 e s.m.i.;
2) l’eventuale inosservanza di tali limiti tabellari o di quelli diversi posti dalle regioni, con le limitazioni poste dall’art. 101, comma 2, sono puniti, in linea generale, come illecito amministrativo dal T.U. cit., secondo quanto previsto dall’art. 133, salvo che il fatto costituisca reato, in relazione alle ipotesi tassative elencate nel successivo art. 137;
3) con riferimento ai commi 5 e 6, di tale ultimo disposto, non può essere accolto l’orientamento giurisprudenziale, assolutamente minoritario, rappresentato dalle due sentenze esaminate (n. 37279/2008 e 1758/2003), secondo cui costituirebbe reato l’inosservanza dei valori limite delle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5, anche in assenza delle sostanze pericolose di cui alla tabella 5, dell’allegato 5, fondato sul presupposto interpretativo – del tutto forzato - della esclusiva riferibilità della frase pertinente “le sostanze pericolose” ai “limiti più restrittivi fissati dalle regioni…”, in base alla sola ricollocazione di tale espressione dopo il richiamo dei limiti regionali;
4) la lettura, più rigorista, merita di essere disattesa in conformità ad una interpretazione, più corretta, del comma 5, anche sul piano sintattico (v. retro par. 3.2.) oltre che nel rispetto della ratio legis; dei principi di proporzionalità ed adeguatezza della pena alla lesività della condotta; dei criteri di ragionevolezza scientifica, ecc. (v. par. 3.3.). Ma, soprattutto, perché, in tal senso, si è pronunciata la giurisprudenza della Cassazione penale, anche a sezioni unite, con argomentazioni convincenti e nel rispetto del sistema sanzionatorio “binario”, voluto da legislatore degli anni ‘99 e del 2006, come sottolineato dalla dottrina più diffusa ed attenta (v. par. 3.4.);
5) le due sentenze criticate si espongono, ove accolte, a seri dubbi di costituzionalità, imponendo un trattamento penale uguale a situazioni oggettivamente differenziate (scarichi con o senza sostanze pericolose), finendo con l’abrogare, indirettamente, l’art. 133 (v. parr. 4 / 4.4.).


Proposte - Non v’è dubbio, peraltro, che la sentenza n. 4806/2003 (Bonassi), grazie alla sua diffusa (anche se non condivisibile) motivazione, potrebbe suscitare l’adesione, ben oltre la pronuncia n. 37279/2008 (Serafini), di altri collegi penali, della stessa Corte, generando un contrasto fra sezioni che aggiungerebbe incertezza ad incertezza, con forte disorientamento delle pubbliche amministrazioni deputate alla vigilanza e controllo78, e soprattutto, grave pregiudizio delle imprese i cui reflui sono convogliati in pubblica fognatura, acque superficiali e suolo, con modalità assai articolate79, nel rispetto dei valori tabellari ricordati.
Per tale vasto settore del mondo imprenditoriale e dei gestori del servizio idrico integrato non può essere indifferente sapere, se possibile, con sicurezza ed in anticipo…., se l’eventuale superamento dei valori-limite posti dalla legge (tabelle 3 e 4) o di quelli “diversi” adottate dalle Regioni, verrà punto con sanzione penale o amministrativa, a seconda del luogo… e dell’organo giudicante!.
Sarebbe lecito obiettare che la situazione non riveste i caratteri dell’urgenza o della drammaticità in quanto, come ripetuto, l’orientamento relativo alla criminalizzazione delle ipotesi di superamento dei valori limite delle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5 (alla parte terza del decreto 152/2006) si presenta largamente minoritario e non gode i favori della prevalente dottrina.
Ma l’obiezione potrebbe risultare consolatoria – ma non tranquillante - sia perché l’evoluzione giurisprudenziale è suscettibile di modificare indirizzo, “suggestionata” dalla recente sentenza Serafini del 2008, sia in quanto l’attuale stato di incertezza rischierebbe, lasciato a se stesso, di radicalizzarsi.
***Occorre dunque ricercare, precauzionalmente e prudentemente, delle soluzioni più sicure che recuperino, nell’immediato, la chiarezza della disciplina e l’uniformità della sua applicazione.
A tal fine si aprono tre possibili scenari.
Per il primo, parrebbe utile sollecitare, più che auspicare passivamente, l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che, analizzando le motivazione contrapposte dei due indirizzi interpretativi, li riconducano ad unità, ripristinando “… l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale…”.80
Peraltro, tale soluzione si presenta indeterminata, nei tempi, e incerta nei risultati, non potendosi prevedere, in anticipo, il clima culturale e istituzionale in cui si formerebbe il convincimento degli appartenenti a detto Collegio, tenendo conto, in specie, delle attuale tendenza di un parte della magistratura (non solo inquirente), di valorizzare al massimo gli strumenti penalistici per una (ritenuta) più avanzata tutela delle matrici ambientali, pur consapevole che tali strumenti - se possono avere effetti dissuasivi - non assicurano alcun obiettivo ripristinatorio né accelerano, per la inadeguatezza e casualità dello strumento, una più sicura e condivisa cultura ambientale.
Per il secondo, il Dicastero dell’ambiente, esercitando le sue funzioni di indirizzo e coordinamento, necessarie alla corretta attuazione della parte terza del T.U., ai sensi dell’art. 75 T.U. cit., potrebbe determinarsi ad adottare una “circolare interpretativa” o altro atto tipico o atipico, volto allo stesso fine, in cui fornire l’interpretazione corretta delle disposizioni richiamate81, con il risultato di favorire un’applicazione uniforme delle norme evocate - confortato, in tale iniziativa, dalla giurisprudenza, anche delle Sezioni Unite e della dottrina prevalente - garantendo, in tal modo, agli Uffici sottordinati e agli enti regionali (e delle province autonome) nonché agli enti locali territoriali (e relative strutture operative) criteri univoci di interpretazione.
Non possono sottovalutarsi i vantaggi che un tale strumento, se tempestivamente adottato, può arrecare non solo alla pubblica amministrazione, centrale e locale, ma anche agli operatori privati, rispettivamente in termini di chiarezza applicativa e di sicurezza e buona fede dell’operatore (una volta che si conformi alle direttive del Dicastero competente in materia). Ma, al contempo, non di deve sottacere che la circolare, per sua natura (di direttiva, a carattere interno, non a contenuto normativo), potrebbe non trovare un sicuro e diffuso assenso, soprattutto con riferimento ad altri ordinamenti o ordini esterni alla P.A. (si pensi agli organi di polizia giudiziaria come, ovviamente, alla magistratura inquirente e giudicante), con conseguente depotenziamento degli effetti sperati.
Per il terzo scenario, va seriamente valutata la possibilità - oltre che la sicura opportunità - di risolvere il nodo gordiano di una interpretazione difficoltosa e contrastata delle norme evocate - dovuta alla loro cattiva formulazione e, come rilevato, ad un contrasto non sanato e persistente degli indirizzi giurisprudenziali - con l’unico strumento disponibile, fornito dal sistema costituzionale, che è quello della interpretazione autentica della norma, da parte del legislatore ovvero di una sua riformulazione.
Questa soluzione, che potrà essere, per volontà e iniziativa Dicastero, anche estremamente rapida in base alle modalità prescelte – comporta l’introduzione di una nuova disposizione che indicherà, in modo univoco e vincolante per tutti (cittadini, P.A. e magistratura), come deve essere intesa, secondo la formulazione che si adotterà, la disposizione “controversa” esaminata (nella specie, l’art. 137, comma 5). Si tratta, dunque, di dare il giusto ruolo alla frase subordinata e parentetica indicata (“ in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto”) chiarendo se essa è riferibile solo “ai limiti più restrittivi adottati dalla regioni…ecc.” ovvero, come personalmente ritengo, anche, “ ai limiti fissati dalle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5”.
Unicamente con tale intervento normativo si potrà definitivamente diradare ogni incertezza interpretativa ed applicativa, rimuovendo gli ambiti di equivocità dell’attuale dettato ed assicurando ai cittadini e alla P.A. il bene della certezza giuridica di cui un Paese realmente democratico e moderno non può fare a meno. *** Detto intervento si risolverebbe nella semplice: 1) ri-collocazione82 della proposizione subordinata - avente ad oggetto le sostanze pericolose - dopo le prime due fattispecie riferite alle tabelle 3 e 4, con la soppressione 2) del verbo “superi” e con 3) la sostituzione (del tanto valorizzato) “ oppure” con “ovvero”, in questi termini:
[art. 137, comma 5 e 6]:

5. Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, ovvero [oppure superi] i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall'Autorità competente, a norma dell'articolo 107, comma 1, in relazione alle stesse sostanze indicate nella tabella 5, dell'allegato 5, sopra citato, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma”.
La formulazione è ripetitiva e assai poco elegante, oltre che non necessaria, secondo le regole della sintassi83, ma il dato testuale della norma, così riformulata, imporrebbe comunque una esegesi “blindata”. Tale da resistere ad ogni tentativo di “ribaltamento” del sistema sanzionatorio voluto dal legislatore, vecchio e nuovo.


 

* Prof. Avv. Pasquale GIAMPIETRO già Consigliere di Cassazione e Componente dell’Ufficio Studi del C.S.M. Docente universitario Fondatore di “AMBIENTE” Ipsoa (Mi)

1 Del 12.6.2008, n. 37279, est. Onorato, ric. Serafini. Su questa pronuncia, si vedano le prime note di M. Taina, Scarichi industriali oltre i limiti tabellari: sempre sanzione penale, in Ambiente & Sviluppo, n. 2/2009 pag. 129; G. Amendola, Superamento dei limiti tabellari. La prima sentenza della Cassazione dopo il testo unico ambientale, nota redatta per Industriambiente.it 2008, , dal sito di www.lexambiente.it., con ampliamenti rintracciabili nell’articolo titolato Acque. Superamento limiti tabellari 29 luglio 2008. Per la manualistica più recente, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano 2008, pag. 28 e ss.; L.. Prati e G. Galotto, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, Milano 2008; M. Chilosi (a cura di) Tutela delle acque dall’inquinamento e disciplina degli scarichi, 2008, pag. 194 (con richiami alla letteratura e giurisprudenza precedente).
2 Anche se relativo alla legislazione precedente: mi riferisco a Cass. Pen. sez. 3, 28.10. 2003, n. 4806, est. Postiglione, in proc. Bonassi e Bonfiglio, che si richiamava all’art. 59, comma 5, del d. lgs. n. 152/1999). La decisione è pubblicata in Ambiente n. 7/2004, pag. 687, con acuta e convincente nota di L. Prati, La Cassazione ribalta l’orientamento in tema di superamento dei valori tabellari, ivi, pag. 679 e ss..
3 Sui vari modelli di incriminazione, si richiamano i capitoli relativi alle trattazioni generali della normativa sanzionatoria relativa alla disciplina delle acque degli AA. cit. a nota 1. Ai quali adde, precedentemente: L Butti –M.Mazzoleni, La nuova normativa per la tutela delle acque” IPA Servizi 2000; M. Medugno – M- Gabritotti e P. Pagliara, Il nuovo regime delle acque fra ‘presente e futuro”, La Tribuna, 2002.
4 “Alla cui articolata motivazione si rinvia”, come si legge nella pronuncia del 2008. Su tale “isolamento” v. oltre, par. 3.4
5 Perché concerne limiti di emissione relativi alle sostanze pericolose elencate, in numero di 18, nella Tabella 5, dell’Allegato 5. Concorda nell’osservare che “con il d. lgs. n. 152/1999, la sanzione amministrativa diventava la regola (art. 54), mentre quella penale, l’eccezione (art. 59)”, G. Amendola, in “Superamento dei limiti cit.”; salvo ad aggiungere che il correttivo del 2000 “apportava alcune importanti modifiche alla lettera della norma penale” (v. oltre). Dello stesso avviso M. Chilosi, op. cit. pag. 156, che rileva: “ A livello di sistematica generale, è anzitutto possibile osservare come le tecniche di tutela utilizzate dal Legislatore siano rimaste sostanzialmente invariate rispetto a quelle adottate sin dalla legge Merli. In particolare, vengono affiancati i due modelli di illecito tipici della materia ambientale, ossia l’illecito amministrativo e la contravvenzione, la cui differenze, a livello di comportamento sanzionato, è puramente quantitativa” . Così anche, L. Prati e G. Galotti, op. cit. pag. 137 (Cap. 6, “Sanzioni amministrative e depenalizzazione”). Per una rassegna della giurisprudenza sul decreto 152/1999 e s. m. i. v. L. Ramacci Il codice delle acque 2002, pag. 485.
6 E appena il caso di ricordare che le 18 sostanze pericolose della Tab. 5 cit. possono anche essere derogate,in senso meno restrittivo, per gli insediamenti produttivi, in forza di quanto previsto espressamente nelle note 1 e 2 di detta tabella.
7 Le prescrizioni sugli scarichi immessi nella rete fognaria urbana, saranno fissati, a livello regolamentare, dall’Autorità d’ambito; esse si affiancano alle altre prescrizioni introdotte nelle autorizzazione, ex art. 124, comma 7.
8 In tema, si vedano le acute osservazioni di F. Giampietro, “La riforma della riforma: Il d. lgs. n. 258/2000 a tutela delle acque dall’inquinamento, in Ambiente n. 11/2000, (Editoriale) pag. 1 e ss. Consta che il 19 marzo di quest’anno, il Presidente della Regione Marche si è rivolto al Ministro dell’ambiente On. Stefania Prestigiacomo, con toni preoccupati, per sottolinearle che, a seguito della sentenza del 2008, richiamata a nota 1, “… presso i gestori del servizio idrico integrato della Regione Marche e presso le organizzazioni imprenditoriali, quali Confindustria, Confartigianato e CNA, tale interpretazione rigorosa dell’art. 137, commi 5 e 6 ha destato forte allarme .. prevedendosi sanzioni penali” (anziché illeciti amministrativi: n.d.s.) “per irregolarità negli scarichi delle acque reflue industriali ed impianti di trattamento di acque reflue urbane”. … Durante una apposita riunione ci si è chiesti se la citata sentenza….abbia interpretato correttamente la volontà del normatore; .. infatti solo che si cambi la posizione di un inciso, nel testo del comma 5, il senso cambia radicalmente … non si può quindi escludere che, nel corso della laboriosa redazione del d. lgs. n. 152, la scrittura del testo abbia tradito la reale intenzione del normatore… “. Si conclude, pertanto, sollecitando un indispensabile intervento del legislatore (sul punto v. le conclusioni assunte a par. 5).
9 Si tenga conto del dettato dell’art. 28, comma 2, che recita: “ Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’allegato 5:
a) nella tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;
b) nella tabella 2 relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;
c) nella tabella 3/A per i cicli produttivi ivi indicati;
d) nelle tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella tabella 5 del medesimo allegato (v. oggi l’art. 101, del T.U. cit.).
10 Salvo alcune varianti che secondo G. Amendola, nella nota da ultimo cit., assumerebbero importanza “… in quanto <<ovvero>> diventa <<oppure>>, ecc.; ma, a prima vista, sembra che nella sostanza non sia cambiato niente. A ben guardare, invece, la nuova norma penale (art. 137, comma 5) contiene un’aggiunta molto rilevante. Infatti, adesso, la locuzione <<ovvero>> viene sostituita con <<oppure superi>> (con la ripetizione, quindi, del verbo <<superi>>)” .
L’osservazione peraltro non convince. Da un punto di vista grammaticale e sintattico, è appena il caso di rilevare, in contrario, che la congiunzione “oppure” ha l’identico significato del termine “ovvero” (sono termini sinonimi) oltre che la stessa funzione “disgiuntiva” (cioè distinguono fattispecie indicate in successione). In tal senso, v. G. Pittàno, “Sinonimi e contrari, Zanichelli, 1987, voce “ovvero: “ ossia, ovverosia, oppure”, pag. 533. Quanto alla aggiunta, nella frase, del verbo “recuperi”, essa svolge, all’evidenza, un compito ripetitivo e rafforzativo del tutto pleonastico, nella sintassi del periodo, stante l’unicità del soggetto (“Chiunque”) e del predicato verbale, in questi termini: ” Chiunque…superi…oppure superi.”
Si ribadisce: ripetizione inutile del verbo su cui non si può ancorare l’auspicato ribaltamento del sistema sanzionatorio, tanto più quando, lo stesso Amendola, proprio con riferimento all’art. 137, comma 5, rilevandone le tante e gravi imprecisioni terminologiche e gli erronei rimandi ad altre disposizioni, è costretto ad ammettere che: “Insomma, quello che vorremmo mettere preliminarmente in rilievo, è che comunque, a prescindere dalla interpretazione che si voglia accogliere, il contesto normativo di riferimento non è affatto chiaro e contiene sicuramente alcuni errori ed imprecisioni che certamente non contribuiscono a pervenire ad una soddisfacente soluzione della delicata questione”. Sul tema della struttura del periodo con cui è stato costruito il comma 5 dell’art. 137 (già 59, comma 5), v. oltre par. 3.2. Sulla qualità della scrittura del decreto 152, con riferimento al regime transitorio, v. V. Paone, Scarichi esistenti e adeguamento al d. lgs. n. 152/1999, in Ambiente, n. 6/2000, pag. 549.
11 Con l’aggiunta finale che “La innovazione normativa è stata confermata dal recente testo unico sull’ambiente, approvato con D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, il cui art. 137, comma 5, con formulazione ancora più chiara, punisce con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila a trentamila euro “chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto”; v. retro, n. 10, per la confutazione della maggiore chiarezza del nuovo dettato.
12 Forse si fa riferimento all’aggiunta “oppure superi”, valorizzata senza ragione, come osservato retro, dalla dottrina indicata a nota 10.
13 Per la verità i soggetti sono gli stessi (espressi dal pronome personale “Chiunque”); ciò che cambia, semmai, sono “le condotte oggettive di riferimento” .
14 Tale spiegazione è richiamata in modo tralatizio, e senza alcun approfondimento, dalle uniche quattro sentenze che hanno condiviso questa lettura e cioè: Cass. Pen. 22.8.2001, n. 33761, Pirotta; Cass. Pen. sez. 3, n. 1518 del 29.10.2003; Id. sentenza del 26/03/2004 (ud. .20/02/2004), Lo Piano, la cui massima suona: ”In tema di scarichi di acque reflue industriali, successivamente alle modifiche introdotte all'art. 59 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 ad opera dell'art. 23 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 258, il reato di superamento dei limiti tabellari posti dallo Stato si configura anche in relazione alle sostanze diverse dalle 18 indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 del citato decreto n. 152 del 1999; Cass. Pen. sez. 3, n. 19254 del 20/05/2005 (ud. .13/04/2005), Granata, la quale ripete: “In tema di scarichi di acque reflue industriali, a seguito del D.lgs . 18 agosto 2000 n. 258, modificativo dell'art. 59, D.lgs . 11 maggio 1999 n. 152, sono sottoposti a sanzione penale gli scarichi che superano i limiti tabellari posti dallo Stato ed individuati nelle Tabelle 3 e 4 anche se si tratta di sostanze diverse dalle quelle indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5. Infatti nell'attuale formulazione il riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 è stato collocato dopo la previsione della possibilità, per le autorità diverse dallo Stato, di stabilire "limiti più restrittivi", la violazione dei quali - in applicazione del disposto dell'art. 54, comma primo, D.lgs . n. 152 del 1999 ed in ossequio alla riserva statale dello "ius puniendi" - è sanzionata solo in via amministrativa, salvo la sussistenza dell'ulteriore condizione che si tratti delle diciotto sostanze pericolose incluse nella citata Tabella 5”.
Tale orientamento si presenta, però, del tutto minoritario (oltre che acriticamente ripetitivo) rispetto ad un opposto e consolidato indirizzo della stessa Suprema Corte (su cui v. oltre, par. 3.4.) assai meglio motivato, sul punto.
15 Per la dottrina, si consideri, nel senso sostenuto nel testo, L. Butti e S. Grassi, Le nuove norme sull’inquinamento idrico Milano, 2001, 57 e ss.; L. Prati, Inquinamento idrico, 2001, Milano, pag. 36; P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2008, pag. 32 e ss., con nutriti richiami di giurisprudenza e dottrina. Sul piano teorico-sistematico cfr., da ultimo, F. Saitta, Le sanzioni amministrative nel Codice dell’ambiente: profili sistematici e riflessioni critiche, in Riv. Giur. dell’ambiente, n. 1/2009, pag. 41 e ss.
16 Le congiunzioni “o”, “oppure”, “ovvero” assolvono la stessa finalità disgiuntiva, cioè di distinzione delle tre condotte considerate dal comma 5°, il quale si accresce di una seconda ipotesi, del tutto nuova, sub b), di scarico in suolo. Posta dinanzi ad una determinata frase, le locuzioni “o”, “ovvero” e “oppure” svolgono il compito di indicare o aggiungere un altro caso. V., in tal senso, il vocabolario “Lo Zanichelli, 1998, ove si legge che il termine “oppure” : “ in principio di frase prospetta un’altra ipotesi” (come nelle tre fattispecie elencate sub a), “o” b) “ovvero” c), con identico soggetto e verbo.
17 Sulla funzione meramente correttiva e integrativa del d. lgs. n. 258/200, v. L. Prati, Inquinamento idrico, Milano, 2001, cit., pag. 180, ove si rileva: “ In conclusione, il comma 5, non dovrebbe essere stato radicalmente modificato dal D.Lgs. 258/2000 che, rispetto al D. Lgs. 152/1999, ha opportunamente incluso, nel regime penale, il superamento della tabella 4, nel caso residuale di scarico sul suolo, oltre al riferimento all’art. 33 comma 1. In relazione all’art. 33 comma 1, si noti che il D. Lgs. 152/1999 già prevedeva la possibilità, da parte del «gestore dell’impianto di depurazione», di prescrivere valori limiti di emissione più restrittivi, ma non prevedeva che tali limiti fossero approvati (e quindi controllati) dalla Regione”. Sul fatto che il D. Lgs 258/2000 non abbia modificato di molto il disposto dell’art. 59, coma 5, del D.Lgs. 152/1999 risulta convinto anche A. Postiglione, Un grave passo indietro nella tutela delle acque, in Ambiente & Sicurezza n. 20/2000 p. 52, che se ne duole, rispetto al vecchio regime dell’art. 21, comma 3, della legge Merli. Con riferimento al d. lgs, n. 258/2000, l’A. aggiunge che il precedente decreto 152/99 “.. è stato sostanzialmente confermato”. Di tale conclusione, peraltro, non sembra più persuaso quando, come relatore della sentenza c.d. Bonassi, del 17 dicembre 2003, n. 1758, esaminata nel testo, legge l’art. 59, comma 5 e 6, in tutt’altro modo, benché il legislatore sia intervenuto solo un anno dopo … la prima versione degli artt. 54 e 59 e non vi sia alcuna traccia, nei lavori preparatori, di tale volontà di sottoporre a regime penale le violazioni di tutti i limiti di emissione delle tabelle 3 e 4, dell’Allegato 5, da parte degli scarichi industriali (sulla inesplicabilità di tale mutamento di rotta del legislatore, dopo appena un anno, si sofferma anche L. Prati op. ult. cit., pag. 180 oltre che G. Amendola, Superamento dei limiti tabellari e scarichi industriali. La prima sentenza di cassazione dopo il testi unico ambientale, in Industriambiente.it, 2008 cit. .
18 Di identico tenore: v., retro, nota 10.
19 Ritenuto costituzionalmente legittimo dal Giudice delle leggi: v. in proposito L. Butti e S. Grassi, op. cit., pag. 182 e ss, con richiami delle sentenze della Corte costituzionale e della dottrina penalistica in argomento (con menzione, in nota, dei contributi di Dolcini, Catenacci, Picotti, Manna, ecc.).
20 Condivide tale impostazione, da ultimo, L. Prati e G. Galotto, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, Milano, 2008, pag. 144, i quali, con riferimento alla sentenza del 2003, Bonassi, obiettano che tale interpretazione più rigorista, e contraria agli approdi raggiunti sul tema dalla Cassazione (ampiamente richiamate a note nn. 12/14), “non è imposta dalla lettera della legge” .
21 Espressa dalla proposizione: “in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5”.
22 Si sarebbe potuto scrivere - : “Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali supera i valori limite fissati dalla tabella 3 o “ nel caso di scarico nel suolo, nella tabella 4, dell’allegato 5”, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, “ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni”. Ma, come rilevato, trattandosi di condizione comune (presenza delle 18 sostanze pericolose) ed al fine di evitare una ripetizione inutile, (oltre che fastidiosa, sul piano formale), il legislatore ha optato per inserire la frase subordinata (“in relazione alle sostanze…) a conclusione del complesso articolato normativo.
23 In definitiva, considerando la sequenza delle congiunzioni “o”, “ovvero”, la frase completa assume un significato univoco: “Chiunque supera (a) i valori limite fissati nella tabella 3.. o (b) nella tabella 4… ovvero (c) i limiti più restrittivi fissati dalle regioni…. , in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5, dell’allegato 5, è punito…”. Poiché la frase è costituita da tre “proposizioni coordinate” legate da “congiunzione disgiuntiva” (o oppure, ovvero) - e cioè “chiunque supera i limiti della tabella 3 o chiunque supera i limiti della tab. 4 ovvero chiunque supera limiti più restrittivi” - per ragioni di semplificazione sintattica, esse sono state espresse, con l’indicazione, una sola volta, del soggetto e del predicato verbale (“Chiunque…. supera”). Parimenti, e per le stesse ragioni di semplificazione – poiché le tre “coordinate” (con una propria autonomia grammaticale), sono legate ad una comune proposizione “subordinata” (“in relazione alle sostanze indicate….”, che le connota contestualmente, secondo tradizione, logica e ratio) - era coerente e consequenziale che il legislatore del 2000, collocasse quest’ultima (subordinata) alla fine della complessa frase in esame. Il comma 5 dell’art. 59 ha, dunque, un solo e comune soggetto (“chiunque”) - indicato una sola volta, in testa alle tre proposizioni coordinate di cui di cui è composto - e una comune proposizione subordinata, posta in coda alla stessa frase. Sulla varietà e denominazioni delle “proposizioni coordinate e subordinate”, si veda: M. Dardano e P. Trifone, La nuova grammatica della lingua italiana”, Zanichelli, 1997, pag. 385, nell’ edizione 2007, RCS, in cui sono esplicitate le regole sintattiche richiamate.
24 La riprova di quanto sostenuto può trovarsi immaginando come il comma 5, dell’art. 59, avrebbe dovuto essere scritto, secondo le due sentenze, Bonassi (2003) e Serafini (2008), per escludere la nuova impostazione rigoristica propugnata e confermare la interpretazione tradizionale. A seguire, infatti, il criterio topografico dalle stesse valorizzato, il legislatore, al fine di evitare ogni dubbio interpretativo, si sarebbe dovuto esprimere in questi termini: “Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali supera i valori limite fissati dalla tabella 3 o, nel caso di scarico nel suolo, nella tabella 4, dell’allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome o dall'autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, é punito con l'arresto fino a due anni, e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni”. Ebbene, una redazione siffatta della norma è apparsa non necessaria, sul piano sintattico (v. nota 23 che precede) e inelegante, su quello stilistico, come dimostrato dalla formulazione adottata (sufficientemente chiara, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente della S.C., anche a sezioni unite e la dottrina citata). Sulla decisione a sezione unite, Turina, si legga la densa e approfondita nota di S. Beltrame, in Ambiente, n. 6/2002, pag. 569, con richiami a tutta la giurisprudenza precedente favorevole e non.
25 Sulla diversa collocazione della proposizione sulle sostanze pericolose.
26 Secondo la dottrina e giurisprudenza sinora richiamate.
27 V., oggi, gli artt. 133 e 137 del T.U. cit.
28 Come si percepisce chiaramente, siamo ben lungi dal penalizzare, indiscriminatamente, tutte le condotte di superamento dei limiti di emissione, di qualunque entità e misura, e cioè di ogni parametro delle tabelle 3 e 4 dell’Allegato 5, anche di quelli relativi a sostanze non pericolose, prescindendo… dall’effetto lesivo o pericoloso per l’ambiente e/o dandolo per presunto…, in ogni caso, iuris et de iure, di contro agli indirizzi contrari e prevalenti dello stesso giudice di legittimità, anche a Sezioni Unite…. Sul tema, v., da ultimo, le considerazioni giustamente critiche di L. Vergine, Nuovi orizzonti di diritto penale ambientale?, in Ambiente & Sviluppo, n. 1/2009, pag. 5 e ss. ed ivi richiami esaurienti di dottrina.
29 Sentenza Bonassi, 2003 e Serafini, 2008 .
30 In questo senso L. Prati , La Cassazione ribalta l’orientamento in tema di superamento dei valori tabellari, a commento della sentenza Bonassi, in Ambiente, n. 7/2004, pag. 680.
31 In tal senso, L. Prati, in Ambiente, n. 7/2004, pag. 680, cit. che rileva: “ Seguendo, infatti, l’interpretazione più rigorosa per gli scarichi industriali e per le acque reflue che convogliano reflui industriali il superamento delle tabelle 3 e 4 costituirebbe sempre reato e quindi la clausola di riserva… non avrebbe più alcun significato.. posto che per gli scarichi domestici ed urbani, non convoglianti reflui industriali, il superamento non è mai reato”
32 G. Amendola, nella nota “Superamento dei limiti tabellari…ecc.” cit. pag. 5.
33 Come se le innovazioni normative dovessero necessariamente passare o addirittura coincidere con una criminalizzazione più estesa e spinta delle condotte descritte, riportate dal legislatore del 1999 e del 20006 nell’area dell’illecito amministrativo, rispettivamente, ex art. 54 e 133 cit. Sembra, invece, che le novità delle leggi di delega citt. sono da ricerca altrove, come per es.: nell’aver assicurato una tutela anche quantitativa della risorsa-acqua; nel puntare sulla prevenzione e riduzione dell’inquinamento idrico; nel prevedere meccanismi incentivanti per il raggiungimento degli obiettivi voluti; nell’insistere sul funzionamento di efficiente sistemi di controllo, preventivo e successivo, ecc. V. anche oltre par. 3.5.2..
34 Cioè di garanzia dell’uniforme interpretazione della legge….(che ovviamente dovrebbe evitare il contrasto fra diverse sezioni penali della stessa Corte e, a maggior ragione, il conflitto fra sentenze scritte da giudici appartenenti alla stessa sezione…) .
35 Osserva in proposito, G. Amendola, a nota 5 dell’articolo:” : A questo proposito, desta perplessità l’affermazione, contenuta nella sentenza in esame secondo cui la tesi sostenuta nella sentenza Bonassi “è stata seguita dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte”. A noi, come abbiamo sopra documentato, risulta esattamente il contrario”.
36 La diversa collocazione di una frase subordinata sulle sostanze pericolose, che può e deve essere letto in senso opposto, secondo una giurisprudenza prevalente e consolidata (richiamata di seguito) oltre che in forza di una ricostruzione del periodo più corretta, anche solo in base alle regole della sintassi: cfr., retro, par.3.2.
37 Tratta dal testo della norma (voluntas legis).
38 Desunta dai lavori preparatori che rivelano la volontà storica del Parlamento o del Governo (voluntas legislatoris).
39 Anche G. Amendola, nella nota cit. sopra, nel testo, mi sembra concludere nel senso della censurabilità del tentativo equiparato a “… un brusco passaggio alla tesi più rigorista e gravosa per gli imputati, in virtù di una sola (pur pregevole) sentenza sul testo unico del 2006 (che) non appare esente da censure”. Lo stesso A. si augura che, ove non vi siano conferme di quest’ultima giurisprudenza e continui il contrasto, si pronuncino, al più presto, le sezioni unite.
40 Mi riferisco a L. Butti, Le nuove norme sull’inquinamento idrico, Milano, 1995, pag. 94.
41 “Siamo allora di fronte”, proseguiva il Prof. Caglioti, “… a quella che il napoletano medio chiama “fessaggine” cioè una situazione che non ha né capo né coda…». Sulla diversità fra limiti di accettabilità derogabili e inderogabili (in quanto relativi a sostanze tossiche, persistenti e bioaccumulabile) e sulla necessità di distinguere gli effetti diversi delle rispettive sostanze, secondo la legge Merli, si rimanda al volume di L. Butti, Le nuove norme sull’inquinamento idrico, citato a nota precedente, a dimostrazione della vetustà della questione e della ragionevolezza della soluzione proposta, già a partire dagli anni ’70.
42 in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 6/2000 p. 1041.
43 in Ambiente & Sviluppo 20001 n. 1, p. 77.
44 in Ambiente & Sviluppo, 2001, n. 3 p. 284.
45 in Riv. Pen. 2000, p. 473.
46 in Rivista Giuridica dell’Ambiente 6/2000 p. 1040.
47 in Ambiente & sviluppo” 2000, n. 4, p. 387.
48 in Ambiente & Sviluppo 2001 n. 2, p. 183.
49 in Ambiente & Sviluppo 2002 n. 6, p. 569.
50 Per le ragioni esposte a par. 3 e ss..
51 Esposta a par. 3.4..
52 Rispettivamente da sei mesi a due anni e da dieci a duecento milioni (oggi, fino a due anni di arresto e a trenta mila euro di ammenda, ex art. 137, comma 5).
53 Superamento dei limiti delle tabelle 3 e 4 e dei limiti regionali più restrittivi.
54 Come quella suggerita dalle due sentenze in commento.
55 Così, da ultimo, A. Cerri, voce Eguaglianza”, in Diritto Costituzionale, Dizionari Sistematici de Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, pag. 408, ed ivi esauriti richiami di letteratura e giurisprudenza, non solo italiana.
56 V. par. 3.3.
57 L’analogia viene intesa, in questi casi, in senso forte per cui si esige il ricorrere del medesimo elemento cui si collega la disciplina, e non in senso debole, per cui si valorizza il grado minore di differenza: così Cerri, op. cit., con riferimenti bibliografici specifici sul punto.
58 Secondo un insegnamento consolidato del Giudice delle leggi: v., ex multis, in questi termini assai limpidi, già, Corte cost. n. 171/1982.
59 In tal senso la dottrina unanime, da ultimo richiamata, da S. Nespor – A.D.De Cesaris, Codice dell’ambiente, Milano 2009, passim.
60 Il n. 152/1999, la cui norma (art. 59) è ripresa puntualmente dall’art. 137 cit.
61 Come sottolinea attentamente anche G. Amendola, in Acque. Superamento dei limiti tabellari”, del 29.7.2008, in Lexambiente. It., ove rileva: “…diciamo subito che purtroppo, qualunque tesi si voglia sostenere, il quadro normativo su cui operare non è, comunque, chiaro in quanto presenta alcune evidenti incongruenze che il D. Lgs del 2006 ha “ereditato” dal precedente D. Lgs 152 del 1999-2000. In primo luogo, il richiamo nell’art. 133 (ex 54, sanzioni amministrative) al superamento dei limiti <<fissati dall’autorità competente a norma … dell’art. 108 (ex 34), comma 1>>. Premesso che l’art. 108 (così come l’art. 34 D. Lgs 152/99) riguarda gli <<scarichi di sostanze pericolose>>, si tratta, comunque, qualsiasi interpretazione si adotti, di richiamo senza senso in quanto l’art. 108, comma 1 (così come il vecchio art. 34, comma 1) non prevede alcuna possibilità di fissare limiti, anzi non si occupa affatto di limiti, neppure indirettamente. La verità è che, come abbiamo accennato, ci trasciniamo ancora oggi un errore del legislatore, il quale nel 2000 aveva ricopiato il primo comma del vecchio (prima stesura del 1999) art. 54, ove c’era appunto questo richiamo, dimenticando che, contestualmente, il decreto correttivo del 2000, aveva modificato l’art. 34, inserendo un nuovo primo comma, per cui il vecchio comma 1 era diventato comma 2. Già nel D. Lgs 152/99 dopo il 2000, quindi, doveva trattarsi del superamento dei limiti <<fissati dall’autorità competente a norma … dell’art. 34, comma 2>>; e cioè di limiti, più restrittivi di quelli prescritti dalle tabelle o da Regioni o Province autonome ai sensi dell’art. 28, commi 1 e 2, che l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione poteva, comunque, fissare in situazioni particolari di accertato pericolo per l’ambiente. Con l’ulteriore incongruenza che il richiamo in esame riguarda le sanzioni amministrative, mentre tutte le violazioni delle prescrizioni dell’autorizzazione in tema di scarichi di sostanze pericolose sono punite con sanzione penale (cfr. art. 137, comma 3, che fa salve solo le violazioni punite, sempre con sanzione penale dal comma 5)”.
62 Così, G. Amendola, in Acque. Superamento dei limiti tabellari”, appena cit., cui si devono le ultime espressioni fra virgolette del testo. Detto Autore, riprendendo con ampliamenti, l’articolo pubblicato da Industriambiente.it 2008 cit., indica, diligentemente, tutti i numerosi casi di malintesi, errori, e scoordinamenti fra disposti, rinvenuti nel d. lgs. 152/1999 e riprodotti nel T.U. del 2006.
In particolare, sul tema in esame, Amendola osserva: “ … Nello stesso quadro, se si mettono a confronto l’art. 133, comma 1 e l’art. 137, comma 5, e si considera che dovrebbe trattarsi di due norme complementari (e, quindi, speculari), nel senso che la prima si applica <<salvo che il fatto costituisca reato>>, e cioè salvo che non si debba applicare la seconda, appare evidentissimo che qualcosa non quadra. Mentre, infatti, l’art. 133, parla di <<diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’art. 101, comma 2>>, l’art. 137, riferendosi, ovviamente agli stessi valori limite (anche se solo quelli più restrittivi, in relazione alle sostanze della tabella 5), parla invece di <<limiti … fissati dalle regioni e dalle province autonome>> senza richiamare, in alcun modo, l’art. 101, comma 2. Entrambi gli articoli, poi, parlano dei limiti <<fissati dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1>> ma l’art. 133 – e non l’art. 137 - aggiunge anche, come si è visto, <<o dell’art. 108, comma 1 >>.
63 Relativi agli scarichi in corpi d’acqua superficiali; sul suolo; “Indicazioni generali” e “Metodi di campionamento e analisi”.
64 Ai sensi del quale «gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche alle prescrizioni regolamentari ed ai valori limite di emissione emanati dal gestore dell’impianto di depurazione», ma «ferma restando l’inderogabilità dei valori limite di emissione per le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5», tabella che non fissa alcun valore limite, essendo solo l’elenco delle «sostanze per le quali non possono essere adottati, dalla regione e dal gestore della fognatura limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3».
65 Pertanto la inderogabilità, ai sensi dell’art. 28, sembrerebbe riferibile al divieto di porre limiti meno restrittivi, non più restrittivi (che sarebbero sempre ammessi).
66 Con l’aggiunta”.. e con pena aggravata per le sostanze contenute nella Tab. 3/A”.
67 Tranne i casi esclusi, di cui si è detto sopra, ex art. 28, comma 2, art. 33, comma 1, art. 59 comma 5 e 6 (e, aggiungerei, tranne i limiti di emissione posti da tabelle diverse da quelle 3 e 4). Avverte le conseguenze destabilizzanti – sul rapporto Stato-Regioni - delle interpretazioni proposte dalle due sentenze cit. G. Amendola, nella nota da ultimo citata, ove si osserva: “… Ci sembra, invece, decisivo l’aspetto sostanziale, e quindi verificare se, accettando la tesi innovativa, non si arrivi a conclusioni non sostenibili sotto il profilo logico giuridico. Da questo punto di vista, “l’anomalia” più rilevante è, senza dubbio, costituita dal rapporto Stato-Regioni e sanzione penale-sanzione amministrativa in caso di scarico industriale superiore ai limiti. Accettando la tesi innovativa della Cassazione, infatti, il superamento delle tabelle 3 e 4 da parte di scarico industriale costituisce reato, ma, in caso le Regioni stabiliscano, per le stesse sostanze, limiti <<diversi>>, il loro superamento, a norma dell’art. 133, comma 1, sarà punito, di regola, con sanzione amministrativa, a meno che essi non siano più restrittivi e riguardino le sostanze della Tabella 5.
68 V., retro, par. 3.3., p. II).
69 Sul sistema sanzionatorio degli illeciti ambientali, con particolare attenzione anche agli aspetti teorici della tematica accennata nel testo, v. il bel volume (a cura di) F. Giunta, Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, Padova, 2005, passim e per aggiornamenti bibliografici, v. A. L. Vergine, in Ambiente n. 1/2009, cit.
70 G. Amendola, op. cit.
71 Salvo ad aggiungere: “ Unica eccezione per le sostanze che più preoccupano, e cioè quelle della Tabella 5 ove resta la sanzione solo penale anche nel caso in cui le Regioni le modifichino nell’unico modo loro consentito dall’art. 101, comma 2, e cioè in senso più restrittivo (il che, evidentemente, implica trattarsi di situazione preoccupante)”.
72 O, per dirla con lo stesso Autore, non solo “desta gravi perplessità” ma perplessità insuperabili.
73 Non possono, pertanto, condividersi le conclusione assunte da Amendola, op. cit., in queste battute finali: “ … In altri termini, si potrebbe ritenere che, salvo questa eccezione, se una Regione ritiene, ovviamente in base allo studio della situazione locale, di intervenire per allargare i limiti base statali (presidiati con sanzione penale), essa se ne assume fino in fondo la responsabilità, esonerandone lo Stato e garantendo i risultati con le sanzioni di sua competenza, che sono quelle amministrative.”
Osservo, intanto, che “modificare i limiti statali”, come indica l’Autore, nel brano riportato nel testo, non è la stessa cosa che “allargare i limiti statali” (che farebbe pensare a limiti ulteriori e/o più favorevoli di quelli tabellari che la Regione può modificare solo in limiti più o meno restrittivi, cioè “diversi”). La rappresentazione, poi, di una Regione che, nel sostituire le sanzioni penali con proprie sanzioni amministrative “si assume fino in fondo la responsabilità” della sua iniziativa - “esonerandone lo Stato e garantendo i risultati con le sanzioni di sua competenza” – (a parte l’approccio e la forma espressiva, più sintonica al linguaggio della politica che a quello del diritto) non mi sembra (ancora) compatibile con l’attuale assetto costituzionale in cui le leggi regionali, pur potendo svolgere una funzione integrativa della normativa penale, non possono essere fonti di diritto penale né in funzione incriminatrice né in funzione scriminante, neppure nelle materie che l’art. 117 Cost. assegna alla loro competenze (peraltro l’art. 117, comma 2, lett. s), Cost. attribuisce la tutela dell’ambiente alla competenza esclusiva dello Stato). Osserva, da ultimo, F. Giunta, sotto la “voce” “Depenalizzazione”, in Diritto Penale - Dizionari sistematici - de “Il Sole 24 Ore”, Milano, 2008, pag. 45, che “… il vero ostacolo alla competenza penale delle regioni appare piuttosto di tipo istituzionale: il decentramento anche parziale della potestà punitiva“ (nel caso di depenalizzazione del reato statale), è compatibile solo con un assetto federale”. Ma non credo che siamo arrivati a questo punto, nel tormentato percorso verso il c.d. “federalismo” (quale?).
74 Si veda, in proposito, la fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 487/1989.
75 Così, T. Padovani, Diritto penale, 7° ed., Milano, 2006, pag. 21.
76 In argomento, si rimanda all’esauriente giurisprudenza riportata nel volume “La legge penale” (a cura di M. Ronco), Zanichelli, Bologna, 2006, pag. 26 e ss (“Riserva di legge e legge regionale”), con completi richiami anche alla dottrina penalista e costituzionalista. Né potrebbe essere invocato utilmente l’art. 9 della legge n. 689/1981, non solo per la prevalenza della sanzione penale, di cui al comma 2, ma anche perché non si verifica l’ipotesi del comma 1, che postula la concorrenza e coesistenza della norma penale e di quella che prevede una sanzione amministrativa (mentre nella ricostruzione della dottrina cit. la disposizione regionale, che fissa limiti di emissione diversi, va a sostituire la norma sui limiti tabellari statali).
77 Per quanto sinora esposto non si può che apprezzare la coerente e pacata conclusione di L. Prati, nell’articolo “La cassazione ribalta.. cit., in Ambiente, n. 7/2004 pag. 681 secondo cui: “ Per ritenere che il comma 5 del D.lgs. n. 152/1999 sia effettivamente stato radicalmente modificato dal D.lgs n. 258/2000, nel senso ritenuto dalla decisione in questione, parrebbe necessario un argomento più solido di quello relativo alla ricollocazione della frase “in relazione alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5” dopo il richiamo del ruolo regionale”. E, aggiungo, senza soprattutto tener conto della
ratio posta a base del differente trattamento sanzionatorio riservato alle sostanze di cui alla tabella 5 come scolpita dal presente passo di Cass. pen. , sez. feriale, 17 settembre 2001/22 agosto 2001, n. 33761 nei seguenti termini: “Questa disciplina differenziata trova la sua logica ispiratrice nella circostanza che le sostanze previste dalla tabella 5 sono state ritenute dal legislatore maggiormente pericolose per la salute pubblica come è dimostrato dalla circostanza che per queste sostanze è previsto, per la regioni e per il gestore delle fognature il divieto di adottare limiti meno restrittivi di quelli indicati nella tabella 3. Si comprende quindi perché il legislatore abbia voluto ricomprendere la condotta in esame (sversamento di sostanze non indicate nella tab. 5) nella fattispecie costituente violazione amministrativa prevista dall’art. 54 del D.lgs n. 152/1999 che ricomprende tutti i casi di superamento dei valori limite fissati nelle tabelle di cui all’all. 5 che non costituiscono reato”.
Con riferimento a tale decisione lo stesso Prati conclude: “.. Dette considerazioni restano anche dopo il D.lg. n. 258/2000 valide e tutto sommato più convincenti delle argomentazioni letterali desumibili dalla “rivisitazione” del sistema sanzionatorio apportata dalla novella del 2000 la quale, come detto, non brilla certo per chiarezza”. Nello stesso senso si esprime la “Introduzione” di un Codice ambientale, di prossima pubblicazione che gentilmente gli Autori mi hanno inviato, in visione, che sottolinea, sul punto: “.. Tuttavia la sentenza 2008 ignora completamente l’art. 133 del D.lgs. n. 152, riguardanti le sanzioni amministrative. …L’orientamento (ri)proposto dalla pronuncia del 2008 non appare coerente con le intenzioni del legislatore ambientale che, nella materia, ha previsto sanzioni amministrative (quindi più lievi) per le fattispecie meno gravi ed un maggiore rigore sanzionatorio per gli scarichi maggiormente “inquinanti”,
78 Merita segnalare, fin da ora, che in alcune regioni (come in Toscana) l’Agenzie Regionali per l’Ambiente si è attivata per informare gli altri uffici regionali competenti che, con la sentenza Serafini del 2008, l’indirizzo della giurisprudenza da condividere deve essere ritenuto quello più severo, con la conseguenza di suggerire alle Province di considerare reato il superamento dei limiti tabellari cit.; di attivare un contatto con le Procure ecc. V., per es., la missiva dell’ARPAT del 24.3.2009, prot. 23769 del seguente tenore: “… Oggi la seconda tesi” (quella più severa; n.d.s.) “ è stata accolta da alcune sentenze della Cassazione Penale, sez. III, n. 1518 del 12/06/2008, ecc…. e, dal momento che ha ricevuto l’avallo di tale autorevole giurisprudenza, si ritiene opportuno aderire a questa interpretazione sicuramente più rispettosa del dato testuale e individuare come reato il superamento di tutti i limiti indicati nelle tabelle 3 o 4 dell’allegato 5, senza alcun riferimento alle 18 sostanze ritenute pericolose, elencate nella tabella 5 dell’allegato 5. Si invitano pertanto le SSVV a comunicare alla Province che l’Agenzia, da oggi, alla luce delle motivazioni esposte, rileverà nella fattispecie in un reato”.
Sembra che l’Agenzia regionale sia convinta dal criterio quantitativo e dalla attualità della giurisprudenza “ .. più rispettosa del dato testuale”, senza tener conto che l’indirizzo maggioritario, della stessa sezione della Cassazione è contrario e annovera, dalla sua parte, la maggiore “autorevolezza” anche delle Sezioni Unite, a prescindere dalla dottrina richiamata, assai critica, e soprattutto dalle conseguenze teoriche e pratiche di cui si è fatto cenno nel testo.
79 Secondo le previsione degli artt 107, T.U. (già art. 33) e 137, T.U. (già art. 59 cit.).
80 Per ripetere l’enfatica formula dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario, di cui a R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 e s.m. i., il quale, peraltro, riporta tale funzione “nomofilattica”, alle singole sezioni della Cassazione (ma, come si è visto nel nostro caso, invano…) e non solo alle sezioni unite.
81 Con riferimento alla disciplina degli scarichi industriali immessi in suolo, acque superficiali o in pubbliche fognature, con riferimento ai limiti delle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5, come richiamati dall’art. 137, comma 5, T.U. cit.(già art. 59, comma 5.cit. d. lgs. 152/99).
82 Come nella prima versione dell’art. 59, comma 5, ricordato, prima delle modifiche del d. lgs. n. 158/2000.
83 Come ho chiarito a par. 3.2..
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 16/07/2009

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