AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


 Copyright ©  Ambiente Diritto.it

 

 

 

La ristrutturazione edilizia tra legislazione e giurisprudenza amministrativa.

GERARDO GUZZO*


Sommario: 1. Premessa. 2. L’inquadramento di diritto positivo. 3. L’evoluzione giurisprudenziale e la recente sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato, n. 5375, del 15 settembre 2006. 4. La Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 4174 del 7 agosto 2003. 5. Riflessioni finali.



I

1. Premessa.

 

Il tema della ristrutturazione edilizia, originariamente disciplinato dall’art. 31, comma 1 lett. d) della legge n. 357 del 5 agosto 1978, è stato oggetto, nel corso degli ultimi anni, di numerose rivisitazioni legislative. Infatti, a partire dal varo del d.p.r. n. 380/2001 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) si sono succedute diverse ipotesi concettuali volte ad inquadrare la tipologia di intervento in parola, sino ad approdare alla più recente formulazione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d) del citato corpus juris, introdotta nel sistema ordinamentale italiano dall’art. 1 del d.lgs. n. 301, del 27 dicembre 2002. Le novità suggerite nel tempo dal legislatore hanno inevitabilmente finito per condizionare la stessa evoluzione giurisprudenziale, rendendone sempre più difficile il compito di adattamento all’incessante lavoro di definizione dei contenuti avviato dal Parlamento. L’odierno lavoro, dunque, si propone di ripercorrere, seppur sommariamente, le singole tappe che hanno contrassegnato il difficile viatico di definizione della nozione di ristrutturazione edilizia, partendo proprio dall’art. 31 della legge n. 457/78, fino ad arrivare alla più attuale codificazione contenuta nell’art. 3, comma 1 lett. d), del d.pr. n. 380/01, come modificato dalla legge n. 443/01, prima, e dall’art. 1 del d.lgs. n. 301/2002, poi. Inoltre, verranno brevemente commentati alcuni arresti giurisprudenziali ritenuti particolarmente significativi all’interno della certosina opera di fissazione dei contorni e dei contenuti della tipologia edilizia in questione, con particolare attenzione alla recentissima sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato, n. 5375, del 15 settembre 2006. Infine, si ritiene opportuno compiere un sintetico richiamo anche alla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 7 agosto 2003, n. 4174, contenente, in subiecta materia, alcuni illuminanti chiarimenti.    

 

 

2. L’inquadramento di diritto positivo.

 

La prima codificazione di diritto positivo, in tema di ristrutturazione edilizia, risale all’art. 31, lett. d), della legge n. 357 del 5 agosto 1978[1]. La definizione fornita dal legislatore dell’epoca contemplava la possibilità di intervenire su un organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere in grado di dare corpo ad una struttura anche completamente diversa da quella originaria. Si trattava di una configurazione dal contenuto decisamente più limitato rispetto a quello che la ristrutturazione avrebbe assunto in futuro, dal momento che la lettera d) dell’art. 31 della legge n. 457 del 5 agosto 1978 non faceva rientrare nel concetto di ristrutturazione edilizia anche la possibilità di demolizione e fedele ricostruzione del fabbricato, limitandosi a considerare soltanto le ipotesi di ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Successivamente, l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 380/01, recante disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ne dilatava i contenuti, introducendo nel ventaglio degli interventi edilizi riconducibili alla ristrutturazione anche la possibilità di demolire un fabbricato e di ricostruirlo fedelmente, purché ne venissero riprodotte le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali[2]. Il legislatore, in questo modo, recepiva le spinte che provenivano da certa giurisprudenza amministrativa[3] volte a considerare assorbite dal concetto di ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e fedele ricostruzione di un fabbricato sancendo, di guisa, l’equazione demolizione/fedele ricostruzione = ristrutturazione. La ratio che attraversava le pronunce del supremo Organo di giustizia amministrativa poteva cogliersi nella considerazione che la ristrutturazione edilizia soddisfaceva contestualmente sia l’esigenza di una modifica - particolare o generale, in tale ultimo caso, in grado di determinare un organismo del tutto nuovo -  che quella di una salvezza finale delle caratteristiche fondamentali dell’esistente[4]. L’impianto dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 380/01 è stato di lì a poco nuovamente inciso da un successivo intervento correttivo del legislatore italiano. Infatti, l’art. 1, comma 6, lett. b) della legge n. 443 del 21 dicembre 2001[5], nell’assoggettare gli interventi di ristrutturazione edilizia alla DIA, pur confermando la previsione relativa alla demolizione e fedele ricostruzione del fabbricato quali componenti della tipologia edilizia in parola, ha escluso che il nuovo organismo dovesse necessariamente occupare la medesima area di sedime del precedente ed avere le stesse caratteristiche materiali. Si trattava di una disposizione che nonostante avesse una chiara natura procedimentale finiva per riverberarsi sul concetto di ristrutturazione edilizia, allargandone sensibilmente le maglie, dal momento che si ammetteva anche una diversa collocazione territoriale del nuovo organismo edilizio rispetto alla originaria area di sedime. Il rischio che si annidava in una previsione del genere era che le richieste di ristrutturazione edilizia in realtà dissimulassero delle vere e proprie istanza finalizzate a edificare nuove costruzioni. Ad ogni modo, l’art. 1, comma 14, della legge 443/01, imponeva l’emanazione, entro il 31 dicembre 2002, di un decreto legislativo volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, contenute nel d.p.r. n. 380/01 e s.m. e i., le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 della citata “Legge obiettivo”. Si giungeva, così, al d.lgs. n. 301 del 27 dicembre 2002 che modificava ed integrava l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 380/01. Tale ultimo correttivo cristallizzava l’attuale disciplina della ristrutturazione edilizia per come espressamente codificata oggi dal T.U. dell’edilizia.[6] La vigente formulazione codicistica conferma all’interno del ventaglio degli interventi che si collocano sotto l’ombrello della ristrutturazione edilizia la presenza della demolizione con contestuale fedele ricostruzione dell’organismo edilizio, intendendosi per “fedele ricostruzione” la ricorrenza nel nuovo soggetto soltanto della stessa volumetria e sagoma del preesistente. Proprio l’assenza di qualsiasi richiamo all’osservanza della originaria sagoma e prospetto, in uno alla possibilità di realizzare un nuovo fabbricato su un’area di sedime diversa da quella primitiva dell’immobile, ha ingenerato il diffondersi della deplorevole prassi di utilizzare l’archetipo della ristrutturazione edilizia al fine di edificare vere e proprie nuove costruzioni. Lo scenario venutosi a creare ha indotto la giurisprudenza amministrativa ad intervenire in maniera sempre più rigorosa nel difficile compito di definire compiutamente i confini tra nuova costruzione e ristrutturazione edilizia legata, soprattutto, al fenomeno della demolizione e fedele ricostruzione di un fabbricato, in specie in quei casi caratterizzati dall’asserita esistenza di ruderi.

 

 

3. L’evoluzione giurisprudenziale e la recente sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 5375 del 15 settembre 2006.     

 

L’apporto della giurisprudenza amministrativa nell’opera di messa a punto del concetto di ristrutturazione edilizia è stato di assoluto rilievo. Come si è già avuto modo di accennare nel paragrafo precedente, l’equiparazione alla ristrutturazione edilizia della demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato nasce proprio da una precisa presa di posizione dei giudici di Palazzo Spada[7]. Il Consiglio di Stato ha ritenuto, da tempo, il concetto di ristrutturazione necessariamente legato concettualmente ad una modifica e a una salvezza finale dell’esistente[8]. Così ragionando, i giudici del supremo Organo di giustizia amministrativa hanno aperto un varco nella direzione della sussunzione della demolizione totale o parziale di un manufatto all’interno del ventaglio degli interventi riconducibili alla tipologia della ristrutturazione edilizia. Più nel dettaglio, con la storica sentenza n. 946/1988 della V Sezione, il Consiglio di Stato ha fissato le caratteristiche essenziali della ristrutturazione edilizia che possono riassumersi: a) nella preesistenza di un organismo edilizio; b) nella modifica generale o particolare dello stesso; c) nella salvezza delle caratteristiche fondamentali dell’edificio ristrutturato. Nel solco di questa precisa presa di posizione si è venuta a creare, negli anni successivi, un granitico orientamento giurisprudenziale volto a considerare parte integrante della nozione di ristrutturazione edilizia anche la demolizione e la fedele ricostruzione di un manufatto[9]. La prassi, tuttavia, ha posto in maniera piuttosto evidente il problema dell’uso distorto del concetto di ristrutturazione edilizia per mano degli operatori di settore. Infatti, sempre più frequentemente interventi edilizi formalmente accreditati alla stregua di vere e proprie ristrutturazioni nascondevano, in realtà, delle autentiche nuove costruzioni. Il fenomeno è divenuto dilagante soprattutto in quelle realtà municipali ancora sprovviste di uno strumento urbanistico operante. In tali casi, gli angusti limiti edificatori posti dall’ultimo comma dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977, oggi trasfuso nell’art. 9, comma 1, lett. b) del d.p.r. n. 380/01 (T.U. dell’edilizia)[10], hanno costretto i privati a rappresentare agli occhi della p.a. una situazione di fatto nella maggior parte dei casi ricostruita soltanto per tabulas. Ciò ha determinato, de facto, il proliferare di nuove costruzioni non assentibili, incentivando il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Di fronte a tale situazione si è reso indispensabile un nuovo intervento del legislatore volto a circoscrivere i margini di operatività e di ricorrenza della ristrutturazione edilizia. In questa ottica vanno inquadrati la originaria formulazione della lett. d) dell’art. 3 del dpr n. 380/01, invero più restrittiva e rigorosa dell’attuale lettera introdotta dall’art. 1 del d.lgs. n. 301 del 27 dicembre 2002[11] e la Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti n. 4174 del 7 agosto 2003, di cui si dirà nel paragrafo successivo. La stessa giurisprudenza amministrativa, a sua volta, ha dovuto farsi carico del problema intervenendo più volte sul tema[12], sino alla recente pronuncia del Consiglio di Stato, IV Sezione, n. 5375 del 15 settembre 2006. Con tale ultimo arresto i magistrati di Palazzo Spada si sono trovati ad affrontare lo spinoso problema della sussumibilità all’interno della nozione di ristrutturazione edilizia di un intervento di presunta fedele ricostruzione di un vano ridotto allo stato di rudere. In quella occasione il supremo Organo di giustizia amministrativa ha confermato che la fedele ricostruzione di un manufatto per integrare gli estremi della ristrutturazione edilizia deve necessariamente presupporre che la parte dell’opera muraria ancora esistente consenta la sicura individuazione dei connotati essenziali del manufatto originario e, quindi, la sua fedele ricostruzione. A chiusura di ragionamento, il Consiglio di Stato ha confermato, ancora una volta, come una ricostruzione del genere presenti a tutti gli effetti le caratteristiche di una nuova costruzione, in quanto non equiparabile  alla ristrutturazione edilizia, occorrendo per siffatte attività non una semplice DIA, come accaduto nel caso scrutinato, quanto piuttosto un apposito permesso di costruzione, non essendo possibile fare ricorso alla denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, secondo quanto già precisato dallo stesso Consesso amministrativo con sentenza della V Sezione, n. 475, del 10 febbraio 2004. Il dictum di Palazzo Spada, appena riportato, si colloca nell’alveo di una serie di interventi chiarificatori della portata del concetto di ristrutturazione edilizia. A tal proposito, vale la pena ricordare come in passato il Consiglio di Stato abbia più volte chiarito che perché possa aver luogo la ristrutturazione edilizia occorre che l’organismo edilizio preesistente da ristrutturare sia completo nelle sue componenti essenziali, intendendosi per tali le mura perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura[13]. In un quadro così ben delineato nei suoi tratti essenziali si “apprezza” per indubbia originalità una curiosa definizione del concetto di ristrutturazione edilizia fornita dal Tar Campania, Sezione di Salerno. Il Tribunale salernitano, infatti, con sentenza n. 887 del 16 settembre 2003, ha qualificato ristrutturazione edilizia un intervento di ultimazione dei lavori di un sottotetto non abitabile, sul presupposto che l’opera, consistente in una sopraelevazione, non comportava alcuna modifica della sagoma del fabbricato atteggiandosi ad inserimento di nuovi elementi.[14] Molto probabilmente interventi giurisprudenziali del genere hanno suggerito sia al legislatore che al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di mettere mano nuovamente al concetto di ristrutturazione edilizia al fine di circoscriverne, con la maggiore precisione possibile, l’ambito di operatività, riducendone sensibilmente eventuali sacche di incertezze.

 

 

4. La Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 4174, del 3 agosto 2003.

 

Come si è avuto modo di accennare a chiusura del paragrafo precedente gli interventi legislativi che hanno inciso sul concetto di ristrutturazione edilizia, originariamente disciplinato dall’art. 31 della legge n. 457/78, in uno alla parallela evoluzione giurisprudenziale, hanno reso indispensabile un intervento chiarificatore anche da parte della stessa amministrazione centrale. In una cornice siffatta si sedimentano le puntualizzazioni contenute nella Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, n. 4174 del 7 agosto 2003. Del resto, la necessità di fornire agli operatori di settore chiarimenti utili in grado di orientarli al meglio nell’interpretazione ed applicazione della lett. d) contenuta nel comma 1 dell’art. 3 del dpr n. 380/01, costituisce uno dei motivi cardine dell’intervento ministeriale[15]. Particolarmente significativo sembra il passaggio contenuto nella circolare che si riferisce alla attestazione della consistenza delle volumetrie esistenti le quali devono essere riproposte in sede di fedele ricostruzione dell’organismo edilizio ristrutturato. A tal proposito, il documento ministeriale pone a carico del professionista incaricato il compito di fornirne la prova attraverso la produzione di adeguata documentazione grafica e fotografica, demandando, quanto alle modalità, alle previsioni eventualmente fissate nelle norme del regolamento edilizio. Interessante è anche la previsione che fa gravare sull’amministrazione comunale l’onere di verificare la legittimità delle preesistenze nel caso di richiesta di permesso di costruzione. L’attività di controllo investe l’accertamento della sussistenza di tutti i titoli abilitativi originari con relative varianti in uno ai provvedimenti di disciplina edilizia adottati per eventuali abusi presenti nell’edificio. Viene a crearsi, dunque, una vera e propria simmetria tra la responsabilità penale del professionista – considerato, ai sensi degli articoli  359 e 481 del codice penale, persona esercente un servizio di pubblica necessità – e quella della p.a., in caso di omissione della verifica, comportamento anch’esso rientrante nell’area del penalmente rilevante. La stessa circolare ha, poi, avuto cura di precisare che qualora si proceda alla ristrutturazione edilizia mediante DIA, con specifico riferimento alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), secondo il richiamo operato dall’art. 22, comma 3, lett. a),[16] la relazione asseverata dal professionista incaricato, allegata agli elaborati grafici, assume una portata ricognitiva degli elementi forniti dal proprietario ovvero delle ricerche condotte dal professionista. In questo modo, il professionista viene sostanzialmente affrancato da ogni sorta di responsabilità in merito a quanto certificato, essendo il contenuto della relazione circoscritto ai risultati della ricerca condotta ed ai dati forniti dal proprietario. Si tratta di una puntualizzazione che nasconde chiari elementi di pericolosità. Infatti, il sollevare il tecnico incaricato da qualsiasi forma di responsabilità in ordine a quanto asseverato nella relazione di accompagnamento, allegata ai grafici progettuali relativi ad un intervento di ristrutturazione edilizia da assentire per silentium mediante DIA, significa escludere ogni tipo di controllo su un’attività edificatoria così strutturata in ragione del fatto che, stando a quanto chiarito dalla stessa circolare, in casi del genere la p.a. non è tenuta ad alcun controllo in merito alla veridicità di quanto dichiarato dal professionista redigente.  Di indubbia utilità risulta, invece, la soluzione del problema della realizzabilità o meno mediante un intervento di ristrutturazione edilizia di ulteriori superfici utili rispetto a quelle proprie dell’originario organismo edilizio. La questione viene risolta dal documento ministeriale nel senso che la demolizione e ricostruzione può comportare aumenti della superficie utile nei limiti consentiti o non preclusi per la ristrutturazione edilizia. Più nel dettaglio, secondo il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti rientrerebbe nel dna della ristrutturazione edilizia la possibilità di un aumento della superficie utile con conseguente incremento del carico urbanistico[17]. A ben vedere, l’art. 3, comma 1 lett. d), del dpr n. 380/01, richiede che in sede di ristrutturazione edilizia la ricostruzione di un manufatto riproduca soltanto la sagoma e il volume dell’organismo edilizio originario nulla disponendo in ordine a eventuali aumenti di superficie. Pertanto, è da ritenersi operante il vecchio brocardo latino secondo il quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.  Infine, sono da considerare, comunque, ammissibili e, dunque, sempre consentiti, tutti quegli aumenti di superficie determinati da esigenze di adeguamento della dotazione di servizi, con specifico riferimento alla realizzazione di impianti speciali per i portatori di handicap, di impianti di sicurezza e simili.

 

 

5. Riflessioni finali.    

 

I recenti interventi correttivi del legislatore in tema di ristrutturazione edilizia hanno reso l’argomento fortemente controverso anche a causa della costante opera di interpretazione dell’art. 3, comma 1 lett. d) cui sono stati chiamati i giudici amministrativi. Nonostante il decisivo contributo fornito dal cosiddetto diritto vivente nell’ottica di una puntuale fissazione del concetto di ristrutturazione edilizia - soprattutto in quei casi in cui esso si lega ad ipotesi di demolizione e ricostruzione di un organismo edilizio preesistente - non si può negare che al momento sussistano ancora alcuni punti oscuri da chiarire. In particolare, è possibile annotare qualche incongruenza proprio all’interno della griglia normativa di riferimento. Si pensi a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), norma di apertura del Capo II, del d.p.r. n. 380/01 (T.U. recante disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e dall’art. 22 dello stesso corpus juris, norma di apertura del Capo III, dedicato alla DIA. Dalla lettura del comma 1 dell’art. 22 è facile gioco cogliere una categorica presa di posizione del legislatore del T.U. nella parte in cui esclude, senza mezzi termini, dal novero degli interventi edilizi da assoggettare a DIA tutti quelli non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 e all’art. 6 che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente, per poi inserirvi, a sorpresa, mediante richiamo contenuto nella lett. a) del comma 3, proprio la ristrutturazione edilizia nella sua dimensione più ampia. L’art. 10, comma 1 lett. c) del d.p.r. n. 380/01, peraltro, si riferisce a quelle ipotesi di ristrutturazione edilizia che, a differenza di quanto previsto dall’art. 3, in sede di “definizione degli interventi”, comportano un aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagome, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone A, comportino mutamenti di destinazione d’uso. Com’è facile cogliere, per effetto del richiamo operato dall’art. 22 del T.U. in materia edilizia all’art. 10, comma 1, lett. c), sembrerebbe che un intervento di ristrutturazione edilizia, più ampio di quello tarato sulle caratteristiche fissate dall’art. 3, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 380/01 - che confina la ricostruzione del fabbricato, oggetto di ristrutturazione, negli angusti limiti dell’osservanza delle volumetrie e della sagoma del precedente - possa essere realizzato indifferentemente mediante permesso di costruire o, in alternativa, DIA. La contraddizione che si annida in una prescrizione del genere discende dal fatto che il comma 3 dell’art. 22 sembra sconfessare la previsione contenuta nel precedente comma 1 del d.p.r. n. 380/01 che espressamente nega il ricorso alla denuncia di inizio attività per gli interventi di cui agli articoli 10 e 6 del T.U., rendendo possibile l’utilizzo della DIA soltanto per quelle opere non riconducibili all’art. 10 e sempre che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente. Così facendo il legislatore ha finito per introdurre una sorta di immunità della p.a. in tutti quei casi di ristrutturazione che comportano la realizzazione di un nuovo organismo edilizio - a seguito della DIA - diverso dal preesistente per volumetria, prospetto, sagoma, volume ed unità immobiliari. L’assunto trova una puntuale conferma proprio nella circolare n. 4174 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del 3 agosto 2003, dal momento che nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, da compiersi mediante l’impiego della DIA, essa stabilisce che l’amministrazione non è tenuta a compiere alcuna verifica dei titoli così come lo stesso professionista incaricato, attesa la natura meramente ricognitiva dell’asseverazione. In conclusione, si può dire che, nonostante gli sforzi compiuti dal legislatore nel tentativo di individuare imprescindibili elementi di identificazione della ristrutturazione edilizia, cui fa da pendant l’incessante opera della giurisprudenza amministrativa, volta a garantire una interpretazione unitaria delle norme di diritto positivo – fatta salva qualche isolata eccezione come la pronuncia del Tar Salerno richiamata nel paragrafo 3 – anche al fine di evitare il triste fenomeno dell’abusivismo, le maggiori incertezze possono essere registrate proprio nella non cristallina coerenza della regolamentazione della materia dettata dal T.U dell’edilizia. Sarebbe opportuno, allora, che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti intervenga nuovamente in subiecta materia con una nuova circolare chiarendo i limiti del ricorso alla DIA in tema di ristrutturazione edilizia, assoggettando al solo regime del permesso di costruire la realizzazione degli interventi di cui all’art. 10, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 380/01.

 

                        

_____________________________

* Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e Partner in New York dello studio legale “Cristofano, Guzzo & Associates” (e - mail: guzzo@cgaalaw.com)

 

[1] L’art. 31 della legge n. 357 del 5 agosto 1978 così recitava:” Definizione degli interventi.

Gli  interventi  di recupero del patrimonio edilizio esistente sono così definiti:

a)  interventi  di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le  opere  di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli  edifici  e  quelle  necessarie  ad  integrare  o  mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b)  interventi  di  manutenzione  straordinaria,  le  opere e le modifiche   necessarie   per   rinnovare  e  sostituire  parti  anche strutturali  degli  edifici,  nonché  per  realizzare  ed integrare i servizi  igienico-sanitari  e  tecnologici, sempre che non alterino i volumi   e  le  superfici  delle  singole  unità  immobiliari  e  non

comportino modifiche delle destinazioni di uso;

c)  interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti  a  conservare  l'organismo  edilizio  e  ad  assicurarne  la funzionalità  mediante  un  insieme  sistematico  di  opere  che, nel rispetto   degli   elementi   tipologici,   formali   e   strutturali dell'organismo  stesso,  ne  consentano  destinazioni  d'uso con essi compatibili. Tali  interventi  comprendono  il  consolidamento,  il ripristino  e  il  rinnovo  degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento  degli  elementi  accessori  e degli impianti richiesti dalle  esigenze  dell'uso,  l'eliminazione  degli  elementi  estranei

all'organismo edilizio;

d)  interventi  di  ristrutturazione  edilizia, quelli rivolti a trasformare  gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere  che  possono  portare  ad  un organismo edilizio in tutto o in parte   diverso   dal  precedente.  Tali  interventi  comprendono  il ripristino   o   la   sostituzione  di  alcuni  elementi  costitutivi dell'edificio,  la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti;

e)  interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante  un  insieme  sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione  del  disegno  dei  lotti,  degli  isolati e della rete stradale.

 Le  definizioni del presente articolo prevalgono sulle disposizioni degli  strumenti  urbanistici  generali  e  dei  regolamenti edilizi.

Restano ferme le disposizioni e le competenze previste dalle leggi 1° giugno  1939,  n.  1089,  e  29  giugno  1939,  n. 1497, e successive modificazioni ed integrazioni.

 [2] L’art. 3 del dpr n. 380/01, rubricato “Definizioni degli interventi edilizi (legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 31)”, così disponeva:” 1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:    
a) interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonche' per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unita' immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;
c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalita' mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;
d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.    
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:            
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;          
e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee;               
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;         
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attivita' produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.”  

[3] In questo senso si era più volte espresso il Consiglio di Stato. In particolare la Sezione V con diversi arresti risalenti nel tempo aveva ritenuto che rientrassero nel concetto di ristrutturazione edilizia anche gli interventi consistenti nella demolizione e fedele ricostruzione di un fabbricato (ex plutimis: Consiglio di Stao, Sez. V, sentenza n. 1246 del 5 marzo 2001, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 369 del 28 marzo 1998; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 1359 del 14 novembre 1996; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 144 del 9 febbraio 1996).

[4] In terminis: Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 946 del 1988.

[5] Il comma 6 dell’art. 1 della legge n. 443 del 21 dicembre 2001 prevedeva che: “In alternativa a concessioni e autorizzazioni edilizie, a scelta dell'interessato, possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall'articolo 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni:
a) gli interventi edilizi minori, di cui all'articolo 4, comma 7, del citato decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398;
b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma. Ai fini del calcolo della volumetria non si tiene conto delle innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica;
c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti. Relativamente ai piani attuativi che sono stati approvati anteriormente all'entrata in vigore della presente legge, l'atto di ricognizione dei piani di attuazione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall'atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l'esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate;
d) i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio.

 [6] In particolare l’art. 3, comma 1, lett. d) del dpr n. 380/01 prevede che gli interventi di ristrutturazione edilizia sono “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”
[7] Vd. precedente nota 4.

[8] In particolare il Consiglio di Stato chiarì con la sentenza n. 946 del 1988 che “ il concetto di ristrutturazione è necessariamente legato concettualmente ad una modifica e una salvezza finale (quantomeno nelle sue caratteristiche fondamentali) dell’esistente (modifica che può essere generale

[9] In particolare vedi: Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 594 del 9 luglio 1990; Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 786 del 20 novembre 1990; Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 430 del 4 aprile 199; Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 807 de1 23 luglio 1994.

[10] L’art. 9, comma 1, lett. b) del dpr n. 380/01, prevede che” (….) nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: (…..); b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in casi di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà; (….).

[11] Vd. note nn. 2 e 6 cit.

[12] Il Consiglio di Stato con sentenza della IV Sezione n. 4011 del 28 luglio 2005, ha chiarito che “la ristrutturazione edilizia deve osservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma e volumi.

[13] In terminis, tra le tante: Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 2021 del 7 dicembre 1999; Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 1261 del 4 novembre 1994; Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, sentenza n. 240 del 10 marzo 1997.

[14] In particolare il Tar Salerno con l’arresto segnalato, ha ritenuto che la realizzazione di un sottotetto con altezza al colmo di mt. 2,50 e agli spioventi di mt. 1,90, costituisca un’ipotesi di ristrutturazione edilizia dal momento che essa si articolerebbe attraverso una serie di “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi che comprendono anche la modifica o l’inserimento di nuovi elementi”, tra i quali, evidentemente, secondo il Tar campano, va annoverata anche la realizzazione di un piano mansardato.

[15] La Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 4174 del 3 agosto 2003, infatti, riconosce l’importanza “( …) da un lato, di fornire criteri guida in modo da agevolare i comportamenti amministrativi dei comuni evitando possibili assunzioni di atti illegittimi; dall’altro (nell’esigenza) di assicurare, mediante una certezza interpretativa, tutela ai professionisti in considerazione delle notevoli responsabilità affidate agli stessi su compiti in precedenza assegnati agli uffici pubblici”.   

[16] L’art. 22, comma 3, lett. a), stabilisce che “In alternativa al permesso di costruire , possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c); (….). In particolare l’art. 10, comma 1, lett. c) si riferisce agli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari , modifiche del volume, della sagoma , dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti di destinazione d’uso”.

[17] L’assunto, secondo la Circolare n. 4174 del 3 agosto 2003, troverebbe la sua ratio nella circostanza che il rinnovo del patrimonio edilizio, anche sotto un profilo tecnico – qualitativo, (…) comporta il più delle volte, per la stessa praticabilità dell’intervento, un diverso dimensionamento della superficie utile.


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 15/10/2006

 

^