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Dalle Piantagioni Monocolturali alle Foreste Ancestrali.
DAVIDE MALDERA
La Scoperta Dell'Ambito Forestale: la definizione di FORESTA
Dopo la ratifica del Protocollo di Kyoto sono stati trattati con maggiore
attenzione argomenti essenziali in ambito ambientale come: la sostenibilità, lo
sviluppo di paesi non industrializzati, il trasferimento di tecnologie
ecologiche, la politica ambientale in generale e i progetti per incentivare la
riduzione delle emissioni.
Oggi, analizzando a posteriori gli effetti degli strumenti flessibili del
Protocollo di Kyoto possiamo notare l'insoddisfazione delle organizzazioni
internazionali, che hanno dimostrato che gli strumenti approvati hanno originato
molti fenomeni insoliti e preoccupanti generando dei veri e propri incentivi
perversi – ad esempio i noti casi del gas HFC23 – che hanno minato le
basi di una chiara politica ambientale finalizzata alla riduzione delle
emissioni.
Gli strumenti flessibili del Protocollo di Kyoto, creati per incentivare
determinati settori come ad esempio le energie da fonti rinnovabili con il fine
di diminuire l'utilizzo dei carburanti fossili e del carbone, ad oggi,
purtroppo, non hanno raggiungo i risultati sperati e si sono dimostrati, a detta
di molti esperti, solo delle privatizzazioni scellerate di beni pubblici come le
foreste o i bacini d'acqua per la creazione di energia idroelettrica.
Di norma per raggiungere tale finalità i progetti ambientali hanno bisogno di
infrastrutture tecnologicamente molto avanzate soprattutto in termini
ingegneristici con sfide avvolte ardue – ricordiamo l'enorme diga sul fiume
Chang Jang (detto comunemente lungo fiume) in Cina o la diga sul fiume Arancione
nel Lesoto – queste opere faraoniche rischiano di porre in serio pericolo le
aree circostanti violando gli ecosistemi e i diritti degli abitanti autoctoni.
Le violazioni generate da queste attività, legate alla produzione in generale,
non riguardano solo determinati tipi di progetti, ma rischiano di propagarsi
contaminando anche altre attività che teoricamente rappresenterebbero il massimo
livello di investimento ambientale come ad esempio i progetti forestali che non
sembrando legati ad alcun tipo di produttività possono reputarsi scevri da fini
economici improntati al mero guadagno, però nella realtà giornaliera si
denunciano violazioni, soprattutto di diritti umani, riguardo tali progetti.
Ultimamente la comunità internazionale sta analizzando il ruolo delle foreste
nella lotta alla riduzione delle emissioni di gas serra in modo molto
appofondito.
Da fonti autorevoli – soprattutto la FAO ed IPCC1
– vengono diffusi dati molto interessanti, che quantificano le emissioni
derivanti dalla “deforestazione” in un valore cimoreso fra il 20-25% del totale
delle emissioni annue.
Posto che le foreste nel 2005 occupavano il 30% del territorio globale con 4
miliardi di ettari che sono equivalenti a 0,62 ettari a persona, e che codeste
aree non sono omogeneamente distribuite, basti pensare alle zone desertiche,
infatti per esempio ci sono 64 paesi con più di due miliardi di popolazione
hanno una media di circa 0,1 ha pro capite, infatti è facile notare che tre
paesi (Federazione Russa, Brasile e USA) hanno una grande copertura forestale e
occupano circa i 2/3 del totale delle aree forestali, allora si può ben
immaginare che le foreste possono e potranno rivestire un ruolo importante nella
lotta alla riduzione delle emissioni di gas serra agendo come sink (cioè risorsa
di assorbimento) così da essere considerate ed attestarsi come una grande
variabile nel bilancio globale del carbonio.
Pertanto, la deforestazione rappresenta secondo tali informazioni una delle
cause di maggior rilevanza nel panorama dell'inquinamento mondiale, che non può
essere non calcolata.
La deforestazione è una piaga che colpisce il nostro pianeta e la nostra qualità
della vita, soprattutto perché i tassi di deforestazione sono allarmanti e
preoccupano gli esperti, negli ultimi periodi per la sola conversione di foreste
in territori agricoli sono stati sacrificati 13 ha all'anno; anche se i tassi
sembrano in diminuzione (es. dal 1990 al 2000 sono stati circa 8,9 ha all'anno,
dal 2000 al 2005 7,3 ha l'anno) le stime sono sempre di una certa gravità.
Per questi motivi si è pensato di intervenire per creare un nuovo strumento: i
REDD (“Reduction Emission from Deforestation in Developing countries”) con lo
scopo di ridurre la deforestazione intervenendo con finanziamenti per
disincentivare il disboscamento.
Questo strumento ancora non è stato definito in tutti i suoi dettagli perché
purtroppo la materia si presenta alquanto controversa, sopratutto riguardo le
definizioni da dover approvare per costruire un'architettura solida e scevra da
qualsiasi influenza politica.
I REDD, secondo le informazioni che abbiamo espresso, possono diventare
realmente un elemento importante per la riduzione delle emissioni nel post-Kyoto,
ma necessitano di regole e definizioni certe per evitare interpretazioni
strumentali al solo fine di raggiungere vantaggi economici.
Il punto centrale dei REDD è delineato dalla definizione di Foresta.
Le foreste rappresentano i polmoni verdi del pianeta e garantiscono la varietà
di ecosistemi oltre che la biodiversità, di guisa sono necessarie per
l'assorbimento delle emissioni di CO2.
L'UNFCCC(United Nations Framework Convention on Climate Change) ha approvato una
definizione di foresta definendola nella decisione 16/CMP.1, in allegato,
paragrafo 1(a) come: “is a minimum area of land of 0.05-1.0 hectare with tree
crown cover (or equivalent stocking level) of more than 10-30 per cent with
trees with the potential to reach a minimum height of 2-5 metres at maturity in
situ. A forest may consist either of closed forest formations where trees of
various storeys and undergrowth cover a high proportion of the ground or open
forest. Young natural stands and all plantations which have yet to reach
a crown density of 10-30 per cent or tree height of 2-5 metres are included
under forest, as are areas normally forming part of the forest area which are
temporarily unstocked as a result of human intervention such as harvesting or
natural causes but which are expected to revert to forest”
2
Nella riunione di Copenhagen di dicembre si negozieranno le norme inerenti i
REDD e quindi anche la definizione di foresta.
Questa definizione se ben compilata può comportare vantaggi ambientali enormi e
difficilmente calcolabili così da poter fornire un ulteriore strumento alla
politica ambientale per ridurre sensibilmente il problema ambientale.
Analizzando la definizione assunta dall'UNFCCC, si possono notare i criteri
selviculturali utilizzati per descrivere le aree boschive, infatti sono stati
delineati dei limiti territoriali (0,5-1 ha) o di altezza minima delle piante in
piena maturità selezionate nel sito (minimo di 2-5 metri di altezza in piena
maturità), oppure di copertura arborea minima (densità equivalente superiore al
10-30%), necessari per caratterizzare le aree forestali.
Inoltre, tale definizione non si limita solo a postulare con dei parametri
scientifici tali territori, infatti ha conferito lo status di foresta anche a
giovani esemplari arborei naturali e a tutte le piantagioni.
Quest'ampliamento, cioè l'aver conferito lo status di foresta a realtà disuguali
come le piantagioni rappresenta in teoria una qualità significativa per tutelare
aree apparentemente non boschive, per preservarle dalla deforestazione che
altrimenti agirebbe su tali territori in quanto non considerati come foresta.
Quindi considerare come foresta tali realtà, secondo le opinioni più comuni,
comporterebbe una protezione di aree potenzialmente boschive che meritano di
essere salvaguardate solo per il fatto di avere tutti i requisiti per divenire
foresta.
Bisogna sottolineare che la salvaguardia di tali aree è necessaria e
indispensabile per la creazione di uno strumento efficace sia nella
preservazione di zone attualmente boschive che nella riduzione del fenomeno
della deforestazione così da tutelare realtà che hanno ben poco di boschivo ma
che saranno in un futuro un prolungamento delle foreste ancestrali secondo i
tempi di rigenerazione ambientale.
Le quattro previsioni sull'architettura dei REDD:
I certificati REDD, come abbiamo avuto modo di analizzare, hanno il potenziale
per diventare uno strumento molto importante per la riduzione delle emissioni di
gas serra, ma tale capacità potrà essere sviluppata soltanto qualora ricevessero
un'accurata regolamentazione riguardante il seguente obiettivo: la presenza di
un accordo formale – da raggiungere a livello internazionale – riguardo i Redd
in generale; la compravendita e il libero scambio secondo le regole del Carbon
Market; l'avvio di attività gestite dai governi nazionali o sviluppate a livello
sub-nazionale od attraverso la creazione di fondi locali, governativi, privati.
Inoltre, dovranno essere stabiliti dei parametri certi in base ai quali poter
ricevere crediti di carbonio, parimenti bisognerà incrementare e tutelare il
diritto d'accesso alle aree adibite a foreste per quegli individui che da tali
risorse traggono la sopravvivenza come ad esempio gli indigeni residenti zone
interessate (“forest dwellers”) e soprattutto chiarificare il diritto di
proprietà e l’uso del territorio.
Aspettando gli esiti delle negoziazioni possiamo provare a prevedere alcuni
approcci economico-giuridici di questo strumento.
A mio parere la strada della creazione dei REDD è ancora molto lunga e potrà
risultare in una o più di queste previsioni.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare, la struttura economico-giuridica di
questo strumento potrebbe constare di crediti nazionali conferiti in base
all'accordo UNFCCC.
Per realizzare tale approccio bisognerà analizzare i limiti di ogni stato le cd.
“baseline” di riferimento nazionale così da poter creare un sistema di
compensazione a livello statale attraverso i crediti REDD, di guisa qualsiasi
riduzione rispetto alla baseline e cioè rispetto allo scenario di riferimento
nazionale dovrà autorizzare il rilascio dei crediti.
Ovviamente i crediti generati dovranno essere comprati e venduti nel Carbon
Market per il post-Kyoto (dal 2012), oppure, se ciò non fosse possibile, si
dovrà necessariamente creare un mercato REDD separato dove poter ricollocare i
crediti generati, altrimenti si rischierebbe il fallimento dello strumento.
Una struttura come quella delineata comporta molti vantaggi perché in tal modo
diventa possibile incentivare ed indirizzare i grandi flussi finanziari esteri
attraverso un rapporto diretto con lo stato ospitante, che garantirebbe riguardo
le operazioni di contabilità delle emissioni al fine di determinare eventuali
perdite per consentire previsioni di mercato che possano prevedere gli andamenti
dei costi nei mercati.
Purtroppo questo approccio mostra anche alcuni effetti negativi difficilmente
quantificabili; questi svantaggi risiedono nei ridotti livelli di preparazione
professionale nazionale, dal mal governo e da eventuali barriere
economico-politiche difficilmente superabili per il settore privato e tutto ciò
comporterebbe una diminuzione degli investimenti, dovuta ad una insicurezza
globale ed una selezione degli stati qualificati per tali attività, in tal modo
si restringerebbero i soggetti nel mercato, aumenterebbero i prezzi e non si
riuscirebbe ad aiutare i paesi poveri creando una frattura sostanziale del mondo
in paesi: ricchi, emergenti e poveri-non ammessi.
Altra previsione economicamente rilevante potrebbe consistere nel rilasciare
crediti direttamente ai progetti promotori seguendo l'accordo dell'UNFCCC.
In base a questo approccio, le riduzioni e la contabilità delle emissioni di
carbonio nell'atmosfera, che comporteranno la quantificazione delle
certificazione di emissione, potranno essere dedotti a livello progettuale.
Questa previsione sembrerebbe compensare eventuali squilibri derivanti dal
restringimento dei soggetti abilitati ad operare in progetti di riduzione delle
emissioni perché avrebbe come elemento maggiormente significativo il
coinvolgimento delle organizzazioni sub-nazionali ed enti governativi in maniera
analoga al sistema CDM, per elargire più equamente le risorse e soprattutto
destinarle ai reali operatori radicati nel territorio e nelle comunità rurali.
Le riduzioni delle emissioni di gas serra derivanti da tali attività al fine di
essere quantificate più esaustivamente saranno da definirsi in modo specifico
secondo gli standard nazionali. Pertanto i crediti derivanti delle attività
progettuali dovranno risultare contabilmente conformi a quelli nazionali e
controllati per maggiore attendibilità durante la fase di monitoraggio.
Dall'architettura di questo progetto economico è palese il ruolo degli
sviluppatori e dei responsabili dei progetti i quali avranno la piena
responsabilità e disponibilità delle certificazioni generate dai progetti
forestali per poter ricollocare i crediti ricevuti nel Carbon Market.
Uno degli elementi maggiormente interessante di tale approccio consiste nel
decentralizzare il sistema di contabilità, così da garantire maggiore
flessibilità al mercato e di guisa un aumento esponenziale degli investimenti
con conseguenti finanziamenti sicuramente più conformi alle esigenze
territoriali, quindi in base al caso concreto.
D'altro canto, a questo schema economico si possono individuare determinati
svantaggi come un aumento del rischio di “leakage” derivante da progetti non
necessari e da una minore richiesta di garanzie per le permanenze delle
riduzioni di emissioni che dovranno necessariamente essere sanate stipulando
assicurazioni o altri strumenti finanziari idonei a tale scopo.
Quest'ultimo aspetto, ovviamente, avrà effetti rilevanti sui prezzi che dovranno
calcolare anche le spese per l'avvio e la copertura assicurativa, comportando un
aumento dei costi di transazione e di guisa dei prezzi delle certificazioni nel
mercato del carbonio con il rischio di creare un prodotto, cioè le
certificazioni, non più conveniente ed appetibile per la domanda del mercato
stesso.
Un'altra previsione parimenti idonea al fine della riduzione delle emissioni
potrebbe ravvisarsi nella creazione di fondi internazionali al fine di
convogliare le risorse finanziarie in scopi prefissati (es. fondi per i progetti
forestali o per le energie rinnovabili).
La caratteristica peculiare di questo approccio consiste nella compravendita
fuori dal mercato del Carbonio, infatti i fondi, finalizzati a scopi
prestabiliti, avrebbero la possibilità di acquistare i crediti generati
direttamente dall'attività di riduzione delle emissioni.
Dunque, gli incentivi nascenti da questo schema economico possono essere
calcolati in modo analogo ai sistemi precedentemente delineati usando come
termine di calcolo standard le riduzioni delle emissioni per conseguire le
certificazioni.
I vantaggi nascenti da questa previsione sono interessanti in termini economici
e comprendono minori problemi per il calcolo per il rilascio dei CER
(considerando che le certificazioni rilasciatein questo approccio non sono da
considerarsi come "compensazioni" rispetto ai costi elevati di produzione al
fine di rendere più concorrenziale l'investimento economico, ma dei semplici
incentivi per il raggiungimento di obiettivi di riduzione), conferendo di guisa
maggiori possibilità di finanziamento anticipato.
D'altro canto, però, questi finanziamenti potrebbero anche essere basati su
misure o impegni che non sono facilmente quantificabili in termini di riduzioni
delle emissioni perché tendono a scopi non necessari così da incrementare gli
svantaggi.
Gli eventuali svantaggi sono facilmente immaginabili soprattutto se legati a
determinati fattori: il rischio di una riduzione dei flussi finanziari, che
potrebbero essere indirizzati in obiettivi economicamente più convenienti ma
sotto il profilo ambientale sfavorevoli; la riduzione della responsabilità e
della trasparenza dovute alla ricerca del mero guadagno creando uno squilibrio
fra interesse economico ed ambientale.
L'ultima previsione riguardante una probabile architettura dei REDD consiste
nella creazione di un mercato volontario senza accordi internazionali.
Quest'approccio potrebbe diventare una realtà auspicabile, qualora non si
riuscisse a raggiungere un accordo internazionale, perché la mancanza di una
pattuizione uniformemente riconosciuta che postuli obiettivi condivisi
comporterebbe un fallimento della politica ambientale, per tutto ciò la
creazione di un sistema alternativo che possa sopperire a ritardi o insuccessi
sarebbe una buona condizione per incentivare un processo di riduzione delle
emissioni.
Sicuramente un'iniziale avvio di quest'approccio porterebbe maggiori garanzie
per una forte politica ambientale anche se soltanto a regime ridotto ridotto.
Al fine di garantire l'effettiva la riduzione delle emissioni si potrebbe tenere
in considerazione l'uso delle “baseline” dei progetti sviluppati così da poter
garantire una somma certa e quantificabile per il rilascio dei crediti.
Un altro elemento innovativo di un approccio così strutturato consiste nella
possibile compatibilità di questa previsione economica con quelle già menzionate
e pertanto se ben regolamentato il mercato volontario potrebbe affiancarsi in
modo efficace e complementare ad ogni approccio suesposto, di guisa si avrebbero
ben due strumenti per maggiormente efficiente la riduzione delle emissioni.
In ambito progettuale i vantaggi derivanti dal mercato volontario sono immensi
perché consentono una vasta tipologia di scelta per garantire oltre alla
riduzione dei costi di transazione anche la diminuzione di ostacoli burocratici
per la loro realizzazione, con conseguenti effetti positivi per l'ambiente e la
società.
Purtroppo in questo sistema sono presenti anche degli svantaggi reali non
trascurabili perché l'eccessiva vasta scelta delle tipologie progettuali
potrebbe convogliare flussi finanziari di piccola entità in progetti che in
altri sistemi verrebbero maggiormente incentivati, ed inoltre lo scarno apparato
normativo sia in ambito nazionale che internazionale potrebbe generare delle
inefficienze legate alla proprietà dei territori selezionati per avviare i
progetti con conseguenti logiche ricadute sociali, civili ed ambientali.
Effetti della definizione di foresta sull'ambiente:
La definizione di foresta adottata dall'UNFCCC e proposta dalla FAO e dall'IPCC
ha lo scopo di preservare sia le aree forestali che le aree non boschive ma a
prevalente tendenza forestale.
Purtroppo nella pratica quest'enunciato si presta a differenti interpretazioni
che rischiano di capovolgere la ratio originaria del legislatore.
La definizione di foresta improntata alla riduzione delle emissioni di gas serra
rischia di creare fenomeni difficilmente prevedibile soprattutto perché a primo
avviso le piantagioni e le foreste sembrano due realtà differenti e fin quando
le piantagioni saranno incluse all'interno della definizione di foresta composta
dalla FAO (FAO, 2000), l'IPCC e l'UNFCCC vi sarà sempre un rischio reale che
consiste nel finanziare attraverso i REDD l'espansione delle piantagioni come
realtà sostitutiva delle foreste primarie.
La sostituzione delle foreste con le piantagioni, in termini ambientali comporta
cambiamenti catastrofici ed invasi soprattutto riguardo alla riduzione netta di
gas serra rispetto al quantitativo iniziale, ma il vantaggio di tale conversione
consiste nei “co-benefici” economici derivanti da prodotti come l’olio di palma
o legno per la carta, però per garantire questi vantaggi è necessario
intervenire in modo drastico sulla biodiversità con gravi effetti sulle comunità
limitrofe.
Da molti anni, infatti, le piantagioni sono utilizzate per convertire i
territori forestali, soprattutto pluviali, in enormi distese coltivate, ma la
stessa coltivazione delle piantagioni ricalca in modo intensivo pienamente
l'archetipo industriale soprattutto per alcune caratteristiche come la tutela
dei beni prodotti attraverso l'uso di sostanze chimiche come arma contro i
parassiti per evitare perdite di raccolto, rischiando di contaminare le falde
acquifere nel sottosuolo creando gravi disagi alle popolazioni circostanti.
Effetto preponderante di queste attività, quindi, consiste nel degrado
dell'ambiente e nella crescita della povertà per i paesi produttori e per le
comunità locali, e non nella diminuzione delle emissioni e nella preservazione
ambientale, questo risultato appare, quindi, in conflitto con la ratio del
legislatore.
Secondo molti esperti, soprattutto il prof. Ricardo Carrere del World Rainforest
Movement, questo è il modo con il quale i paesi ricchi incamerano i profitti e
esternalizzano i costi, soprattutto quelli ambientali.
La scelta di introdurre le piantagioni nella definizione di foresta già sta
causando gravi problemi e violazioni riguardanti i diritti umani ai quali
bisogna urgentemente porre rimedio.
In Nigeria, Camerun, Liberia, Swaziland e Sud Africa avanzano le piantagioni di
gomma, legno da cellulosa e palma da olio. In Brasile, Argentina, Cile, Ecuador
e Uruguay si espandono eucalipti e pini, mentre Malesia, Indonesia, Papua Nuova
Guinea, Colombia e Venezuela aumenta la coltivazione della palma da olio.
Da un'analisi approfondita dei casi concreti le piantagioni monocolturali
tendono a svilupparsi in aree anteriormente forestali con effetti disastrosi
soprattutto sulla biodiversità, sulle risorse idriche, sull'inquinamento delle
falde acquifere e sull'atmosfera attraverso l'uso di pesticidi e fertilizzanti;
inoltre, si sono notati casi preoccupanti riguardanti: l'espulsione di intere
comunità indigene dalle proprie terre ancestrali, che sicuramente andranno ad
aumentare il numero degli emarginati sociali se non supportati da idonee
politiche di integrazione, la violazione di diritti umani, ambientali e sociali
(soprattutto ai danni delle donne) attraverso la diffusione della violenza e la
perdita di ecosistemi di essenziale importanza.
Circa il 70 per cento della biodiversità terrestre vive nelle foreste, che
svolgono un ruolo essenziale nell'assicurare rifugio, protezione, risorse e
valori spirituali a milioni di persone.
Friends of the Earth e il World Rainforest Movement hanno presentato alla FAO
diversi casi studio sull'effetto delle piantagioni industriali sull'ecosistema
forestale, ma la situazione non sembra mutare.
La definizione di foresta e i REDD necessitano di norme certe soprattutto
riguardo la proprietà dei territori interessati per avviare progetti che non
siano destinati a distruggere le condizioni sociali di individui già in
equilibrio con l'ambiente circostante, ma a preservarle come un archetipo di
comportamento ecologicamente sostenibile, di guisa il sistema REDD e le norme ad
esso collegate pongono importanti questioni morali e giuridiche sia riguardo la
proprietà terriera della foresta da preservarsi che riguardo il diritto di
proprietà delle riduzioni delle emissioni.
È certamente evidente che da un lato, in assenza di diritti riguardanti la
proprietà e la superficie dei territori interessati, i popoli indigeni delle
foreste e di altre comunità dipendenti dalle medesime terre non avranno garanzie
e non riceveranno alcuna forma di incentivi REDD o ricompense per gli sforzi di
preservazione delle foreste attuati fino ad oggi.
Dall'altra invece, possono nascere delle controversie territoriali in alcuni
stati carenti di normative chiare e quindi soprattutto dittatoriali, comportando
una “conquista” vera e propria delle foreste ad opera degli stati o di società a
danno dei legittimi proprietari con lo scopo di rivendere gli appezzamenti di
terreno a prezzo maggiorato.
Questa previsione già si è avverata perché da un lato negli ultimi anni si
stanno notando degli incrementi illogici riguardo i prezzi dei territori che
potrebbero potenzialmente arrestare il processo di riduzione delle emissioni e
dall'altro l'esperienza ci mostra che molti progetti forestali sono avviati in
stati con regimi dittatoriali e con la mancanza dei diritti umani,
dovesicuramente sarà più difficile risalire ai legittimi proprietari.
Purtroppo dallo scenario analizzato appare cristallino che secondo tali basi i
REDD rischiano di incentivare e compensare chi ha disboscato le aree forestali
per crearvi piantagioni monocolturali invece di redistribuire questi fondi verso
le popolazioni che hanno realmente preservato queste zone.
I REDD possono diventare uno strumento molto importante per ridistribuire le
risorse nel mondo così da alleviare la povertà dei paesi in via di sviluppo ed
incrementare il benessere ed i cambiamenti politico- legislativi.
A tal fine, l'esclusione delle piantagioni da una nuova definizione di foresta
appare un requisito indispensabile per l'efficienza dei REDD.
La definizione di foresta come garanzia esclusiva delle aree forestali
primarie:
Come abbiamo avuto modo di notare la definizione di foresta così come è stata
proposta dai maggiori esperti in materia rischia di incrementare, o quantomeno
agevolare la deforestazione delle aree boschive primarie, oltre che comportare
fenomeni sociali deprecabili.
Per tali motivi appare necessario modificare tale definizione al fine di
recuperare i principi fondanti di tale enunciato.
Purtroppo il tempo passa inesorabilmente e con estrema velocità per questo
servono risposte rapide e funzionali così da arginare i casi problematici
derivanti dalla riduzione delle emissioni.
Inoltre, abbiamo sottolineato come l'inefficienza di tale definizione comporti
nelle aree disagiate del mondo gravi violazioni soprattutto riguardanti i
diritti umani.
Per ottimizzare la definizione di foresta e risolvere tali problemi denunciati
bisognerà considerare le seguenti tematiche.
Primariamente, analizzando la definizione di foresta possiamo notare che è stata
descritta in termini selvicolturali e soprattutto con carattere territoriale.
Inoltre, quest'enunciato ha esteso la qualità di foresta ad altre realtà come le
piantagioni, che a mio parere hanno ben poco in comune fra loro , rendendole
sostanzialmente uguali e commutabili.
Questa scelta è poco ponderata soprattutto alla luce degli effetti descritti.
Infondo qualora si pensasse alla foresta come categoria generale, intesa come
archetipo, potremo immaginare un insieme di alberi così fitti da sembrare
impenetrabili ma non solo, infatti avremo nitida anche la visione di un
sottobosco, di corsi d'acqua, di insetti, di animali che abitano quelle zone.
In pratica stiamo immaginando un ecosistema.
Sarebbe migliore definire la foresta in termini biologici piuttosto che
selvicolturali, per questo motivo è un errore individuare le selve come semplici
territori con determinate caratteristiche, perché tali realtà comprendono molti
altri requisiti oltre ai semplici vincoli numerici.
Dunque per rendere la definizione analizzata maggiormente esaustiva bisognerebbe
descrivere la foresta come:
“Un ecosistema naturale caratterizzato da una presenza arborea più o meno
densa a seconda delle zone climatiche ma con una soglia minima del 10% presente
su una superficie superiore a 0,5 ha e con un'altezza minima di 6m per le specie
presenti in piena maturità; sono compresi i giovani popolamenti naturali anche
se questi attualmente non coprono il 10% della superficie e sono privi di
copertura arborea, per intervento dell'uomo o per cause naturali, ma che
sono destinati a rigenerare un ecosistema forestale originario”.
In questo modo sarà possibile eliminare i problemi suesposti, infatti con la
sostituzione del termine “superficie” con “ecosistema” si muta radicalmente la
materia di riferimento della norma, così da traslare il vincolo giuridico da un
territorio al rispetto delle forme di vita presenti in esso: sia biotiche (es.
animali) che abiotiche (fattori ambientali).
Inoltre, sarebbe opportuno elevare di un ulteriore metro l'altezza minima dei
vincoli forestali - in senso simbolico - così da estromettere completamente
alcune tipologie di alberi e piante come la Erythroxylum coca (dalla quale si
può ricavare dopo alcune reazioni chimiche la cocaina) e la Canapa (meglio nota
come Cannabis Sativa) le quali possono raggiungere altezze in piena maturità
comprese fra i quattro o cinque metri, così da conformarsi ai limiti approvati
dall'UNFCCC e ciò comporterebbe un incentivo per tipologie di coltivazioni
illegali e socialmente pericolose.
Eliminare del tutto il termine “piantagione” è un altro elemento distintivo
rispetto alla definizione originaria così da evitare interpretazioni non
conformi con la ratio del legislatore ed evitare confusioni su realtà ben
distinte per biodiversità e aspetto come: la foresta e le piantagioni.
È opportuno sottolineare il richiamo sagace alla rigenerazione di un “ecosistema
forestale originario” così da evitare qualsiasi strumentalizzazione per
disboscare aree che abbiano le potenzialità per aumentare il volume delle
foreste.
Questa scelta terminologica è stata soprattutto un'opzione ponderata per fissare
l'attenzione sul punto fondamentale della definizione proposta cioè
l'ecosistema.
Aspettando i responsi del vertice di dicembre di Copenaghen, che ha lo scopo di
approvare una definizione di foresta più efficiente per creare l'architettura
dei REDD e delineare la politica ambientale per il post-Kyoto, possiamo solo
confidare nell'intervento di stati responsabili finalizzato all'ottimizzazione
degli obiettivi ambientali e all'approvazione di definizioni chiare e prive di
interpretazioni contrarie alla ratio della preservazione delle foreste.
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1
http://209.85.135.132/search?q=cache:g5WQqxg0SKoJ:www.fao.org/docrep/009/a0413e/a0413E06.htm+FAO+deforestation+20%25+emission&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it&client=firefox-a
2 “è una superficie di terreno minima di 0,05-1,0 ettaro, con
copertura arborea (o densità equivalente) superiore al 10-30 per cento con gli
alberi di potenziale raggiungimento minimo di 2-5 metri di altezza in piena
maturità. Una foresta può consistere sia di formazioni forestali chiuse dove gli
alberi dei vari piani e sottobosco coprono una percentuale elevata del terreno o
foreste aperte. Giovani esemplari arborei naturali e tutte le piantagioni che
non hanno ancora raggiunto una densità di chioma del 10-30 per cento albero o
altezza di 2-5 metri sono inclusi nella definizione di foresta, come lo sono le
zone normalmente facenti parte della superficie forestale che sono
temporaneamente non definibili come stock di carbonio a seguito di intervento
umano, come la raccolta o per cause naturali, ma delle quali si prevede il
rimboschimento”.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 10/12/2009