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LO SVILUPPO RURALE: STRUMENTO DI TUTELA E DI PROMOZIONE DELLE AREE PROTETTE
Dott.ssa Adele De Quattro
INDICE
CAPITOLO I
SVILUPPO ECONOMICO E SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE NELLE AREE PROTETTE.
L’AGRICOLTURA NELLA PIANIFICAZIONE DEI TERRITORI DI ECCELLENZA.
CAPITOLO II
LA LEGGE QUADRO SULLE AREE PROTETTE E LO SVILUPPO RURALE: TERRITORIO DEL
PARCO, L’USO DEL SUOLO E LE COLTIVAZIONI.
CAPITOLO III
EVOLUZIONE DELLA PAC: INFLUENZA SUL CAMBIAMENTO DEI PAESAGGI AGRARI.
CAPITOLO IV
L’ESPERIENZA CONCRETA: LO SVILUPPO RURALE IN CAMPANIA IN SEGUITO ALLA RIFORMA
DELLA PAC, EVOLUZIONE E PROSPETTIVE.
BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO I
SVILUPPO ECONOMICO E SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE NELLE AREE PROTETTE.
L’AGRICOLTURA NELLA PIANIFICAZIONE DEI TERRITORI DI ECCELLENZA.
L’espressione “sviluppo sostenibile” concerne lo sviluppo economico sostenibile
con l’ambiente, riguardante una crescita economica che, utilizzando nel presente
le risorse naturali, ne garantisca la conservazione e la riproduttività nel
futuro.
La semplicità della definizione non consegue, tuttavia, ad una elaborazione
della nozione nel corso del tempo; infatti, le tematiche relative allo “sviluppo
sostenibile” sono relativamente recenti1 e
tale locuzione si riferisce, genericamente, a tutte quelle attività economiche,
sociali e politiche che possono incidere e provocare forti impatti
sull’ambiente.
La stessa nozione di sostenibilità dello sviluppo delle attività economiche
umane assume poi un diverso significato se la si collega all’attività agricola
che, in genere, l’uomo ha sempre realizzato, insieme alla pastorizia ed
all’artigianato, nei territori scarsamente popolati e contraddistinti dalla
presenza immanente e “bella” della natura2,
unitamente al ristagno dell’economia. Risulta da ciò evidente, come il concetto
di sviluppo sostenibile sia strettamente correlato con le attività agricole e
forestali, soprattutto in aree come i parchi naturali, dove la protezione
ambientale deve integrarsi necessariamente3
con lo sviluppo economico delle popolazioni locali4.
Evidenziando il ruolo cui l’agricoltura è chiamata a rispondere nella società e
nell’economia, la relazione fra agricoltura e ambiente deve essere riconsiderata
così che questa attività fondamentale possa essere mantenuta su basi di
sostenibilità, inteso tale termine soprattutto quale strumento di promozione e
di tutela dell’area protetta e della conservazione della natura.
Innanzitutto, è necessario evidenziare il ruolo che ha svolto da secoli
l’agricoltura, considerata da sempre attività naturale che “mai comprometterebbe
la salubrità dell’ambiente o la salvaguardia degli habitat”. Basti pensare al
fatto che metà della superficie europea è adibita all’agricoltura vista
l’importanza che essa riveste nell’ambiente dell’uomo.
L’interazione tra agricoltura e ambiente è profonda e radicata nei secoli:
questa antichissima attività, ha contribuito alla creazione e alla salvaguardia
di una grande varietà di habitat seminaturali di elevato pregio. Tant’è vero,
che oggi sono proprio questi habitat che caratterizzano la maggioranza dei
paesaggi dell’Unione Europea ed ospitano molte specie della sua ricca fauna
selvatica.
Inoltre, l’agricoltura è fonte di reddito per una comunità rurale diversificata
che non solo rappresenta un bene insostituibile della cultura europea, ma svolge
anche un ruolo primario nel preservare l’equilibrio dell’ambiente. I legami
esistenti fra la ricchezza dell’ambiente naturale e le politiche agricole sono
complessi: mentre la salvaguardia di molti habitat di grande pregio è affidata
all’agricoltura estensiva, dalla quale dipende anche la sopravvivenza di una
grande varietà di animali selvatici, le pratiche agricole possono anche incidere
negativamente sulle risorse naturali.
L’inquinamento del suolo, dell’acqua, dell’aria, la frammentazione degli habitat
e la scomparsa della fauna selvatica, possono essere frutto di pratiche agricole
e di un utilizzo della terra inappropriato5.
Fra le azioni previste per il raggiungimento di un’ agricoltura sostenibile e
sviluppo rurale (SARD), riprese anche nella c.d. Agenda 21 scaturita dalla UNCED
di Rio del 1992, vengono enunciate: coordinamento nella gestione delle risorse
naturali fra Stati e nell’ambito dello stesso Stato, valorizzazione delle aree
marginali, sviluppo e diversificazione delle attività agricole nella direzione
di colture a basso impatto ambientale6, valorizzazione delle aree marginali,
integrazione delle attività agricole tradizionali con altre non agricole, quali
quelle turistiche e di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti7 che
tendono comunque a creare attività industriale.
Tuttavia, se un tempo l’agricoltura era considerata rispettosa dell’ambiente,
oggi risulta evidente il contrario, cioè che le moderne pratiche agricole
influiscono pesantemente sugli ecosistemi modificandoli e spesse volte,
modificandoli radicalmente8.
Si è cercato di dare, in qualche modo, una più approfondita definizione di
agricoltura sostenibile, intendendo per tale quel tipo di attività che fornisce
cibo per i fabbisogni umani; è economicamente valida; migliora la qualità della
vita sia dei consumatori che degli agricoltori; migliora la qualità dell’azienda
e dell’ambiente. In altre parole, questo tipo di agricoltura tende a voler
soddisfare le esigenze economiche, rispettando l’ambiente come risorsa di tutti.
Il concetto di sviluppo sostenibile rappresenta senza dubbio uno dei principi
guida nella pianificazione delle aree naturali protette: anche se è opportuno
considerare che un parco si inserisce in una struttura economica e sociale
preesistente che appare notevolmente complessa, vitale ed articolata9.
E’ stato oramai constatato, dopo circa un decennio dalla istituzione (avvenuta
nel 1996) delle aree protette nazionali e regionali di cui alla legge quadro del
1991, che lo sviluppo economico di un’area parco derivi principalmente
dall’afflusso turistico, mentre gli altri settori produttivi possono risultare
svantaggiati, ciò perché “fare agricoltura sostenibile” varia in tutto il mondo
in quanto tende a raggiungere obiettivi diversi: in alcuni Paesi mira a
soddisfare i bisogni alimentari primari; mentre in altri tende a salvaguardare i
redditi derivanti dalla stessa attività agricola.
Pertanto, l’elemento fondamentale per rilanciare un’area protetta (sia dal punto
di vista agricolo che dal punto di vista economico e reddituale) è di valutare e
valorizzare le biodiversità dell’ambiente e del territorio, in quanto la qualità
dell’ambiente in un’area parco rappresenta un vero e proprio fattore di
sviluppo.
In questo contesto, realizzare un percorso di sviluppo sostenibile vuol dire
individuare un insieme coordinato di interventi che valorizzano le risorse
naturali, culturali e umane locali, consentendo nel contempo un miglioramento
dell’ambiente naturale.
Nel caso della gestione delle aree protette, il principale aspetto collegato al
concetto di sviluppo sostenibile è costituito dalla soluzione del conflitto fra
conservazione ambientale ed uso economico e sociale delle risorse naturali.
A tale proposito il settore agro-silvo-pastorale rappresenta la componente
generalmente fondamentale di un parco naturale e contemporaneamente quella
caratterizzata dalle più delicate problematiche di gestione poiché se da un lato
si cerca di promuovere un’agricoltura che tende alla tutela del territorio e
dell’habitat naturale dell’area stessa; dall’altro le pratiche agricole
utilizzate potrebbero risultare invasive e pertanto dannose per l’area parco:
ecco perché si propone e si incentiva la pratica dell’agricoltura biologica a
tutela sia dei consumatori ma anche dell’ambiente stesso.
In tale ambito, si corre il rischio di alcuni conflitti, come ad esempio quello
fra sviluppo del settore foresta-legno e conservazione degli ecosistemi
forestali; quello fra sviluppo agricolo e conservazione ambientale e
paesaggistica; e infine quello fra attività turistico-ricreative e protezione
dell’ambiente.
Gli indirizzi applicabili per una gestione sostenibile delle superfici agricole
dipendono dal grado di protezione collegato alla zonizzazione del parco10 e dal
livello di antropizzazione, la soluzione dei conflitti derivanti dai vincoli
imposti dipende strettamente da tale zonizzazione. Infatti, nella zona a
protezione integrale gli interessi sociali prevalgono su quelli privati e
l’unico strumento applicabile rimane quello dell’indennizzo, esplicitamene
previsto dalla legge quadro n. 394 del 1991 (art. 14).
Le azioni di prevenzione del contrasto sociale sono perciò limitate alla
trasparenza e alla snellezza del procedimento di individuazione delle zone,
nonché alla equità della valutazione dell’indennizzo.
Maggiori possibilità di azione si possono individuare nelle zone b e c. In tali
aree un indirizzo interessante che può contribuire a risolvere le possibili
conflittualità è rappresentato dalla formazione di un possibile consorzio dei
proprietari agricoli del parco: “... i consorzi di tutela dei prodotti tipici,
si caratterizzano per la prevalente funzione normativa ad essi assegnata e
consistente nel dettare i disciplinari di produzione, conformi ai parametri
fissati dalle leggi istitutive, cui tutti gli aderenti al consorzio devono
attenersi, oltre che per l’attività di controllo e di vigilanza riguardante
l’esatta osservanza delle regole comuni di produzione da parte degli associati,
nonché per le funzioni di ente certificatore della qualità del prodotto finale”11.
Ciò consentirebbe di predisporre dei piani di gestione concordati tra i
proprietari e l’ente parco, nel rispetto degli indirizzi forniti dalla legge12 e
dalla programmazione del piano del parco.
Il settore agricolo rappresenta generalmente una delle attività economiche più
deboli nella maggior parte delle aree parco, in quanto, come è stato anzidetto,
le aziende agricole in tali zone sono spesso caratterizzate da problemi di
marginalità e di bassa redditività.
Per tale motivo, nell’individuazione degli indirizzi di pianificazione, è
necessario ridurre al minimo le imposizioni vincolistiche privilegiando un
orientamento di sviluppo sostenibile con l’ambiente in modo da prevenire ed
evitare la disattivazione delle aziende e la migrazione della forza lavoro verso
altre attività. Va infatti considerato che l’attività agricola svolge un ruolo
preponderante in tutti i territori delle aree protette.
Nel corso dei secoli, l’agricoltura ha caratterizzato il paesaggio con ambienti
seminaturali unici, dotati di un’ampia varietà di habitat e nel maggior rispetto
del principio di conservazione della natura; tuttavia nell’agricoltura odierna
sia il progresso tecnologico, che le politiche settoriali adottate, hanno
aumentato le ripercussioni negative sul territorio e sulle risorse ambientali.
Ecco perché, è sorta la necessità di creare una definizione di agricoltura
sostenibile, che renda le risorse naturali disponibili anche in futuro; che tali
risorse siano utilizzate in maniera efficiente e tali da contribuire allo
sviluppo rurale del territorio; e infine garantisca opportunità di lavoro e
accesso alle risorse e ai servizi delle aziende agricole.
I principali conflitti fra uso delle risorse e conservazione ambientale sono
generalmente risolvibili e possono derivare dalle pratiche agricole e
zootecniche.
Per quanto riguarda le prime si possono avere impatti negativi sulla qualità
delle acque e dell’aria relativa alle fertilizzazioni, ai trattamenti
antiparassitari e allo smaltimento di liquami.
L’attività zootecnica estensiva può a sua volta comportare un impatto sulla
fauna selvatica, a causa della competizione alimentare, sulla composizione
floristica e sulla rinnovazione per pascolo in bosco.
Le relazioni specifiche su tali temi indicano i principi tecnici mediante i
quali questi conflitti possono essere risolti o minimizzati.
Pesante può essere invece l’impatto reciproco, cioè quello del parco sulle
attività agricole e zootecniche13.
Appare evidente quindi, come la produzione agricola rappresenti il soggetto
“debole” nel possibile contrasto fra agricoltura e parco, meritevole quindi di
interventi di vera e propria conservazione, alla stregua di un valore culturale,
paesaggistico e naturalistico.
L’attività di pianificazione dovrà essere quindi orientata a interventi di
indirizzo nella scelta dell’ordinamento produttivo aziendale, più che di vincolo
alle produzioni ed alle tecniche colturali.
Considerando le tendenze già in atto e gli indirizzi normativi esistenti, gli
obiettivi strategici della pianificazione agricola delle aree istituite a parco
dovrebbero essere orientati allo sviluppo delle produzioni biologiche e
tradizionali, e allo sviluppo delle attività agrituristiche.
A questo proposito, è utile citare alcuni dei regolamenti e delle norme
comunitarie che cercano di dettare una disciplina che sia in grado di promuovere
attività agricole e zootecniche compatibili con la tutela ambientale: -
Raccomandazione della Commissione Europea del 3 aprile 2007 relativa a un
“programma comunitario di sorveglianza coordinata da effettuare nel 2007 per
garantire il rispetto delle quantità massime di residui di antiparassitari sui e
nei cereali e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, nonché relativa ai
programmi nazionali di sorveglianza per il 2008; - Regolamento (CE) n. 1299/2004
del 15 luglio 2004 che fissa, “per la campagna di commercializzazione 2002/2003,
la produzione effettiva di olio di oliva e l’importo dell’aiuto unitario alla
produzione”; - Regolamento (CE) n. 401/2006 del 23 febbraio 2006 relativo “ai
metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di
micotossine nei prodotti alimentari”; - Regolamento (CE) n. 199/2006 del 3
febbraio 2006 “che modifica il regolamento (CE) n. 466/2001 che definisce i
tenori massimi di taluni contaminanti presenti nelle derrate alimentari per
quanto riguarda le diossine e i PCB diossina-simili; - Regolamento (CE) n.
599/2003 del 10 aprile 2003 “che modifica il regolamento (CEE) n. 2092/91
relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla
indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari.
Per quanto riguarda le produzioni biologiche e tradizionali, i principali
problemi connessi alla riconversione delle aziende riguardano prevalentemente
gli alti costi unitari di produzione, l’esistenza di un mercato che riconosca la
qualità del prodotto e l’assistenza tecnica alle imprese, che nelle aree montane
sono spesso caratterizzate da una scarsa vitalità imprenditoriale14.
Oltre all’intervento strutturale sono necessari provvedimenti di
sensibilizzazione del mercato, che potrebbero esplicarsi (seguendo esperienze
positive già effettuate15) nella istituzione di un marchio di qualità collegato e
garantito dal parco.
Nell’attuale scenario, una valida soluzione è rappresentata dai marchi
comunitari; infatti le normative nazionali e comunitarie in materia di
riconoscimento e tutela delle denominazioni d’origine, rivestono un ruolo
importante nel determinare le strategie di differenziazione dell’offerta, sia a
livello aziendale sia come strumento per incrementare la capacità competitiva
del sistema agroalimentare nazionale.
In particolare, i recenti regolamenti 2081 e 2082 del 14/07/92 del Consiglio,
relativi alla definizione e regolazione delle DOP e IGP e alle Attestazioni di
specificità, costituiscono la base normativa che regola l’istituzione delle
denominazioni protette con l’esplicito fine di contribuire alla valorizzazione e
alla promozione dei prodotti tipici.
La denominazione di origine protetta (DOP) e l’indicazione geografica protetta (IGP)
si differenziano per il fatto che per il riconoscimento della prima tutte le
fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire nell’area
geografica delimitata, mentre per la seconda è sufficiente che la relativa
qualità o reputazione possa essere attribuita all’origine geografica, mentre si
ammette che parte del processo produttivo avvenga al di fuori di tale area.
L’attestazione di specificità è inteso come elemento o insieme di elementi che
distinguono un prodotto agricolo o alimentare da altre analoghi appartenenti
alla stessa categoria; in sostanza si tratta di una specificità derivante dalle
caratteristiche produttive e non dalla provenienza, dall’origine geografica o
dall’applicazione di un’innovazione tecnologica.
I disciplinari di prodotto devono fornire tutte le indicazioni necessarie per il
riconoscimento, costituendo la base essenziale per la dichiarazione di
conformità dei prodotti.
I regolamenti comunitari attribuiscono ai Consorzi di tutela (intesi come
strutture di controllo), le cui competenze sono state stabilite da ogni Stato
membro, il compito di garantire che i prodotti recanti una denominazione
protetta o attestazione di specificità rispondano ai requisiti del disciplinare.
Per tale ragione, la promozione del marchio potrebbe effettuarsi con la
creazione di un consorzio di produttori biologici e tradizionali della zona, in
grado di sviluppare i possibili canali di commercializzazione.
Quest’ultima, d’altronde, dovrebbe curare anche il mercato della ristorazione,
con la relativa trasmissione del marchio creando così una integrazione fra le
attività produttive della zona e permettendo lo sviluppo di quella componente
gastronomica del turismo che in molte zone di Italia (es. Trentino Alto Adige)
rappresenta un fattore estremamente importante della qualità del servizio
offerto.
In effetti, già la legge quadro sulle aree protette, l. 394 del 1991, prevede
all’art. 14, comma 4, la concessione da parte dell’Ente parco “l’uso del proprio
nome e del proprio emblema a servizi e prodotti locali che presentino requisiti
di qualità e che soddisfino le finalità del parco”16.
Lo sviluppo dell’agriturismo, presenta importanti potenzialità. Considerato che
i parchi di nuova istituzione sono spesso carenti di infrastrutture ricettive,
l’agriturismo costituisce senz’altro la soluzione a minor impatto ambientale e
più coerente con le finalità generali di un’area protetta.
Peraltro esso può offrire strutture ad alto valore paesaggistico oltre a servizi
diversificati, come l’ippoturismo, il turismo naturalistico e il collegamento
con le attività agricole svolte in azienda.
L’attività agrituristica è però condizionata particolarmente dal costo degli
interventi di ristrutturazione dei fabbricati rurali, dalla stagionalità della
domanda turistica , dal collegamento con le strutture e le attività del parco e
dalle difficoltà tecniche e burocratiche.
Gli strumenti impiegabili sono costituiti dalle erogazioni di incentivi in conto
capitale o in conto interessi, e previste in linea generale, dalla legislazione
solo di alcune regioni.
Considerata la prevedibile difficoltà di utilizzazione del canale privilegiato
assicurato alle aree protette17 (art. 7), appare necessario uno specifico
intervento normativo, che disciplini anche il collegamento dell’agriturismo con
le attività del parco.
Ciò riguarda sia l’infrastrutturazione ricreativa dell’area protetta (sentieri,
piste per cicloturismo e turismo equestre, rifugi, ecc.), che andrà studiata in
modo da consentire lo svolgimento delle attività ricreative offerte dalle
aziende agricole; sia le possibili iniziative volte ad ampliare la stagione
turistica, come l’organizzazione di stages naturalistici, manifestazioni
culturali collegate con le fasi salienti della produzione agricola, educazione
scolastica ambientale, promossa anche dalla legge n. 394 del 1991 attraverso
l’intervento delle guide del parco.
Più in generale si tratta di un’integrazione ed un coinvolgimento delle aziende
agricole con la gestione dell’area protetta.
Le attività suddette si svolgono frequentemente nelle zone più interne e
natutalisticamente interessanti del parco, impiegando razze locali in pericolo
di estinzione e con rese economiche estremamente basse: tale attività, ancor più
rispetto alle altre pratiche agricole, necessita di una attenta calibrazione dei
vincoli e degli incentivi.
I primi devono riguardare la regolazione della capacità di carico e della
rotazione dei pascoli, tenendo esplicitamente conto dell’interazione della fauna
selvatica.
Gli strumenti di sostegno e incentivazione debbono essere strettamente riferiti
ai regolamenti tramite specifiche analisi economiche e debbono riguardare non
solo la fase di produzione ma anche la eventuale trasformazione dei prodotti.
Infatti a causa della attuale normativa sanitaria non risulta più praticabile la
trasformazione artigianale dei prodotti su piccola o piccolissima scala.
La salvaguardia e la valorizzazione del prodotto locale può così essere
effettuata anche tramite la creazione di un consorzio di trasformazione dei
prodotti del parco, che consentirà di inserire anche il settore zootecnico e
pastorale nel mercato dei prodotti di qualità garantiti dal parco.
Un possibile strumento specifico finalizzato all’integrazione dei diversi
interventi sul territorio è il cosiddetto “Parco Agricolo”. Il Parco Agricolo
rappresenta un’area nella quale viene creata, riscoperta oppure potenziata
l’attività agricola al fine di salvaguardare e tutelare il territorio e
l’ambiente in esso inserito.
L’agricoltura, in particolare quella biologica e biodinamica, riveste un ruolo
centrale di tutela del territorio, costituendo insieme un’attività produttiva ma
anche eco-compatibile, fondata su regole biologiche e naturali che restituiscono
identità ad un luogo, tutelano la bellezza dei paesaggi agrari, salvaguardano le
risorse naturali, rispettano la vocazione secolare delle zone da tutelare,
offrono numerosi benefici al sistema urbano (variazioni microclimatiche,
depurazione dell’aria, produttività, attenuazione del rumore, difesa del suolo,
conservazione della biodiversità).
Tale modello rappresenta una struttura complementare a quella del parco naturale
ed è realizzabile con un insieme di interventi finalizzati ad integrare la
produzione agricola con l’erogazione di servizi sociali.
Il parco agricolo è dotato di un suo piano specifico e si basa su una propria
zonizzazione, pur rimanendo inserito nel piano di gestione generale del parco.
Infine è importante evidenziare come l’agricoltura rappresenti un comparto
produttivo altamente sensibile alle incertezze e ai tempi dell’azione pubblica.
Per tale motivo, la soluzione dei contrasti ed il perseguimento degli obiettivi
di pianificazione appaiono fortemente condizionati dalla snellezza e dalla
certezza dei provvedimenti burocratici ed attuativi.
La tradizionale struttura del sistema economico, non considera una parte molto
importante del “vero” sistema economico di riferimento e cioè quella delle
risorse naturali, della loro conservazione e dei servizi sociali che queste
possono fornire.
Da qui la difficoltà a ricondurre nell’ambito dei tradizionali modelli economici
le istanze proprie di uno sviluppo sostenibile, in cui l’economia svolge sì il
ruolo di promuovere l’uso efficiente delle risorse e di analizzare l’ottima
allocazione dei diritti sulle stesse, ma ad essa si affianca a pari livello
l’Ecologia per quanto concerne il mantenimento dell’ecosistema, così come le
teorie sull’equità e le discipline etiche al fine di analizzare gli effetti
distributivi dello sviluppo, soprattutto in termini di equità
inter-generazionale.
A quest’ultimo proposito non bisogna, pertanto dimenticare come molti modelli
economici individuino soluzioni ottime, anche di lungo periodo, ma ipotizzando
statica ed ottimale la situazione socio-economica presente, e non tenendo conto
di effetti nella dotazione complessiva di risorse naturali.
Il quadro verso cui attualmente si indirizza la ricerca è quello di uno sviluppo
sostenibile identificabile in tre obbiettivi di politica economica (le tre E
della letteratura anglosassone: integrità ambientale (Environment), efficienza
economica (Economic) ed equità sociale ed intergenerazionale (Equity).
Seguendo tali principi di base, sono stati individuati alcuni interessanti
strumenti di pianificazione delle aree protette in grado di affrontare in un
ambito unitario e organico la complessità degli elementi da considerare.
Lo strumento più interessante proposto in tale ambito è rappresentato dal
Sistema Informativo Territoriale.
Un SIT consente di integrare in un unico ambiente informatico dati topografici e
cartografici, informazioni quantitative e qualitative riferite al territorio che
si prende in considerazione.
I dati che andranno a formare il sistema informativo dovranno permettere di
considerare tutte le possibili interrelazioni ed i potenziali conflitti fra
ambiente naturale e ambiente antropizzato.
La struttura di un sistema informativo territoriale consente di effettuare mappe
tematiche e sovrapposizioni territoriali utili nella definizione e nel
dimensionamento degli indirizzi di gestione.
Inoltre all’interno di un SIT è possibile inserire modelli ecologici ed
econometrici nonché indici di valutazione ambientale e sociale. Infine la
diffusione di sistemi informatizzati nei diversi parchi potrebbe costituire il
primo passo per la creazione di una rete telematica finalizzata allo scambio di
dati ed esperienze in ambito di sviluppo economico sostenibile con l’ambiente.
La definizione degli interventi di pianificazione in un parco naturale
rappresenta una fase tipicamente multidisciplinare, caratterizzata dalla
collaborazione di un insieme di esperti che debbono agire in modo coordinato ed
integrato.
Uno dei punti cruciali della fase propositiva della pianificazione è
rappresentato dalla valutazione degli effetti delle azioni proposte sia
sull’ambiente naturale che sul tessuto economico e sociale locale e regionale.
Tale valutazione può essere effettuata, in base ai fenomeni analizzati, in
termini qualitativi o quantitativi, ma deve comunque presentare caratteri di
obbiettività, trasparenza e ripercorribilità.
In merito, la ricerca scientifica ha registrato negli ultimi anni interessanti
progressi, pur essendo il campo di indagine ampio18, complesso e in buona parte
inesplorato19.
I campi di indagine che sono maggiormente collegati alla pianificazione delle
aree protette riguardano metodi di valutazione, sia sintetici che analitici,
relativamente alla qualità dell’aria e delle acque, alla pianificazione dell’uso
del suolo e alla biodiversità specifica ed ecosistemica e alla successione e
resistenza degli ecosistemi naturali.
Nel V programma dell’UE viene data un’altra definizione di agricoltura
sostenibile, intendendo per tale, la gestione delle risorse naturali in modo
tale da garantire un profitto anche per il futuro20.
Per l’Europa la sicurezza agricola e alimentare, sono parte integrante dello
sviluppo sostenibile, poiché un’agricoltura di qualità, che utilizza metodi
produttivi sani e rispettosi dell’ambiente, tende a soddisfare sia le esigenze
dei consumatori che la valorizzazione delle aree rurali con le loro diversità e
tradizioni.
Per agevolare il rispetto del principio di agricoltura sostenibile, è importante
il ruolo dell’informazione statistica, poiché è necessario avere informazioni
sulle interazioni agro-ambientali per seguire i risultati dell’agricoltura in
materia ambientale e valutare gli effetti delle politiche sull’ambiente
nell’ambito della riforma della politica agricola comunitaria.
Ed è proprio la Politica Agricola Comune (PAC) il punto di partenza per
sostenere la validità del concetto di agricoltura durevole: nei suoi primi anni
di vita, la PAC aveva il principale obiettivo di assicurare gli agricoltori di
prezzi stabili e remunerativi e di migliorare la produttività; mentre in seguito
la sua riforma del 1992, determina una generale riduzione dei prezzi con forme
di compensazione ai produttori non direttamente legate alle produzioni e ai
prezzi.
Lo strumento operativo della politica agricola della comunità è rappresentato
dal Regolamento CEE 2078 del 1992, in cui si afferma un nuovo rapporto tra
agricoltura e ambiente, non più di semplice interazione, ma di vera e propria
integrazione: inoltre si evidenzia la necessità di un sostegno rappresentato da
una serie di aiuti appropriati.
Nel 1997, questi argomenti vengono affrontati nel Trattato di Amsterdam in cui
il tema “ambiente” assume un ruolo primario in stretta connessione con i
concetti di investimento e sostenibilità.
Le stesse tematiche vengono recepite successivamente nei Consigli Europei21,
nell’ambito dei quali si discute delle varie interazioni delle esigenze
ambientali con la Politica Agricola Comune: i temi trattati, concernono l’acqua,
il suolo, l’utilizzo del terreno, i prodotti chimici in agricoltura.
Il processo di riforma della PAC continua con l’Agenda 2000 che ponendo una
maggiore attenzione verso lo sviluppo sostenibile, stabilisce, sul tema di
protezione dell’ambiente, tre diversi livelli d’azione: a) misure obbligatorie
restrittive come ad esempio quelle relative all’inquinamento di nitrati nelle
acque; b) il principio della condizione secondo cui i sussidi dipendono dalle
esigenze di protezione ambientale; c) infine il ricorso a veri e propri
programmi di protezione e valorizzazione dell’ambiente attraverso pratiche
agricole eco-compatibili.
Appare, inoltre, fondamentale il Regolamento n. 178 del 2002 del Parlamento e
Consiglio Europeo che identifica i principi generali della legislazione
alimentare e individua le procedure in campo di sicurezza alimentare: circa i
principi generali, il regolamento afferma esplicitamente che per garantire la
sicurezza alimentare è necessario tener ben presenti tutti gli aspetti della
filiera di produzione, partendo dalla produzione che tende a soddisfare i
bisogni alimentari umani, fino alla vendita per scopi di incrementi economici.
Ulteriore obiettivo del Regolamento è quello di omogeneizzare i diversi
concetti, principi, e procedure nettamente differenti nelle legislazioni
nazionali, che provocavano sostanziali differenze soprattutto riguardo alla
circolazione delle merci.
Infine, si predispone un sistema per ricostruire la rintracciabilità dei
prodotti sia alimentari che i mangimi, al fine di poter fornire informazioni ai
consumatori e agli addetti preposti ai controlli.
In questo contesto diventa fondamentale disporre di misurazioni valide al fine
di promuovere lo sviluppo sostenibile, benché non vi sia chiarezza, nei vari
Paesi, sul significato di questo concetto.
Infatti, negli ultimi anni sono stati definiti diversi schemi di indicatori
ambientali, per ottenere una misurazione dello sviluppo sostenibile22: lo schema PSR e lo schema DPSIR, elaborati rispettivamente dall’OCSE e dall’Agenzia
Europea dell’Ambiente.
Il primo metodo (Pressioni Stato Risposte) individua le attività antropiche
quali fattori di pressione sulle risorse naturali di un determinato territorio,
modificandone lo stato. Infatti, la società se da un lato modifica lo stato
dell’ambiente per esigenze produttive e di sviluppo sociale, dall’altro dovrebbe
regolare le pressioni e preservare le risorse naturali nel tempo.
Nel secondo metodo, invece, le forze determinanti sono le cause primarie degli
impatti ambientali, mentre le pressioni riguardano le cause dei problemi e si
riferiscono alle azioni che producono gli impatti ambientali.
L’Agenzia Europea dell’ambiente ha individuato degli indicatori ambientali
definiti per Centri Tematici Europei (CTE), oltre a proporre la classificazione
degli habitat in sostituzione dell’analoga classificazione del programma CORINE.
Secondo la Commissione europea, i principali criteri da seguire per la
definizione degli indicatori agroalimentari sono: rilevanza politica; solidità
concettuale; adeguato livello di aggregazione; efficacia; validità statistica;
solidità analitica; fattibilità tecnica; costo-efficienza.
Gli indicatori dovrebbero essere in numero limitato e semplici da interpretare,
inoltre devono fornire informazioni riguardo all’evoluzione quantitativa e
qualitativa dello stock di capitale, l’efficacia del loro utilizzo, la misura
degli output ottenuti e l’evoluzione della domanda da parte della società.
CAPITOLO II
LA LEGGE-QUADRO SULLE AREE PROTETTE E LO SVILUPPO RURALE: TERRITORIO DEL
PARCO, L’USO DEL SUOLO E LE COLTIVAZIONI.
Il ruolo dello sviluppo dell’agricoltura nelle aree protette, ha raggiunto una
maggiore trattazione e una più dettagliata disciplina normativa con la legge n.
394 del 1991, in cui si hanno riferimenti chiari e certi in una materia che
veniva, fino ad allora tradizionalmente identificata attraverso vicende
specifiche, nell’ambito di parchi e di riserve naturali23.
Infatti, precedentemente alla guerra, il ruolo dell’agricoltura in area parco
ruotava intorno ad un animato dibattito scarno di esiti operativi; vi era alla
base pochissima esperienza concreta, sempre mutuata da quanto avveniva
all’estero, ma di scarsa utilità in riferimento alla situazione del nostro
paese; i quattro parchi nazionali preesistenti24 alla legge quadro, istituiti caso
per caso nel corso di un vasto arco di tempo, nella loro scarsa e poco attenta
gestione, costituiscono vicende a cui si è data altrettanta poca irrilevanza.
La politica per la conservazione della natura si identifica con quella dei
parchi e delle riserve, la cui idea è collegata, se non coincidente, con la
politica forestale e l’idea di “foresta”: questa definizione è peraltro
collegata alla competenza in materia del Ministero dell’Agricoltura e Foreste25
che la gestisce tramite il Corpo Forestale dello Stato e l’Azienda di Stato
Foreste Demaniali.
Con il riconoscimento di una maggiore autonomia alle regioni e l’approfondimento
della questione ambientale26 in stretta connessione con le problematiche che la
riguardano, si amplia la conoscenza culturale circa la materia agricola, tanto
che ci si comincia a porre negli anni ’70 il problema dell’accentramento e
decentramento tra Stato e regioni27 in merito alla competenza sul tema
dell’agricoltura.
Solo con l’iniziativa regionale iniziano a maturare esperienze istitutive
circoscritte ma concrete, si delinea un’alternativa in positivo all’idea del
vincolo fine a se stesso: alla conservazione delle risorse ambientali viene
associata per la prima volta la valorizzazione economica e sociale delle stesse;
infine il nuovo ruolo della conservazione implica l’impegno generalizzato ad una
migliore gestione delle aree protette.
Le aree protette sono sottoposte ad una nuova disciplina in forma di legge
quadro: la legge 6 dicembre 1991, n. 394; legge di principi straordinari,
vincolanti tanto per l’iniziativa statale che per quella regionale in materia,
prevalenti sulla disciplina ordinaria.
La legge quadro sulle aree protette, superato il decennio della sua
applicazione, costituisce uno dei pochi casi, nel quadro nazionale, in cui una
disciplina assolutamente nuova ha operato con esiti significativi, sia a livello
teorico che pratico; tutto ciò lo si è ottenuto attraverso la partecipazione di
istituzioni, forze culturali e scientifiche, sociali ed economiche impegnate
tanto nell’iniziativa complessiva che nelle numerose esperienze singole28.
Naturalmente, nel periodo di tempo di applicazione della legge, sono state
diverse le adesioni in tutto lo Stato secondo l’impegno dei vari interlocutori
istituzionali e le specifiche situazioni di partenza, regionali e locali29.
I sistemi territoriali indicati dalla legge, come pure quelli corrispondenti al
fiume Po ed in genere alle aste fluviali, alle zone umide, al verde
metropolitano e periurbano, stanno costituendo di fatto insiemi di aree
protette, parte di una possibile rete ecologica nazionale: vera e propria
infrastrutturazione ambientale estesa in tutto il paese e destinata ad
integrarsi alla Rete Europea Natura 200030, per il riconoscimento in base a
comuni parametri delle forme di biodiversità, delle specie di flora e fauna e
dei relativi habitat, da tutelare con criteri e parametri unificati nel quadro
comunitario.
La presenza in molte aree protette di siti e zone distinte per la presenza di
specie flogistiche e faunistiche, e relativi habitat di interesse comunitario,
porta a stabilire uno stretto rapporto tra il sistema e la Rete Europea Natura
2000 per la tutela delle biodiversità; tale fatto è rilevante anche in mancanza
di una politica comunitaria dedicata espressamente alle aree protette, perchè
consente indirettamente di collegare la politica nazionale e quelle regionali in
materia alla generale politica ambientale comunitaria ed in particolare a quella
per la conservazione e lo sviluppo delle biodiversità.
Inoltre, la presenza nelle aree protette di valori naturalistici, segnalati con
omogeneità di parametri nel quadro europeo, è anche utile ad orientare per
finalità comuni le forme di gestione con altrettanta omogeneità di criteri; non
è da sottovalutare la portata territoriale ed ambientale dell’intreccio tra il
sistema di aree protette e rete delle biodiversità, stante la continuità fisica
da assicurare ai siti ed alle zone di quest’ultima attraverso il riconoscimento
dei cosiddetti corridoi ecologici o aree di connessione ecologica quali canali,
coste, fondi valle, reticolo idrografico, fasce di vegetazione ecc.
Occorre comunque ricordare che, dalle esperienze e riflessioni che si sono
diffuse in molti contesti europei, il riconoscimento della compresenza di
un’elevata densità di relazioni paesaggistiche, culturali, economiche, sociali,
ha portato a superare l’idea di reti di connessione con funzioni puramente
biologiche per arrivare a concetti più ampi e comprensivi, relativi ad una
“infrastrutturazione ambientale”, che evocano il carattere multifunzionale delle
reti e che si rifanno all’esigenza di restituire connettività complessa ai
sistemi territoriali, in trasparente analogia con gli scopi tradizionalmente
assegnati alle reti funzionali, dei servizi, dei trasporti.
Riguardo alle aree protette, assume anche fondamentale rilievo l’argomento che
riguarda il paesaggio, inteso nel significato derivante dall’evoluzione
normativa, a partire dalla legge del ‘39, con le bellezze individue e
panoramiche; per passare poi a quella dell’’85, con le categorie di paesaggio; e
pervenire da ultimo alla Convenzione ed alla Carta europea del paesaggio del
200031.
Secondo la Convenzione, il paesaggio non è solo il prodotto evolutivo della
continua interazione tra fattori naturali ed antropici, ma anche “una componente
essenziale del quadro di vita delle popolazioni, l’espressione della diversità
del loro comune patrimonio naturale e culturale ed il fondamento della loro
identità”.
Questa concezione si applica necessariamente all’intero territorio, includendo
non solo i paesaggi di particolare valore, come appunto i paesaggi culturali
tradizionalmente intesi, ma anche quelli della quotidianità e dell’ordinarietà
o, persino, del degrado: l’attenzione si sposta così dai paesaggi culturali
significativi, al significato culturale che tutti i paesaggi presentano, con
modalità diverse, richiedenti misure diverse di protezione, gestione e
pianificazione.
La generalizzazione del valore paesaggistico a tutto il territorio, sia pure in
maniera differenziata, porta alla necessità di una sua considerazione diffusa,
integrata negli aspetti naturalistici e storici, ed interpretata attraverso
situazioni caratterizzate da varia sensibilità alle trasformazioni e
vulnerabilità.
In tale contesto, le politiche del paesaggio possono interagire con le politiche
delle aree protette, anche nel contesto europeo, ed è facile far corrispondere
alle aree protette ed al loro sistema, nella sua complessità ed articolazione,
aspetti e significati di paesaggio contraddistinti da particolare rilevanza.
Un’ulteriore tema di raccordo è offerto alle aree protette32 ed al loro sistema
dalla presenza frequente nella pianificazione ordinaria, territoriale,
ambientale, faunistico-venatoria, di situazioni riconosciute come
particolarmente connotate: forme di protezione non rientranti in quelle previste
dalla legge quadro o dalle relative leggi regionali di recepimento; situazioni
di vulnerabilità da sottoporre a prevenzione e recupero dal degrado,
risistemazione, ripristino ambientale ecc.
Anche per tali situazioni, come per il paesaggio, come per la rete delle
biodiversità e delle connessioni ecologiche, il rapporto di relazione con il
sistema delle aree protette consolida una sorta di infrastrutturazione
ambientale che nel suo effetto diffuso su tutto il paese e nella rilevanza del
territorio interessato può acquistare peso determinante nell’orientare le scelte
e le politiche di intervento.
Appare rilevante, a tal proposito, per favorire lo studio dello sviluppo
economico nelle aree protette, approfondire i contenuti del progetto APE33.
Il progetto APE è nato da un’idea promossa dalla regione Abruzzo e da
Legambiente nazionale, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente,
sull’esigenza di porre l’accento sullo sviluppo ecosostenibile delle zone
montane e proporre l’intero arco appenninico, dove maggiore è la biodiversità e
rilevante il patrimonio storico e culturale, come un unico insieme, omogeneo e
coerente, di ambiente e cultura.
Riguardo alle aree protette, si evidenzia dunque un’esperienza più che
decennale, con contenuti fortemente innovativi nelle tematiche da tempo
preesistenti, contrassegnata da un forte impulso operativo, anche se non
egualmente distribuito su tutta la realtà nazionale; poche leggi, come la n.
394/9134, con le modifiche ed integrazioni intervenute, e le conseguenti leggi
regionali di recepimento, hanno avuto sul campo molteplici riscontri e
riconoscimenti positivi.
Oggi si dispone dunque di riferimenti concreti, ben oltre i principi dichiarati
dalla legge quadro, per una materia largamente, se non esclusivamente,
coincidente con il mondo rurale, non solo per semplice sovrapposizione di ambiti
territoriali ed ambientali di operatività, ma anche per tutto quanto riguarderà
le conseguenti politiche di tutela, conservazione, valorizzazione che
inevitabilmente coinvolgeranno ugualmente gli stessi soggetti ed oggetti
espressione di quella realtà.
Nel corso degli anni, la sovrapposizione e coincidenza tra mondo rurale e mondo
delle aree protette si è caratterizzata attraverso una fortissima evoluzione,
tuttora in corso, per fasi fra loro spesso non chiaramente distinte ma sempre
fortemente caratterizzate: prima per prevenzione e diffidenza reciproca tra le
parti, se non per dichiarata conflittualità; poi per indifferenza, estraneità e
neutralità vigilata; poi ancora, e da ultimo, per la ricerca di sinergie ed
alleanze attraverso la condivisione di opportunità da ottimizzare e traguardi da
raggiungere.
Le motivazioni di questa evoluzione va ricercata tanto in cause esterne, in
seguito al mutare ed all’adeguarsi delle politiche comunitarie, nazionali,
regionali; quanto in motivazioni interne, soprattutto sul versante delle aree
protette, nel passaggio della loro politica dal momento difensivo dell’autoreferenziazione
e dell’affermazione della propria identità, a quello della ricerca di un
raccordo e di una integrazione, nella logica di sistema, con il contesto
territoriale ed ambientale, ma anche sociale ed economico.
I riferimenti principali della legge quadro circa lo sviluppo rurale, sono
desumibili da una lettura attenta del dispositivo di legge, dove, nei principi
generali, l’accostamento delle problematiche agro-silvo-pastorali a quelle della
valorizzazione, conservazione e tutela evidenziano una concezione dello sviluppo
rurale, in funzione del presidio ambientale e del territorio, particolarmente
significativa per le finalità da perseguire con il regime speciale delle aree
protette.
Innanzitutto, già a partire dai principi generali, vi è tra le finalità della
legge, l’applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a
realizzare un’integrazione tra uomo ed ambiente naturale, anche mediante la
salvaguardia delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali; inoltre, nelle
aree protette, possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione
delle attività produttive compatibili.
Attraverso intervenute integrazioni alla legge quadro, è stata inserita la
previsione di programmi nazionali e politiche di sistema tramite le quali il
Ministero promuove, per ciascuno dei sistemi territoriali dei parchi dell’arco
alpino, dell’Appennino, delle isole e delle aree marine protette, accordi di
programma per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili con particolare
riferimento alle attività agro-silvo-pastorali tradizionali, dell’agriturismo e
del turismo ambientale; tali accordi riguardano, tra i vari Ministeri, quello
dell’agricoltura, le regioni ed altri soggetti tanto pubblici che privati.
Nel programma triennale per le aree naturali protette, successivamente soppresso
come strumento ma i cui contenuti, sempre validi, saranno trasferiti all’intesa
tra stato e regioni in sede di Conferenza permanente, il riparto delle
disponibilità finanziarie per le aree protette comprende possibilità per
contributi in conto capitale destinati all’esercizio di attività agricole
compatibili, condotte con sistemi innovativi ovvero con recupero di sistemi
tradizionali, funzionali alla protezione ambientale35.
Nelle misure di salvaguardia, in attesa dell’istituzione delle aree protette
programmate, si vieta qualsiasi mutamento della utilizzazione dei terreni con
destinazione diversa da quella agricola.
Nelle misure di incentivazione, tra gli interventi, impianti, opere da
localizzare nei parchi, a cui viene attribuita priorità nella concessione di
finanziamenti statali e regionali da destinare a soggetti pubblici o privati,
singoli o associati, figurano quelle per l’agriturismo e per la conservazione ed
il restauro ambientale del territorio, ivi comprendendo le attività agricole e
forestali.
Il regolamento del parco, quale disciplina delle attività consentite, riguarda,
tra l’altro, le attività agro-silvo-pastorali e, nei divieti, comprende la
caccia e la raccolta ed il danneggiamento delle specie vegetali; è fatta salva,
però, la raccolta nei territori in cui sono consentite le attività
agro-silvo-pastorali; in generale sono sempre possibili deroghe ad eccezione per
quanto riguarda il divieto di caccia; sono regolamentati i prelievi faunistici e
gli abbattimenti selettivi purché finalizzati alla ricomposizione degli
squilibri ecologici.
Tra i contenuti del piano del parco36 figura, in particolare, tra l’altro, la
previsione di una zonizzazione che, anche nelle aree cosiddette di protezione,
consente la continuazione, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di
agricoltura biologica, delle attività agro-silvo-pastorali, nonché della
raccolta dei prodotti naturali; tra i contenuti del piano è ricordata la
disciplina dei sistemi di attrezzature e servizi per le attività agrituristiche.
Tra le iniziative per la promozione economica e sociale, da fare oggetto di
previsione da parte del piano pluriennale economico e sociale del parco, figura
l’agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, delle attività
agro-silvo-pastorali.
È prevista l’indennizzabilità, secondo principi equitativi che considerino la
possibile compensazione tra vantaggi e svantaggi conseguenti all’istituzione
dell’area protetta, dei vincoli derivanti dal piano alle attività
agro-silvo-pastorali.
Di particolare interesse nel materializzare ed esemplificare, sia pure sempre in
linea di principio, il rapporto privilegiato tra politica delle aree protette e
sviluppo rurale, è il passaggio dagli indirizzi generali della legge quadro a
quelli, un poco più specifici, relativi all’attivazione della rete ecologica
nazionale quale campo di impegno per la valorizzazione delle risorse ambientali
nelle complessive politiche di sviluppo.
Il riferimento alla rete ecologica37 nazionale costituisce comunque un passo
avanti non da poco nel riconoscimento e nell’ufficializzazione di una logica
comune e di un interesse unitario che può collegare più politiche, se gestite
accortamente.
Attraverso l’individuazione del concetto di paesaggio risultante dalla ruralità
può acquistare evidenza ed interesse, per una più ampia e generalizzata
fruizione, anche il patrimonio naturale e seminaturale, con la sua particolare
caratterizzazione faunistica e vegetazionale, spesso finora riservato solo al
mondo della scienza, non sempre e non immediatamente percepibile nei suoi
valori, ad una osservazione non specialistica.
Per paesaggio rurale deve intendersi globalmente, nelle sue complesse e
differenziate tipologie e componenti fatte di assetti morfologici di dettaglio,
reti idrografiche, acque superficiali e zone umide, aree boscate ed arbustive,
coltivi, insediamenti ed edilizia sparsa, sistemazioni agrarie e manufatti
tipici per la difesa del suolo, la regimazione idraulica, l’infrastrutturazione:
componenti queste che nelle aree protette, quali poli d’eccellenza rispetto ai
vari contesti, assumono il significato di fattori di qualità da fare oggetto di
tutela e conservazione non solo in se stessi ma soprattutto e possibilmente
nelle motivazioni ed utilizzazioni, che nel tempo le hanno determinate.
Accanto alla conservazione e alla manutenzione, l’idea della valorizzazione,
legata all’uso sostenibile delle risorse, individua non solo il proseguimento,
ripristino, sviluppo delle utilizzazioni agro-silvo-pastorali, delle produzioni
tipiche e della loro commercializzazione, ma anche l’introduzione delle attività
extra-agricole e di servizio: queste hanno recentemente trovato una forte
affermazione, collegata all’agriturismo ed al turismo rurale, che possono però
estendersi ed interessare con uguale successo le attività ricreative e sportive
all’aria aperta, l’educazione ambientale, la didattica, la ricerca e
sperimentazione estensivamente riferite al campo scientifico e culturale.
Prima di analizzare quali siano gli strumenti di politica agricola all’interno
delle aree protette, sembra auspicabile percorrere il lungo percorso che ha
accompagnato finora l’evoluzione dello sviluppo rurale e soprattutto come
quest’ultimo sia in stretta connessione con l’agricoltura.
In effetti, entrambi i concetti, sebbene connessi tra loro, hanno un diverso
significato, intendendo per agricoltura le attività inerenti alla coltivazione
dei terreni e allevamento di animali, mentre per rurale si intende tutto
l’ambiente sociale e il territorio.
Se da un lato la ruralità è stata considerata sinonimo di povertà e
disoccupazione, d’altro canto, essa ha rivestito una notevole funzione:
sostenere la crescita dei centri urbani, attraverso la fornitura di alimenti; e
contribuire allo sviluppo dell’industria attraverso la messa a disposizione
della forza lavoro a basso costo. Ecco perché la PAC ha assunto un ruolo
fondamentale cercando di eliminare gli scompensi della ruralità agraria.
La PAC non solo ha risolto problemi di origine economica, ma ha assunto funzioni
sociali, di sostegno alla famiglia, e soprattutto di sostegno all’equilibrio
ambientale e territoriale.
Ed è stata proprio questa maggiore sensibilizzazione verso le tematiche
ambientali a porre alla base dei desideri dei cittadini sia che le attività
agricole non avessero impatti negativi sull’ambiente, e sia che gli agricoltori
lavorassero su territori marginali, per poterli valorizzare. In poche occasioni,
gli strumenti di politica agricola riescono a valorizzare territori dove
l’agricoltura è soltanto un’attività marginale.
Questo è anche il caso delle aree protette dove l’agricoltura si pone, non solo
come attività che produce reddito, ma anche come strumento di tutela ambientale
e paesaggistica.
Le politiche economiche che intervengono sull’agricoltura, non devono
semplicemente stabilire i vincoli in un’area protetta limitando le produzioni
agricole, poiché finirebbe col demotivare i coltivatori e gli imprenditori di
aziende agricole che producono un alto impatto ambientale.
Proprio per evitare ciò, è intervenuta Agenda 2000, proponendo un’azione di
coordinamento territoriale, al fine di evitare che le azioni dei singoli
contrastino con le regole dettate dalla Comunità Europea.
Volgendo lo sguardo verso la normativa in materia agricola, si nota come pur
avendo lo scopo di promozione dell’agricoltura compatibile, la protezione del
sistema ambientale appare offuscato.
Nell’ambito della normativa si pongono in evidenza le misure agro-ambientali,
individuate nei regolamenti comunitari Reg. 2078/9238; Reg. 2079/92 e Reg.
2080/92, i quali si occupano rispettivamente di agricoltura compatibile,
proposte di prepensionamento per gli agricoltori più anziani per favorire
l’ingresso di giovani agricoltori.
Un altro gruppo di interventi strutturali per incentivare l’agricoltura,
riguardano i programmi comunitari relativi all’Obiettivo 5a (Reg. 2081/93) che
mira all’adeguamento e al miglioramento dell’efficienza delle strutture
aziendali agricole39.
Riguardo alla programmazione delle politiche comunitarie, in seguito alla
riforma della PAC (c.d. riforma Mac Sharry), si assiste ad un reale cambiamento
di rotta circa gli interventi sia in Italia che in Europa con Agenda 200040.
Agenda 2000 consiste in un programma strategico che riguarda le attività
dell’Unione Europea per il perseguimento di alcuni obiettivi, quali il
contenimento della spesa comunitaria e l’apertura dell’Unione ai Paesi dell’Est.
Principalmente nell’ambito di Agenda 2000, si delinea un nuovo modello di
agricoltura che, essendo meno orientato a garantire i prezzi o a regolare le
produzioni, tende a creare un’agricoltura capace di immettersi nel mercato
mondiale senza dovere ricorrere a sovvenzioni di alcun genere.
Inoltre, si promuove l’uso di metodi produttivi sani, rispettosi dell’ambiente
garantendo nel contempo la qualità dei prodotti e si tende a preservare
l’agricoltura ricca di tradizioni la cui finalità è quella di far sopravvivere
comunità rurali vivaci e attive41.
In ogni caso, è importante evidenziare come nel programma di Agenda 2000 prevale
una politica di sostegno per i mercati, offuscando negli ultimi anni il
principio di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e delle risorse naturali,
anche se si è previsto per il futuro un ribaltamento di questa situazione.
Infatti, Agenda 2000 dedica particolare attenzione al tema dello sviluppo
rurale, il quale si presenta come la vera novità che pone in risalto
l’importanza dell’agricoltura nelle aree protette. E’ necessario ripercorrere,
brevemente le tappe dello sviluppo rurale, il quale attraverso la politica delle
strutture agricole della UE nasce e si sviluppa a partire dal 197242.
Nel 1986 L’Atto unico europeo introduceva tra le finalità dell’UE il
rafforzamento della sua coesione economica e sociale e le politiche strutturali
viene assegnato il ruolo fondamentale di riequilibrare il territorio delle
regioni dell’Unione43.
Vanno altresì ricordate le c.d. misure di accompagnamento introdotte con la
riforma McSharry della PAC, che segnano un passaggio significativo per le
politiche di sviluppo rurale: incentivi agro-ambientali (Reg. 2078/92);
prepensionamento (Reg. 2079/92); forestazione (Reg. 2080/92).
Ulteriore riferimento normativo della politica di sviluppo rurale è il
Regolamento 1257/99 che disciplina i finanziamenti comunitari destinati allo
sviluppo rurale e indivia nella sua disciplina: obiettivi strategici generali
che consistono nel potenziamento del settore agricolo e forestale, nel
miglioramento della competitività delle aree rurali e la salvaguardia
dell’ambiente e del patrimonio rurale; obiettivi specifici che riguardano il
miglioramento delle strutture delle aziende agricole, la riconversione della
produzione e il miglioramento della qualità, il mantenimento del tessuto sociale
delle aree rurali, la creazione di occupazione e la tutela e promozione di una
agricoltura sostenibile.
Rispetto alle misure strutturali della programmazione 1994-1999, il Reg. 1257/99
introduce un nuovo sistema di programmazione e di finanziamento e un doppio
sistema di programmazione secondo la Regione in cui è attuato44.
Con la riforma della PAC del 1999 si ha, inoltre, il passaggio definitivo dal
concetto di una struttura produttiva e organizzativa uniforme alla quale le
aziende agricole devono adattarsi, al riconoscimento dell’esistenza di una
pluralità di modelli strutturali che attraverso modalità differenti possono
svolgere una pluralità di funzioni. Inoltre, con tale riforma si introduce
un’altra novità circa la definizione di attività agricola, in quanto l’elemento
caratterizzante dell’agricoltura non è più il prodotto, ma il territorio
agricolo sia utilizzato per le produzioni, sia tutelato nella sua manutenzione45.
Raggiungere gli effetti delle politiche di sviluppo sul territorio rappresenta
lo scopo principale dell’Unione Europea, e tale scopo appare il medesimo che ci
si propone per le aree protette, anche se è ben noto che gli interventi di
sviluppo proposti per queste aree sono i medesimi previsti per qualsiasi altro
territorio46. La sola peculiarità che presentano le aree protette è data dalla
minore densità di popolazione presente sul territorio e quindi una minore
presenza di soggetti interessati all’attuazione delle politiche di sviluppo47.
Infatti, le aree protette dovrebbero essere le destinatarie preferenziali degli
aiuti comunitari in questo senso, per tutte le caratteristiche insite sia nei
propri territori, sia nelle finalità di tutela ambientale che esse svolgono.
In primo luogo, in queste aree vi è un intenso legame tra attività agricole e
società, quindi per evitare l’abbandono delle terre è auspicabile un maggiore
aiuto per questi territori di eccellenza; inoltre le risorse pubbliche possono
essere utilizzate più efficientemente in queste zone, non solo perché gli
obiettivi di tutela ambientale sono gli stessi delle politiche per lo sviluppo
rurale, ma anche perché in questi territori esistono già soggetti e strutture
operative in grado di applicare gli interventi preposti.
Ulteriore vantaggio nell’applicazione degli interventi nelle aree protette è
dato dalla preesistenza di numerosi strumenti conoscitivi e di pianificazione.
Merita, infine, una breve trattazione l’attuale riferimento normativo che si
occupa della Politica di Sviluppo Rurale, cioè il Regolamento 1698/2005 che
designa le politiche di sviluppo rurale per il periodo 2007 – 2013, approvato
dal Consiglio Europeo.
Nel documento della Commissione non si fa alcun riferimento alla definizione di
territorio rurale lasciando sottintendere una sua applicazione orizzontale a
tutte le aree dell’UE.
La novità rilevante, è rappresentata dall’introduzione di un unico strumento di
programmazione, finanziamento e controllo (EARDF) cui destinare maggiori risorse
rispetto al precedente periodo di programmazione.
Gli obiettivi principali della politica di sviluppo rurale riguardano: - la
competitività del settore agro-forestale, vale a dire misure per il
miglioramento delle infrastrutture al servizio del settore agro-forestale,
interventi a supporto degli agricoltori che partecipano a programmi per il
miglioramento della qualità dei prodotti, l’insediamento di giovani agricoltori
ed altre misure specifiche volte a favorire l’aumento di competitività delle
aziende agricole nei nuovi Stati Membri; - il miglioramento dell’ambiente e del
paesaggio rurale, vale a dire misure agro-ambientali e forestali, pagamenti per
gli agricoltori localizzati in zone svantaggiate, pagamenti per le aree che
ricadono nella Rete Natura 2000, adeguamento alle condizioni per il ricevimento
dei pagamenti diretti, il benessere degli animali, i pagamenti per i “servizi”
ambientali prestati dalle aziende, quando eccedono i minimi obbligatori; - il
miglioramento della qualità della vita e la diversificazione dell’economia
rurale attraverso attività non agricole, supporto per la creazione di
microimprese, sostegno alle attività turistiche e per il rinnovamento dei
villaggi.
Gli Assi di intervento tendono a realizzare gli obiettivi di crescita e di
incremento dell’occupazione delle zone rurali e la loro combinazione può essere
variabile, secondo le aree in cui saranno implementati.
Il nuovo regolamento prevede, inoltre, una notevole semplificazione delle
procedure e dei finanziamenti delle politiche rurali: vi è un solo fondo e un
solo programma per gestire la spesa e realizzare le azioni; infatti saranno
beneficiari dei fondi di sviluppo regionale i nuovi paesi membri.
In questo contesto, il nuovo Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale (FEASR)
svolge compiti più ampi e diversi nelle zone rurali, poiché gli altri fondi,
dopo i periodi di transizione, si concentrano nelle nuove realtà e hanno
priorità legate agli obiettivi comuni di stimolare la crescita e l’occupazione
attraverso l’innovazione.
Il nuovo quadro normativo orienta e struttura le azioni di sviluppo rurale,
abbandonando l’approccio di lunghe liste di misure eterogenee e scollegate. In
secondo luogo, pone la questione degli obiettivi comuni a livello europeo,
raggiunti con percorsi diversi, di esigenze di sviluppo non solo settoriali, di
coerenza tra politiche.
Infine propone di integrare un approccio di sviluppo locale partecipativo, come
miglior modo per valorizzare le risorse e le opportunità oggi esistenti nelle
zone rurali.
CAPITOLO III
EVOLUZIONE DELLA PAC: INFLUENZA SUL CAMBIAMENTO DEI PAESAGGI AGRARI.
Le politiche comunitaria e nazionale e le relative norme sono tutte informate,
sia sotto il profilo economico, che quello culturale e ambientale, alla
promozione e valorizzazione di un’agricoltura eco-sostenibile e di tutela del
paesaggio agrario.
Si è passati, in tal senso, da una visione che valorizzava solo l’estetica del
paesaggio, all’attuale sistema con cui si cerca di esaltarne la sua vera e
propria natura, cioè tenendo conto che il paesaggio rurale è soprattutto un bene
culturale49 e rappresenta il risultato dell’uomo attraverso le sue attività
agricole produttive.
Attualmente, ci si rende conto che il degrado di molte aree rurali è dovuto
all’abbandono di colture tradizionali, eccessiva intensificazione colturale,
espansione urbana e crollo dell’azienda tradizionale, che hanno suscitato la
necessità di incentivare la “classica” agricoltura, evidenziando i suoi aspetti
ambientali e naturali50.
La definizione di paesaggio rurale, è implementata nella nozione di paesaggio
dettata dalla Convenzione europea (siglata a Firenze il 20 ottobre 2000),
secondo la quale tutto il territorio è paesaggio e riguarda gli spazi naturali,
rurali, urbani e periurbani; pertanto, non soltanto i paesaggi “eccezionali” ma
anche quelli della vita quotidiana e anche quelli degradati.
In base a tali premesse, appare utile evidenziare la rilevanza delle normative
che si occupano della tutela e della disciplina del paesaggio rurale. Si parte,
innanzitutto, dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, istitutiva delle aree
protette la quale prevede specifiche misure di incentivazione per comuni51 e
province aventi ad oggetto, opere di restauro e conservazione ambientale del
territorio, comprese le attività agricole e forestali.
Inoltre, all’art. 14, comma 3 si prevede la concessione di sovvenzioni a privati
ed enti locali per la promozione e l’agevolazione di attività
agro-silvo-pastorali52.
Appare rilevante anche il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 22853, in
particolare gli artt. 14 e 15. In particolare, in base all’art. 14, le PP. AA.
possono stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli per
la promozione delle vocazioni produttive del territorio, la tutela delle
produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali; l’art. 15 prevede
che le PP.AA. possono stipulare con gli imprenditori, convenzioni attraverso cui
“si impegnano a favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione
e alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e
forestale, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico e di
promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del
territorio”.
In seguito alla firma del Trattato di Roma, nel 1962 nasce la Politica Agricola
Comune, con cui i paesi comunitari si impongono di rilanciare il settore
agricolo degli anni ’50, sia dal punto di vista produttivo, che dal punto di
vista strategico54.
Intorno agli anni ’70, l’Europa raggiunge elevati risultati riguardo alla
produzione agricola, tant’è che agli ingenti costi affrontati per incentivare la
produzione, si sono aggiunti anche i costi per eliminare la produzione invenduta55.
Infatti sovrapproduzioni di cereali, di burro, di frutta destinati alla
distruzione, distorsioni del mercato a danno dei paesi in via di sviluppo hanno
dato l’immagine fin dal 1968 che i successi raggiunti fino a quel momento si
erano rivelati, in realtà, deleteri per la stessa PAC: ecco perché, si è cercato
attraverso il piano Manshold di risolvere tali problematiche, incentrando
l’attenzione sulla riduzione del numero di persone impiegate nel settore e di
incoraggiare la formazione di unità di produzione agricola più vaste ed
efficaci.
Da ciò ne deriva la considerazione che la PAC ha subito una lunga evoluzione che
si snoda in tre passaggi fondamentali: 1) il Libro verde del 1985 con l’intento
di ristabilire un equilibrio fra domanda e offerta; 2) la riforma Mac Sherry del
1992, che comprende misure per la diminuzione dei prezzi agricoli e la
protezione dell’ambiente; e Agenda 2000 che si basa sulle problematiche
economiche, ambientali e rurali nel loro complesso.
Ripercorrendo la storia della PAC e le sue molteplici sfaccettature, si può
fortemente sostenere che attraverso la nascita di questa politica, molti flussi
internazionali vengono sostituiti con il commercio intracomunitario, favorito
soprattutto dal regime di protezionismo attivato in difesa delle produzioni
locali56.
I tre punti cardine su cui si basa la PAC, consistono: - nell’unitarietà del
mercato europeo delle derrate agricole, cioè il tentativo di rendere
commerciabili le derrate agricole tra i paesi membri; - la preferenza
comunitaria, cioè la protezione della produzione comunitaria rispetto alle
importazioni dei paesi terzi; - infine la solidarietà finanziaria, cioè un
sistema di sostegno finanziario che viene posto a carico di tutti i paesi
partner, non in proporzione al beneficio derivante dalla spesa agricola, e che è
arrivato ad assorbire quasi i tre quarti delle risorse finanziarie Cee.
Circa gli effetti prodotti dalla politica agricola, si evince come essa non solo
abbia favorito alcuni prodotti piuttosto che altri, ma che abbia soprattutto
finanziato le medio-grandi imprese e non i piccoli imprenditori. Attraverso
l’Organizzazione Comune dei Mercati (OCM), per ogni prodotto si definiscono i
prezzi di scambio, i prezzi di intervento57, i premi all’esportazione e i dazi
sulle importazioni.
La PAC ha rivestito per un notevole lasso di tempo un ruolo preponderante, in
quanto il suo scopo primario era quello di premiare le forti quantità prodotte,
indipendentemente dalle richieste del mercato; in breve tempo questo sistema si
è rivelato inefficiente a causa della forte eccedenza di prodotti, difficili da
“smaltire”. Si è assistito, pertanto, ad un’inefficiente allocazione delle
risorse, derivanti da una produzione superiore rispetto alla capacità di
assorbimento del mercato; in alcune regioni la produzione intensiva realizza
ripercussioni negative sull’ambiente, poiché pur di aumentare le produzioni si
favorisce l’uso di concimi e diserbanti chimici che peggiorano l’equilibrio
ambientale; infine la PAC comincia a gravare sulle finanze comunitarie che
iniziano a negare finanziamenti alle attività industriali, e tecnologiche.
Per attenuare le difficoltà e le problematiche che si erano verificate in
seguito all’aumento delle produzioni agricole, nel 1992 si è assistito alla
riforma Mac Sharry58 che consiste nella modifica della strategia di intervento
pubblico in campo agricolo, attraverso lo spostamento degli incentivi dal
sostegno dei prezzi al sostegno del reddito agricolo.
La prima novità introdotta dalla riforma, si riferisce alla diminuzione dei
prezzi interni, per avvicinarli a quelli del mercato mondiale. Il secondo
aspetto riguarda la tutela della redditività delle aziende agricole, in quanto
sono stati istituiti pagamenti compensativi che compensano la riduzione dei
prezzi comunitari di sostegno59. Rappresentano, altresì, un’ulteriore novità
della riforma i fattori che influenzano i pagamenti compensativi, che sono
legati anche alle superfici coltivate, ipotizzando una resa media regionale per
ogni terreno.
Infine la parte che risulta rilevante dal punto di vista ambientale, riguarda le
misure di accompagnamento per ridurre l’impatto occupazionale delle riforme:
sono misure agroambientali, di rimboschimento dei terreni precedentemente
coltivati e di prepensionamento degli agricoltori più anziani.
Tali misure agroambientali, sancite nel regolamento Cee 2078/92 limitano la
quantità di produzione incentivando l’agricoltura estensiva e riconoscono il
ruolo di utilità sociale degli agricoltori ai fini della gestione della terra e
della tutela delle risorse naturali.
Infatti, sono previsti aiuti agli agricoltori per l’introduzione e il
mantenimento di strumenti di produzione che siano compatibili con la tutela
dell’ambiente, del paesaggio e delle risorse naturali60.
Nell’ambito delle novità introdotte dalla riforma della PAC, appare rilevante
esaminare come si è evoluto anche il sistema agromonetario, introdotto nel 1969
nella PAC per controllare le variazioni dei prezzi agricoli causati dal mutare
delle singole valute nazionali. Sistema che peraltro si è rivelato non
vantaggioso sia a causa dei suoi elevati costi, che a causa della sua elevata
burocraticità e complicazione.
Soltanto nel 1999, con l’imposizione della moneta unica sono stati definiti i
prezzi e il sistema agromonetario della PAC tende a scomparire definitivamente:
con l’euro si impongono dei prezzi fissi in quanto non si ha più la variazione
dei prezzi causata dalla variazione delle valute nazionali61.
Il finanziamento degli strumenti di Politica Agricola Comune utilizza una serie
di strumenti di intervento e vari fondi, tra cui è necessario segnalare il Fondo
europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEOAG). Questo strumento
finanziario si scinde in due sezioni: la sezione garanzia62 che finanzia la spesa
comunitaria nell’ambito della politica dei prezzi e dei mercati, comprese le
indennità compensative e le misure di accompagnamento introdotte dalla riforma
della PAC.
La sezione orientamento63 finanzia la politica strutturale, come ad esempio
l’ammodernamento delle aziende, l’insediamento di giovani agricoltori,e inoltre
insieme al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e al Fondo Sociale Europeo
(FSE) promuove le azioni di sviluppo rurale.
Questo fondo strutturale viene utilizzato per cofinanziare programmi dotati di
un proprio bilancio nazionale o regionale e quindi attraverso le concertazioni
tra vari enti: tale programmazione si concretizza con l’adozione di decisioni
relative ai documenti unici di programmazione (Docup), ai quadri comunitari di
sostegno (Qcs) e ai programmi di iniziativa comunitaria (Pic).
Il regolamento Cee 2080/93 istituisce lo Strumento finanziario di orientamento
della pesca (SFOP) che ha come finalità di contribuire al conseguimento stabile
di un equilibrio tra le risorse naturali; di incentivare la competitività delle
strutture operative e lo sviluppo di aziende economicamente valide; migliorare
l’approvvigionamento e la valorizzazione dei prodotti della pesca e
dell’acquacoltura.
Infine, l’iniziativa Leader II promuove lo sviluppo rurale, in base ad una
elevata assistenza tecnica sia a monte degli investimenti sia a valle; in base
ad una elevata formazione professionale; il sostegno a forme di diversificazione
dell’economia rurale, come l’agriturismo e l’artigianato; valorizzazione dei
prodotti locali; finanziamenti per la conservazione e miglioramento
dell’ambiente64.
Da queste considerazioni risulta chiaramente come la PAC e le sue modifiche
abbia influenzato i paesaggi agrari della superficie europea in cui si esercita
la sua azione, circa il 90%: per questa ragione la PAC viene definita politica
di territorio in grado di condizionare una parte consistente del suolo.
Il ruolo di una politica economica di settore qual è la PAC, consiste nel creare
il contesto affinché gli operatori possano collocare le risorse e nello stesso
tempo ottimizzare i processi produttivi, tutto ciò attraverso il sostegno
diretto alle aziende e la costruzione di strategie che indirettamente creino
competitività alle imprese.
Pertanto, le strategie dirette sono finalizzate a regolare la produzione
attraverso interventi sui prezzi e controllo dei mercati, e si attuano
attraverso la regolazione degli scambi commerciali extraeuropei; la disposizione
di dazi doganali per sostenere le esportazioni; disponendo il sostegno al prezzo
del prodotto nei mercati interni e attraverso il sostegno ai redditi degli
agricoltori.
Le strategie indirette tendono ad incentivare e favorire lo sviluppo e la
modernizzazione del settore primario e sono caratterizzate da un basso grado di
ingerenza nel mercato; tali strategie riguardano il sostegno e la
regolamentazione del mercato del lavoro; promozione e ricerca scientifica,
miglioramento della struttura aziendale e sostegno alla realizzazione o
mantenimento delle infrastrutture a supporto delle attività nei campi65.
Nell’ambito dell’evoluzione normativa della PAC, un punto di svolta è
rappresentato dal pacchetto di proposte noto con il nome di Agenda 2000, che
come già è stato ampiamente chiarito, rappresenta il vero punto di svolta della
politica agricola comune. In questo contesto, l’agricoltura non si limita alla
produzione di derrate alimentari a prezzi competitivi, in quanto svolge un ruolo
più ambizioso: cioè la gestione responsabile delle risorse naturali, nella
protezione dell’ambiente, specie dove esso appare più vulnerabile e nel
valorizzare l’ambiente stesso al servizio della società.
Del resto, l’agricoltura è sempre stata l’attività principale delle comunità
rurali, ma mentre prima era semplicemente un’attività di sostentamento, in
quanto svolgeva la funzione di apportare cibo alle popolazioni, oggi essa è
divenuta l’attività in base alla quale i produttori non possono sfuggire alla
responsabilità ecologica o al dovere di produrre cibi sani e della migliore
qualità.
Su queste riflessioni si incentra il modello di agricoltura contenuto in Agenda
2000, secondo cui le comunità rurali devono poter contare su una prospettiva
economica a lungo termine, che la sola agricoltura non sempre è in grado di
assicurare.
La politica di sviluppo rurale, rappresentante il secondo pilastro della PAC, si
rivela una fonte di investimento capace di coinvolgere la popolazione locale
nello sviluppo della propria regione. In effetti, il rafforzamento delle misure
ambientali in tutti gli aspetti della PAC promuove metodi di coltivazione più
rispettosi dell’ambiente e contribuisce a salvaguardare i paesaggi e gli habitat
naturali.
L’accordo agricolo contenuto in Agenda 2000 rappresenta la base di riferimento
della posizione dell’UE nei negoziati sull’ulteriore liberalizzazione degli
scambi agricoli nell’ambito dell’OCM66. I punti salienti di questa riforma
consistono nella riduzione dei prezzi predeterminati e dei margini di garanzia
sulla remuneratività del prodotto, continuando il processo di disaccoppiamento
del compenso dalla produzione reale.
Nel contesto delle novità introdotte da Agenda 2000, attraverso lo Sviluppo
Rurale si afferma il ruolo dell’agricoltura, che appare multifunzionale in
quanto le vengono attribuite le funzioni di presidio, conservazione
dell’ambiente e del paesaggio.
Molteplici sono gli obiettivi che risultano dalla politica agricola comune,
rinnovata da Agenda 2000, consistenti, innanzitutto, nell’incrementare la
competitività dell’agricoltura europea attraverso la liberalizzazione del
mercato internazionale dei prodotti; garantire la sicurezza della qualità dei
prodotti; migliorare il tenore di vita delle popolazioni che operano in ambito
agricolo; sostenere la creazione di fonti di reddito alternative da parte delle
aziende; garantire la sostenibilità ambientale della produzione agricola;
semplificare i meccanismi di erogazione della PAC per contenere i fenomeni di
esclusione e l’appesantimento dell’apparato burocratico in fase di gestione.
In questo contesto, le aziende che intendono ottenere dei contributi, sono
vincolate ad una condizione che costituisce elemento di grande novità, vale a
dire la clausola di eco-condizionalità: le aziende possono ottenere contributi
solo a condizione che attuino comportamenti rispettosi dell’ambiente, al fine di
instaurare un forte legame con il territorio e che le attività agricole siano
sostenibili.
Anche lo sviluppo rurale gioca un ruolo di preminenza, in quanto si cercano di
creare le condizioni affinché le attività delle aziende67 siano compatibili con
l’ambiente; attraverso il lavoro delle popolazioni nei territori rurali si
realizzano opere di recupero della qualità ambientale e del paesaggio; il
coltivatore, oltre a svolgere attività di produzione, contribuisce a migliorare
la qualità ambientale.
In seguito all’incessante evoluzione che ha subito la PAC, si è ispirata ai
principi proposti in Agenda 2000 l’ultima riforma, denominata Fischler, dal nome
dell’ex Commissario all’agricoltura dell’UE, approvata dal Consiglio Europeo il
26 giugno 2003 e attuata con i regolamenti 1782/03 (c.d. regolamento
orizzontale) e 1783/03.
Con questa riforma, si è data una vera e propria svolta alla PAC, in seguito
alla quale è possibile sintetizzare i punti salienti che ne danno attuazione:
• Gli aiuti diretti alle aziende e ai coltivatori, previsti dalla vecchia PAC,
sono sostituiti da un pagamento unico disaccoppiati dalla produzione; mentre in
precedenza erano legati alla coltivazione di un dato prodotto o all’allevamento
di determinate specie animali. Tale pagamento viene calcolato sulla media degli
aiuti ottenuti nel triennio 2000-2002, sulla base di diritti all’aiuto per
ettaro e di ettari ammissibili assegnati ad ogni agricoltore o allevatore. Il
disaccoppiamento permette all’agricoltore di svincolarsi dalle colture cui era
vincolato l’aiuto del passato ed è libero di scegliere ciò che egli vuole
coltivare. In tal modo si dovrebbero evitare le distorsioni sui prezzi dei
prodotti creata dal sistema dell’accoppiamento e riequilibrare domanda e offerta68. Differentemente dal passato, si produrrà solo se si prevede una differenza
positiva tra ricavi attesi e costi e ci si orienterà sui prodotti per i quali la
differenza è maggiore. Pertanto, si può affermare che con il disaccoppiamento si
assegna agli agricoltori una rendita improduttiva, calcolata in base ai sussidi
che essi ricevevano in passato e, quindi, scissa dai comportamenti
imprenditoriali correnti.
• Altro punto cardine della riforma, è rappresentato dalla modulazione
obbligatoria , che consiste in una riduzione lineare degli aiuti della PAC nel
corso degli anni. Le somme tolte agli aiuti vengono trasferite agli incentivi al
Piano di sviluppo rurale, rimanendo, in ogni caso, a disposizione degli
agricoltori e allevatori70. La modulazione costituisce una innovazione molto
importante poiché assume il carattere di nuovo pilastro della PAC; infatti essa
conserva il suo carattere di strumento specificamente rivolto a trasferire
risorse dal primo al secondo pilastro, attuando un principio da sempre attuato e
mai davvero applicato. Tale trasferimento, dimostra, ad ogni modo, l’intenzione
di valorizzare le caratteristiche del territorio rurale, specie per ciò che
concerne la qualità dei prodotti: incentivi per la partecipazione a sistemi di
qualità e a corsi di formazione, per offrire servizi di consulenza, per
potenziare la multifunzionalità dell’agricoltura, per promuovere i prodotti
tipici e tradizionali. Inoltre si prevede il miglioramento da parte degli
agricoltori del benessere degli animali oltre le soglie della normativa vigente;
attraverso un sistema definito audit si cerca di guidare gli agricoltori a
recepire le nuove norme di condizionalità e benessere degli animali, aiutandoli
ad attuare in concreto il concetto di agricoltura multifunzionale.
• Infine, appare rilevante il principio della condizionalità, che subordina gli
aiuti al rispetto delle regole agroambientali, e in tal modo la PAC assume una
veste più ambientalista. In questo caso vale il principio “chi inquina paga” per
il quale chi è responsabile dei danni alle risorse ambientali e naturali deve
accollarsi i costi dei danni provocati. L’allegato IV del regolamento
orizzontale definisce i requisiti minimi per le “buone condizioni agronomiche e
ambientali”, affidati alla discrezionalità degli Stati membri: spetta ad essi il
compito di definire gli standard minimi da rispettare per la manutenzione delle
terre anche in caso di abbandono dell’attività produttiva71.
Questi criteri di gestione sono obbligatori e la loro inosservanza comporta la
perdita del diritto al pagamento pieno, con una riduzione minima del 5% e
massima del 100%.
Complessivamente, la riforma Fischler si presenta come un’innovazione di alta
importanza, che cerca di portare l’agricoltura a forme produttive sostenibili,
capaci di soddisfare le aspettative di consumatori sempre più esigenti alla
qualità dei prodotti, valorizzare il territorio rurale nel suo complesso, dare
una priorità all’impatto ambientale dell’attività agricola.
Come tutti i progetti ambiziosi che si rispettano, anche la riforma Fischler
presentava delle palesi difficoltà, in relazione al vincolo di bilancio; questo
dovuto al fatto che si doveva estendere la normativa della PAC ai 10 nuovi paesi
membri che nel 2004 dovevano entrare nella UE.
Infatti, poiché gli effetti di questa nuova riforma si fermano nel 2013, la
normativa finanziaria definita da Agenda 2000 non era sufficiente, in quanto
estendeva i suoi effetti solo fino al 2006: ciò ha comportato la definizione di
una direttrice finanziaria agricola fino al 2013 attraverso il compromesso
raggiunto a Bruxelles nel 2002, in base al quale, qualunque fossero stati gli
sviluppi della PAC sull’allargamento, la spesa totale annua per i pagamenti
diretti della PAC nel periodo 2007-2013, sarebbero dovuti rientrare nel
massimale relativo al 2006.
Se in quell’occasione questo vincolo fu considerato troppo rigido, con il tempo
tutto si è rivelato positivo, sia per l’attuazione della stessa riforma Fischler,
sia per tutelare la dotazione finanziaria della PAC fino al 2013.
Avendo finora analizzato tutti gli aspetti della riforma Fischler, va
sicuramente affermato che, essendo una riforma rivoluzionaria della PAC, essa va
vista come il punto di partenza che sta cercando di condurre l’agricoltura verso
principi di sostenibilità con l’ambiente.
Questo risultato si può certamente ottenere con il disaccoppiamento, considerato
come metodo per rendere più trasparente il sostegno dato agli agricoltori e con
l’imposizione della sua sostenibilità nel lungo termine.
Attraverso questa riforma, si è attuata una radicale trasformazione della PAC
anche sulla scia della flessibilità: non più una politica rigida e impositiva,
ma una serie di misure differenziate e discrezionalmente interpretabili dagli
Stati membri, in ragione delle loro esigenze.
CAPITOLO IV
L’ESPERIENZA CONCRETA: LO SVILUPPO RURALE IN CAMPANIA IN SEGUITO ALLA RIFORMA
DELLA PAC: EVOLUZIONE E PROSPETTIVE.
In seguito alla già citata riforma Fischler, che ha introdotto una radicale
trasformazione della PAC, si è dato vita in Italia e in Europa, a varie
argomentazioni circa gli effetti della stessa riforma e l’adeguamento della
nuova PAC alle esigenze dei vari destinatari. Ci si è basati, soprattutto, sugli
effetti prodotti dalla grande novità della riforma, cioè il disaccoppiamento del
sostegno sugli ordinamenti produttivi, e sui redditi degli agricoltori.
Il disaccoppiamento72 è apparso, senz’altro, sotto una luce positiva, soprattutto
perché, avendo avuto nel nostro paese un’applicazione totale del principio, si
sono avuti maggiori guadagni sia a livello aziendale, che settoriale. L’unico
rischio che è stato evidenziato è il possibile abbandono dell’attività
produttiva e la disattivazione di alcune aziende.
Infatti, la novità più rilevante della riforma è rappresentata dal fatto che gli
agricoltori possono anche scegliere la non coltivazione e nel rispetto dei
vincoli imposti dalla condizionalità, mantenere la terra in buone condizioni
agronomiche e ambientali73.
In questo contesto, è fondamentale esaminare gli effetti della riforma della PAC
riguardo allo sviluppo agricolo della regione Campania, e soprattutto come la
regione stessa abbia cercato di attenersi alle regole e principi dettati dalla
riforma.
Prima di entrare nel merito dell’analisi, è opportuno sintetizzare i punti
salienti della riforma, che consistono: - nel pagamento unico per azienda agli
agricoltori dell’UE, indipendente dalla produzione; - alcuni elementi degli
aiuti accoppiati possono essere mantenuti, in misura limitata, per evitare
l’abbandono della produzione; - il pagamento è condizionato al rispetto delle
norme in materia di salvaguardia ambientale, sicurezza alimentare, sanità
animale e vegetale e protezione degli animali, come pure all’obbligo di
mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed ecologiche; -
potenziamento della politica di sviluppo rurale, cui sono destinati maggiori
stanziamenti, nuove misure a favore dell’ambiente, della qualità e del benessere
animale, nonché per aiutare gli agricoltori ad adeguarsi alle norme di
produzione UE a partire dal 2005;
riduzione dei pagamenti diretti alle grandi aziende allo scopo di finanziare la
nuova politica di sviluppo rurale; - un meccanismo di disciplina finanziaria
inteso ad impedire che venga superato il bilancio agricolo fissato fino al 2013;
- riforme nei comparti riso, frumento duro, frutta a guscio, patate da fecola e
foraggi essiccati74.
Fra gli obiettivi prioritari, per l’insieme delle norme figuranti agli allegati
III e IV del Reg CE 1782/03, si è cercato di pervenire ad una definizione
chiara: degli obblighi cui devono sottostare gli agricoltori; degli indici di
verifica degli obblighi; dei criteri di modulazione del livello delle riduzioni
ed esclusioni, in funzione dell’entità della violazione riscontrata e delle
eventuali reiterazioni.
Il campo di applicazione della condizionalità risulta esteso al di là delle
tematiche ambientali, inglobando nei criteri di gestione obbligatori nuovi temi
quali: la sanità pubblica, la salute delle piante e la salute ed il benessere
degli animali.
La nuova condizionalità prevede che gli agricoltori beneficiari di pagamenti
diretti si impegnino anche “a mantenere la terra in buone condizioni agronomiche
e ambientali” (BCAA). Tale obbligo riguarda tutte le terre agricole, con
particolare riguardo a quelle non più utilizzate a fini di produzione.
L’intervento si focalizza esclusivamente su obiettivi di protezione del suolo,
individuati all’Allegato IV: mantenimento della struttura del suolo e dei
livelli di sostanza organica, oltre che degli habitat.
La verifica del rispetto degli obblighi imposti agli agricoltori avverrà
effettuando controlli su almeno l’1% dei complessivi beneficiari di pagamenti
diretti.
Per la Regione Campania l’ente delegato ad effettuare i controlli è l’Organismo
pagatore (AGEA), che con propria circolare prot. n. ACIU.2005.20 del 28/01/05 ha
definito gli indici di verifica e ha individuato i relativi standard minimi per
le aziende, che consentono: a) la verifica, da parte dell’autorità di controllo,
del rispetto degli impegni previsti in capo all’agricoltore, così come
individuati nella normativa comunitaria e nazionale di riferimento,
eventualmente integrata dalle Regioni ai sensi del D.M. n. 1787/04; b)
l’acquisizione, nel corso dei controlli che verranno svolti, da parte
dell’Organismo Pagatore competente, di informazioni qualitative o quantitative
sufficienti ad applicare l’eventuale riduzione od esclusione dai pagamenti
diretti.
Qualora gli agricoltori non rispettassero gli impegni previsti saranno soggetti
a riduzioni o esclusioni dei pagamenti, in funzione dei criteri previsti
dall’art. 41 del Reg. (CE) n. 796/2004, esplicitati nella circolare AGEA prot.
n. ACIU.2005.20 e precisamente: portata dell’infrazione, gravità dell’infrazione
e durata dell’infrazione.
In presenza di violazione, si procede alla rilevazione di tutti e tre gli indici
di verifica (portata, gravità e durata), partendo sempre dalla registrazione
della “portata”, che rappresenta il parametro iniziale per valutare l’entità
della violazione e determinare le relative riduzioni.
La riduzione dell’aiuto varia entro il 5% per le negligenze (fino al 15% in caso
recidiva); dal 20% al 100% per le infrazioni dolose. Gli importi derivanti dalla
condizionalità ritornano all’UE, mentre gli Stati membri possono trattenerne al
massimo il 25% degli importi recuperati75.
Il Regolamento (CE) n. 1257/99, che ha previsto il Piano di Sviluppo Rurale per
il periodo 2000-2006, impone che l’attuazione degli interventi previsti dal PSR
vengano raccordati con quelli realizzati dal POR in campo agricolo, così da
perseguire una forte integrazione tra le politiche di sviluppo rurale
cofinanziate dalla Sezione FEOGA Garanzia con quelle cofinanziate dalla Sezione
FEOGA Orientamento le cui risorse sono, rispettivamente, destinate al sostegno
dei due Programmi anche in considerazione delle nuove proposte regolamentari
inerenti il futuro periodo di programmazione 2007-2013, concernenti
prevalentemente la semplificazione amministrativa e la creazione di un fondo
unico dedicato al finanziamento dei soli interventi di sviluppo rurale su tutto
il territorio comunitario. Con la DGR n. 163 del 15 febbraio 2005 è stato
completato il processo di delega alle Province degli interventi cofinanziati dai
fondi comunitari.
Pertanto, il principale obiettivo da perseguire è quello di semplificare le
procedure di presentazione e di istruttoria delle domande di adesione alle
singole misure ed al tempo stesso di raccordare il loro iter attuativo in modo
più adeguato, al fine di uniformare la tempistica dei procedimenti e delle
modalità di verifica e controllo.
In analogia all’impianto organizzativo che presiede all’attuazione delle misure
del POR cofinanziate dal FEOGA e dallo SFOP, le Province vengono coinvolte
nell’attuazione del PSR Campania, affidando loro alcune funzioni amministrative,
fermo restando l’impegno degli STAPAC e degli STAPF quale supporto
tecnico-amministrativo per quanto inerisce l’istruttoria amministrativa e i
relativi controlli delle domande.
Le Province svolgeranno le seguenti attività: - ricezione delle domande di
partecipazione alle varie Misure; - protocollazione delle domande in arrivo e
loro trasferimento agli STAPAC e STAPF territorialmente competenti per
l’istruttoria tecnico-amministrativa e le verifiche amministrative; - adozione
degli elenchi di liquidazione e, nel caso della misura H, della proposta di
graduatoria provinciale delle ditte ammissibili a finanziamento; - trasferimento
dei Decreti e dei correlati elenchi al competente Settore dell’A.G.C. “Sviluppo
Attività Settore primario”; - emanazione dei formali atti di concessione e di
approvazione, di eventuali varianti o proroghe per la misura H; - custodia del
fascicolo del singolo beneficiario; - espletamento dei controlli. Sono
esercitate dalla Regione le funzioni amministrative connesse a: - formazione
della graduatoria regionale sulla base delle priorità indicate in domanda; -
invio elenchi di liquidazione adottati dalla Provincia ad AGEA.
La dinamica finanziaria del FEOGA Garanzia, che prevede la chiusura
dell’esercizio finanziario al 15 ottobre di ciascun anno, non consente
l’adozione di procedure caratterizzate da bandi “a sportello” in analogia a
quelle in uso nell’attuazione del POR Feoga e Sfop. I bandi di attuazione delle
misure del PSR sono a vigenza annuale e prevedono un periodo limitato di
apertura.
Questo impone lo snellimento nelle modalità di presentazione delle domande per
consentire un più facile accesso alle misure e una rapida espletazione delle
procedure di istruttoria. Pertanto, le innovazioni procedurali introdotte
riguardano in particolare il ricorso alla completa e rigorosa applicazione delle
norme del “Testo Unico sulla documentazione amministrativa e sulla disciplina
del documento informativo”. In particolare esso si concretizza: - nell’obbligo
di compilazione della domanda secondo modulistica AGEA per le domande relative
alle Misure E, F e H; - nel ricorso all’autocertificazione. La Regione Campania
e le Province provvederanno ad effettuare controlli a campione (25%) sulla
veridicità di quanto dichiarato dai richiedenti in attuazione delle norme
anzidette.
Le Province avvalendosi degli STAPAC e STAPF di competenza provvederanno a: a)
effettuare l’istruttoria delle domande in modo progressivo rispetto alla data di
ricevimento. L’esame dell’istruttoria tecnico-amministrativa sulle singole
istanze si concluderà con un giudizio positivo o negativo sull’ammissibilità
dell’iniziativa a finanziamento, giudizio che va riportato su di un verbale di
istruttoria. Le istanze ritenute ammissibili a finanziamento concorrono a
formare: - per la Misura H, una graduatoria unica regionale; - per le misure D,
E, F, elenchi provinciali che, in caso di risorse finanziarie insufficienti,
confluiranno in una graduatoria regionale formata secondo le priorità che
verranno specificate nei bandi.
b) per le Misure E ed F, predisporre e adottare con provvedimento formale gli
elenchi di liquidazione delle domande ritenute ammissibili entro un termine
massimo di sessanta giorni dal ricevimento delle stesse e comunque non oltre la
data ultima del 1° settembre.
c) dare comunicazione agli interessati dell’eventuale esito negativo
dell’istruttoria.
d) procedere al riesame delle istanze delle ditte non ammesse a finanziamento e
che abbiano prodotto ricorso entro dieci giorni dalla notifica, per le quali si
attiverà la stessa procedura adottata per la fase istruttoria.
e) trasmettere gli elenchi provinciali di pagamento al Responsabile di Misura
per il successivo inoltro ad AGEA, ai fini del pagamento delle agevolazioni.
I Settori IPA e Foreste, Caccia e Pesca, per le Misure di rispettiva competenza,
sulla scorta degli elenchi provinciali delle ditte beneficiarie ammissibili a
finanziamento, previa verifica delle risorse finanziarie disponibili, provvedono
ad approvare con provvedimento del relativo dirigente la graduatoria unica
regionale dei beneficiari.
Tale graduatoria unica regionale sarà trasmessa alle Province competenti per
territorio. Le istanze saranno ammesse ai benefici per la rispettiva misura in
ordine alla posizione in graduatoria regionale, fino al totale utilizzo delle
risorse disponibili.
La Provincia competente per territorio, provvederà, entro 10 giorni successivi
dal ricevimento del provvedimento regionale di approvazione della graduatoria
delle ditte beneficiarie ammissibili a finanziamento, alla relativa
comunicazione e all’adozione degli atti formali laddove previsti.
Relativamente alla misura H le risorse impegnate e non utilizzate, a seguito di
revoche e/o rinuncia e/o economie realizzate sul contributo disposto sono
utilizzate, per il finanziamento di progetti inseriti nella graduatoria unica
regionale e non finanziati per mancanza di fondi, secondo l’ordine di
graduatoria.
Il pagamento delle somme dovute ai beneficiari, ivi comprese le eventuali
anticipazioni previste dalla misura H, sarà effettuata dall’Organismo Pagatore
A.G.E.A. sulla base degli elenchi di liquidazione o forniture su base
provinciale adottati dalla Provincia avvalendosi degli STAPAC e STAPF competenti
per territorio, con le modalità prescelte dal richiedente all’atto della domanda
di adesione. Gli elenchi di liquidazione dei beneficiari (su supporto
informatico e cartaceo), generati da un apposito software fornito da AGEA,
saranno trasmessi dalla Provincia nei successivi 5 giorni ai Responsabili di
Misura che provvederanno ad inoltrarli al Responsabile Unico dei rapporti
Finanziari con AGEA.
Per le domande estratte a campione la liquidazione avverrà previa effettuazione
del controllo in loco, per la Misura H, il pagamento dei premi annui, per
manutenzione e perdita di reddito, avverrà previa verifica in loco del rispetto
degli impegni assunti, su di un campione di beneficiari.
Il periodo di programmazione dei fondi strutturali 2000-2006 si è ormai chiuso,
e sta per partire quello inerente al periodo 2007-2013: ciò impone di
evidenziare pregi e difetti dell’esperienza ormai trascorsa.
Poiché lo studio in esame, cerca di approfondire lo sviluppo rurale nelle aree
protette, e in questo ambito si vuole esaminare il caso della Campania, vi è da
dire che il periodo 2000-2006, ha costituito un’importante novità, grazie
all’introduzione di misure nei programmi operativi regionali (POR) e
l’individuazione della Rete ecologica, come elementi atti a gestire le risorse
naturali e di sviluppo locale sostenibile76.
In effetti, l’individuazione della Rete ecologica ha trovato come ostacolo la
totale assenza di riferimenti normativi circa le competenze e gli ambiti di
intervento: si è determinata, in questo caso, l’applicazione alle aree protette
dei principi della Direttiva Habitat (Rete Natura 2000)77.
Gli aspetti contenuti nel II Pilastro della PAC, tra cui multifunzionalità con
lo scopo di far accrescere il ruolo degli spazi rurali per fornire servizi
ambientali ai cittadini, avrebbero dovuto trovare riscontro nelle reti
ecologiche.
Viceversa le politiche sono rimaste legate agli schemi rigidi, dettati
dall’impostazione dei programmi, nell’asse 1 le risorse naturali, nell’asse 4 lo
sviluppo locale (tra cui l’agricoltura), dalla suddivisione degli interventi per
tipologia di fondo (il FESR per le reti ecologiche, il FEOGA per lo sviluppo
rurale).
Per quanto riguarda la destinazione dei fondi POR 2000-2006, la maggior parte
delle risorse sono state destinate alla realizzazione di infrastrutture per la
fruizione delle aree protette (musei, sentieri, agriturismi) e per l’adozione di
strumenti di gestione, tra cui i Piani di gestione per le aree Natura 2000.
In pratica, la maggior parte degli interventi, hanno preceduto la fase di
gestione delle aree naturali protette e delle reti ecologiche, creando i
presupposti perché il territorio si dotasse di strumenti per la valorizzazione
dell’ambiente naturale. Si è pertanto deciso di creare una serie di strutture la
cui gestione è stata affidata agli enti locali.
In questo ambito, anche in Campania il parco è stato visto come strumento di
partecipazione degli enti locali e come luogo di afflusso degli incentivi
comunitari.
A questo proposito, hanno contribuito a creare una quasi necessità di utilizzare
i fondi strutturali i tempi e il criterio territoriale, consentendo in tal modo
la partecipazione dei vari enti locali.
In Campania si è verificato che molti parchi, pur di accelerare la progettazione
dei PIT, hanno creato infrastrutture turistiche senza neanche accertare la
coerenza dei sentieri e la localizzazione dei centri visita, discostandosi
talvolta anche dalle indicazioni del Piano del parco.
La procedura dei fondi strutturali è spesso vincolata a due aspetti, che, nel
periodo 2000-2006 sono stati addirittura rafforzati: il rispetto dei tempi e il
conseguimento di risultati che sono dimostrabili soprattutto attraverso
indicatori quantitativi.
Appare rilevante, in questo senso, il ruolo rivestito dai fondi strutturali,
attraverso un processo di selezione e di valutazione dei progetti incentrato su
schede tecniche e, tranne pochi casi, da una valutazione “sul campo”, in corso
d’opera.
Si è, infatti, preferito insistere sull’aspetto tecnico-procedurale, adeguato
per la gestione quantitativa della spesa ponendo in secondo piano l’aspetto
qualitativo delle opere proposte, che si presenta idoneo dal punto di vista
della tutela di un habitat o di una specie.
Nella nuova programmazione 2007-2013 rilevano due aspetti fondamentali che
garantiscono una migliore gestione delle aree protette78: - l’integrazione tra
tutela della biodiversità e politiche di sviluppo rurale, in un contesto che
preveda forme di convivenza tra attività tradizionali legate all’agricoltura e
gestione delle risorse naturali; il ruolo delle aree protette nell’ambito dei
cambiamenti climatici attraverso la gestione delle aree agro-pastorali.
Per ottenere ciò, anche in questo ambito, appare utile richiamare la riforma
della PAC che interviene attraverso il rafforzamento delle politiche di sviluppo
rurale attraverso il FEASR. Nel Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, ci si deve
basare su tre assi fondamentali: la competitività agricola, alimentare e
forestale; l’ambiente e gestione del territorio; la qualità della vita e
diversificazione delle zone rurali.
Nel periodo di programmazione 2007-2013 è necessario assicurare il coordinamento
tra le diverse politiche di sviluppo rurale affinché sia finanziata la
realizzazione di progetti finalizzati alla valorizzazione del patrimonio
naturale; inoltre è opportuno che attraverso le proprie competenze, gli enti
locali possano realizzare obiettivi di sostenibilità.
Piuttosto che progetti isolati, non raccordati a sistemi locali di offerta e
all’incremento reale della qualità complessiva di un’area occorre investire
nella creazione e nel rafforzamento di filiere79, innovando la capacità di
progettare e realizzare, agendo sulle scelte del territorio di gestione e sulle
opportunità di sviluppo imprenditoriale.
Come già è stato affermato molteplici volte, la riforma dello sviluppo rurale,
approvata con il Regolamento CE 1698/0580, rappresenta per l’Unione europea uno
dei principali strumenti per rafforzare, a livello comunitario e nazionale, la
visibilità e la verificabilità dell’intera Politica agricola comune (PAC) e per
sostenere gli obiettivi di sviluppo fissati nei vertici di Lisbona e Goteborg
(rispettivamente competitività e ambiente).
Essa si attua attraverso la predisposizione del Programma di sviluppo rurale che
sintetizza i tre strumenti programmatori oggi in vigore (Piano di sviluppo
rurale, Programma operativo regionale, Programma Leader), grazie al sostegno
assicurato dal Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale)81.
La riforma prevede tre livelli di programmazione: il livello comunitario, in
base al quale oltre al regolamento di riforma, il Consiglio adotta gli
Orientamenti strategici comunitari82; il livello nazionale, in base al quale lo
Stato membro predispone il Piano Strategico Nazionale; infine il livello
regionale, in base al quale le Regioni predispongono e sottopongono
all’approvazione della Commissione Europea i Programmi di sviluppo rurale.
In questo senso, la regione Campania ha presentato la bozza relativa al piano di
sviluppo rurale 2007-2013, attraverso la delibera di Giunta Regionale n. 453
della seduta del 16 marzo 2007, in cui vi è “l’approvazione delle proposte dei
Programmi Operativi FSE e FESR per l’attuazione della politica Regionale di
coesione 2007-2013 e del Piano di Sviluppo Rurale della Campania 2007-2013
relativo al FEASR.
Il contributo della Campania nell’attività di programmazione per lo sviluppo
rurale 2007-2013 evidenzia la complessità di un lavoro che ha cercato di tenere
in considerazione tutti gli elementi ritenuti strategici per lo sviluppo delle
aree rurali: in particolare la territorializzazione, integrazione e
complementarità, attuazione strategica.
Il metodo seguito nella stesura della bozza del piano, si è incentrata sullo
stesso percorso di lavoro che già era stato attuato per il piano relativo ai
fondi 2000-2006; prevedendo nel contempo la relativa intesa sia con la
Commissione europea, sia con i relativi enti locali, le Parti economiche e
sociali e con gli enti rappresentativi del territorio.
Appare utile, riportare qui di seguito uno stralcio, contenuto nella bozza del
PSR 2007-2013, dell’analisi dell’attuale situazione campana, settore agricoltura
e industrie, con riguardo ai punti di forza e di debolezza.
“Il sistema agroindustriale campano è un componente di rilievo dell’economia
regionale e manifesta luci ed ombre la cui origine è talvolta lontana nel tempo.
Oltre che dei processi di cambiamento in atto nelle società e nelle economie più
sviluppate, il sistema agroalimentare campano risente delle specifiche dinamiche
socio-demografiche operanti nella regione, con processi di forte
differenziazione fra le aree rurali interne e quelle urbane e costiere. La
riduzione dell’importanza dell’agricoltura ed il contemporaneo rafforzamento
dell’industria alimentare delineano le tendenze di fondo, su cui influisce
sempre più direttamente la crescente rilevanza delle componenti associate della
logistica ed alla dinamica del sistema distributivo.
Ad una serie di caratteristiche strutturali ed economiche deboli del suo
apparato produttivo, il settore agroalimentare regionale contrappone alcuni
elementi distintivi basati su un ampio paniere di prodotti, di cui molti oggetto
di tutela con marchio comunitario o nazionale. La Campania infatti si distingue,
rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno, per la presenza di ben 28 prodotti
tra Doc, Docg ed Igt, 6 Dop e 5 Igp, a cui vanno aggiunti oltre 300 prodotti
tradizionali delle diverse realtà territoriali.
La valorizzazione sui mercati nazionali e internazionali di questo grande
patrimonio produttivo è uno degli obiettivi da perseguire nei prossimi anni, in
modo da consolidare i risultati positivi che la regione ha ottenuto in termini
di esportazioni. Il sistema agroalimentare nell’economia campana è dunque
importante, sebbene la sua incidenza nella formazione del valore aggiunto
regionale vada affievolendosi nel tempo, soprattutto per la componente agricola.
Nel corso degli ultimi anni (dal 1995 al 2003), il valore aggiunto agricolo è
cresciuto molto meno (circa il 6%) di quello dell’industria alimentare (circa il
13%) ed entrambi sono cresciuti meno del valore aggiunto regionale in complesso
(+17,7%). Ciò ha portato al ridimensionamento, seppur di lieve entità, della
quota del settore agroalimentare che, in complesso, si attesta intorno al 5,6%
del valore aggiunto regionale (ISTAT, 2003).
Più in particolare:
• l’agricoltura, con un valore aggiunto a prezzi correnti pari a circa 2.500
milioni di euro (2004), spiega il 3% valore aggiunto regionale, contro il 4.2% a
livello di Mezzogiorno e il 2,4% nazionale. Va inoltre segnalato che dal 2000 al
2004 il valore della produzione agricola regionale a prezzi costanti è in
leggera flessione (-1,8%), in controtendenza rispetto sia alla dinamica della
produzione italiana (+0,5%) che a quella meridionale (+1,9%);
• l’industria alimentare, con un valore aggiunto a prezzi correnti pari a circa
2.100 milioni di euro (2003), costituisce il 2,6% del valore aggiunto regionale,
un peso superiore al 2.3% che si registra nel Mezzogiorno e al 2,2% a livello
nazionale. Va inoltre sottolineato che nell’ultimo decennio il valore aggiunto
dell’industria alimentare campana ha mostrato una crescita robusta (+12,7%),
molto superiore a quella media nazionale (+4,9%) e del Mezzogiorno (+9,9%). Sul
fronte dell’occupazione, il sistema agroalimentare in complesso contribuisce per
circa il 9,5% all’occupazione totale campana, contro una media nazionale del
7,5%, confermando la specializzazione relativa della regione in questo comparto.
Più in particolare:
• l’agricoltura assorbe circa 120.000 unità di lavoro (2004), pari al 6,7% del
totale regionale, contro una media del 5,2% a livello nazionale. L’occupazione
agricola va però riducendosi drasticamente, a ritmi superiori rispetto a quanto
avviene nel Mezzogiorno e nel resto d’Italia, anche se negli anni più recenti
questa tendenza si è attenuata.
• l’industria alimentare occupa quasi 41.000 unità di lavoro (2003), pari al
2,7% del totale regionale. Tale valore è superiore al dato nazionale (2,3%), ed
anche ciò conferma la specializzazione relativa della regione nel comparto
agroalimentare. Inoltre, nel corso del periodo
1995-2003 si è registrato un significativo incremento dell’8,4%.
Nel complesso, il peso relativo dell’agroalimentare campano rispetto a quello
nazionale rimane abbastanza significativo per entrambe le variabili considerate:
tre il 7,6 e l’8% per il valore aggiunto e tra l’8,4 e il 9,6% per gli occupati.
Il fatto che il peso dell’agricoltura e dell’industria alimentare sia maggiore
sul fronte occupazionale rispetto a quello produttivo denota una ridotta
produttività del fattore lavoro, specie nel settore primario, anche se con
dinamiche differenziate. In particolare:
• la produttività del lavoro agricolo è pari a 20.842 euro per addetto, con un
notevole e costante incremento derivante dal concomitante effetto di due
tendenze: incremento del Valore Aggiunto Agricolo e diminuzione nel numero degli
addetti;
• la produttività del lavoro nell’industria alimentare è pari a 51.416 euro, con
un modesto incremento nel corso degli ultimi anni derivante principalmente dalle
buone performances di mercato del settore; Le variazioni rispetto al 1995 del VA
agricolo a prezzi costanti (prezzi 1995) mostrano per l’agricoltura regionale un
trend altalenante sul quale hanno inciso fattori contingenti di ordine climatico
o relativi ad emergenze ambientali (sopratutto nel 2003, per l’ortofrutta e la
zootecnia bovina ed ovicaprina) in specifici contesti locali. A livello
nazionale, le tendenze sono sostanzialmente simili, sia pure con una minore
variabilità di breve periodo. Per la trasformazione agroalimentare l’andamento
del VA regionale è stato decisamente negativo, anche rispetto alla stessa
componente nazionale, fino al 1999, per poi intraprendere un ciclo positivo
distinguendosi rispetto a tutte le altre componenti considerate. La buona
performance della trasformazione agroalimentare campana è spiegata soprattutto
dalle esportazioni che, come si vedrà più avanti, rappresentano la componente
più dinamica della domanda, a testimonianza di una buona capacità competitiva
dei prodotti trasformati, verso i quali si va sempre più specializzandosi il
sistema regionale.
Riguardo alle strutture produttive, esse sono molto frammentate e tale
caratteristica condiziona in negativo i risultati del sistema agroalimentare
campano, anche in considerazione della scarsa propensione a forme di
associazionismo e cooperazione, con cui si potrebbero superare i limiti
strutturali ed acquisire maggior potere contrattuale nei confronti del sistema
distributivo.
La situazione strutturale dell’agroalimentare campano si può così sintetizzare:
• in base ai dati ISTAT, l’attività agricola è esercitata da meno di 250.000
aziende, con una superficie agricola totale di 878.524 ha ed una superficie
agricola utilizzata (Sau) di circa 600.000 ha., ma è ben noto che, come del
resto avviene in tutto il territorio nazionale, le unità produttive assimilabili
a vere imprese, ancorché piccole, sono molto meno. Sempre stando ai dati ISTAT,
intercensuario 1990-2000, si è assistito alla riduzione di circa 22.000 aziende
(-8,1%), prevalentemente di ridotte dimensioni,con una perdita di Sau del 9,8%.
Si è quindi aggravata l’estrema frammentazione fondiaria, con una dimensione
media aziendale pari ad appena 2,4 ettari di Sau ed una polarizzazione delle
aziende quanto mai accentuata: circa il 56% delle aziende agricole campane hanno
meno di 1 ettaro di SAU, mentre quelle che hanno una dimensione superiore ai 5
ettari sono meno del 10% (ed è ovviamente soprattutto in questo 10% che vanno
ricercate le unità produttive assimilabili ad imprese agricole). In ogni caso,
le ridotte dimensioni aziendali, se rappresentano un grave elemento di debolezza
dell’intero sistema, contribuiscono a renderlo maggiormente elastico. Peraltro,
stando ai risultati dell’indagine sulle strutture delle aziende agricole del
2003, vi sono segnali di novità, con un aumento delle dimensioni medie aziendali
e la crescente importanza della gestione della terra in regime misto di
proprietà ed affitto. Si osserva, inoltre, una buona propensione alla
specializzazione in alcuni settori produttivi;
• riguardo alla composizione della PLV, l’incidenza delle coltivazioni erbacee e
foraggere risulta prevalente (circa il 52%, contro il 38% calcolato a livello
nazionale) anche in relazione alla forte e consolidata tradizione orticola in
alcune aree di pianura. La zootecnia incide per il 20% (dato Italia = 33%),
mentre il peso delle coltivazioni legnose e dei servizi è allineato al dato
nazionale (rispettivamente, 23% e 5%);
• le tipologie aziendali più diffuse sono caratterizzate dall’utilizzo
prevalente del lavoro del conduttore e della sua famiglia (circa 80% delle
aziende), mentre il ricorso a forza lavoro esterna spesso è limitato a forme
diverse di manodopera avventizia, stagionale e extracomunitaria. Tra gli aspetti
più critici va annoverato, come vedremo, l’alto grado di invecchiamento dei
conduttori ed il basso ricambio generazionale. Inoltre, va rimarcata la forte
differenziazione territoriale del “patrimonio culturale” rurale, che è uno degli
elementi alla base delle numerose e diversificate tradizioni e tipicità locali;
• anche il comparto della trasformazione agroalimentare appare fortemente
connotato da elementi di debolezza strutturale, determinati dalle ridotte
dimensioni aziendali e dalla scarsa utilizzazione della capacità produttiva e
finanziaria. Nel complesso, il Censimento Istat del 2001 ha rilevato oltre 7.100
Unità Locali, di cui quasi il 46% a carattere artigianale. Circa la metà rientra
nella classe con 1 solo addetto, oltre l’85% non assorbe più di 5 addetti,
mentre la classe di imprese con oltre 100 addetti è pari ad appena lo 0,5% del
totale;
• l’industria alimentare campana mostra una forte concentrazione territoriale,
con il 43,2% delle Unità Locali in provincia di Napoli ed il 26,2% in provincia
di Salerno. A tale concentrazione corrisponde una elevata specializzazione, come
nel caso dell’industria conserviera nell’Agro Nocerino-Sarnese o della
trasformazione casearia nella Penisola Sorrentina. La presenza nelle altre
realtà provinciali è molto scarsa anche se vi sono alcuni nuclei tradizionali
importanti che si sono tramandatisi nel tempo, come la produzione di torroni a
S. Marco dei Cavoti (BN) ed Ospedaletto d’Alpinolo (AV) o la pasta a Gragnano
(NA).
Il commercio estero agroalimentare della Campania evidenzia dinamiche abbastanza
interessanti. Le importazioni si sono stabilizzate negli ultimi su livelli
inferiori a quelli della metà degli anni novanta, facendo però registrare
modifiche nella propria struttura interna, con una quota consistente di materie
prime agricole che si è andata col tempo ridimensionando, fino ad essere
superata dai prodotti trasformati nell’ultima fase.
Le esportazioni, invece, mostrano un trend in crescita trainato quasi
esclusivamente dalla componente dei prodotti trasformati a testimonianza della
forte specializzazione della regione nei prodotti a più elevato valore aggiunto
e di una loro buona capacità competitiva. Questi risultati positivi sono dovuti
soprattutto al settore conserviero, a cui negli anni più recenti si sono
affiancati il caseario e il vinicolo, i quali evidenziano dinamiche relative
interessanti, sebbene con quote più modeste, soprattutto per il secondo. Il peso
della Campania nel commercio estero italiano di prodotti agricoli è pari al 7,6%
per le esportazioni ed al 6,9%, per le importazioni.
Tutti i comparti del settore primario (agricoltura, silvicoltura e pesca)
mostrano saldi negativi, che concorrono ad un deficit complessivo stimato in
circa 2 miliardi di euro (Istat, 2004) ed in ulteriore peggioramento. Tuttavia,
guardando all’intero settore agroalimentare, comprendendo quindi anche
l’industria di trasformazione, il risultato si inverte: la Campania, infatti,
partecipa, per ben l’8,5% alle esportazioni agroalimentari nazionali e solo per
il 4,7% alle importazioni, con un saldo normalizzato ampiamente positivo (5,8%),
che rappresenta un dato ormai strutturale e che si ripropone da diversi anni in
controtendenza con l’aggregato nazionale che nel 2004 fa registrare un saldo
normalizzato negativo che supera il 17%.
Come osservato poc’anzi, la Campania dispone di un paniere piuttosto ampio di
produzioni di qualità strettamente legate alle tradizioni ed alle specificità
dei territori di provenienza, molte delle quali hanno ottenuto il riconoscimento
di un marchio comunitario ai sensi dei Regolamenti CE 2081 e 2082 del 1992, o ai
sensi della legge 10 febbraio del 1998 n. 164 (Doc, Docg e Igt). Occorre inoltre
tener conto delle numerose domande di riconoscimento della denominazione
d’origine che attualmente hanno raggiunto fasi più o meno avanzate dell’iter
procedurale previsto per la registrazione del marchio. Il quadro si completa,
infine, con ben 305 produzioni incluse nell’elenco dei Prodotti agroalimentari
tradizionali elaborato dal MiPAAF (D.M. 18 luglio 2005).
Tuttavia, non sempre l’ambito riconoscimento comunitario del marchio d’origine
produce gli effetti sperati, talvolta a causa di una scarsa adesione, da parte
dei produttori, ai consorzi di tutela e di valorizzazione e, in ogni caso, a
causa di una scarsa attenzione rivolta ad attività di commercializzazione e di
marketing gestite in forma collettiva. Inoltre, il successo dei prodotti con
riconosciute connotazioni di tipicità dipende non solo da fattori economici e
dalle capacità manageriali che le singole imprese sono in grado di esprimere, ma
anche da variabili di contesto e relazionali che si sviluppano all’interno ed
all’esterno della filiera e del territorio di origine.
Del resto, come mostrato da recenti studi, il tessuto produttivo delle filiere
agroalimentari campane appare il più delle volte disgregato, poco aperto alle
sollecitazioni del mercato e condizionato, al suo interno, dal tendenziale
individualismo del management locale e dallo scarso clima di fiducia, che
rappresentano ostacoli di origine culturale alla implementazione di forme
collettive di valorizzazione dei prodotti.
In sostanza, la diffusa presenza di marchi a denominazione d’origine non sempre
rappresenta la reale capacità degli operatori delle filiere produttive a “fare
sistema”. Anzi, accade talvolta che le potenzialità di sviluppo commerciale
delle produzioni di riconosciuta qualità siano minate alla base dalla scarsa
adesione dei produttori ai disciplinari produttivi e, di conseguenza, dalla
ridotta “massa critica” di prodotto necessaria all’implementazione di adeguate
azioni di valorizzazione commerciale.
L’analisi dello scenario relativo alle produzioni connotate da marchio d’origine
evidenzia scenari piuttosto disomogenei, riconducibili alle seguenti tre
situazioni: marchi di successo: è il caso di alcuni prodotti la cui
denominazione, oltre ad avere un particolare legame storico con la Campania, è
rinomata ben oltre i mercati regionali e, in alcuni casi (Mozzarella di Bufala
Campana Dop) assume una posizione di rilievo nel panorama competitivo nazionale,
con una crescente presenza anche sui mercati esteri.
In tale ambito è possibile ricondurre anche la denominazione del pomodoro S.
Marzano, per la quale, tuttavia, a dispetto delle enormi potenzialità derivanti
dalla immediata riconoscibilità del prodotto tra un vasto pubblico di
consumatori, nazionali e non, e dalla presenza di una storica attività di
trasformazione integrata con la produzione agricola, si registra una quantità
certificata non in linea con le attese.
Per altri versi, sono riconducibili in tale categoria anche le denominazioni
relative alle produzioni limonicole, che traggono ampia fonte di successo, tra
l’altro, dall’immagine, consolidata a livello internazionale, dei territori
d’origine; marchi con ridotta massa critica: molte denominazioni, gran parte
delle quali di recente registrazione in sede comunitaria, attualmente non
riescono a decollare dal punto di vista commerciale a causa della limitata
adesione ai Consorzi di Tutela e, conseguentemente, dei ridotti volumi di
produzione.
Molti di questi prodotti, tuttavia, presentano significative potenzialità legate
all’integrazione con le attività turistiche, che alimentano significativi flussi
di domanda anche attraverso la ristorazione locale, o al radicato consumo sui
mercati regionali. Il più delle volte, manca (tra i produttori stesso, oltre che
tra i consumatori) l’immediata percezione del valore aggiunto conferito al
prodotto dal riconoscimento del marchio. In altri casi, la pur rilevante
produzione trova comunque (a prescindere dall’adesione al disciplinare) sbocco
sui mercati regionali, sebbene con un posizionamento poco competitivo.
Infine, alcuni territori sono interessati da marchi extra-regionali (vitellone
bianco dell’Appennino centrale, caciocavallo silano), con diffusione
relativamente scarsa a livello locale; marchi con posizionamento consolidato o
in via di sviluppo: in alcune aree regionali si registra la presenza di filiere
ben consolidate, supportate da una diffusa adesione a strutture
associazionistiche, o dalla presenza di aziende leader.
E’ il caso della filiera vitivinicola del Sannio, che si presenta
particolarmente robusta ed organizzata, e dell’Irpinia, che propone ben tre Docg
e nella quale operano aziende di interessanti dimensioni con prodotti di
eccellenza destinati in buona parte ai mercati esteri. Di sicuro interesse,
anche perché radicate su scala locale e con buona capacità produttiva, ma il cui
processo di valorizzazione non ha ancora sviluppato tutto il suo potenziale,
risultano essere alcune produzioni di qualità nei settori della frutta in
guscio.
Nel complesso, a questa categoria possono essere ricondotti alcuni prodotti il
cui legame con le aree di provenienza è molto evidente e che possono
avvantaggiarsi, tra l’altro, da azioni di integrazione con una concreta e
crescente domanda manifestata in loco dal turismo enogastronomico”.
La visione della “Campania plurale” che pervade il Documento Strategico
Regionale per le politiche di coesione 2007-2013 (DSR) è alla base della
programmazione strategica del PSR, che riconosce la necessità di modulare gli
interventi in funzione dei fabbisogni specifici emergenti dai singoli contesti
locali.
Pertanto, l’intervento in favore dello sviluppo rurale va differenziato e
graduato sul territorio in funzione delle relative specificità e vocazioni.
Peraltro, lo stesso PSN sollecita le Regioni ad adottare un approccio alla
programmazione maggiormente sensibile rispetto ad una domanda di politiche che
si presenta diversificata territorialmente ed a fronte della quale non è utile
rispondere in termini univoci.
In sostanza, si riconosce che l’applicazione indifferenziata degli strumenti a
sostegno dello sviluppo non riesce a soddisfare adeguatamente i fabbisogni
manifestati da sistemi locali che si presentano, sotto diversi angoli di
osservazione (geografico, economico-produttivo, socio-demografico, ambientale
paesaggistico, ecc.), molto disomogenei.
L’obiettivo finale è rappresentato dalla individuazione di specifiche linee di
policy da implementare a livello locale. Dunque, un percorso non meramente analitico-descrittivo, ma funzionale alla differenziazione territoriale
dell’offerta di strumenti a sostegno dello sviluppo rurale.
In altre parole, la territorializzazione non rappresenta l’obiettivo del
processo di programmazione, ma uno strumento attraverso il quale tale processo
può condurre ad una valorizzazione delle risorse endogene dei territori;
rafforzamento della capacità progettuale e gestione locale più efficace alla
combinazione delle linee di policy.
La complessa strategia regionale per lo sviluppo rurale è stata modulata su
scala territoriale interpretandola in rapporto alle caratteristiche strutturali,
socio-demografiche ed economicoproduttive delle singole aree di riferimento,
calibrandola sulla base delle risultanze delle analisi SWOT svolte in ciascuna
di esse.
E’ stato possibile, così, individuare per ciascuna macroarea i fabbisogni
d’intervento ed elaborare conseguentemente specifici indirizzi di sviluppo,
sostanziati dalla indicazione degli interventi prioritari da realizzare
attraverso sia il FEASR che i Fondi Strutturali, e dalla definizione delle linee
di policy che dovranno caratterizzare l’offerta di politica strutturale a
livello locale.
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europea, Programma di seminari, INEA, Roma.
Scapigliati D. (1995), Economia e ambiente, Le Monnier, Firenze.
Sotte F. (2000), Sviluppo rurale e occupazione, Francoangeli, Milano.
Storti D. (2001), Tipologie di aree rurali in Italia, INEA, Roma.
Zumpano C. (2005), Il metodo Leader nella futura programmazione: le principali
questioni da affrontare, in Rivista dello Sviluppo Rurale n. 1, Rete Leader,
Roma.
Siti Web consultati:
http://europa.eu.int/comm/agriculture
http://www.inea.it
http://www.reteleader.it
www.sito.regione.campania.it/AGRICOLTURA/-
http://agriregionieuropa.univpm.it/listart.php?id-categoria=4
www.wwf.it/agricoltura/-16k
__________________________
Note
1
Il concetto “sviluppo sostenibile” ha avuto ampia diffusione nel 1987 attraverso
il rapporto Brundtland, pubblicato dalla World Commission on Environment and
Development, in cui ponendosi a favore dell’ambiente e di uno sviluppo
sostenibile, si cita testualmente: “si è in presenza di sviluppo, solo quando
esso è reale e migliora la qualità della vita, e più precisamente deve esistere
uno sviluppo che garantendo la qualità della vita ed un accesso continuo alle
risorse naturali, eviti danni permanenti all’ambiente”.
2 Non a caso la datata legge 1497 del
1939, di disciplina della tutela del paesaggio, si riferiva già nel titolo alle
“bellezze naturali”.
3 Tale necessità è espressamente prevista
dalla stessa legge quadro n. 394 del 1991, ove si prevede la presenza
dell’organo della Comunità del Parco, espressione tipica delle rivendicazioni
socio-economiche delle comunità locali.
4 Nella Dichiarazione di Den Bosh (Den
Bosh, NL, aprile 1991) in tema di Sustainable Agriculture and Rural
Development (SARD) si afferma: “gli squilibri ecologici, economici, e
sociali non solo mettono in crisi il settore agricolo per le generazioni
attuali, ma ne pregiudicano lo sviluppo anche per le generazioni future”.
5 Per questa ragione, sia le politiche dell’UE, che la PAC
tendono sempre più a prevenire i rischi di degrado ambientale, incoraggiando al
tempo stesso gli agricoltori a continuare a svolgere un ruolo positivo nella
salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente grazie a misure mirate di sviluppo
rurale e contribuendo a garantire la redditività dell’agricoltura nelle diverse
regioni dell’UE.
6 Sono considerate colture a basso impatto ambientale, quei tipi
di coltivazioni già esistenti nei secoli precedenti e che non alterano le
biodiversità, ma tendono alla conservazione e alla tutela degli habitat. Tra
questi tipi di coltivazione va ricordata l’olivicoltura e la viticoltura, che
rappresentano uno dei principali esempi di agricoltura che pone a stretto
contatto aspetti ed elementi delle civiltà agricole del passato con le esigenze
e le impostazioni dell’agricoltura moderna.
Inoltre gli oliveti e vigneti secolari, sono sistemi produttivi concepiti nei
secoli precedenti che difficilmente trovano plausibili ragion d’essere
nell’economia agricola di oggi.
7 Inserendo il concetto di sviluppo sostenibile nel settore
agricolo, si può utilizzare il termine di agricoltura sostenibile o durevole, o
eco-compatibile o integrata.
8 “Solo nella civiltà primitiva, caratterizzata da una
economia di caccia e raccolta, l’uomo partecipava agli ecosistemi planetari come
componente non determinante. Ma poi, divenuto agricoltore sedentario e
allevatore, cominciò a trasformare in maniera attiva il paesaggio vegetale
sostituendo le complesse associazioni vegetali con poche piante coltivate,
incrementando le piante più utili a scapito di quelle di scarso interesse
economico, distruggendo le specie animali ritenute nocive a vantaggio di quelle
addomesticabili come fornitori di cibo o come strumenti di lavoro” (Formica
C., Geografia dell’agricoltura, Roma, La nuova Italia Scientifica, 1996).
9 Possono perciò sorgere conflitti che è necessario risolvere
preventivamente per inserire il settore produttivo “parco” all’interno del
sistema economico territoriale. I conflitti possono derivare dal fatto che
l’istituzione di un parco può comportare squilibri nello sviluppo economico dei
diversi settori di attività, con conseguenti disagi sociali e gravi rischi anche
per l'ambiente naturale.
10 Infatti secondo la legge quadro, nella zona di protezione
integrale (a) non sono comunque possibili utilizzazioni forestali, nella zona di
riserva generale orientata (b) sono consentite «...le utilizzazioni produttive
tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie
nonché gli interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'ente
parco.» (art. 2, lettera b) ), nelle aree di protezione (c) le utilizzazioni
possono continuare secondo le consuetudini tradizionali ed è inoltre
incoraggiata la produzione artigianale di qualità, infine, nella zona (d) sono
previste esplicitamente attività di promozione economica e sociale.
11 Cfr. “La commercializzazione internazionale delle produzioni
tipiche dei parchi regionali campani” a cura di Felice Casucci e Riccardo
Resciniti, ESI, 2006, pag. 30.
12 Con tali strumenti risulta possibile effettuare una
pianificazione dei lavori agricoli, permettendo l’adozione coordinata delle
tecniche a basso impatto ambientale più idonee relativamente alle
caratteristiche ecologico-agricole dei soprassuoli e al tipo di intervento
individuato, nonché la previsione e la preventiva valutazione delle eventuali
infrastrutture necessarie.
13 E’ facilmente intuibile come un’impostazione prevalentemente
vincolistica possa condurre ad una crescita dei costi unitari di produzione in
strutture aziendali marginali sia per le rese che per la posizione rispetto al
mercato, provocando una vera e propria fuga dal mercato delle aziende.
14 Gli strumenti di pianificazione impiegabili sono solo in
parte già recepiti dalla normativa vigente. In particolare nel programma
triennale del Ministero dell'Ambiente sono previsti contributi in conto capitale
finalizzati all'esercizio delle attività agricole compatibili con l'ambiente,
finanziati dal regolamento comunitario 2078/92.
15 Tali interventi sono stati adottati p.e. nella Comunità
Montana dell'Alta Valle del Serchio. Per una analisi critica cfr. STROPPA, 1993.
16 Ciascun Parco redige un apposito regolamento per l’uso della
denominazione e del marchio, attraverso norme che disciplinano un’attenta e
rigida procedura al fine di assicurare che una determinata produzione sia
protetta e lo sia garantendo, innanzitutto, l’affidabilità e la serietà dei
produttori, cioè attraverso azioni che portano alla consapevolezza che
atteggiamenti opportunistici risulterebbero dannosi per tutti gli altri
produttori.
17 Infatti, pur essendo prevista nella legge quadro la priorità
alle aree protette nella concessione di finanziamenti statali e regionali,
l'agriturismo non viene esplicitamene citato nel programma triennale del
Ministero dell'Ambiente e potrebbero quindi derivare «... incertezze, sotto il
profilo operativo, sui concreti meccanismi e sulla predeterminazione dei criteri
di finanziamento...» (cfr. SCARCIGLIA, in CERRUTI (a cura di), 1993, pag. 79).
18 Con il termine “ecologia applicata" si intende una recente
disciplina scientifica finalizzata alla valutazione degli impatti delle attività
umane sulle funzioni degli organismi e degli ecosistemi naturali (WESTMAN,
1985).
19 Sinteticamente, le discipline interessate rientrano
nell'ambito della cosiddetta ecologia applicata per quanto riguarda la
valutazione degli impatti sull'ambiente naturale, mentre per la valutazione
degli effetti socio-economici gli strumenti più promettenti sono costituiti dai
modelli econometrici descrittivi e normativi.
20 Tale definizione appare limitativa, in quanto evidenzia
soltanto il ruolo economico dell’agricoltura senza considerare la sua funzione
ambientale e sociale (protezione della natura, della società rurale, e delle
biodiversità). M. GRECO Sesta Conferenza nazionale di statistica, Roma, ottobre
2002.
21 Cardiff del 1998; Vienna del 1998 ed Helsinki del 1999.
22 L’Eurostat ha individuato una serie di 63 indicatori di
sviluppo sostenibile basati sulle proposte della Commissione delle Nazioni Unite
sullo sviluppo sostenibile.
23 Cfr., Dossier 2001 – 2002 del Ministero dell’Ambiente,
Servizio Conservazione della Natura, Ricerca inter-universitaria “Il sistema
nazionale delle aree protette nel quadro europeo:classificazione, pianificazione
e gestione” a cura del Centro Europeo di Documentazione sulla Pianificazione dei
Parchi Naturali, presso il Politecnico di Torino.
24 Il Parco Nazionale del Gran Paradiso: istituito con regio
decreto legge 3 dicembre1922, n.1584, convertito nella legge 17 aprile 1925,
n.473, integrato dal D.P.R.3 ottobre 1979; il Parco Nazionale d’Abruzzo:
istituito con regio decreto 11 gennaio 1923, n.257, D.P.R. 10 gennaio 1990 e
D.P.C.M. 26 ottobre 1993; il Parco Nazionale del Circeo: istituito con regio
decreto 25 gennaio 1934, n. 285, e legge 6 dicembre 1991, n. 394; il Parco
Nazionale dello Stelvio: istituito con legge 24 aprile 1935, n. 740, e con
D.P.R. 26 settembre 1978 e D.P.C.M. 26 novembre 1993.
25 L’istituzione del Ministero dell’Ambiente avviene con legge
8 luglio 1986, n. 349.
26 La prima relazione sulla situazione ambientale del paese,
“sotto gli auspici del Presidente del Consiglio dei Ministri, ed il
coordinamento del Ministro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica” è del 1974.
27 La materia “parchi ed aree protette”, riguardando
l’organizzazione del territorio, aveva oscillato tra una riserva esclusivamente
statale, con il DPR n. 11/72, ed una completa regionalizzazione, con il DPR
n.616 del 1977, per trovare successivamente una posizione di compromesso con la
l. n.394/91: questa infatti affianca ad aree protette di diritto statale aree
protette di diritto regionale; da ultimo, di recente, con la modifica al Titolo
V della Costituzione, ad opera della legge costituzionale n. 3/2001, la materia
“tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” torna ad essere di esclusiva competenza
statale.
28 Due Conferenze nazionali sulle aree naturali protette, la
prima a Roma, nel 1998, intitolata “Parchi, ricchezza italiana”, la seconda nel
2002 a Torino, documentano sull’evoluzione della situazione, attraverso
l’impostazione a cura del Ministero e i contributi al dibattito dai vari punti
di vista.
29 La legge 8 ottobre 1997, n.344, Disposizioni per lo sviluppo
e la qualificazione degli interventi e dell’occupazione in campo ambientale; la
legge 9 dicembre 1998, n.426, Nuovi interventi in campo ambientale.
30 Direttiva 92/43/CEE “Habitat” relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;
Direttiva 79/409/CEE “Uccelli”. Ministero dell’Ambiente, Direzione per la
Conservazione della Natura, Natura 2000 Italia informa; settembre 2002.
31 Anche se la Convenzione, siglata a Firenze nell’ottobre
2000, promossa dal Consiglio d’Europa, non è stata ancora ratificata dal Governo
italiano, i contenuti della Carta europea del paesaggio costituiscono già la
base per il lavoro delle regioni e per le relative intese da perfezionarsi con
il Ministero.
32 2001 - 2002, Ministero dell’Ambiente, Servizio Conservazione
della Natura, Ricerca inter-universitaria “Il sistema nazionale delle aree
protette nel quadro europeo:classificazione, pianificazione e gestione” a cura
del Centro Europeo di Documentazione sulla Pianificazione dei Parchi Naturali,
presso il Politecnico di Torino.
33 2001 -2002, Ministero dell’Ambiente, Servizio Conservazione
della Natura, Ricerca inter-universitaria: “Appennino Parco d’Europa,
infrastrutturazione ambientale e valorizzazione dell’Appennino nel quadro
europeo” a cura del Centro Europeo di Documentazione sulla Pianificazione dei
Parchi Naturali, presso il Politecnico di Torino.
34 Tale evoluzione culturale è ancora evidente e significativa
nella coesistenza all’interno del Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490,
testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed
ambientali, delle differenti impostazioni risultanti dalla legge 29 giugno 1939,
n.1497, protezione delle bellezza naturali, e dalla legge 8 agosto 1985, n.431,
conversione in legge del decreto legge n.312/’85, disposizioni urgenti per la
tutela delle zone di particolare interesse ambientale.
35 Valorizzazione e sostegno dell’agricoltura nelle aree
protette italiane; intesa tra Confederazione Italiana Agricoltori, Coldiretti,
Confagricoltura, Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali; Roma
1999
36 Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione
economica, Cento idee per lo sviluppo - schede di programma 2000 - 2006. Roma,
1998. Ministero dell’Ambiente, La valorizzazione delle risorse ambientali nelle
politiche di sviluppo: “La rete ecologica nazionale”. Note informative, Roma,
1999.
37 Vedi il confronto con la classificazione elaborata nel 1994
dall’IUCN - Unione Mondiale della Natura - e le elaborazioni documentate dal CED
- PPN nell’ambito della sua attività di ricerca.
38 Le misure agro-ambientali cercano di promuovere forme di
coltivazioni compatibili con la tutela e il miglioramento dell’ambiente, la
conservazione delle biodiversità, e la tutela del suolo e del paesaggio.
39 Tali fondi sono stati finanziati dal FEOGA Orientamento
disciplinato dal Reg. 2085/93, e sebbene abbiano come scopo primario la
promozione di interventi di sviluppo dell’agricoltura, tuttavia alcune ricerche
effettuate dall’INEA, hanno evidenziato alcuni aspetti negativi di questi
incentivi, come la tendenza alla mono successione, l’aumento della
meccanizzazione e dell’uso di mezzi tecnici, infine la destrutturazione
aziendale.
40 Agenda 2000 è un documento con il quali vengono definiti i
nuovi approcci per lo sviluppo del territorio attraverso un riorientamento degli
obiettivi originari per adattarli ai cambiamenti avvenuti in seguito.
41 La politica agricola di Agenda 2000 si occupa, in
particolare a tre grandi temi: 1) la politica dei mercati che regolano le
produzioni comunitarie di alcune categorie di prodotti agricoli, come i
seminativi, la carne, l’ortofrutta, il vino e l’olio; 2) le politiche
strutturali che tendono al miglioramento dell’efficienza delle strutture
produttive e la valorizzazione delle risorse umane; 3) le politiche per lo
sviluppo rurale che individua i vari strumenti per migliorare il rapporto tra
agricoltura e ambiente, per sviluppare la trasformazione dei prodotti agricoli.
42 Obiettivo principale è l’ammodernamento delle strutture
agricole, attraverso incentivi alle imprese poco efficienti che in sei anni
mostravano di poter raggiungere un reddito comparabile ( Dir. 72/159/CEE);
incentivi ai conduttori anziani per cessare l’attività agricola (Dir.
72/160/CEE); supporto informativo per la riorganizzazione dell’attività agricola
(72/161/CEE).
43 E’ opportuno ricordare la Comunicazione della Commissione
“Il futuro del mondo rurale” secondo cui “la nozione di spazio rurale è qualcosa
che va ben oltre la nozione di spazio agricolo, ma comprende un insieme di
attività diverse che vanno dall’agricoltura all’artigianato, al commercio e ai
servizi”.
44 Le attuali aree obiettivo sono: - regioni obiettivo 1, cioè
regioni in ritardo di sviluppo; - regioni obiettivo 2, cioè aree con problemi di
riconversione economica e sociale, zone dipendenti dalla pesca in crisi,
quartieri urbani in difficoltà;- regioni obiettivo 3, cioè tutte le azioni a
favore dello sviluppo delle risorse umane al di fuori delle regioni obiettivo 1.
45 La sola attività di manutenzione del terreno agricolo,
disgiunta da qualsivoglia finalità produttiva, deve pertanto intendersi come
attività agricola (Albisinni F. , 2005).
46 Ciò appare, pressoché assurdo vista la diversità delle aree
protette, in quanto considerate territori di eccellenza, volti alla protezione e
conservazione delle biodiversità presenti in esse.
47 Poiché gli interventi di sviluppo delle politiche
strutturali dipendono dalla densità della popolazione presente sul territorio,
per evitare che le aree protette ricevano pochi finanziamenti (a causa della sua
bassa densità), sarebbe necessario vincolare l’aiuto alle specificità e alle
problematiche di un territorio circoscritto, piuttosto che alla densità di
popolazione del territorio.
48 Il progetto Leader, modificato dal Regolamento 1698/2005 in
sette caratteristiche specifiche (base territoriale, approccio partecipativo,
multisettoriale e integrato, partenariato pubblico-privato, orientamento
all’innovazione, cooperazione tra gruppi e scambi tra gruppi collegati in rete),
funge da supporto ai programmi di sviluppo rurale, diventa il metodo suggerito
per attuare le politiche di sviluppo rurale.
49 Cfr. A. Emiliani, L’immagine del lavoro, in
L’innovazione
conservativa, Cento, 1990, fra coloro che hanno maggiormente contribuito ad
estendere la definizione di beni culturali anche al patrimonio esistente nei
territori rurali.
50 U. Bugaresi, in AA.VV., Laboratorio di urbanistica – Studi
per la legge regionale.
51 Nonché per i privati, singoli o associati, che intendano
realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità
istitutive del parco nazionale a naturale regionale.
52 L’art. 37 prevede inoltre detrazioni fiscali per le
erogazioni liberali a favore degli enti istituzionali che svolgono e promuovono
attività dirette alla tutela del patrimonio ambientale nei limiti precisati
dalla norma.
53 Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma
dell’art. 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57.
54 La PAC rappresenta in fondo un insieme di problemi, di
progressi, di trasformazioni ed è nata sulla base delle macerie della Seconda
Guerra Mondiale, quando una delle priorità della politica era il rilancio
dell’agricoltura per far fronte alle problematiche alimentari che
caratterizzavano il periodo.
55 Il motivo di questo surplus derivava da accordi iniziali in
base ai quali, oltre all’imposizione di prezzi iniziali elevati delle derrate
agricole, vi era la sicurezza che tutta la merce invenduta sarebbe stata
acquistata dagli enti comunitari ad un prezzo già comunicato antecedentemente.
56 Infatti, prima dell’apertura del mercato agricolo gli scambi
intracomunitari erano modesti e si registravano intensi scambi tra singoli paesi
e paesi terzi particolarmente legati ai primi, quali sono state le ex colonie
per la Francia, il Belgio, il Regno Unito, l’Olanda. De Benedictis e De Filippis,
1998.
57 Se il mercato fa scendere i prezzi di determinati prodotti
al di sotto dei livelli previsti, il FEOGA (Fondo europeo di orientamento e di
garanzia agricola) acquista la produzione degli agricoltori e ne assicura la
rivendita: tale ritiro avviene per qualsiasi quantitativo di produzione.
Infatti, per evitare che i surplus si trasformassero in perenni eccedenze
immagazzinate nei depositi della Comunità, si incentivavano gli agricoltori
europei ad esportare al di fuori del mercato comune: la PAC assicurava sussidi
alle esportazioni di prodotti europei.
58 La riforma della PAC si è realizzata in seguito all’accordo
Uruguay Round, svoltosi all’interno del GATT che afferisce alla WTO, che
rappresenta l’istituzione mondiale che sovrintende alla liberalizzazione del
commercio mondiale. Aprendo i mercati agricoli europei alla produzione
internazionale si estendono anche al settore primario tutti i benefici del
libero mercato di cui godono già, da più o meno tempo, i prodotti manufatti e i
servizi dell’economia europea.
59 La distinzione tra l’aiuto comunitario e la quantità
prodotta è definita “disaccoppiamento”, in base al quale si evita che gli
investimenti privati siano influenzati dall’intervento pubblico, restituendoli
alle determinanti del libero mercato.
60 Sono stati approvati, a tale proposito, 160 programmi in
base ai quali si vuole promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, ma nello stesso
tempo, si cercano metodologie che producano poco impatto sull’ambiente, e che
anzi lo tutelino e lo proteggano. I fondi relativi sono stati distribuiti
soprattutto a favore della Germania ed Austria assorbendo entrambe il 45% delle
risorse nel periodo 1994-1997. Queste misure incoraggiano l’agricoltore a
considerarsi non solo fornitore di prodotti alimentari, ma anche tutore
dell’ambiente rurale, patrimonio comune di tutti i cittadini europei.
61 Con la fine del sistema agromonetario della PAC è scomparsa
un’altra forma di diversificazione del mercato, aumentando il carattere unitario
del mercato europeo. Infatti il mercato agricolo è stato frammentato da una
serie di barriere non tariffarie, definite a livello nazionale a causa delle
diverse norme relative ai controlli fitosanitari e veterinari nazionali, alla
lavorazione agro-industriale, alle norme igieniche e di sicurezza per i prodotti
alimentari.
62 Le risorse del FEAOG garanzia per il periodo 2000-2006
rientrano nella dotazione di spesa della PAC adottata dal Consiglio europeo di
Berlino del 24-25 marzo 1999. In seguito, le risorse destinate allo sviluppo
rurale sono state ripartite dalla Commissione fra gli Stati membri, su una base
annua e per un periodo di sette anni, in funzione di criteri obiettivi che
tengono conto di esigenze particolari, segnatamente in materia di ambiente,
occupazione e cura del paesaggio.
63 Le risorse del FEAOG orientamento sono dipendenti dalla
ripartizione che ogni Stato membro deve proporre tra i diversi Fondi strutturali
nei piani di sviluppo relativi a questo obiettivo.
64 Agenda 2000 ha introdotto modifiche sostanziali ai Fondi
strutturali comunitari e in seguito al successo delle iniziative Leader I e
Leader II, la Commissione Europea ha approvato il progetto di orientamenti per
la nuova iniziativa comunitaria in materia di sviluppo rurale Leader + che si
applica a tutte le zone rurali. Nell’ambito di questa iniziativa viene
soprattutto evidenziata la partecipazione delle comunità locali, nonché la
cooperazione e la costituzione di reti fra le zone rurali per lo scambio di
esperienze e il trasferimento di competenze.
65 L’avvio della politica delle strutture inizia nel 1972, con
il riconoscimento comunitario della necessità di realizzare un contesto
favorevole allo sviluppo del settore economico, indipendentemente dalla politica
di mercato e dall’opportunità di favorire gli interventi sui sistemi economici
alla dimensione locale, fornendo strumenti da attuare direttamente a livello
delle comunità e degli ambiti geografici locali. Gli obiettivi contenuti nei
regolamenti Cee 72/159, 72/160 e 72/161, attuativi della politica delle
strutture, prevedono una serie di interventi diretti alle aziende coerenti con
quanto finora applicato. R. Zompi, www.dirittoambiente.it.
66 La Comunità ritiene che un sistema di scambi commerciali
equo e orientato verso il mercato deve tener conto del ruolo multifunzionale
dell’agricoltura, nonché delle preoccupazioni che i consumatori nutrono in
merito ad aspetti quali la sicurezza alimentare, il benessere degli animali e
l’ambiente.
67 Brunori G., Rapporto sull’economia agricola della toscana,
Agricoltura, ambiente, sicurezza alimentare, Ed. Il sole 24 ore, 2000.
68 Si cerca di eliminare la produzione motivata solo dai
sussidi e la vendita a qualunque prezzo: l’agricoltore dovrebbe acquisire una
mentalità di mercato che basi le sue scelte sul prezzo atteso dal proprio
prodotto.
69 Mentre la modulazione facoltativa era già stata introdotta
da Agenda 2000 ed attuata solo dal Regno Unito.
70 La ripartizione degli aiuti dal primo pilastro, misure di
mercato, al secondo pilastro, misure di sostegno rurale, tende a stimolare lo
sviluppo dell’ambiente rurale nel suo complesso, salvaguardandone le
caratteristiche economiche, storiche, sociali e culturali.
71 Vanno definiti standard rigorosi ed equilibrati sia per
segnalare agli agricoltori che la condizionalità è una cosa seria, e sia per
disincentivare la scelta di abbandono dell’attività, alzando il suo costo in
termini di pratiche agronomiche che vanno comunque assicurate, anche in assenza
di produzione, per mantenere il diritto all’aiuto. F. De Filippis.
72 Uno dei punti salienti della nuova riforma è proprio il
disaccoppiamento: se fino ad oggi i contributi e i premi comunitari sono stati
erogati in base al tipo di coltura praticata e alla quantità prodotta,
dall'entrata in vigore della riforma le aziende percepiranno, invece, un unico
importo (pagamento unico per azienda) che sarà calcolato sulla media dei
contributi ricevuti nel triennio di riferimento 2000-2001-2002. La cifra così
ottenuta si trasformerà in un diritto aziendale, cioè in una quota fissa di
contributo che verrà erogata di diritto all’azienda fino al 2013.
73 Al sistema di disaccoppiamento totale possono essere
collegati due effetti: la riduzione delle superfici destinate a colture
tradizionali per alcune aree, il grano duro in particolare, e la non
utilizzazione di una parte della superficie agricola e l’avvio di processi di
abbandono, soprattutto nelle aree più marginali. La verifica dell’esistenza o
meno di questi effetti e la valutazione della loro entità a livello territoriale
rappresenta uno strumento conoscitivo importante che può aiutare nelle scelte
che il policy maker deve effettuare, soprattutto in relazione alla
finalizzazione dei pagamenti supplementari derivanti dall’applicazione dell’art.
69 del Reg. CE 1782/2003 (De Filippis, 2004).
74 Le disposizioni per l’attuazione della riforma della
politica agricola comunitaria sono state definite con Decreto del MiPAF del 5
agosto 2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16/08/04.
L’Italia ha deciso di applicare il pagamento unico dal 01.01.2005, optando per
il disaccopiamento totale ad eccezione dei settori: latte, olio di oliva,
tabacco, cotone e luppolo.
Il pagamento unico è subordinato al rispetto dei Criteri di gestione Obbligatori
(all. III del Reg. (CE) 1782/2003) e al rispetto delle Buone Condizioni
Agronomiche Ambientali (all. IV del Reg. (CE) 1782/2003). L’insieme di tali
obblighi va sotto il nome di “condizionalità”, le cui norme sono state recepite
ai sensi dell’art. 5 del decreto sopra indicato con Decreto del MiPAF del 13
dicembre 2004, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 29/01/2005.
75 Il MiPAF con proprio Decreto del 24 settembre 2004, in
attuazione degli articoli 8 e 9 del Decreto del MiPAF del 5 agosto 2004, ha
definiti i criteri per l’ammissibilità al pagamento supplementare nel settore
dei seminativi e delle carni bovine.
76 L’insieme complessivo delle misure previste, per le sette
regioni dell’Obiettivo 1, a favore della Rete ecologica, nella fase iniziale
della programmazione, era dotato di circa 1 miliardo di Euro. Le modalità e le
scelte operative differiscono molto da regione a regione, soprattutto in
relazione alla differente caratterizzazione dei sistemi regionali delle aree
naturali protette (presenza o meno di una rete regionale, assetto normativo,
capacità progettuale, integrazione con i sistemi locali, …) ma possono,
comunque, essere messi in evidenza alcuni aspetti comuni.
77 La necessità, imprescindibile, di assegnare risorse a uno
strumento per conseguire un obiettivo, ha pertanto limitato la portata di un
approccio basato sulle reti ecologiche che, per loro stessa natura, sono
costituite da ambiti differenti tra loro allo scopo di creare connessioni e
scambi per migliorare la conservazione e ridurre i rischi legati alla
frammentazione. In questo caso sono venuti meno proprio gli aspetti più
strategici delle reti ecologiche, di integrazione tra politiche di conservazione
e di sviluppo, dove migliorare il rapporto tra attività antropiche e ambiente
naturale: in primis il rapporto tra gestione degli spazi rurali e mantenimento
degli equilibri degli ecosistemi.
78 In pochi anni le aree protette hanno mutato la loro funzione
originaria: la necessità di rispondere alle esigenze di orientare lo sviluppo
del territorio, agendo sia sul versante della conservazione sia dal lato della
valorizzazione, ha reso molto complesso il ruolo delle aree protette.
79 Il parco o la rete ecologica non possono essere qualcosa di
esclusivamente immateriale: è necessario identificare il territorio, i tratti
del paesaggio e le attività economiche che in esso si trovano. Legare la
biodiversità alle produzioni locali e alla cultura di un luogo è un processo
complesso e che necessita di capacità e professionalità.
80 GUCE L. 277 del 21.10.2005.
81 Regolamento Ce 1290/05 (GUCE L 209 del 11.08.2005).
82 Decisione del Consiglio 2006/144/CE (GUCE L 55/20 del
25.02.2006).
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 25/10/2007