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Disposizioni del Protocollo di Cartagena relative alla commercializzazione degli organismi geneticamente modificati e diritto dell'Organizzazione Mondiale del Commercio

 

DIMITRIS LIAKOPOULOS

 



È facile prevedere che l’applicazione del Protocollo sulla biosicurezza, sebbene si tratti di un MEA (Multilateral Environmental Agreement), e non di un accordo commerciale, eserciterà una forte influenza sul commercio internazionale degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM)1,apportando a quest’ultimo indubbi miglioramenti. Il vantaggio più importante che deriverà dall’attuazione del Protocollo sarà sicuramente una maggiore trasparenza degli scambi commerciali dovuta all’applicazione della procedura del previo consenso informato, anche se, tale procedura non è stata estesa agli OGM destinati all’alimentazione umana ed animale, o ad altri processi produttivi.


I movimenti transfrontalieri di organismi geneticamente modificati godono di una maggiore sicurezza grazie alle disposizioni contenute negli articoli 15 e 16 e nell’Allegato 3 del Protocollo, che istituiscono una procedura di valutazione del rischio da espletare attraverso pratiche scientifiche unanimemente riconosciute dagli Stati parti. In ultimo, sebbene non sia stata accolta la richiesta dei Paesi in via di sviluppo (PVS) per l’elaborazione di un Protocollo che regolasse anche il trasferimento, il trattamento e l’uso sicuro di organismi viventi modificati all’interno dei singoli Stati contraenti, il Protocollo colma, almeno in parte, le lacune degli Stati ad economia più arretrata nell’ambito delle normative sulla biosicurezza
2.

 

D’altra parte, nell’analizzare l’impatto del Protocollo di Cartagena 3 sul commercio internazionale degli OGM4 si riscontra anche il rischio che possano sorgere dei problemi in merito all’applicazione di quelle disposizioni che si riferiscono a materie già regolate in altri ambiti, ed in primo luogo quelle disciplinate dagli accordi che compongono il sistema normativo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)5 Tale pericolo risulta inoltre accentuato dal fatto che su alcuni argomenti oggetto di contrasto in fase negoziale non sono state raggiunte delle posizioni univoche.
Il primo, e più importante, di questi argomenti è sicuramente la relazione tra il Protocollo sulla biosicurezza e l’OMC. Quanto appena affermato è riscontrabile già nel Preambolo del Protocollo il quale, dopo aver riconosciuto che
 gli accordi in materia commerciale e quelli in materia ambientale debbono supportarsi a vicenda per il raggiungimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile, procede a due affermazioni che sembrano essere in contraddizione tra di esse. La prima stabilisce che il Protocollo non deve essere interpretato in modo da comportare un cambiamento dei diritti e dei doveri derivanti ad una delle Parti da un altro accordo; mentre la seconda chiarisce che la precedente affermazione non deve essere intesa come volta a subordinare il Protocollo ad altri accordi internazionali precedentemente stipulati dalle Parti6.

La prima affermazione se riferita ai diritti e doveri che derivano agli Stati parti dell’OMC, può essere interpretata in modo da ritenere che ogni disposizione inerente il commercio di OGM7  contenuta nel Protocollo sulla biosicurezza, debba rispettare le norme contenute negli accordi che costituiscono il sistema giuridico dell’OMC. Al contrario la seconda dichiarazione sembra sancire la completa indipendenza del Protocollo dall’Organizzazione mondiale del commercio.


La mancanza di un indirizzo univoco nel delineare il rapporto giuridico che intercorre tra il Protocollo e l’OMC, si colloca del resto all’interno di un problema di ordine generale, relativo al rapporto tra gli accordi multilaterali in materia ambientale che prevedono l’adozione di misure commerciali con fini di tutela ambientale (Trade related environmental measures-terms) e l’OMC. Questo tema, rappresenta uno degli argomenti più importanti affidati allo studio del Comitato su commercio e ambiente (Committe on trade and environment-Cte). Anche se il primo rapporto del comitato su commercio e ambiente (Singapore 1996), ha riconosciuto che gli accordi internazionali costituiscono lo strumento più adatto per combattere le diverse sfide ambientali e che l’OMC deve supportare la loro applicazione, il Cte non ha comunque, formulato alcuna raccomandazione volta a chiarire il rapporto giuridico che intercorre tra Meas (multilateral environmental agreements) ed OMC. Ciò non è stato possibile in quanto, all’interno del Comitato alcuni Stati si sono espressi in favore del mantenimento dello status quo, opponendosi all’elaborazione di ogni disposizione che definisca il ruolo degli accordi multilaterali per la tutela dell’ambiente in ambito OMC, soprattutto per il timore che questa possa comportare una subordinazione dei Meas alle regole del libero commercio internazionale. I sostenitori del mantenimento dello status quo, in maggior parte Pvs, hanno motivato la loro posizione sottolineando che su circa 200 accordi multilaterali in materia di protezione ambientale conclusi in ambito internazionale soltanto il 10% di questi contiene delle misure commerciali finalizzate alla tutela dell’ambiente (terms), le quali, peraltro, non hanno mai costituito oggetto di controversia in ambito OMC. Altri Stati, tra i quali i membri dell’Unione europea, sono invece favorevoli all’instaurazione di un rapporto più chiaro tra la disciplina dell’OMC e le misure commerciali restrittive disposte dai Meas, ed hanno proposto l’adozione di deroghe in base all’art. ix dell’Accordo istitutivo dell’OMC, al fine di consentire l’attuazione legittima di misure commerciali contrastanti con la normativa contenuta nell’Atto finale dell’Uruguay round. Tale articolo prevede, infatti, che in circostanze eccezionali la Conferenza dei Ministri possa decidere di concedere una deroga ad un obbligo imposto ad uno Stato parte dell’OMC, a condizione che tale decisione sia presa con una maggioranza di tre quarti dei Membri. Non sono comunque mancate altre proposte quali quella di  adottare un’intesa ad hoc che elenchi le linee guida per giudicare se una misura commerciale disposta da un accordo multilaterale per la tutela dell’ambiente possa ritenersi conforme alla normativa OMC, o quella di inserire un apposito paragrafo nelle eccezioni generali disposte dall’art. xx, volto a legittimare l’adozione di eccezioni al commercio internazionale previste da Meas8.


L’obiettivo di rendere più chiaro il rapporto tra l’OMC e i trattati multilaterali per la protezione ambientale è stato ribadito dall’UE alla Conferenza di Seattle, durante la quale tale tema ha assunto un rilievo maggiore proprio perché era stato uno degli elementi di contrasto che a Cartagena avevano condotto al fallimento delle trattative del Protocollo sulla biosicurezza, ma il generale insuccesso del vertice non ha consentito di giungere ad alcun tipo di accordo in merito.


Un altra questione relativa al rapporto tra libero commercio ed ambiente, già oggetto di dibattito in ambito OMC, che rischia di riflettersi negativamente sull’applicazione del Protocollo, è quella attinente alla illegittimità, secondo le norme Gatt-Omc9,

dell’adozione di restrizioni commerciali fondate sui non related process and production methods-ppms. Nel caso specifico del Protocollo occorre sottolineare come tale questione sia rimasta del tutto irrisolta e, se possibile, sia divenuta ulteriormente confusa. Il dibattito in seno all’OMC, ruota attorno alla definizione di prodotto similare (like products). I paesi esportatori di derrate transgeniche, guidati da Usa e Canada, hanno basato le loro normative nazionali sul principio della substantial equivalence, ed in ambito Omc sostengono la similarità del prodotto transgenico con quello biologico. Al contrario, l’Ue e la quasi totalità dei Pvs, ritengono che la manipolazione genetica comporti una trasformazione delle caratteristiche del prodotto, anche se tale mutazione non può essere riscontrata dai consumatori per mezzo degli aspetti esteriori di quest’ultimo10.

Il Protocollo non ha chiarito questo aspetto, in quanto la formulazione del par. g) dell’art. 3, si limita a definire un organismo vivente modificato, come qualsiasi organismo vivente che possieda una combinazione nuova di materiale genetico ottenuta mediante l’applicazione della biotecnologia moderna11. Inoltre tale definizione non prende in considerazione, neanche una distinzione fondamentale e generalmente accolta (tranne appunto dai paesi che aderenti al gruppo di Miami)12 in materia di Ogm, ossia quella tra i due tipi di manipolazione genetica possibili: quella praticata all’interno delle stesse specie (il gene di una varietà di pesce introdotto in un altro pesce di diversa varietà), e quella che avviene tra specie diverse (il gene di un pesce introdotto in un pomodoro)13. Mentre il primo tipo di manipolazione consiste, come abbiamo avuto modo di vedere, nella accelerazione di un processo che si potrebbe seguire anche per mezzo di vie naturali, la seconda, a giudizio di diversi autori, da vita ad organismi “nuovi” ai quali non è corretto attribuire la qualifica di like-product14.

 

Un altro aspetto, non del tutto chiaro, della relazione tra il Protocollo e le disposizioni contenute negli accordi che disciplinano l’OMC, riguarda uno dei principi fondamentali dello stesso, ossia l’applicazione del principio di precauzione15

 

L’introduzione di questo principio in ambito Omc, attraverso l’art. 5 par. 7 dell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, come sappiamo, non ha avuto un’unanime interpretazione per quanto riguarda la sua applicabilità (la controversia Usa-Ue sul manzo agli ormoni costituisce un chiaro esempio), tanto meno in materia di Ogm 16.

 Se l’Unione europea ha, infatti, ritenuto tale principio applicabile anche in situazioni nelle quali per ottenere delle informazioni scientifiche attendibili occorrano attese di lungo termine (come nel caso degli studi volti a rilevare gli effetti degli Ogm sulla salute umana)17, gli Stati Uniti, preoccupati di vedere le esportazioni di prodotti transgenici paralizzate, hanno sottolineato come lo stesso art. 5. par. 7 subordini l’adozione di misure di carattere transitorio, alla produzione di prove scientifiche attendibili “entro un termine ragionevole”. La situazione sembra complicarsi ulteriormente se si analizza la formulazione del principio precauzionale introdotta nel Protocollo di Cartagena, che proprio sotto questo fondamentale aspetto differisce dall’art. 5. 7 dell’Accordo Sanitary and phitosanitary measures-Sps. Infatti, né l’art. 10 par. 6, né l’art. 11 par. 8 (relativi rispettivamente agli organismi viventi modificati da introdurre nell’ambiente, e a quelli destinati ad un uso alimentare diretto, o ad ulteriori processi produttivi), nel consentire delle misure commerciali restrittive stabilite in base al principio precauzionale, non pongono le condizioni presenti nell’art. 5 par. 7. dell’Accordo Sps. Per gli Stati che intendono attuare le suddette misure, non solo non è previsto alcun obbligo di produrre dati scientifici attendibili “entro un ragionevole termine di tempo”, ma neanche quello (anch’esso disposto dall’art. 5. 7 dell’Accordo Sps) di mostrare le informazioni pertinenti disponibili che li hanno indotti ad adottare il principio di precauzione18.

Alcuni autori hanno ben sintetizzato la differenza nella disciplina dell’onere della prova all’interno delle disposizioni che recepiscono il principio di precauzione nei due accordi, affermando che: mentre l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie domanda ad un Membro che intenda applicare restrizioni commerciali in base all’art. 5 par. 7. perché? Secondo il Protocollo sulla biosicurezza spetta agli altri Stati membri rispondere alla domanda perché no?19

In questo esame delle disposizioni del Protocollo di Cartagena che potenzialmente potrebbero entrare in conflitto con le norme che regolano l’odierno sistema degli scambi internazionali, rientrano anche quelle relative alla etichettatura degli Ogm. Come sappiamo, l’art. 18 par. 2 del Protocollo prevede che nella documentazione relativa al trasporto di Ogm, destinati all’alimentazione, o ad ulteriori processi di lavorazione, sia specificato che il carico “può contenere organismi viventi modificati”. L’articolo in questione non indica comunque quale sia il fine specifico dell’etichettatura imposta, cioè se questa sia volta a tutelare la salute umana o ad informare i consumatori sui rischi che gli organismi transgenici comportano per la diversità biologica20.

La mancanza di un’esplicita dichiarazione in merito, rappresenta un elemento di fondamentale importanza in quanto, non consente di chiarire quali sono le disposizioni dell’Omc alle quali tale norma può essere riferita. Abbiamo avuto modo di spiegare, infatti, come sia l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, sia quello sugli ostacoli tecnici agli scambi contengano disposizioni in materia di etichettatura dei prodotti esportati, e l’unico criterio per assoggettare le procedure di labelling all’uno o all’altro accordo consiste nell’esaminare il loro fine.
In base alle considerazioni già effettuate in merito alla funzione dell’etichettatura nel campo degli Ogm, abbiamo visto come diversi autori si sono espressi, concordemente alla posizione dei paesi produttori di derrate transgeniche, a favore dell’applicazione dell’Accordo Technical barrier to trade-Tbt21. Sappiamo però che uno dei principali criteri disposti dall’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi per giudicare la legittimità delle regolamentazioni tecniche applicate (in questo caso quelle relative all’etichettatura), consiste in un’analisi del rapporto costi-benefici 22.

Secondo tale criterio una determinata misura è ritenuta legittima, soltanto se i costi relativi alla sua applicazione non saranno superiori ai benefici che questa comporta. L’applicazione di tale criterio non consente delle previsioni ottimistiche in merito alla possibilità che il sistema di etichettatura disposto dall’art. 18 par. 2 del Protocollo di Cartagena possa essere giudicato positivamente in ambito Omc, in quanto difficilmente i costi ad esso relativi si riveleranno contenuti. L’elevato livello delle spese connesse al sistema di etichettatura previsto dal Protocollo deriverà, secondo le previsioni di alcuni autori, da un’estensione di tali costi anche ai produttori che esportano prodotti non contenenti Ogm23

L’espansione prevista nella produzione e commercializzazione dei prodotti transgenici, comporterà, infatti, sempre maggiori possibilità di contaminazione ai danni di quelli biologici, attraverso le varie fasi della catena produttiva e di quella distributiva. I produttori che intenderanno conservare l’identità biologica dei loro prodotti potranno farlo soltanto se saranno in grado di mettere in atto una dettagliata procedura monitoraggio, ed una serie di regolamenti tecnici, volti a garantire che i loro beni non sono soggetti ad alcun tipo di contaminazione nel corso delle fasi produttive e distributive, e che l’assenza dell’etichetta “may contain” assicura realmente la “non transgenicità” del prodotto24. Poiché il Protocollo non contiene alcuna disposizione che faccia riferimento al rapporto costi-benefici previsto dall’Accordo Tbt, è difficile prevedere se in ambito Omc il sistema di etichettatura disposto sarà ritenuto legittimo o se al contrario, in ragione dei suoi costi elevati, sarà considerato un’ingiustificata restrizione degli scambi internazionali25 Un'altra disposizione che potrebbe rivelarsi difficilmente conciliabile con quelle dell’Omc è l’art. 26 del Protocollo, che consente agli Stati, al fine di decidere se concedere o meno l’autorizzazione all’introduzione di nuove varietà di organismi transgenici, di valutare fattori di carattere economico e sociale. Tale articolo stabilisce che le Parti, nell’adozione di decisioni sulle importazioni in base alle disposizioni del Protocollo o di normative nazionali che integrano lo stesso, possono prendere in considerazione, anche se compatibilmente con i loro obblighi internazionali, gli effetti socio-economici derivanti dall’impatto degli organismi geneticamente modificati sulla conservazione della diversità biologica, ed in particolare il valore che essa rappresenta per le comunità indigene locali26

 La presenza di una deroga alla libertà di commercio degli Ogm da adottare in ragione di fattori socio-economici all’interno di un accordo per la difesa della biodiversità e della salute umana, ha posto in fase negoziale alcuni interrogativi in merito alla conformità del contesto. Ciò ha spinto la maggior parte dei paesi europei, a proporre, senza successo, l’elaborazione di un accordo ad hoc volto a regolare gli aspetti socio-economici ed anche le numerose problematiche di carattere etico legate agli organismi geneticamente modificati27.

 L’inserimento di questa disposizione nel Protocollo proposto dal gruppo like-minded è stato oggetto di un acceso dibattito a Cartagena, in quanto ha incontrato l’opposizione dei paesi produttori di Ogm. I paesi like-minded hanno sostenuto l’opportunità dell’introduzione di tale disposizione al fine di tutelare le comunità indigene dei Pvs, in quanto la brevettabilità degli organismi transgenici consentita dall’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (trips)28, rischia di rendere ancor più drammatica la condizione economica e sociale di quelle zone dove si pratica un’agricoltura di sussistenza29.

Tale pericolo appare evidente soprattutto nei casi in cui gli stessi risultati delle moderne biotecnologie, sono utilizzati per controllare e garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale30

Un esempio di questo tipo di tecniche è fornito dall’introduzione sul mercato di una qualità di semi transgenici cosiddetti terminator, che sono stati manipolati in modo che il raccolto ottenuto produca una semenza che non è in grado di germinare di nuovo31. È facile comprendere come nei Pvs dove si pratica un’agricoltura di sussistenza, ed abitualmente i contadini ricavano dal nuovo raccolto la semenza per quello futuro, l’acquisto obbligatorio ad ogni stagione di nuovi semi potrebbe portare ad un aggravio di condizioni economiche già precarie con pesanti conseguenze di carattere sociale. Il Rapporto UNDP (United Nation Development Programme) del 1999, ha rilevato che l’uso di questa tecnologia pone in pericolo 1.4 miliardi di persone che vivono nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo, la cui sicurezza alimentare dipende dalla conservazione delle sementi sia per il cibo, sia per gli altri generi di prima necessità32

Ciò ha spinto l’India ad adottare un embargo totale nei confronti di questo tipo di semi, ma se questo può ritenersi legittimo in base all’art 26 del Protocollo di Cartagena, la stessa cosa non sembra possibile alla luce delle norme Gatt-Omc. I paesi appartenenti al Gruppo di Miami hanno tentato di porre un preciso limite all’applicazione dell’art. 26, ottenendo che al suo interno fosse specificato che questa deve avvenire compatibilmente con gli obblighi internazionali già contratti dai firmatari del Protocollo, ma anche in questo caso, come abbiamo osservato in generale per il rapporto tra il Protocollo e l’intero sistema normativo dell’OMC, non è chiaro come una disposizione di questo tipo si rapporti con quella contenuta nel Preambolo che afferma che il Protocollo non è subordinato a nessun altro accordo internazionale.

 La tutela dei produttori interni è disciplinata in ambito Omc dall’Accordo sulle misure di salvaguardia presente nell’Allegato 1A dell’Atto istitutivo33

Tale Accordo regola l’applicazione dell’art. xix del Gatt 1994 che autorizza uno Stato membro ad adottare misure di emergenza nei confronti delle importazioni di quei prodotti che causino o minaccino di causare un grave pregiudizio ai produttori nazionali di prodotti simili o direttamente competitivi34.

Sebbene l’obiettivo dell’Accordo sulle misure di salvaguardia abbia uno scopo finale non dissimile da quello dell’art. 26 del Protocollo, notevoli differenze si riscontrano, sia nelle condizioni per la sua applicazione, che si basano su parametri esclusivamente economici legati in primo luogo ai volumi delle importazioni35; sia nei tempi di applicazione delle misure restrittive adottate, che debbono essere di carattere transitorio ed avere una durata massima di quattro anni36. Secondo alcuni autori, dunque, difficilmente il divieto di importazione di Ogm attuato in forza dell’art 26 del Protocollo di Cartagena potrà evitare di essere contestato in ambito Gatt-Omc37.

Allo stato attuale non è facile prevedere in quali termini le disposizioni del Protocollo sulla biosicurezza appena esaminate potranno influire sul commercio internazionale degli organismi geneticamente modificati, e soprattutto quale sarà il rapporto che si instaurerà tra queste e quelle presenti negli accordi del sistema Gatt-Omc. Alcuni autori sostengono che l’effettiva capacità di imposizione delle norme elaborate a Cartagena potrà essere determinata con certezza soltanto nel momento in cui le potenziali contrapposizioni tra Protocollo e Omc si manifesteranno in maniera concreta nelle relazioni commerciali internazionali. In questo caso il sorgere di una controversia in seno all’OMC fornirà al panel istituito per la sua soluzione, non solo l’occasione di giudicare la norma oggetto della controversia, ma anche di fornire una chiara interpretazione in merito al rapporto tra le disposizioni di carattere commerciale del Protocollo e le regole Gatt-Omc38.

Al contrario, altri autori hanno affermato che tale soluzione non costituisce la via più idonea da seguire, in primo luogo perché attendere che le discordanze esistenti tra il Protocollo ed alcune disposizioni dell’Omc sfocino in una controversia commerciale, appare un atteggiamento tutt’altro che indicato per un’organizzazione il cui scopo principale consiste nella promozione degli scambi internazionali; ed in secondo luogo perché ciò significherebbe attribuire ai panels una sorta di “funzione legislativa” in realtà estranea alla loro natura di organi per la soluzione delle controversie39.

 In questo senso si è espressa anche la divisione legale del Segretariato dell’Omc che con una nota interna inviata al Consiglio generale (febbraio 2000), ha invitato tale organo a procedere ad un’azione interpretativa ai sensi dell’art. ix par. 2 dell’Accordo istitutivo dell’OMC, che consenta un’armonizzazione delle disposizioni Gatt-Omc con quelle contenute nel Protocollo sulla biosicurezza40.

La nota del Segretariato ha specificato, inoltre, confermando le valutazioni appena formulate, che una “autorevole ed armoniosa” azione interpretativa da parte del Consiglio avrebbe sicuramente un valore maggiore per gli Stati membri dell’OMC, rispetto ad una decisione ad hoc adottata da un panel riguardo ad un singolo caso.

 



 

 

1 THIEFFRY, Le contentieux naissant des organismes gènètiquement modifiès. Prècaution et mesures de sauvegarde, in Revue trimestrelle de droit europeen, 1999, pp. 82 ss.
2 MULONGOY, Different Perception on the International Biosafety Protocol, in Biotechnology and Development Monitor, 1997, pp. 1619 ss.

3 EGGERS, MACKENZIE, The Cartagena Protocol on biosafety, in Journal of International Economic Law, 2000, pp. 525 ss. PHILLIPS, KERR, Alternative paradigms. The WTO versus the biosafety Protocol for trade in genetically modified organisms, in Journal of World Trade, 2000, pp. 65 ss. QURESCHI, The Cartagena Protocol on biosafety and the WTO. Co-existence or incoherence, in International and comparative law quarterly, 2000, pp. 835 ss.
4 CANFORA, La procedura per l’immissione in commercio di OGM e il principio di precauzione, in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, 2001, pp. 375 ss. GIUFFRIDA, Sull’immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, in Giustizia civile, 2001, pp. 885 ss. MASTROMATTEO, A lost opportunity for european regulation of genetically modified organisms, in European Law Review, 2000, pp. 425 ss. COCOZZA, Organismi geneticamente modificati e diritti di cittadinanza transnazionali, in Diritto pubblico e comparato europeo, 2000. CARANTA, Coordinamento e divisione dei compiti tra Corte di giustizia delle Comunità europee e giudici nazionali nelle ipotesi di coamministrazione. Il caso dei prodotti modificati geneticamente, in Rivista di diritto pubblico comunitario, 2000, pp. 1133 ss. GRATANI, La tutela della salute e il rispetto del principio precauzionale a livello comunitario. Quando le autorità nazionali possono impedire la circolazione di OGM all’interno del proprio territorio, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2000, pp. 72 ss.

5 CHARNOVITZ, Triangulating the World Trade Organization, in American Journal of International Law, 2002, pp. 30 ss. DAVEY, Legal developments in the WTO, in Proceedings of annual meeting of ASIL, 1996, pp. 416 ss. PALMETER, MAVROIDIS, The WTO legal system. Sources of law, in American Journal of International Law, 1998, pp. 400 ss. ZEDALIS, Labeling of genetically modified foods. The limits of GATT rules, in Journal of World Trade, 2001. COMBA, Il neo liberismo internazionale. Strutture giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’Organizzazione mondiale del commercio, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 99 ss.
6 Il Preambolo del Protocollo sulla biosicurezza afferma: “Recognizing that trade and environment agreements should be mutually supportive with a view to achieving sustainable development; Emphasizing that this Protocol shall not be interpreted as implying a change in the rights and obligations of a Party under any existing international agreements. Understanding that the above recital is not intended to subordinate this Protocol to other international agreements”.

7 MARIANI, Alimenti geneticamente modificati, Torino, 2001. SERALINI, OGM. Le vrai dèbat, Paris, 2000. CARRA, TERRAGNI, Il cibo del futuro. Gli alimenti transgenici, Milano, 1999. SHENKELEARS, Immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1990, pp. 48 ss. NESPOR, Biotecnologie e agricoltura. L’immissione di organismi geneticamente ricombinati nell’ambiente, in Rivista trimestrale di diritto pubblico comunitario, 1988, pp. 105 ss.

8 SCHWARTZ, Trade Measures Pursuant to Multilateral Environmental Agreements: Developments from Singapore to Seattle, in Review of European Community and International Environmental Law, 2000, pp. 65-69.

9 COCCIA, voce: GATT, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1991, pp. 10 ss. CUTRERA, GATT, in Novissimo digesto, 1965, pp. 765. NAZILOTTI, GATT, in Enciclopedia del diritto, 1969, pp. 546 ss. GERBINO, Organizzazione Mondiale del Commercio, in Enciclopedia del diritto, aggiornamenti II, 1998, pp. 650 ss. STOLL, World Trade Organization, in Encyclopaedia of public international law, 2000, pp. 1530 ss.

10 LIAKOPOULOS, The politics of European Union in Asia Pacific region, Aracne editions, Rome, 2004.

11 Il par. g) dell’art. 3 stabilisce che: “Living modified organism means any living organism that possesses a novel combination of genetic material obtained through the use of modern biotechnology”.
12 EGZIAMBER, Abdication of Responsibility in the Name of Free Trade, (articolo pubblicato sul sito internet http://www.twnside.org.sg/title/abdicate-cn.html.)

13 EASTHAM, SWEET, Genetically modified organisms (OGMs): The significance of Gene flow through pollen transfer, Copenhagen, European Environment Agency, Environmental Issue Report, n. 28, 2002.

14 PHILLIPS, KERR, The Wto Versus the Biosafety Protocol for trade on modified organism, in Journal of world trade, 2000, pp. 63 ss. BRENNAN, STILWELL, An Activist's Handbook on Genetically Modified Organisms and the WTO, Center for International Environmental Law, March 1999, (articolo pubblicato su internet al sito: http://www.consumerscouncil.org/policy/handbk799.htm)

15 Il principio di precauzione trova una specifica applicazione anche all’art. 11. 8 del Protocollo di Cartagena, che riferisce: “Lack of scientific certainly due to insufficient relevant scientific information and knowledge regarding the extent of the potential adverse effects of a living modified organism on the conservation and sustainable use of biological diversity in the Party of import, taking also into account risks to human health, shall not prevent that Party from taking a decision, as appropriate, with regard to the import of that living modified organism intended for direct use as food or feed, or for processing in order to avoid or minimize such potential adverse effects”. Cfr. GOKLANY, Applying the precautionary principle to genetically modified crops, in Policy study, Center for the study of American business, St. Louis, Washington University, 2000.
16 LIAKOPOULOS, Il dibattito tra USA-UE relativamente ai problemi emergenti in merito al libero commercio degli Organismi geneticamente modificati (OGM), in Rivista ambiente e diritto, 2004.
17 Commission of the European Communities, Communication From the Commission on the Precautionary Principle, Brussels, 2000, p. 20.
18 RAGHAVAN, Reconciling Biosafety Protocol and WTO by Interpretation, in The South-North Development Monitor, 2000, n. 4682.

19 PHILLIPS, KERR, The Wto Versus the Biosafety Protocol, op. cit., pp. 72.
20 LIAKOPOULOS, L’obbligo di informazione e cooperazione internazionale per la riduzione dell’inquinamento dello strato di ozono, in Rivista Ambiente e diritto, 2006
21 PHILLIPS, KERR, The Wto Versus the Biosafety Protocol, cit., pp. 73 ss. Un parere dissenziente rispetto a questi ultimi autori è quello di CASWELL, An Evaluation of Risk Analysis as Applied to Biotechnology (With a Case Study of GMO Labelling), Paper presented to ICABR Conference on the Coming Shape of Agricultural Biotechnology Transformation: Strategic Investment and Policy Approaches from a European Perspective, University of Rome, June 17-19, 1999. Tale autore sostiene che prima di indicare in maniera definitiva quale accordo tra quelli Sps e Tbt debba regolare l’etichettatura degli Ogm, occorre giungere ad una posizione comune, tra i partners commerciali, in merito alla sicurezza di questi prodotti.
22 PERDIKIS, A Conflict of Legitimate Concerns or Pandering to Vested Interests? Conflicting Attitudes Towards the Regulation of Trade in Genetically Modified Goods. The EU and the US, in Estey Centre Journal of International Law and Trade Policy, 2000, pp. 51 ss. PERDIKIS, KERR, Biotechnology and International Trade, (articolo pubblicato su internet al sito: http://www.cid.harvard.edu/cidbiotech/comments/comments51.htm)
23 PHILLIPS, KERR, The Wto Versus the Biosafety Protocol, op. cit., p. 74.

24 RUNGE, JACKSON, Labelling, Trade and Genetically Modified Organism. A Proposed Solution, in Journal of World Trade, 2000, pp. 111 ss.
25 LIAKOPOULOS, La protezione dell’ozonosfera secondo le regole del dirito internazionale, University studio press, Thessaloniki, 2005 (in lingua greca).

26 L’art. 26 del Protocollo afferma: “The Parties, in reaching a decision on import under this Protocol or under its domestic measures implementing the Protocol, may take into account, consistent with their international obligations, socio-economic considerations arising from the impact of living modified organisms on the conservation and sustainable use of biological diversity, especially with regard to the value of biological diversity to indigenous and local communities”.
27 lMULONGOY, Different Perception on the International Biosafety Protocol, in Biotechnology and Development Monitor, 1997, p. 1622.
28 AUTERI, FLORIDA, MANGINI, OLIVIERI, RICOLFI, SPADA, Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, seconda edizione, Giappichelli, 2005.

29 RAJAMANI, The Cartagena Protocol. A Battle Over Trade or Biosafety, in Third World Resurgence, 1999, n. 104/105.

30 LIAKOPOULOS, The politics of United Nations in Asia Pacific region, Aracne editions, Rome, 2004.

31L’utilizzo di tali tecniche di manipolazione genetiche al fine di difendere i diritti acquisiti dalle multinazionali è stato condannato dai paesi OCSE: “It was suggested that research should increase but only under carefully controlled conditions with regular monitoring. And not all research was seen as beneficial. For example, development of the terminator gene uniquely for patent protection reasons was strongly rejected by the majority of participants. In reference to patenting and plant breeders’ rights, it was recognised that firms need some assurance of a reasonable return on large investments in research. However, the rights of farmers to reuse seed from their own crops must also be respected”. The OECD Edinburgh Conference on the Scientific and Health Aspects of Genetically Modified Foods: Genetically Modified Foods-Widening the Debate on Health and Safety, Edimburg, 2000, p. 41.

32  “Local plant breeding is essential for adapting seeds to the ecosystem and maintaining biodiversity. The 1.4 billion rural people relying on farm-saved seed could see their interests marginalized. With increasing control and homogenization of the market by major agribusinesses, the competitiveness of alternative varieties and the scope for producing alternative crops will most likely decline, depleting local genetic diversity”. UNDP, Human Development Report, Geneva, 1999, p. 68.

33  Cfr. TEDESCHI, La riforma della clausola di salvaguardia del Gatt, in La Comunità internazionale, 1995, pp. 57-106.

34  L’art. xix è la principale clausola di salvaguardia del Gatt 1994 anche se vi sono altre disposizioni che possono avere simile funzione; si pensi all’art. xii relativo alle misure di difesa della bilancia dei pagamenti ed all’art. xviii che autorizza misure a favore dei pvs. Cfr. in merito BESTAGNO, Le clausole di salvaguardia economica nel diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 1998.

35 Art. 2 par. 1 dell’Accordo sulle misure di salvaguardia.

36 Art. 7 par. 1 dell’Accordo sulle misure di salvaguardia.

37  PHILLIPS, KERR, The Wto Versus the Biosafety Protocol, op. cit., pp. 73.

38 GUILMIN, The Biosafety Protocol is Adopted in Montreal, in Environmental Policy and Law, 2000, pp. 48 ss.

39 RAGHAVAN, Reconciling Biosafety Protocol and Wto by Interpretation, in The South-North Development Monitor, 2000, n. 4682.

40 Il par. 2 dell’art. ix recita: “La Conferenza dei Ministri e il Consiglio generale hanno l’autorità esclusiva di adottare interpretazioni del presente Accordo e degli Accordi commerciali multilaterali. Nel caso dell’interpretazione di uno degli Accordi commerciali multilaterali di cui all’allegato 1, essi esercitano la loro autorità sulla base di una raccomandazione del Consiglio che sovrintende al funzionamento di tale Accordo. La decisione di adottare un’interpretazione è presa con una maggioranza dei tre quarti dei Membri”.

 

 

 

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 10/06/2006

 

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