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Convenzione (non ancora in vigore) sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d'acqua internazionali diverse dalla navigazione - ed altro - adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, in data 21 maggio 1997
ANNIBALE SILVERIO*
Premessa. I. Struttura della Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei
corsi d’acqua internazionali diverse dalla navigazione [CUADN]. 1. Caratteri
generali della CUADN. 1.1 Navigazione fluviale. II. I principi o le norme
programmatiche contenuti dalla CUADN. 1. Principio dell’utilizzazione equa e
ragionevole. 1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole. 1.1.1. Il
sistema di ripartizione delle acque. 1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento
delle risorse idrauliche. 1.2. Il sistema del controllo o della regolazione.
1.2.1 Altre convenzioni internazionali. 2. L’optimum utilization e protezione
adeguata dei corsi d’acqua internazionali. 2.1. Altre convenzioni
internazionali. 3. La cooperazione tra Stati rivieraschi. 3.1. L’obbligo di
informare gli altri Stati rivieraschi. 3.2. La cooperazione per la protezione
delle acque. 3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento. 3.2.2.
La protezione dall’introduzione di nuove specie. 4. Misure da adottarsi in caso
di significante danno prodotto. III. Sesta Parte della CUADN: Disposizioni varie
che riguardano situazioni di conflitto armato, procedure indirette, dati ed
informazioni vitali per la difesa o la sicurezza nazionali e la non
discriminazione. IV. La soluzione delle controversie. V motivi per i quali la
CUADN non è entrata ancora in vigore. 1. Natura della CUADN. 2. La scarsa
efficacia ed incisività della CUADN. 3. Osservazioni finali.
PREMESSA
Se nei secoli scorsi i corsi d’acqua (internazionali) erano utilizzati per
la navigazione, la pesca, trasporto di legname e svaghi vari, il progresso
tecnologico ha mutato visibilmente lo scenario spingendo gli Stati a
disciplinare l’uso e (l’approvvigionamento) dei corsi d’acqua per fini diversi
dalla navigazione.
L’uso dell’acqua per fini diversi dalla navigazione comprende, innanzitutto,
tutte quelle operazioni relative al settore agricolo (irrigazione, drenaggio,
smaltimento dei rifiuti ed eventuali altri bisogni richiesti dall'agricoltura)1.
Tali operazioni difficilmente consentono di recuperare l’acqua utilizzata e,
quand’anche fosse possibile, essa sarebbe alterata dai fertilizzanti, dagli
insetticidi e dai diversi rifiuti agricoli.
Oppure, esigenze commerciali ed industriali (produzione di energia -
idroelettrica, nucleare e meccanica - industrie, costruzione, trasporti al di
fuori della navigazione, o frazione del legno, smaltimento dei rifiuti,
industrie estrattive, minerarie e petrolifere ecc.)2.
Le industrie utilizzano i corsi d’acqua per eliminare i rifiuti industriali che
in molte regioni del mondo sono aumentati in modo tale da non consentire più ai
corsi d'acqua di riceverli. L'assorbimento dei rifiuti industriali è complicato
ulteriormente dalla produzione di una grande varietà di prodotti sintetici non
biodegradabili, dal rigetto di grandi quantitativi di acqua calda che derivano
da processi industriali o da sistemi di produzione di energia.
Infine, l’uso dell’acqua per fini sociali e domestici a causa
dell'urbanizzazione3
che esige sempre di più delle quantità considerevoli di acqua dolce e di buona
qualità per fini domestici (consumo di bibite, cucina, lavaggio, pulitura ecc.).
L'utilizzo dell'acqua per fini domestici trae la propria fonte, maggiormente,
dalla rete di drenaggio talvolta impoverita da scarichi di varia natura (rifiuti
industriali e domestici che non sono biodegradabili). Gli effetti prodotti dagli
scarichi industriali e domestici sono disastrosi. L'utilizzo dell'acqua per fini
sociali occupa un ruolo importante se si considera il risvolto
sociale-umanitario. Le molteplici possibilità ricreative che offrono i laghi e
fiumi (o corsi d'acqua) - pesca sportiva o dilettantistica, gare di nuoto,
sports nautici ecc. - possono influire ulteriormente sulla quantità e la qualità
dei corsi d'acqua.
Le considerazioni che precedono – richiesta d’acqua sempre maggiore, nonostante
la possibilità di autorinnovamento dei corsi d’acqua internazionali4
– pone una questione di giustizia distributiva dell’acqua: in che misura un
paese si può arrogare un diritto, dal proprio territorio, di deviare un corso
d'acqua per un proprio uso se questa deviazione toglie ad un altro Stato la
possibilità di utilizzare l'acqua per un medesimo motivo5.
Indubbiamente, per evitare o dirimere eventuali controversie internazionali la
soluzione più adatta è il ricorso ad un accordo internazionale, bilaterale o
multilaterale, a seconda dei casi.
Risoluzioni pertinenti dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e
sociale evidenziano che su tale questione devono considerarsi due ordini di
rapporti: quello tra una data risorsa naturale e gli Stati terzi, e quella tra i
paesi che si contendono questa risorsa naturale. Nel secondo caso non si tratta
di una questione di sovranità: in tale ipotesi, infatti, è necessario definire i
diritti delle parti, tenendo conto che se uno di questi supera i suoi diritti
avanzando pretese di sovranità, la risorsa rischia di essere impoverita in
rapporto agli altri che possono, allo stesso modo, rivendicare la loro
sovranità. In compenso, conviene proteggere gli interessi degli Stati che si
contendono le risorse naturali dagli Stati terzi (A/CN.4/SR.1609, punti 3-4, in
Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I).
Le diverse esigenze di utilizzo dell’acqua – che rappresentano la causa più
frequente delle controversie internazionali in materia – riguardano non solo gli
Stati rivieraschi, ma anche questi ultimi e gli altri paesi che utilizzano, per
fini industriali ed agricoli, l'energia idraulica dei corsi d'acqua che
attraversano, ad esempio, dei laghi.
Ed ancora, i corsi d’acqua possono segnare la frontiera tra due Stati6,
o attraversare il territorio di due o più Stati e possono essere utilizzati da
alcuni, per fini diversi, tali da poter causare delle ripercussioni, favorevoli
o sfavorevoli, sulle acque che scorrono in un altro Stato.
Sembra evidente che, laddove un corso d’acqua costituisca o superi un
territorio, si “trascini dietro di sé” una sorta di diritti e doveri che
richiedono di essere tradotti in un contesto particolare, conformemente agli
interessi di natura fisica e/o economica. Nella prassi è molto difficile che gli
Stati rivieraschi, infatti, siano disposti a stabilire, in un accordo
internazionale, una sorta di condominio su ogni bacino fluviale che superi una
frontiera internazionale.
Piuttosto ritengono addirittura opportuno estendere la responsabilità per danni
anche agli altri che attraversano il bacino fluviale o, al contrario, disporre
che i vantaggi generati dallo sviluppo siano oggetto di una regolamentazione
equa.
Le divergenze – scaturenti dalla frequente interdipendenza delle risorse idriche
condivise - implicano delle soluzioni più ampie rispetto a dei semplici accordi
che potrebbero intercorrere tra gli Stati rivieraschi. Magari, l’adozione di un
accordo internazionale a vocazione universale.
I. STRUTTURA DELLA CONVENZIONE SUL DIRITTO DELLE UTILIZZAZIONI DEI CORSI D’ACQUA
INTERNAZIONALI DIVERSE DALLA NAVIGAZIONE [CUADN]
1. Caratteri generali della CUADN
La Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua
internazionali diverse dalla navigazione [CUADN] - adottata dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite 21 maggio 1997 - si pone l’obiettivo di
disciplinare gli usi dei corsi d’acqua internazionali7
diversi dalla navigazione. Tuttavia, il par. 2 dell’art. 1 [CUADN] non esclude
completamente dal campo di applicazione della convenzione il fine della
navigazione nonostante la vigenza di numerosi trattati internazionali che si
occupano principalmente di tale questione8,
essendo i bisogni della navigazione influenti sul volume e sulla qualità
dell’acqua disponibile per altri fini.
Con l’espressione “corsi d’acqua” s’intende un sistema di acque di superficie e
sotterranee – non captives - che costituisce, per le loro caratteristiche
fisiche, un complesso unitario che sbocca normalmente in uno stesso punto comune
[art. 2, punto a, CUADN]9.
Un complesso unitario che può essere costituito da fiumi, laghi, falde
acquifere, ghiacciai, serbatoi d’acqua o d’irrigazione, canali. Dal momento che
questi elementi sono collegati tra loro essi fanno parte di un corso d’acqua10.
Per esempio, una corrente d’acqua può penetrare nel suolo sottostante, che si
estende oltre i limiti della corrente, per poi ricomparirvi, passare nel lago
che si riversa in un fiume, essere deviato in un canale e diretto in un
serbatoio, e così via.
Non tutti corsi d’acqua internazionali, tuttavia, sboccano in punto comune. Ciò
spiega perché il par. b dell’art. 2 [CUADN] comprenda l’espressione
“normalmente”. Inserendo i redattori l’avverbio “normalmente” hanno voluto tener
conto delle esperienze acquisite nel campo dell’idrologia moderna e della
conoscenza della complessità del movimento delle acque come il Danubio e il
Reno, oltre che di alcuni casi particolari come il Rio Grande, l’Irrawaddy,
il Mékong e il Nilo. Nel caso del Danubio e del Reno si segnala, infatti,
che questi due fiumi internazionali non formano un unico e medesimo sistema,
sicché, in un certo periodo dell’anno, delle acque del Danubio si gettano, sotto
forma di acque sotterranee, nel Reno attraverso il lago di Costanza. Nel caso di
altri fiumi (come il Rio Grande ecc.) che dovessero rientrare nel novero
dell’espressione «un système d’eaux de surface et d’eaux souterraines
costituant du fait de leurs relations physiques un ensemble unitaire», si
rileva, tuttavia, che questi si gettano, interamente o parzialmente, nel mare
attraverso le acque sotterranee, o una serie di bracci o di defluenti separati e
distanti gli uni dagli altri fino a 300 km, ovvero si riversano in certi periodi
dell’anno nei laghi o nel mare.
Le acque di superficie e sotterranee sono già disciplinate, relativamente alla
loro protezione dall’inquinamento derivante dal loro sfruttamento quantitativo,
in una serie di dichiarazioni non vincolanti, di convenzioni internazionali e di
direttive comunitarie (es., la direttiva del Consiglio 80/86/CEE del 17 dicembre
1979 è specificamente dedicata alla protezione delle acque sotterranee
dall’inquinamento)11.
In assenza di un accordo o di una consuetudine in seno contrario, la
convenzione-quadro non privilegia, tra i tanti che si intrecciano, un utilizzo
di un corso d’acqua internazionale rispetto agli altri [art. 10, par. 1, CUADN]
– principio già enunciato nella Risoluzione adottata nel 1966 dal Consiglio
economico e sociale interamericano sulla regolamentazione e l’uso economico dei
corsi d’acqua, dei bacini e degli accidents idrografici dell’America
Latina. E in seguito, nell’art. VI delle Regole di Helsinki12.
In caso di contrasto tra le diverse modalità di uso di un corso d’acqua
internazionale, la controversia dev’essere composta ai sensi degli artt. 5-7 [CUADN],
con particolare attenzione alla soddisfazione dei bisogni umani essenziali (art.
10, par. 2). Il “conflit” di cui si fa menzione nel par. 2, [CUADN] è un
contrasto tra gli usi di un corso d’acqua internazionale e non un “conflit”
o una controversia tra i paesi interessati del corso d’acqua. Il par. 2, ultima
parte, [CUADN] riserva una particolare attenzione ai bisogni umani, nel senso
che gli Stati sono tenuti a vigilare affinché la fornitura d’acqua sia
sufficiente per soddisfare i bisogni umani, sia che si tratti di acqua potabile,
sia dell’acqua riservata alla produzione dei viveri destinati ad impedire la
fame13.
La navigazione, infatti, può influire sugli altri fini (es., la navigazione può
inquinare dei corsi d’acqua diminuendo la possibilità di usi diversi dalla
navigazione) sì da porre in essere, a volte, un rapporto di interdipendenza. Per
questo la CUADN si occupa anche delle misure atte a conservare e gestire l’uso
di questi corsi d’acqua (art. 1) implicando una cooperazione tra gli Stati
rivieraschi. L’istituzione di commissioni internazionali tra gli Stati
rivieraschi rappresenta una delle manifestazioni della cooperazione
internazionale fluviale.
1.1. Navigazione fluviale
Un corso d’acqua internazionale può anche essere utilizzato come trasporto
fluviale transfrontaliero di passeggeri, di veicoli, di merci tra i porti e i
posti di frontiera dei paesi che sono contraenti di una convenzione
internazionale.
Per esempio, l’accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile relativo al
trasporto fluviale di passeggeri, di veicoli e di merci (Rio de Janeiro, 27
aprile 1997) stabilisce che: 1) il servizio di trasporto è esclusivamente
riservato alle persone fisiche che siano cittadini dei paesi contraenti di un
accordo relativo al trasporto fluviale transfrontaliero di passeggeri o di
persone morali autorizzate da uno dei paesi contraenti (art. I); b) possono
essere interdetti gli scali in prossimità di luoghi predeterminati, salvo
preventiva autorizzazione delle autorità competenti dei paesi contraenti. Ed
ancora, ogni scalo di natura eccezionale dovuto ad un avvenimento fortuito o ad
un caso di forza maggiore, dev’essere preannunciato almeno 48 ore prima dalle
autorità competenti (art. IX); c) le norme di sicurezza dell’imbarcazione sono
stabilite da ciascun Stato contraente di cui l’imbarcazione batta bandiera, in
conformità alle proprie leggi. Se le norme di sicurezza degli Stati contraenti
non concordano, le autorità competenti di ciascun paese stabiliscono delle norme
di sicurezza applicabili al caso concreto (art. XII); d) il documento con il
quale le autorità competenti autorizzano il trasporto, deve indicare la
frequenza e gli orari delle traversate che saranno effettuati, le condizioni del
trasporto, la denominazione delle imbarcazioni interessate e le tariffe di nolo
e di traversata (art. III); e) il pagamento può essere fatto in una delle monete
dei paesi contraenti (art. VI).
Ed infine, l’inosservanza delle disposizioni e degli obblighi previsti dalla
Convenzione in questione, comporterà una delle seguenti sanzioni: a) monito; b)
ammenda pari al costo di 10-200 tratte, nel caso di trasporto di passeggeri; c)
ammenda equivalente a 10-200 volte la tariffa massima del servizio di nolo, nel
caso di trasporto di veicolo o merci; d) sospensione del servizio fino a 90
giorni; e) la revoca della concessione14.
II. I PRINCIPI O LE NORME PROGRAMMATICHE CONTENUTI DALLA CUADN
1. Principio dell’utilizzazione equa e ragionevole
Gli Stati rivieraschi sono tenuti ad utilizzare un corso d’acqua
internazionale15 nei
loro rispettivi territori in maniera equa e ragionevole allo scopo di realizzare
un utilizzo e un vantaggio ottimale e durevole, compatibilmente con le esigenze
di un’adeguata protezione del corso d’acqua.
La norma che vincola gli Stati rivieraschi ad un’equa e ragionevole
utilizzazione delle acque comuni, insieme a quella dell’uso diligente dei corsi
d’acqua internazionali, si pone l’obiettivo di non privare gli altri Stati
dall’esercizio del diritto all’uso dell’acqua in funzione del principio
dell’uguaglianza tra paesi16.
Principio che implica il pari diritto degli Stati rivieraschi di fruire in
misura equa e ragionevole delle utilizzazioni e dei benefici di un corso d’acqua
internazionale17.
All’interno dei loro rispettivi territori, gli Stati sono tenuti, possibilmente,
ad assicurare la manutenzione e la protezione delle installazioni, la
ristrutturazione e altre opere legate ad un corso d’acqua internazionale. Su
richiesta dello Stato, che ritiene di subire degli effetti negativi da tali
misure, si avviano delle consultazioni concernenti: a) il buon funzionamento e
la manutenzione delle installazioni, le ristrutturazioni e le altre opere legate
al corso d’acqua internazionale interessato; b) le misure da adottarsi per
prevenire i danni derivanti da atti di terrorismo o sabotaggio, o da
comportamenti negligenti (per assenza di precauzioni normalmente richieste dalle
circostanze del caso), ovvero da cause di forza maggiore (es. inondazioni) [art.
26, CUADN].
1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole
Un’equa e ragionevole utilizzazione di un corso d’acqua internazionale
implica un’analisi di qualsiasi fattore e circostanza pertinente (principio già
enunciato all’art. IV delle Regole di Helsinki)18.
La lista dei fattori riportata dalla convenzione, e che segue, non è esaustiva
in quanto l’ampia diversità che caratterizza i corsi d’acqua internazionali e le
diverse esigenze umane, non ha permesso ai redattori di stabilire una lista
completa e definitiva19.
In particolare: a) i fattori geografici (es., l’estensione del corso d’acqua
internazionale sul territorio di ciascuno degli Stati rivieraschi), idrografici
(es., ampiezza, descrizione, rilievo cartografico), idrologici (proprietà delle
acque, ivi compresa la loro portata, la loro distribuzione, la parte
appartenente a ciascun Stato interessato), climatici, ecologici e altri fattori
di carattere naturale; b) i bisogni economici e sociali degli Stati interessati;
c) la popolazione tributaria appartenente ad ogni paese (e del grado o
dell’entità di dipendenza); d) gli effetti derivanti dall’/gli uso/i della
risorsa da parte di uno Stato nei confronti degli altri paesi che condividono lo
stesso corso d’acqua internazionale; e) gli usi attuali e potenziali del corso
d’acqua (allo scopo di dimostrare che né gli uni, né gli altri, hanno una
priorità); f) la conservazione, la protezione, la valorizzazione e l’economia
delle risorse utilizzabili e presenti in un corso d’acqua, oltre ai costi
derivanti dall’attuazione di queste misure; g) l’esistenza di altre opzioni, di
equivalente valore, suscettibili di rimpiazzare un particolare uso, attuale o
progettato. I fattori pertinenti devono essere esaminati complessivamente per
arrivare ad un quadro complessivo [art. 6, CUADN].
Gli Stati di un corso d’acqua hanno bisogno di dati ed informazioni relativi
alla situazione in cui si trova il corso d’acqua al fine di applicare l’art. 6 [CUADN]
il quale prescrive che tali paesi devono prendere in considerazione «tutti i
fattori e le circostanze pertinenti» per ottemperare all’obbligo [enunciato
dall’art. 5, CUADN] di utilizzare l’acqua in modo equo.
Quanto ai singoli fattori inclusi nella lista dell’art. 6, il suo par. 1 (a) [CUADN]
fa riferimento alle condizioni fisiche e naturali del corso d’acqua che sono in
grado d’influenzare caratteristiche come la sua qualità, o le variazioni del suo
flusso. I fattori geografici si rifericono ad esempio all’estensione del corso
d’acqua nel territorio di singoli Stati rivieraschi, mentre i fattori ideologici
riguardano la distribuzione delle acque ed il contributo di ogni rivierasco
all’alimentazione del corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 44-45, par. 1;
p. 232, parr. 2-4).
Il par. 1 (b) dell’art. 6 [CUADN] si riferisce alle necessità idriche degli
Stati rivieraschi interessati, al loro grado di dipendenza dal corso d’acqua e
all’importanza che un determinato uso del corso d’acqua riveste per ciascuno di
essi, in termini sia economici che sociali.
Il par. 1 (c) dell’art. 6 [CUADN] fa riferimento tanto alla densità della
popolazione dipendente dal corso d’acqua che al grado di dipendenza dal corso
d’acqua della popolazione interessata. Il par. 1 (d) dell’art. 6 [CUADN] si
riferisce alla possibilità di interferenze tra varie forme di sfruttamento di un
corso d’acqua, e richiede di prendere in considerazione gli effetti che le
utilizzazioni di uno Stato producono sugli usi di un altro paese rivierasco (per
es., un danno cagionato da un certo uso del corso d’acqua potrebbe essere uno
degli elementi pertinenti nel giudizio sul carattere equo e ragionevole
dell’utilizzazione stessa, da valutarsi e bilanciarsi insieme agli altri fattori
rilevanti, ivi compresi i benefici ad essa relativi).
Il par. 1 (e) dell’art. 6 [CUADN] menziona tra i fattori rilevanti sia le
utilizzazioni esistenti che quelle potenziali del corso d’acqua, per
sottolineare che queste vanno considerate su una base di sostanziale parità,
senza attribuire a nessuna titolo di inerente priorità. Il par. 1 (f) [CUADN] fa
riferimento al rilievo di una serie di misure che i paesi rivieraschi possono
intraprendere relativamente al corso d’acqua internazionale, ai fini del suo
sviluppo, conservazione e protezione: particolare importanza hanno in questa
prospettiva sia il costo economico delle misure medesime che «l’economia d’uso»
della risorsa idrica intesa come capacità di una determinata attività di
utilizzazione di evitare consumi superflui dell’acqua.
Infine il par. 1 (g) [CUADN] ricorda, tra i fattori rilevanti, la disponibilità
di mezzi alternativi (anche non basati sullo sfruttamento della risorsa idrica)
con i quali soddisfare le necessità degli Stati rivieraschi connesse ad una
determinata utilizzazione del corso d’acqua, quando tali alternative siano
economicamente equivalenti e praticamente realizzabili. Il par. 2 dell’art. 6 [CUADN]
pone un obbligo di consultazione tra i paesi rivieraschi interessati
all’applicazione degli artt. 5-6 [CUADN].
La peculiare funzione di questo paragrafo sembra essere quella di prevenire la
valutazione unilaterale da parte di uno Stato rivierasco del carattere equo e
ragionevole di un uso del corso d’acqua; più in generale rappresenta una
conferma, insieme col par. 2 dell’art. 5 [CUADN], dell’importanza della
cooperazione tra rivieraschi e degli aspetti procedurali di tale cooperazione
nell’adempimento della norma sostanziale dell’equa utilizzazione20.
1.1.1. Il sistema di ripartizione delle acque
Il sistema di ripartizione delle acque, come dimostra la prassi, varia a
seconda delle circostanze inerenti al corso d’acqua internazionale. A tal fine
ci preme sottolineare alcuni passaggi di certi accordi internazionali
sull’utilizzazione dell’acqua di un corso d’acqua internazionale per evidenziare
notevoli differenze di sistema. Innanzitutto, per quanto concerne la
ripartizione delle acque, da segnalare l’Accordo concluso tra Egitto e Sudan (Il
Cairo, 8 novembre 1959) sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo che,
oltre a prefiggersi di dare pieno sviluppo alle attività di sfruttamento delle
acque del fiume Nilo, stabilisce che la quantità di acque impiegate dall’Egitto
e dal Sudan fino al momento della firma dell’Accordo medesimo costituiscono
“diritti acquisiti”, determinati nell’ammontare di 48 miliardi di metri cubi
annua d’acqua per l’Egitto (art. I, par. 1) e in 4 miliardi di metri cubi annui
d’acqua (MCM) per il Sudan (art. I, par. 2). Nell’art. II, parr. 3-4, si
stabiliscono i criteri per l’assegnazione delle quantità di acqua del Nilo. Una
volta fissato nella misura di 84 MCM il beneficio netto in volume d’acqua
derivante dall’esecuzione del progetto di Assuan, il par. 3 stabilisce che la
massa d’acqua rimanente dopo aver sottratto da tale ammontare le quantità
corrispondenti ai diritti consolidati delle Parti, meno un’ulteriore quantità
corrispondente alle perdite annue di stoccaggio (calcolata nella misura di 10
MCM), rappresenta il net benefit divisibile tra Egitto e Sudan (ovvero
una quantità di 22 MCM). Il par. 4 indica la ratio della distribuzione di
tale quantità d’acqua in 14,5 MCM al Sudan e 7,5 MCM all’Egitto. In conclusione,
sommando tali quantità a quelle già attribuite a titolo di diritti acquisiti, le
quote spettanti ai due Stati vengono riconosciute nelle misure di 18,5 MCM per
il Sudan e 55,5 MCM per l’Egitto.
Il Trattato sulle acque dell’Indo concluso tra India e Pakistan (Karachi, 19
settembre 1960) ripartisce nel modo seguente l’acqua: a) l’art. II, par. 1,
stabilisce che – salvo eccezioni previste nel medesimo articolo – vengano
riservate all’uso illimitato da parte dell’India l’integrità delle acque di Beas,
Ravi e Sutlej, affluente del Sutlej, fiumi del lato orientale del bacino che
nascono e (tranne il Beasm affluente del Sutlej interamente situato in India)
scorrono parzialmente in territorio indiano; b) l’art. II, par. 2 dispone che –
con l’eccezione dei prelievi finalizzati ad utilizzazioni domestiche o
non-consuntive – il Pakistan si astenga da qualsiasi interferenza con i tratti
principali del corso del Ravi e dello Sutlej scorrenti in territorio pakistano
prima di determinati punti geografici fissati nel paragrafo in questione; c)
l’art. II, par. 4, stabilisce che il Pakistan potrà utilizzare le acque degli
affluenti che si gettino nei due fiumi principali in territorio pakistano dopo i
punti determinati al par. 2, essendo inteso però che tale possibilità non
corrisponde all’attribuzione a questo paese di un diritto a rivendicare il
rilascio da parte dell’India di corrispondenti quantità d’acqua negli affluenti;
d) l’art. III, par. 1, attribuisce, inoltre al Pakistan, il diritto all’uso
illimitato di tutte le acque dell’Indo, dello Jhelum e del Chenab, fiumi della
sezione occidentale del bacino scorrenti per la maggior parte in territorio
pakistano, ecc. In sintesi, in virtù dei criteri di ripartizione stabiliti nel
Trattato, l’India riceve il 20% del totale delle risorse idriche disponibili nel
bacino idrico, mentre il Pakistan l’80%21.
L’Accordo complementare all’Accordo di cooperazione concluso tra il Brasile e
l’Uruguay per la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino
del fiume Quarai (Montevideo, 6 maggio 1997) il cui art. II attribuisce la
priorità di approvvigionamento dell’acqua potabile alle popolazioni rivieraschi,
e ai servizi d’irrigazione (artt. III). L’IV dispone che «le volume maximum
d’eau à prélever dans le fleuve Quaraí pour être distribué aux usagers des
services d’irrigation des deux Parties sera égal au volume maximum d’eau dont
elles pourront assurer la distribution. Le volume d’eau devant être distribué en
claque point du bassin sera égal au produit entre la superficie du bassin en
amont du point considéré et le débit spécifique du fleuve en ce point. Les
Parties conviennent provisioirement que le débit spécifique sera égal à 0,4 lite
par seconde et par kilmètre carré». L’art. VII dispone, altresì, che «au
cas où, en un point déterminé, la somme des volumes à accorder dépasserait 50
pour cent du volume maximum à distribuer déterminé conformément al’art. IV, l’approbation
préalable de l’institution compétente de l’autre Partie devra être obtenue».
L’art. XI consente un prelievo particolare tra la Concorde e la foce dell’Arroyo
Pintado e l’art. XII stabilisce che le Parti «ne pourra être réalisé aucun
ouvrage sur le lit du fleuve Quaraí sans l’autorisation des istitutions
compétentes des deux Parties. À cette fin, les Parties s’engagent à adopter les
dispositions nécessaires pour que les ouvrages réalisés sans l’autorisation
susmentionnée soient regularises ou, s’il y a lieu, démantelés». Le
istituzioni competenti ai sensi dell’art. V, sono il Segretariato alle risorse
idrauliche del Ministro dell’Ambiente, delle risorse idrauliche dell’Amazzonia
legale al Brasile, e la Direzione nazionale dell’idrografia del Ministero dei
trasporti e dei lavori pubblici dell’Uruguay. L’Accordo si occupa anche della
salubrità dell’acqua con l’art. XIV secondo cui «Les Parties s’engagent à
adopter les mesures nécessaires pour que la qualité des eaux du fleuve Quaraí
réponde aux normes internationales existantes en la matière en vigueur à l’égard
des deux Parties». Infine l’Accordo concluso tra la Norvegia e l’ex U.R.S.S.
(Oslo, 18 dicembre 1957) relativo all’utilizzazione delle risorse idrauliche del
Paatsojoki (con mappe allegate) e l’Accordo concluso tra il Bangladesh e l’India
(Dakar, 5 novembre 1977) relativo alla ripartizione delle acque del Gangia a
Farakka e all’aumento della sua portata.
1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento delle risorse idrauliche
L’uso di un corso d’acqua internazionale può determinare una valorizzazione
delle risorse idrauliche grazie al finanziamento dei progetti da parte delle
Istituzioni finanziarie internazionali, o di Stati22,
– nonostante gli Stati siano reticenti all’idea di sottomettersi a delle
istituzioni sopranazionali - che altrimenti alcune regioni del mondo non
potrebbero realizzare, ovvero potrebbero essere realizzate da paesi
economicamente più solidi a discapito degli altri più poveri, comportando
un’ineguaglianza nel campo della sovranità.
Tra gli altri23, Il
Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America relativo alla
valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia
(Washington, 17 gennaio 1961) si prefigge di produrre l’energia idro-elettrica e
controllare le piene, con i seguenti articoli: a) art. II (mise en valeur par
le Canada); b) art. III (Ouvrages hidro-électriques aux États-Unis d’Amérique);
c) art. IV (Utilisation par le Canada); d) art. V (Avantages
énergétiques d’aval auxquels le Canada aura droit); e) art. VI (Indemnités
au Canada pour la lutte contre les inondations); f) art. VII (Appréciations
des avantages énergétiques d’aval); g) art. VIII (Cession sur la place
des avantages énergétiques d’aval); h) art. IX (Modification du droit à
certains avantages énergétiques d’aval); i) art. X (Transport de secours
est-ouest); k) art. XI (Utilisation du debit normalise); l) art. XII
(Aménagement de la Kootenai); m) art. XIII (Dérivations); n) art.
XIV (Commission d’ingénieurs permanente); omissis; o) Annesso A “Régles
d’utilisation” (Énoncé général, Lutte contre les inondations, energie
hydro-électrique); p) Annesso B “Appréciation des avantages énergétiques
dérivant des installations d’aval”.
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti
d’America concernente il Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse
idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington in data 22
gennaio 1964 (con Protocollo composto da 11 articoli) con «Annexe relative aux
conditions de vente» (composto da 5 articoli).
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti
d’America (Ottawa, 16 settembre 1964) esecutivo dell’Accordo di vendita della
parte canades prevista dal Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse
idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington il 17 gennaio
1961, con i seguenti articoli, art. 1 (durée), art. 2 (cession), art. 3 (paiement
par le CSPE), art. 4 (engagements), art. 5 (maîtrise des crues), art. 6 (indemnisation),
art. 7 (réduction de la part canadienne résultant du traité), art. 8 (règlement
ds différends), art. 9 (échanges de capacité et d’énergie), art. 10 (accords d’échange),
art. 11 (paiements), omissis.
L’accordo concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 26
ottobre 1989 sull’approvvigionamento dell’acqua e la protezione contro le piene
nel bacino del fiume Souris e precisamente: 1) l’art. IV, parr. 1-2, dispone che
il governo degli Stati Uniti d’America pagherà al governo canadese «la somme de
26 700 000 $ (en devises américaines, selon le niveau général des prix en
octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage des eaux de crue assuré au barrage
Rafferty»… «une somme additionnelle de 14 400 000 $ (en devises américaines,
selon le niveau général des prix en octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage
des eaux de crue assuré au barrage Alameda»; 2) l’art. V stabilisce che le
parti: a) «en consultation avec les Etats et les Provinces intéressés, […]
rédigent les Manuels d’exploitation des réservoirs prévus dans le Plan d’exploitation»;
b) «revoient ensemble le Plan d’exploitation tous les cinq ans, ou tel qu’il
aura été etendu conjointement, dans le but de maximiser les avantages découlant
du présent Accord aux plans de la protection contre les crues et de l’approvisionnement
en eau»; c) «consultent, au besoin, les Etats, les Province et les organismes
intéressés, et coopèrent avec eux pour la revue du Plan d’exploitation et l’examen
des modifications recommandées à l’égard de celui-ci». Ed ancora, «sous réserves
du consentement du gouvernement du Canada, les fonctionnaires du gouvernement
des Etats-Unis d’Amerique peuvent pénétrer sur les terres acquises en
Saskatchewan pour la construction des barrages Rafferty, Alameda et Boundary
dans le but de procéder à des inspections pour s’assurer que ces ouvrages sont
construits, exploités et entretenus conformément au présent Accord»; «sur
demande, au besoin et dans la mesure où cela est réalisable, les Parties
consultent les Etats et les Provinces intéressés concernanent l’approvisionnement
en eau dans l’ensemble du bassin de la rivière Souris»; 3) l’art. VII
stabilisce che: a) «si l’exploitation de tout ouvrage devait provoquer, aux
États-Unis d’Amérique ou au Canada, des dommages plus importants que ceux qui
auraient été subis si l’ouvrage n’avait pas été en exploitation, les Parties
entreprennent, à la demande de l’une ou l’autre Partie, des consultations en vue
de déterminer comment, dans l’avenir, éviter ces dommages et de convenir de
mesures de réparation et d’indemnisation appropriées, ce qui pourrait comporter
la possibilità de modifier le Plan d’exploitation. Les États, Province set
organismes intéressés participent à ces consultation»: b) «nonobstant le
paragraphe 2 de l’art. XI, rien dans le présent Article n’empêche l’une ou l’autre
Partie de faire valoir les droits qu’elle pourrait avoir contre l’autre Partie
en ce qui a trait aux dommages causés par les crues et résultant d’actes posés
par l’autre Partie»; 4) l’art. XI dispone che: a) «chaque Partie est
responsable envers l’autre et l’indemnise de façon adéquate pour tout acte,
défaut d’agir, omission ou retard constituant une violation du présent Accord.
Les actes, défauts d’agir, omissions ou retards résultant de facteurs
incontrôlables ne constituent pas une violation aux fins du présent Accord»; b)
«les Parties n’entendent pas créer, dans le présent Accord, un droit privé d’action.
Sous riserves du paragraphe 1 du présent article, aucune des Parties n’est
responsable envers l’autre ou inverse toute persone des blessures, dommages ou
pertes subis sur le territoire de l’autre Partie et découlant d’un acte, d’un
défaut d’agir, d’une omission ou d’un retard en vertu du présent Accord, que les
blessures, dommages ou pertes résultent de négligence ou d’autre facteurs»; c) «ni
l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux termes du présent Accord, de
reconstruire ou de continuer à exploiter ou à entretenir un ouvrage construit en
vertu du présent Accord qui aura été detruit par suite de facteurs
incontrôlables»; d) «ni l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux
termes du présent Accord, de prendre des mesures pour prolonger la durée de vie
utile normale de tout ouvrage visé dans le présent Accord».
1.2. Il sistema del controllo o della regolazione
Un mezzo per regolare la portata delle acque di un corso d’acqua
internazionale, è il sistema del controllo o della regolazione. A meno che non
sia previsto diversamente, gli Stati di un corso d’acqua partecipano
paritariamente alla costruzione e alla manutenzione, o al finanziamento delle
opere di regolazione che hanno intenzione di porre in essere. Per “regolazione”
s’intende l’uso delle opere idrauliche o di ogni altra misura impiegata, in
maniera continua, per modificare, far variare o controllare, in altra maniera,
la portata delle acque di un corso d’acqua internazionale [art. 25, CUADN].
I mezzi concreti di regolazione sono generalmente le dighe, i serbatoi, le
barriere divisorie, i canali, i terrapieno ecc.. Queste opere sono necessarie
per regolare la portata dell’acqua in modo da: a) impedire le inondazioni
durante un certo periodo dell’anno e la siccità in un altro periodo; b)
prevenire qualsiasi tipo di erosione degli argini, o delle variazioni del corso
d’acqua; c) garantire un approvvigionamento sufficiente di acqua, per esempio
allo scopo di mantenere la polluzione entro i limiti accettabili o per
permettere la navigazione e le flottage.
Grazie alle opere di controllo e regolazione, si consente di prolungare i
periodi di irrigazione, di avviare o di potenziare la produzione di energia
elettrica, di diminuire l’interramento, di impedire la formazione di acque
stagnanti nelle quali si producono e vivono le zanzare che trasmettono la
malaria e di mantenere delle zone di pesca24.
1.2.1. Altre convenzioni internazionali
Il sistema di regolazione o controllo si estrinseca principalmente nella
costruzione di dighe, di sbarramenti e di ponti internazionali.
Tra gli altri25, da
segnalare l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile (Florianopolis, 15
dicembre 2000) per facilitare la costruzione e lo sfruttamento sul fiume
Uruguay, oltre ad istituire una commissione binazionale (art. II), i cui compiti
e il cui mandato sono stabiliti agli artt. III-IV, impegna gli Stati contraenti:
«à entreprendre, dans les meilleurs délais et par l’intermédiaire de leurs
autorités compétentes respectives, l’examen des questions relatives à la
construction et à l’exploitation de trois nouveaux ponts routiers sur la rivière
Uruguay, de préférence dans le cadre de concessions de travaux publics, y
compris les ouvrages auxiliaires et les accès entre les villes frontières d’Itaqui
et Alvear, Porto Mauá et Alba Posse et Porto Xavier et San Javier» (art. I).
Infine, stabilisce che: a) il costo «des expropriations nécessaires pour
l’installation des ouvrages et pour les liaisons routières, jusqu’au chantier,
qui forment l’objet du contrat sur le territoire national de chaque Partie, sera
intégralement pris en charge par la Partie concernée à des conditions qui front
l’objet d’un accord interne avec leurs autorités gouvernementales locales ou
régionales: b) il costo «de l’étude de faisabilité comparative,
mentionnée au paragraphe 1, a) de l’article IV, est assumé par les Parties,
chacune prenant à sa charge 50 pour cent»; c) ciascun Stato «assume
les dépenses afférentes à sa représentation à la Commission binationale»; d) i
costi «des études, projets et travaux liés à la construction de chaque pont,
qui forme l’objet d’un marché, aux ouvrages auxiliaires et accès seront à la
charge du consortium qui aura remporté l’appel d’offres dans chaque cas».
L’Accordo di cooperazione concluso tra la Cambogia, il Laos, la Thailandia e il
Vietnam (Thailandia, 5 aprile 1995) per la durevole valorizzazione del bacino
del Mekong composto dai seguenti Capitoli: a) Capitolo I «Dispositions
Liminaires»; b) Capitolo II «Définitions»; c) Capitolo III «Obiectifs
et Principes de Coopération» (art. 1 Domaines de coopération, art. 2
Projets, programmes et planfication, art. 3 Protection de l’environnement
et équilibre écologique, art. 4 Égalité souveraine et intégrité
territoriale, art. 5 Utilisation raisonnable et équitable), art. 6
Maintien des débits du cours principal, art. 7 Prévention et cessation
des effets délétères, art. 8 Responsabilité des États pour préjudice,
art. 9, Liberté de navigation, art. 10, Situations d’urgence); d)
Capitolo IV «Mécanisme Institutionnel» (art. 11, Statut de la
Commission du Mékong, art. 12, Organisation de la Commission du Mékong,
art. 13, Reprise d’avoirs, d’obligations et de droits, art. 14 Budget
de la Commission du Mékong, art. 15 Composition du Conseil, art. 16
Présidence du Conseil, art. 17 Session du Conseil, art. 18
Fonctions du Conseil, art. 19 Règlement intérieur du Conseil, art. 20
Décisions du Conseil, art. 21 Composition du Comité conjoint, art.
22 Présidence du Comité conjoint, art. 23 Sessions du Comité conjoint,
art. 24 Fonctions du Comité conjoint, art. 25 Règlement intérieur,
art. 26 Règlement relative à l’utilisation des eaux et aux derivations entre
basins, art. 27 Décisions du Comité conjoint, art. 28 Rôle du
Secrétariat, art. 29 Siège du Secrétariat, art. 30 Fonctions du
Secrétariat, art. 31 Directeur executive, art. 32 Personnel
riverain); e) Capitolo V (Règlement des Désaccords et Différends,
art. 34-35); f) Capitolo VI omissis.
L’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 19 novembre 1997)
relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Fiume Miño tra le
località di Goyán (Spagna) e della Vila Nova de Cerveira (Portogallo). In
particolare si prevede che: a) il ponte «sera destiné à la circulation
routière et ses caractéristique seront établies par la Commission tecnique visée
a l’art. 5 du présent Accord» (art. 2); b) gli Stati contraenti s’impegnano
a facilitare il rilascio di permessi ed autorizzazioni e la concessione di
occupazione nei terreni necessari all’esecuzione (art. 4); c) ogni Stato «sera
propriétaire de la partie du ponte et des accès à celui-ci situés sur son
territoire» e che l’esercizio di questo diritto «sera régi par l’ordre
juridique interne de claque État, sans préjudice des obligations internationales
qui lui incombent (art. 13); d) la «ligne de délimitation de la frontière
entre les deux États sera tracée sur le pont par la Commission internazionale
des frontières entre l’Espagne et le Portugal, conformément aux accords
internationaux en vigueur entre les deux États» (art. 14)26.
2. L’optimum utilization e protezione adeguata dei corsi d’acqua
internazionali
Tornando alla CUADN, da segnalare il secondo paragrafo dell’art. 5 [CUADN]
nel quale si richiede una cooperazione attiva tra gli Stati rivieraschi per la
realizzazione ed il mantenimento di un’equa distribuzione dei benefici derivanti
dallo sfruttamento di un corso d’acqua, sia per il raggiungimento dell’ulteriore
obiettivo dell’ottimale utilizzazione ed adeguata protezione del corso d’acqua (UN
Doc. A/49/10, pp. 244-249)27.
In tal caso, da ricordare ad es., la Convenzione conclusa tra il Belgio e i
Paesi Bassi (L’Aja, 13 maggio 1970) concernente il miglioramento della via
navigabile nell’Escaut occidentale vicino Walsoorden (con piano).
L’optimum utilization richiede, quindi, una cooperazione degli Stati
rivieraschi per perseguire e realizzare una gestione dell’ambiente fluviale atta
a garantire lo sfruttamento massimale ed ottimale28.
Raggiungere un risultato ottimale non significa pervenire alla massima
utilizzazione, all’uso più razionalmente e tecnicamente possibile, all’uso più
vantaggioso dal punto di vista finanziario, ma assicurare dei profitti immediati
in rapporto alle perdite a lungo termine. Ciò non significa che allo Stato
rivierasco - il quale abbia dei mezzi all’avanguardia per utilizzare nel miglior
modo razionale un corso d’acqua (sia dal punto di vista economico, sia evitando
sprechi, ecc.) – sia riconosciuta una priorità in materia di utilizzazione. Ciò
dev’essere interpretato nel senso che gli Stati rivieraschi sono tenuti ad
assicurare il massimo dei possibili vantaggi per rispondere a tutti i loro
bisogni, riducendo al minimo i danni.
L’art. 24 [CUADN] dispone che, su richiesta di un paese interessato, gli altri
Stati dello stesso corso d’acqua, avviano delle consultazioni per gestire il
corso d’acqua interessato, ovvero per istituire un meccanismo misto di gestione
allo scopo: a) di pianificare lo sfruttamento durevole delle risorse mediante
piani d’intervento; b) di promuovere, con ogni mezzo razionale ed ottimale,
l’uso, la protezione e il controllo del corso d’acqua interessato. L’art. 24,
par. 1 [CUADN], non impone agli Stati di gestire il corso d’acqua, né di
istituire un organo comune come la commissione o altro organismo misto. Lo scopo
delle consultazioni è lasciato agli Stati interessati29.
La locuzione “protezione adeguata” non indica solamente le misure relative, ad
esempio, alla conservazione, alla sicurezza e alla lotta contro le malattie
trasmissibili attraverso l’acqua. Essa indica anche le misure di controllo in
senso tecnico, idrologico, del termine, come che sono adottate per regolamentare
la portata e lottare contro le inondazioni, l’inquinamento, l’erosione, la
siccità o l’intrusione d’acqua salata.
Essendo pacifico che queste misure o lavori rischiano di limitare, in una certa
misura, gli usi che uno o più Stati potrebbero fare altrimenti delle loro acque,
la seconda frase indica di pervenire ai vantaggi e all’optimum dell’uso
“compatibile” con le esigenze di una adeguata protezione. A tal fine gli Stati
rivieraschi sono tenuti a scambiarsi delle informazioni, a consultarsi e, se
necessario, a negoziare su eventuali misure di protezione da prendere in base
alla situazione di un corso d’acqua internazionale [art. 11, CUADN].
2.1. Altre convenzioni internazionali
Già precedenti convenzioni internazionali che si occupano della navigabilità
di un fiume prevedono un impegno degli Stati contraenti alla protezione
dell’acqua: a) Gli artt. 8-9 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato
concluso tra la Francia e la Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione
della questione relativa alla Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). In virtù
dell’art. 8 i due paesi «prennent, chaucun dans la domaine de sa compétence,
les mesures nécessaires en vue d’assurer la pureté et la salubrité des eaux de
la Sarre. Ils prennent les mêmes engagements en ce qui concerne les affluents de
la Saar. Ils encourageront la constitution des groupements ou d’association
ayant pour objet de maintenir la salubrité des eaux». Ai sensi dell’art. 9
le competenti autorità dei due paesi contraenti «maintiennent un service d’annonce
du niveau des eaux de la Sarre et des conditions de navigabilité sur cette
rivière. La transmission d’une cote d’alerte prise sur les cours supérieur de la
Sarre par la station de Sarrebourg déclenche le fonctionnement du service d’annonce
des crues de la Sarre à Sarrebruck. A partir de ce moment, les services d’annonces
compétents restent constamment en relation juisqu’à transmission, per la station
de Sarrebruck, de l’avis de fin d’alerte...». Ed ancora: il Protocollo
addizionale alla Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo sui diritti
economici, sociali e culturali (San Salvador, 17 novembre 1988) stabilisce
all’art. 11 che «Everyone shall have the right to live in a healthy
environment and to have access to basic public services. The State Parties shall
promote the protection, preservation and improvement of the environment».
Così la Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti d’America
(Washington, 26 maggio 1930, con protocollo relativo allo scambio delle
ratifiche, firmato a Washington in data 28 luglio 1937) per la protezione, la
conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del
fiume Fraser, nel cui art. I stabilisce l’ambito di applicazione della
convenzione in numerosi corsi d’acqua e prevede all’art. II l’istituzione di una
commissione «Internazional Pacific Salmon Fisheries Commission» che può
condurre inchieste «into the natural history of the Fraser River sockeye salmon,
into hatchery methods, spawning ground conditions and other related matters […]
and maintain hatcheries, rearing ponds and other such facilities as it may
determine to be necessary for the propagation of sockeye salmon in any of the
waters covered by this Conventions, and to stock any such waters with sockeye
salmon by such methods as it may determine to be most advisable» e può
raccomandare agli Stati contraenti «removing or otherwise overcoming
obstructions to the ascent of sockeye salmon, that may now exist or may from
time to time occur, in any of the waters covered by this Convention, where
investigation may show such removal of or other action to overcome obstructions
to be desiderable […]» (art. III) e può «to limit or prohibit taking
sockeye salmon in respect of all or any of the waters described in Article I of
this Convention, provided that when any order is adopted by the Commission
limiting or prohibiting taking sockeye salmon in any of the territorial waters
or on the High Seas described in paragraph numbered I of Article I, such order
shall extend to all such territorial waters and High Seas, and, similarly when
in any of the waters of the United States of America embraced in paragraphs
numbered 2 and 3 of Article I, such order shall extend to all such Canadian
waters, and provided further, that no order limiting or prohibiting taking
sockeye salmon adopted by the Commission shall be construed to suspend or
otherwise affect the requirements of the laws of the State of Washington or of
the Dominion of Canada as to the procuring of a license to fish in the waters of
their respective sides of the boundary, or in their respective territorial
waters embraced in paragraph numbered I of Article I of this Convention, and
provided further that any order adopted by the Commission limiting or
prohibiting taking sockeye salmon on the High Seas embraced in paragraph
numbered I of Article I of this Convention shall apply only to nationals and
inhabitants and vessels and boats of the United States of America and the
Dominion of Canada[…]» (art. IV). La Convenzione poi è stata oggetto di
un’integrazione con il Protocollo sottoscritto a Ottawa tra Canada e Stati Uniti
in data 28 dicembre 195630.
3. La cooperazione tra Stati rivieraschi
La condivisione di un corso d’acqua internazionale comporta il diritto di
utilizzarlo, ma anche il dovere di cooperare con gli altri paesi interessati
all’area per realizzare una protezione, ad esempio da forme di inquinamento, e
una sua valorizzazione [art. 5, par. 2, CUADN].
Senza dubbio ogni Stato rivierasco ha il diritto di utilizzare le acque che si
trovano sul proprio territorio. Questo diritto è una conseguenza della sovranità
che attribuisce ad ogni paese, il cui territorio sia attraversato o costeggiato
da un corso d’acqua internazionale, di goderne i benefici31.
Se dal principio di eguaglianza tra Stati scaturisce un diritto di ciascun paese
rivierasco ad usare un corso d’acqua internazionale nella misura
quantitativamente eguale e correlativamente legata a quella degli altri Stati
rivieraschi, non necessariamente le risorse debbono essere divise in proporzioni
identiche. L’importante che ciascun Stato abbia il diritto di utilizzare il
corso d’acqua in rapporto ai propri bisogni.
Può accadere, comunque, che il volume o la qualità dell’acqua non sia in grado
di assicurare a tutti gli Stati rivieraschi tutti i possibili usi razionali ed
utili. In tal caso si verifica un “conflitto di utilizzazione”. La prassi
internazionale indica allora di ricorrere a certi aggiustamenti o accomodamenti
per preservare il principio di uguaglianza dei diritti di tutti gli Stati
rivieraschi. Questi mezzi devono essere ricercati sulla base dell’equità e il
miglior mezzo è l’accordo.
La cooperazione tra gli Stati rivieraschi, ai fini dell’uso, è fondamentale se
questi paesi intendono arrivare ad un ripartizione equa degli usi e al
perseguimento dei vantaggi32.
Per stabilire le modalità relative alla cooperazione, gli Stati di un corso
d’acqua possono, se lo ritengono necessario, progettare dei meccanismi o
commissioni miste allo scopo di facilitare la cooperazione relativa alle misure
e procedure appropriate, magari prendendo in esame precedenti esperienze in
merito [art. 8, CUADN].
3.1. L’obbligo di informare gli altri Stati rivieraschi
In applicazione dell’art. 8 [CUADN], gli Stati rivieraschi sono tenuti a
scambiarsi regolarmente i dati e le informazioni facilmente disponibili sullo
stato di un corso d’acqua33,
in particolare quelle di natura idrologica, meteorologica, idrogeologica,
ecologica e concernente la qualità dell’acqua, oltre che le previsioni in merito34.
Se quindi uno Stato contraente intende porre in essere delle misure suscettibili
di causare dei consistenti effetti negativi ad un altro paese che condivide lo
stesso corso d’acqua internazionale, è tenuto a notificarle, in tempo utile
(cioè la notificazione dev’essere effettuata allo stadio della preparazione del
progetto), a quest’ultimo. Tale disposizione si prefigge, dal punto di vista
procedurale, di aiutare tutti i paesi rivieraschi a mantenere un giusto
equilibrio tra i rispettivi usi di un corso d’acqua internazionale35.
Salvo sia previsto diversamente in accordi particolari, la notifica dev’essere
corredata di dati tecnici, informazioni disponibili e comprensivi, se del caso,
dei risultati dello studio d’impatto ambientale, per consentire allo/gli Stato/i
interessati di valutarne gli eventuali effetti derivanti dall’adozione delle
misure [art. 12, CUADN] entro sei mesi prorogabili (su richiesta del “paese
notificato”qualora una valutazione in merito abbia bisogno di ulteriore tempo
rispetto al termine consentito) [art. 13, CUADN].
Nel periodo intermedio tra la notifica e la risposta, lo “Stato notificatore”
non può assolutamente porre in essere misure progettate senza il consenso del
“paese notificato”. Ed ancora, è tenuto a cooperare con il “paese notificato”
fornendogli, su richiesta di quest’ultimo, ogni dato o informazione
supplementare disponibile, necessaria per una valutazione più precisa [art. 14,
CUADN].
Alla scadenza del termine di sei mesi, o di quello prorogato, lo “Stato
notificato” può dare il proprio assenso al progetto, oppure rigettarlo ritenendo
tali misure progettate incompatibili con gli artt. 5 o 7 della CUADN. In
quest’ultimo caso la conclusione dev’essere accompagnata da un’esposizione
documentata e motivata [art. 15, CUADN].
Oppure, ai sensi dell’art. 17 della CUADN, si consente agli Stati interessati
(“Stato notificante”, “paese notificato”) di avviare delle consultazioni e, al
bisogno, delle negoziazioni per superare la questione in maniera equa. Le
consultazioni e le negoziazioni devono essere condotte secondo il principio
della buona fede, nel senso che ciascun Stato deve tener conto dei diritti e
degli interessi legittimi dell’altro paese interessato. Nel corso delle
consultazioni e delle negoziazioni, lo “Stato notificatore” è tenuto ad
astenersi, su richiesta del “paese notificato”, dall’attuare le misure
progettate per un periodo di sei mesi, salvo sia convenuto diversamente.
Se lo “Stato notificatore” non riceve alcuna risposta positiva, o negativa, lo
“Stato notificatore” può procedere, sotto riserva dei propri doveri derivanti
dagli artt. 5 o 7 della CUADN, a porre in essere le misure progettate
conformemente alla notifica e agli altri dati e informazioni forniti al “paese/i
notificato/i”.
Anche in mancanza di notificazione, se uno Stato nutre ragionevoli dubbi che un
altro paese rivierasco progetta delle misure che possano avere degli effetti
negativi consistenti per esso, può chiedergli di applicare le disposizioni di
cui all’art. 12 della CUADN, motivandone le conclusioni. Alle motivazioni del
paese richiedente, lo Stato richiesto può opporre, a confutazione, delle proprie
conclusioni atte a giustificare l’inapplicabilità dell’art. 12 [CUADN]. Se lo
Stato richiedente non è soddisfatto delle conclusioni a confutazione, può
chiedere all’altra parte, se del caso, di avviare delle consultazioni e delle
negoziazioni secondo le modalità previste dai parr. 1-2 dell’art. 17 [CUADN].
Una soluzione “equa”, richiesta nel par. 1, potrebbe consistere, per esempio,
nel modificare i progetti in maniera tale da eliminarne gli aspetti
potenzialmente dannosi, nell’adattare altri usi chez l’un ou l’autre des
Etats, ovvero nell’accordare, allo Stato autore della notifica,
un’indennizzo36 o
ogni altra forma di ristoro accettabile dal paese al quale la notifica è stata
indirizzata.
Durante la fase delle consultazioni e delle negoziazioni, lo Stato che progetta
le misure è tenuto, su richiesta dell’altro paese interessato, ad astenersi per
un periodo di sei mesi (salvo si convenga diversamente) dall’attuare queste
misure [art. 18, CUADN]. Il par. 1 dell’art. 18 [CUADN] permette allo Stato
rivierasco di chiedere al paese che progetta delle misure, limitatamente alle
condizioni previste dal par., di riesaminare le valutazioni e le conclusioni a
cui è pervenuto. Le disposizioni di cui all’art. 14 e all’art. 17, par. 3 della
CUADN sono oggetto di deroga ai sensi dell’art. 19 [CUADN] e precisamente
nell’ipotesi in cui le misure progettate si rivelino di estrema urgenza per
motivi di ordine pubblico e sanitario (rischio d’inondazione o questioni di
interesse vitale per la sicurezza nazionale). Allo stesso modo, una formale
dichiarazione proclamante l’urgenza delle misure, corredata di dati e
informazioni pertinenti dev’essere manifestata agli altri Stati rivieraschi che
possono subire dei considerevoli effetti negativi dall’attuazione di queste
misure. Tuttavia, lo Stato che progetta le misure s’impegna, su richiesta di uno
qualunque dei paesi potenzialmente danneggiati, ad avviare prontamente delle
consultazioni e delle negoziazioni nei modi e nei termini previsti dall’art. 17,
parr. 1 e 2 [CUADN].
Se un paese rivierasco richiede ad un altro di fornirgli dei dati e delle
informazioni non facilmente disponibili, lo Stato richiesto deve fare il
possibile per farvi fronte. Ma può «subordonner son acquiescement au paiement,
par l’État auteur de la demande, du coût normal de la collecte et, le cas
échéant, de l’élaboration de ces données ou informations» [art. 9, CUADN].
Le regole definite dall’art. 9 della CUADN sono di natura suppletiva: si
applicano allorquando la questione non è disciplinata da un accordo particolare
concernente un corso d’acqua internazionale. Questi dati e queste informazioni
possono essere comunicati direttamente o indirettamente.
Ed ancora, gli Stati interessati sono evidentemente liberi d’impiegare, a questo
fine, ogni metodo reciprocamente accettato. Uno Stato rivierasco, non è tenuto a
fornire che solo delle informazioni di cui dispone facilmente (per es., quelle
cha ha già raccolto per le proprie necessità). La valutazione se, appunto, i
dati e le informazioni siano facilmente accessibili, dovranno incentrarsi su
certi elementi, per esempio il lavoro e le spese sopportate per la raccolta di
questi dati, tenendo conto delle risorse umane, tecniche e finanziarie dello
Stato richiesto.
Il termine “in particolare”, contenuto nel par. 1 dell’art. 9 [CUADN], indica
che i dati e le informazioni menzionati, che non costituiscono in alcun modo una
lista esaustiva, sono quelle che sono considerate tra le più importanti ai fini
di un uso equo.
Uno Stato che utilizza un corso d’acqua è tenuto innanzitutto a notificare agli
altri paesi interessati eventuali misure che intende prendere suscettibili di
causare danni agli altri, ovvero ad adoperarsi, singolarmente o congiuntamente,
in circostanze pregiudizievoli ed urgenti.
Il termine “urgente” indica delle situazioni che causano, o possono causare, un
danno grave agli Stati rivieraschi o agli altri paesi (quest’ultimi possono
subire dei danni per effetto dello scarico di sostanze chimiche trasportate dal
corso d’acqua fino al mare) e che sono improvvisamente provocati da cause
naturali, come le inondazioni, scioglimento dei ghiacciai, frane o terremoti, o
da attività dell’uomo (es., incidente industriale).
Al verificarsi di tali circostanze urgenti ogni paese rivierasco è tenuto ad
informare37, senza
indugio e con tutti i mezzi a disposizione (cioè attraverso dei mezzi di
comunicazione, i più rapidi che abbiano), gli altri Stati che rischiano di
essere colpiti da tali eventi, ovvero le competenti organizzazioni
internazionali su ogni situazione di emergenza sopravvenuta nel proprio
territorio.
In quest’ultimo caso, il paese nel cui territorio è sopravvenuto uno stato di
emergenza è tenuto ad adottare immediatamente (la situazione costituisce una
tale urgenza che consente il diritto di intervenire bruscamente) - in
cooperazione con gli Stati che rischiano di essere colpiti e, all’occorrenza,
con le competenti organizzazioni internazionali – tutte le misure possibili che
richieda il caso, per prevenire attenuare ed eliminare, le conseguenze dannose
derivanti dalla situazione d’emergenza.
In caso di necessità, gli Stati rivieraschi possono elaborare piani urgenti per
far fronte alla situazione di pericolo in cooperazione, all’occorrenza, con gli
altri paesi che rischiano di essere colpiti e con le competenti organizzazioni
internazionali38.
Per appurare se questi piani sono necessari, occorrerà, per esempio, valutare le
caratteristiche dell’ambiente naturale del corso d’acqua in rapporto agli usi
che sono fatti del corso d’acqua e delle zone terrestri contigue [art. 28, CUADN].
Ciò pone un evidente contrasto tra la norma dell’equa utilizzazione e il divieto
di cagionare danni39,
oggetto di discussione ed interessi negli Stati contraenti40.
Le misure che possono essere prese in virtù dell’art. 27 [CUADN], sono
molteplici e varie. Queste vanno dallo scambio periodico, in tempi ragionevoli,
dei dati e delle informazioni che risultino utili per prevenire e attenuare le
condizioni dannose, fino all’adozione di ogni ragionevole misura affinché le
attività condotte sul territorio di un paese rivierasco non causi delle
condizioni dannose per gli altri Stati.
3.2. La cooperazione per la protezione delle acque
Per realizzare un uso ottimale e un’adeguata protezione di un corso d’acqua
internazionale, la CUADN indica lo strumento della cooperazione in buona fede.
La cooperazione nel campo dell’acqua è indispensabile perché tale settore ha dei
risvolti sia politici, che dal punto di vista della distribuzione e
conservazione delle risorse. Le esigenze di cooperazione è strettamente connessa
all’equa utilizzazione delle risorse e quindi, in subordine, allo scambio delle
informazioni e alla preventiva notifica; tant’è che la quasi totalità degli
accordi internazionali – che si prefiggono di utilizzare, valorizzare e
proteggere le acque internazionali – prevedono delle disposizioni che invitano
od obbligano allo scambio delle informazioni o un sistema ad hoc41.
L’obbligo della preventiva notifica è presente in differenti convenzioni
internazionali42.
A tal fine gli Stati di un corso d’acqua, singolarmente o congiuntamente, sono
tenuti a proteggere e preservare gli ecosistemi presenti in tale spazio comune,
proporzionalmente al loro grado di responsabilità nel causare il pericolo o il
danno [art. 20, CUADN]43.
Alcuni organismi governativi o non governativi hanno adottato precedentemente
delle mozioni, delle raccomandazioni e delle dichiarazioni di principi relativi
agli usi dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Questi strumenti apportano una conferma supplementare alle regole enunciate
nell’art. 5. Per esempio, uno dei più antichi è la Dichiarazione di Montevideo
sull’uso dei fiumi internazionali per fini industriali e agricoli approvata
nella settima Conferenza internazionale degli Stati americani del 24 dicembre
1933, nella quale si stabilisce un principio (parr. 2 e 4) – applicabile anche
ai fiumi che attraversano in sequenza i territori di più paesi - che gli Stati
hanno il diritto esclusivo di sfruttare per fini industriali o agricoli le acque
dei fiumi internazionali, sulla sponda sottoposta alla loro giurisdizione.
Tuttavia, l’esercizio di questo diritto è limitato dalla necessità di non
arrecare pregiudizio al simile diritto che deve essere riconosciuto allo Stato
vicino (a valle o a monte).
Un altro strumento normativo è l’Atto di Asunción relativo all’uso dei corsi
d’acqua internazionali, adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi
rivieraschi di Rio de La Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay)
nella riunione tenutasi dal 1° al 3 giugno 1971, contenente la Dichiarazione di
Asunción sull’uso dei corsi d’acqua internazionali la quale stabilisce: a) che
nei corsi d’acqua internazionali contigui, appartenenti simultaneamente a due
Stati, risulta necessario un accordo bilaterale tra i paesi rivieraschi prima di
qualsiasi uso ne sia fatto delle acque (par. 1); b) che nei corsi d’acqua
internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla sovranità
di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque compatibilmente con i suoi
bisogni, a condizione che non si arrechino notevoli pregiudizi ad alcun altro
Stato del bacino (par. 2). In seno alla Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente tenutasi dal 5 al 16 giugno 1972, sono stati adottati: 1) la
Dichiarazione (di Stoccolma) sull’ambiente il cui principio 21 stabilisce che,
conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto
internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro proprie
risorse in base alla loro politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo
che le attività svolte nel proprio territorio, o sotto il loro controllo, non
causino dei danni all’ambiente degli altri paesi o nei territori nullius;
2) il Piano d’Azione per l’ambiente che contiene la raccomandazione n. 51 che
invita i governi interessati: a) ad esaminare l’opportunità d’istituire una
commissione internazionale fluviale o degli strumenti appropriati per la
cooperazione tra i paesi interessati quando delle risorse in acqua appartengono
a più Stati; b) ad applicare i seguenti principi e cioè che lo sfruttamento
delle risorse presenti in acqua avvenga nel miglior dei modi e si eviti di
produrre l’inquinamento dell’acqua in ogni paese, e che i vantaggi netti
derivanti dalle attività condotte nelle regioni idrologiche comuni a più Stati,
devono essere ripartiti in parti uguali tra i paesi in causa.
Un ennesimo strumento da menzionare è il Piano d’Azione del Mare della Plata,
adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, che contiene, tra
numerose raccomandazioni e risoluzioni, la raccomandazione n. 7 che invita gli
Stati a promulgare «una legislazione giudiziosa» per promuovere efficacemente ed
equamente l’uso e la protezione dell’acqua e degli ecosistemi presenti
nell’acqua. Ed ancora, si sostiene che, constatata la crescente interdipendenza
dal punto di vista economico, ambientale e fisico che esiste al di là delle
frontiere, nel caso di risorse in acqua comuni, gli Stati sono tenuti a
cooperare. Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto
internazionale, questa cooperazione dev’essere fondata sull’uguaglianza, la
sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli Stati. Infine, le decisioni
dei tribunali (arbitrali) internazionali rafforzano il principio che vieta agli
Stati di lasciar utilizzare il loro territorio in maniera pregiudizievole per
gli altri paesi (casi Oder, Prises d’eau à la Meuse, Détroit de Corfou, Lac
Lanoux, Fonderie de Trail (Trail Smelter).
L’obbligo di proteggere gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali
costituisce un’applicazione specifica delle disposizioni contenute nell’art. 5
della CUADN. L’obbligo di protezione imposta agli Stati consiste nel mettere gli
ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali al riparo dai pericoli o dai danni
prodotti dall’inquinamento44.
3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento
Gli Stati rivieraschi, singolarmente o congiuntamente, sono tenuti: a) a
ridurre e controllare la polluzione suscettibile di causare un danno
significativo agli altri paesi che condividono lo stesso corso d’acqua o al loro
ambiente, alla salute o alla sicurezza dell’uomo, all’utilizzo positivo delle
acque, o meglio alle risorse biologiche del corso d’acqua [art. 21, par. 2,
CUADN].
L’obbligo di prevenire concerne dei nuovi inquinamenti dei corsi d’acqua
internazionali, mentre il dovere di ridurre o reprimere concerne la polluzione
esistente; b) ad adottare tutte le misure necessarie (in base alla loro
tecnologia posseduta e ai loro mezzi finanziari) per proteggere e preservare
l’ambiente marino in rapporto ad un corso d’acqua internazionale, ivi compresi
gli estuari, tenendo conto delle regole e delle norme internazionali
generalmente accettate [art. 23, CUADN]. L’obbligo enunciato all’art. 23 della
CUADN non consiste nel proteggere solo l’ambiente marino, ma nel prendere le
misure, “che si rapportano ad un corso d’acqua internazionale”, che sono
necessarie per proteggere questo ambiente.
Per realizzare, in particolare, la “prevenzione, riduzione e controllo della
polluzione” gli Stati contraenti interessati, oltre ad armonizzare le loro
politiche a questo riguardo, avviano delle consultazioni, su richiesta di uno di
essi, in vista di fissare delle misure e delle modalità vicendevolmente
accettabili per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento45,
tra le quali: a) definire degli obiettivi e dei criteri comuni concernenti la
qualità dell’acqua; b) porre in essere delle tecniche e degli strumenti per
combattere l’inquinamento delle sorgenti circoscritte o distribuite46;
c) stabilire una tabella delle sostanze la cui introduzione nelle acque di un
corso d’acqua internazionale deve essere vietata, limitata, esaminata o
controllata [art. 21, par. 3, CUADN].
Sempre come misura protettiva, gli Stati sono tenuti ad adottare ogni misura
necessaria a prevenire l’immissione, in un corso d’acqua internazionale, di
nuove o estranee specie suscettibili di causare degli effetti pregiudizievoli
all’ecosistema di un corso d’acqua e, in conclusione, un significante danno agli
altri Stati del corso d’acqua [art. 22, CUADN]47.
3.2.2. La protezione dall’introduzione di nuove specie
L’introduzione di nuove specie (cioè quelle modificate geneticamente o
ottenute attraverso le tecniche della genetica) e specie étrangères
(specie allogene) di flora e fauna (piante, animali e altri organismi viventi)
in un corso d’acqua è suscettibile di rompere l’equilibrio ecologico ed
ingenerare quindi dei gravi problemi (es., intralci alle attività ricreative,
eutrofizzazione accelerata, perturbazione della catena alimentare, eliminazione
delle altre specie, specialmente interessanti, trasmissione delle malattie). Una
volta introdotte nuove specie è molto difficile eliminarle.
L’obbligo di preservare gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali è
analogo a quello relativo alla protezione, ma, in questo caso, si applica agli
ecosistemi di acqua dolce che sono nel loro stato primitivo e non sono
perturbati.
Quindi si chiede agli Stati di proteggere questi ecosistemi in maniera tale da
conservare il loro status naturale. La protezione e la preservazione
degli ecosistemi acquatici, insieme, permettono di assicurare la loro vitalità
permanente e quindi di disporre di una risorsa essenziale di sviluppo a lungo
termine.
4. Misure da adottarsi in caso di significante danno prodotto
In caso di significante danno causato ad un paese, lo Stato responsabile è
tenuto a consultarsi48
con il paese danneggiato, ed eventualmente a discutere sul risarcimento dei
danni [art. 7, CUADN]49.
Il par. 2 dell’art. 7 della CUADN prevede l’ipotesi nella quale un danno
significativo si sia realizzato nonostante l’esercizio della diligenza dovuta da
parte dello Stato utilizzatore e quindi operante nel momento in cui è esclusa
qualsiasi questione di responsabilità da illecito del paese utilizzatore per
violazione dell’obbligo di diligenza.
In tal caso il par. 2 [CUADN] pone a carico dello Stato danneggiante un obbligo
di consultazione con il paese danneggiato. Un’eccezione all’obbligo di
consultazione viene prevista nella prima parte dell’art. 7, par. 2 [CUADN] e
precisamente nel caso in cui esista già un accordo specifico tra i due Stati
interessati mirante a regolare le questioni rilevanti. Ai sensi del
sottoparagrafo a) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], gli Stati interessati devono
innanzitutto verificare se l’uso che ha dato luogo al danno sia effettivamente
equo e ragionevole, “taking into account the factors listed in artiche 6”
[CUADN]. La ratio della disposizione, da come emerge dai lavori
preparatori (Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in
Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 178, par. 61
– intervento di Bowett), è quella di consentire un riesame a posteriori del
carattere equo e ragionevole dell’uso del corso d’acqua che, presuntivamente
accertato in un primo momento, viene in seguito posto in discussione dal
realizzarsi del danno significativo.
Per raggiungere tale risultato fondamentale risulta il sottoparagrafo b)
dell’art. 7, par. 2 [CUADN] che richiama innanzitutto le parti a consultazioni
finalizzate a porre in essere quegli aggiustamenti ad hoc
dell’utilizzazione del corso d’acqua che permettano di ridurre o eliminare il
danno significativo ad essa conseguente.
Sulla questione degli aggiustamenti ad hoc da apportare all’utilizzo del
corso d’acqua internazionale al fine di eliminare o attenuare ogni danno causato
e, se opportuno, dell’indennizzo, enunciato nell’art. 7, par. 2, lett. b) [CUADN],
risulta necessario che, durante le consultazioni, si tenga conto di alcuni
elementi, come tali aggiustamenti siano vitali sul piano economico, come i danni
subiti dallo Stato leso derivanti dalle attività interrotte (produzione e
distribuzione dell’energia idroelettrica, lotta contro le inondazioni,
potenziamento della navigazione, ecc.). A tal fine, il diritto all’indennizzo è
espressamente riconosciuto come un mezzo per riequilibrare gli interessi. La
nozione di equilibrio è prevista anche nella raccomandazione n. 51 della
Conferenza di Stoccolma del 1972 sull’ambiente.
Il sottoparagrafo b) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], stabilisce, inoltre, che
oggetto di consultazione tra le parti sia anche “where appropriate”, la
questione dell’eventuale risarcimento dei danni alle vittime del danno
significativo50.
Se le consultazioni non portano a nulla, si applicheranno le procedure di
soluzione delle controversie previste dall’art. 33 della CUADN. La diligenza (“diligence
voulue”)51
richiesta ad ogni Stato è proporzionata all’importanza del paese, al suo potere,
nonché al suo potenziale di sicurezza in grado di salvare i propri cittadini o
residenti.
III. SESTA PARTE DELLA CUADN: DISPOSIZIONI VARIE CHE RIGUARDANO SITUAZIONI DI
CONFLITTO ARMATO, PROCEDURE INDIRETTE, DATI ED INFORMAZIONI VITALI PER LA DIFESA
O LA SICUREZZA NAZIONALI E LA NON DISCRIMINAZIONE
I corsi d’acqua internazionali, le installazioni, le ristrutturazioni e
altre opere connesse beneficiano della protezione riconosciuta dai principi e
dalle norme internazionali applicati ai conflitti armati internazionali e
interni, e non possono essere utilizzati in violazione del diritto bellico [art.
29, CUADN]. L’art. 29 [CUADN] non modifica né emenda gli strumenti normativi
esistenti, e né ha l’intenzione di estendere agli Stati accordi internazionali
di cui non siano parti.
La principale funzione dell’articolo in questione è quello di ricordare
semplicemente agli Stati che il diritto bellico è applicabile ai corsi d’acqua
internazionali. Gli stessi articoli restano evidentemente in vigore nel periodo
del conflitto armato. Durante tale periodo, gli Stati rivieraschi sono tenuti a
proteggere ed utilizzare i corsi d’acqua internazionali e le opere connesse
conformemente alle disposizioni che hanno fissato. Ma la guerra può toccare un
corso d’acqua internazionale e avere delle conseguenze relativamente alla loro
protezione e all’uso. L’art. 29 [CUADN] non lascia alcun dubbio
sull’applicazione dei principi e delle norme del diritto bellico52.
Ai sensi dell’art. 30 della CUADN, e precisamente nell’ipotesi in cui si
verifichino degli ostacoli seri all’instaurazione di contatti diretti tra gli
Stati rivieraschi, i paesi interessati si accollano i doveri derivanti dalla
presente convenzione, ivi compresi lo scambio dei dati e delle informazioni, le
notifiche, le comunicazioni, consultazioni e negoziazioni, in virtù di ogni
procedura indiretta accettata da essi.
Ai sensi dell’art. 31 della CUADN, nessuna disposizione della presente
convenzione obbliga uno Stato rivierasco a fornire dati ed informazioni che sono
vitali per la sua difesa o sicurezza nazionali. Tuttavia, questo Stato è tenuto
a cooperare in buona fede con gli altri allo scopo di fornire soltanto le
informazioni che le circostanze richiedono53.
Salvo che gli Stati rivieraschi non convengano diversamente sul come proteggere
gli interessi delle persone, fisica o giuridica, o che possano essere seriamente
danneggiate da un significante danno transfrontaliero derivante da attività
legate ad un corso d’acqua internazionale, un paese rivierasco non può impedire
alle interessate di esperire i ricorsi interni, o rifiutarne l’indennizzo o
altra forma di riparazione – per danni significativi derivati da attività
condotte sul proprio territorio – giustificando il diniego di giustizia e il
rifiuto a motivi strettamente legati alla nazionalità, al luogo di residenza o
al luogo del danno, delle persone interessate [art. 32, CUADN]54.
IV. LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
In caso di controversie tra due o più paesi concernenti l’interpretazione o
l’applicazione della presente convenzione, l’art. 33, parr. 1-2 [CUADN], dispone
che, in assenza di un accordo in vigore tra le parti della controversia, gli
interessati sono tenuti a risolverla con mezzi pacifici indicati dalla
convenzione in questione (negoziati, buoni uffici, mediazione, conciliazione,
ricorso alla commissione mista o ad un arbitrato)55.
Se entro sei mesi dall’avviamento dei negoziati non si è pervenuti a dirimere la
controversia, o in caso di fallimento degli altri mezzi pacifici, la
controversia può essere sottoposta, su richiesta di una delle parti interessate,
ad una commissione d’inchiesta – le cui spese sono sopportate dagli Stati che
sono parti della controversia [art. 33, par. 9, CUADN] - composta da un membro
designato da ciascun paese interessato56
e da un presidente scelto da essi, di nazionalità diversa dagli altri componenti
[art. 33, parr. 3-4, CUADN]57
e che stabilisce la procedura [art. 33, par. 6, CUADN].
Le parti interessate hanno l’obbligo di fornire alla commissione d’inchiesta
tutte le informazioni di cui abbia bisogno e, su richiesta della stessa, di
consentire l’ingresso nei loro rispettivi territori e l’ispezione delle
installazioni, degli stabilimenti, delle attrezzature, delle costruzioni o degli
accidents topographiques, che possano presentare un interesse
all’inchiesta in corso [art. 33, par. 7, CUADN].
La Commissione d’inchiesta, alla fine delle indagini, adotta un rapporto a
maggioranza dei suoi membri, se non è costituita da un solo membro, e lo
sottopone alle parti interessate corredandolo delle sue conclusioni motivate e
delle raccomandazioni che ritiene opportune per risolvere la controversia, e i
destinatari sono tenuti ad esaminarlo in buona fede [art. 33, par. 8, CUADN].
Tuttavia, ciascun Stato può dichiarare, in luogo di ratifica, accettazione,
approvazione, adesione, ovvero successivamente, che, per quanto concerne
qualsiasi controversia non risolta con mezzi pacifici, riconoscerà come
obbligatoria ipso facto e senza alcun accordo speciale concluso con le
parti che hanno accettato lo stesso obbligo: a) la sottoposizione della
controversia alla Corte internazionale di giustizia; b) l’arbitrato di un
tribunale arbitrale competente che esercita i propri poteri, salvo diversamente
disposto dalle parti di una controversia – che in tal caso può essere anche
un’organizzazione regionale economica, conformemente alla procedura indicata in
appendice alla convenzione [art. 33, par. 10, CUADN].
In questo caso la parte attrice notifica – con un atto (di notifica) nel quale
indica l’oggetto dell’arbitrato e in particolare gli articoli della convenzione
che sono oggetto della controversia - alla parte convenuta la propria intenzione
di rinviare la controversia ad un tribunale arbitrale, conformemente all’art. 33
della presente convenzione. Se le parti della controversia non si accordano
sull’oggetto della controversia, sarà il tribunale arbitrale a determinarlo
[art. 2, appendice della CUADN]. Il tribunale arbitrale è composto da tre membri
se le parti della controversia sono due59.
Ciascuna delle parti alla controversia nomina un arbitro60;
i due arbitri designati, di comune accordo, ne nominano un terzo che assume la
funzione di presidente del tribunale61
[art. 3, par. 1, in appendice alla CUADN].
Se entro due mesi dalla nomina del secondo arbitro, non viene nominato il
presidente del tribunale arbitrale, il presidente della Corte internazionale di
giustizia procede, su richiesta di una parte, ad una sua designazione entro i
successivi due mesi [art. 4, par. 1, in appendice alla CUADN].
Ai sensi dell’art. 8 [in appendice alla CUADN] le parti sono tenute ad agevolare
i lavori del tribunale arbitrale: a) fornendo tutti i documenti, informazioni e
agevolazioni possibili. Le parti e gli arbitri, tuttavia, sono tenuti a
mantenere la natura confidenziale su ogni informazione che essi ottengono
confidenzialmente o nel corso delle udienze; b) permettendo all’organismo
arbitrale, in caso di necessità, di far comparire dei testimoni o degli esperti
e di raccogliere le loro deposizioni.
Il tribunale arbitrale stabilisce le proprie regole di procedura (salvo che le
parti della controversia non decidano diversamente) [art. 6, in appendice alla
CUADN], può raccomandare – su richiesta di una delle parti della controversia –
dei provvedimenti conservativi necessari (art. 7, appendice convenzione),
conoscere e decidere sulle domande riconvenzionali strettamente legate
all’oggetto della controversia [art. 11, in appendice alla CUADN].
Il tribunale rende le proprie decisioni62
(tant sur le procédure que sur le fond) conformemente alle disposizioni
della convenzione in questione e al diritto internazionale [art. 5, in appendice
alla CUADN] a maggioranza dei suoi membri [art. 12, in appendice alla CUADN]. Se
una delle parti della controversia è contumace, l’altra parte può chiedere di
dar seguito alla procedura e alla decisione [art. 13, in appendice alla CUADN].
Il tribunale arbitrale è tenuto a pronunciare la sentenza definitiva non più
tardi dei cinque mesi dalla sua istituzione, a meno che non ritenga necessario
prorogare il termine per altri cinque mesi al massimo. La sentenza, limitata
all’oggetto della controversia, dev’essere motivata, deve contenere i nomi dei
membri che hanno partecipato alla sua stesura e la data nella quale è stata
pronunciata, le varie opinioni divergenti dei membri.
La sentenza è obbligatoria per le parti della controversia ed è inappellabile, a
meno che le parti non abbiano precedentemente inteso prevedere un secondo grado
di giudizio (art. 14, in appendice alla CUADN].
V. MOTIVI PER I QUALI LA CUADN NON È ENTRATA ANCORA IN VIGORE
1. Natura della CUADN
La presente Convenzione è stata aperta alla firma di tutti gli Stati e delle
organizzazioni economiche regionali a partire dal 21 maggio 1997 fino al maggio
del 2000 presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York [art. 34, CUADN].
La Convenzione sarebbe dovuta entrare in vigore 90 giorni dopo il deposito della
trentacinquesima ratifica (accettazione, approvazione o adesione) depositata
presso il Segretario generale delle Nazioni Unite [art. 36, par. 1, CUADN].
Allo stato attuale solo 15 Stati63
dei 24 che hanno sottoscritto la CUADN64,
hanno deposito la propria ratifica, accettazione, adesione o approvazione65.
Il ritardo dell’entrata in vigore della CUADN o della limitata incisività,
dipende innanzitutto dal modo d’essere della convenzione stessa che appunto
s’inquadra come accordo-quadro66.
La CUADN non si pone l’obiettivo di derogare ad accordi internazionali conclusi
precedentemente dagli Stati che ne diventano parti67.
A tal fine si dispone che, salvo gli Stati rivieraschi abbiano convenuto
diversamente, la CUADN «non modifica in nulla i diritti o i doveri»
precedentemente stabiliti in precedenti accordi internazionali conclusi tra gli
stessi68.
Allo stesso modo, quando certi Stati rivieraschi sono parti di un altro accordo,
nessuna disposizione della CUADN recherà pregiudizio ai diritti e doveri agli
stessi Stati che siano parti di entrambi [art. 3, par. 6, CUADN]. Tuttavia,
sempre che lo ritengano necessario, gli Stati possono sempre armonizzare i
precedenti accordi conclusi con i principi previsti dalla CUADN.
Gli Stati rivieraschi, infatti, possono concludere anche uno o più accordi
internazionali, denominati “accords de cours d’eau”69,
al fine di applicare e adattare le disposizioni della CUADN alle caratteristiche
e agli usi di un corso d’acqua internazionale, o di una parte di esso.
All’iniziativa di un paese rivierasco – che ritiene appunto necessario adattare
e applicare le disposizioni della CUADN in ragione delle caratteristiche e degli
usi di un corso d’acqua internazionale particolare – seguono delle consultazioni
allo scopo di negoziare, in buona fede, un accordo o degli accordi
internazionali [art. 3, par. 5, CUADN]. Il bisogno di consultarsi può derivare
sia da semplici esigenze di carattere naturale, come la diminuzione del volume
dell’acqua, sia da fatti legati ai bisogni degli Stati rivieraschi, come
l’aumento del consumo domestico, agricolo o industriale.
Se da un lato gli Stati che concludono l’accordo particolare sono tenuti ad
osservare il par. 1 dell’art. 3 [CUADN], dall’altro lato restano liberi, non
solo di applicare le disposizioni dell’art. 3 [CUADN], ma addirittura di
adattarle alle caratteristiche e agli usi particolari del corso d’acqua o parte
di esso.
Ai sensi dell’art. 3, par. 2 della CUADN, gli Stati sono liberi di definire la
portata degli accordi che andranno a concludere e quindi anche di limitarlo ad
un solo tronco di un fiume che forma o attraversa una frontiera internazionale,
ovvero di estenderlo a tutte le acque del bacino di drenaggio, o infine di
adottare una soluzione intermedia70.
Un accordo di questo tipo può essere concluso per l’intero corso d’acqua
internazionale, o per una parte qualsiasi di esso, o per un progetto o programma
particolare, ovvero per un particolare uso, purché non si arrechi grave
pregiudizio all’utilizzo delle acque ad uno o più Stati senza l’esplicito
assenso di quest’ultimo/i [art. 3, par. 4, CUADN].
La parte centrale del paragrafo contiene una riserva - «un tel accord peut
être conclu pour un cours d’eau international tout entiere» - atta a
proteggere i diritti degli Stati rivieraschi che non sono parti di un accordo. A
tal fine si ritiene che il modo più efficace ed utile per risolvere i problemi
legati ad un corso d’acqua (es., inquinamento)71
sia quello di far partecipare possibilmente tutti gli Stati interessati, anziché
una cerchia ristretta. Una formula del genere è prevista nei trattati relativi
ai bacini dell’Amazzonia, del Rio de La Plata, del Niger e del Chad.
Se uno Stato rivierasco rischia di essere leso in maniera significativa
dall’esecuzione di un eventuale accordo, ha il diritto di partecipare alle
consultazioni ed eventualmente ai negoziati (da condursi in buona fede) al fine
di divenirne parte qualora si valuti obiettivamente che da tale impegno
internazionale assunto non ne derivi grave pregiudizio [art. 3, par. 3, CUADN].
La conditio sine qua non della conclusione di un accordo prima
dell’utilizzo di un corso d’acqua72,
conferisce agli Stati la possibilità di impedire agli altri di utilizzare le
acque, rifiutando semplicemente l’accordo.
Se da un lato si riconosce ad ogni Stato di un corso d’acqua (parte o no di un
accordo) il diritto di partecipare alle consultazioni e ai negoziati in vista di
un accordo internazionale, dal canto suo tale diritto non è assoluto, essendo
sottoposto ad una riserva: questo diritto non esiste per lo Stato in questione «que
dans la mesure où son utilisation en sarait affectée» [art. 4, par. 2, CUADN],
cioè nel momento in cui l’accordo minacci realmente un grave pregiudizio. Al di
fuori di queste ipotesi la partecipazione di uno Stato rivierasco contraente ad
un accordo, costituirebbe un’ingerenza durante le fasi di consultazione e di
negoziazione.
2. La scarsa efficacia ed incisività della CUADN
Un secondo motivo è data dal fatto che la CUADN non ha una vocazione
universale e non detta principi innovativi rispetto alle precedenti convenzioni
di diritto internazionale fluviale che trattano dell’utilizzo dei corsi d’acqua
internazionali. Certo, le aspettative avrebbero dovute essere maggiori
(vocazione universale, come la Convenzione di Montego Bay del 1982 nel settore
del diritto internazionale marittimo)73
visto che prima della CUADN non esisteva una disciplina unitaria e concreta
sull’uso delle corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Le associazioni e le organizzazioni internazionali, infatti, si sono occupate
del problema in un’ottica strettamente legata ai loro bisogni di carattere
regionale o geografico, ed anche con approcci differenti: ciò dimostra che non
esistono dei principi evidenti e universali di diritto internazionale relativi
all’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla
navigazione. Inoltre, risulta che nessun tribunale arbitrale abbia pronunciato
una decisione in materia74.
L’insuccesso sinora raggiunto sul numero dei ratificanti75,
deriva forse dall’esistenza di numerose convenzioni internazionali
fluviali-marittime (passate in rassegna non esaustivamente) che dettagliatamente
e settorialmente già disciplinano i contenuti vaghi previsti dalla CUADN.
Un disinteresse emerso anche durante il lungo iter preparatorio76
forse motivato dal fatto che tale convenzione non innoverebbe in nulla il regime
giuridico dei corsi d’acqua internazionali (a fini diversi dalla navigazione),
essendo un grande calderone o, se volete, un bacino contenente principi e
direttive già contenuti in precedenti accordi bilaterali-multilaterali sia in
materia marittima, che fluviale.
L’unico elemento positivo che si riscontra è dunque il fine di “riunire, o
richiamare”, i principi contenuti in numerose convenzioni di diritto
internazionale fluviale (essenzialmente sull’uso dei corsi d’acqua
internazionali) e marittimo – indicando timidamente agli Stati contraenti (della
CUADN) di osservarli nell’elaborazione dei loro “accords de système”77.
A ciò si associa la subordinazione dell’intera CUADN rispetto agli altri accordi
conclusi dagli Stati contraenti che non possono essere derogati dalla CUADN (e
che ne svilisce il contenuto), e dal timido tentativo di consigliare ai paesi
contraenti di modificare i propri accordi compatibilmente con i principi in essa
contenuti (ma per la maggior parte già previsti in numerosi accordi
bilaterali-multilaterali).
Del resto gli Stati rivieraschi di un corso d’acqua internazionale nella prassi
preferiscono concludere degli accordi internazionali bilaterali o al massimo
tri-quadrilaterali anziché trattati internazionali altamente multilaterali78.
Ciò risulta da uno studio condotto su 145 trattati internazionali conclusi dopo
il 1870 (J. H. HAMMER, A. T. WOLF, Patterns in International Water Resource
Treaties: the Transboundary Freshwater Dispute Database, in Colorado J. Int’l
Env’l L & P., 1997).
Senza contare, poi, che già nel periodo 1950-1978 sono stati registrati - presso
il Segretario generale delle Nazioni Unite - ben 225 convenzioni internazionali
contenenti disposizioni in tema di usi differenti dalla navigazione a fronte di
98 convenzioni disciplinanti la navigazione fluviale. Altre due raccolte di
trattati relative agli ambiti regionali europeo ed africano annoverano
rispettivamente 105 e 26 strumenti convenzionali relativi alle utilizzazioni dei
fiumi internazionali diversi dalla navigazione79.
Calandoci poi nei meandri e settori disciplinati dalla CUADN (equa utilizzazione
dei corsi d’acqua internazionali, valorizzazione dei fiumi internazionali,
sfruttamento idroelettrico, protezione dell’inquinamento e degli ecosistemi,
risarcimento dei danni, soluzione delle controversie) degno di essere richiamato
è il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei
corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e
alla salute (Londra, 17 giugno 1999).
Il Protocollo, infatti, sembra quasi prevedere una buona parte della CUADN,
soprattutto se si analizzano gli obiettivi del protocollo: promuovere a tutti i
livelli appropriati, sia nazionale che in un contesto transfrontaliero e
internazionale, la protezione della salute e del benessere dell’uomo, nel quadro
di uno sviluppo sostenibile, migliorando la gestione dell’acqua, ivi compresa la
protezione degli ecosistemi acquatici, e adoperandosi per prevenire, combattere
e far regredire le malattie legate all’acqua (art. 1).
Ciò fa pendant con l’ampiezza del suo campo di applicazione che, infatti, copre:
a) le acque dolci superficiali; b) le acque sotterranee; c) gli estuari; d) le
acque costiere utilizzate a fini ricreativi, o per l’acquacoltura o la
molluschicoltura; e) gli invasi artificiali per balneazione; f) le acque durante
le operazioni di prelievo, trasporto, trattamento o approvvigionamento; g) le
acque usate durante le operazioni di raccolta, trasporto, trattamento e rigetto
o riutilizzo (art. 3).
Ai sensi dell’art. 4 le Parti adottano tutte le misure appropriate per
prevenire, combattere e far regredire le malattie legate all’acqua nel quadro di
sistemi integrati della gestione dell’acqua miranti ad assicurare
un’utilizzazione sostenibile delle risorse acquatiche, una qualità dell’acqua
che non metta in pericolo la salute dell’uomo e la protezione degli ecosistemi
acquatici.
Ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento
includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme
tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi
d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi
o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8).
Ed infine. Le Parti, ai fini del presente Protocollo, perseguono lo scopo di
garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile e le misure sanitarie, nel quadro
dei sistemi integrati di gestione dell’acqua. A tal fine, ciascuna Parte: a)
fissa e pubblica degli obiettivi nazionali e/o locali, eventualmente intermedi o
scaglionati, al fine di assicurare un alto grado di protezione contro le
malattie legate all’acqua, nonché delle date per raggiungere detti obiettivi; b)
predispone dei meccanismi nazionali o locali di coordinamento tra le autorità
competenti, dei piani di gestione dell’acqua in un contesto transfrontaliero,
nazionale e/o locale, preferibilmente a livello di bacini idrografici o di
acquiferi sotterranei, ed infine un quadro legislativo ed istituzionale, nonché
i meccanismi giuridici ed istituzionali, per assicurare la sorveglianza e
garantire il rispetto degli standard e della qualità (art. 6).
3. Osservazioni finali
Ulteriori osservazioni critiche possono essere fatte sugli artt. 5, 6 e 10
della CUADN, relativi al principio dell’equa utilizzazione che prevedono un uso
ottimale anziché, come si auspicava da alcune delegazioni in precedenti sessioni80,
un accostamento al principio dello sviluppo sostenibile81
già previsto in alcuni strumenti internazionali contemporanei82.
Certamente l’art. 5 al par. 1 [CUADN] introduce il concetto di “utilizzazione
sostenibile”, ma né tale articolo, né tantomeno il successivo art. 6 [CUADN],
contengono riferimenti a nozioni o circostanze, quali la protezione degli
ecosistemi correlati ai corsi d’acqua, il principio dell’azione precauzionale o
la necessità di considerare i diritti delle generazioni future, come si
auspicava da vari delegati durante le sedute.
Con la frase «taking into account the interests of the watercourse States
concerned» si è voluto indicare che qualsiasi sfruttamento di un corso
d’acqua internazionale e la realizzazione del fine della sua ottimale
utilizzazione non possono essere rimessi alla discrezionale valutazione del
singolo paese utilizzatore, ma vanno considerati nella prospettiva di bilanciare
e soddisfare le esigenze di tutti gli Stati rivieraschi interessati al corso
d’acqua.
A tal fine sembra opportuno ricordare il consistente numero di accordi
internazionali contemporanei che vanno al di là del principio dell’utilisation
équitable, prevedendo un sistema integrato di gestione del bacino83.
Negli ultimi 20 anni, inoltre, la presa di coscienza degli Stati di fronte ai
gravi e sproporzionati effetti nefasti prodotti dai fenomeni di inquinanti ha
fatto sì che strumenti internazionali si corredassero del principio dello
sviluppo sostenibile, cioè l’esigenza di garantire una compatibilità tra le
attività di sviluppo economico degli Stati e la tutela e preservazione di un
ambiente naturale che delle medesime attività rappresenta supporto presente e
futuro. Si è quindi constatato come i corsi d’acqua assumano un ruolo importante
dell’ambiente globale costituendo, tra l’altro, degli ecosistemi in cui vivono e
si sviluppano diverse risorse naturali viventi e non viventi tra loro
strettamente collegate84:
Una convenzione degna di modificare od integrare il regime giuridico delle
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla
navigazione) avrebbe dovuto essere più incisiva e avrebbe dovuto coinvolgere più
paesi in modo tale da assumere la forma di una convenzione tendenzialmente
universale (che mai sarà anche nell’ipotesi in cui altri Stati decideranno di
ratificarla o di aderivi). Ma i motivi politici, gli interessi diversi dagli
Stati85, i loro
precedenti accordi internazionali in materia fluviale86,
non avrebbero neppure fatto proseguire il lungo iter dei lavori
preparatori se l’intento dei membri della commissione di diritto internazionale
e lo spirito dei redattori avesse voluto porre in essere una convenzione di
ampio respiro in grado di rivoluzionare il (precedente) regime giuridico
dell’uso dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla navigazione)87.
___________________
* Ricercatore di
diritto internazionale e Professore supplente di organizzazione internazionale
nella Facoltà di Scienze Politiche della Università degli studi di Teramo.
1) Nelle regioni dove abbonda l'acqua, l'utilizzo di tale
risorsa per fini agricoli consiste nel ridurre la percentuale di umidità nei
suoli mediante il sistema del drenaggio. In tal caso più che di “utilizzo” si
può parlare di “sfruttamento”dei corsi d'acqua.
2) Nella maggior parte dei paesi la richiesta d'acqua per fini
industriali supera quella per fini domestici e agricoli, e la domanda
industriale tende ad accrescersi sempre di più per l'introduzione e
l'applicazione di nuove tecniche: questo è il caso dell'energia atomica
utilizzata al posto dei combustibili fossili o di altre fonti di energia.
3) Ad un progressivo aumento esponenziale negli anni a seguire
della popolazione mondiale non corrisponde un altrettanto aumento delle risorse
idriche. Da segnalare, tra l’altro, uno studio condotto dal segretariato della
commissione economica per l'Europa sui problemi dell'approvvigionamento
dell'acqua in Europa (negli anni 70) - («Travaux préparatoire de la Conférence
des Nations Unies sur l’eau: projet de rapport sur les options politiques
concernano l’utilisation et la mise en valeur des ressources en eau dans la
ragion de la Commission économique pour l’Europe» WATER/ge.1/r.21) – nel quale
si stimò che le risorse idriche di cinque Stati europei (Cipro, Malta,
Repubblica democratica tedesca, Ungheria, RSS di Ucraina) non soddisfavano più i
loro bisogni. E che le risorse idriche non avrebbero soddisfatto i bisogni
crescenti di altri sette paesi europei (Belgio, Bulgaria, Lussemburgo, Polonia,
Portogallo, Romania e Turchia) da lì al 2000. In ragione della sua proprietà di
autorinnovamento, si può dire, che l'acqua costituisce la sola risorsa naturale
sulla quale gli Stati esercitano concretamente una sovranità permanente. Le
altre risorse naturali generalmente associate a questa nozione, per esempio i
minerali e il petrolio, sono limitati. Un’altra delle caratteristiche fisiche
dell'acqua è la (sua) mobilità o il c.d. movimento perpetuo. La pioggia cade sui
fianchi di una collina, si disperde in un ruscello che si getta in un corso
d'acqua e va fino al mare, dove l'acqua evapora e si condensa in seguito in neve
per ricadere, infine, sulla terra.
4) Per sua natura, il processo di rinnovamento dell'acqua si
situa sempre all'interno di una certa zona geografica – anche se l’acqua passa
da un paese all’altro con un movimento continuo – essendo le frontiere
determinate dalle delimitazioni del bacino idrografico. In forza del proprio
ciclo idrologico l’acqua presente sulla terra si rinnova costantemente
mantenendo invariata la propria consistenza quantitativa mediante fenomeni di
evaporazione e precipitazione. Tuttavia, l'utilizzo dei corsi d'acqua, a causa
della siccità, implica ulteriori problemi quali, l'impoverimento dei corsi
d'acqua, l'inquinamento, l’erosione, le inondazioni ecc.
5) Si osserva che un corso d’acqua interamente situato su un
territorio di un solo Stato può essere alimentato dalle acque sotterranee di un
altro paese. Sarà quindi possibile, tecnologia e progresso permettendo, deviare
o utilizzare queste acque a scapito delle acque superficiali attribuendo
eventuali responsabilità in materia di diritto fluviale allo Stato che causerà
un pregiudizio con questo tipo di attività (A/CN.4/SR.1609, punto 4, in Annuaire
de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I).
6) Esempi: Il Trattato concluso tra Iran ed Iraq relativo alla
delimitazione di frontiera e al buon vicinato tra Iran ed Iraq (Bagdad, 13
giugno 1976) dispone all’art. 2 che le parti contraenti «confirment que la
frontière d’Etat dans le Chatt-El-Arab est celle dont la délimitation a été
effectuée sur les base et conformément aux dispositions contenues dans le
Protocole relatif à la délimitation de la frontière fluviale et les annexes
audit Protocole, lesquels sont joints au présent Traité». L’Accordo concluso tra
la Bulgaria e la Romania (Sofia, 4 dicembre 1977) sulla determinazione delle
frontiere alla foce del fiume Rezovska/Mutludere e la delimitazione delle
regioni marittime tra i due Stati nel mare del Nord, stabilisce: 2) all’art. 1
che «l’embouchure de la rivière Rezovska/Mutludere est définie comme la zone
située entre la ligne qui relie le point x=5071 m et y=7842 m sur la rive
bulgare, au point x=4978 m et y=7836 m sur la rive turque, là où la rivière se
déverse dans la Baie de Rezovo/Begendik»; b) all’art. 2 che la «frontière entre
la République de Bulgarie et la République turque dans l’embouchure de la
rivière Rezovska/Mutludere suit la ligne médiane dans le lit de la rivière (mesurée
au niveau de la mer moyen), fixée après son déblaiement et son réaménagement».
L’art. 3 che «le point frontière initial dans l’embouchure de la rivière
Rezovska/Mutludere est doté des cordonnées rectangulaires x=5025 m et y=7839 m,
et le point frontière terminal dans l’embouchure de la rivière des cordonnées
x=5324 m et y=8339 m, déterminées sur le Plan de l’embouchure de la Rezovska/Mutludere,
à l’échelle 1:1000, conjointement adopté en septembre 1992 (Annexe 3 au présent
Accord). Le point frontière terminal dans l’embouchure constitue le point
frontière terminal terrestre entre les Parties». L’art. 4 che le «Parties
garantissent le libre écoulement des eaux de la rivière dans la Baie, sur la
base d’un projet conjoint d’ingénierie qui sera élaboré conformément aux
dispositions exposées dans l’Annexe 1 au présent Accord». Ed ancora i seguenti
Trattati: Il Trattato di delimitazione della frontiera tra Spagna e Portogallo a
partire dalla foce del Miño fino al confluente di Rio Caya e del Guadania
(Lisbona, 29 settembre 1864) e successivo Atto finale (Lisbona, 4 novembre 1866)
che approva gli Annessi al Trattato in questione. La Convenzione conclusa tra
Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Portogallo (Londra, 6 maggio
1920) relativa ad una linea di confine tra il Sud Africa (partendo dal segnale
n. 1 situato sulla riva sinistra del Fiume Malosa e terminando al segnale n. 17
sulla riva del Lago Nassa. Lo Scambio di note tra Gran Bretagna-Irlanda del Nord
e Portogallo (Lisbona 11 maggio 1936 e 28 dicembre 1937) comprendente un accordo
relativo alla sovranità sulle isole del fiume Rovouma e alla frontiera tra il
territorio Tanganyika e del Mozambico. Il Trattato concluso tra Argentina ed
Uruguay (Montevideo, 7 aprile 1961) relativo alla frontiera sull’Uruguay.
L’Accordo tra Birmania e Pakistan (Rawalpindi, 9 maggio 1966) relativo alla
demarcazione di una frontiera fissata tra i due paesi sul fiume Naaf (con
annesso, protocollo del 28 aprile 1966 e mappe). Il Protocollo concluso tra
Argentina ed Uruguay (Buenos Aires, 16 ottobre 1968) sulla demarcazione e la
definizione della frontiera argentino-uruguayana sull’Uruguay. Il Trattato
concluso tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico, 23 novembre 1970)
relativo alla soluzione delle controversie “frontaliers” esistenti e al
mantenimento dei fiumi Rio Grande e Colorado come frontiera internazionale tra
gli Stati Uniti del Messico e gli Stati Uniti d’America. Lo Scambio di note tra
Brasile ed Uruguay (Montevideo, 21 luglio 1972) costituente un accordo relativo
alla demarcazione definitiva della foce del fiume Chui e della frontiera
marittima laterale. L’Accordo concluso tra Polonia e l’ex Cecoslovacchia
(Varsavia, 21 marzo 1975) concernente una modifica della linea di demarcazione
del confine statale e certe altre questioni relative alla costruzione e al
funzionamento assicurato dalla Polonia di una diga sul fiume Dunajec. Lo Scambio
di note tra Brasile ed Argentina (Buenos Aires, 16 settembre 1982) costituente
un accordo relativo alla demarcazione della frontiera tra i due paesi sulla
sezione del fiume Uruguay dove si trovano le isole Chafariz e Buricá o Mburicá.
Lo Scambio di note tra Brasile ed Argentina (Brasilia, 20 ottobre 1983)
costituente un accordo relativo alla delimitazione della frontiera comune,
definita dal talweg dell’Uruguay nell’ambito del Progetto di sviluppo della
regione di Garabi.
7) Per “Stato di un corso d’acqua” s’intende un paese parte
della convenzione-quadro nel cui territorio si trova una parte di un corso
d’acqua internazionale, o “un’organizzazione d’integrazione economica regionale”
(cioè qualsiasi organizzazione istituita dagli Stati sovrani di una determinata
regione, verso la quale gli stessi Stati membri hanno limitato le proprie
competenze su alcune materie previste dalla presente convenzione e che è
debitamente autorizzata, conformemente alle sue procedure interne, a concludere,
ratificare, accettare, o approvare la convenzione alla quale s’intende aderire)
nel territorio di uno o più Stati membri nella quale si trova una parte di un
corso d’acqua internazionale [art. 2, punti c-d, CUDN].
8) Numerosi trattati internazionali già si occupano o si sono
occupati in modo specifico della disciplina della navigazione fluviale. Tra gli
altri: il Trattato di commercio e di navigazione fluviale, concluso tra Brasile
e Bolivia (Rio de Janeiro, 12 agosto 1910). L’Accordo concluso tra la Liberia e
il Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Monrovia, 10 aprile 1913)
relativo alla navigazione sul fiume Manoh e la cui abrogazione avvenne il 23
marzo 1920. Lo Scambio di note tra Italia e Regno Unito (Roma, 12 e 15 giugno
1925) concernente la regolamentazione dell’utilizzazione delle acque del fiume
Gâch. Lo Scambio di note tra Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e
Siam (Bangkok, 17 luglio 1927, 7 febbraio, 18 febbraio e 21 agosto 1928)
concernente la navigazione del Mekong. La Convenzione tra l’ex Cecoslovacchia e
l’Ungheria per l’applicazione del regolamento de police de la navigation nel
settore del Danubio che segna la frontiera tra l’Ungheria e l’ex Cecoslovacchia,
oltre che per il regolamento dell’esercizio della navigazione su tale settore
del fiume, con protocollo addizionale, firmati a Praga, il 14 novembre 1928, e
il secondo protocollo addizionale, sottoscritto a Budapest, il 30 gennaio 1931,
e a Praga, il 10 marzo 1931. La Convenzione conclusa tra la Bulgaria, la ex
Cecoslovacchia, la Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, la Romania,
l’Ungheria, l’ex U.R.S.S., relativa al regime della navigazione sul Danubio (con
annessi e protocollo addizionale). L’Accordo concluso tra Romania ed Austria
(Bucarest, 11 maggio 1955) portante la regolamentazione di certe questioni
relative alla navigazione sul Danubio. Lo Scambio di note tra Canada e Stati
Uniti (Ottawa, 23 luglio e 26 ottobre 1956 e 26 febbraio 1957) costituente un
accordo concernente i lavori di miglioramento della navigazione nei canali di
comunicazione dei Grandi Laghi (via marittima di San Lorenzo). Gli artt. 1-16
dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex
Repubblica Federale Tedesca sulla regolazione della questione relativa alla
Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). La Convenzione conclusa tra la Francia e
l’ex Repubblica Federale Tedesca (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) sulla
regolazione del corso superiore del Reno tra Bâle e Strasburgo. L’Accordo
concluso tra Bulgaria e la ex Yugoslavia (Sofia, 19 aprile 1957) portante una
più precisa regolamentazione della navigazione sul Danubio (con lettere
annesse). L’Accordo concluso tra ex U.R.S.S. e Austria (Mosca, 14 giugno 1957)
concernente il regolamento di certe questioni tecniche e commerciali relative
alla navigazione sul Danubio. Il Protocollo preliminare sottoscritto tra il
Brasile e la Bolivia (La Paz, 29 marzo 1958) relativo al regime permanente della
navigazione sui fiumi brasiliani e boliviani appartenente al sistema idrografico
amazzone. L’Accordo tra Alto Volta Chad Camerun, Costa d’Avorio Dahomei, Guinea,
Mali, Niger, Nigeria (Niamey, 26 ottobre 1963) relativo alla navigazione e alla
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger. Lo Scambio di note
tra Argentina e Uruguay (Buenos Aires, 8 e 12 febbraio 1967) costituente un
accordo relativo ai problemi della navigazione fluviale. La Convenzione conclusa
tra Dahomey, Mali, Niger, Nigeria e Paesi Bassi (Niamey, 22 settembre 1967)
concernente uno studio sulla navigabilità della parte centrale del fiume Niger.
L’Accordo concluso tra Austria e Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973)
relativo alla navigazione sul Vecchio Reno. L’Accordo tra l’ex Repubblica
federale tedesca e la Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973). L’Accordo
concluso tra Iran ed Iraq (Bagdad, 26 dicembre 1975) concernente le regole
relative alla navigazione nello Shatt Al Arab (con scambio di lettere). Lo
Statuto del fiume Uruguay sottoscritto tra Argentina e Uruguay (Salto, 26
febbraio 1975). Lo Scambio di note tra la Francia e l’ex Repubblica Federale
Tedesca (Bonn, 6 dicembre 1982) costituente un accordo relativo alla regolazione
del Reno tra Budhenheim e Saint-Goar. L’Accordo concluso tra Finlandia ed ex
U.R.S.S. (Helsinki, 26 ottobre 1989) relativo alle regole disciplinanti gli
affluenti del lago Saimaa e del fiume Vuolsi (con annessi).
9) La nozione di “sistema di corso d’acqua” - introdotta per la
prima volta nella sessione della CDI del 1980 come formula di compromesso (e
riportata nell’art. 2, par. a, del progetto di Convenzione adottato dal Gruppo
di lavoro – UN Doc. A/51/869), p. 6 - non è nuova nel campo del diritto
internazionale. Questa espressione è impiegata da lungo tempo negli accordi
internazionali per indicare un fiume o un corso d’acqua, i suoi affluenti e i
canali che vi sono collegati. Così il Trattato di pace di Versailles del 1919
(art. 331), la Convenzione che stabilisce lo statuto definitivo del Danubio
(artt. 1-2), la Convenzione tra l’ex U.R.S.S. e l’Ungheria (Uzhgorod, 9 giugno
1950) concernente misure per prevenire inondazioni e regolare il regime delle
acque alla frontiera russo-ungherese nell’area del fiume Tibisco (artt. 1-2), il
Trattato del 1960 concluso tra l’India e il Pakistan (preambolo, artt. 1, parr.
2-3 e 8), l’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia
delle acque di frontiera (art. 2, par. 3), la Convenzione del 1972 tra l’Italia
e la Svizzera concernente la protezione delle acque italo-svizzere contro
l’inquinamento, l’Accordo tra la Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi
frontalieri del 16 settembre 1971 (art. 1), l’Accordo relativo al Piano d’Azione
per la gestione ecologicamente razionale del bacino comune dello Zambesi e il
Piano d’Azione in allegato (par. 15), l’Atto relativo alla navigazione e alla
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger, la Convenzione che
istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del bacino del Gambia, la
Convenzione e i loro Statuti relativi alla valorizzazione del bacino del Chad,
il Trattato del bacino di Rio de la Plata, il Trattato relativo alla
valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia, concluso
il 17 gennaio 1961 tra Canada e Stati Uniti d’America, ecc. Nonostante il largo
impiego del termine, la commissione ha deciso di superare tale concezione nella
sessione del 1991 (UN Doc. A/46/10, pp. 154-160) – nella quale ha introdotto
l’espressione “corso d’acqua internazionale”. Si sottolineò, nelle precedenti
sessioni, da parte di alcuni delegati, che la nozione “sistema di corso d’acqua”
era imprecisa e relativa, nel senso che tale nozione avrebbe potuto definirsi
internazionale solo nella misura in cui l’uso delle acque in un suo punto avesse
potuto causare degli effetti in altre parti sistema medesimo situate oltre
confine (Report of the Commission on the Work of its Thirty-Second Session, in
Yearbook of Int. Environmental Law, 1980, vol. II, pt. 2, pp. 108-109; Report of
the Commission on the Work of its Thirty-Fifth Session, in Yearbook of the
International Law Commission, 1983, vol. II, pt. 2, p. 69, par. 228).
10) Esistono, tuttavia anche delle acque sotterranee non
comunicanti con corsi d’acqua di superficie (serbatoi sotterranei isolati, non
aventi cioè alcun collegamento fisico con le acque di superficie). Se
precedentemente la Commissione del diritto internazionale e successivamente il
Gruppo di lavoro dell’Assemblea generale avevano escluso dall’ambito di
applicazione del progetto di Convenzione-quadro, la nozione di acque sotterranee
non comunicanti (UN Doc. A/49/10, pp. 201-202), nella sessione del 1994 la
Commissione del diritto internazionale riconosceva, in una separata risoluzione,
l’applicabilità dei principi contenuti nel progetto di articoli alle acque
sotterranee non comunicanti, ma affievoliva tale assunto con la raccomandazione
agli Stati «… to be guided by the principles contained in the draft articles on
the law of the non-navigational uses of international watercourses, where
appropriate, in regulating transboundary aquifers” (UN Doc. A/49/10, p. 326). La
distinzione tra acque sotterranee non comunicanti ed acque sotterranee
fisicamente collegate con corsi d’acqua superficiali, non compare, quanto agli
effetti giuridici, in una serie di strumenti internazionali: a) l’art. 1 delle
Regole di Seul adottate dall’ILA (Associazione di Diritto Internazionale) nel
1986; b) il capitolo 18 dell’Agenda 21 di Rio del 1992; c) il punto 1
dell’Annesso alla Dichiarazioni di principi sugli accordi di autogoverno
provvisorio (Washington, 13 settembre 1993), concluso tra Israeliani e
Palestinesi che si prefigge di studiare la ripartizione delle risorse idriche
sotterranee; d) l’art. 40 dell’Accordo provvisorio su West Bank e striscia di
Gaza (Washington, 28 settembre 1995) concluso tra Israele e Palestina che
definisce le rispettive responsabilità delle parti nell’uso e gestione delle
risorse idriche dei territori in questione che, in parte preponderante, sono
racchiuse in falde sotterranee isolate dai corsi d’acqua di superficie.
11) Tra le prime ricordiamo a) l’art. II delle Regole di
Helsinki del 1966; b) i parr. 10, lett. a) e b) e 39, lett. a) del Piano
d’Azione di Mar del Plata, adottata in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite
sull’acqua tenutasi a Mar del Plata tra il 14-25 marzo 1977; c) l’art. III, par.
2 della Carta sulla gestione delle acque sotterranee approvata nel 1989 dall’ECE
(Economic Commission for Europe); d) il cap. 18 dell’Agenda 21 adottata alla
Conferenza di Rio del 1992. Tra le convenzioni internazionali ricordiamo: a)
l’art. 4 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad; b) l’art. 2
dell’Accordo concernente l’uso delle risorse idriche nelle acque di frontiera
(Varsavia, 17 luglio 1964) concluso tra la Polonia e l’ex Unione Sovietica; c)
l’art. 1 della Convenzione concernente la protezione delle acque italo-svizzere
dall’inquinamento (Roma, 20 aprile 1972) concluso tra l’Italia e la Svizzera; d)
il punto 5 della “Minute 242” (su cui è basato l’accordo) dell’Accordo sulla
soluzione definitiva del problema internazionale della salinità del fiume
Colorado (Città del Messico, 30 agosto 1973) concluso tra Messico e Stati Uniti.
12) Sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla
navigazione la commissione del diritto internazionale, sino al 1974, era
orientata per la compilazione di una lista predefinita sulle diverse possibili
utilizzazioni dell’acqua. Tale orientamento si evince dal punto D del
questionario predisposto dalla Commissione (in Yearbook of Int. Environmental
Law, 1976, vol. II, pp. 147-148). Tuttavia, preso atto del convergente
orientamento emerso dalle risposte degli Stati – che indicava solo una possibile
lista non esaustiva e quindi da interpretarsi come strumento-guida – la
Commissione, successivamente, ha deciso di elaborare delle regole generali
applicabili a tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua come emerge dal testo UN
Doc. A/49/10, p. 197. L’’art. 1, par. 1 del progetto di convenzione adottato
dalla CDI nel 1994, precisa, infatti, che il termine “usi” deve interpretarsi in
senso ampio, cioè come comprensivo di tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua
differenti dalla navigazione. La definizione della CDI viene sostanzialmente
riportata nella stesura finale della convenzione-quadro sulle utilizzazioni dei
corsi d’acqua internazionali.
13) Una riserva di questo tipo è contenuta anche nella
Dichiarazione di Delft, adottata alla conclusione del simposio tenutosi nei
Paesi Bassi (Delft) dal 3 al giugno 1991, sotto gli auspici dell’UNEP (United
Nations Development Programme). La Dichiarazione prevedeva che dagli anni 2000
circa la metà della popolazione mondiale sarebbe vissuta nelle città. Ciò
avrebbe notevolmente accresciuto il bisogno d’acqua nelle zone metropolitane,
aggravato anche dal crescente uso dell’acqua per fini agricoli e dai problemi
generati dall’inquinamento urbano e industriale. Gli specialisti che sono
intervenuti nel simposio hanno concluso che occorrerà adottare preventivamente,
per soddisfare durevolmente i bisogni dell’umanità, delle misure di protezione e
conservazione dell’acqua e delle risorse dell’ambiente. Queste misure saranno
impossibili da applicare se quella o un'altra tipologia di uso dell’acqua
benefici di un trattamento prioritario. L’assenza di un ordine di priorità
faciliterà l’applicazione delle misure miranti ad assicurare la soddisfazione
dei bisogni umani essenziali.
14) Si ricordano, tra l’altro: L’Accordo (con regolamento
annesso) concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 17 febbraio 1949)
relativo al trasporto di legname sulle acque del fiume di frontiera tra Torne e
Muonio. Lo Scambio di lettere tra Belgio e Paesi Bassi costituente un accordo
per l’aumento provvisorio delle tariffe di pilotaggio sull’Escaut (Bruxelles, 25
settembre, 9 e 14 novembre 1951). Lo Scambio di note costituente un Accordo
concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 22 settembre 1958) relativo ad
un servizio di traghetto sulla Torne. Lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia
(Helsinki, 21 novembre 1960) costituente un accordo relativo ad un servizio di
ferry-boat sul fiume Muonio. Lo Scambio di note costituente un accordo relativo
ai servizi di pilotaggio sui Grandi Laghi e il San Lorenzo (Washington, 5 maggio
1961). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 13
aprile 1967) costituente un accordo concernente il coordinamento dei servizi di
pilotaggio nelle acque del bacino dei Grandi Laghi e la via marittima di San
Lorenzo. La Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 12
dicembre 1968) che modifica il Regolamento relativo al pilotaggio sull’Escaut,
nelle foci di questo fiume e sul canale di Terneuzen. L’Accordo concluso tra la
Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 20 marzo 1969) relativo ad un servizio di
traghetto sul Muonio. La Convenzione conclusa tra il Brasile e l’Uruguay
(Rivera, 12 giugno 1975) relativa al trasporto fluviale e lacustre. L’Accordo
concluso tra il Brasile e il Perù relativo ai trasporti fluviali (concluso a
bordo della nave peruviana Ucayaly à l’ancre sull’Amazzonia alla frontiera
brasilio-peruviana, in data 5 novembre 1976). Il Protocollo sottoscritto tra la
Francia e il Suriname (San Lorenzo del Maroni, 23 dicembre 1991) per la
cooperazione concernente l’istituzione di un servizio provvisorio di trasporto
delle persone, di veicoli e di nolo per la traversata del fiume Maroni tra
Albinia (Suriname) e San Lorenzo del Maroni (Guyane francese) (con annesso).
L’Accordo concluso tra la Federazione di Russia e la Lituania (Vilnius, 18
novembre 1993) relativo alla cooperazione in materia di trasporto fluviale.
15) Diversamente si obiettò (PINTO, A/CN.4/SR. 1609, punto 28,
in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I) che sarebbe
stato più pragmatico e coerente con la prassi degli Stati definire un “corso
d’acqua” come un «cours d’eau, affluents, lacs ou chenaux separant ou traversant
les territoires de deux ou plusieurs Etats», e quindi aggiungere nello stesso
paragrafo la locuzione «à des fins autres que la navigation» dopo l’espressione
«utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales». La
considerazione del Presidente Pinto non era del tutto peregrina in quanto in
precedenti trattati internazionali, la natura internazionale di un fiume
internazionale si ricavava da un preciso dato: quando un fiume attraversa(va)
diversi Stati o separa(va) almeno due paesi. Così, l’art. V del Trattato di pace
tra Austria e Francia (Parigi, 30 maggio 1814), l’art. 108 dell’Atto finale del
Congresso di Vienna (9 giugno 1815), l’art. 331 del Trattato di pace con la
Germania (Versailles, 28 giugno 1919), lo Statuto sul regime delle vie d’acqua
navigabili d’interesse internazionale (Barcellona, 20 aprile 1921), l’art. 1 del
Regolamento approvato alla sessione di Parigi del 1934. Tuttavia, successivi
trattati internazionali hanno sostituito il termine “fiume” con la locuzione
“corso d’acqua” considerandosi che altri elementi secondari (affluenti e laghi)
possono contribuire a formare il braccio principale di un fiume per usi
economici-industriali (ZICCARDI, Dei corsi d’acqua internazionali e della loro
utilizzazione da parte dei privati, in Vita giur. int., 1992, p. 438). Infine,
il Presidente (M. Pinto, A/CN.4/SR. 1609, punto 35, in Annuaire de l’Institut de
Droit International, 1980, vol. I) che nello stesso art. 1 occorrerà inserire la
locuzione «utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales»
insieme ai problemi connessi all’uso, quali la lotta contro le inondazioni,
l’erosione, la sedimentazione, l’intrusione di acqua salata, l’inquinamento. Ciò
perché le diverse modalità di utilizzo di un corso d’acqua internazionale sono
interdipendenti e quindi non sarebbe pratico prevedere diversi articoli in
rapporto ai diversi usi.
16) Per quanto concerne l’uso, la gestione e la valorizzazione
delle comuni risorse presenti in acqua, si raccomanda che le politiche nazionali
tengano conto del diritto che ciascun paese ha – essendo parte della divisione
di queste risorse – di utilizzare equamente per promuovere dei legami di
solidarietà e di cooperazione (in particolare principi 90-91). Nella sessione di
Salisburgo del 1961, l’Istituto di diritto internazionale ha adottato una
risoluzione sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla navigazione che
prevede in particolare il diritto di ogni Stato di un corso d’acqua di
utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il proprio territorio e
prevede, inoltre, in caso di disaccordo, il regolamento delle controversie sulla
base dell’eguaglianza. Si vedano anche: la Convenzione conclusa tra l’ex
Yugoslavia e la Romania (Belgrado, 14 dicembre 1931) concernente la navigazione
e il sistema idrotecnico del canale e del fiume Bega; il Trattato concluso tra
Germania e Paesi Bassi (L’Aja, 17 maggio 1939) per lo sfruttamento delle miniere
di carbone situate lungo il fiume Worm (con Protocollo finale). L’Annesso 14 al
Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla
regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre
1956) prevede una lista (I. Mines; II Energie; III Travaux publics) dei grandi
progetti di cui al par. 3, a, dell’art. 48 del presente trattato. L’Accordo
concluso tra il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Bonn, 14
settembre 1976) sulla manutenzione, il rinnovo e lo sfruttamento della parte
della Mosella comune ai due Stati.
17) Il principio dell’equa utilizzazione dei corsi d’acqua
internazionali è già presente in numerosi precedenti strumenti internazionali
vincolanti e non vincolanti. In particolare: L’art. 7, parr. 2-3 dell’Annesso 8
(Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica
Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Saar
(Lussemburgo, 27 ottobre 1956) dispone che «Chacun des deux governements excerce
la police fluviale dans la partie de la Sarre située sur son territoire. Les
autorités compétentes des deux pays s’apportent mutuellement leur concours è cet
effet» (par. 2) e che «l’utilisation normale de l’eau, telle qu’elle résulte de
la réglementation en vigueur dans le pays d’utilisation, est libre dans la
partie de la rivière Sarre formant frontière. Toute utilisation ne remplissant
pas les conditions précédentes nécessite, à partir de la date d’entrée en
vigueur du traité, l’accord réciproque des deux gouvernements» (par. 3). L’art.
3 della Risoluzione dell’Istituto di diritto internazionale dedicata agli usi
delle acque internazionali non marittime (Salisburgo, 1961). L’art. IV delle
Regole di Helsinki elaborate dall’ILA nel 1966. La Raccomandazione n. 51 del
Piano di Azione sull’ambiente umano approvato dalla Conferenza di Stoccolma nel
1972. Il principio 1 dei Principi di condotta nel campo ambientale per la guida
degli Stati nella conservazione e armoniosa utilizzazione delle risorse naturali
condivise tra due o più Stati, approvato nel 1978 dall’UNEP. La Raccomandazione
n. 91 del Piano d’Azione adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite
sull’acqua (Mar del Plata, marzo 1977). Una ripartizione territoriale delle
risorse idriche condivise si ritrova nell’art. 2 della Convenzione per la
regolamentazione dell’approvvigionamento idrolettrico delle sezioni
internazionali del fiume Douro e dei suoi affluenti (Lisbona, 16 luglio 1964)
conclusa tra Portogallo e Spagna. Un sistema di rotazione e alternanza nello
sfruttamento dei benefici connessi al corso d’acqua emerge nell’art. I, sez. IV,
parte II, dell’Atto finale di delimitazione della frontiera internazionale dei
Pirenei (Bayonne, 11 luglio 1868) concluso tra Francia e Spagna. Una
ripartizione per quote uguali della risorsa comune si trova nell’art. VI del
Trattato relativo agli usi delle acque del fiume Niagara concluso tra Canada e
Stati Uniti il 27 febbraio 1950. Una ripartizione proporzionale dei benefici
connessi al corso d’acqua emerge dall’art. 5 della Convenzione per la gestione
del potenziale idroelettrico del Rodano conclusa tra Francia e Svizzera il 4
ottobre 1913. Sistemi più complessi di ripartizione, ma sempre ispirati al
principio dell’equa utilizzazione, emergono: a) dagli artt. 4, 10, 15 del
Trattato relativo alla utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e
Rio Grande (Washington, 14 novembre 1949 concluso tra Messico e Stati Uniti); b)
dagli artt. 1-3 del Trattato concernente lo sviluppo integrato del fiume
Mahakali, concluso il 12 febbraio 1996 tra India e Nepal; c) dall’art. II, parr.
3-5 dell’Accordo sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo, concluso l’8
novembre 1959 tra Egitto e Sudan; d) dagli artt. II-III del Trattato sulle acque
dell’Indo concluso tra India e Pakistan il 19 settembre 1960; e) dagli artt.
II-VII del Trattato relativo allo sviluppo delle risorse idriche del bacino del
fiume Columbia, concluso tra Canada e Stati Uniti il 17 gennaio 1961; f)
dall’art. II, par. 1 (con rinvio agli Annessi I-II) del Trattato sulla
ripartizione delle acque del Gange (Nuova Delhi, 12 dicembre 1996), concluso tra
Bangladesh ed India. Nella prassi giurisprudenziale il criterio di equità trova
applicazione in rapporto ai problemi di delimitazione marittima nella sentenza
della Corte Internazionale di giustizia del 1969 (caso Piattaforma continentale
del Mare del Nord, Danimarca e Paesi Bassi vs. ex Repubblica Federale di
Germania, in International Court of Justice, Report of Judgements, Advisory
Opinions and Orders, 1969, p. 4). Nella sentenza della Corte Permanente di
Giustizia Internazionale del 1929 nel caso della Giurisdizione territoriale
della Commissione Internazionale del fiume Oder, in Permanent Court of
International Justice, Collection of Judgements, Ser. A, n. 23, pp. 26-28. Nel
caso Lago Lanoux, in United Nations Reports of International Law, vol. XII, p.
315. Nella sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, 25 settembre 1977,
caso Progetto Gabčíkovo-Nagymaros, Slovacchia-Ungheria, in International Legal
Magazine., 1998, p. 190, par. 78.
18) Il proposito n. III dispone in particolare: a) che ogni
Stato del bacino ha, sul proprio territorio, un ragionevole ed eguale diritto di
partecipare ai vantaggi che deriva dall’uso delle acque di un bacino di
drenaggio internazionale; b) i paesi del bacino in questione stabiliscono, in
ogni circostanza particolare, «ce qu’il faut entendre par une partecipation
raisonnable et équitable, compte tenu de tous les facteurs pertinents». Nelle
organizzazioni internazionali non governative si giunge alle stesse conclusioni.
19) Come si sostiene M. ARCARI, Il regime giuridico delle
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali. Principi generali e norme
sostanziali, Cedam, 1998, pp. 343-357) l’obiettivo specifico della disposizione
in questione, è quello di fornire delle direttive per l’applicazione della norma
generale dell’equa e ragionevole utilizzazione che ha natura flessibile essendo
variabile a seconda delle circostanze rilevanti in una data situazione concreta.
Quanto alla lista di fattori, questa non può che assumere carattere
esemplificativo in quanto la varietà dei corsi d’acqua internazionali e la
molteplicità dei loro usi renderebbe impossibile e poco utile la previsione di
elenchi dettagliati ed esaustivi di fattori. Inoltre, la lista non vuole
attribuire un ordine di priorità ai fattori in essa indicati, dovendo il valore
specifico di ciascuno venir determinato caso per caso. Naturalmente tale regola
non è destinata ad operare qualora esista o un accordo specifico o una
consuetudine particolare tra rivieraschi che stabilisca diversamente (UN Doc.
A/49/10, p. 257, parr. 3-4). Va attribuito tuttavia nel secondo paragrafo un
ruolo speciale “ai bisogni umani vitali” – impieghi dell’acqua a fini domestici,
sanitari e alimentari - nel senso che, nella soluzione dei conflitti tra
utilizzazioni, una speciale attenzione debba essere destinata ad assicurare la
quantità d’acqua indispensabile al sostentamento della vita umana. Nella
prospettiva della Commissione del diritto internazionale, il criterio dei
bisogni umani vitali non sarebbe altro che una forma accentuata del fattore già
elencato all’art. 6, che fa riferimento ai “bisogni sociali ed economici” degli
Stati rivieraschi, e resterebbe dunque una delle circostanze rilevanti che i
paesi rivieraschi debbono considerare nel risolvere un conflitto tra diverse
utilizzazioni di un corso d’acqua internazionale UN Doc. A/49/10, pp. 257-258,
par. 4). La salvaguardia delle necessità umane, del resto, si ritrova
implicitamente nel principio 3 della Dichiarazione di Rio su ambiente e
sviluppo. Più specifico, il cap. 18 dell’Agenda 21 alla sezione D (parr.
18.47-18.55) e alla sezione F (parr. 18-56-1864).
20) I fattori che possono interessare un corso d’acqua, sono
anche previsti all’art. V delle Regole di Helsinki. Ed ancora, l’obbligo di
assicurare la protezione e la sicurezza delle opere si trova in alcuni
precedenti accordi internazionali: art. 8 della Convenzione del 1957 conclusa
tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana relativo
all’utilizzazione della forza idraulica dello Spöl; art. 2 della Convenzione
relativa alla sfruttamento idroelettrico dell’Emosson, conclusa nel 1963 tra la
Francia e la Svizzera.
21) Nel Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America
(1961) relativo allo sviluppo delle risorse idriche del fiume Colombia, i
criteri di ripartizione dei benefici sono stabiliti agli artt. II-VII, mentre
nel Trattato concluso tra Bangladeh e India (Nuova Dheli, 12 dicembre 1996)
sulla ripartizione delle acque del Gange, all’art. II, par. 1 e agli Annessi I e
II.
22) Progetti relativi all’energia elettrica e all’irrigazione
(Libano) (Washington, 25 agosto 1955). Progetto relativo alla regolazione del
Johore in Malaysia (26 febbraio 1965). Progetto d’irrigazione del Colorado in
Messico (Washington, il 26 gennaio 1968). Progetto di espansione della Centrale
elettrica del Volta (in Ghana) (Washington in data 23 giugno 1969). Progetto
idroelettrico del Lindo (Honduras) (Washington, il 12 giugno 1968). Progetto di
drenaggio del delta del Nilo (17 aprile 1970). Progetto idroelettrico di Kamburu
(in Svezia) (Washington, 7 giugno 1971). Progetto idroelettrico di Kamburu
(Washington, 7 giugno 1971). Progetto relativo ai trasporti fluviali (in Zaire)
(21 giugno 1971). Progetto relativo alla sistemazione di polders en bordure del
fiume Senegal (9 gennaio 1974). Progetto del fiume Chico relativo
all’irrigazione (nelle Filippine) (Washington l’8 aprile 1976). Progetto
relativo alla manutenzione del sistema d’irrigazione del bacino dell’Eufrate
(Damasco, 22 luglio 1976). Progetto di drenaggio del delta del Nilo e altri
progetti (Bonn, 28 giugno 1977). Progetto relativo a delle operazioni di
drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) in virtù di un accordo sottoscritto
a Washington il 15 luglio 1977 tra la Banca Internazionale per la ricostruzione
e lo sviluppo, l’Associazione Internazionale di sviluppo e l’Autorità pubblica
egiziana [Progetto relativo a delle operazioni di drenaggio del delta del Nilo
(seconda fase) finanziato dall’Associazione Internazionale dello Sviluppo e
l’Egitto (Washington il 15 luglio 1977). Progetto relativo a delle operazioni di
drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) finanziato dalla Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Washington il 15 luglio
1977)]. Seconda fase del progetto polivalente di regolazione del fiume Magat
(nelle Filippine) (Washington il 23 maggio 1978). Seconda fase del progetto
d’irrigazione a molteplici obiettivi del fiume Magat (nelle Filippine) (Roma il
26 gennaio 1979). Progetto d’irrigazione mediante le acque del fiume Khutiya
(fase I) (in Nepal) (Katamandou il 24 novembre 1980). Progetto di ripristino dei
sistemi di pompaggio sul Nilo Blanc (in Sudan) (Washington il 27 marzo 1981).
Progetto relativo al trasporto fluviale (in Congo) (Washington, 10 marzo 1982).
Progetto per la fornitura d’elettricità nelle zone rurali dello Stato d’Alagoas
e di studio di fattibilità per lo sviluppo agricolo nella valle del fiume Mearim
(in Brasile) (Brasilia, 9 dicembre 1983). Progetto di regolazione e di drenaggio
del fiume Narmada (Stato di Gujarat) (Washington il 10 maggio 1985). Progetto
per la valorizzazione del fiume Narmada (Gujarat): dighe ed elettrificazione del
Sardar Sarovar (Washington, 10 maggio 1985). Progetto di sviluppo rurale
dell’Alto bacino del fiume Canar (in Ecuador) (Roma il 28 giugno 1991. Progetto
di rinnovamento delle opere di protezione contro le piene del Sistan (in Iran)
(Washington, 5 giugno 1992). Progetto relativo ad un programma di sostegno
regionale ai popoli indigeni del Bacino dell’Amazzonia (Roma in data 24 luglio
1992). Progetto di protezione dei fiumi (nel Bangladesh) (Washington, 21
dicembre 1995).
23) La disciplina dell’utilizzazione dei corsi d’acqua
internazionali per fini diversi dalla navigazione risale già a tempi meno
recenti della presente CUDN. Si ricordano: L’Accordo concluso il Portogallo e
l’Unione Sud-Africana (Cap, 1° luglio 1926) concernente l’utilizzazione delle
acque del fiume Kunene in vista delle installazioni di forze idrauliche,
d’inondazione e d’irrigazione nel territorio sottoposto al Mandato del Sud-Ovest
Africano. Lo Scambio di note tra Egitto e Gran Bretagna/Irlanda del Nord
relativo all’utilizzazione delle acque del Nilo per i bisogni dell’irrigazione (El
Cairo, 7 maggio 1929). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America
(Washington, 20 maggio 1941) costituente un accordo relativo alla provvisoria
derivazione di un volume d’acqua supplementare del Niagara, a monte della
cascata, per il conseguimento della forza motrice. L’Accordo (con Protocollo)
concluso tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 30 dicembre 1946) relativo
all’utilizzazione delle rapidi del fiume Uruguay nella regione del Salto Grande.
Il Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 27
febbraio 1950) concernente la derivazione delle acque del Niagara. L’Accordo
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 25 aprile 1951) relativo alla
derivazione delle acque dei laghi Garsjöen, Kjerringvatm e Förstevannene presso
il Gandvik a Näätämö (Neiden). L’Accordo concluso tra Giordania e Siria
(Damasco, 4 giugno 1953) relativo all’utilizzazione delle acque dello Yarmouk;
Protocollo concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954) –
all’Accordo concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del
fiume Moura e delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con
annesso) concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954)
concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del fiume Moura e
delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con Annesso) concluso
tra la Repubblica Araba Unita e il Sudan (El Cairo, 8 novembre 1959) relativo
alla piena utilizzazione delle acque del Nilo. Il Trattato concluso tra la Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, l’India e il Pakistan (Karaci,
19 settembre 1960) sulle acque dell’Indio (con annessi) e il successivo
Protocollo sottoscritto il 27 novembre, 2 e 23 dicembre 1960. Lo Scambio di note
tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24 febbraio 1961) costituente un accordo
relativo al Trattato del 12 maggio 1863 regolante il regime delle prese d’acqua
della Mosa e alla Convenzione dell’11 gennaio 1873 portante modifiche del
presente Trattato. Lo Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America
(Messico, 24 agosto 1966) costituente un accordo relativo al prelevamento delle
acque del Colorado per l’irrigazione delle terre nella valle di Medicali. Lo
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969)
costituente un accordo concernente la provvisoria derivazione delle cascate del
Niagara, della costa americana, per la produzione di energia. Tra gli accordi
internazionali sullo sfruttamento risorse di un fiume internazionale (e i suoi
affluenti) per la produzione idroelettrica, ricordiamo: l’accordo tra Italia e
Francia con il quale definivano i mutui diritti di utilizzazione del Roja;
Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Lisbona, 11 agosto 1927) per
regolare lo sfruttamento idroelettrico dell’area internazionale del Douro; lo
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 27 ottobre e 27
novembre 1941) costituente un accordo concernente il potenziamento
dell’utilizzazione dell’acqua per fini d’energia elettrica alle cascate del
Niagara; l’Accordo concluso tra il Laos e l’ex U.R.S.S. (Mosca, 1°dicembre 1962)
concernente la concessione di un aiuto economico e tecnico dell’Unione delle
Repubbliche socialiste sovietiche al Regno del Laos per la costruzione della
centrale idroelettrica sul fiume Nam Nhiep; l’Accordo sottoscritto a Belgrado il
30 novembre 1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, sulla regolazione e lo
sfruttamento del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti
di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre
1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’elaborazione dei piani di
regolazione del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti
di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre
1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’esecuzione dei lavori del sistema
di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti di ferro, sul Danubio;
la Convenzione conclusa tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 16 luglio 1964)
relativa allo sfruttamento idroelettrico dei tronchi internazionali del Douri e
dei suoi affluenti (con protocollo addizionale); l’Accordo di cooperazione
economica e tecnica concluso tra la Siria e l’ex U.R.S.S. (Damasco, 18 dicembre
1966) concernente la costruzione della prima tranche di un complesso
idro-energetico sull’Eufrate; l’Accordo concluso tra la Romania e l’ex U.R.S.S.
(Bucarest, 16 dicembre 1971) relativo alla comune costruzione del complesso
idrotecnico dello Stînca-Costesti sul Prout, oltre che alle condizioni di
sfruttamento dello stesso complesso (con protocolli); l’Accordo concluso tra la
Finlandia e l’ex U.R.S.S. (Helsinki, 12 luglio 1972) relativo all’utilizzazione,
per la produzione d’elettricità, dell’area della Vouoksa situata tra le centrali
idro-elettriche d’Imatra e di Svetogorsk; il Trattato concluso tra il Brasile e
il Paraguay (Brasilia, 26 aprile 1973) concernente la valorizzazione
idroelettrica delle acque del Paraná della sovranità comune del Brasile e del
Paraguay a partire dal Salto Grande de Sede Quedas o del Salto del Guairá fino
alla foce dell’Iguaçu (con annessi e scambio di note).
24) Molte di queste disposizioni sono citate anche nei seguenti
accordi internazionali: Accordo tra l’ex U.R.S.S, la Finlandia e la Norvegia per
la regolazione del regime del lago Inari au moyen della centrale idroelettrica e
della Diga di Kaitakoski. Trattato tra gli Stati Uniti d’America e il Messico
relativo all’uso delle acque del Colorado, della Tijuana e del Rio Grande (Rio
Bravo) da Fort-Quitman a golfo del Messico. Accordo tra la Repubblica araba
unita e il Sudan relativo alla piena utilizzazione delle acque del Nilo.
Trattato relativo al bacino del Rio de La Plata; il Trattato relativo all’uso
delle acque dell’Indo.
25) In particolare: lo Scambio di note tra Colombia e Venezuela
(Caracas, 20 luglio 1925) comportante un accordo per la costruzione di un ponte
internazionale sul fiume Tachira; l’Accordo concluso tra la Polonia e la Romania
(Bucarest, 24 maggio 1929) sulla costruzione del ponte situato sul Czeremosz tra
Kuty e Vijnita; l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Svezia (Helsinki, 28
giugno 1957) relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sull’Anarjokka;
l’Accordo concluso tra il Messico e gli Stati Uniti d’America (Ciudad Acuña, 24
ottobre 1960) relativo alla costruzione dello sbarramento Amsistad sul Rio
Grande; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 23 novembre
1960) costituente un accordo relativo alla costruzione di un ponte sull’Uruguay;
lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 8 e 16 giugno 1961)
costituente un accordo per l’ampliamento dei poteri della Commissione mista per
la costruzione di un ponte internazionale sull’Uruguay; lo Scambio di note tra
Finlandia e Svezia (Helsinki, 29 giugno 1963) costituente un accordo relativo
alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sulla Torne ad Aavasaksa;
l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Buenos Aires, 21 ottobre 1964)
relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Pilcomayo che collega
Clorinda e Puerto Elsa; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Paysandú,
12 febbraio 1966) costituente un accordo tendente ad accelerare la costruzione
di un ponte sull’Uruguay tra Colón e Paysandú; l’Accordo concluso tra
l’Argentina e l’Uruguay (Buenos Aires, 30 maggio 1967) relativo alla costruzione
di un ponte internazionale sull’Uruguay nella zona di Fray Bentos (Uruguay) –
Puerto Unzué (Argentina) [con mappa]; l’Accordo concluso tra Brasile e Paraguay
(Asunción, 11 dicembre 1967) relativo alla costruzione di un ponte
internazionale sull’Apa e di una via di collegamento; lo Scambio di note tra
Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969) costituente un
accordo per la costruzione di una diga provvisoria nel Niagara; lo Scambio di
lettere tra Argentina e Brasile (Brasilia, 15 marzo 1972) costituente un accordo
relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo di prestito
(con annesso) relativo ad un progetto per la costruzione di strade e di vie
d’accesso a New Amsterdam e di un nuovo ponte sulla Canje, sottoscritto tra la
Guyana e gli Stati Uniti d’America (Georgetown, 14 settembre 1972) e
successivamente modificato con Accordo concluso (dagli stessi Stati) a
Georgetown, in data 6 novembre 1975; la Convenzione conclusa tra Francia e
Spagna (Madrid, 8 febbraio 1973) concernente la costruzione di un ponte
internazionale sulla Garonna, alla frontiera franco-spagnola detto «Pont du Roy»
(con protocollo allegato); la Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (L’Aja,
24 aprile 1980) relativa al ponte E-39 sulla Mosa e il canale Juliana; lo
Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 4 marzo 1982) costituente un
accordo relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo
concluso tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 12 novembre 1983) relativo alla
costruzione di un ponte internazionale sul Miño; lo Scambio di note tra
Finlandia e Svezia (Stoccolma, 28 maggio 1985) costituente un accordo relativo
alla costruzione e all’entrata in funzione di un ponte sul fiume Muonio; lo
Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Stoccolma, 31 maggio 1985) costituente
un accordo relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sul fiume
Muonio, a Muonio; l’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 3
luglio 1989) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño
tra Salvaterra e Monçao; l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile
(Uruguaiana, 22 agosto 1989) relativo alla costruzione di un ponte sul fiume
Uruguay tra le città di São Borja e Santo Tomé; lo Scambio di note tra
l’Argentina e il Brasile (Brasilia, 20 agosto 1991) costituente un accordo
relativo alla creazione di un gruppo di lavoro per il funzionamento e il
controllo di un ponte tra São Miguel do Oeste e San Pedro sul fiume Papiri-Guaçú;
l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 19 maggio 1993)
relativo alla costruzione di un nuovo ponte sulla Tenojoki (fiume del Tana);
l’Accordo concluso tra Portogallo e Spagna (Madrid, 12 giugno 1995) relativo
alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño tra Arbo (Spagna) e
Melgaço (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna
(Madrid, 18 gennaio 1996) per la costruzione di un ponte internazionale sul
fiume Caya tra le città di Badajoz (Spagna) e Elvas (Portogallo); la Convenzione
conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 18 gennaio 1996) per la
costruzione di un ponte internazionale sul fiume Agueda tra le località della
Fregeneda (Spagna) e Barca d’Alva (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il
Portogallo e la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte
internazionale sul fiume Manzanas tra le località di San Martino de Pedroso
(Spagna) e Quintanilha (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e
la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte internazionale
sul fiume Tamega tra le località di Feces de Abaixo (Spagna) e Vila Verde de
Raia (Portogallo); l’Accordo concluso tra il Principato di Andorra e la Spagna
(Madrid, 13 aprile 1999) per l’ampliamento del ponte internazionale sul fiume
Runer tra le Città della Farga de Moles (Spagna) e Sant Julià de Lória
(Andorra).
26) Ed ancora: lo Scambio di note tra l’Egitto e il Regno Unito
di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (a nome dell’Uganda) (El Cairo, 19 gennaio, 28
febbraio e 20 marzo 1950) costituente un accordo per la cooperazione in materia
di studi meteorologici e idraulici in certe regioni del bacino del Nilo; lo
Scambio di note tra Libano e Stati Uniti (Beirut, 15, 21 e 24 febbraio 1951)
costituente un accordo relativo ad un progetto di cooperazione tecnica tendente
a completare gli studi tecnici del progetto di Litani; lo Scambio di note tra
Canada e Stati Uniti (Ottawa, 17 agosto 1954) costituente un accordo che
modifica e completa l’Accordo relativo al progetto di canalizzazione di San
Lorenzo (Washington, 30 giugno 1952); il Trattato concluso tra Belgio e Paesi
Bassi (L’Aja, 23 ottobre 1957) che regola l’illuminazione e le balisage dell’Escaut;
la Convenzione (con annesso) conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24
ottobre 1957) che modifica il Regolamento sottoscritto ad Anversa il 20 maggio
1843, relativo al pilotaggio e alla sorveglianza comune sull’Escaut; la
Convenzione (con annessi) conclusa tra Austria ed ex Yugoslavia (Genève, 25
maggio 1954) concernente certe questioni di economia idraulica relativo al Drave;
l’Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia, Vietnam (Bangkok, 26 novembre
1960, Vietnam, 12 dicembre 1960) relativo alla non imposizione della
contribuzione fornito dall’Australia per la valorizzazione delle risorse
idrauliche del bacino inferiore del Mékong; il Trattato concluso tra il Belgio e
i Paesi Bassi (L’Aja, 27 aprile 1965) relativo allo sfruttamento del carbon
fossile nelle zone, parallele alla frontiera, delle miniere di carbone situate
lungo la Mosa (con mappa annessa); la Convenzione per il Fondo di regolazione
della Nam e del Ngum (con annesso e protocollo), sottoscritta a Washington in
data 4 maggio 1966, tra la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo
Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Danimarca, il Giappone, il Laos, la Nuova
Zelanda, i Paesi Bassi, la Thailandia e gli Stati Uniti d’America; la
Convenzione relativa alla regolazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e Lauterbourg/Neuburgweier
(con annessi), firmato a Parigi, 4 luglio 1969; la Convenzione concernente il
finanziamento dei lavori di regolamentazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e
Lauterbourg/Neuburgweier (con scambio di lettere), firmato a Parigi, 22 luglio
1969; l’Accordo concluso tra l’Argentina e l’ex Repubblica federale tedesca
(Buenos Aires, 23 ottobre 1969) relativo al finanziamento di studi generali sul
sistema de l’Iberá, nel bacino del Plata (con scambio di lettere); Scambio di
note tra Messico e Stati Uniti (Thatelolco, 16 novembre 1970) costituente un
accordo concernente il problema della salinità delle acque del fiume Colorado
(con, un annesso, il verbale n. 218 approvato il 22 marzo 1965); la Convenzione
supplementare (Manila, 12 aprile 1976) alla Convenzione sul Fondo per la
regolazione della Nam, Ngum, conclusa a Manila il 26 giugno 1974, tra la Banca
Asiatica di Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Francia, la Germania, il
Giappone, l’India, la Nuova Zelanda, la Repubblica Democratica del Laos, il
Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord, i Paesi Bassi, la Svizzera e
la Thailandia; l’Accordo per la sovvenzione del Progetto relativo
all’istituzione di rilevamento topografico e cartografico del bacino del fiume
Senegal (con annessi), concluso a Dakar in data 31 agosto 1976, tra
l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e gli Stati Uniti
d’America (Agenzia per lo sviluppo internazionale); l’Accordo di aiuto
finanziario tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e la ex
Repubblica Federale Tedesca (Dakar, 13 ottobre 1976); Accordo che istituisce un
prestito relativo alla regolazione del bacino del fiume Citanduy, concluso tra
l’Indonesia e gli Stati Uniti d’America, firmato a Jakarta il 28 ottobre 1976;
l’Accordo che istituisce un prestito Scambio di note tra Canada e Stati Uniti
(Washington, 29 marzo 1977) costituente un accordo che prevede la sistemazione
di una sperimentale rete di radiocomando a lunga distanza LORAN-C in prossimità
del fiume San Maria, in Ontario nel Michigan (con annesso); il Trattato concluso
tra Brasile ed Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977) relativo alla cooperazione per
la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino della laguna
Mirim; il Protocollo sottoscritto da Brasile e Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977)
per la valorizzazione delle risorse idrauliche del tronco limitrofo del fiume
Jaguarão, aggiunto ed annesso al Trattato del summenzionato (Protocollo relativo
al fiume Jaguarão); l’Accordo concluso tra il Burundi, il Ruanda e la Tanzania (Rusumo,
24 agosto 1977) per la creazione dell’Organizzazione per la regolazione e lo
sviluppo del bacino del fiume kagera (con mappa allegata); l’Accordo di prestito
concluso tra Filippine e Stati Uniti (Manila, 13 gennaio 1978) per un progetto
di sviluppo zonale integrato nella regione del Bicol (con annessi); il
Memorandum concluso a Vienna in data 23 giugno 1978, tra l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Unione del Mano; lo Scambio di
note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 29 settembre e 16 ottobre 1978)
costituente un accordo relativo alla sistemazione di a rete di rilevazione dati
sul letto del fiume San Maria, in Ontario (con annesso); l’Accordo relativo alla
cooperazione tecnica, concluso a Freetown in data 24 novembre 1978, tra l’ex
Repubblica Federale Tedesca e l’Unione del Fiume Mano; la Convenzione conclusa
tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 29 novembre 1978) per l’istituzione di
sistema radar lungo l’Escaut e le sue foci; il Trattato concluso tra l’Argentina
e il Brasile (Buenos Aires, 17 maggio 1980) per la valorizzazione delle risorse
comuni, sul loro tragitto frontaliero, delle acque del fiume Uruguay e del suo
affluente, il Papiri-Guaçu (Pepirí-Guazù); la Convenzione conclusa tra il Belgio
e la Francia (Bruxelles, 3 febbraio 1982) per il miglioramento della Lys di
comproprietà del Deulemont e il Menin (con annesso); lo Scambio di note tra
Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 28 ottobre e 5 dicembre 1980)
costituente un accordo attinente al coordinamento delle attività
canapo-americane di rottura dei ghiacciai nei Grandi Laghi (con annesso); il
Memorandum tra Giappone e Stati Uniti d’America (Tokyo, 30 settembre 1983)
relativo alla cooperazione per il progetto di un reattore autofertilizzante del
Clinch River (CRBR) e per il progetto di un prototipo di un reattore
autofertilizzante rapido di MONJU; l’Accordo di cooperazione finanziaria,
concluso a Freetown in data 6 agosto 1984, tra l’ex Repubblica Federale Tedesca
e l’Unione del Fiume Mano; lo Scambio di note tra Francia e Lussemburgo (Parigi,
3 e 23 giugno 1986) costituente un accordo attinente alla realizzazione dei
lavori di regolazione del fiume Gander a Mondorff (Francia) e a
Mondorf-les-Bains (Lussemburgo); la Convenzione di cooperazione (Roma, 11 luglio
1986) tra il Fondo Internazionale di Sviluppo Agricolo e il Fondo finanziario
per la valorizzazione del bacino del Rio del Plata; l’Accordo concluso tra la
Francia, il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Treves, 1° ottobre
1987) relativo alle notizie sulle piene nel bacino versante della Mosa;
l’Accordo per la regolamentazione delle relazioni, concluso a Dakar in data 12
agosto 1988, tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
Industriale e l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal. Accordo
di cooperazione finanziaria, concluso a Dakar in data 22 maggio 1990, tra
l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e l’ex Repubblica
Federale Tedesca.
27) Si è arrivati quindi a coniare una disposizione [art. 5,
CUDN] che mette in evidenza il duplice aspetto del diritto di utilizzazione e
del dovere di contribuzione al miglioramento e sfruttamento ottimale delle
risorse idriche di un corso d’acqua internazionale. Dal commento del Presidente
della Commissione del diritto internazionale, emerge che l’espressione
ottimizzazione degli usi e benefici non deve essere interpretato come un obbligo
a raggiungere un uso massimale, tecnologicamente e finanziariamente più
efficiente, o un’attribuzione di un diritto di priorità all’utilizzazione in
questo senso più capace, bensì significa realizzare il massimo possibile
beneficio di tutti i rivieraschi con il correlativo minimo detrimento di
ciascuno, e quindi compatibile con le esigenze dell’adeguata protezione del
corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 218-219, parr. 3-4).
28) La necessità di cooperazione in vari settori è prevista
anche in accordi internazionali sul diritto marittimo. La Convenzione sulla
prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre
sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) dispone che le
Parti contraenti collaborino per formare del personale scientifico e tecnico,
per fornire attrezzature e mezzi necessari alla ricerca e al controllo, per
eliminare e trattare i rifiuti e per prevenire e diminuire l’inquinamento dovuto
alla scarico (art. 9). La Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo
dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti
contraenti: a) collaborano per adottare le disposizioni necessarie in caso di
situazione critica, quali ne siano le cause, e per ridurre o eliminare i danni
che ne derivano (art. 9); b) cooperano nell’elaborazione di programmi di
sorveglianza continua dell’inquinamento della zone del Mare Mediterraneo (art.
10); c) cooperano nei settori della scienza e della tecnologia e scambiano dati
e informazione di carattere scientifico ai fini della realizzazione degli
obiettivi della Convenzione (art. 11); d) collaborano all’elaborazione ed
all’adozione di procedure riguardanti la determinazione delle responsabilità ed
il risarcimento dei danni causati dalla violazione della Convenzione e dei
Protocolli (art. 12). Si dispone, altresì, che le Parti contraenti, nell’attuare
la Convenzione e i relativi Protocolli: a) adottino programmi e misure
complementari, utilizzano le migliori tecniche disponibili e le migliori prassi
ambientali ed incoraggino l’accesso alle tecniche ecologicamente razionali, ed
il loro trasferimento, ivi comprese le rispettive tecnologie di produzione (art.
4.4); b) s’impegnino a promuovere, nell’ambito delle organizzazioni
internazionali qualificate, misure concernenti la realizzazione di programmi di
sviluppo durevole, la protezione, la conservazione e il ripristino dell'ambiente
e delle risorse naturali nella zona del Mare Mediterraneo (art. 4.6); c)
s’impegnino a elaborare e realizzare dei piani miranti alla riduzione ed alla
graduale eliminazione delle sostanze tossiche, persistenti e suscettibili di
bioaccumulo responsabili dell’inquinamento d’origine terrestre (art. 8). Il
Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del
mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in
situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti
contraenti: a) cooperano per adottare le misure necessarie in caso di grave ed
imminente pericolo per l’ambiente causato dalla presenza di consistenti quantità
di petrolio o altre sostanze pericolose dovuta a cause accidentali o ad
un’accumulazione di discariche in piccole quantità che inquinino o minaccino di
inquinare (art. 1); b) si impegnano a mantenere ed a promuovere, sia
individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale, i
piani di emergenza e i mezzi (attrezzature, navi, aeromobili, personale
qualificato) per lottare contro l’inquinamento marino provocato da petrolio o da
altre sostanze pericolose (art. 3); c) predispongono ed attuano, sia
individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale,
attività di sorveglianza della zone del Mare Mediterraneo (art. 4); d) si
impegnano a cooperare nel salvataggio e nel recupero di sostanze pericolose in
modo da ridurre i rischi di inquinamento dell’ambiente marino (art. 5). Il
Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine
terrestre (Atene, 17 maggio 1980) dispone che le Parti collaborino nei settori
scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie
(artt. 11-12). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera
delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio 1980) si prefigge
di facilitare ed incoraggiare la cooperazione transfrontaliera delle
collettività o autorità territoriali in materia quali lo sviluppo regionale,
urbano e rurale, la protezione dell’ambiente, il miglioramento delle
infrastrutture e dei servizi offerti ai cittadini e l’aiuto reciproco in caso di
sinistri, al fine di realizzare una più stretta unione tra i Paesi membri e di
promuovere la cooperazione tra essi. Le Parti XIII e XIV della Convenzione delle
Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982) stabiliscono i
provvedimenti relativi alla ricerca scientifica marina (artt. 238-265) e allo
sviluppo e trasferimento di tecnologia marina (artt. 266-278) per quanto
riguarda in particolare la cooperazione internazionale, la condotta e l’impulso
alla ricerca scientifica, le installazioni o attrezzature per la ricerca
scientifica nell’ambiente marino, i centri nazionali e regionali di ricerca
marina e tecnologica e le responsabilità. La Convenzione di Basilea sul
controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro
smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) dispone che le Parti collaborino tra di
loro al fine di migliorare e di garantire la gestione razionale dal punto di
vista ecologico dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti e con i Paesi in via
di sviluppo per aiutarli ad applicare le disposizioni della Convenzione (art.
10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la
cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30 novembre
1990) intende fornire un quadro generale per la cooperazione internazionale
nella lotta ai maggiori incidenti o pericoli di inquinamento marino da
idrocarburi. Così, le Parti convengono di cooperare direttamente o per il
tramite delle competenti organizzazioni internazionali, in particolare per: a)
fornire servizi di consulenza, supporto tecnico e materiale al fine di far
fronte ad un incidente di inquinamento da idrocarburi, qualora la gravità
dell’incidente lo giustifichi, su richiesta di qualsiasi parte danneggiata (art.
7); b) favorire lo scambio dei risultati dei programmi di ricerca e sviluppo
volti a migliorare le tecniche esistenti di preparazione e di lotta contro
l’inquinamento da idrocarburi (art. 8); c) fornire, alle Parti che lo
richiedono, assistenza tecnica per formare il personale, assicurare la
disponibilità di tecnologia, di materiale e installazioni pertinenti, altri
provvedimenti ed intese per predisporre la preparazione e la lotta contro gli
incidenti di inquinamento da idrocarburi (art. 9). Il Protocollo sulla
protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e
dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo marino e del
sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) dispone che le Parti contraenti s’impegnano
a cooperare per: a) promuovere degli studi e dei programmi di ricerca
scientifica e tecnologica (art. 22); b) elaborare delle regole, degli standard,
delle pratiche e procedure raccomandate (art. 23); c) formulare e attuare dei
programmi di assistenza scientifica e tecnologica ai Paesi in via di sviluppo
(art. 24); d) assicurare un’informazione reciproca sulle misure, i risultati e
le difficoltà relativi all’applicazione del presente protocollo (art. 25); e)
prendere le misure necessarie per prevenire l’inquinamento transfrontaliero
(art. 26); f) formulare e adottare regole e procedure appropriate in tema di
responsabilità e risarcimento dei danni (art. 27). Gli artt. 20-21 del
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevedono una
cooperazione e un’assistenza reciproca tra gli Stati contraenti. Nell’Accordo ai
fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite
sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 relative alla conservazione ed alla
gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al
di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori
(New York, 4 agosto 1995) sono previsti provvedimenti relativi ai meccanismi di
cooperazione internazionale per la conservazione e la gestione degli stock di
pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone
economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori, in particolare
mediante organizzazioni e intese di gestione di peschiere sub-regionali o
regionali (artt. 8-16); sono inoltre previsti provvedimenti concernenti gli
Stati non membri, oppure le organizzazioni e gli Stati non partecipanti ad
intese (art. 17). Nel Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare
Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal
loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) le Parti s’impegnano a cooperare nel
settore scientifico e tecnologico per sviluppare e implementare delle nuove
metodologie per ridurre ed eliminare i rifiuti pericolosi e per prendere delle
misure appropriate per prevenire i problemi di inquinamento dovuti al movimento
di rifiuti pericolosi e al loro smaltimento basate sullo sviluppo di metodi di
produzione puliti (art. 8). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar
Nero, del Mare Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24
novembre 1996) dispone che le Parti adottino delle misure coordinate,
specificate nel piano di conservazione all’Annesso 2, al fine di raggiungere e
mantenere uno stato di conservazione favorevole per i cetacei, in particolare ne
proibiscano ogni prelievo deliberato e cooperino per creare e mantenere una rete
di aree speciali protette per garantirne la conservazione (art. 2).
Relativamente al diritto diritto fluviale internazionale menzioniamo: a) La
convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) secondo
cui le Parti predispongono programmi per la sorveglianza dello stato delle acque
transfrontaliere (artt. 4 e11); cooperano all’esecuzione di lavori di ricerca e
sviluppo riguardo a tecniche efficaci di prevenzione, controllo e riduzione
dell’impatto transfrontaliero (artt. 5 e 12): b) Il protocollo alla convenzione
del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e
dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno
1999) stabilisce che le Parti promuovono la cooperazione internazionale per
intraprendere delle azioni internazionali e per mettere in opera dei piani
nazionali o locali ai fini del presente protocollo (artt. 11-14).
29) L’idea d’istituire dei meccanismi misti per la gestione dei
corsi d’acqua internazionali non è affatto nuova. Dal 1911 (Risoluzione di
Madrid) l’Istituto di diritto internazionale aveva raccomandato d’istituire
delle «commissioni comuni e permanenti degli Stati interessati». Si ricordano,
altresì: la Convenzione che istituisce l’Autorità del bacino del Niger (artt.
3-5); il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; il Trattato tra il
Canada e gli Stati Uniti relativo alle acque frontaliere e alle questioni
sollevate tra gli Stati Uniti e il Canada; la Raccomandazione n. 51 adottata
durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente. L’Accordo concluso tra
Alto Volta, Camerun, Chad, Costa d’Avorio, Dahomey, Guinea, Mali, Niger, Nigeria
(Niamey, 25 novembre 1964) che istituisce la Commissione del fiume Niger e alla
navigazione e ai trasporti sul fiume Niger - che è stato successivamente
modificato dall’Accordo adottato a Niamey dagli stessi Stati contraenti, in data
15 giugno 1973 – la quale «shall establish general regulations to ensure the
safety and control of navigation on the understanding that such regulations
shall be designed to facilite, as much as possibile, the movement of vessels and
boats» (art. 15) ed in «order to achieve maximum co-operation in connection with
the matters mentioned in artiche 4 of the Act of Niamey, the riparian States
undertake to inform the Commission as provided for in Chapter I of the present
Agreement, at the earliest stage, of all studies and works upon which they
propose to embark. They undertake further to abstain from carrying out on the
portion of the River, its tributaries and sub-tributaries subject to their
jurisdiction any works likely to pollute the waters, or any modification likely
to affect biological characteristics of its fauna and flora, without adequate
notice to, and prior consultation with, the Commission» (art. 12).
Successivamente, la Convenzione conclusa a Niamey tra Benin, Camerun, Chad,
Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Niger, Nigeria, in data 29 ottobre 1987 istituisce
l’Autorità del Bacino del Niger che ha lo scopo di promuovere la cooperazione
tra i paesi membri e assicurare uno sviluppo integrato del Bacino del Niger nei
campi dell’energia, dell’idraulica, dell’agricoltura, dell’allevamento, della
pesca, della piscicoltura, della silvicoltura e dell’attività di sfruttamento
della foresta, dei trasporti, delle comunicazioni e dell’industria (art. 3).
L’Autorità - attraverso i propri organi (Vertice dei Capi di Stato e di governo,
Consiglio dei ministri, Comitato tecnico di esperti, Segretariato esecutivo) – è
incaricata di: a) armonizzare e coordinare le politiche nazionali per la
valorizzazione delle risorse del bacino del Niger; b) partecipare alla
pianificazione dello sviluppo per l’elaborazione e l’esecuzione di un piano di
sviluppo integrato del bacino; c) promuovere e partecipare all’idea e alla
realizzazione delle opere e dei progetti d’interesse comune; d) assicurare il
controllo e la regolamentazione di ogni modalità di navigazione sul fiume, sui
suoi affluenti e sotto-affluenti; e) partecipare alla formulazione delle
richieste di assistenza e alla mobilitazione dei finanziamenti per studi e per
la realizzazione di opere necessarie a valorizzare delle risorse del bacino
(art. 4, par. 1, art. 5). Ed infine altre convenzioni che istituiscono ulteriori
commissioni e amministrazioni internazionali fluviali: Accordo concluso tra
Brasile e Paraguay (Rio de Janeiro, 14 giugno 1941) relativo alla costituzione
di commissioni miste incaricate di studiare i problemi della navigazione sul
Paraguay nelle acque che appartengono alla sovranità dei due paesi e alla
creazione di una flotta mercantile brasilio-paraguayana. Scambio di note tra
Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 25 febbraio e 3 marzo 1944) costituente
un accordo relativo allo studio concernente il bacino superiore del fiume
Columbia, di cui è incaricata la Commissione mista internazionale. Scambio di
note tra Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Stati Uniti
d’America (Londra, 4 e 29 ottobre e 5 novembre 1945) costituente un accordo
avente per oggetto la partecipazione degli Stati Uniti d’America alla
Commissione centrale del Reno. Scambio di note tra Canada e Stati Uniti
(Washington, 12 novembre 1953) costituente un accordo che istituisce la
Commissione mista d’ingegneri (San Lorenzo). Protocollo sottoscritto da Francia,
Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961)
concernente la costituzione di una Commissione internazionale per la protezione
della Mosella contro l’inquinamento. Protocollo sottoscritto tra Francia ed ex
Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961). Accordo concluso tra
Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, ex Repubblica Federale Tedesca, Svizzera
(Berna, 29 aprile 1963) concernente la Commissione internazionale per la
protezione del Reno contro l’inquinamento (con protocollo aperto alla firma).
Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam (Bangkok, 6 e 18
settembre e 14 ottobre 1963, Vietnam, 5 ottobre 1963, Phnompenh, 18 ottobre
1963, Saigon, 19 ottobre 1963) concernente la contribuzione néerlandase al
Comitato per il coordinamento degli studi sul bacino inferiore del Mékong.
Accordo concluso tra l’ex Cecoslovacchia e l’Ungheria (Praga, 27 febbraio 1968)
relativo all’istituzione dell’Amministrazione fluviale nell’area del Danubio tra
Raika e Gönyü (con scambio di lettere). Accordo effettuato mediante verbale n°
241 della Commissione internazionale Stati Uniti/Messico delle frontiere delle
acque – Raccomandazioni per il miglioramento senza ritardo la qualità delle
acque del Colorado che atteignent il Messico – adottato a El Paso il 14 luglio
1972. Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico e Tlateloco,
30 agosto 1973) costituente un accordo che conferma il verbale n° 242 della
Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Stati Uniti/Messico,
relativo alla salinità delle acque del Colorado. Accordo concluso tra Brasile e
Perù (a bordo della nave peruviana Ucayali nella frontiera Brasile/Perù, in data
5 novembre 1976) che istituisce una sotto-commissione mista Brasile-Perù
concernente l’Amazzonia. Protocollo relativo alla Commissione tecnica mista
della Bidassoa, sottoscritto da Francia e Spagna a Parigi, in data 14 dicembre
1978. Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 17 maggio 1980)
costituente un accordo relativo alla creazione di una Commissione mista per la
costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu. Accordo tra Messico e Stati Uniti
d’America (Ciudad Juárez, 26 agosto 1980) relativo al problema sanitario posto,
nella area di frontiera, le acque del Rio Nuovo. Effettuato mediante verbale n.
264 della Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Messico/Stati
Uniti d’America. La Commissione internazionale per la protezione del Danubio in
virtù dell’Accordo concluso tra l’Austria e la Commissione internazionale per la
protezione del Danubio (Vienna, 14 dicembre 2000) relativo alla sede della
stessa commissione – ha sede a Vienna (art. 3), ha personalità giuridica
internazionale (art. 2), e immune dalla giurisdizione (art. 6), gode
dell’inviolabilità della sede (art. 4), della protezione dei locali che
compongono la sede (art. 7), dei servizi pubblici necessari e della libertà di
comunicazione (artt. 9-10), dell’esenzione dalle imposte e dai diritti doganali
(art. 11), delle agevolazioni di natura finanziaria (art. 12), della sicurezza
sociale senza corrispondere alcuna contribuzione obbligatoria (art. 13), della
libertà di transito e di soggiorno delle persone enumerate nella parte finale
del par. 1 dell’art. 14, del diritto di legazione attivo e passivo (artt.
15-16). Nell’ambito del diritto marittimo internazionale si prevedono anche
delle commissioni: L’Accordo relativo alla protezione delle acque del litorale
mediterraneo (Principato di Monaco 10 maggio 1976) il cui art. 1 prevede
l’istituzione di una Commissione internazionale per salvaguardare la qualità
delle acque del litorale in questione, prevenire per quanto possibile
l’inquinamento e migliorarne lo stato attuale. La Commissione - composta delle
delegazioni dei tre Governi, assistita da un Comitato tecnico composto di
esperti in materia di protezione delle acque (artt. 4-6) - si riunisce in
sessione ordinaria almeno una volta all’anno e sottopone ai tre Governi un
rapporto di attività annuale nel quale figurano in particolare i risultati degli
studi e delle ricerche compiuti , nonché le sue proposte (artt. 7 e 10). Il
Segretariato della Commissione è assicurato dal Centro Scientifico di Monaco
(art. 13). La Commissione è incaricata di: a) esaminare ogni problema
d’interesse comune relativo all’inquinamento delle acque; b) promuovere una
concertazione dei servizi amministrativi competenti al fine di recensire le zone
inquinate, fornire informazioni reciproche sui progetti di gestione che
potrebbero creare rischi di inquinamento, elaborare uno studio economico delle
infrastrutture e delle attrezzature necessarie alla lotta contro l’inquinamento
delle acque; c) favorire e promuovere studi e ricerche, scambi di informazioni
ed incontri di esperti nel quadro di una cooperazione scientifica; d) proporre
ai tre Governi ogni misura atta a proteggere le acque, in particolare per mezzo
di accordi specifici (art. 3). La Convenzione per la conservazione delle risorse
marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) che prevede una
Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi dell’Antartide
(artt. 7 e 8). I compiti e le modalità di funzionamento della Commissione sono
definiti negli articoli 9-13 e 19-20. Nella Convenzione sulla futura
cooperazione multilaterale per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17
marzo 1982) si prevede l’istituzione di una Commissione della Pesca
dell’Atlantico Nord-Orientale con sede a Londra la quale può istituire i
Comitati e gli Organi sussidiari necessari all’espletamento dei suoi compiti e
delle sue funzioni (art. 3). La Commissione: a) svolge le sue funzioni
nell’interesse della conservazione e della migliore utilizzazione delle risorse
della pesca nell’area della Convenzione e tiene conto delle migliori conoscenze
scientifiche disponibili. Essa fornisce un forum per la consultazione e lo
scambio di informazioni sullo stato delle risorse della pesca nella zona della
Convenzione e sulle politiche di gestione (art. 4); b) può fare delle
raccomandazioni in merito alla pesca nelle zone al di là della giurisdizione
delle Parti contraenti (art. 5). Essa può fare delle raccomandazioni e dare un
parere concernente la pesca in una zona sotto la giurisdizione di una Parte
contraente dietro sua richiesta (artt. 6-7); c) può, a maggioranza qualificata,
fare delle raccomandazioni concernenti le misure di controllo della pesca e la
raccolta di dati statistici relativi alla pesca (artt. 8-13); d) può consultare
il Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare, in particolare per
quanto riguarda la biologia e la dinamica della popolazione delle specie, lo
stato degli stock di pesci e gli effetti della pesca, le misure di conservazione
e di gestione (art. 14).
30) Ed ancora: Convenzione conclusa tra la Finlandia e l’ex
U.R.S.S. (Helsinki, 28 ottobre 1922) concernente il mantenimento dei canali
principali e la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe della Russia
e della Finlandia. Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti
d’America (Washington, 26 maggio 1930, e protocollo relativo alla scambio delle
ratifiche, sottoscritto a Washington il 28 luglio 1937) per la protezione, la
conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del
fiume Fraser. Convenzione (con regolamenti allegati) conclusa tra la Finlandia e
la Norvegia (Oslo, 21 aprile 1938) relativa ad un nuovo regolamento della pesca
nel Tana. Scambio di note (con appendici) tra Canada e Stati Uniti d’America
(Washington, 21 luglio e 5 agosto 1944) costituente un accordo per facilitare la
riproduzione del salmone nel cañon di Hell’s Gate e in altri spazi del bacino
del Fraser. Scambio di note tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 21 aprile
1938, 13 giugno 1949) costituente un accordo che modifica l’articolo 4 della
Convenzione relativa ad un nuovo regolamento della pesca nel Tana. Accordo (con
annesso) concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 20 maggio 1953)
concernente la regolamentazione della pesca nel Tana. Convenzione (con annesso)
conclusa tra la Bulgaria, l’ex Jugoslavia, la Romania, l’ex U.R.S.S., relativa
alla pesca nel Danubio. Convenzione relativa alla pesca in Bidassoa e Baia del
Figuier, conclusa a Madrid in data 14 luglio 1959, tra Francia e Spagna. Accordo
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 15 novembre 1960) concernente un
nuovo regolamento della pesca nel Tana. Protocollo sottoscritto tra la Norvegia
e la Svezia (Helsinki, 19 Marzo 1960) che modifica il par. 3 dell’art. 6 del
regolamento concernente lo sfruttamento della zona di pesca del Tornio, annesso
alla Dichiarazione congiunta (Svezia-Norvegia) del 10 maggio 1927. Accordo
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 12 maggio 1972) concernente
la regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca).
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 21 settembre 1972)
costituente un accordo riguardante la preservazione della qualità dell’acqua
nell’area internazionale del fiume Saint-Jean (con annesso). Scambio di note
(con annesso) tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 5 gennaio 1979)
costituente un accordo che modifica e completa l’Accordo del 12 maggio 1972.
Accordo-quadro concluso tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Alto Volta,
Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Niger e Togo (Accra, 1° novembre 1973), per
il programma sulla lotta contro l’oncocercosi nella regione del bacino del
Volta. Accordo multilaterale che istituisce un Fondo per la lotta contro
l’oncocercosi (con annessi), sottoscritto a Washington in data 7 maggio 1975.
Convenzione conclusa tra la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, l’ex
Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976) relativa alla
protezione del Reno contro l’inquinamento chimico (con annessi). Convenzione
conclusa tra la Comunità economica europea, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi
Bassi, l’ex Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976),
relativa alla protezione del Reno contro l’inquinamento da cloruri (con annessi
e scambio di lettere costituente un emendamento, a Neuilly il 29 aprile 1983, a
Bonn 4 maggio 1983, L’Aja il 4 maggio 1983, Lussemburgo 13 maggio 1983, Berna 13
maggio 1983). Accordo multilaterale relativo al Fondo per la lotta contro
l’oncocercosi (con protocollo), sottoscritto a Washington in data 19 settembre
1979. Regolamento applicabile alla pesca nell’area internazionale del Miño,
sottoscritto a Madrid in data 3 dicembre 1980, tra Portogallo e Spagna. Accordo
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 1° marzo 1989) concernente la
regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca).
Accordo concluso tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e
gli Stati Uniti d’America (Dakar, 25 febbraio 1976), per la sovvenzione di uno
studio sull’ambiente del bacino del fiume Senegal (con annesso e lettera
connessa). Accordo di cooperazione concluso tra Brasile ed Uruguay (Antigas, 11
marzo 1991) per lo sfruttamento delle risorse naturali e la valorizzazione del
bacino del fiume Quaraí. Scambio di note tra il Brasile e il Regno Unito della
Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Brasilia, 11 settembre 1991) costituente un
accordo sussidiario concernente un progetto di cooperazione tecnica relativa ad
un programma di preservazione e di gestione dell’ambiente nelle regioni
produttrici di carbone in pezzatura noce del Brasile del fiume Tocantis dello
Stato di Para (con annesso). Scambio di lettere tra Brasile ed Uruguay
(Brasilia, 16 settembre 1991) costituente un accordo per la valorizzazione a
titolo provvisorio dell’Accordo dell’11 marzo 1991. Scambio di note tra
Portogallo e Spagna (Madrid, 10 e 27 luglio 1992) costituente un accordo
relativo ai regolamenti sulla pesca applicabili alle zone frontaliere dei fiumi
tra la Spagna e il Portogallo, ad eccezione dell’area internazionale del fiume
Miño e della regione costiera del fiume Guadania (con regolamenti di pesca
annessi). Scambio di note tra Portogallo e Spagna (Madrid, 21 maggio 1992 e 24
febbraio 1995) costituente un accordo che stabilisce le regole della “caccia”
nelle acque e nei fiumi dell’area internazionale del fiume Miño (con annesso).
31) La perfetta eguaglianza degli Stati rivieraschi nell’uso di
un corso d’acqua internazionale e l’assenza di qualsiasi posizione privilegiata
tra di essi si ritrova, come principio, nel caso risolto dalla Corte Permanente
di Giustizia Internazionale, relativo alla Giurisdizione territoriale della
Commissione Internazionale del fiume Oder (in Permanent Court of International
Justice, Collections of Judgements, Serie A, n. 23, p. 27) e similmente nella
pronunzia resa dalla Corte Distrettuale di Rotterdam il 16 dicembre 1983 nella
complessa vicenda della salinità del fiume Reno (in Nordical Journal of
Internazional Law, 1984, p. 479).
32) L’obbligo generale di cooperare, è tuttavia previsto in
precedenti strumenti internazionali: l’art. 3, par. 3 e artt. 7-8 dell’Accordo
del 17 luglio 1964 concluso tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia
delle acque di frontiera. La Convenzione del 16 novembre 1962 tra la Francia e
la Svizzera concernente la protezione delle acque del lago Lemano dalla
polluzione. L’Accordo di cooperazione del 14 agosto 1983 tra gli Stati Uniti
d’America e il Messico per la protezione e il miglioramento ambientale nella
zona di frontiera, che è un accordo-quadro contenente le acque di frontiera.
L’art. 4 dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra
gli Stati del bacino del Niger. La Convenzione relativa allo statuto del fiume
Senegal e Convenzione che istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del
fiume Senegal. La Convenzione e Statuto relativi alla valorizzazione del bacino
del Chad. Il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo. La Risoluzione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, n. 2995 (XXVII) sulla cooperazione
tra gli Stati nel settore dell’ambiente. La Risoluzione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite n. 3129 (XXVIII) sulla cooperazione nel settore
dell’ambiente in materia di risorse naturali partagées da due o più Stati. Il
Principio n. 24 della Dichiarazione di Stoccolma. Il Piano d’Azione del Mare del
Plata, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua (si veda
raccomandazione n. 90 ). Il Principio n. 2 dei «Principi relativi alla
cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere» adottati dalla CEE nel
1987. L’art. 4 delle Regole sulla polluzione delle acque di un bacino di
drenaggio internazionale, adottate dall’ILA nel 1982. Il Principio n. 12 della
Carta europea dell’acqua, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio di
Europa nel 1967).
33) L’utilità della raccolta e dello scambio regolari di una
vasta gamma di dati e informazioni sui corsi d’acqua internazionali è
riconosciuta in numerosi accordi internazionali, risoluzioni adottate dalle
organizzazioni internazionali, conferenze internazionali, studi degli organismi
governativi e non. Si vedano: l’art. 9, alinea j del Trattato del 3 febbraio
1944 concluso tra gli Stati Uniti d’America e il Messico relativo all’uso delle
acque del Colorado, della Tijuana e del rio Grande (rio Bravo) da Fort-Quitman
(Texas) al golfo del Messico; l’art. VI del Trattato del 1960 concluso tra
l’India e il Pakistan relativo all’uso delle acque dell’Indus; l’art. 8, par. 1,
dell’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia
delle acque transfrontaliere; l’art. 2, alinea c, dell’Accordo del 25 novembre
1964 relativo alla commissione sul fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti
sul fiume Niger; l’art. 3, cap. 9 dell’Accordo del 16 settembre 1971 tra la
Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi di frontiera. Il principio n. 11 dei
«Principi relativi alla cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere»
adottati dalla CEE nel 1987. In numerosi casi gli Stati hanno istituito degli
organismi misti incaricati soprattutto di raccogliere, elaborare e diffondere
dei dati e delle informazioni di vario genere. Es., tra i più importanti, in
Africa, ricordiamo: la commissione del bacino del lago Chad, l’Autorità del
bacino del Niger, la commissione tecnica mista e permanente per le acque del
Nilo (Egitto e Sudan) e l’Organizzazione per il coordinamento e lo sviluppo del
bacino del fiume Kagera. Negli Stati Uniti d’America, il comitato
intergovernativo di coordinamento del bacino di Rio del Plata, la commissione
mista internazionale (Stati Uniti-Canada) e la commissione internazionale delle
frontiere e delle acque (Stati Uniti-Messico). In Asia: il comitato per il
coordinamento degli studi relativi al bacino inferiore del Mekong, la
commissione permanente dell’Indo (India-Pakistan), la commissione fluviale mista
(India-Bangladesh) e la commissione del delta dell’Hilmand (Afghanistan-Iran).
In Europa: la commissione del Danubio, la commissione internazionale per la
protezione della Mosella contro l’inquinamento, la commissione internazionale
per la protezione del Reno contro l’inquinamento e la commissione mista
finlando-sovietica dell’uso delle acque frontaliere.
34) Il sistema dello scambio delle informazioni e dati è
previsto anche ne diritto marittimo internazionale e nel diritto internazionale
fluviale. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce
che le Parti contraenti si impegnano a trasmettere informazioni concernenti le
autorità nazionali competenti per la lotta contro l’inquinamento marino, i nuovi
metodi di prevenzione e le nuove procedure di lotta nonché sui relativi
programmi di ricerca (art. 6). Il Protocollo per la protezione del mar
Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980)
prevede che le Parti elaborino dei rapporti per tenersi reciprocamente informate
sulle misure prese, sui risultati ottenuti e sulle difficoltà incontrate
nell’applicazione del presente Protocollo (art. 13). La Convenzione quadro
europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità
territoriali (Madrid, 21 maggio1980) stabilisce che le Parti s’impegnino a
fornire, per quanto possibile, tutte le informazioni che le sono richieste dalle
altre Parti (art. 6). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo
1989) stabilisce che i Paesi che intendono effettuare movimenti transfrontalieri
di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti devono notificare tutte le esportazioni
ai Paesi destinatari e di transito e aspettare il loro assenso scritto (artt. 6
e 7). Ed ancora, le Parti se accertano che, in caso di incidente verificatosi
durante un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti o
il loro smaltimento che potrebbero presentare rischi per la salute dell’uomo e
per l’ambiente di altri Stati, questi ultimi ne siano immediatamente informati
(art. 13). Nell’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 -
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui
spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) -
sono inclusi due Allegati relativi alle norme richieste per la raccolta e la
messa in comune dei dati (Allegato I) e alle direttive per l’applicazione di
punti di riferimento prudenziali ai fini della conservazione e della gestione
degli stock i cui spostamenti si effettuano sia all’interno sia al di là delle
zone economiche esclusive e degli stock di pesci migratori (Allegato II). Il
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) auspica che si adottino
potenzi la ricerca scientifica, tecnologica, anche nel settore della gestione
(art. 20). Per quanto concerne il diritto internazionale fluviale si ricordano:
a) la Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) nella
quale sono specificate le disposizioni relative allo scambio di informazioni e
ad eventuali consultazioni tra le Parti in relazione all’inquinamento delle
acque transfrontaliere (artt. 6,10, 13, 14 e 16) nonché all’assistenza reciproca
(art. 15); b) il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali,
relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) nella quale si
stabilisce che ciascuna Parte procede alla raccolta, all’esame ed alla
valutazione dei dati e dei progressi compiuti e pubblica dei rapporti periodici
all’attenzione della Riunione delle Parti (art. 7).
35) Il principio della notifica delle misure progettate è già
contenuto in precedenti strumenti internazionali. A titolo di esempio
ricordiamo: l’art. 4 della Convenzione del 1923 relativa allo sfruttamento delle
forze idrauliche interessanti più Stati; l’art. 17 del Trattato del 19 novembre
1973 tra l’Argentina e l’Uruguay relativo a Rio de La Plata e al suo fronte
marittimo; gli artt. 7-12 dello Statuto del fiume Uruguay del 1975, adottato
dall’Uruguay e dall’Argentina; l’art. 4 della Convenzione conclusa tra l’ex
Repubblica Federale Jugoslava e la Repubblica austriaca, concernente certe
questioni d’idroeconomia interessanti la Drava; il Trattato di Bayonne (Trattato
di delimitazione tra la Francia e la Spagna) e il suo Atto addizionale (art. XI);
l’art. 1, par. 3, della Convenzione sulla protezione delle acque del lago di
Costanza contro la polluzione, concluso tra il Bade-Wurtemberg, Baviera, Austria
e Svizzera; l’art. 4 della Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal;
l’art. 7, par. 2, del Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; l’art. 4
dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati
del bacino del Niger e l’art. 12 dell’Accordo relativo alla commissione del
fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger. Dal punto di
vista delle sentenze arbitrali, citiamo l’affaire du Lac Lanoux (parr. 22-24
della sentenza). Tra le raccomandazioni, ricordiamo la n. 51, alinea b), del
Piano d’Azione per l’ambiente, adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente, la Raccomandazione C(74)224, adottata il 14 novembre 1974 dall’OCDE,
le Raccomandazioni relative alla “cooperazione regionale” adottate dalla
Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua del 1977; i parr. 6-8 della
Dichiarazione di Montevideo adottata anteriormente alla settima Conferenza
internazionale degli Stati americani. Tra le Risoluzioni ricordiamo: la
Risoluzione sull’uso dei fiumi internazionali, adottata dall’Associazione
interamericana degli avvocati alla sua decima conferenza, nel 1957 (par. I.3);
la Risoluzione intitolata «Utilizzazione delle acque internazionali non
marittime (al di fuori della navigazione)» adottata nel 1961 dall’Istituto di
diritto internazionale (artt. 4-9); le Regole di Helsinki – ILA - del 1966 (art.
XXIX); i «Principi guida nell’ambito dell’ambiente per l’orientamento degli
Stati in materia di conservazione e uso armonioso delle risorse naturali
partagées da due o più Stati», adottate dal Consiglio d’amministrazione del PNUE
nel 1978 (principi 6-7); gli artt. 7-8 sulla «Regolazione della portata dei
corsi d’acqua internazionali» adottati dall’ILA nel 1980; le «Regole sulla
polluzione delle acque di un bacino di drenaggio internazionale», adottate dall’ILA
nel 1982 (artt. 3, 5-6).
36) L’ammontare dell’indennizzo richiesto può essere ridotto
delle spese sostenute dallo “Stato notificatore” per le misure che sono state
prese dopo la scadenza del termine previsto per la risposta e che non sarebbero
state affrontate se il “paese notificato” avesse sollevato delle obiezioni nei
termini previsti [art. 16, CUDN]. Lo scopo che sottintende raggiungere l’art. 16
[CUDN] è che, se uno Stato al quale la notifica è stata indirizzata non risponde
entro i termini consentiti al par. 2 dell’art. 15 [CUDN], questo paese, tra le
altre conseguenze, non è ammesso ad usufruire dei vantaggi derivanti dal regime
di protezione che stabilisce la terza parte della CUDN. Quindi, lo Stato autore
della notifica può solo procedere alla messa in opera dei suoi progetti sotto
riserva delle condizioni esposte al par. 1 del presente articolo [della CUDN].
37) L’obbligo di informare è previsto anche in precedenti
accordi internazionali. Vedi tra gli altri: Accordo franco-svizzero
sull’intervento degli organi incaricati di lottare contro la polluzione
accidentale delle acque per gli idrocarburi o le altre sostanze che possano
alterare le acque e riconosciuti come tali nel quadro della Convenzione
franco-svizzera del 16 novembre 1962 concernente la protezione delle acque del
Lago Lemano contro la polluzione (5 maggio 1977). Art. 11 della Convenzione
relativa alla protezione del Reno contro la polluzione chimica. Accordo tra
Canada e Stati Uniti d’America sulla qualità delle acque dei Grandi Laghi
(Ottawa, 22 novembre 1978).
38) Anche le convenzioni di diritto internazionale
marittimo-fluviale prevedono dei piani di intervento ed assistenza in caso di
inquinamento. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce
che le Parti contraenti, con situazioni di emergenza, s’impegnano a procedere
alle necessarie valutazioni della natura e dell’entità del sinistro, prendere i
provvedimenti atti ad eliminare o ridurre gli effetti dell’inquinamento e
informare le altre Parti e fare rapporto (art. 9). Ogni Parte che abbia bisogno
di assistenza per un’operazione di lotta contro l’inquinamento causato da
petrolio o da altre sostanze pericolose che inquinino o minaccino di inquinare
le sue coste può chiedere assistenza (consulenza di esperti, fornitura o messa a
disposizione di prodotti, attrezzature e mezzi nautici) alle altre Parti.
Qualora le Parti impegnate in un’operazione di lotta all’inquinamento non
riescano ad accordarsi sull’organizzazione dell’operazione, il Centro regionale
può, con il loro consenso, coordinare le attività di intervento messe in atto
dalle Parti (art. 10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la
lotta e la cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30
novembre 1990) stabilisce che ciascuna Parte è tenuta ad esigere che le navi
battenti la propria bandiera abbiano a bordo un piano di emergenza di bordo per
l’inquinamento da idrocarburi come prescritto ed in conformità con le
disposizioni adottate a tal fine dall’IMO. Ugualmente, gli operatori di unità
off-shore soggetti alla giurisdizione delle Parti devono avere piani di
emergenza di bordo contro l’inquinamento da idrocarburi, coordinati con
l’ordinamento nazionale (art. 3). La Convenzione stabilisce la procedura di
notifica di un qualsiasi fatto che comporti o rischi di comportare una discarica
o probabile discarica di idrocarburi (art. 4) e le misure da adottare nel
ricevere un rapporto su un inquinamento da idrocarburi (art. 5). Nel settore
fluviale il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali,
relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) stabilisce che
ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento
includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme
tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi
d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi
o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8).
39) Ai sensi dell’art. 27 della CUDN gli Stati rivieraschi,
singolarmente o congiuntamente, sono tenuti ad adottare tutte le misure idonee
per prevenire o attenuare dei pericoli derivanti da cause naturali o da attività
dell’uomo che possono causare danni agli altri paesi rivieraschi (inondazioni,
formazione di ghiacciai, malattie trasmissibili attraverso i corsi d’acqua,
interramento, erosione, introduzione di acqua salata, desertificazione o
siccità). Il divieto di causare danni ad altri Stati nell’esercizio di un
proprio diritto, è un istituto già previsto in sentenze arbitrali e in strumenti
di diritto internazionale. Assume la forma di abuso di diritto, nell’art. 300
della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (che viene
ripreso nell’Accordo per l’esecuzione delle disposizioni della Convenzione delle
Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, relative alla
conservazione e gestione delle specie ittiche transzonali ed altamente
migratrici, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite il 4 agosto 1995)
sfocia a volte in una violazione del principio di buon vicinato [principio
contenuto nell’accordo italo-britannico, per la soluzione delle loro
controversie originate dalla gestione del fiume Gash (corso d’acqua africano
scorrente dell’ex Colonia italiana dell’Eritrea al Sudan inglese) concluso
mediante scambio di note avvenuto a Roma il 12 e 15 giugno 1925]. Oppure nella
violazione del principio sic utere tuo ut alienum non leades (Corte Distrettuale
di Rotterdam, 8 gennaio 1979, la quale affermò che tale era un principio
generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili, ai sensi dell’art. 38,
par. c dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia; sentenza della
Corte Internazionale di Giustizia, resa nel 1949, nell’affare dello stretto di
Corfù). Ed ancora, il divieto di causare danni è espresso nella sentenza
arbitrale della CIG resa nel caso della Fonderia di Trail, 11 marzo 1941),
sentenza arbitrale della CIG resa nell’affare del Lago Lanoux (1950), e in
tribunali interni e federali (es., sentenza resa nel 1939 dalla Corte di
Cassazione italiana nel caso della Sociétè énergie électrique du littoral
méditerranéen vs. Compagnia imprese elettriche liguri). Nella prassi
convenzionale tale principio è previsto: a) nell’art. 17 del Trattato tra Stati
Uniti e Messico circa l’utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e
Rio Grande (Washington, 3 febbraio 1944); b) nell’art. 2 della Convenzione sui
lavori e corsi d’acqua comuni, conclusa il 26 ottobre 1905, tra Svezia e
Norvegia; c) nell’art. 12 della Convenzione conclusa tra Svezia e Norvegia su
certe questioni relative al diritto dei corsi d’acqua (Stoccolma, 11 maggio
1929); d) nell’art. 58 del Trattato riguardante il tracciato della frontiera
comune e le acque di frontiera, concluso all’Aja l’8 aprile 1969 tra Paesi Bassi
e l’ex Repubblica federale tedesca; e) nell’art. 3, par. 1 del Trattato
concernente la regolamentazione delle questioni di gestione idrica relative alle
acque di confine, sottoscritto a Vienna il 7 dicembre 1967, tra Austria ed ex
Cecoslovacchia; f) nell’art. 4 dell’Atto riguardante la navigazione e la
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre
1963); g) nell’art. 5 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad
(Fort Lamy, 22 maggio 1964); h) nell’art. 4 della Convenzione relativa allo
statuto del fiume Senegal (Nouakcott, 11 marzo 1972); i) nell’art. 1 del
Protocollo specifico addizionale sulle risorse idriche condivise tra Repubblica
del Cile e Repubblica di Argentina (Buenos Aires, 10 agosto 1991); j) nel
Trattato sulle acque dell’Indo del 1960 (spec., art. 4, par. 2; art. 7, par. 2);
k) nell’art. II, par. 3 del Trattato sulla ripartizione delle acque del Gange,
firmato il 12 dicembre 1996 da Bangladesh ed India; l) nell’art. 7 dell’Accordo
sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del bacino del fiume Mekong,
concluso tra Cambogia, Laos, Tailandia e Vietnam, il 5 aprile 1995. Tra gli atti
non vincolanti: La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Madrid,
1911) «Regolamentazione internazionale dell’uso dei corsi d’acqua al di fuori
dell’esercizio del diritto della naviagazione» (punti I-II). La Risoluzione
dell’Istituto di Diritto Internazionale (Salisburgo, 1961) «Risoluzione
sull’utilizzazione delle acque non marittime (al di fuori della navigazione)»
(art. 4). La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Helsinki,
1966) «Regole di Helsinki sull’uso delle acque dei fiumi internazionali» (art.
X). Il par. 2 della Dichiarazione di Asunciόn sull’utilizzazione dei corsi
d’acqua internazionali, inclusa nell’Atto di Asunciόn, adottato nel giugno del
1971 dalla quarta riunione dei ministri degli esteri dei 5 Stati rivieraschi del
Rio de la Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay ed Uruguay). Il par. 4
dell’Atto finale di Santiago sui bacini idrologici, sottoscritta il 26 giugno
1971 dai ministri degli esteri di Argentina e Cile. Il principio 21 della
Dichiarazione di Stoccolma del 1972 sull’Ambiente Umano (ripreso nella Ris. Ag.,
15 dicembre 1972, n. 2995 ai parr. 1-2; nell’art. 30 della Carta dei diritti e
doveri economici degliStati contenuta nella Ris. Ag., 12 dicembre 1974, n. 3281.
La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Atene, 1979)
«Risoluzione sull’inquinamento dei fiumi e dei laghi ed il diritto
internazionale» (art. II); i ) nell’art. 6 della Risoluzione dell’Istituto di
Diritto Internazionale (Belgrado, 1980). L’art. 1 della Risoluzione
dell’Istituto di Diritto Internazionale (Montreal, 1982). La parte terza della
Carta mondiale della natura contenuta dalla Ris. Ag., 29 ottobre 1982, n. 37/7).
Il principio 2 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992.
40) Il contrasto tra i due principi è stato oggetto di
discussione durante i lavori preparatori della CUDN. Alcuni Stati rivieraschi a
monte – che propendevano per la superiorità del principio dell’equa
utilizzazione sul principio del divieto di cagionare danni – proponevano o
l’introduzione di apposite clausole di salvaguardia negli artt. 5 o 7 [CUDN]
atte a sancire la priorità della norma dell’equo utilizzo, oppure una radicale
soppressione dell’articolo che si occupa del divieto di danneggiare, al limite
accompagnata dalla menzione degli effetti dannosi di un’utilizzazione tra i
fattori rilevanti per la determinazione in concreto del carattere equo e
ragionevole di un’utilizzazione (UN Doc. A/51/275: Etiopia, pp. 33-34 e 41,
Spagna, pp. 44-45, Svizzera, p. 47, Turchia, p. 45. (UN Doc. AC.6/51/R.16:
Repubblica Ceca, p. 3, par. 9, Romania, p. 9, par. 39). Alcuni paesi costieri a
valle, invece, auspicavano o una formulazione più stringente del divieto di
cagionare danni, oppure l’introduzione di clausole nel testo dell’art. 5 [CUDN]
tendenti a salvaguardare l’applicabilità del principio suddetto (UN Doc.
A/51/275: Ungheria, pp. 34-35 e 43). (UN Doc. AC.6/51/R.16: Argentina, p. 11,
par. 49, Egitto p. 11, par. 47).
41) (S. C. MCCAFFREY, Quatrième rapport sur le droit relatif
aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la
navigation (1988) Doc. A/CN.4/412 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de
Droit International, 1988, vol. II, 1ª parte, parr. 15-26).
42) [S. C. MCCAFFREY, Troisième rapport sur le droit relatif
aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la
navigation (1987) (Doc. A/CN.4/406 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de
Droit International, 1987, vol. II, 1ª parte, parr. 63-72 e p. 47)].
43) Gli obblighi derivanti dall’art. 20 della CUDN sono già
presenti in altri strumenti internazionali. Così: gli artt. 6, 11, 17 della
Convenzione del 1904 tra la Repubblica francese e la Confederazione svizzera per
la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe. Il Trattato del 1958 tra
l’ex U.R.S.S. e l’Afghanistan relativo al regime della frontiera sovieto-afghana.
La Convenzione del 1956 tra la Repubblica francese e il Granducato di
Lussemburgo relativo alla canalizzazione della Mosella. Gli artt. 36-37 dello
Statuto del 1975 relativo al fiume Uruguay, concluso tra l’Argentina e
l’Uruguay. La Convenzione del 1978 relativo allo statuto del fiume Gambia.
L’Atto del 1963 relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli
Stati del bacino del Niger. L’art. II dell’Accordo del 1978 relativo alla
qualità dell’acqua dei Grandi Laghi, concluso tra il Canada e gli Stati Uniti
d’America. Tra gli atti non vincolanti ricordiamo, infine, l’Atto di Assunzione,
adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi rivieraschi di Rio de La
Plata nel 1971 (risoluzioni, n. 15 e n. 23) e la Raccomandazione n. 35 della
Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, tenutasi al Mare della Plata nel
1977.
44) In materia di protezione dell’acqua dei fiumi da una
possibile alterazione qualitativa provocata dall’inquinamento (per effetto dello
smaltimento dei rifiuti domestici ed industriali, dello sfruttamento delle
risorse in acqua dolce) e per un equilibrio ecologico, si ricordano: a) l’art.
IV del Trattato sulle acque di confine del 1909, concluso tra gli Stati Uniti
d’America e il Canada, che vietava l’inquinamento lesivo alla proprietà della
controparte; b) l’art. II, par. 1, dell’Accordo sulla qualità delle acque dei
Grandi Laghi (Ottawa, 22 novembre 1978) concluso tra il Canada e gli Stati Uniti
d’America. Il protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali
(Helsinki, 17 marzo 1992) secondo cui le Parti adottano tutti i provvedimenti
opportuni per adempiere gli obblighi imposti dalla convenzione, in particolare
per (a) prevenire, tenere sotto controllo e ridurre l’inquinamento delle acque
che ha o può avere un impatto transfrontaliero, (b) garantire una gestione delle
acque innocua per l’ambiente e razionale, la conservazione delle risorse idriche
e la protezione dell’ambiente, (c) promuovere un uso ragionevole ed equo delle
acque transfrontaliere, (d) assicurare la conservazione e, se necessario, il
ripristino degli ecosistemi, (e) prendere delle misure precauzionali per evitare
l’inquinamento delle acque transfrontaliere dallo scarico di sostanze
pericolose, (f) applicare il principio “chi inquina paga” per scoraggiare
l’inquinamento, (g) gestire le risorse idriche in modo sostenibile, (h)
promuovere la cooperazione tra gli Stati rivieraschi al fine di elaborare
politiche, programmi e strategie armonizzati per il controllo dell’inquinamento
delle acque (art. 2). Del problema dell’inquinamento e della conseguente
protezione dell’ambiente si sono occupate anche le convenzioni (ratificate da
numerosi Stati) sul diritto internazionale marittimo: la Convenzione
internazionale per la prevenzione dell’inquinamento delle acque marine da
idrocarburi (Londra, 12 maggio 1954) si pone l’obiettivo d’intraprendere
un’azione comune per prevenire l’inquinamento delle acque marine da idrocarburi
scaricate dalle navi. Si proibisce, quindi, lo scarico di idrocarburi o di
miscele di idrocarburi a meno che la nave stia seguendo la rotta o che il flusso
istantaneo di scarico degli idrocarburi non superi i 60 litri per miglio.
Inoltre il divieto non è applicabile nei seguenti casi: a) nel caso di una nave
che non sia una nave-cisterna, se il contenuto di idrocarburi dello scarico è
inferiore a 100 parti per milione di miscela, o se lo scarico è effettuato il
più lontano possibile delle terre; b) nel caso di una nave-cisterna, se la
quantità totale di idrocarburi scaricati nel corso di un viaggio in zavorra non
supera 1/15.000 della totale capacità dello spazio riservato al carico, o se la
nave-cisterna si trova a più di 50 miglia della terraferma (art. 3). Viene fatta
eccezione all’articolo 3 nei casi in cui è necessario assicurare la sicurezza di
una nave, evitare un’avaria alla nave o al suo carico, salvare delle vite umane
in mare, o nell’impossibilità di evitare lo scarico di idrocarburi o di miscele
di idrocarburi provenienti da un’avaria o da una perdita inevitabile malgrado
siano stati presi i dovuti provvedimenti (art. 4). Ogni contravvenzione ai
provvedimenti degli art. 3 e 9 costituisce un’infrazione punibile dalla
legislazione del territorio di appartenenza della nave (art. 6). Tutte le navi
devono essere munite di dispositivi che permettano di evitare, per quanto sia
ragionevole e possibile, la fuga di idrocarburi nelle sentine (art. 7). La
Convenzione internazionale sull’intervento in alto mare in caso di incidente che
causa o può causare un inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 29 novembre 1969)
si prefigge di proteggere gli interessi delle popolazioni dalle gravi
conseguenze di sinistri marittimi, comportanti il rischio di inquinamento del
mare e del litorale da idrocarburi, mediante l’adozione di misure eccezionali in
alto mare che non pregiudicano tuttavia in alcun modo il principio della libertà
dell’alto mare. Prima di adottare i provvedimenti, uno Stato rivierasco consulta
gli altri paesi interessati dal sinistro marittimo, in particolare lo Stato o
gli Stati di bandiera, notifica le misure previste alle persone che potrebbero
avere interessi compromessi o lesi da tali misure, consulta degli esperti
indipendenti. Nei casi di urgenza, lo Stato rivierasco può adottare le misure
rese necessarie dall’urgenza senza notifiche o consultazioni preliminari. In
ogni caso, lo Stato rivierasco si adopera per evitare ogni rischio per le vite
umane e per assistere le persone in pericolo (art. 3). La Convenzione sulla
prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti ed altre
sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si pone
l’obiettivo di controllare e prevenire l’inquinamento marino causato dallo
scarico di rifiuti o di altri materiali tali da mettere in pericolo la salute
dell'uomo, di nuocere alle risorse biologiche, alla fauna e alla flora marina,
di pregiudicare le zone di interesse turistico, o di ostacolare un altro uso
legittimo del mare (art. 1). È vietato lo scarico di qualunque rifiuto o altro
materiale elencato nell’Allegato I. È subordinato al preventivo rilascio di
un’autorizzazione lo scarico di rifiuti e di altri materiali elencati
nell’Allegato II; e ad una preventiva autorizzazione generale lo scarico di
qualunque altro rifiuto e materiale. Sono fissati nell’Allegato III i criteri
che regolano le autorizzazioni di scarico di materiali (art. 4). Le disposizioni
dell’art. 4 non sono applicate nei casi di forza maggiore o di gravissima
emergenza (art. 5). Si stabilisce, infine, che le Parti contraenti si impegnano
a promuovere delle misure di protezione dell’ambiente marino contro
l’inquinamento dovuto a(d): a) idrocarburi, ivi compresi i prodotti petroliferi
e i loro residui; b) altri materiali nocivi o dannosi trasportati da navi per
scopi diversi dello scarico; c) rifiuti dovuti all’utilizzazione delle navi,
aeronavi, piattaforme e altre opere collocate in mare; d) agenti radioattivi di
qualunque origine, ivi compresi quelli delle navi; e) agenti destinati alla
guerra biologica e chimica; f) rifiuti o altri materiali provenienti
dall’esplorazione del fondale marino (art. 12). La Convenzione per la protezione
del mare Mediterraneo dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) si
prefigge di prevenire, ridurre e combattere l’inquinamento nella zona del Mare
Mediterraneo, nonché di proteggere e migliorare l’ambiente marino in tale zona.
A tal fine le Parti contraenti adottano le misure idonee per prevenire, ridurre
e combattere l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto allo scarico
di rifiuti da parte di navi ed aeromobili, allo scarico delle navi,
all’esplorazione e allo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo
marino e degli strati sottostanti, agli scarichi dei corsi d’acqua, degli
stabilimenti costieri, o provocati da qualsiasi altra fonte di origine terrestre
(artt. 4-8). Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) si prefigge
di proteggere le coste e l’ecosistema marino del Mare Mediterraneo
dall’inquinamento causato da petrolio o da altre sostanze pericolose. Il
Protocollo per la prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo da
operazioni di scarico effettuate da navi ed aeromobili (Barcellona, 16 febbraio
1976) si prefigge di controllare e impedire lo scarico di rifiuti o di altre
sostanze nel Mare Mediterraneo. Così, l’immersione di rifiuti o di altre
sostanze è vietata ad eccezione di cinque categorie di sostanze: a) materiali di
dragaggio; b) rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni
industriali della trasformazione del pesce e di altri organismi marini; c) navi,
fino al 31 dicembre 2000; d) piattaforme o altre installazioni in mare, a
condizione che i materiali che possono produrre rifiuti galleggianti, o
contribuire sotto altre forme all’inquinamento dell’ambiente marino siano stati
rimossi nella misura massima possibile; e) materiali geologici inerti non
inquinanti i cui costituenti chimici non rischiano di essere liberati
nell’ambiente marino (art. 4). L’immersione delle sostanze di cui all’articolo 4
è subordinata al rilascio preliminare da parte delle autorità nazionali
competenti di un’autorizzazione speciale. Tale autorizzazione viene rilasciata
solo dopo un attento esame di tutti i fattori enumerati all’annesso del presente
Protocollo o dei criteri, linee direttive e procedure pertinenti adottate dalle
Parti al fine di prevenire, ridurre ed eliminare l’inquinamento (artt. 5 e 6).
Il Protocollo alla convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione
dell’inquinamento causato da navi (Londra, 17 febbraio 1978) si prefigge di
migliorare ulteriormente la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento marino
da parte delle navi e in particolare delle navi petroliere integrando le regole
per la prevenzione dell’inquinamento da petrolio contenute nell’Allegato I della
Convenzione del 1973. Il Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo
dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) si prefigge,
mediante delle misure appropriate, di prevenire, ridurre, combattere e tenere
sotto controllo l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto agli
scarichi dei fiumi, degli stabilimenti costieri o degli emissari oppure
provenienti da qualsiasi altre fonte terrestre situata sul loro territorio
(artt. 1). La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay,
10 dicembre 1982) si pone l’obiettivo, innanzitutto, di stabilire un ordine
giuridico per i mari e per gli oceani che faciliti le comunicazioni
internazionali e che favorisca gli usi pacifici dei mari e degli oceani,
l’utilizzazione equa ed efficiente delle loro risorse, la conservazione delle
loro risorse viventi e lo studio, la protezione e la preservazione dell’ambiente
marino. La Parte XII concerne i provvedimenti e le misure che gli Stati
s’impegnano ad adottare, singolarmente o congiuntamente secondo i casi, per
prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino
(artt. 192-201), in particolare l’assistenza tecnica e scientifica agli Stati in
via di sviluppo (artt. 202-203), il monitoraggio e gli accertamenti ambientali
(artt. 204-206), le norme internazionali e la legislazione nazionale per la
prevenzione, la riduzione ed il controllo dell’inquinamento dell’ambiente marino
da fonti terrestri (art. 207), da attività relative al fondo marino (art. 208),
da attività condotte nell’Area (art. 209), da immissione (art. 210), da navi
(art. 211), di origini atmosferiche o transatmosferiche (art. 212). Infine gli
Stati adottano misure atte a facilitare lo svolgimento dei procedimenti, in caso
di inquinamento provocato da una qualsiasi violazione (artt. 223-233). Il
Protocollo sull’intervento in alto mare in caso di inquinamento causato da
sostanze diverse dagli idrocarburi (Londra, 3 marzo 1983) si pone l’obiettivo di
mettere in grado gli Stati di intervenire in caso di incidenti in alto mare che
possono causare, per le loro coste o per gli interessi connessi, l’inquinamento,
o che possono costituire una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli
idrocarburi. Così si dispone che le Parti possono adottare, in alto mare, le
misure necessarie a prevenire, attenuare o eliminare i pericoli gravi ed
imminenti che presentano, per le loro coste o per gli interessi connessi,
l’inquinamento o una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli
idrocarburi conseguenti ad un sinistro marittimo o ad azioni connesse a tale
sinistro (art. 1). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo
1989) si prefigge di controllare rigorosamente i movimenti transfrontalieri di
rifiuti pericolosi (e di altri rifiuti) e ridurre per quanto possibile al minimo
tali movimenti. Così, le Parti si impegnano ad adempiere agli obblighi previsti
dall’articolo 4 relativi alla procedura di divieto di importazione di rifiuti
pericolosi e ad adottare le disposizioni necessarie per ridurre al minimo la
produzione e i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e di altri
rifiuti, assicurandone una gestione efficace e razionale dal punto di vista
ecologico (art. 4). La Convenzione, tra l’altro, prevede l’obbligo di
reimportazione dei rifiuti qualora il loro movimento transfrontaliero non possa
essere portato a termine (art. 8). L’Accordo di attuazione della Parte XI della
Convenzione sul diritto del mare del 1982 (New York, 28 luglio 1994) si prefigge
di rivedere le modalità di attuazione della parte XI della Convenzione sul
diritto del mare del 1982, in particolare per quanto riguarda l’Autorità
internazionale dei fondali marini. L’Allegato, che è parte integrante di questo
Accordo, stabilisce: a) le regole relative all’assetto istituzionale, in
particolare all’organizzazione, le funzioni e le attività dell’Autorità
internazionale dei fondali marini, nonché la procedura di approvazione di un
piano di lavoro (sezione 1); b) le funzioni e le modalità di funzionamento
dell’Impresa (sezione 2); c) la fase decisionale, in particolare i ruoli
dell’Assemblea e del Consiglio (sezione 3); d) la Conferenza di riesame (sezione
4); e) il trasferimento di tecnologia (sezione 5); f) la politica della
produzione (sezione 6); g) l’assistenza economica (sezione 7); h) le clausole
finanziarie del contratto (sezione 8); i) il comitato finanziario (sezione 9).
Il Protocollo sulla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante
dall’esplorazione e dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo
marino e del sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) si prefigge di proteggere e
salvaguardare il Mare Mediterraneo dall’inquinamento causato da attività di
esplorazione e di sfruttamento. Le Parti s’impegnano ad adottare,
unilateralmente o tramite accordi di cooperazione bilaterali o multilaterali,
tutte le misure appropriate al fine di prevenire, ridurre, combattere e
controllare l’inquinamento nell’area delineata dal Protocollo, risultante di
attività relative all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse. A tal
fine, devono ricorrere all’impiego delle migliori tecniche disponibili, che
siano efficaci sul piano ambientale e appropriate sul piano economico (art. 3).
Le Parti contraenti possono regolamentare, limitare o impedire l’uso di sostanze
chimiche per le attività relative all’esplorazione e/o allo sfruttamento delle
risorse, nell’area indicata dal Protocollo, in conformità con delle direttive
adottate dalle Parti contraenti. L’eliminazione delle sostanze e dei materiali
pericolosi, o nocivi, elencati nell’allegato I è vietata, mentre l’eliminazione
delle sostanze elencate nell’allegato II è subordinata al rilascio di un previo
permesso specifico. Per l’eliminazione di tutte le altre sostanze, o materiali
nocivi, o pericolosi, è richiesto un previo permesso generale (art. 9). Sono
previste delle disposizioni specifiche per l’eliminazione di oli, miscugli di
oli, fluidi di perforazione e relativi residui (art. 10), acque di scarico (art.
11) e rifiuti (art. 12). Sono inclusi 7 Allegati che completano le disposizioni
contenute nel presente Protocollo. Gli Allegati I e II elencano rispettivamente
le sostanze e materiali pericolosi o nocivi la cui eliminazione è vietata o
subordinata al rilascio di un previo permesso specifico. L’Allegato III elenca i
fattori che devono essere considerati per il rilascio dei permessi (generali e
specifici). L’Allegato IV disciplina la valutazione d’impatto ambientale.
L’Allegato V riguarda gli oli, i miscugli di oli, i fluidi di perforazioni e i
relativi residui. L’Allegato VI disciplina le misure di sicurezza che le Parti
devono osservare. L’Allegato VII è dedicato ai piani di emergenza. L’art. 17 del
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevede la necessità
d’instaurare degli studi di impatto ambientale. Il Protocollo alla convenzione
del 1972, per la prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di
rifiuti e altre sostanze (Londra, 7 novembre 1996) si pone diversi obiettivi e
precisamente: «proteggere e salvaguardare l’ambiente marino da qualsiasi fonte
di inquinamento e prendere delle misure efficaci per prevenire, ridurre e, dove
possibile, eliminare l’inquinamento causato dallo scarico o dall’incenerimento a
mare di rifiuti ed altre sostanze». Esso, infatti, vieta: «lo scarico di
qualsiasi rifiuto o altra sostanza ad eccezione di quelle contenute
nell’Allegato I, ovvero: 1) materiali di dragaggio; 2) acque di scarico; 3)
rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni industriali della
lavorazione dei pesci; 4) navi e piattaforme o altre installazioni in mare; 5)
materiali geologici non inquinanti; 6) materiali organici di origine naturale;
7) materie prime, inclusi ferro, acciaio e altri materiali simili non pericolosi
(art. 4)». Si vieta, altresì, l’esportazione dei rifiuti o di altre sostanze in
Stati non contraenti per il loro smaltimento o incenerimento in mare (art. 6).
L’unica eccezione prevista al divieto di smaltimento in mare è il caso di forza
maggiore, di pericolo di vita, o di grave rischio per la nave (art. 8). Il
Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai
movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne,
1° ottobre 1996) il quale stabilisce all’art. 5 che le Parti contraenti
s’impegnano a prendere: a) le misure appropriate per prevenire, ridurre ed
eliminare l’inquinamento causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti
pericolosi e dal loro smaltimento; b) le appropriate misure legali ed
amministrative per proibire l’esportazione ed il transito di rifiuti pericolosi
verso Paesi in via di sviluppo. Ed inoltre, le Parti che non sono Stati membri
dell’Unione Europea proibiscono qualsiasi importazione o transito di sostanze
pericolose. Il Protocollo prevede, infine, una serie di provvedimenti relativi
al controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi: a) la
procedura di notificazione, secondo le modalità indicate nell’articolo IV, che
tiene conto dei provvedimenti della Convenzione di Basilea sul controllo dei
movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento
(l’Allegato IV individua le informazioni che devono essere obbligatoriamente
rese attraverso la notifica (art. 6); b) il dovere di reimportare i rifiuti
pericolosi (art. 7), appropriate misure legislative per prevenire e penalizzare
il traffico illecito (art. 9).
45) Per inquinamento di un corso d’acqua internazionale,
s’intende ogni modificazione pregiudizievole alla composizione (cioè di tutte le
sostanze contenute nell’acqua, ivi compresi les corps en solution ainsi que les
particules en suspension et autres substances insolubles), o alla qualità delle
proprie acque (natura, grado di purezza dell’acqua) derivanti, direttamente o
indirettamente, dalle attività di natura umana.
46) L’obbligo di adottare le necessarie misure di prevenzione
del danno non è nuovo nella prassi del diritto internazionale: a) l’art. 3 della
Convenzione di Helsinki impegna le Parti all’adozione di adeguate misure
legislative, amministrative e tecniche per il controllo e la restrizione dello
scarico di sostanze nocive nelle acque transfrontaliere, da basarsi sullo
standard delle migliori tecnologie disponibili; b) il Protocollo per la
protezione del Mar Mediterraneo del 1980 (emendato a Siracusa nel 1996) il cui
art. 5 prevede degli “Obblighi generali”, l’art. 6 un “Sistema di autorizzazione
o regolamentazione”, e il cui Annesso I (indica settori di attività e sostanze
che le Parti contraenti sono tenute a considerare nella preparazione dei
programmi per l’eliminazione dell’inquinamento da fonte terrestre) e Annesso II
(ove vengono indicati gli elementi che le parti debbono prendere in
considerazione nel rilascio di autorizzazioni per lo scarico di sostanze). In
successivi strumenti internazionali vincolanti e non vincolanti si prevedono
ulteriori principi a sostegno della protezione dell’ambiente. Così la
valutazione dell’impatto ambientale. Si vedano: a) l’art. 206 della Convenzione
delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982); b) l’art. 16 della
Convenzione per la protezione delle risorse naturali e dell’ambiente nella
regione del sud Pacifico (Nomea, 25 novembre 1986); c) l’art. 2, parr. 1 e 3
della Convenzione per la valutazione di impatto ambientale in ambito
transfrontaliero (Espoo, 25 febbraio 1991); d) il principio n. 17 della
Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo adottata nella Conferenza delle
Nazioni Unite nel 1992 che prevede, come strumento nazionale, la valutazione
dell’impatto ambientale; e) l’art. 3, par. 1(h) della Convenzione sulla
protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi internazionali
(Helsinki, 17 marzo 1992); f) l’art. 7, par. 5 della Convenzione di Sofia sulla
protezione ed uso sostenibile in materia di protezione del Danubio. Così anche
il principio precauzionale espresso: a) nel principio n. 15 della Dichiarazione
di Rio su ambiente e sviluppo del 1992; b) nell’art. 2, par. 5 della Convenzione
di Helsinki del 1992. Il principio precauzionale è stato richiamato anche da una
sentenza della Corte internazionale di giustizia e precisamente nella
controversia Slovacchia/Ungheria relativa al progetto Gabčikovo-Nagymaros (22
ottobre 1992).
47) In materia di protezione e conservazione delle specie
ricordiamo alcune convenzioni del diritto internazionale marittimo. Nella
Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento
(Barcellona, 16 febbraio 1976) le Parti contraenti, per proteggere l’ambiente e
contribuire allo sviluppo durevole delle zona del Mediterraneo, s’impegnano ad
applicare il principio precauzionale ed il principio “chi inquina-paga”, a
intraprendere studi d’impatto ambientale, a incoraggiare la cooperazione nella
procedura di valutazione d’impatto ambientale nel caso di attività che possono
avere effetti transfrontalieri, a promuovere la gestione integrata del litorale
(art. 4.1, 4.2, 4.3, 4.6). La Convenzione per la conservazione delle risorse
marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) si pone l’obiettivo di
salvaguardare l’ambiente e proteggere l’integrità dell’ecosistema dei mari che
circondano l’Antartide e assicurare la conservazione delle risorse marine
viventi dell’Antartide (art. 9, parr. 2-6). Si prevede l’istituzione di un
Comitato Scientifico per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi
dell’Antartide che è un organo consultivo della Commissione (artt. 14-16) e la
nomina di un Segretario Esecutivo che aiuta la Commissione e il Comitato
Scientifico (art. 17). La Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale
per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17 marzo 1982) si pone
l’obiettivo di promuovere la conservazione e l’utilizzazione ottimale delle
risorse della pesca della zona Atlantica nord-orientale nel quadro del regime
della giurisdizione sulla pesca estesa alle zone costiere e incoraggiare, in
conseguenza, la cooperazione e la consultazione internazionale in merito a dette
risorse. L’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui
spostamenti avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) si
pone innanzitutto i seguenti obiettivi: assicurare la conservazione a lungo
termine e l’utilizzazione sostenibile degli stock di pesci i cui spostamenti
avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli
stock di pesci grandi migratori, grazie all’applicazione effettiva delle
disposizioni pertinenti della Convenzione (art. 2). In secondo luogo, gli Stati
costieri e i paesi che praticano la pesca in alto mare s’impegnano a(d): a)
adottare misure per realizzare gli obietti del presente Accordo; b) accertarsi
che tali misure siano fondate sui dati scientifici affidabili e siano atte a
mantenere o ripristinare gli stock a livelli tali da garantire il massimo
rendimento costante; c) applicare l’approccio precauzionale ai sensi dell’art.
6; d) valutare l’impatto della pesca e delle altre attività dell’uomo, nonché
dei fattori ecologici, sugli stock in oggetto e sulle relative specie; e)
adottare le misure di conservazione e di gestione necessarie; f) ridurre al
minimo l’inquinamento, i rifiuti, gli scarichi, le catture con attrezzature
perse o abbandonate, le catture di specie di pesci e di altre non previste,
nonché l’impatto sulle specie affini o dipendenti, in particolare quelle
minacciate di estinzione; g) proteggere la diversità biologica nell’ambiente
marino; h) adottare misure per impedire o far cessare uno sfruttamento, o una
capacità eccessivi e affinché le attività di pesca non raggiungano un livello
incompatibile con l’utilizzazione sostenibile delle risorse ittiche; i) tener
conto degli interessi dei pescatori che si dedicano alla pesca artigianale ed
alla pesca di sussistenza; j) raccogliere e mettere in comune dati completi ed
esatti sulle attività di pesca; k) incoraggiare la ricerca scientifica e
l’elaborazione di tecnologie appropriate; l) applicare misure di conservazione e
di gestione mediante efficaci sistemi di osservazione, di controllo e di
sorveglianza, e a vigilare sulla loro osservanza (art. 5). Ed infine, gli Stati
parti stabiliscono delle modalità specifiche per garantire una larga
applicazione dell’approccio precauzionale in materia di conservazione, di
gestione e di utilizzazione degli stock i cui spostamenti avvengono sia
all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci
grandi migratori, per proteggere le risorse biologiche marine e preservare
l’ambiente marino (art. 6). La Convezione sulle zone umide di importanza
internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici (Ramsar, 12
dicembre 1975), si prefigge, innanzitutto, di promuovere la tutela e l’uso
razionale delle zone umide, soprattutto come habitat primari per la vita degli
uccelli acquatici, attraverso interventi in ambito nazionale e di cooperazione
internazionale, intesi come strumenti per lo sviluppo sostenibile e la
conservazione della biodiversità nel mondo. Così: a) ciascuna Parte contraente
designa le zone umide idonee del proprio territorio, da inserire nell’Elenco
delle zone umide di importanza internazionale (art. 2); b) le Parti contraenti
elaborano e mettono in pratica programmi per l’utilizzo razionale delle zone
umide che si trovano sul loro territorio (art. 3), favoriscono la tutela delle
zone umide e degli uccelli acquatici creando delle riserve naturali nelle zone
umide indipendentemente dal fatto se siano o meno inserite nell’Elenco, e ne
assicurano un’adeguata sorveglianza; c) infine, esse incoraggiano le ricerche e
gli scambi di dati e pubblicazioni relativi alle zone umide, alla loro flora e
fauna e favoriscono la formazione di personale competente per lo studio, la
gestione e la sorveglianza delle zone umide (art. 4). Il Protocollo relativo
alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo
(Barcellona, 10 giugno 1995) si prefigge di conservare, proteggere e ristabilire
la salute e l’integrità degli ecosistemi nonché la diversità biologica nel
Mediterraneo. Le Parti adottano le misure necessarie per adempiere i loro
obblighi, in particolare per proteggere, preservare e gestire, in maniera
durevole e rispettosa dell’ambiente, gli spazi aventi un valore naturale o
culturale particolare, specialmente mediante la creazione di zone
particolarmente protette (art. 3). L’istituzione di zone particolarmente
protette ha come obiettivo la salvaguardia degli ecosistemi marini e costieri,
degli habitat in pericolo di estinzione o critici per la sopravvivenza, degli
habitat necessari per la sopravvivenza, la riproduzione ed il ricambio delle
specie animali e vegetali in pericolo, minacciate o endemiche, dei siti di
speciale interesse sul piano scientifico, estetico, culturale o educativo (art.
4). Ed infine, le Parti s’impegnano ad adottare tutte le misure appropriate per
regolamentare l’introduzione volontaria o accidentale, nella natura, di specie
non indigene o modificate geneticamente e per sradicare quelle già introdotte
che causano o potrebbero causare danni ad ecosistemi, habitat o specie (art.
13). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar Nero, del Mare
Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24 novembre 1996) si
prefigge l’obiettivo di promuovere la conservazione dei cetacei e del loro
habitat nelle zone previste dall’accordo in questione. L’annesso 2 esplicita il
piano di conservazione.
48) Principio enunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia
in alcune decisioni prese (arrêt rendu dans l’affaire de la Donauversinkung,
affaire de la Compétence en matière de pêcheries (Regno Unito c. Islanda). Da
segnalare l’orientamento (precedente) di utilizzare nei precedenti progetti
l’espressione “appreciable harm”, proposta dal Relatore Schwebel e ribadita dal
Relatore Evans. Se da un lato l’espressione “apprezzabile danno” poteva
rappresentare un giusto equilibrio tra le esigenze di tutela delle utilizzazioni
di un corso d’acqua internazionale e la necessità di evitare proibizioni troppo
stringenti che avrebbero potuto bloccare i progetti di sfruttamento futuro dello
stesso corso d’acqua (Schwebel), dall’altro lato, si rilevava in successive
sessioni il carattere vago ed incerto del termine “apprezzabile” che avrebbe
posto delle difficoltà nel determinare l’entità del danno e nel rendere
applicabile la norma concernente il divieto di danneggiare (delegazione
svizzera, UN Doc. A/CN.4/447, p. 47), favorendo un eccessivo abbassamento della
soglia di proibizione, col risultato di compromettere la ratio del giusto
equilibrio a favore degli utilizzatori (delegazione ungherese, UN Doc.
A/CN.4/447, Add. 2, p. 6). La proposta di sostituire il termine “appreciable”
con l’espressione “significant”, del Relatore speciale Rosenstock fu accolta
favorevolmente dalla Commissione del diritto internazionale (Report of the
International Law Commission on the Work of Its Forty-Fifth Session, General
Assembly, Official Records, Forty-Eighth Session, Supplement n. 10 (Un Doc.
A/48/10), New York, 1993, pp. 229-231, nonostante le discussioni e le riserve da
parte di alcuni Stati che auspicavano una definizione chiara della soglia di
interferenza proibita (Un Doc. A/6/51/SR. 16, Finlandia, p. 5, par. 19, Egitto,
p. 11, par. 47, Grecia, p. 6, par. 22, Iraq, p. 6, par. 21, Kuwait, p. 14, par.
66, Norvegia, p. 13, par. 64, Pakistan, p. 14, par. 68, Portogallo, p. 8, par.
30, Tunisia, p. 11, par. 48, Ungheria, p. 8, par. 31; Un Doc. A/C.6/51/SR. 17,
Bagladesh, p. 4, par. 16, Israele, p. 3, par. 7) . Si rinvia a M. ARCARI, Il
regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit.,
pp. 181-184.
49) Le procedure per la valutazione dei danni e delle
responsabilità sono previste anche in alcune convenzioni internazionali del
diritto marittimo internazionale. La Convenzione internazionale sulla
responsabilità civile per i danni provocati da inquinamento da idrocarburi (Bxuxelles,
29 novembre 1969) si pone l’obiettivo di garantire un equo indennizzo alle
persone che subiscono i danni causati dall’inquinamento derivante dalla fuga e
dallo scarico di idrocarburi delle navi, nonché di adottare norme e procedure
uniformi sul piano internazionale per definire le responsabilità e garantire in
tali occasioni un equo indennizzo. Il proprietario della nave, al momento di un
incidente che causi una fuga o uno scarico di idrocarburi, è responsabile di
ogni danno, tranne che nel caso d’incidente dovuto a un atto di guerra, a un
fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed ineluttabile, a un
atto intenzionale effettuato da un terzo e diretto a causare un danno, alla
negligenza di un governo od di un’altra autorità responsabile della navigazione
(art. 3). In particolare, ove siano avvenuti fughe o scarichi di idrocarburi da
due o più navi e ne risulti un danno da inquinamento, i proprietari di tutte le
navi interessate sono responsabili in solido per la totalità del danno che non
può essere ragionevolmente ripartito (art. 4). Il proprietario di una nave ha,
ai sensi della presente Convenzione, il diritto di stabilire i limiti della
propria responsabilità, per ogni incidente, ad un ammontare totale di 2.000
franchi per unità di tonnellaggio della nave, con un massimo di 210 milioni di
franchi; a tal fine, costui deve costituire un fondo per la somma totale che
rappresenta il limite della sua responsabilità presso il tribunale, od ogni
altra autorità competente di uno qualsiasi degli Stati contraenti (artt. 5 e 6).
Il proprietario di una nave immatricolata in uno Stato contraente e che
trasporti più di 2.000 tonnellate di idrocarburi è tenuto a fornire
un’assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria
responsabilità per i danni da inquinamento (artt. 7). La procedura per il
risarcimento dei danni è prevista negli artt. 8-10. La Convenzione
internazionale sull’istituzione di un Fondo internazionale per il risarcimento
dei danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 18 dicembre 1971) si
prefigge d’istituire un sistema di risarcimento che completi quello della
Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da
inquinamento da idrocarburi, al fine di assicurare un risarcimento soddisfacente
alle vittime dei danni da inquinamento e allo scopo di esonerare al tempo stesso
il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare che gli viene
imposto da detta Convenzione. Viene così costituito un “Fondo internazionale di
risarcimento per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi” con lo scopo
di assicurare il risarcimento per i danni da inquinamento nella misura in cui la
protezione che deriva dalla Convenzione sulla responsabilità sia insufficiente e
di esonerare il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare
che gli impone la Convenzione sulla responsabilità (art. 2). Il Fondo è tenuto a
risarcire chiunque abbia subito un danno da inquinamento e non è in grado di
ottenere un equo risarcimento dei danni in base alla Convenzione sulla
responsabilità civile del 1969 (art. 4). Il Fondo è esonerato totalmente o
parzialmente da ogni obbligo se il danno risulta: da un atto di guerra, di
ostilità, o se è imputabile a fughe o a scarichi di idrocarburi provenienti da
una nave da guerra, da una mancanza di intervento con intenzione di causare un
danno o per negligenza, ecc. (art.4). Il Fondo indennizza i proprietari di navi
per la parte dell’ammontare totale delle responsabilità che supera 1.500 franchi
per tonnellate di stazza o i 125 milioni di franchi e non supera i 2.000 franchi
per tonnellate di stazza o i 210 milioni di franchi (art. 5). Il Protocollo del
1976 emenda l’articolo 1 della Convenzione sostituendo il “franco” con l’“unità
di conto” o “unità monetaria”, nello stesso modo in cui è stata modificata la
Convenzione sulla responsabilità civile dal Protocollo adottato il 19 novembre
1976. I contributi al Fondo sono versati, per quanto concerne ciascuno degli
Stati contraenti, da ogni persona che, nel corso dell’anno solare che precede
quello in cui la presente Convenzione è entrata in vigore nei confronti di tale
Stato, abbia ricevuto in totale dei quantitativi di idrocarburi superiori alle
150.000 tonnellate; l’ammontare di tali contributi è calcolato dall’Assemblea
del Fondo in base ad una somma fissa per tonnellata (artt. 10-12). La
Convenzione include dei provvedimenti relativi alla procedura dei reclami, dei
diritti e obblighi, e dell’azione giudiziaria (artt. 6-9). Nella Convenzione
sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed
altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si
stabilisce che le Parti contraenti elaborano delle procedure per la
determinazione delle responsabilità e per la definizione delle vertenze
riguardanti lo scarico (art. 10). In virtù della Convenzione delle Nazioni Unite
sul diritto del mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982) gli Stati hanno la
responsabilità dell’adempimento dei propri obblighi internazionali in materia di
protezione e preservazione dell’ambiente marino e ne rispondono conformemente al
diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda l’indennizzo dei
danni causati (art. 235). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo
1989) stabilisce che un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi, o di
altri rifiuti, è considerato come traffico illecito e che la responsabilità di
garantire lo smaltimento razionale dei rifiuti è dello Stato cui appartiene il
soggetto che ha commesso l’illecito (art. 9). Nella Convenzione internazionale
sulla responsabilità e l’indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare
di sostanze nocive e potenzialmente pericolose (Londra, 3 maggio 1996) si
prevede l’istituzione di un Fondo Internazionale per le Sostanze Nocive e
Potenzialmente Pericolose (Fondo SNNP), costituito da un’Assemblea e da un
Segretariato (artt. 13-14) e si specifica i criteri di responsabilità per i
danni causati da SNNP (artt. 7-11). Nel Protocollo sulla prevenzione
dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri
di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) sono
previste, infatti, delle procedure specifiche per la verifica di comportamenti
ritenuti in violazione degli obblighi sanciti dal Protocollo (art. 13), per la
valutazione dei danni nonché della responsabilità e dell’indennizzo per danni
causati dal movimento transfrontaliero e dallo smaltimento dei rifiuti
pericolosi (art. 14).
50) La previsione del risarcimento danni nel contesto delle
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali è gia stata cristallizzata della
prassi del diritto internazionale (es., l’art. V, par. j, delle Regole di
Helsinki), potenziato successivamente dal principio “chi inquina paga” che si è
formato nel diritto internazionale dell’ambiente. Da ricordare, a tal proposito,
anche il Codice di condotta sull’inquinamento incidentale delle acque interne
transfrontaliere, adottato nel 1990 dalla ECE (sezioni II, par. 3 e XV, par. 3).
51) L’obbligo de faire preuve de toute la diligence voulue, è
gia previsto in precedenti strumenti di diritto internazionale (art. IV, par.
10, del Trattato del 1960 tra l’India e il Pakistan relativo alle acque
dell’Indo; art. 194, par. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto
del mare del 1982; art. 1 della Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento
dei mari derivante dallo sprofondamento in mare dei rifiuti; art. 2 della
Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono; art. 7, par. 5,
della Convenzione sulla regolamentazione delle attività relative alle risorse
minerarie dell’Antartico; art. 2, par. 2 della Convenzione sulla valutazione
dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; art. 2, par. 1, della
Convenzione sulla protezione e l’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri e
dei laghi internazionali).
52) Anzi, il ripopolamento delle acque è vietato: dalle
Convenzioni dell’Aja del 1907 (art. 23) concernente le leggi e i costumi della
guerra terrestre; dal par. 2 dell’art. 54 del Primo Protocollo Addizionale alle
Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e il par. 1 dell’art. 56 del medesimo
Protocollo che protegge le barriere, le dighe e le altre opere dagli attacchi
che possono provocare la liberazione di sostanze dannose e, di conseguenza,
causare delle pesanti perdite umane. Secondo gli artt. 14-15 del II Protocollo
Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, una protezione
simile è anche necessaria in caso di conflitto armato interno. Ed infine, da
citare: l’art. 55, par. 1, del I Protocollo Addizionale alle Conv/Ginevra; gli
accordi che includono la clausola Martens (che figurava inizialmente nel
Preambolo delle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907) secondo cui, in
assenza di un accordo internazionale disciplinante una data situazione, le
popolazioni civili e i belligeranti restano protetti e salvaguardati dai
principi del diritto delle genti che risultano dalla prassi degli Stati, dalle
leggi dell’umanità e dalle esigenze della pubblica coscienza; il Protocollo
concernente il divieto d’impiegare in guerra dei gas asfissianti, tossici, o
simili, e dei mezzi batteriologici (preambolo, parr. 1 e 3); le Convenzioni di
Ginevra del 12 agosto 1949 (I, art. 63, par. 4; II, art. 62, par. 4; III, art.
142, par. 4; IV, art. 158, par. 4); Il Protocollo Addizionale alle Convenzioni
di Ginevra del 1949 (art. 1, par. 2); la Convenzione sul divieto o limitazione
di certe armi classiche che possono essere considerate come causa di effetti
traumatici eccessivi o come frappant sans discrimination (preambolo, art. 5).
53) Anche l’Accordo sul mantenimento della riservatezza dei
dati concernenti le aree dei fondi marini (Mosca, 5 dicembre 1986) si prefigge
di porre in essere tutte le misure appropriate al fine di assicurare la
riservatezza delle coordinate delle aree dei fondi marini, così come delle altre
informazioni riservate, o di quelle concernenti i diritti di loro esclusiva
proprietà relative a quelle aree, ricevute in via riservata dalle altre Parti.
In particolare: a) ciascuna Parte, al fine di assicurare la riservatezza sui
dati ricevuti da una o più delle restanti Parti, adotta le misure appropriate
affinché le persone fisiche e giuridiche soggette alla propria giurisdizione,
aventi accesso a dette informazioni, ne mantengano la riservatezza (art. 1); b)
La durata della riservatezza, a far data dal ricevimento delle coordinate, è
fissata in due anni per le coordinate stesse, e in cinque anni per le altre
informazioni di cui all’art. 1. Essa potrà essere prolungata con l’assenso delle
Parti (art. 2).
54) L’obbligo derivante dall’art. 32 della CUDN si ritrova
anche in alcuni precedenti strumenti internazionali: art. 3 della Convenzione
relativa alla protezione dell’ambiente, conclusa tra la Danimarca, la Finlandia
la Norvegia e la Svizzera; art. 2, par. 6 della Convenzione sulla valutazione
dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; Parte II.B.8 dei
Principi guida sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di
polluzione delle acque transfrontaliere, elaborati dalla commissione speciale
sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di polluzione delle acque
transfrontaliere; par. 4, alinea a, Raccomandazione OCDE [(doc. C(77)28 (Final),
annesso]. Il principio della non discriminazione e quello dell’eguaglianza di
accesso stabiliscono che quando gli Stati adottano delle politiche ambientali
differenti devono applicarle senza fare delle discriminazioni a seconda che si
tratti di un danno ambientale prodottosi nel proprio territorio, o sul
territorio di un altro paese (vedi art. 3 della Carta dei diritti e doveri
economici degli Stati, principio n. 7 del PNUE).
55) Del resto, procedure di soluzione delle controversie
riguardanti la interpretazione e l’applicazione della CUDN sono prese in
considerazione, ad esempio: dall’art. 11 della Convenzione sulla prevenzione
dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze
(Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972); dal Protocollo per la
protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene,
17 maggio 1980) nel quale si prevede che le Parti collaborino nei settori
scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie
(artt. 11-12); dalla Convenzione quadro europea sulla cooperazione
transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21
maggio1980) nella quale si stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a
risolvere le difficoltà di ordine giuridico, amministrativo o tecnico che
potrebbero ostacolare lo sviluppo e il buon funzionamento della cooperazione
transfrontaliera e si consultano con la o le altre Parti interessate (art. 4);
dalla Parte XV della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare
(Montego Bay, 1982) che stabilisce le modalità di soluzioni delle controversie
(artt. 279-299); dall’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 -
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui
spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) – in
cui si stabilisce che gli Stati hanno l’obbligo di risolvere le loro
controversie per via negoziale, d’inchiesta, di mediazione, di conciliazione, di
arbitrato, di soluzione giudiziaria, di ricorso ad organismi o accordi regionali
o con altri mezzi specifici di loro scelta (artt. 27-32); dall’art. 22 della
Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992).
56) Se una delle parti alla controversia non designa entro tre
mesi (dalla data di richiesta di istituzione della commissione) un proprio
delegato, ogni altra parte della controversia può chiedere al Segretario
generale delle Nazioni Unite di designare un membro che non abbia la nazionalità
degli Stati parti della controversia o dei paesi rivieraschi. La persona
designata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, sarà membro unico della
commissione d’inchiesta [art. 33, comma 5, CUDN].
57) Se entro tre mesi dalla richiesta di istituzione della
commissione non si riesce a nominare il presidente della commissione, qualsiasi
Stato interessato può chiedere al Segretario generale delle Nazioni Unite di
designare un presidente che non abbia la nazionalità degli Stati parti della
controversia o dei paesi rivieraschi [art. 33, comma 5, CUDN].
58) A meno che il Tribunale arbitrale non stabilisca
diversamente in funzione della particolarità del caso, le spese sono sopportate,
in parti uguali, dai controvertenti [art. 9, in appendice alla CUDN].
59) Se le parti della controversia sono più di due, coloro che
hanno gli stessi interessi designano un arbitro di comune accordo. In caso di
vacanza si provvede secondo le procedure previste per la nomina iniziale [art.
3, par. 2, in appendice alla CUDN].
60) Se entro due mesi dalla ricezione della richiesta, una
delle parti della controversia non ha proceduto alla nomina di un arbitro,
l’altra parte potrà adire il presidente della Corte internazionale di giustizia
affinché proceda alla designazione entro i successivi due mesi [art. 4, par. 2,
in appendice alla CUDN].
61) Il presidente del tribunale non deve essere cittadino o
residente abituale di uno dei paesi parte della controversia, né di uno Stato
rivierasco del corso d’acqua interessato, né deve essersi occupato della
questione a qualsiasi titolo [art. 3, par. 1, in appendice alla CUDN].
62) Ogni parte della controversia, avente un interesse di
natura giuridica suscettibile di essere limitato dalla decisione, può
intervenire nella procedura su assenso del tribunale arbitrale [art. 10, in
appendice alla CUDN].
63) Finlandia (23 gennaio 1998), Germania (15 gennaio 2007),
Giordania (22 giugno 1999) Iraq (9 luglio 2001), Libano (25 maggio 1999), Libia
(14 giugno 2005), Namibia (29 agosto 2001), Norvegia (30 settembre 1998), Paesi
Bassi (9 gennaio 2001), Portogallo (22 giugno 2005), Qatar (28 febbraio 2002),
Siria con riserva (2 aprile 1998), Sud-Africa (26 ottobre 1998), Svezia (15
giugno 2000), Ungheria con riserva (26 gennaio 2000).
64) Costa d’Avorio (25 settembre 1998) Finlandia (31 ottobre
1997), Germania (13 agosto 1998), Giordania (17 aprile 1998) Iraq, Libano,
Libia, Lussemburgo (14 ottobre 1997), Namibia (19 maggio 2000), Norvegia (30
settembre 1998), Paesi Bassi (9 marzo 2000), Paraguay (25 agosto 1998)
Portogallo (11 novembre 1997), Qatar, Siria (11 agosto 1997), Sud-Africa (13
agosto 1997), Svezia, Tunisia (19 maggio 2000), Ungheria (20 luglio 1999),
Venezuela (22 settembre 1997), Yemen (17 maggio 2000).
65) http://untreaty.un.org/ENGLISH/bible/englishinternetbible/Bible.asp#partI
66) Sulla natura dell’accordo-quadro la dottrina, seppure
esigua, ha espresso concetti diversi, da come si evince da un esaustivo
contributo (A. BASSU, Sull’efficacia obbligatoria dell’Accordo-quadro, in Com.
Studi, vol. II, Giuffré, 2002). Alcuni Autori ritengono l’accordo-quadro come
non vincolante in quanto contenente norme di principio, o tale da richiedere
un’integrazione con norme dettagliate, o la conclusione di ulteriori accordi
internazionali (pp. 528-531). In buona sostanza sarebbe composto da disposizioni
de lege ferenda che lo accosterebbe alla nozione di soft law (pp. 531-532). Ed
ancora, affine ad un accordo preliminare – «accordo con il quale le parti si
obbligano “preliminarmente” ad avviare i negoziati o a stipulare il trattato
definitivo in quanto al momento di concludere l’accordo preliminare le parti non
sono in grado di concordare la disciplina applicabile alle questioni cui
l’accordo suddetto fa riferimento, ovvero ritengono opportuno rinviare ad un
momento successivo le norme di dettaglio» – in quanto entrambi gli strumenti
internazionali «costituirebbero le premesse in base alle quali dovrà svilupparsi
la cooperazione futura fra gli Stati contraenti», e in secondo luogo perché
anche nell’accordo-quadro «vengono formulati dei principi suscettibili di
vincolare, in vario modo le parti contraenti: sia nel senso che il successivo
accordo, se verrà concluso, dovrà attenersi ai principi medesimi, sia in quanto
venga altresì concordato l’obbligo di dare vita ad un nuovo accordo» (pp.
533-534). Coloro che propendono per l’obbligatorietà dell’accordo-quadro (tesi
alla quale aderisce A. Bassu) sostengono che l’obbligatorietà si evince: a)
dalla volontà degli Stati contraenti d’impegnarsi, presente in alcuni
accordi-quadro (convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3
marzo 1980, accordo-quadro di cooperazione economica, industriale,
scientifico-tecnologica, tecnica e culturale, concluso tra l’Italia e il Cile,
in data 8 novembre 1990, ecc.); b) dalla previsione di accordi di esecuzione; c)
dalla presenza di disposizioni in materia di soluzione delle controversie; d)
dalla c.d. clausola di compatibilità inserita all’interno dell’accordo-quadro
«per salvaguardare i rapporti giuridici derivanti da accordi vincolanti
stipulati dagli Stati in tempi diversi e suscettibili di dar vita ad obblighi
tra loro incompatibili» (pp. 541-549).
67) Già la Commissione del diritto internazionale era orientata
sull’opportunità di una convenzione-quadro contenente un insieme di regole di
natura residuale, destinate ad essere applicabili in assenza di trattati
internazionali specifici tra gli Stati rivieraschi, e costituenti, allo stesso
tempo, delle linee-guida per i paesi nell’elaborazione di accordi particolari.
Il progetto di Convenzione, il cui art. 3 si ispirava a tale orientamento, ha
subito, tuttavia, una modifica nella stesura finale della Convenzione-quadro a
causa di opposti emendamenti introdotti, nel corso dei lavori, da parte di
alcune delegazioni. Così all’Etiopia e ai Paesi Bassi - favorevoli ad una
prevalenza dei principi contenuti nella convenzione-quadro su accordi
internazionali preesistenti e futuri conclusi dagli Stati membri – si opponevano
altri Stati (Francia, India, Israele, Romania, Stati Uniti d’America, Svizzera,
Turchia) che avanzavano «proposte di modifica finalizzate non solo a preservare
la validità ed integrità degli accordi particolari già esistenti, ma soprattutto
a salvaguardare la discrezionalità degli Stati di derogare alle previsioni della
CUDN nella conclusione di futuri accordi relativi ai singoli corsi d’acqua» (M.
ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua
internazionali, op. cit., pp. 21-23). Si arriva quindi ad una formula di
compromesso nella stesura finale dell’art. 3, secondo cui la convenzione servirà
come “modello-guida” nella conclusione di futuri accordi particolari, e non
altererà i diritti e gli obblighi previsti negli accordi particolari
posteriormente conclusi a meno che questi prevedano diversamente. Ed ancora, si
precisa, sempre nell’art. 3, che: a) in assenza di accordi contrari, le
disposizioni della CUDN non pregiudicheranno i diritti e gli obblighi degli
Stati ad essa parte derivanti da accordi particolari preesistenti (par. 1); b)
gli Stati parte ad accordi particolari preesistenti potranno, quando necessario,
considerare l’opportunità di armonizzare i medesimi accordi con le disposizioni
della CUDN (par. 2).
68) Si menzionano: a) Il Trattato - concluso tra Argentina,
Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay a Brasilia, il 23 aprile 1969 – del bacino
di Rio del Plata; b) l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Asunciόn, 15
luglio 1969) in vista della regolamentazione, della canalizzazione, del
dragaggio, della segnalazione e della manutenzione del fiume Paraguay; c) Il
Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 2 aprile
1984), concernente il fiume Skagit e il lago Ross, oltre che i serbatoi Seven
Mile del fiume Pend d’Oreille.
69) Già l’art. 7 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al
Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla
regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre
1956) stabilisce che «Dans la zone inondable de la partie comune de la rivière
Sarre formant frontière, aucun ouvrage principale ou accessoire ne peut être
établí qu’après accord entre les administrations compétentes des deux pays. La
même procédure est appliquée pour toutes modifications notables apportées à un
ouvrage pour autant que ces changements puissent avoir une influence sut l’écoulement
des crues».
70) Già nel 1963, ad esempio, il Camerum, la Costa d'Avorio, il
Dahomey, la Guinea, l’Alto Volta, il Mali, la Nigeria, il Niger e il Chad, hanno
concluso «L’Atto finale relativo alla navigazione e alla cooperazione economica
tra gli Stati del bacino del Niger», in cui si prevede (art. 2) che lo
sfruttamento del fiume Niger, dei suoi affluenti e sotto-affluenti, è aperto a
ogni Stato rivierasco nella porzione del bacino del fiume Niger che si trovi sul
suo territorio e nel rispetto della sua sovranità secondo il principio stabiliti
nell’Atto e le modalità da determinarsi in accordi speciali e potranno essere
conclusi ulteriormente. La Convenzione e lo Statuto conclusi nel 1964 tra il
Camerum, la Nigeria, il Niger e il Chad per la valorizzazione del “bacino” del
Chad, prevedono che lo sfruttamento del “bacino”, e in particolare l'utilizzo
delle acque in superficie e delle acque sotterranee, si intendono in senso
ampio, e ha per oggetto i bisogni dello sviluppo per fini domestici, industriali
e agricoli oltre che per la raccolta dei prodotti della fauna e della flora
fluviali (Statuto, art. 4). In tal caso il termine, “bacino” include le acque
sotterranee (e quindi) sinonimo di “bacino idrografico”. Il sottocomitato dei
fiumi internazionali del Comitato giuridico-consultivo africano-asiatico ha
fondato i suoi lavori sulla nozione di “bacino di drenaggio internazionale”. Il
comitato giuridico inter-americano ha limitato il campo di applicazione di un
suo progetto di convenzione sull'utilizzo industriale e agricolo dei corsi
d'acqua e dei laghi internazionali, nel 1965, ai fiumi internazionali contigui e
successivi e ai laghi internazionali. Successivamente, nel 1966, il Consiglio
economico e sociale interamericano ha adottato una risoluzione sulla
regolamentazione e utilizzazione economica dei corsi d'acqua, dei bacini e degli
accidents hydrographiques dell'America Latina, nella quale raccomanda ai paesi
membri dell'Alleanza per il progresso di intraprendere ogni studio per «la
regolamentazione e l'utilizzazione economica delle corsi d’acqua, dei bacini e
degli accidents hydrographiques della regione di cui fanno parte, al fine di
promuovere, mediante dei progetti multilaterali, la loro utilizzazione, per il
miglior bene di tutti». Il Trattato del bacino di Rio della Plata, concluso
dall'Argentina, la Bolivia, il Brasile, il Paraguay e l’Uruguay, il 23 aprile
1969, prevede l'istituzione di accordi e strumenti giuridici di esecuzione
miranti ad assicurare un utilizzo razionale delle risorse idriche, specialmente
per la regolamentazione dei corsi d'acqua e una disciplina equa dei loro diversi
utilizzi. Ai sensi dell'articolo 2 del trattato, i ministri degli affari esteri
degli Stati del bacino del Rio de la Plata si riuniscono ogni anno per definire
gli orientamenti di politica generale miranti a raggiungere gli obiettivi del
trattato. Nel 1971 (quarta riunione) i ministri degli affari esteri hanno
adottato l’Atto di Assunzione, al quale sono allegati 25 risoluzioni al fine di
promuovere la valorizzazione e l'integrazione tra armoniosa del bacino del Rio
de La Plata. Il Trattato, tuttavia, non contiene alcuna definizione precisa del
termine “bacino”. Nella risoluzione 25, che tratta dell'utilizzo dei fiumi
internazionali, si riportano le nozioni di fiumi internazionali contigui e dei
fiumi internazionali successivi che sono utilizzati come base per risolvere i
problemi giuridici come segue: Nel caso di fiumi internazionali contigui, che
appartengono simultaneamente alla sovranità di due Stati, risulta necessario
concludere un accordo internazionale fra gli Stati rivieraschi prima di
qualsiasi utilizzo, sia fatto, delle acque. Il sistema degli accordi
internazionali, o eventuale obbligo di negoziare derivante anche dall’art. 33
della Carta delle Nazioni Unite (e/o dal diritto consuetudinario) nel momento in
cui delle difficoltà insorgono nei rapporti tra Stati interessati (e non in un
momento successivo), costituisce il modo migliore per regolare le (eventuali)
controversie ed appare l’unica soluzione visto che ogni bacino idrografico è
differente dagli altri e richiede un trattamento differente. La prassi dimostra
che, se da un lato certi principi possono essere applicati a tutti gli Stati,
risulta assai difficoltosa, viste le differenze tra le varietà dei corsi d’acqua
internazionali, formulare dei principi generali. È pur vero che bisognerà tener
conto del principio della sovranità degli Stati sulle loro risorse naturali, del
principio della responsabilità per danni arrecati agli altri Stati, di quello
dell’equa partizione, la cui applicazione è prevista dal diritto internazionale
consuetudinario, o dagli accordi internazionali, ovvero da altri strumenti di
internazionale vincolanti per gli Stati firmatari (A/CN.4/SR.1406, punti 26-27,
in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I). Nel caso di
fiumi internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla
sovranità di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque conformemente ai suoi
bisogni a condizione che non causi dei pregiudizi notevoli a ciascuno degli
altri Stati del bacino. La Convenzione del 1964 conclusa tra la Guinea, Mali,
Mauritania e Senegal prevede che il comitato interstatale istituito dalla
convenzione del 1963 è incaricato, in modo particolare, di raccogliere (art. 11)
i dati di base concernente insieme del “bacino fluviale” e di informare gli
Stati rivieraschi su tutti progetti o i problemi concernenti il “bacino
fluviale”.
71) Certi recenti accordi bilaterali sudamericani adottano un
approccio differente utilizzando nella stessa terminologia a seconda si tratti
di inquinamento o di utilizzo. Anzi, l’Atto di Santiago concernente i bacini
idrografici - concluso nel 1971 tra l'Argentina e il Cile - stabilisce al
paragrafo 2 che «le parti eviteranno di inquinare i loro fiumi e i loro laghi»
in qualsiasi modo. Tuttavia, per quel che riguarda il termine “utilizzazione”,
le espressioni “tronconi contigui di fiumi internazionali”, “laghi comuni” e
“fiumi internazionali successivi” sono impiegati (parr. 3-5). Sembra dunque che
i testi normativi in questione prevedano per la polluzione un campo di
applicazione più ampio rispetto quello concernenti le “utilizzazioni”. L'accordo
del 1972 tra il Canada e gli Stati Uniti d'America - relativo alla qualità
dell'acqua dei Grandi Laghi si occupa delle acque limitrofe della rete
idrografica in questione – stabilisce all’art. V che, per migliorare la qualità
delle sue acque, è necessario mettere a punto tutta una serie di misure per
ridurre la polluzione causata dalle fogne, dalle industrie, dall'agricoltura,
dallo sfruttamento delle foreste ed agli altri usi dei suoli nell'ambito dei
Grandi Laghi, che è definito come «tutti i corsi d'acqua, riviere, fiumi, laghi
e altre dimensioni d'acqua che si trovano nel bacino idrografico di San Lorenzo»
(art. I, al. d).
72) Nell’affare del Lago Lanoux, il tribunale arbitrale,
riconoscendo la natura reale dell’unità del bacino fluviale, dal punto di vista
della geografia fisica, ha concluso che «l’unité d’un bassin, n’est sanctionnée
sur le plan juridique que dans la mesure où elle correspond à des réalités
humaines» [in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1974, vol. II (2ª
parte), p. 209, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II, sez. 6, par. 1064], e che «la
règle suivant laquelle les Etats ne peuvent utiliser la force hydraulique des
cours d’eau internationaux qu’à la condition d’un accord préalable entre les
Etats intéressés ne peut être établie ni à titre de costume, ni encore moins à
titre de principe général du droit» [in Annuaire de l’Institut de Droit
International, 1974, vol. II (2ª parte), p. 211, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II,
sez. 6, par. 1066].
73) Attualmente 120 paesi (unitamente all’Unione europea) hanno
ratificato o aderito alla Convenzione sul diritto del mare. Gli Stati che hanno
sottoscritto la convenzione risultano 142.
74) Le regole proposte dall’Istituto di diritto internazionale
nel 1911 e i diversi progetti adottati dall’International Law Association nel
1959, costituiscono un prematuro tentativo di codificazione; la ricca
giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, non può costituire una
particolare regola di diritto internazionale applicabile all’utilizzo delle
corsi d’acqua, perché non è univoca sugli stessi problemi (A/CN.4/SR.1406, punti
23-24, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I).
75) La CUDN è stata adottata ed aperta alla firma
dell’Assemblea generale con la Risoluzione Ag., 21 maggio 1997, n. 51/229. È
stata adottata dall’Assemblea generale con 104 voti favorevoli, e voti contrari
(Burundi, Cina e Turchia) e 26 astensioni.
76) Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1976, n. 31/97, si pregava gli
Stati membri di presentare le loro osservazioni per iscritto al Segretario
generale delle Nazioni Unite sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua
diverse dalla navigazione. Ed ancora, in una circolare datata 18 gennaio 1977,
il Segretario generale ribadiva tale invito. Nel 1979, alla sua 31ª sessione, la
commissione di diritto internazionale reiterava la richiesta di avere a
disposizione, per proseguire il proprio studio, il punto di vista di numerosi
Stati sui quesiti relativi alla questione in oggetto e quindi invitava gli Stati
membri “inadempienti”, per il tramite del Segretario generale, a esprimersi. In
una circolare del 18 ottobre 1979, il Segretario generale torna di nuovo ad
invitare gli Stati a fare delle osservazioni scritte sul questionario elaborato
dalla Commissione di diritto internazionale. Nella Ris. Ag., 17 dicembre 1979,
n. 34/141, par. 4, al. d), si raccomanda alla Commissione di diritto
internazionale di proseguire i propri lavori sulla questione in oggetto, tenendo
conto delle risposte dei governi al questionario. In seguito, dei nuovi quesiti
furono preparati dalla Commissione di diritto internazionale e sottoposti nel
1980, nonché pubblicati. Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1980, n. 35/163, si
raccomanda alla Commissione di diritto internazionale di proseguire
nell’elaborazione del progetto di articoli sulla questione in oggetto, tenendo
conto delle risposte al questionario pervenute dai governi e dei dati forniti da
essi. Raccomandazione ribadita nella successiva Ris. Ag., 10 dicembre 1981, n.
114. Nelle Ris. Ag., 35/163 e 36/114, si pregano i governi “ancora inadempienti”
a rispondere in maniera completa e possibilmente rapida ai quesiti della
Commissione di diritto internazionale. Nel periodo febbraio-giugno 1982 delle
risposte giunsero dai governi del Bangladesh e del Portogallo. Successivamente,
al 15 giugno 1982, solo trentadue Stati membri hanno risposto ai questionari
(Argentina, Austria, Bangladesh, Barbados, Brasile, Canada, Colombia, Ecuador,
Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Indonesia, Libia, Lussemburgo,
Nicaragua, Niger, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Siria, Spagna,
Sudan, Stati Uniti d’America, Svezia, Swaziland, Ungheria, Venzuela, Yemen e
Yugoslavia).
77) La possibilità di stipulare accordi bilaterali o
multilaterali è anche prevista in convenzioni internazionali di diritto
marittimo. La Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato
dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29
dicembre 1972) stabilisce che le Parti aventi interessi comuni a proteggere
l’ambiente marino di una determinata zona geografica e cercheranno di concludere
degli accordi regionali compatibili con la presente Convenzione e di collaborare
a detti accordi (art. 8). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione
transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21
maggio1980) stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a promuovere, nel
rispetto delle norme costituzionali proprie, la conclusione di accordi ed intese
al fine di raggiungere gli obiettivi della Convenzione (art. 1). Le Parti
contraenti agevolano le iniziative delle collettività ed autorità territoriali
che prendano in considerazione gli schemi di intesa tra collettività e autorità
territoriali elaborati nel quadro del Consiglio d’Europa. Esse potranno prendere
in considerazione i modelli d’accordi interstatali, bilaterali o plurilaterali
inclusi nell’Allegato (art. 3). È incluso un Allegato che contiene dei modelli e
degli schemi di accordi, di statuti e di contratti in materia di cooperazione
transfrontaliera di collettività o autorità territoriali. La possibilità di
stipulare accordi bilaterali o multilaterali è anche prevista in altre
convenzioni di diritto internazionale fluviale. Nella convenzione sulla
protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi
internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) si prevede che le Parti rivierasche
concludano accordi bilaterali o multilaterali al fine di definire le relazioni
reciproche e le direttive da seguire per quanto riguarda la prevenzione, il
controllo e la riduzione dell’impatto transfrontaliero.
78) Come già si è sostenuto a suo tempo [A. BERNARDINI, Fiumi e
laghi (diritto internazionale), in Enc. Dir., vol. XVII, Giuffré, 1968],
attraverso le norme convenzionali o, talora, derivanti da consuetudini
particolari, «sono risolti i conflitti di interessi ed è disciplinata la
collaborazione fra gli Stati circa le diverse utilizzazioni delle loro acque
interne» anche in deroga dei princìpi che regolano la coesistenza fra paesi
sovrani. «L’importanza economica di tali utilizzazioni [...] è tale che essa
obiettivamente occasiona conflitti di interessi ed esigenze di coordinamento e
di collaborazione fra gli Stati, situazioni per le quali i principi generali di
coordinamento delle sovranità territoriali sono di solito inadeguati. Si profila
dunque per gli Stati l’opportunità e sovente la necessità di regolare con norme
apposite convenzionali, nei rapporti reciproci, le utilizzazioni delle acque
interne, a cominciare, per i fiumi ed i laghi navigabili, dalla navigazione
interna, fluviale e lacuale. Altrimenti, il fatto stesso della coesistenza fra
Stati porterà con il tempo alla formazione di norme consuetudine particolare per
i singoli fiumi e laghi» (pp. 698-699). «Per le utilizzazioni delle acque
diverse dalla navigazione, l’internazionalizzazione primaria» - che viene
stabilita in generale mediante accordo fra tutti o parte degli Stati
rivieraschi, senza che sia poi escluso che essa venga di fatto stabilita anche a
vantaggio di paesi rivieraschi non parti dell’accordo - «costituisce la forma di
internazionalizzazione prevalente, seppure non esclusiva» (pp. 701-702).
79) M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei
corsi d’acqua internazionali, op. cit., p. 6.
80) UN Doc. A/CN.4/447, Paesi Nordici, p. 26, Regno Unito pp.
32 e 35. Canada in UN Doc. A/CN.4/447/Add. 1, p. 3. Paesi Bassi in UN Doc.
A/CN.4/447/Add. 3, pp. 8-10. Messico in UN Doc. A/C.6/46/SR.28, p. 7, par. 35.
81) Si propose di sostituire la formula “utilizzazione
ottimale” con “utilizzazione sostenibile” da parte di tre delegati (Tomuschat,
in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of
the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 174, par. 24; Yankov, p. 175,
par. 26 e Idris, p. 175, par. 32). Ma prevalse la tesi di coloro che
sottolineavano i contorni imprecisi della nozione di sviluppo sostenibile e
l’inopportunità della sua inclusione nel testo dell’articolo 5, par. 1 [CUDN] (Calero
Rodrigues, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in
Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175, par. 27) e
il fatto che l’espressione stessa fosse già implicita nel duplice riferimento
del par. 1 alle finalità di ottima utilizzazione ed adeguata protezione del
corso d’acqua (Fomba, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth
Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175,
par. 33). Si veda anche, M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei
corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 335-341.
82) In particolare: a) principio n. 4 della Dichiarazione di
Rio su ambiente e sviluppo adottata durante la Conferenza di Rio su ambiente e
sviluppo del 1992; b) art. 2 par. 5 (c) Convenzione di Helsinki sull’uso e la
protezione dei corsi d’acqua transfrontalieri; c) l’art. 2 della Convenzione
sulla diversità biologica (Rio de Janeiro, 5 giugno 1992); d) art. 2 della
Convenzione di Sofia del 1995 sulla cooperazione per la protezione ed uso
sostenibile del fiume Danubio.
83) In particolare: l’Accordo che istituisce l’Organizzazione
per la regolamentazione e lo sviluppo del bacino del fiume Kagera; la
Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal e la Convenzione che
istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal; l’Atto
relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino
del Niger; l’Accordo relativo alla commissione del fiume Niger e alla
navigazione e ai trasporti sul fiume Niger; la Convenzione tra il Senegal e il
Gambia, oltre che l’Accordo del 1968 per la valorizzazione integrata del bacino
del Gambia; la Convenzione del 1976 sull’istituzione del Comitato di
coordinamento per il progetto del bacino del Gambia; la Convenzione e lo Statuto
relativi alla valorizzazione del bacino del Chad; il Trattato relativo al bacino
di Rio de La Plata.
84) Si vedano: i principi 3-4 della Dichiarazione di Rio su
ambiente e sviluppo del 1992; il capitolo 18 («protezione della qualità e
approvvigionamento delle risorse in acqua dolce») dell’Agenda 21. La Convenzione
sulla protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi
internazionali, aperta alla firma ad Helsinki il 17 marzo 1992 tra gli Stati
membri della ECE; la Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso
sostenibile del fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994) firmata da Austria,
Bulgaria, Comunità europea, Croazia, Germania, Moldavia, Romania, Slovenia,
Ucraina, Ungheria; l’Accordo sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del
bacino del fiume Mekong (Chiang Rai, 5 aprile 1995) firmato da Cambogia, Laos,
Tailandia, Vietnam.
85) Per esempio: Il Segretario generale pose a suo tempo, agli
Stati membri delle Nazioni Unite, dei quesiti inerenti alla definizione e alla
disciplina delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali diverse dalla
navigazione [Document A/CN.4/352 e Add. 1, Estratto dall’Annuaire de l’Institut
de Droit International, 1982, vol. II (1)]. A tal proposito il Bangladesh (che
non figura tra gli Stati ratificanti), pur essendo stato uno dei due paesi
(l’altro il Portogallo) a rispondere ai quesiti, riteneva che la nozione
geografica di bacino idrografico internazionale sarebbe stata la piu adatta a
configurare un corso d’acqua internazionale poiché, tale formula è stata
adottata dalla maggior parte degli Stati rivieraschi e dei giuristi.
L’orientamento opposto che emerge dalla Convenzione probabilmente ha fatto
desistere il Bangladesh dall’assumere lo status di paese contraente-ratificante.
86) Ad esempio, alla nozione di «corsi d’acqua internazionali»
si opponeva quella di bacino idrografico, ivi compresa quella del bacino di
drenaggio che, a detta di alcuni delegati, rappresentava una nozione adatta per
gli studi economici e geografici, per i progetti di sviluppo o sfruttamento
delle risorse. Anche sulla nozione di “corso d’acqua internazionale” si è
discusso in sede di commissioni. Secondo alcuni, per determinare il senso e la
portata della nozione di «corso d’acqua internazionale», si dovrebbe tener conto
della risoluzione adottata nel 1911 dall'Istituto di diritto internazionale
concernente la «Regolamentazione internazionale dell'uso dei corsi di acqua
internazionali» (Annuaire de l’Institut de droit international, 1911, Parigi,
vol. 24, 1911, pp. 365-367). La risoluzione dell’IDI, tuttavia, impiega la
nozione di bacino idrografico come sinonimo di “corsi d'acqua”. Si precisa,
infatti, che: a) «Le presenti regole e raccomandazioni si applicano all'utilizzo
delle acque facenti parte di un corso d'acqua o di un bacino idrografico che si
estende sul territorio di due o più Stati» (art. 1); b) «Ogni Stato ha il
diritto di utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il suo territorio,
sotto riserva dei limiti imposti dal diritto internazionale, e specialmente di
quelle risultanti dalle disposizioni che seguono»; c) «Questo diritto ha per
limite il diritto di utilizzo degli altri Stati interessati allo stesso corso
d'acqua o bacino idrografico». Perché si possa parlare di “corso d’acqua
internazionale”, è indispensabile che delle porzioni di tale spazio acquifero si
trovino in Stati differenti (art. 2, punto b). Ed invero, applicandosi la teoria
dell’integrità o dell’unità del bacino fluviale, a cui si ispirano le Regole di
Helsinki sulle utilizzazioni delle acque di fiumi internazionali, si
assoggetterebbe, ad esempio, la vasta regione bagnata dal Rio del Plata (il
bacino di Rio de La Plata ha una superficie di 2.400.000 km²) ad un regime di
doppia o multipla sovranità, almeno per certi bisogni specifici. Il bacino di
Rio del Plata, infatti, copre la totalità del territorio del Paraguay, i due
terzi del territorio dell'Uruguay, praticamente tutto il Nord dell'Argentina,
delle parti consistenti del territorio della Bolivia e la quasi totalità del
Brasile al sud del bacino dell'Amazzonia. Tuttavia, limitazioni di questo
genere, avrebbe scontentato quei paesi che hanno un interesse legittimo affinché
le loro risorse naturali siano potenziate, e che godono di una sovranità piena
ed intera su queste risorse, accettino delle limitazioni di questo genere
(A/CN.4/SR.1406 (punto 16), in Annuaire de l’Institut de Droit International,
1976, vol. I). La nozione di bacino di drenaggio internazionale fu respinta in
sede di commissione, per le considerazioni negative di alcuni Stati (Brasile,
Colombia, Ecuador) espresse nel rispondere al questionario del 1974 – nonostante
altri paesi fossero favorevoli (Finlandia, Stati Uniti) sull’opportunità di
utilizzare la nozione di “bacino di drenaggio internazionale” come base di
partenza su cui strutturare la convenzione-quadro. Si riteneva che tale
concezione sarebbe stata troppo restrittiva rispetto ad un’area territoriale
interessata dall’alimentazione di un corso d’acqua internazionale (in Yearbook
of the International Law Commission, 1976, vol. II, p. 1, pp. 152-154, 162-163;
oppure: M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua
internazionali, op. cit., pp. 36-38). Tale nozione, tuttavia, è contenuta: nella
Risoluzione adottata dall’ILA nella sessione di New York del 1958 [ILA, Report
of the 48th Conference (New York), 1958, pp. 1-2]; nell’art. 1 della Risoluzione
sull’uso delle acque internazionali non marittime adottata dall’Istituto di
Diritto Internazionale (sessione di Salisburgo, 1961, in Annuaire IDI, 1961, t.
II, p. 371); nel preambolo del Trattato relativo alla valorizzazione delle
risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia (Washington, 17 gennaio 1961)
concluso tra Canada e Stati Uniti; nell’art. II delle Regole di Helsinki del
adottate dall’ILA nel 1966; nell’art. I del Trattato sul bacino del Rio de la
Plata (Brasilia, 23 aprile 1969), concluso tra Argentina, Bolivia, Brasile,
Paraguay e Uruguay; nell’art. II del Trattato per la cooperazione amazzonica
(Brasilia, 3 luglio 1978) concluso tra Bolivia, Brasile, Guyana, Perù, Suriname
e Venezuela; nel Protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo contro
l’inquinamento di fonte terreste (Atene, 17 maggio 1980); negli artt. 1 e 3
dell’Accordo per la protezione della Mosa e dell’Accordo per la protezione dello
Scheda (Charleville Mézières, 26 aprile 1994) conclusi tra Francia, tre governi
regionali del Belgio (Bruxelles, Fiandre e Valloni) Paesi Bassi; negli artt. 1 e
3 della Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso sostenibile del
fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994). Implicitamente la nozione in questione
viene menzionata: nell’art. 2 dell’Atto riguardante la navigazione e la
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre
1963) concluso tra Alto Volta (ora Burkina Faso) Camerun, Chad, Dahomey (ora
Benin – Guinea), Costa d’Avorio, Mali, Niger, Nigeria; nell’art. I dello Statuto
relativo allo sviluppo del bacino del Chad (Fort Lamy, 22 maggio 1964) concluso
tra Camerun, Chad, Niger e Nigeria; nell’art. 1 della Convenzione relativa allo
Statuto del fiume Senegal (Nouakchott, 11 marzo 1972) sottoscritta tra Mali,
Mauritania e Senegal; negli artt. 1-2 dell’Accordo recante creazione
dell’organizzazione per la gestione e sviluppo del fiume Kagera (Rusumo, 24
agosto 1977) concluso tra Burundi, Ruanda, Tanzania ed Uganda. Dalla prassi
degli Stati, dai trattati, dagli studi delle organizzazioni regionali, dalle
ricerche degli organismi giuridici, risulta un modo diverso d’intendere
l'espressione “corso d’acqua internazionale”. L’orientamento non univoco
rappresenta, quindi, un altro motivo per il quale la convenzione-quadro non ha
avuto, finora, risvolti positivi.
87) Considerando i problemi riguardanti numerosi corsi d’acqua
internazionali, tra i quali l’aumento del consumo e della polluzione,
l’Assemblea generale ha ritenuto importante, ai sensi degli artt. 1-2 della
Carta delle Nazioni Unite, promuovere ed elaborare una convenzione quadro
mirante a regolare l’utilizzo, il miglioramento, la conservazione, la gestione e
la protezione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla
navigazione e anche per un uso ottimale e duraturo a beneficio delle generazioni
presenti e futuri. Il suggerimento dell’Assemblea generale sull’opportunità di
adottare un accordo-quadro è stato recepito dalla CUDN, considerandosi i corsi
d’acqua variegati e diversi tra loro tali da richiedere una regolamentazione
specifica a seconda delle caratteristiche del corso d’acqua e degli esigenze
degli Stati interessati. La CUDN ha solo la funzione di stabilire principi e
regole di portata generale.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 07/02/2008