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Nuovo alt della Cassazione al condono edilizio nelle zone vincolate... ma restano i dubbi sulla ermeneusi restrittiva della norma
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Nota a margine della sentenza della terza Sezione Penale n.
6431 del 15 febbraio 2007
BRUNO MOLINARO*
SOMMARIO
1. L’orientamento consolidato della Corte: il vincolo esclude la sanatoria per le nuove costruzioni, ammettendola solo per gli interventi edilizi minori (art. 32, comma 26, lett. a), d.l. n. 269/2003 ). 2. Le obiezioni alla interpretazione restrittiva della norma. 3. La “non rilevanza” - per i giudici di legittimità - delle argomentazioni addotte dai sostenitori della tesi “estensiva” dei limiti di applicabilità del terzo condono edilizio. 4. Le ragioni per le quali l’ermeneusi riduttiva della norma non convince appieno. 5. La difficoltà di operare correlazioni fra una normativa condonistica, eccezionale e di stretta interpretazione ( art. 32 d.l. n. 269/2003 ), ed altra generale, come quella introdotta dal Codice Urbani ( d.lgs. n. 42/2004 ) in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio. 6. La conferenza dei servizi e la inammissibilità di un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001. 7. La circolare esplicativa del Ministero delle Infrastrutture n. 52/2006 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2006, secondo cui la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta. 8. Conclusioni.
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1. L’orientamento consolidato della Corte: il vincolo esclude la sanatoria per le nuove costruzioni, ammettendola solo per gli interventi edilizi minori (art. 32, comma 26, lett. a), d.l. n. 269/2003).
1.1. Con la sentenza che si annota, la Corte di Cassazione, terza sezione
penale, ribadisce il suo consolidato orientamento in materia di sanatoria
straordinaria introdotta con il d.l. n. 269 del 2003, convertito nella l. n. 326
del 2003, secondo il quale le nuove costruzioni realizzate in assenza del
titolo abilitativo edilizio e in area assoggettata a vincolo non sono
suscettibili di sanatoria, ostandovi il disposto dell’art. 32, comma 26, lett.
a), dello stesso d.l. n.269.
In particolare, ritiene la Corte che, nelle aree sottoposte a vincoli imposti
sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici,
ambientali e paesistici, la norma anzidetta ammetta la possibilità di ottenere
la sanatoria per i soli interventi edilizi di restauro, risanamento
conservativo e manutenzione straordinaria1
e non anche per gli interventi innovativi, comportanti incremento di superficie
e di volume.
I punti fermi di tale restrittivo orientamento, sottolineati anche dalla
decisione in commento, sono i seguenti:
I. <<La seconda parte della lett. a) del comma 26 statuisce
espressamente che, nelle aree sottoposte a vincolo di cui all’art. 32 della
legge n. 47/1985 ( trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e
paesistici ), è possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi
edilizi di minore rilevanza ( corrispondenti alle tipologie di illecito di cui
ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo e
manutenzione straordinaria ), previo parere favorevole da parte dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo.
Ed in proposito non può mancarsi di rilevare che la normativa statale sul
condono edilizio, per la sua natura straordinaria ed eccezionale, è di stretta
interpretazione>>.
II. <<Inequivoca è, al riguardo, la Relazione governativa al d.l. n.
269/2003, secondo la quale “(…) è fissata la tipologia di opere assolutamente
insanabili, tra le quali si evidenziano quelle realizzate in assenza o in
difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli
imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi
idrogeologici, ambientali e paesistici (…).
Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo)
si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia degli immobili
soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla
tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a
vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento
regionale>>.
2. Le obiezioni alla interpretazione restrittiva della norma.
2.1. A tale indirizzo sono state mosse varie obiezioni, talune - nel
giudizio che ne occupa - ad opera dello stesso ricorrente, sulla base di diffuse
argomentazioni, sulle quali i giudici della nomofilachia hanno preso posizione
nel tentativo, non troppo riuscito, come meglio si vedrà in seguito, di
scardinarne la fondatezza sia sul piano logico che su quello più propriamente
giuridico.
Quelle del ricorrente, cui la Corte ha fornito risposta ( rigettandole ),
possono così riassumersi:
2.2. L’art. 43 del d.l. n. 269 del 2003, che ha integralmente sostituito
l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, ha ripudiato l’istituto del silenzio –
assenso2,
attribuendo al comportamento omissivo, protrattosi oltre 180 giorni dalla
richiesta di parere, valenza di silenzio – rifiuto per tutti i tipi di vincoli.
Ai fini dell’acquisizione dei pareri “si applica quanto previsto dall’art.
20, comma 6, del D.P.R. n. 380/01” ed “il motivato dissenso espresso da
una amministrazione preposta alla tutela della salute preclude il rilascio del
titolo abilitativo edilizio in sanatoria” ( comma 4 ).
“Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti
l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il
2 per cento delle misure prescritte” ( previsione, quest’ultima, contenuta
anche nella precedente formulazione ).
2.3. In relazione alla intervenuta sostituzione dell’art. 32 della legge
n. 47 del 1985, le tipologie d’intervento ammesse a condono non potrebbero di
certo essere circoscritte a quelle elencate nei nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1.
Non avrebbe senso, infatti, la obbligatoria convocazione di una “dispendiosa”
conferenza di servizi per opere di minima importanza ( quali la manutenzione
straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo ), né avrebbe senso
richiedere per le medesime opere la acquisizione del parere paesaggistico,
stante la disposizione che tale parere invece esclude “quando si tratti di
violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie
coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte ( violazioni
queste ultime considerate più gravi di quelle che possono commettersi in
occasione dell’esecuzione degli interventi di manutenzione e restauro).3
- 4
3. La “non rilevanza” - per i giudici di legittimità - delle
argomentazioni addotte dai sostenitori della tesi “estensiva” dei limiti di
applicabilità del terzo condono edilizio.
3.1. Tali argomentazioni non appaiono “conducenti”, secondo i
giudici di legittimità, in quanto esse non tengono in conto che:
A) Nelle zone paesaggisticamente vincolate è inibita - in assenza
dell'autorizzazione già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le
cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono
attualmente disciplinate dall'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 - ogni
modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di
qualsiasi genere, non soltanto edilizi, con le deroghe eventualmente
individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma - lett. b, del d.lgs.
n. 42/2004, nonché ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art.
149 e consistenti (tra l'altro) nella manutenzione, ordinaria e
straordinaria, e nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici.
B) Qualora un qualsiasi intervento edilizio da realizzarsi mediante d.i.a.
(quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento
conservativo) riguardi immobili sottoposti a tutela storico-artistica o
paesaggistico-ambientale ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (codice dei beni
culturali e del paesaggio), della legge n. 394/1991 (legge-quadro sulle aree
protette), della legge n. 183/1989 (norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo) e del d.lgs. n 152/2006 (norme in materia
ambientale), l'effettuazione dello stesso è subordinata al preventivo
rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative
previsioni normative (art. 22, 6° comma, del d.P.R. n. 380/2001).
Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, altresì, le previsioni:
- dei piani territoriali paesistici o dei piani urbanistico - territoriali
aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali;
- degli strumenti urbanistici, qualora siano espressamente rivolte alla tutela
delle caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico -archeologiche,
storico - artistiche, storico - architettoniche e storico - testimoniali.
C ) - La previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 - secondo la quale "il
parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i
distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento
delle misure prescritte" [identica sia nel testo precedente, più volte
modificato fino alla formulazione risultante in seguito alla legge n. 662/1996,
sia in quello novellato dal d.l. n. 269/2003] - non è riferita, ad evidenza, al
solo vincolo paesaggistico, bensì a tutte quelle situazioni in cui l'esistenza
di un "vincolo" (quale limitazione alla sfera di godimento e disposizione
di un bene per il soddisfacimento e la tutela di interessi pubblici) è affermata
dal legislatore, con terminologia sicuramente generica e per alcuni versi pure
impropria, in relazione a fattispecie anche molto diverse quanto a disciplina
giuridica, contenuti ed effetti.
Con elencazione avente carattere meramente esemplificativo può ricordarsi che
l'art. 32 inerisce - oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali - ai vincoli
storici, artistici, architettonici ed archeologici; ai vincoli idrogeologici; ai
vincoli previsti per i parchi e le aree naturali protette; ai vincoli derivanti
dall'esistenza di usi civici; ai vincoli derivanti dalle "zone di rispetto"
del demanio stradale, ferroviario ed aeroportuale, dei cimiteri; alle
prescrizioni imposte per le costruzioni da eseguirsi in zone sismiche; ovvero ad
altre limitazioni poste dal d.m. 1.4.1968, n. 1404.
Quanto al vincolo paesaggistico, la disposizione in esame può
razionalmente correlarsi soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal piano
paesaggistico, ex art. 143, 5° comma - lett. b, del d.lgs. n. 42/2004, nonché a
previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle
caratteristiche paesaggistiche ed ambientali.
D ) - Il riformulato 4° comma dell'art. 32 della legge n. 47/1985 si limita a
stabilire che "ai fini dell'acquisizione del parere di cui al comma 1 si
applica quanto previsto dall'articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380".
Il richiamato art. 20, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001 dispone, a sua volta,
che, "nell'ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell'intervento, sia
necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre
Amministrazioni, diverse da quelle di cui all'art. 5, comma 3 [atti di
assenso, cioè, diversi dal parere dell'A.S.L. e dal parere dei Vigili del Fuoco,
ove necessari n.d.r.], il competente ufficio comunale convoca una conferenza
di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14bis, 14ter e 14quater
della legge n. 241/1990 e successive modificazioni".
Ai sensi dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, l'ufficio dello sportello
unico per l'edilizia cura gli incombenti necessari ai fini dell'acquisizione,
anche mediante conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14 bis,
14 ter e 14 quater della legge n. 241/1990, degli atti di assenso
comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento
edilizio).
Un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell'art. 5, comma
4, del T.U. n. 380/2001 non consente però di affermare che l'ufficio comunale
sia imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi
qualora sia necessario acquisire l'assenso di altre Amministrazioni (in
difformità dal previgente art. 4, 2° comma, del d.l. n. 398/1993, che conferiva
al responsabile del procedimento soltanto la facoltà discrezionale di detta
convocazione).
Appare corretta invece, in proposito, l'applicazione dell'art. 14, 2° comma,
della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005, ove si
stabilisce l'obbligatorietà della conferenza di servizi quando l'Amministrazione
competente per l'adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di
assenso comunque denominati ad un'attività privata, provenienti da altre
Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della relativa
richiesta.
Il dirigente o responsabile dell'ufficio comunale, dunque, nel termine che ha a
disposizione per l'istruttoria, deve anzitutto richiedere gli atti di assenso
alle altre Amministrazioni coinvolte e, solo qualora queste non si pronuncino
entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (ovvero quando, nello stesso
termine, sia intervenuto il dissenso di una o più Amministrazioni interpellate),
deve essere convocata la conferenza.
E ) – In conclusione, secondo la Corte, <<alla stregua delle disposizioni
legislative dinanzi enunciate e della loro corretta ermeneusi, non può
attribuirsi rilevanza alle prospettazioni che i sostenitori della tesi
"estensiva" dei limiti di applicabilità del terzo condono edilizio riferiscono:
- alla pretesa incongruenza della limitazione della sanabilità ai soli
interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo
rispetto alla previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985, secondo la quale
"il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza,
i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento
delle misure prescritte";
- all'eccessiva dispendiosità di una conferenza di servizi da indirsi
esclusivamente per interventi edilizi minori.
Si è rilevato, infatti, che: anche l'effettuazione degli interventi di
manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi
in aree assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al
preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative
previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può avere
sul paesaggio già il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del
rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto
esteriore);
- la previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 ben si spiega con
riferimento ai "vincoli" di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a
quest'ultimo vincolo, può comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste
dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma - lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004,
nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla
tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali;
- per l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica la conferenza di servizi
non è imprescindibilmente obbligatoria>>.
4. Le ragioni per le quali l’ermeneusi riduttiva della norma non
convince appieno.
4.1. Tale complesso ragionamento, pur sottintendendo un apprezzabile
sforzo ermeneutico che, nelle precedenti decisioni sul tema, non trova eguali
riscontri, non pare colga nel segno soprattutto perché non del tutto aderente al
dato normativo.
4.2. Intanto non appare pertinente il richiamo all’art. 146 del d.lgs. n.
42/2004, secondo cui nelle zone paesaggisticamente vincolate è inibita, in
assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della legge n. 1497 del
1939, “ogni modificazione dell’assetto del territorio attuata attraverso
lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, ad eccezione dei lavori
consistenti ( tra l’altro ) nella manutenzione ordinaria e straordinaria e nel
consolidamento statico o restauro conservativo, purchè non alterino lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
Ciò perché la norma in esame disciplina gli interventi da realizzare e non anche
quelli già realizzati, la cui regolarizzazione è riservata – a determinate
condizioni – alle fattispecie di sanatoria straordinaria o a quella c.d. “a
regime”.
Sul punto, va ricordato che, come chiarito dalla stessa Cassazione penale con
riferimento all’ambito di applicazione del regime autorizzatorio, avente ad
oggetto le opere da eseguire “ex novo”, “non ogni opera che interessi
la superficie esterna determina “alterazione”, ma esclusivamente quella che ne
immuti in modo rilevante ed essenziale le sue caratteristiche ( cfr., negli
esatti termini, Cass., sez. III, 26.5.1992, n. 660; negli stessi sensi, Cass.,
sez. III, 30.9.1993, n. 1813, e Cass., sez. III, 26.4.1999, n. 5304 ).
Inoltre, il comma 26 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 non pone alcuna
distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria idonee ad
alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici ed opere
appartenenti alla medesima tipologia edilizia che tale idoneità invece non
hanno.
4.3. Per le stesse ragioni non appare pertinente il richiamo all’art. 22 del
d.P.R. n. 380 del 2001 che si occupa degli interventi “realizzabili mediante
denuncia di inizio attività” e non anche - logicamente – delle opere già
eseguite, in disparte ogni questione sulla riferibilità o meno della limitazione
di cui al comma 6 ( obbligo del preventivo rilascio del parere o
dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative ) agli “immobili
sottoposti a tutela storico – artistica o paesaggistico – ambientale”,
intesi come immobili in senso stretto e non anche come aree ( in ordine alla
dicotomia “aree ed immobili”, cfr. l’art. 134 del codice dei beni
culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 cit. ), dove per immobili si intendono
quelli di cui alle tipologie nn. 1 e 2 dell’articolo 1 della legge n. 1497 del
1939, cioè le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o
di singolarità geologica, le ville, i giardini e i parchi, intendendosi
designare con il termine “immobili” determinati beni - giuridicamente e
catastalmente – tendenzialmente unitari5.
4.4. A voler seguire l’interpretazione della Corte, la stessa non tiene
conto, comunque, di quanto previsto dall’art. 149 del d.lgs n. 42 del 2004, che
esclude, come è noto, l’obbligo della autorizzazione prescritta dall’articolo
146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159: “a) per gli interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro
conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici; b) per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei
luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; c)
per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di
bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste
indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati
in base alla normativa in materia”.
La deroga al regime autorizzatorio, sia pure per determinate tipologie di
intervento, segna il confine, delimitando l’ambito di applicazione, nelle zone
paesaggisticamente vincolate, dello stesso regime inibitorio che, pertanto, non
può essere inteso come assoluto, ovvero riferito a “lavori di qualsiasi
genere”.
Anzi, quel che maggiormente rileva è che, mentre la disciplina introdotta
dall’art. 149 cit. fa salvi ( nel senso che non ne richiede l’autorizzabilità “ex
ante” ) i soli interventi edilizi minori di recupero del patrimonio edilizio
esistente, l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, al comma 43, esclude dall’obbligo
del preventivo parere ( come, peraltro, già previsto dall’originaria
formulazione della norma ) “le violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi,
la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure
prescritte”.
Trattasi, con tutta evidenza, di abusi che, nella maggior parte dei casi, hanno,
comunque, prodotto modifiche “alterative” con incrementi planovolumetrici
e, pertanto, diversi, per loro natura e caratteristiche, dagli interventi
edilizi minori di tipo “conservativo”, per i quali è escluso, come già
detto, l’obbligo dell’autorizzazione qualora “non alterino” lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici6.
5. La difficoltà di operare correlazioni fra una normativa
condonistica, eccezionale e di stretta interpretazione ( art. 32 d.l. n.
269/2003 ), ed altra generale, come quella introdotta dal Codice Urbani (d.lgs
n. 42/2004) in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.
5.1. Non del tutto convincente è, poi, l’argomentazione addotta dalla
Corte secondo cui l’art. 32 della legge n. 47/1985, per il quale “il parere
non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i
distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2% delle
misure prescritte”, inerendo – oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali
– anche a vincoli di diversa natura, come ad es., ai vincoli artistici,
architettonici, archeologici ed idrogeologici, può razionalmente correlarsi,
quanto al vincolo paesaggistico, “soltanto ad eventuali prescrizioni poste
dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma – lett. b, del d.lgs. n. 42/2004,
nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla
tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali”7.
Tale argomentazione omette di considerare, innanzitutto, che l’art. 143, 5°
comma, lett. b), disciplina – in ambito regionale8
- l’attività pianificatoria, nella quale la (possibile) individuazione delle
opere e degli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica è
subordinata “alla verifica della conformità alle previsioni del piano
paesaggistico e dello strumento urbanistico”, nel mentre l’ambito di
operatività dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, nella parte in cui esclude
l’obbligo del parere per le violazioni che non eccedono il 2%, è esteso – come è
noto – all’intero territorio nazionale.
Inoltre, la lettera c ( del comma 5 ) dell’art. 143 fa riferimento alle “aree
significativamente compromesse o degradate”, nelle quali la realizzazione
degli interventi di recupero e riqualificazione potrà non richiedere “il
rilascio dell’autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159”.
Ma tali interventi sarebbero pur sempre confinati all’interno del perimetro
degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e, data la
lettera tassativa della norma, non potrebbero giammai concretizzarsi in opere
costituenti incrementi di superficie e di volume.
L’art. 32, di contro, esonera dall’obbligo del parere gli interventi che hanno
provocato incrementi sia di altezza che di volumetria e superficie e che,
pertanto, non possono essere ricondotti al novero degli interventi di recupero
del patrimonio edilizio esistente.
A ciò aggiungasi che l’applicazione dell’art. 143, comma 5, è fatta salva
dall’art. 149 (“Interventi non soggetti ad autorizzazione”) con
riferimento non già alla lettera b), bensì alla lettera a).
Non appare, comunque, ragionevole ed ermeneuticamente corretto operare
correlazioni tra una normativa condonistica, quale quella del citato art. 32, di
stretta interpretazione, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, con altra
normativa come quella introdotta dal d.lgs. n. 42 del 2004, per giunta entrata
in vigore in epoca successiva ed agganciata, per quel che attiene alla
pianificazione paesaggistica, ad eventi futuri ed incerti.
Si richiama, a titolo esemplificativo, la disposizione di cui al comma 7
dell’art. 143, secondo cui:
“Il piano può subordinare l’entrata in vigore delle disposizioni che
consentono la realizzazione di opere ed interventi senza autorizzazione
paesaggistica, ai sensi del comma 5, all’esito positivo di un periodo di
monitoraggio che verifichi l’effettiva conformità alle previsioni vigenti delle
trasformazioni del territorio realizzate”.
6. La conferenza dei servizi e la inammissibilità di
un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e 5, comma 4, del d.P.R.
n. 380/2001.
6.1. Ma il punto critico più significativo del ragionamento seguito dalla
Corte per confutare le obiezioni mosse alla anzidetta interpretazione dell’art.
32, comma 26 (considerata nel ricorso non condivisibile, perché
ingiustificatamente restrittiva), sta nella affermazione secondo cui, “per
l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, la conferenza di servizi non è
imprescindibilmente obbligatoria”.
In altri termini, come già anticipato, un’interpretazione coordinata degli artt.
20, comma 6, e dell’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/01, per i giudici di
legittimità, “non consente di affermare che l’ufficio comunale sia
imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi qualora sia
necessario acquisire l’assenso di altre Amministrazioni ( in difformità dal
previgente art.4, 2° comma, del d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile
del procedimento soltanto la facoltà discrezionale di detta convocazione ).
Appare corretta invece, in proposito, l’applicazione dell’art. 14, 2° comma,
della legge n. 241/90, come modificato dalla legge n. 15/05, ove si stabilisce
l’obbligatorietà della conferenza dei servizi quando l’Amministrazione
competente per l’adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di
assenso comunque denominato ad un’attività privata, provenienti da altre
Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della
richiesta ( ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto il dissenso di
una o più amministrazioni interpellate )”.
Sempre secondo la Corte, ai sensi dell’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001,
l’ufficio dello sportello unico per l’edilizia “cura gli incombenti necessari
ai fini dell’acquisizione anche mediante conferenza ai sensi degli artt. 14, 14
bis, 14 ter e 14 quater della legge n. 241/1990 di servizi, degli atti di
assenso”.
La qualcosa starebbe a significare, come è desumibile dalla locuzione “anche
mediante conferenza”, che quest’ultima non è obbligatoria, essendo la
relativa convocazione espressione di una mera facoltà discrezionale.
Anche in tal caso trattasi, a ben vedere, di osservazioni che non appaiono
aderenti al dettato normativo.
La questione controversa attiene, infatti, all’ambito di applicazione del comma
26 dell’art. 32.
Pertanto, non è dato comprendere quale valenza possa attribuirsi, in concreto,
alla disposizione contenuta nell’art. 5, comma 4, del testo unico dell’edilizia,
la quale è obiettivamente riferita ai procedimenti ordinari finalizzati al
rilascio del permesso di costruire, con la conseguenza che la stessa, stante
l’assenza di ogni richiamo o rinvio “ob relationem”, non può spiegare
alcuna efficacia nella materia regolata dalla normativa sul condono che – lo si
ripete – costituisce normativa di stretta interpretazione per la quale non opera
l’analogia.
Quel che più conta è che l’art. 32 del d.l. n. 269/2003 stabilisce, senza
possibilità di interpretazioni alternative, che:
“Ai fini dell’acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto
previsto dall’articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2001, n. 380”.
Il richiamato art. 20, comma 6, prevede, a sua volta, che:
Nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia
necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre
amministrazioni, diverse da quelle di cui all’art. 5, comma 3 ( atti di assenso,
cioè, diversi dal parere dell’A.S.L. e dal parere dei Vigili del Fuoco, ove
necessari, n.d.r. ), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di
servizi, ai sensi degli artt. 14, 14 bis, 14 ter e 14 quater della legge n.
241/1990 e successive modificazioni”.
Stante il testuale tenore delle disposizioni ora citate non appare
ammissibile “un’interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e
dell’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001”.
Tale interpretazione “additiva” si pone contro la lettera della norma (
di per sé sufficientemente chiara ed in quanto tale non suscettibile di alcuna
interpretazione secondo il noto brocardo “in claris non fit interpretatio”
) che configura l’iniziativa del “competente ufficio comunale” quale
iniziativa dovuta, priva di margini di discrezionalità.
D’altra parte, l’obbligatorietà della conferenza appare giustificata dal fatto
che, nelle zone assoggettate a vincolo, il legislatore del terzo condono ha
ritenuto che l’amministrazione, nell’esaminare le istanze di sanatoria, non
possa prescindere dall’obbligo di pronunciarsi espressamente sulle istanze
medesime ( vedasi, sul punto, anche Cass. pen, Sez.III , ord. n.102 /1996,
secondo cui “gli atti consultivi endoprocedimentali obbligatori – tra cui
certamente rientra il parere previsto dall’art.32, comma 1, Legge n. 47 /1985 e
successive modificazioni - devono essere richiesti dalla stessa autorità
investita del procedimento“ ).
All’esame di tali istanze, l’amministrazione provvede, in ogni caso, solo dopo
aver acquisito, nei modi e nelle forme previste per la conferenza dei servizi,
il parere di competenza degli altri enti coinvolti, ed “il motivato dissenso
espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale
paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla
tutela del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, preclude il
rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria“.
Trattasi di procedimento applicabile alla sola fattispecie regolata del “terzo”
condono, essendo stato stabilito, al comma 43 bis dell’art. 32 del d.l.
n.269/2003, che “le modifiche apportate con il presente articolo concernenti
l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n.47, e 23 dicembre 1994, n.724,
non si applicano alle domande già presentate ai sensi delle predette leggi”.
Alla stregua di tali considerazioni non appare francamente sostenibile, sia sul
piano logico che su quello giuridico, la tesi secondo cui la conferenza dei
servizi sarebbe stata prevista esclusivamente per gli interventi edilizi minori.
Né persuade, in contrario, la diversa opinione della Corte per la quale tale
tesi non sarebbe, poi, tanto illogica dal momento che “anche l’effettuazione
degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento
conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate al vincolo paesaggistico –
ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o
dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative ( si pensi, ad
esempio, al notevole impatto che può avere sul paesaggio già il solo rifacimento
totale dell’intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne
alteri il precedente aspetto esteriore )”.
Si è già osservato in precedenza, in linea con quanto previsto dall’art. 149 del
d.lgs. n. 42 del 2004, che, intanto gli interventi di manutenzione e restauro su
immobili sottoposti a vincolo richiedono l’autorizzazione preventiva se ( e
nella misura in cui ) gli stessi siano idonei a determinare alterazione dello
stato dei luoghi, incidendo in modo giuridicamente rilevante sull’assetto
paesaggistico della zona e sull’aspetto esteriore degli edifici (Cass., sez. III,
sent. n. 39355 del 29.11.2006; Cass., sez.III, sent. n. 38051 del 28.9.2004;
Cass., sez. III, sent. n. 23980 del 26.5.2004; Cass., sez. III, sent. n. 19761
del 29.4.2003; Cass., sez. III, sent. n. 14461 del 28.3.2003; Cass., sez. III,
sent. n.12863 del 20.3.2003).
Negli altri casi l’autorizzazione è esclusa e gli interventi in questione sono
sempre ammissibili.
D’altronde, come ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza del 23.6.2000,
n. 238, avuto riguardo proprio agli immobili condonati (la cui legittimità
rispetto alle previsioni urbanistiche deriva solo dalla sanatoria-condono ), “la
privazione della possibilità ( in via assoluta e generale, senza alcuna
valutazione di compatibilità concreta, circa il modo e l’entità degli
interventi, con le esigenze di tutela ambientale e – si può aggiungere –
urbanistica ), per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di
procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela
della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità,
senza alterare l’aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell’edificio,
rappresenta certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà .
Infatti, l’anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulla
possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto,
producendo un inevitabile progressivo abbandono e perimento (strutturale e
funzionale) del medesimo. Deve, pertanto, escludersi la legittimità di una
disposizione che comporta per il proprietario, ancorchè non espropriato della
titolarità, uno svuotamento del suo diritto nel modo più irrimediabile e
definitivo, e cioè con graduale degrado e perimento del bene (costruzione) ed
una progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla
destinazione inerente alla sua natura, (conforme a licenze, concessioni e
autorizzazioni ancorchè in sanatoria)”. [ negli stessi sensi, cfr. sentenza
n. 529 del 1995].
Va, peraltro, ribadito che l’art. 32, comma 26, prevede per interventi di
manutenzione e restauro, da eseguirsi su immobili assoggettati a vincolo, la
necessaria acquisizione “del parere o dell’autorizzazione richiesti”,
abbiano o meno – tali interventi – prodotto alterazione dello stato dei luoghi e
dell’aspetto esteriore degli edifici.
Avendo la norma ( art. 32, comma 4) stabilito che il parere va acquisito, ai
sensi dell’art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero mediante
conferenza dei servizi, può fondatamente sostenersi che la sanatoria introdotta
dal d.l. n. 269 del 2003, per le opere eseguite su immobili sottoposti a
vincolo, è limitata ai soli abusi minori, compresa la manutenzione che dalla
disciplina ordinaria è esonerata dall’obbligo dell’autorizzazione preventiva (
quantomeno nei casi in cui la stessa non determini “alterazione”)?
E che dire, poi, della previsione secondo cui, in sede di conferenza di servizi,
il mancato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, inclusa la soprintendenza competente,
preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria ?
È ragionevole ritenere, anche alla luce dei principi affermati dalla Corte
Costituzionale, nelle decisioni sopra riportate, sul “contenuto minimo”
della proprietà, che possa essere negato l’assenso alla sanatoria di una
manutenzione straordinaria eseguita senza titolo che non abbia determinato
alterazione, per giunta all’esito di una conferenza di servizi?
7. La circolare esplicativa del Ministero delle Infrastrutture n.
52/2006 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2006, secondo cui la
sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si
tratti di vincolo di inedificabilità assoluta.
7.1. Non pare decisivo - sul piano della interpretazione del comma 26 –
il richiamo alla relazione governativa al d.l. n. 269 del 2003, secondo la quale
“…. è fissata la tipologia di opere insanabili tra le quali si evidenziano
... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio
nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali
a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici… Per gli
interventi di minore rilevanza ( restauro e risanamento conservativo ) si
ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia sugli immobili soggetti
a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela.
Per i medesimi interventi, nelle aeree diverse da quelle soggette a vincolo,
l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento
regionale”.
A prescindere dai limiti dell’efficacia delle enunciazioni contenute nella
Relazione governativa in sede di Interpretazione del testo normativo – limiti
dei quali è consapevole la stessa Corte – va detto, di contro, che la circolare
esplicativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblicata in
G.U. il 3 marzo 2006, n. 52, non contiene alcun riferimento alla interpretazione
restrittiva espressa dai giudici della nomofilachia.9
L’interpretazione fornita dal Ministero delle Infrastrutture sembra avallare la
tesi secondo cui, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, la sanabilità
delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di
vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di
inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa
ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela
suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità
delle opere da sanare da parte della competente autorità (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995).
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 49 del 2006, ha, infatti, ritenuto che
l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 200410
non sia in contrasto con quanto previsto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del
decreto legge n. 269 del 2003, norma quest’ultima che, secondo l’interpretazione
della Cassazione penale, renderebbe di fatto inapplicabile il condono edilizio
nelle aree assoggettate a vincolo, nelle quali potrebbero essere sanati, come si
è visto, soltanto gli interventi edilizi c.d. minori.
La Consulta ha dichiarato costituzionalmente legittima la disposizione regionale
censurata, giacché, a suo avviso, tale norma si limita oggettivamente << a
recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati
nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a
quelle previste dal decreto – legge n. 269 del 2003 >>.
Eppure, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – con l’Avvocatura generale –
aveva, nel ricorso introduttivo, fortemente sostenuto l’esatto contrario,
denunciando il contrasto della disposizione censurata con l’art. 117, terzo
comma, Cost. e con il principio posto dall’art. 32, comma 27, lettera d), del
decreto – legge n. 269, che << non consente la sanatoria delle opere
realizzate su aree comunque vincolate >>, e senza che lo stesso operi una
distinzione tra vincoli di inedificabilità assoluta e vincoli di inedificabilità
relativa.
La norma regionale, <<ove considerata esaustiva ed a sé stante rispetto alla
legislazione statale e, dunque, interpretabile “a contrario”, nel senso di
consentire un ampliamento della sanatoria >>, violava anche l’art. 117,
secondo comma, lettera I), Cost. in quanto invadeva l’ambito della competenza
statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale.
Solo in una successiva memoria, l’Avvocatura dello Stato aveva, peraltro,
ritenuto coerente con la normativa statale l’interpretazione datane dalla difesa
regionale, nel senso che l’Amministrazione non avrebbe fatto altro che ribadire
e consacrare, anche in un proprio testo legislativo, quanto già previsto dalla
legislazione statale, all’art. 32, comma 27, lettera d).
La pronuncia della Corte Costituzionale segna indubbiamente un punto a favore di
chi non condivide l’interpretazione restrittiva della Corte di Cassazione in
ispecie sul versante degli effetti penali della sanatoria nelle aree
assoggettate a vincolo paesistico11-12-13-14-15
.
Questo sembra lasciare intendere, sia pure per via indiretta, il Giudice delle
leggi nella sentenza n. 49, in cui si sottolinea – lo si ripete – in coerenza
con la norma statale, che non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilità ma
solo quelli di inedificabilità assoluta.
Il rigetto della tesi sostenuta dalla Cassazione affonda le sue radici, a ben
vedere, anche in altre ragioni, in gran parte ancorate ai precedenti
insegnamenti della stessa Corte anche a Sezioni Unite (cfr, ex plurimis,
Cass. SS.UU. n. 22 del 1999, già citata).
La fragilità delle argomentazioni addotte è da collegare, in primo luogo, al
tentativo – mal riuscito – dei giudici di legittimità di porre sullo stesso
piano gli effetti penali ed amministrativi del condono.
Ma, già con la sentenza n. 196 del 2004, la Corte Costituzionale aveva avvertito
l’esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono << si ricollega
sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti
dall’inizio degli anni ottanta, il che è reso del tutto palese dai molteplici
rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, con
una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo condono ed
il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario,
cui si apportano solo alcune limitate innovazioni >>.
Sempre nella sentenza n. 196 la Corte Costituzionale aveva rimarcato con maggior
vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra
effetti amministrativi ed effetti penali della sanatoria, precisando, altresì,
come permanga anche con il nuovo condono edilizio la caratteristica fondamentale
di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in
quanto l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto
per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di
esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il
rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37,
del decreto – legge n. 269 del 2003).
Peraltro, ciò non esclude che, pagata interamente l’oblazione, ai sensi
dell’art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile – come gli artt. 38 e 44 –
in virtù del richiamo operato dal comma 25 dell’art. 32 cit. agli interi capi IV
e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si
estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all’oblazione versata le
sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro.
In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la speciale
causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di
non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) può
essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la
violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici
nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano
suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo.
A tali fini, come si è visto, persino il diniego di sanatoria della P.A.
rappresenta un elemento neutro e del tutto inidoneo a determinare l’esclusione
della operatività della causa estintiva, ricollegata – lo si ripete – al solo
pagamento dell’oblazione in misura congrua secondo quanto previsto dal
richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985.
Del resto, sempre sul versante amministrativo, la Cassazione non spiega perché
nelle aree vincolate maggiormente “sensibili”, come quelle demaniali,
sulle quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art.
32, comma 17) si sia accontentato di subordinare la disponibilità alla cessione
dell’area al solo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla
tutela del vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perché
rimuovibile ad opera della competente autorità, e non assoluto).
Né appare di qualche rilievo la circostanza addotta dalla Corte nella sentenza
in commento, per la quale “tale disposizione, riferita alle opere eseguite da
terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, è
significativamente limitata dall’esclusione (posta dal precedente comma 14) del
demanio marittimo lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di
uso civico ( immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege)” e che
la stessa debba tener conto “dell’ampia nozione di vincolo” che l’art. 32 della
legge n. 47/1985 presuppone.
Anche qui la norma – nel prevedere una fattispecie di sanatoria a condizione – è
sufficientemente chiara e non può essere manipolata con interpretazioni
additive, contra o praeter legem.
Non spiega la Cassazione perché il controverso comma 26 arrivi a ritagliare
un’eccezione all’ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria per i soli
abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale, omettendo di
menzionarne altri.
La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte)
le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito
dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera
e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo
di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985.
La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere
nuove senza titolo edilizio o in difformità, in contrasto con gli strumenti
urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo
o in difformità dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive
realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico – artistico ai quali si
riferisce il comma 27, lettera e).
Che necessità avrebbe avuto il legislatore, ove la disposizione del comma 26
fosse effettivamente da interpretare nel senso che nelle aree vincolate sono
sanabili solo gli interventi edilizi “minori”, di collegare agli abusi “maggiori”
le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento nazionale, per
giunta vincolati “in individuo” ?
E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso
si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all’ambito di applicazione
dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in
effetti è avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata
dimostrazione della conformità delle opere alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l’insanabilità delle opere
per le quali è stato richiesto il beneficio condonistico.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 49 sembra rafforzare – sul piano
interpretativo – il convincimento di chi – come lo scrivente – ritiene che
l’unico parametro normativo da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di
applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo sia
rappresentato non già dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del
d.l. n. 269 del 2003.
La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26
ma, anzi, finisce per offrire una lettura più ampliativa dello stesso comma 27,
lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di inedificabilità assoluta e non
anche quelli di inedificabilità relativa possano essere considerati ostativi
alla sanabilità.
In altre parole, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di
vincolo di inedificabilità assoluta, le opere abusive potranno essere sanate
laddove si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica,
previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come
disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella
formulazione introdotta dal comma 43 del decreto - legge n. 269 del 2003 (che
prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la
Soprintendenza territorialmente competente, il cui parere è vincolante).
8. Conclusioni.
8.1. Ovviamente la difficoltà del tema e le stesse difficoltà applicative
della nuova disciplina lasciano immutata la problematica relativa alla “affidabilità
del condono edilizio”16
E’ condivisibile l’opinione di chi sostiene che “il terzo condono non sia
risultato affatto appetibile, sia per il prezzo richiesto ( misura
dell’oblazione, oneri concessori e quant’altro ), sia per la rigidità delle
limitazioni imposte alla sanabilità delle opere abusive.
La sanabilità delle opere realizzate nelle aree sottoposte a vincolo
paesaggistico costituisce un esempio emblematico: da una parte, l’oscurità del
testo legislativo ha indotto gli interessati al condono a presentare, comunque,
la relativa domanda versando anche l’oblazione, dall’altra parte la
giurisprudenza sempre più consolidata nega la condonabilità di siffatte opere”.
17
Era questo l’effettivo intento del legislatore dal momento che buona parte
dell’intero territorio nazionale è sottoposto a vincolo paesaggistico?
Può aver inciso sulla pessima scrittura del testo normativo la radicata
conflittualità esistente tra Stato ( Governo centrale ) e Regione e una larga
area dell’opinione pubblica contraria all’applicazione del beneficio?
Come affrontare il futuro con nodi normativi e giurisprudenziali così difficili
da districare?
I Comuni sono pronti a disinnescare gli effetti del terzo condono, dichiarando,
nella stragrande maggioranza dei casi, la inammissibilità delle domande relative
a nuove costruzioni, in attuazione dell’indirizzo restrittivo della Suprema
Corte, e ad agire di conseguenza ( procedendo alla demolizione delle opere che
ne sono oggetto ), dopo che lo Stato ha, comunque, incamerato quanto era nelle
sue aspettative e senza che ciò abbia avuto la minima incidenza sui procedimenti
penali in corso?
Agli stessi l’ ”ardua sentenza”!
* Avvocato
__________________________________________________________________________
1 Si vedano fra le
più significative decisioni in tal senso: Cass., sez. III, 1.10.2004, n. 11593;
Cass., sez. III, 1.10.2004, n. 38694; Cass., sez. III, 24.9.2004, n. 37865;
Cass., sez. III, 21.12.2004, n. 48954; Cass., sez. III, 21.12.2004, n. 48956;
Cass., sez. III, 12.1.2005, n. 216; Cass., sez. III, 5.4.2005, n. 12577 )
2 Come ricordato dalla Corte, “nel vecchio testo legislativo,
modificato, da ultimo, dall’art. 2, comma 43, della legge 23.12.1996, n. 662, al
silenzio dell’autorità competente, protrattosi per un periodo determinato dalla
presentazione della richiesta, veniva generalmente attribuita valenza di parere
favorevole. In particolare, in caso di vincolo paesaggistico, l’esito di tacito
assenso si conseguiva:
- dopo 120 giorni dalla richiesta del parere, per le tipologie di abuso relative
a meri ampliamenti o non comportanti aumento di superficie o di volume”;
- dopo 180 giorni dalla presentazione della richiesta, invece, per le tipologie
di totale abusività”.
3 Sullo specifico tema, vedasi S. Conte, in “Terzo
Condono edilizio e vincolo paesaggistico. Riflessioni e commenti a margine di un
orientamento prevalente, in Lexitalia.it., n.10/2006.
L’A. solleva, sul punto, un duplice interrogativo.
“Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l’obbligo
della acquisizione del preventivo parere per uno che non abbia incrementato in
alcun modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se
ciò è esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato
incrementi sia di altezza, che di volumetria, ancorchè contenuta nel limite del
2%.
Il secondo, che risulta molto più rilevante (…), riguarda la circostanza di come
si concilia una disposizione che prevede che siano ammessi a condono edilizio
abusi che abbiano comportato innovazioni planovolumetriche nelle zone soggette a
vincolo, con esclusione perfino dell’obbligo del parere paesaggistico, con
l’affermazione secondo cui l’intero contesto normativo escluderebbe
l’applicabilità del condono agli abusi riconducibili alle tipologie 1, 2 e 3, ed
eseguiti nelle zone soggette a vincolo paesaggistico”.
4 Sempre sull’identico tema, vedasi anche A.P. Arturo, in
“Il terzo condono edilizio e la cassazione penale”, in Altalex, n.
967/2005, secondo cui “il legislatore ha predisposto un complesso di norme
consistenti in parere paesistico, nuovo procedimento per acquisirlo, estinzione
del reato sul vincolo paesistico se conseguita la sanatoria. A quali fini
avrebbe predisposto un tale armamentario legislativo se il condono,
relativamente alle tipologie nn. 1, 2 e 3, non fosse applicabile nelle zone
soggette a vincolo? Tale corpus legislativo non era, di certo, necessario per
sanare le sole tipologie 4, 5 e 6, che secondo la vigente legislazione sul punto
(…) hanno già possibilità di legittimazione”.
5 Così P. Carpentieri in “Il ruolo delle aree
vincolate; le recenti innovazioni normative”, in
avvocatiamministrativi.it del 19.2.2005.
6 Sempre per S. Conte, in “Terzo condono edilizio e
vincolo paesaggistico. Riflessioni e commenti a margine di un orientamento
prevalente”, op. ult. cit., “va tenuto presente che il limite del 2%
che, apparentemente, si manifesta irrilevante, in concreto, per un edificio che
abbia 1500 mq di superficie utile, comporta un incremento di 30 mq di superficie
utile, che equivale ad una camera con accessori. ( Si ricordi che, ai
sensi dell’art. 3 del D.M. 5.7.1975 che ha dettato i requisiti minimi igienico –
sanitari per l’abitabilità, l’alloggio monostanza, per una sola persona, deve
avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a mq 28 ).
E’ evidente che un abuso del genere andrebbe sanato con versamento di
oblazione a metro quadrato di superficie utile, che, nel caso di contrasto con
le disposizioni urbanistiche, rientrerebbe nella tipologia 1”.
7 L’articolo 143, 5° comma, del d.lgs n. 42/04 è il
seguente:
…Omissis …
5. Il piano può altresì individuare:
a) le aree, tutelate ai sensi dell'articolo 142, nelle quali la
realizzazione delle opere e degli interventi consentiti, in considerazione del
livello di eccellenza dei valori paesaggistici o della opportunità di valutare
gli impatti su scala progettuale, richiede comunque il previo rilascio
dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159;
b) le aree, non oggetto di atti e provvedimenti emanati ai sensi degli
articoli 138, 140, 141 e 157, nelle quali invece, la realizzazione di opere
ed interventi può avvenire sulla base della verifica della conformità alle
previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico, effettuata
nell'ambito del procedimento inerente al titolo edilizio e con le modalità
previste dalla relativa disciplina, e non richiede il rilascio
dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159;
c) le aree significativamente compromesse o degradate nelle quali la
realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione non richiede il
rilascio dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159.
8 Recita, infatti, l’art. 135, comma 1, del d.lgs n. 42/2004 che
:
“Lo stato e le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente
conosciuto, tutelato e valorizzato.
A tale fine le regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme
previsye dall’articolo 143, sottopongono a specifica normativa d’uso il
territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbansitico –
territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti
l’intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati <<piani
paesaggistici>>.
9 La circolare, al paragrafo 6, riguardante, appunto, gli
immobili sottoposti a vincolo, afferma testualmente che: “La possibilità di
sanatoria per le opere realizzate in aree sottoposte a vincolo è regolata dagli
articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, nonché dal comma 27 dell'art. 32
della legge n. 326 del 2003.
L'art. 32 della legge n. 47 del 1985, come sostituito dall'art. 32, comma 43,
della legge n. 326/2003, pone un principio di carattere generale in base al
quale il rilascio della concessione in sanatoria per le opere realizzate su
immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.
In particolare, il riformulato art. 32 della legge n. 47/1985 prevede per tutte
le tipologie di vincolo che, decorso inutilmente il termine di centottanta
giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, si formi il
silenzio-rifiuto (a differenza della precedente disciplina che prevedeva in
alcuni casi il formarsi del «silenzio-assenso»).
Al fine di accelerare la procedura di valutazione delle istanze volte al
rilascio del parere suddetto e consentire la contestuale valutazione degli
interessi coinvolti nella fattispecie, è prevista la convocazione di una
conferenza di servizi da parte dell'ufficio comunale competente, secondo
quanto previsto dal comma 6 dell'art. 20 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 380/2001.
Il motivato dissenso in sede di conferenza di servizi espresso da una
amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale
(compresa la soprintendenza), alla tutela del patrimonio storico-artistico o
alla tutela della salute, preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria.
L'art. 33 della legge n. 47 del 1985, al quale fa rinvio l'art. 32, comma 27,
della legge n. 326/2003, dispone che sono insuscettibili di sanatoria le opere
realizzate abusivamente, quando siano in contrasto con i seguenti vincoli,
sempre che questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della
esecuzione delle opere suddette:
a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonchè dagli strumenti
urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici,
archeologici, paesistici, ambientali ed idrogeologici;
b) vincoli imposti da leggi statali o regionali a difesa delle coste marine,
lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela degli interessi della difesa militare e della
sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti l'inedificabilità delle aree.
Il comma 2 del citato art. 33 prevede, inoltre, che siano escluse dalla
sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati a tutela dalla
legge n. 1089/1939 (ora decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137) e che non siano compatibili con la legge medesima.
Ulteriori ipotesi di insanabilità delle opere abusive realizzate in zone
vincolate sono previste dal comma 27 dell'art. 32 della legge n. 326/2003 e, in
particolare, dai punti d) ed e).
In particolare, per quanto concerne la fattispecie di cui al punto d), perchè
l'intervento posto in essere debba considerarsi non sanabile occorre la
compresenza dei seguenti presupposti:
1) sussistenza di vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a
tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni
ambientali e paesistici, nonchè dei parchi e delle aree protette nazionali,
regionali e provinciali;
2) anteriorità della imposizione del vincolo rispetto al compimento dell'abuso;
3) presenza di opere realizzate in assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici.
Tale quadro di riferimento sembrerebbe consentire esclusivamente la sanatoria
degli abusi meramente formali, cioè degli interventi di cui al suddetto punto d)
del comma 27 ma realizzati in conformità alle norme urbanistiche ed alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del
decreto legge n. 269/2003 (1° ottobre 2003).
Tuttavia, la disposizione contenuta nel punto d) del citato comma 27 appare
mitigata in presenza dei presupposti previsti dal comma 1, ultima parte, del
novellato art. 32 della legge n. 47 del 1985, e cioè con riferimento a
violazioni relative ad altezza, distacchi, cubatura, o superficie coperta che
non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.
Del pari deve ritenersi ammessa la sanatoria delle opere interne pur in
contrasto con gli strumenti urbanistici in zone sottoposte a vincolo
paesaggistico per le quali già non sussiste l'obbligo del previo nullaosta
ambientale (cfr. art. 152 del decreto legislativo n. 490/1999 e, dal 1° maggio
2004, art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 41 - Codice dei beni
culturali e del paesaggio).
Quanto al punto e) del comma 27, non sembra che possano sorgere dubbi
interpretativi. La norma esclude la sanatoria per tutte le opere realizzate su
immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge
o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e
7 del decreto legislativo n. 490/1999.
Al di fuori dei casi suddetti, la sanatoria è ammissibile secondo il
procedimento delineato dal riformulato art. 32 della legge n. 47 del 1985”.
10 L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia
n. 31 del 2004 così stabilisce:
<<1. Nelle aree soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e
regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonché
dei beni ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque
suscettibili di sanatoria, qualora il vincolo comporti inedificabilità assoluta
e sia stato imposto prima dell’esecuzione delle opere. >>.
11 Sia consentito rinviare, sul punto, a Bruno Molinaro,
in “Sanatoria edilizia straordinaria e principi costituzionali”. Ancora
sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2006. Un monito per la
Cassazione?, in Lexitalia.it., n. 3/2006.
12 Per Erik Furno, in “Il Governo del
territorio in Campania e la legislazione condonistica: l’accertamento di
conformità delle opere edilizie”, in Giust. Amm. del 21.9.2006, “tale
lettura costituzionalmente orientata dell’intero sistema della legislazione
condonistica dovrebbe consentire di superare l’interpretazione restrittiva della
Cassazione penale e far ritenere che le opere abusive, anche se realizzate su
aree soggette a vincoli di inedificabilità relativa, siano suscettibili di
sanatoria condizionatamente al parere delle Amministrazioni preposte alla tutela
del vincolo”.
13 Dello stesso avviso è Gaetano Stea, “Ancora sulla
sanatoria edilizia straordinaria nelle aree vincolate paesaggisticamente:
inedificabilità assoluta e relativa”, in Lexitalia.it., 2006, n. 7 – 8.
14 Vedasi, sul tema, anche T.A.R. Campania - Napoli, sent. n.
6182 del 22.3.2006, secondo cui “la Corte ha avuto modo di chiarire, con
riferimento agli abusi in aree vincolate, nel pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale della legge regionale Lombardia, che la sanabilità delle opere
realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di
inedificabilità assoluta ( divieti di edificazione o prescrizioni di
inedificabilità relativa ex art. 33 legge n. 47 del 1985 ) e non anche nella
diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di
tutela passibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità
delle opere da sanare da parte della competente autorità.
Pertanto, secondo la norma statale, non tutti i vincoli sono ostativi alla
sanabilità ma solo quelli di inedificabilità assoluta, quali, ad esempio, i
vincoli di rispetto cimiteriale, i vincoli di rispetto stradale, i vincoli
idrogelogici e quelli relativi alle zone omogenee A, A1 ed F1 del P.R.G.,
sempre, però, che lo stesso risulti debitamente adottato, approvato e pubblicato
e, pertanto, vigente.
16 Sul punto, V.Marzarelli, in “L’affidabilità del
condono”, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/2004, secondo
cui “per realizzare lo scopo di far confluire danaro nelle casse dello Stato, il
condono deve essere appetibile – nel senso che, deve garantire una migliore
fruibilità dell’immobile abusivo – e affidabile, nel senso che ciò che la legge
promette all’abusivo che decide di avvalersi della sanatoria deve realizzarsi”.
17 Così testualmente G. De Marzo, in “Il Condono
edilizio e la legislazione regionale”, Giuffrè, Milano, 2007, p. 57.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 22/05/2007
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