AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Alcuni aspetti di un nuovo problema: l’inquinamento acustico sottomarino.
LORENZO CRISTOFARO
«Molti ritengono il mare il mondo del silenzio, ma non è così»1.
Il suono si propaga sotto la superficie dell’acqua in modo più efficiente e
veloce che nell’aria e su distanze molto maggiori2.
Non deve meravigliare, dunque, che suoni e rumori nell’ambiente marino, più che
l’eccezione, rappresentino la regola. Alcuni di questi hanno natura geofisica,
come la pioggia, le onde, i movimenti dei ghiacci e i terremoti, altri invece,
biologica, come quelli prodotti da numerose specie marine per orientarsi,
nutrirsi, comunicare e proteggersi3.
A questi suoni naturali, negli ultimi anni, se ne sono aggiunti molti altri
prodotti dall’uomo, caratterizzati da un’intensità e una diffusione tali, da
aver quasi completamente coperto i rumori dell’ambiente marino. Le fonti
principali sono state individuate nella navigazione, nell’attività di estrazione
di gas e petrolio dai fondali, in quella di ricerca dei relativi giacimenti e,
soprattutto, nell’utilizzo dei sonar attivi da parte delle navi militari e
commerciali. Si deve considerare, inoltre, il rumore prodotto durante le
attività di dragaggio e di costruzione di qualunque struttura in mare, quello
causato dall’utilizzo dei dispositivi pinger4
per le attività di pesca e di acquacoltura ed il rumore proveniente dallo spazio
sovrastante la superficie dell’acqua, come quello causato dei generatori eolici.
Considerando le fonti di maggior impatto sull’ambiente marino, bisogna
specificare che le caratteristiche del rumore provocato dalle navi variano in
relazione al tipo di imbarcazione, alle sue dimensioni, al tipo di propulsione,
alla sua progettazione e alla velocità di crociera5:
è stato provato, però, che il solo suono prodotto dalla cavitazione dell’elica
può arrivare a diffondersi in un raggio di centinaia di chilometri intorno alla
nave che lo ha generato6.
Per quanto riguarda, invece, l’attività di ricerca dei giacimenti di
combustibili fossili, si deve considerare il sempre più frequente impiego, da
parte dell’industria del settore, del sistema delle prospezioni sismiche, che
risulta ecologicamente distruttivo7.
Il metodo utilizzato per individuare i depositi di gas e petrolio consiste,
infatti, nella scansione dell’intera zona prescelta mediante dei dispositivi
detti “airguns” (cannoni d’aria) che, trainati da apposite navi, emettono
suoni per via dell’introduzione nella colonna d’acqua di aria ad altissimi
livelli di pressione: l’eco di questi suoni, riflessa dal fondale, rivela
presenza, profondità e tipologia del giacimento. Ma la forma di rumore antropico
più devastante sugli ecosistemi marini è quella prodotta dai sonar attivi,
utilizzati per scopi militari o civili, in grado di produrre onde che si
diffondono per centinaia di chilometri in mare. E’ scientificamente provato che
l’utilizzo di questi dispositivi di localizzazione può provocare, in alcune
specie, in particolare nei cetacei8,
oltre al già grave effetto di mascheramento9,
anomalie nel comportamento, perdita temporanea o permanente dell’udito, lesioni
gravi e, in alcuni casi, persino la morte10.
Nel corso degli ultimi anni si sono documentati, in ogni parte degli oceani,
numerosi e frequenti episodi di spiaggiamenti di mammiferi marini, sempre in
concomitanza con esercitazioni di navi militari che utilizzavano apparecchiature
sonar. Analisi necroscopiche sui cetacei e approfonditi studi in materia da
parte di prestigiosi istituti scientifici ed altri enti di ricerca, hanno
fornito prove inconfutabili circa il nesso di causalità sussistente tra
l’utilizzo dei sonar e la morte degli animali11.
La gravità delle conseguenze prodotte dal rumore antropico sugli ecosistemi
marini, dunque, ha portato all’attenzione della comunità internazionale una
nuova urgente questione ambientale. Dal punto di vista della qualificazione
giuridica, dato che il suono costituisce una forma di energia, si considera
l’introduzione di rumore nell’ambiente marino da parte dell’uomo, come una forma
di inquinamento. Nella Convenzione sul diritto del mare del 1982, infatti,
questo è definito come «l'introduzione diretta o indiretta, ad opera
dell'uomo, di sostanze o energia nell'ambiente marino ivi compresi gli estuari,
che provochi o possa presumibilmente provocare effetti deleteri quali il
danneggiamento delle risorse biologiche e della vita marina (omissis)..»
(art. 1). Tale conclusione, già raggiunta nell’ambito di alcune ONG
internazionali, è stata recentemente sottolineata dalla Comunità europea nella
Direttiva quadro sull’ambiente marino (2008/56/CE), in cui si è espressamente
incluso, tra le forme di inquinamento, anche quello acustico sottomarino12.
La Commissione lo ha definito come «l'introduzione intenzionale o accidentale
di energia acustica nella colonna d'acqua, da fonti puntuali o diffuse»13.
Gli Stati, dunque, rebus sic stantibus, in attesa che ulteriori ricerche
forniscano una panoramica più completa sulla materia, sono tenuti ad affrontare
il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento
transfrontaliero. Sotto il primo punto di vista, rileva il fondamentale
principio secondo cui l’assenza di certezza scientifica, qualora sussista il
pericolo di danni gravi o irreversibili, non esonera gli Stati dal dovere di
predisporre misure efficaci per evitare il degrado ambientale (Principio 15
della Dichiarazione di Rio). In base al secondo principio, invece, tutti i Paesi
devono assicurare che «le attività condotte sotto la propria giurisdizione e
sotto il proprio controllo avvengano in modo tale da non provocare danno da
inquinamento ad altri Stati e al loro ambiente» (art. 194 UNCLOS). Dunque, a
prescindere dalla mancanza di disposizioni ad hoc nella normativa
internazionale, si deve vigilare affinché il rumore sottomarino prodotto da
attività soggette alla propria giurisdizione non determini effetti dannosi sugli
ecosistemi di altre nazioni, coerentemente con il generale «obbligo di
proteggere e preservare l’ambiente marino» (art. 192 UNCLOS). Gli Stati
devono cooperare, direttamente o tramite le competenti organizzazioni
internazionali, al fine di promuovere studi e sviluppare programmi di ricerca
scientifica sull’inquinamento acustico sottomarino, scambiandosi informazioni e
dati al riguardo e aggiornando le rispettive normative sulla base dei risultati
acquisiti. Gli stessi sono chiamati, inoltre, a garantire la protezione di tutte
le specie a rischio, sulla base di quanto disposto dalla Convenzione sulla
diversità biologica e dal relativo Piano d’azione del 2006 della Comunità
europea (PAB), oltre a tutti gli accordi di carattere regionale in materia. Tra
i vari ricordiamo, in particolare, l’ASCOBANS, (Accordo per la protezione dei
piccoli cetacei nel Mar Baltico e nel Mare del Nord), che nel 2003 ha disposto
l’obbligo per gli Stati contraenti di ridurre concretamente l’impatto sui
mammiferi marini del rumore derivante dal traffico navale, dai rilievi sismici e
dai sonar militari e l’ACCOBAMS (Accordo per la conservazione dei cetacei nel
Mediterraneo, nel Mar Nero e nella contigua area atlantica), di cui è parte
anche l’Italia, nel cui ambito l’anno successivo si è adottata una risoluzione
per evidenziare la potenzialità lesiva di questo tipo d’inquinamento su alcune
specie marine. E’ opportuno sottolineare, come esempio di approccio di
precauzione, la risoluzione che il Parlamento europeo ha adottato nel 2004, in
seguito ad una serie di spiaggiamenti sospetti avvenuti nel Mediterraneo, con
cui si sono invitate le Parti ad una moratoria nell’utilizzo dei sonar militari
attivi, in attesa di prove conclusive sulla sicurezza del loro utilizzo (B6
0089/2004). Il problema dell’inquinamento acustico sottomarino, al momento, è
all’esame di numerose organizzazioni internazionali, tra cui, in particolare, le
Nazioni Unite, l’Organizzazione del trattato antartico (ATS) e la Commissione
baleniera internazionale (IWC). In mancanza della possibilità di disciplinare il
rumore derivante dalla navigazione mediante l’adozione di un nuovo allegato
ad hoc della Convenzione MARPOL, dato che la stessa si applica alle sole
forme di inquinamento da sostanze e non da energia (art. 1), a meno di una
modifica della normativa pattizia, sembra che la sede più opportuna per
l’elaborazione di una regolamentazione internazionale in materia resti l’IMO.
Nel frattempo, ad aprile del 2008, si è svolto ad Amburgo un seminario
multidisciplinare sul rumore prodotto dalle navi14,
in cui si è elaborata una dichiarazione contenente una proposta, de iure
condendo, di ridurre progressivamente l’impatto di questo tipo di
inquinamento entro 30 anni15.
Si consideri, oltretutto, che nell’ultimo rapporto elaborato dal Foro
intergovernativo sul cambiamento climatico16
(IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change)17,
si è segnalato che il crescente livello di acidificazione dei mari, dovuto alle
maggiori quantità di biossido di carbonio disciolto (CO2) nell’acqua,
può provocare persino un aumento dell’inquinamento acustico sottomarino, dato
che ad una crescita del grado di acidità corrisponde inevitabilmente una
riduzione della capacità dell’acqua di assorbire suoni a bassa frequenza.
Infine, in occasione della nona Conferenza delle Parti alla Convenzione sulle
specie migratorie (CMS)18,
tenutasi a Roma nel dicembre del 2008, la Comunità europea ha presentato una
bozza di risoluzione con varie proposte per il futuro, tra cui in particolare
l’istituzione di “aree protette dal rumore”, un maggiore monitoraggio dei
livelli di inquinamento acustico sottomarino e banche dati dei rumori antropici
più dannosi.
1 G. NOTARBARTOLO DI
SCIARA, Inquinamento acustico e cetacei: una scomoda verità, in www.edinat.it,
2008, n. 4.
2 È fondamentale comprendere che soprattutto il suono a bassa
frequenza si sposta molto bene in acqua e che i suoni forti a bassa frequenza
possono essere uditi da animali in aree molto vaste (fino al livello di interi
bacini oceanici). Questo aspetto può avere implicazioni importanti relativamente
alla gestione delle aree protette, poiché le fonti di rumore che hanno un
impatto significativamente negativo sugli animali all'interno dell'area
potrebbero avere origine a decine o centinaia di chilometri di distanza.
3 Sono molto importanti e numerose le funzioni vitali dei
cetacei basate sul suono: la ecolocalizzazione (gli odontoceti emettono suoni di
alta frequenza tra 50.000 e 150.000 Hz che forniscono l'immagine ecografica
dell'ambiente circostante), la navigazione (i misticeti emettono suoni di bassa
frequenza, attorno ai 20 Hz, che come un profondimetro forniscono informazioni
sull'ambiente circostante e che, essendo scarsamente attenuati dall'acqua,
possono essere uditi anche a centinaia di chilometri di distanza), la
comunicazione (per identificare i singoli individui, per mantenere la gerarchia
e la coesione nel gruppo, per avvertire delle minacce, per conquistare la
femmina ed anche nel rapporto tra madre e cucciolo) e, infine, per stordire le
prede con l'emissione di intense onde sonore capaci di immobilizzare i pesci.
4 I cosiddetti "pinger" sono dispositivi che emettono un suono
stridulo che ha lo scopo di allontanare i mammiferi marini (e altre specie) da
attrezzature da pesca e impianti di acquacoltura.
5 L’impatto più dannoso è quello provocato dal rumore delle navi
mercantili: queste, infatti, oltre a costituire la maggior parte della flotta
mondiale, generano rumore principalmente nella fascia 10-1000 Hz, interferendo
in tal modo con i suoni prodotti dalla maggior parte delle specie marine, in
particolare le balene.
6 La cavitazione è un fenomeno fisico consistente nella
formazione di zone di vapore all'interno di un liquido, che implodono producendo
un rumore caratteristico. Ciò avviene a causa dell'abbassamento locale di
pressione ad un valore inferiore alla tensione di vapore del liquido stesso, che
subisce così un cambiamento di fase, formando cavità contenenti vapore.
Sull’inquinamento acustico sottomarino provocato dalle navi, I. PAPANICOLOPULU,
Navi e inquinamento acustico sottomarino. Il seminario di Amburgo (21-23 aprile
2008), in Riv. giur. ambiente, 2008, n. 5, pag 904 ss; N. FERRI, Il rumore
sottomarino: gli aspetti giuridici di un nuovo problema degli spazi oceanici, in
Riv. giur. ambiente, 2007, n. 6, pag 1103 ss.
7 Tra il 2001 e il 2003 ben nove calamari giganti (Architeuthis
dux), sono stati trovati morti al largo delle coste della Spagna. In tutti i
casi il rinvenimento degli animali è avvenuto in zone dove alcune compagnie
petrolifere stavano effettuando prospezioni sismiche del fondo marino in cerca
di giacimenti. L'operazione viene effettuata emettendo impulsi sonori a bassa
frequenza, meno di 100 Hz, verso il fondale: tali impulsi generano dei
“miniterremoti” e lo studio della propagazione delle onde sismiche nelle rocce
consente ai ricercatori di determinare la conformazione geologica del fondo.
Tutti e nove i calamari presentavano evidenti danni all'apparato uditivo:
storditi dagli impulsi, hanno nuotato verso la superficie, morendo soffocati a
causa dell'acqua troppo calda.
8 Può forse stupire che tra tutti gli animali quelli che più
soffrono per l'inquinamento acustico siano i cetacei, mammiferi marini divisi
nelle classi degli odontoceti (carnivori, forniti di denti, come delfini ed
orche) e dei misticeti (grandi balene fornite di fanoni e che si nutrono di
plancton e krill). In realtà essi vivono in un ambiente scarsamente illuminato,
nel quale la vista non può essere il senso principale e si basano quindi, quasi
esclusivamente, sui suoni per conoscere l'ambiente circostante e per comunicare.
9 La mascheratura è un processo in cui l'aggiunta di rumore
eteroprodotto al naturale suono di fondo dell’ambiente, sempre presente, rende
più difficile all'animale interessato rilevare un segnale particolare (suoni di
comunicazione, suoni di ecolocalizzazione, suoni provenienti da prede o
predatori). All'interno della zona di mascheramento, infatti, le distanze tra i
soggetti di una determinata specie possono essere inferiori rispetto all'esterno
della zona.
10 Si vedano gli studi effettuati nell’ambito della Division
for Ocean Affairs and the Law of the Sea, in sede ONU, consultabili sul sito
www.un.org/depts/los/general_assembly/noise/noise.htm.
11 Si veda, tra i vari, P.D. JEPSON e al., Gas-bubble lesions
in stranded cetaceans, pubblicato su Nature, n. 425, 2003, p. 575 ss. Alla fine
di settembre del 2002, quindici cetacei della famiglia degli zifidi, furono
trovati morti sulle spiagge delle Isole Canarie. A poche miglia dalla costa
alcune navi militari erano impegnate in esercitazioni che involgevano l’utilizzo
di sonar attivi. Ricerche sui cadaveri dei cetacei hanno dimostrato la presenza
di emorragie interne, emboli nei polmoni e lesioni a vari organi del corpo.
L’ipotesi più verosimile è che il suono abbia il potere di mandare nel panico
gli animali nel corso delle loro profonde immersioni, inducendoli a emergere in
fretta e senza seguire le procedure adeguate a purgare i tessuti dai gas
respiratori disciolti nei loro tessuti durante l’immersione.
12 L’art. 3, n. 8, definisce l’inquinamento come «introduzione
diretta o indiretta, conseguente alle attività umane, di sostanze o energia
nell’ambiente marino, compreso il rumore sottomarino prodotto dall’uomo, che
provoca o che può provocare effetti deleteri come danni alle risorse biologiche
e agli ecosistemi marini, inclusa la perdita di biodiversità».
13 Commissione europea, Linee guida per l'istituzione della
rete Natura 2000 nell'ambiente marino, maggio 2007, p. 108. Consultabile in
www.ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/marine.
14 Seminario scientifico “Noise from Shipping Operations and
Marine Life: Technical, Operational and Economic Aspects of Noise Reduction”,
convocato dall’ONG Okeanos, Foundation for the sea, Amburgo, 21-23 aprile, 2008.
I documenti elaborati nel corso dell’incontro sono consultabili sul sito
www.okeanos-stiftung.org/okeanos/foundation.php.
15 Precisamente l’obiettivo stabilito dal seminario è quello di
ridurre il rumore delle navi nella fascia dei 10-300 Hz di 3db entro 10 anni e
di 10 db entro 30.
16 Climate change 2007, Synthesis Report, p. 52.
17 L'Intergovernmental Panel on Climate Change è il foro
scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, la World
Meteorological Organization (WMO) e l'United Nations Environment Programme (UNEP)
allo scopo di studiare il riscaldamento globale. L'IPCC non svolge direttamente
attività di ricerca né di monitoraggio o raccolta dati, ma fonda le sue
valutazioni principalmente su letteratura scientifica pubblicata in seguito a
revisione paritaria (peer review). L'attività principale dell'IPCC è la
preparazione a intervalli regolari di valutazioni esaustive e aggiornate delle
informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per la
comprensione dei mutamenti climatici indotti dall'uomo, dei loro impatti
potenziali e delle alternative di mitigazione e adattamento disponibili per le
politiche pubbliche. Finora sono stati pubblicati quattro rapporti, di cui
l’ultimo nel 2007.
18 La Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici,
o Convenzione di Bonn, è stata adottata sotto l’egida dell’UNEP con l'obiettivo
di proteggere e conservare le specie migratrici terrestri, marine, avicole ed i
loro habitat. Entrata in vigore nel novembre del 1983, la CMS è una delle poche
convenzioni internazionali che protegga specie e habitat su scala globale. Sia
l’ACCOBAMS che l’ASCOBANS sono stati conclusi sotto gli auspici di questa
Convenzione.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 20/10/2009