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La mancata disciplina delle free press: nota di commento alla sentenza
del T.a.r. Lazio, sez. II ter, 7 maggio 2007, n. 6352.
A cura della dott.ssa MARIA ROSARIA FAMIGLIETTI*
Il rispetto delle distanze minime obbligatorie tra attività commerciali
appartenenti alla medesima tipologia di esercizio è incompatibile con il
principio di tutela della concorrenza, anche in caso di distribuzione di stampa
gratuita.
Questo è quanto ha affermato il T.a.r. Lazio che, nella sentenza in commento, si
è pronunciato sul caso di mancato rispetto delle distanze minime tra un punto
vendita (autorizzato) di quotidiani e periodici e un punto di distribuzione
della stampa gratuita.
La vicenda in questione ha come protagonista una società del gruppo editoriale
C. che svolge attività di produzione, pubblicazione e distribuzione gratuita di
quotidiani nelle principali città italiane (c.d. attività di free press).
Tale società era stata sanzionata dal comune di Roma per aver effettuato la
distribuzione gratuita del quotidiano ad una distanza di circa cento metri dalle
rivendite autorizzate, in violazione del limite minimo di distanza, pari a
duecento metri, previsto in una delibera del Consiglio comunale del 20061.
Secondo il giudice amministrativo, adito dalla società ricorrente, sarebbero
state le stesse disposizioni della delibera consiliare a porsi in contrasto con
il disposto di cui all’art. 3, lett. b) del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in
l. 4 agosto 2006, n. 248, nella parte in cui avevano definito, anche per
la distribuzione della stampa gratuita, limiti di distanze tra esercizi.
Per comprendere il carattere innovativo della sentenza è necessario,
innanzitutto, chiarire la portata della norma contenuta nel d.l. n. 223 del 2006
(c.d. decreto Bersani) e, di seguito, verificare la sua legittima applicabilità
in materia di attività commerciale e, in particolare, nel caso di attività delle
free press.
Si ricorda che il d.l. n. 223 del 2006 rappresenta (solo) il primo di vari
provvedimenti normativi del c.d. “Pacchetto Bersani” volti all’accelerazione del
processo di liberalizzazione nel nostro ordinamento e, di conseguenza,
all’abrogazione e/o modifica di tutte le disposizioni legislative o
regolamentari limitative della concorrenza.
Nel caso in specie il giudice ha concentrato l’attenzione sull’art. 3 lett. b)
del suddetto atto normativo, in base al quale “le attività commerciali –
elencate nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 – sono svolte senza il rispetto di
distanze minime obbligatorie tra attività appartenenti alla medesima tipologia
di esercizio2”.
La norma, dunque, sancisce l’incompatibilità con il principio di tutela della
concorrenza della prescrizione relativa al rispetto di distanze minime
obbligatorie tra attività commerciali, nonché l’abrogazione di tutte le
disposizioni legislative e regolamentari - statali e regionali - di disciplina
del settore della distribuzione commerciale incompatibili con la suddetta
previsione3.
A tal proposito, è necessario ricordare che, con l’entrata in vigore della legge
costituzionale di riforma del Titolo V della Costituzione (l. 18 ottobre 2001,
n. 3), la materia del “commercio” in quanto non prevista né nella competenza
esclusiva dello Stato, né nelle competenze concorrenti delle regioni a statuto
ordinario, è divenuta materia di competenza esclusiva residuale. A seguito di
tale riforma, dunque, tutte le regioni a statuto ordinario possono legiferare
autonomamente, senza il rispetto dei vincoli derivanti dalle leggi nazionali di
cornice4.
La competenza legislativa regionale, tuttavia, deve essere esercitata nel
rispetto dei principi generali fissati a livello comunitario e nazionale: in
questo senso il limite più importante da considerare, per le attività
commerciali, è quello della concorrenza. La nuova formulazione dell’art. 117
Cost. colloca, infatti, i principi comunitari in tema di concorrenza
nell’ordinamento interno a un livello superiore rispetto sia alla legge statale
che a quella regionale5.
Chiarita la portata riformatrice e gli importanti riflessi in tema di
concorrenza del decreto Bersani e definiti i limiti della competenza esclusiva
regionale in materia di “commercio”, non rimane che affermare la legittimità
costituzionale dell’art. 3 del d.l. n. 223 ed, in particolare, la sua
applicabilità alle attività commerciali regolamentate ai vari livelli di governo
regionali e locali6.
Se, dunque, risulta palese che - così come chiarito anche nella circolare n.
3603/C del 28 settembre 2006 del Ministero dello Sviluppo Economico - tale norma
si applica a tutte le attività commerciali di vendita e somministrazione, non è
altrettanto certo che la stessa previsione valga anche per l’attività di
free press. A riguardo, si consideri il d.lgs. n. 114 del 1998 cui fa
espresso riferimento l’art. 3 lett. b) del d.l. n. 223 del 2006. Il decreto, nel
riordinare e razionalizzare la disciplina relativa alle attività economiche ed
industriali, definisce – all’art. 4 – il commercio quale “esercizio a titolo
professionale di attività di acquisto di merci in nome e per conto proprio e di
rivendita a terzi (con conseguente esclusione delle cessioni gratuite)”.
La norma ricomprende nelle attività commerciali tutte le attività organizzate di
scambio senza attribuire alcun rilievo alla forma – fissa o ambulante – della
distribuzione7.
Il T.a.r. Lazio, quindi, nell’accogliere il ricorso, ha operato un’applicazione
analogica della disposizione contenuta nell’art. 3 lett. b) del decreto Bersani
e, di conseguenza, dell’art. 4 del decreto n. 114 del 1998. Il giudice, in
effetti, non si è limitato ad includere tra le attività oggetto della norma
quelle commerciali tout court, ma anche le attività dei free papers
che, pur non prevedendo una vendita dei propri giornali dietro corrispettivo,
stanno diventando, sempre più, per la gratuità e la varietà della loro offerta,
dei forti attrattori nel mercato dell’editoria8.
A ben vedere, alla luce di tali dubbi interpretativi, sarebbe apparsa più
corretta, da parte del giudice, una dichiarazione di illegittimità della
delibera comunale in relazione alla normativa regionale riguardante le modalità
di distribuzione della stampa. A tale proposito si ricorda che la legge della
regione Lazio 14 gennaio 2005, n. 4, nel disciplinare esclusivamente l’attività
di vendita dei quotidiani e dei periodici effettuata mediante edicole
autorizzate, non fissa alcun limite di distanza alla distribuzione su area
pubblica della stampa gratuita ed esente da qualsiasi tipo di autorizzazione. La
delibera comunale, prescrivendo limiti spaziali da rispettare nell’esercizio
dell’attività distributiva della stampa gratuita, poteva risultare illegittima
sia per violazione dei diritti costituzionali di libertà di stampa (ex art. 21
Cost.) e di iniziativa economica privata (ex art. 41 Cost.), che per mancata
conformità dell’atto amministrativo alla fonte normativa di rango superiore.
In conclusione, le difficoltà che il giudice ha incontrato nel risolvere il caso
in questione e le evidenti disparità interpretative che la vicenda ha
determinato sono probabilmente legate a due fattori. Prima di tutto, alla
mancanza, nell’ordinamento nazionale, di una disciplina ad hoc relativa ai
free papers. E, in secondo luogo, all’ancora non realizzato coordinamento
tra la disciplina statale in materia di riforma economico-sociale contenuta nel
decreto Bersani e la normativa regionale sul commercio.
Tenuto conto di tutto ciò e considerata la crescita esponenziale, negli ultimi
anni, delle attività di free press, non resta che auspicare una espressa
regolamentazione della distribuzione di stampa gratuita che garantisca, in
rispetto alle regole del mercato, il difficile equilibrio tra concorrenza e
gratuità della prestazione.
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_______________
1 Gli artt. 7 e 9
della delibera del Consiglio comunale 23 luglio 2006, n. 26 prevedono la
distribuzione gratuita della stampa quotidiana su aree pubbliche ad una distanza
almeno di duecento metri dalle rivendite autorizzate.
2 Per maggiori chiarimenti sulle novità introdotte dagli artt.
3, 4 e 11 del c.d. decreto Bersani, v. la circolare n. 3603/C del 28 settembre
2006 del Ministero dello Sviluppo Economico.
3 A tale riguardo, cfr. art. 3, co. 3 e 4, del d.l. n. 223/2006:
“3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono
abrogate le disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del
settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di cui
al comma 1. 4. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni
legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1
entro il 1° gennaio 2007”.
4 Sulla riforma costituzionale del 2001 e sui limiti della
potestà legislativa regionale, cfr. M. Clarich, A. Pisaneschi, La legge
costituzionale n. 3/2001, la competenza esclusiva delle regioni in materia di
commercio e il limite delle grandi riforme economico-sociali, in
Disciplina del commercio e dei servizi, n. 2/2002, Maggioli, pp. 255-260.
5 Sul punto, cfr. Segnalazione dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato del 20 dicembre 2001, A.S. 226, consultabile sul sito
www.agcm.it. L’A. chiarisce che “il testo novellato dell’art. 117 Cost. prevede
che le leggi statali e regionali, nonché i regolamenti regionali e gli atti
amministrativi degli enti locali, adottati per la disciplina di vari settori
economici saranno tenuti al rispetto della concorrenza che costituisce principio
generale dell’ordinamento […]. Di conseguenza le limitazioni alla attività
commerciale derivanti da non giustificati interessi pubblici prevalenti non
potranno essere introdotte, e che la tutela di eventuali interessi urbanistici,
che vada a porre barriere all’ingresso, dovrà essere espressamente motivata e
giustificata […]”.
6 Il giudice, nella sentenza in commento, chiarisce che “la
legislazione recente è orientata, proprio ai fini della tutela della libertà di
concorrenza, alla rimozione di alcuni limiti regolamentari alle attività
produttive e commerciali, quali parametri numerici e distanze minime tra
esercizi [...]”.
7 Così, V. Amorth, Commercio (disciplina amministrativa)
in Enc. Dir., vol. VII, p. 808. Sulla nozione e disciplina dell’attività
commerciale v. anche A.M. Proto, Brevi considerazioni sulla nozione di
attività commerciale in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 881 ss.;. A.
Ragazzini, La disciplina dell’attività commerciale dal dopoguerra alla legge
Bersani […] in Foro amm.-CDS, 2003, p. 1474 ss.; V. Ragonesi La
disciplina dell’attività commerciale – Commercio a posto fisso, ambulante ed
esercizi pubblici, Giuffrè, p. 576 ss., M.A. Sandulli, Il Commercio –
commento al d.lg. 31 marzo 1998, n. 114, M. Bassani (a cura di), Giuffrè,
1998. Sulla definizione di attività commerciale quale “attività assoggettata al
mercato e perseguita sulla base di criteri spiccatamente imprenditoriali [..]”,
v. Corte giust. Ce, sez. VI, 16 ottobre 2003, Commissione europea c. Regno di
Spagna, causa 283/00, in GU C 259 del 9.9.2000; Cons. St., sez. VI, 21
luglio 2003 n. 4181.
8 Il quotidiano distribuito dalla società ricorrente è stato,
per la prima volta, pubblicato nel marzo 2001 ed è diventato dopo appena
quattordici mesi dal lancio, il primo quotidiano nazionale gratuito con oltre
1.050.000 copie distribuite ed una media di 1.790.000 lettori giornalieri. E’
diffuso in esclusiva nelle principali stazioni italiane, nelle metropolitane,
nei centri commerciali e di aggregazione giovanile di quindici principali città
italiane: Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Bologna, Venezia, Padova,
Verona, Genova, Como, Varese, Bergamo, Brescia e Bari.
***
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE II ter
N. 10832/06 Reg. Ric.
N. Reg. sent.
N. Reg. Sez.
Anno 2007
composto dai Magistrati:
Michele PERRELLI - PRESIDENTE
Antonio VINCIGUERRA - CONSIGLIERE rel.est.
M.Cristina QUILIGOTTI - CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 10832/2006 R.G. proposto da LEGGO s.p.a., in persona del suo
rappresentante legale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Cavatola e
Sergio Caracciolo, ed elettivamente domiciliata in Roma, via Agostino Depretis -
86;
c o n t r o
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Rosalda Rocchi, ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio
di Giove - 21;
e nei confronti di
D'Ascenzi Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni D'Amato, ed
elettivamente domiciliato in Roma, via Calabria – 56;
per ottenere
- l'annullamento della delibera 23.1.2006 n. 26 del Consiglio comunale di
Roma, limitatamente alle disposizioni sulla stampa gratuita, con particolare
riferimento agli artt. 7 e 9;
- del provvedimento notificato il 10.10.2006, con il quale il Servizio ispettivo
annonario (Dipartimento VIII) del Comune di Roma ha emesso una sanzione
pecuniaria a carico della società ricorrente;
Visto il ricorso con gli atti e documenti allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata e del
sig. D'Ascenzi Antonio;
Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 7.5.2007, con designazione del Consigliere dott.
Antonio Vinciguerra relatore della causa, l’avv. Sergio Caracciolo per la
società ricorrente e l’avv. Rosalda Rocchi per l’Amministrazione resistente;
Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue
F A T T O
Con provvedimento notificato il 10.10.2006 la società Leggo s.p.a., che pubblica
e diffonde l'omonimo quotidiano gratuito, è stata multata dal Comune di Roma
perché uno dei suoi operatori effettuava la distribuzione del giornale a
distanza inferiore a quanto stabilito dalla delibera 23.1.2006 n. 26 del
Consiglio comunale, rispetto a rivendita di riviste e giornali autorizzata.
La società Leggo contesta in giudizio la delibera consiliare e il provvedimento
sanzionatorio, deducendo l'assenza di riscontri legislativi a supporto, il
contrasto con principi di ordine costituzionale e la violazione della normativa
di cui agli artt. 7 e seg. della legge 7.8.1990 n. 241 in tema di partecipazione
al procedimento.
Il Comune di Roma si è costituito in giudizio e ha eccepito, in pregiudiziale,
l'improponibilità del ricorso in punto di giurisdizione, giacché attiene alla
competenza dell'Autorità giudiziaria ordinaria la potestà cognitoria in merito
alle sanzioni pecuniarie amministrative.
Si è costituito in giudizio, altresì, il sig. Antonio D'Ascenzi, evocato in
causa in qualità di controinteressato, come titolare di edicola interna a una
stazione della metropolitana. Il sig. D'Ascenzi eccepisce il proprio difetto di
legittimazione passiva.
Entrambe le controparti chiedono il rigetto, nel merito, della domanda
giudiziale; sostenendo la conformità dei provvedimenti alla vigente normativa, a
tutela dell'interesse pubblico alla disciplina delle attività
produttivo/commerciali e dell'interesse alla concorrenza, tutelato dalla Carta
costituzionale.
La causa è passata in decisione all'udienza del 7.5.2007.
D I R I T T O
Oggetto principale del contendere è la legittimità della delibera 23.1.2006 n.
26 del Consiglio comunale di Roma, nella parte in cui pone vincoli in ordine
alle distanze minime tra i distributori di stampa gratuita e le rivendite
autorizzate di giornali e riviste. La legittimità del provvedimento che ha
irrogato sanzione a seguito dell'accertata violazione della suddetta disciplina
viene, dunque, in rilievo in via consequenziale e la relativa valutazione di
merito è destinata a subire le conseguenze del giudizio sulla presupposta
normativa di riferimento. Perciò, anche secondo i principi propri della
competenza sulle cause accessorie (art. 31 cod.proc.civ.), per l'esame delle
deduzioni afferenti alla delibera comunale di riferimento la giurisdizione
appartiene all'Autorità giurisdizionale amministrativa ancorché la contestazione
involga l'atto sanzionatorio consequenziale.
Non può, invece, essere esaminato in questa sede il motivo di doglianza proposto
in via autonoma avverso la misura pecuniaria, con la deduzione di illegittimità
formale per violazione sulla normativa in tema di partecipazione al procedimento
amministrativo. La censura involge esclusivamente il provvedimento
sanzionatorio, prescindendo da ogni rilievo di legittimità sulla presupposta
delibera comunale violata; perciò può essere esaminato soltanto dall'Autorità
giudiziaria ordinaria, che ha competenza esclusiva cognitoria in tema di
sanzioni amministrative pecuniarie.
La chiamata in causa del sig. Antonio D'Ascenzi risponde ai dettami dell'art. 21
della legge 6.12.1971 n. 1034, che impone la notifica del ricorso ad almeno uno
dei controinteressati. In quanto titolare di edicola il sig. D'Ascenzi è
controinteressato all'annullamento della delibera n. 26/2006 del Consiglio
comunale di Roma, impugnata nella parte in cui definisce il limite minimo di
distanza tra i distributori di stampa gratuita e le edicole autorizzate. Al
medesimo, pertanto, va riconosciuta la legittimazione a contraddire e
l'interesse contrario all'impugnativa, quale del resto appare nella sua memoria
di controdeduzioni, laddove eccepisce la tutelabilità dell'interesse alla
concorrenza a sostegno del regolamento comunale contestato dalla Leggo s.p.a.
*
Nel merito occorre osservare come la
legislazione recente sia orientata, proprio ai fini della tutela della libertà
di concorrenza, alla rimozione di alcuni limiti regolamentari alle attività
produttive e commerciali, quali parametri numerici e distanze minime tra
esercizi. Tanto nelle esigenze di conformazione all'ordinamento comunitario e,
quindi, per l'affermazione dei principi di libertà di iniziativa economica che
vi fanno capo e sono altresì insiti nel sistema costituzionale italiano.
La recente azione governativa e parlamentare è intesa a sviluppare un programma
di liberalizzazioni nelle attività produttive e di servizi, nel quale è
contemplato il riconoscimento delle attività di distribuzione ambulante della
stampa periodica e l'abolizione delle distanze tra le rivendite di giornali.
Le disposizioni di cui agli artt. 7 – 9 della delibera consiliare n. 26/2006,
che modificano l'articolato di cui all'allegato A della delibera C.C. n.
188/2003, si pongono in contrasto con il disposto di cui all'art. 3, lett. b),
del D.L. 4.7.2006 n. 223, convertito in L. 4.8.2006 n. 248, nella parte in cui
definiscono, anche per la distribuzione della stampa gratuita, limiti di
distanze tra esercizi.
Occorre, pertanto, riconoscere la illegittimità in parte qua della delibera e
del conseguente provvedimento sanzionatorio impugnati. In questi termini il
ricorso va accolto.
Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio. Va
riconosciuto a carico dell'Amministrazione comunale l'obbligo di rifusione del
contributo unificato.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II ter, accoglie il
ricorso in epigrafe nei termini di cui a parte motiva.
Per l'effetto, annulla nei predetti termini e limiti i provvedimenti impugnati.
Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite.
Dispone a carico dell'Amministrazione comunale l'obbligo di rifondere il
contributo unificato versato in €. 500 (cinquecento).
Ordina che la sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.5.2007.
Michele Perrelli PRESIDENTE
Antonio Vinciguerra CONSIGLIERE est.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 31/08/2007