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Sommersi da terre e rocce da scavo: uno "smottamento" nel nuovo T.U. Ambientale
Nota a parziale commento dell'art. 186 del D.Lgs. 03 aprile 2006 n. 152
SILVANO DI ROSA(*) E
ILARIA FATTORI(**)
SOMMARIO:
Premessa; – 1. Poche righe per un accenno al passato; – 2. Le nuove
disposizioni contenute nel T.U.; – 3. Alcune delle differenze più eclatanti
rispetto al passato; – 4. Analisi delle novità; – 5. Conclusioni.
Premessa
Finalmente siamo giunti all’entrata in vigore del tanto atteso1
«Testo Unico Ambientale»: dal 29 aprile 2006 è infatti vigente il D. Lgs.
03 aprile 2006, n. 152 « Norme in materia ambientale »!
Dopo un lungo peregrinare fra bozze, versioni e richieste di chiarimenti
possiamo contare su di un testo definitivo; ma non per questo ci pare il caso di
affrontarlo d’emblée, nel proprio imponente insieme.
Ci limiteremo, pertanto, a prendere in esame – scavando… scavando… fra
quelli di nostro interesse – un preciso argomento che ci è sembrato opportuno
analizzare; se non altro, perché ……da qualche parte occorreva pur cominciare!
Scavando….., appunto, nei meandri della nuova normativa, è risultata
fatale l’attrazione verso quell’articolo che – per omonimia di contenuto – si è
mostrato più vicino all’attività di analisi pazientemente intrapresa: il 186
(terre e rocce da scavo); anche – diciamolo subito!! – a causa
dell’illusione di poterlo gestire con una certa nonscialance e, quindi,
sottovalutando la sussistenza del rischio di rimanere sommersi dalla
valanga di molteplici interpretazioni che, viceversa, possono scaturirne fin da
una prima e sommaria lettura.
1. – Poche righe per un accenno al passato
Le terre e rocce da scavo, negli anni, sono state inserite in
circoli virtuosi , così come in percorsi viziosi: interventi
legislativi, circolari, decreti e …chi più ne ha ne metta…..; a
cominciare dalla delibera 27 luglio 1984 del Comitato Interministeriale – di
vecchia memoria – che non le considerava dei rifiuti. In seguito sono divenute
rifiuti, con tanto di attribuzione di specifico codice CER (17.05.01),
poi potenzialmente “non rifiuto”…..e lì dai…., ancora con
interpretazioni, controinterpretazioni, semplificazioni, complicazioni, ecc.
Anche per chi non la conoscesse nei dettagli, risulta evidente – già da queste
prime battute – che riassumere la “storia” delle terre e rocce da
scavo richiederebbe troppo tempo, a scapito dello spazio che, viceversa,
intendiamo dedicare al futuro prossimo, divenuto – a dire il vero –
oramai “presente”. Per i particolari “storici” riteniamo più che
sufficiente un rinvio ad altri stimati autori2
che si sono dedicati puntualmente a tale excursus. Ai nostri fini sarà
sufficiente un mero accenno all’art. 1, commi 17, 18 e 19 della Legge Lunardi
(21 dicembre 2001, n. 443), con cui è stata fornita un’interpretazione
autentica degli articoli 7 e 8 del c.d. Decreto Ronchi (D.Lgs. n.
22/1997), particolarmente riferita al primo comma, lettera f bis)3,
di quest’ultimo articolo. Interpretazione, come noto, revisionata – in poco meno
di due anni – dall’art 23, commi 17 e 18, della Legge Comunitaria 2003
(31 ottobre 2003, n. 306).
Il richiamo agli articoli, ai commi ed ai paragrafi
potrebbe però risultare sterile. Ciò che conta e soprattutto ci interessa, è la
lapidaria essenza che scaturisce dalla combinazione di tutte queste norme. In
tal senso, fino al 28 aprile ultimo scorso, delle terre e rocce da scavo
era possibile dire che: «le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non
costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del
medesimo decreto legislativo (n.d.r.: il 22/97) solo nel caso in cui,
anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti
derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano
utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel
progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le
modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente
previo parere dell'Arpa, semprechè la composizione media dell'intera massa non
presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti.
Il rispetto dei limiti [di cui al comma 17]4
può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante
accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi
accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto
del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni,
salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.
Per i materiali [di cui al comma 17]5
si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e
macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale,
purché sia progettualmente previsto l'utilizzo di tali materiali, intendendosi
per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in
altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa
competente previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere
dell'Arpa, a condizione che siano rispettati i limiti [di cui al comma 18]6
e (n.d.r.: che) la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di
rimodellazione ambientale del territorio interessato.
Qualora i materiali [di cui al comma 17]7
siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità
amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui
medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza
pubblica, anche mediante l'effettuazione di controlli periodici, l'effettiva
destinazione all'uso autorizzato dei materiali; a tal fine l'utilizzatore è
tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione»
2. – Le nuove disposizioni contenute nel T.U.
Neppure la «Relazione illustrativa del testo di cui alla parte IV del
decreto»8
ci consente di andare troppo oltre il contenuto testuale dell’art. 186.
Difatti, in tale sede astrattamente esplicativa, il relatore si limita ad
affermare che: «L’impostazione dell’articolo recepisce le indicazioni fornite
dalla Commissione Europea che ha aperto, su tale materia, una specifica
procedura d’infrazione e introduce delle prescrizioni operative al fine di
fornire certezze comportamentali e alle autorità deputate al controllo»,
raccontando in seguito, e – a dire la verità – abbastanza infruttuosamente,
che cosa dicono i vari commi dell’articolo.
Per quanto ci riguarda – tralasciando volutamente il significato, anche oscuro,
di quest’ultimo asserto – vorremmo spendere il nostro tempo per capire “meglio e
direttamente” quella che, da oggi, deve considerarsi la nuova stesura9
delle disposizioni vigenti in materia di terre e rocce da scavo.
Magari, per valutarla a fondo, occorrerebbe dedicarvi un convegno. Quindi, per
il momento, ripieghiamo verso una semplice analisi del citato art. 186,
limitandola al primo, quinto e settimo comma; avendo cura di compararne
preventivamente il contenuto con quanto disposto da quella che possiamo definire
la normativa previgente in materia.
3. – Alcune delle differenze più eclatanti rispetto al passato
Con le seguenti tabelle sinottiche si intende fornire la comparazione cui si
è fatto cenno; al fine di facilitare l’individuazione delle novità (nello
specifico, sono state individuate in
D.Lgs. 03 aprile 2006, n° 152 art. 186, comma 1 |
Disposizioni previgenti |
le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, |
le terre e rocce da scavo, anche di galle- |
D.Lgs. 03 aprile 2006,
n° 152 |
Disposizioni previgenti |
Per i materiali
di cui al comma 1
si intende per |
Per i materiali
[di cui al comma 17]
si intende |
D.Lgs. 03 aprile 2006,
n° 152 |
Ai fini del parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, di cui ai commi 1 e 5, per i progetti non sottoposti a valutazione di impatto ambientale, alla richiesta di riutilizzo ai sensi dei commi da 1 a 6 è allegata una dichiarazione del soggetto che esegue i lavori ovvero del committente, resa ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente del-la Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale si attesta che nell'esecuzione dei lavori non sono state utilizzate sostanze inquinanti, che il riutilizzo avviene senza trasformazioni preliminari, che il riutilizzo avviene per una delle opere di cui ai commi 1 e 5 del presente articolo, come autorizzata dall'autorità competente, ove ciò sia espressamente previsto, e che nel materiale da scavo la concentrazione di inquinanti non è superiore ai limiti vigenti con riferimento anche al sito di destinazione. |
4. – Analisi delle novità
Procediamo per punti, analizzando separatamente i tre commi riportati nella
sezione precedente (1, 5, 7).
4.1 – il primo comma dell’art. 186
L’art. 186 del nuovo T.U., al comma 1, stabilisce quali sono le condizioni alle
quali le terre e rocce da scavo – ed i residui della lavorazione della
pietra – possono essere escluse dal regime giuridico dei rifiuti. Tali
materiali, per potersi considerare dei “non rifiuti”, debbono essere
destinati all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e
macinati; senza però che sia necessario sottoporli a trasformazioni
preliminari prima dell’uso. E’ previsto il rispetto delle modalità
dichiarate nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero –
se non necessaria – di quelle contenute nell’eventuale progetto approvato
dall'autorità amministrativa competente (ove ciò sia espressamente previsto).
Per tale approvazione risulta pregiudiziale un parere espresso
dall’organo di controllo deputato alla protezione dell'ambiente, che terrà conto
anche della presenza di inquinanti10
all’interno dell'intera massa dei materiali destinati all’utilizzo.
Per quanto concerne questo primo comma dell’articolo in esame, appare del
tutto evidente come due – delle quattro – novità introdotte debbano considerarsi
degne di nota e, di queste, una in particolare sia estremamente rilevante ai
fini di una corretta interpretazione preliminare della norma nel suo insieme.
Tralasciando quindi i riferimenti alle “province autonome” ed al “decreto
di cui al comma 3”, vorremmo evidenziare che, a fianco delle terre e
rocce da scavo vengono presi in considerazione – e soprattutto destinati ad
avere la stessa “sorte”– anche i residui della lavorazione della pietra.
A tal riguardo, si riscontra subito una prima anomalia lessicale costituita
dall’impiego di un plurale femminile nel lemma: « Le terre e rocce da scavo,
anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate…
».
Ciò potrebbe indurre qualcuno a pensare che l’effettivo utilizzo, di cui
si discute11,
debba essere riferito alle sole terre e rocce di scavo. Sembra però del
tutto ragionevole poter escludere tale interpretazione, dovendo – a nostro
avviso – leggere quel “destinate” come un più adeguato: “destinati”.
Lo conferma anche (per quanto mancante di adeguata punteggiatura) il binomio “siano
utilizzati”, che caratterizza il prosieguo del testo della
norma. La questione, per quanto predetto, può ritenersi chiusa.
Per quanto non si tratti di una novità, ci piace anche evidenziare il
reiterato impiego dei termini “utilizzo” e “utilizzati”, sui quali
ci soffermeremo in occasione dell’analisi del settimo comma dell’articolo 186.
Tornando al comma in esame, riteniamo indiscutibile come la novità principale
che vi si rintraccia, debba essere individuata nell’inciso: «…, ove ciò
sia espressamente previsto,…»; novella ricorrente anche nel
quinto e nel settimo comma dello stesso articolo.
Tale reiterata precisazione non può e non deve essere considerata
marginale, né tantomeno secondaria, in quanto decisamente incidente sulla
vexata quaestio del quando “si debba” e del quando “non
occorra” sottoporre a specifica preventiva approvazione (e
conseguente caratterizzazione dei materiali risultanti) un’operazione di
utilizzo di terre e rocce da
scavo.
Nella vigenza della precedente normativa – ove (a parte i casi di V.I.A.) si
prevedeva: «…secondo le modalità previste nel progetto approvato
dall'autorità amministrativa competente previo parere dell'Arpa, sempreché
la composizione…» – non si poteva del tutto escludere l’interpretazione
secondo cui, per l’utilizzo dei materiali de quibus,
occorresse sempre:
√ presentare un progetto;
√ che questo fosse approvato dall’autorità amministrativa (quindi non un
organo di controllo tecnico!!) competente;
√ che tale approvazione fosse preceduta e condizionata da un parere
dell’Arpa territorialmente competente;
√ che l’approvazione ed il connesso parere tecnico dipendessero
anche dalla composizione media dell’intera massa di materiale da
utilizzare, con riferimento al mancato superamento delle concentrazioni
limite fissate dal D.M. 471/99 per determinati inquinanti.
La dizione allora utilizzata, in effetti, non lo poteva escludere; ma riteniamo
che una tale lettura, di strette vedute, non risultasse – e non potrebbe
continuare a risultare – utile ad alcuno; neppure all’ambiente! La ragione è
scontata: ogni “estremismo” comporta sempre un commisurato rovescio della
medaglia, tanto che imporre l’irragionevole necessità di autorizzazioni
preventive anche per fattispecie ed operazioni di rilevanza minimale, avrebbe
portato e porterebbe – come una sorta di effetto boomerang – ad un
astratto ed illusorio controllo capillare di tutte le realtà, che, viceversa, in
pratica, si sarebbe tradotto e si tradurrebbe in un «controllare tutto per
non controllare niente». La ragionevolezza e la possibile
condivisione costituiscono fondamenti imprescindibili, senza i quali si
corre soltanto il rischio di dar vita a “Grida” di manzoniana memoria.
Nella nuova norma è stato reiteratamente introdotto l’inciso poc’anzi
evidenziato. Abbiamo visto come lo stesso: «…, ove ciò sia espressamente
previsto,…» sia presente nella frase “…secondo le modalità previste
nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia
espressamente previsto, previo parere delle …”, lasciando chiaramente
intendere che possono esserci – anzi, che: ci sono! – dei casi in cui:
√ può non essere
espressamente previsto l’obbligo di presentare un progetto per l’utilizzo
di terre e rocce da scavo;
√ non sia conseguentemente necessaria alcuna approvazione da
parte dell’autorità amministrativa competente;
√ non sia quindi richiesta l’emanazione di alcun parere
dell’Arpa territorialmente competente;
√ non risulti affatto rilevante e/o significativo avere
cognizione specifica della composizione media dell’intera massa di
materiale da utilizzare con riferimento al mancato superamento delle
concentrazioni limite fissate dall’ordinamento giuridico.
Per smorzare la crescente monotonia potremmo dire che quando ci va’… ci vuole,
ma anche che: quando non ci vuole….. non sa’ da fare!
Altre saranno le occasioni e le sedi idonee ad individuare gli specifici casi
in cui, per l’utilizzazione di terre e rocce da scavo, sussista un logico
(e, soprattutto, normativamente previsto in maniera espressa!!) obbligo di
preventiva presentazione di un progetto, vagliato dall’autorità
amministrativa competente12,
a seguito di specifico parere formulato al riguardo – dall’organo
tecnico di controllo ambientale – anche sulla scorta del contenuto di
inquinanti presenti nel terreno, così come della provenienza e della
destinazione che si prevede questo debba avere.
Riteniamo che questo sia fuor di dubbio; tanto quanto lo è l’antitetica “ipotesi
limite” in cui, per le trascurabili quantità di materiale destinato ad essere
utilizzato e/o per la provenienza e/o la destinazione dello stesso – oltre che
per l’assenza di un obbligo normativamente previsto – qualsiasi complicanza
burocratico/tecnica risulterebbe scontatamente ridondante, divenendo una pretesa
irragionevole e determinante un netto squilibrio del rapporto costi–benefici.
Senza volerci contraddire rispetto al rinvio ad altre occasioni – poc’anzi
dichiarato ed auspicato – riteniamo di poterci comunque riferire a due ipotesi
tanto paradigmatiche quanto opposte fra loro.
Alla prima – concernente l’obbligo di un progetto preventivo da approvare, ecc.
– può essere ricondotto il caso di un’escavazione di terreno da un sito –
quantomeno – potenzialmente inquinato (un’area sottoposta a bonifica e/o a
caratterizzazione).
E’ del tutto evidente che, in questo caso, per l’utilizzo del materiale
estratto, occorra un progetto preventivo, da verificare in tutti i suoi aspetti
peculiari: nessuno escluso (modalità, provenienza, destinazione, livello di
contaminazione, eventuale deposito intermedio, ecc.).
In posizione nettamente antagonista riteniamo di poter collocare il mero scavo
di terreno finalizzato (ad esempio) alla piantumazione di qualche albero d’alto
fusto (di dimensioni già apprezzabili) o per il posizionamento di piccoli
manufatti nel suolo. Prevedere chissà quali controlli tecnico-amministrativi per
le terre e rocce da scavo residuali di queste attività non può che
considerarsi assurdo e sproporzionato.
Fra le due “posizioni estreme” saranno ovviamente molti i distinguo e le
precisazioni necessari; non mancherà l’occasione per darvi concreta
attuazione.
4.2 – il quinto comma dell’art. 186
Il comma 5 fornisce una precisazione su cosa debba intendersi per “effettivo
utilizzo”; individuato come condizione necessaria perché le terre e rocce
da scavo siano escluse dal regime di applicazione della normativa vigente in
materia di gestione rifiuti. In particolare viene specificato che quell’utilizzo
può consistere anche nel destinare i materiali scavati a differenti cicli di
produzione industriale, oppure al riempimento delle cave coltivate;
ma anche nella ricollocazione degli stessi in altro sito. Sempre
ribadendo, e quindi attribuendo funzione condizionante, al fatto che si tratti
di una destinazione progettualmente prevista, e che – pertanto –
si giunga al rilascio di un’autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa
competente (in questo caso, presumibilmente necessaria) osservando, senz’altro,
le modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato
e tenendo anche conto del rispetto dei valori limite di concentrazione degli
inquinanti eventualmente presenti nel materiale da ricollocare-utilizzare.
Quindi – nei casi in cui è esplicitamente prevista – viene
attribuito un grande rilievo ed una posizione di centralità alla
progettualità, che, di conseguenza, dovrà essere adeguatamente curata.
4.3 – il settimo comma dell’art. 186
Rispetto al passato, il comma 7 dell’articolo in esame prevede che “ai fini
del” (e quindi nel caso in cui sia prevista la richiesta ed il conseguente
rilascio di) parere Arpa, si debba13
presentare, unitamente alla domanda, anche una dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà14
concernente: l’inutilizzazione di sostanze inquinanti nel corso delle operazioni
di scavo, l’assenza di trasformazioni preliminari dei materiali estratti, la
riconducibilità dell’impiego previsto (e richiesto) ad uno degli “utilizzi”
indicati fin dal primo comma dello stesso articolo 186, ed infine il rispetto
(nel materiale da utilizzare) delle concentrazioni limite vigenti per alcuni
inquinanti.
A differenza di quanto stabiliva la Legge Lunardi, oggi viene espressamente
richiesta una dichiarazione sostitutiva, indicando “chi”
debba provvedervi: o il soggetto che esegue i lavori, oppure il committente
degli stessi.
Anche in questa occasione si riscontrano delle improprietà nella sintassi che
possono dar vita a molteplici smottamenti interpretativi davvero non
auspicabili.
Vogliamo dire che: se con la dichiarazione sostitutiva15
si debbono fornire delle attestazioni deducendole da indicazioni che nella
norma sono volte “al passato”16
o “al presente”17,
si potrebbe anche dedurre che, al momento della presentazione di tale
dichiarazione (da unire alla domanda), lo scavo possa/debba essere già
stato, non solo approvato18,
bensì anche realizzato19.
Ma non solo! Si potrebbe anche dedurre che la massa del materiale “escavato”
debba essersi già formata e che addirittura sia stata caratterizzata
ed analizzata20.
In tal senso si potrebbero avere percorsi procedimentali fra i più svariati:
controlli analitici rimessi alla discrezione del firmatario della dichiarazione
sostitutiva; la posticipazione della richiesta di approvazione di un progetto
(contenente le modalità di utilizzo del materiale scavato) ad un momento
successivo allo scavo stesso, ecc.. Tutto potrebbe finire – a tarallucci e
vino… o meglio – col far pensare che si possa fare come meglio si crede.
Riteniamo, viceversa, che la questione debba essere interpretata alla luce del
contesto in cui si colloca il comma (settimo) in esame. Per meglio, siamo
fermamente convinti che ci si debba rifare alla fondamentale previsione
contenuta nel comma 1 dell’art. 186; la quale viene qui di seguito
riportata in versione sintetica ed essenziale:
«Le terre e rocce da scavo ed i residui della lavorazione della pietra destinati all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, non costituiscono rifiuti… solo nel caso in cui,… siano utilizzati,…secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente (ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi…)».
Alla luce dell’indirizzo principale contenuto in tale primo comma, appare
evidente che le modalità di utilizzo devono essere già previste ed
indicate nel progetto che dovrà essere approvato dall’autorità
(ovviamente nel caso in cui serva un progetto e ne consegua un’approvazione) e
quindi anche nella preventiva domanda di utilizzo;
la quale non può essere disgiunta dal progetto stesso. Ammesso e non concesso
che questo sia condivisibile e condiviso, ne consegue che la dichiarazione
sostitutiva – dovendo anch’essa essere contestuale – deve essere presentata
con la domanda e con il progetto, cosicché tutte le indicazioni
fornite – dal settimo comma in esame – in relazione ai contenuti della
dichiarazione sostitutiva, debbono correttamente intendersi da “volgere al
futuro”. In tal senso nella dichiarazione si dovrebbe attestare che:
√ nell'esecuzione dei lavori non verranno utilizzate sostanze
inquinanti,
√ il riutilizzo proposto avverrà senza trasformazioni preliminari,
√ il riutilizzo previsto consisterà in una delle opere (rectius:
attività) di cui ai commi 1 e 5 dell’art. 186, così come autorizzata
dall'autorità competente (ove ciò sia espressamente previsto),
√ sussistono elementi validi per poter presumere che la composizione
media dell'intera massa del materiale che si formerà dallo scavo non
presenterà una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti – anche con riferimento al sito di destinazione –; questo
sia in ragione della destinazione d’uso che ha caratterizzato l’area da
sottoporre ad escavazione, sia in base alle verifiche analitiche condotte su
sondaggi di controllo eventualmente effettuati in loco prima della presentazione
della domanda.
Questo viene confermato anche da quanto indicato al successivo comma ottavo
dello stesso articolo 186, ove si legge: «…Nel caso in cui non sia possibile
l'immediato riutilizzo del materiale di scavo, dovrà anche essere indicato il
sito di deposito del materiale,…» ed in cui, giustamente, l’indicazione del
sito destinato a depositarvi temporaneamente il materiale estratto, ha carattere
chiaramente preventivo e quindi da considerare in una previsione “futura”.
Il settimo comma ci offre anche lo spunto per una precisazione già
affrontata quasi un lustro fa21
e che – prima o poi – costituirà elemento determinante di nuove trattazioni
inerenti la travagliata questione della nozione di rifiuto.
Ci riferiamo al fatto che, nel prevedere l’allegazione di una dichiarazione
sostitutiva, si cita una richiesta di RI-utilizzo (ai sensi dei
commi da 1 a 6 stesso articolo). Pensiamo sia l’ennesima occasione “per
confondersi”, in un ambito in cui, a dire il vero, nessuno sente la
necessità di aumentare il livello di incertezza che già imperversa.
L’uso del termine riutilizzo deve considerarsi del tutto improprio
in quanto, con tale termine, solitamente si indica: destinare a nuovo uso,
reimpiegare, utilizzare nuovamente.
Nel caso di specie, però, sarebbe stato necessario chiedersi quale fosse
l’utilizzazione di quelle terre e rocce da scavo prima che queste
venissero ad esistenza (ergo, prima dell’escavazione). La risposta è univoca:
nessuna! Prima dell’escavazione non erano e non potevano
considerarsi terre e rocce da scavo, come entità a se stante, bensì solo
e soltanto elementi costitutivi e parti integranti dell’insieme unitario
qualificabile come “suolo e sottosuolo”. Non si può, pertanto,
parlare di richiesta di ri-utilizzo, ma – come
correttamente indicato in tutta la restante parte dell’articolo 186 – “di
utilizzo”.
Non si tratta di cosa “da poco”, dal momento in cui la ratio della norma
in esame è quella di determinare le condizioni che (se rispettate) consentano di
qualificare come “non rifiuto” i materiali di cui trattasi.
Se, nel rispetto di tali condizioni, le terre e rocce da scavo sono da
considerare materiali e non rifiuti, i riferimenti più attinenti
che ci dovrebbero venire in mente nel parlarne, sono quelli relativi alla
nozione di sottoprodotto22
ed a quella di materia prima secondaria per attività siderurgiche e
metallurgiche, formulate all’art. 183, comma 1, lettera n) e lettera
u), del nuovo T.U. D.Lgs. 03 aprile 2006, n. 152. In tali contesti – con
la consapevolezza di essere al di fuori del campo di applicazione della
normativa sui rifiuti – non si parla mai di ri-utilizzo, bensì di
utilizzo.
E così deve essere, dal momento in cui, parlare di ri-utilizzo ci riporta
direttamente a prescrizioni23
affini ed attinenti al contesto dei rifiuti.
Dunque, per quale assurda ragione dovremmo aggrovigliarci nelle complicanze
semantiche del significato di riciclo, riutilizzo, reimpiego, riciclaggio,
recupero, proprio mentre si stanno dichiaratamente illustrando le condizioni
per poter considerare come “non-rifiuto” il materiale di cui trattasi?
Non se ne intravede alcun ragionevole motivo, tanto da ritenere plausibile e
corretto parlare di “richiesta di utilizzo”.
Per concludere l’analisi del settimo comma intendiamo dedicare un piccolo spazio
al binomio che lo accomuna al primo comma già analizzato: «trasformazione
preliminare». I materiali in questione, per poter essere utilizzati
– nelle attività indicate dall’articolo 186 – come dei “non rifiuti”,
non devono (dichiaratamente) essere sottoposti a trasformazione
preliminare.
Possiamo chiudere la questione in poche battute, dal momento in cui la Terza
Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, nella propria ordinanza, 16
gennaio 2006, n. 1414 (udienza 14 dicembre 2005 - Pres. De Maio Est. Onorato
Imputato Rubino) – nel richiamare la nota sentenza della Corte di
Giustizia Europea, Sezione II, 11 novembre 2004, Causa C-457/02 (c.d. sentenza «Niselli»)
– qualifica come trasformazioni preliminari quelle che determinano
modificazioni del carattere chimico o merceologico della sostanza24.
Se così è, risulta abbastanza ovvio che per (trasformazione preliminare
consistente in una) modificazione del carattere chimico, debba intendersi
l’effetto di un processo che modifichi la composizione del
materiale dal punto di vista della struttura molecolare che lo compone
(un processo di combustione, ad esempio, induce una trasformazione chimica, così
come qualsiasi altro più generico processo di ossidazione o riduzione).
Sussisterà, invece, una (trasformazione preliminare generatasi a causa di una)
modificazione del carattere merceologico di un materiale, quando si
verifichi una variazione delle sue qualità specifiche (proprietà
ed i requisiti chimico-fisici); tale da poterne, in qualche modo, compromettere
– o facilitare – l’impiego dal punto di vista commerciale.
Se ne dovrebbe poter dedurre che soltanto una trasformazione
comportante:
√ una modifica della composizione del materiale dal punto di vista
della struttura molecolare e/o
√ una variazione delle qualità specifiche dello stesso, tale da
comprometterne o facilitarne la possibilità di impiego,
dovrebbe poter incidere in modo negativo sulla possibilità di considerare come dei “non rifiuti” le terre e rocce di scavo utilizzate per le attività di cui all’art. 186 del D.Lgs. 152/2006.
Possiamo concludere questa sezione evidenziando che, ogni qual volta non
si verifica una modificazione della composizione chimica di base di un
materiale proveniente da escavazione – in quanto (per così dire) la terra
rimane tale e/o lo stesso accade per la parte rocciosa – e neppure può
ravvisarsene una modificazione merceologica – restandone inalterate le proprietà
ed i requisiti chimico-fisici originari –, non si può neppure
parlare di trasformazione preliminare dello stesso.
5. – Conclusioni
L’intento iniziale, come già accennato, era quello di cominciare ad
affrontare un argomento non troppo impegnativo del Testo Unico; tanto
che, il titolo previsto per il presente lavoro era: «Le terre e rocce da
scavo nel Testo Unico».
Successivamente, “qualcosa” ci ha portato a ritenere opportuno modificarlo,
acquisendo la consapevolezza che, volendo, lo si sarebbe potuto “appesantire”
ancor più.
In sintesi, auspichiamo di essere riusciti a rendere comprensibili le ragioni
che ci hanno portato ad intitolare il presente lavoro con: « Sommersi da
terre e rocce da scavo: uno “smottamento” nel nuovo T.U. Ambientale »; per
noi sarebbe già un risultato, compensativo dello sforzo fatto.
In ogni caso ci sarà ancora tanto da fare e tanto da dire, prima che il problema
delle terre e rocce da scavo possa dirsi definitivamente analizzato,
compreso e, soprattutto, prima che la norma in esame possa essere effettivamente
e correttamente “attuata”.
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(*) Avvocato in Vinci (FI) - Consulente Legale Ambientale. silvanodiros@email.it
(**) Chimico in Empoli (FI) - Studio Associato Abaco-Ambiente. fattori@abacoambiente.it
1 Amato ed odiato
2 MAGLIA STEFANO e BALOSSI MIRIAN VIVIANA, Terre e rocce da
scavo: rifiuto o non rifiuto? Il punto alla luce del nuovo «T.U. ambientale»,
Ambiente & Sviluppo, IPSOA Wolters Kluwer Italia s.r.l., 2006, fasc. n. 2, pag.
111
3 Lettera aggiunta dall'art. 10, comma 1, L. 23 marzo 2001, n.
93
4 dell’art. 23 legge 306/2003.
5 dell’art. 23 legge 306/2003.
6 dell’art. 23 legge 306/2003.
7 dell’art. 23 legge 306/2003.
8 Che ha accompagnato la bozza del D.Lgs. 152/2006, nella
versione riconducibile al 19 gennaio 2006
9 Art. 186. Terre e rocce da scavo – 1. Le terre e rocce da
scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate
all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non
costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione della
parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando
contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza
trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto
a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia
sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel
progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia
espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province
autonome per la protezione dell'ambiente, sempreché la composizione media
dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai
limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3.
2. Ai fini del presente articolo, le opere il cui progetto è sottoposto a
valutazione di impatto ambientale costituiscono unico ciclo produttivo, anche
qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti utilizzi, a
condizione che tali utilizzi siano tutti progettualmente previsti.
3. Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato, in
alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante
accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato
utilizzo. I limiti massimi accettabili nonché le modalità di analisi dei
materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i criteri di
cui all'Allegato 2 del titolo V della parte quarta del presente decreto, sono
determinati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della parte quarta del
presente decreto, salvo limiti inferiori previsti da disposizioni speciali. Sino
all'emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i valori di
concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1, tabella 1, colonna B,
del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471.
4. Il rispetto dei limiti massimi di concentrazione di inquinanti di cui al
comma 3 deve essere verificato mediante attività di caratterizzazione dei
materiali di cui al comma 1, da ripetersi ogni qual volta si verifichino
variazioni del processo di produzione che origina tali materiali.
5. Per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione
progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il
riempimento delle cave coltivate, oppure la ricollocazione in altro sito, a
qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, qualora
ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia
sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e
delle province autonome per la protezione dell'ambiente, a condizione che siano
rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo
modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato.
6. Qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti cicli di
produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le
funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli provvedono a verificare,
senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l'effettuazione
di controlli periodici, l'effettiva destinazione all'uso autorizzato dei
materiali; a tal fine l'utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza,
quantità e specifica destinazione.
7. Ai fini del parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la
protezione dell'ambiente, di cui ai commi 1 e 5, per i progetti non sottoposti a
valutazione di impatto ambientale, alla richiesta di riutilizzo ai sensi dei
commi da 1 a 6 è allegata una dichiarazione del soggetto che esegue i lavori
ovvero del committente, resa ai sensi dell'articolo 47 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale si attesta che
nell'esecuzione dei lavori non sono state utilizzate sostanze inquinanti, che il
riutilizzo avviene senza trasformazioni preliminari, che il riutilizzo avviene
per una delle opere di cui ai commi 1 e 5 del presente articolo, come
autorizzata dall'autorità competente, ove ciò sia espressamente previsto, e che
nel materiale da scavo la concentrazione di inquinanti non è superiore ai limiti
vigenti con riferimento anche al sito di destinazione.
8. Nel caso in cui non sia possibile l'immediato riutilizzo del materiale di
scavo, dovrà anche essere indicato il sito di deposito del materiale, il
quantitativo, la tipologia del materiale ed all'atto del riutilizzo la richiesta
dovrà essere integrata con quanto previsto ai commi 6 e 7. Il riutilizzo dovrà
avvenire entro sei mesi dall'avvenuto deposito, salvo proroga su istanza
motivata dell'interessato.
9. Il parere di cui al comma 5 deve essere reso nel termine perentorio di trenta
giorni, decorsi i quali provvede in via sostitutiva la regione su istanza
dell'interessato.
10. Non sono in ogni caso assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti
dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava.
10 In concentrazione non superiore ai limiti massimi previsti
dalle norme vigenti e dal decreto indicato al comma 3 dello stesso art. 186.
11 e che va a costituire conditio sine qua non per l’esclusione
dei materiali in oggetto dal novero della grande famiglia dei rifiuti
12 Ad esempio il Comune.
13 In quanto si dice “…è allegata…”
14 D.P.R. 28-12-2000 n. 445 «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa». – Art.
47. (R) Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà: 1. L'atto di notorietà
concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza
dell'interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo
con la osservanza delle modalità di cui all'articolo 38. (R)
2. La dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante può riguardare
anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli
abbia diretta conoscenza. (R)
3. Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con
la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli
stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo
46 sono comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà. (R)
4. Salvo il caso in cui la legge preveda espressamente che la denuncia
all'Autorità di Polizia Giudiziaria è presupposto necessario per attivare il
procedimento amministrativo di rilascio del duplicato di documenti di
riconoscimento o comunque attestanti stati e qualità personali dell'interessato,
lo smarrimento dei documenti medesimi è comprovato da chi ne richiede il
duplicato mediante dichiarazione sostitutiva. (R)
15 Che l’esecutore dei lavori, oppure il committente, è tenuto
a presentata unitamente alla domanda di previsto utilizzo del materiale da
scavo.
16 …non sono state utilizzate sostanze inquinanti…; …come
autorizzata dall'autorità competente…
17 …il riutilizzo avviene senza trasformazioni preliminari; …il
riutilizzo avviene per una delle opere di cui ai commi 1 e 5…; …nel materiale da
scavo la concentrazione di inquinanti non è superiore ai limiti vigenti…
18 Vedi: “…..una delle opere di cui ai commi 1 e 5 del presente
articolo, come autorizzata dall'autorità competente……”
19 vedasi: “…nell'esecuzione dei lavori non sono state
utilizzate sostanze inquinanti …”
20 …nel materiale da scavo la concentrazione di inquinanti non
è superiore ai limiti vigenti…
21 DI ROSA SILVANO, Utilizzazione diretta di scarti e residui :
vera avventura in una strada tutta curve e salite!, in «RivistAmbiente», La
Tribuna, Piacenza, 2001, fasc. 11, pag. 1145 – 1157; in «L’Amministrazione
Italiana», 2002, fasc. 5, pag. 698 – 721; in www.leggiweb.it (nella sezione
articoli del «MENÙ PRINCIPALE»)
22 n) sottoprodotto: i prodotti dell'attività dell'impresa che,
pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via
continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un
ulteriore impiego o al consumo. Non sono soggetti alle disposizioni di cui alla
parte quarta del presente decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi,
non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i
sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o
commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa
direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare
trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest'ultimo
fine, per trasformazione preliminare s'intende qualsiasi operazione che faccia
perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche
di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per
il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo.
L'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale. Rientrano
altresì tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni di cui alla parte
quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro,
provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro
di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate
presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se
sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale. Al fine di
garantire un impiego certo del sottoprodotto, deve essere verificata la
rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza
e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad
effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del
produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell'impianto dove avviene
l'effettivo utilizzo. L'utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per
l'ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali
attività produttive.
23 Art. 179, comma 2; art. 181, comma 1, lettera a); art. 182,
comma 2 del T.U. D. Lgs. n.152/2006
24 “… e senza trasformazioni preliminari, cioè senza
modificazioni del carattere chimico o merceologico della sostanza…”
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 2/5/2006