Per l'art. 14 del "Ronchi" non è una colpa essere proprietari di un terreno!
Consiglio di Stato, Sez. V, 16 novembre 2005, n. 6406
SILVANO DI ROSA(*)
SOMMARIO:
– 1. Premessa; – 2. Cosa capita al proprietario di un’area interessata
dall’abbandono di rifiuti; – 3. Cosa si chiede al proprietario dell’area; – 4. I
primi dubbi; – 5. Esempi caratteristici; – 6. La tesi da verificare; – 7. Le
decisioni del Consiglio di Stato; – 8. Le decisioni dei Tribunali Amministrativi
Regionali; – 9. La Suprema Corte di Cassazione; – 10. I “buoni” ed i “cattivi”;
– 11. Alcuni aspetti particolari; – 12. Conclusioni.
1 – Premessa
Prendendo spunto dalla recentissima decisione della Quinta Sezione del
Consiglio di Stato (di seguito indicato con l’acronimo CdS), 16 novembre
2005, n. 6406, vorremmo evidenziare come, ancora oggi, non sono per
niente rare le occasioni in cui un’amministrazione comunale (avviando – quando
va bene !! – un procedimento amministrativo) indirizzi direttamente ai
proprietari di un’area, in cui “qualcuno” ha scaricato dei rifiuti, un
provvedimento che impone loro di provvedere alla rimozione degli stessi (molte
volte qualificandola impropriamente come “bonifica”), nonostante che la
deprecabile azione sia imputabile ai soliti ignoti. In aggiunta a ciò,
molto spesso, viene del tutto omessa o trascurata – da parte dell’Ente locale –
la predisposizione di concreti accertamenti volti ad individuare chi sia
l’effettivo autore dell’illecito, come se ciò non avesse poi troppa importanza.
Dichiarata preliminarmente l’intenzione di non volersi addentrare
nella tematica della bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati1,
ci proponiamo di sottolineare come una delle massime ricavate dalla
menzionata decisione n. 6406/2005, risulti formulata in maniera tale da lasciar
intendere, a primo acchito, che le sopradescritte iniziative – intraprese dalle
pubbliche amministrazioni a carico di proprietari di immobili – siano sempre del
tutto legittime. D’altronde, vistone il tenore, non si può negare che lo si
potrebbe anche pensare: «L’ordinanza con la quale il sindaco impone al
proprietario dell’area di bonificarla in relazione a rifiuti speciali tossici e
nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio, nel senso che non è
diretta ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la
responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva, ma solo
ripristinatorio, per essere rivolta essenzialmente ad ottenere la rimozione
dell’attuale stato di pericolo e a prevenire ulteriori danni all’ambiente
circostante e alla salute pubblica. Pertanto, detta ordinanza può essere
legittimamente indirizzata all’attuale proprietario dell’area, cioè a colui che
si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli
interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di
pericolo, ancorché essa sia da imputarsi ad altro soggetto o al precedente
proprietario (v. C.d.S. Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904 e 2 aprile 2003 n.
1678).»
Il nostro, quindi, vuol essere un modesto contributo semplicemente rivolto a
chiarire che – contrariamente a quanto qualcuno possa o voglia pensare –
“di regola” non è affatto plausibile “prendere di petto” il proprietario
incolpevole – di un terreno interessato da un abbandono di rifiuti – ed
invitarlo/incaricarlo/obbligarlo a fare ciò che da questi, viceversa, non
potrebbe essere assolutamente preteso.
Con il proposito ed al fine di approfondire il più possibile – nei
termini sopra esposti – questa peculiare e fors’anche secondaria fattispecie
(che assurge però a ruolo primario per quei soggetti che vi si imbattono), ci
vediamo costretti ad evitare la trattazione di quegli aspetti di natura penale
che, non si esclude affatto, possano avere una certa rilevanza in casi simili.
Rimarremo, appunto per questo, nel solco – deliberatamente prefissatoci – della
descrizione e commento di quelle situazioni in cui le condotte,
inizialmente descritte, sono state considerate palesemente illegittime, così
come di quelle altre che, viceversa, sono risultate ammissibili, in
quanto costituenti legittime “eccezioni” alla suddetta regola madre.
Naturalmente con l’auspicio di non annebbiare ancor di più le idee del
povero lettore, visto che, in tal caso, il tentato rimedio si rivelerebbe
peggiore del male che si intendeva debellare.
2 – Cosa capita al proprietario di un’area interessata dall’abbandono di
rifiuti
Può capitare (e capita!!) che Tizio, per il solo fatto di esserne
proprietario (o titolare di diritti reali o personali di godimento), si veda
notificare – da parte dell’amministrazione comunale territorialmente competente
– una comunicazione di avvio procedimento amministrativo, ex-art. 8 legge 241/902,
avente ad oggetto il riscontrato abbandono di rifiuti in una certa (sua) area.
Comunicazione che, contenendo – solitamente – l’invito a rimuoverli
prontamente, costringe l’interessato, quantomeno, ad attivarsi3 per
partecipare al procedimento. Diciamo subito che questa partecipazione
deve considerarsi solo e soltanto un mero onere iniziale: così…tanto per
gradire! Poi, ovviamente, ci sarà da affrontare anche tutto il resto del
programma (primo, secondo, contorno, formaggi, frutta, dolce e caffè…); che, a
dire il vero, costituisce…il bello… della storia!!
Quindi può accadere (ed accade!!) che, per quanto estraneo al fatto4,
sia “proprio il proprietario” dell’area ad esser posto nelle condizioni
di dover porre rimedio, e trovar soluzione, ad una situazione illecita
determinata dalla scellerata condotta di terzi ignoti; tanto che – in
caso di un eventuale, e non raro, contenzioso con l’amministrazione comunale
procedente – questi ultimi benemeriti sconosciuti potrebbero persino
“godere” dell’aggiuntiva soddisfazione di veder sommata la “beffa” al
“danno” da loro stessi cagionato. Tutti episodi che chiunque sarebbe in
grado di ascrivere nella famosa raccolta rubricata: «Agli zoppi grucciate!»
o, che dir si voglia, «Il giusto ne soffre per il peccatore !».
Sappiamo bene che, normalmente, la pubblica amministrazione opera conformandosi
scrupolosamente ai basilari principi di ragionevolezza, legalità,
imparzialità, autotutela e buona amministrazione. Quando però la “pizzichiamo”
a cimentarsi nell’attuazione di pretese così paradossali, sorge spontaneo – ed è
anch’esso: ragionevole, legittimo ed imparziale – un grosso dubbio
sull’affermazione di cui al lemma precedente. D’altronde, in molti casi5, il
tipico e purtroppo ricorrente deposito/abbandono di rifiuti consta di: modeste
quantità di macerie edili, vecchi elettrodomestici, pneumatici, bidoni, tubi,
ceramica sanitaria, qualche lastra di eternit – a volte – intonsa6, ecc., la cui
rimozione, obiettivamente, non costituisce, di per sé, un problema
insormontabile. Proprio per questo risulta difficile trovare una plausibile
giustificazione al tentativo – operato da parte dell’istituzione che rappresenta
la collettività – di coinvolgere direttamente chi non c’entra proprio niente
(alias: proprietario incolpevole) con la verificatasi manifestazione di
inciviltà. L’inopportunità di una tal condotta, così degna di biasimo, è altresì
dimostrata dal fatto che, non di rado e magari in ragione dell’esigua quantità
di rifiuti oggetto del contendere, il proprietario dell’area – “forzosamente”
invitato a rimuovere l’illecito deposito di materiali di scarto – si faccia
prendere dalla tentazione di rispondere favorevolmente all’invito che gli giunge
dall’amministrazione comunale. Spinto a far ciò, non tanto da una recondita e
spiccata benevolenza o da un innato senso di masochismo, quanto perché il
destinatario dell’invito è portato a ritenere (a nostro avviso sbagliando!) che
sia “più semplice” farsi carico della rimozione dei rifiuti – e……. chiuderla là!
– piuttosto che dover instaurare un lungo ed oneroso contenzioso con l’Ente
locale; implicante, come noto, l’andarsi a presentare di fronte ad un giudice,
con l’assistenza di un legale e quant’altro, di sgradito, ognuno di noi può
facilmente immaginare.
Addirittura, ci sentiamo di affermare che, in molti casi, il problema principale
del proprietario incolpevole non è affatto il costo di quella rimozione, bensì
l’istintivo rifiuto di rimuovere i rifiuti (ci sia consentito il bisticcio di
parole) prodotti da altri maleducati concittadini, accompagnato dal fondato e
prevalente timore7 di creare un precedente negativo in capo ed a scapito di se
stesso; sapendo bene di avere come unico “torto” quello di essere titolare di un
diritto (la proprietà) tutelato dall’art. 42 della Carta Costituzionale.
Vogliamo dire che, se il proprietario incolpevole si attiva pedissequamente una
prima volta – asportando quanto “offertogli” notte tempo dai soliti furbi di
turno – come potrà, in una successiva (e magari molto più “consistente”)
occasione, rifiutarsi di farlo? E’ vero – nessuno lo nega!– che l’accorto e
diligente possidente potrà dotare i luoghi – divenuti oggetto dello scarico
abusivo (e le relative vie di accesso) – di indicazioni di divieto di scarico,
divieto di accesso, divieto di….questo, divieto….di quell’altro; così come è
altrettanto vero che questi ed altri idonei8 espedienti dissuasivi hanno
un’efficacia meramente astratta. Se poi, riguardo a quest’ultima opinione, non
trovassimo l’accondiscendenza di chi legge, reputiamo sia comunque da
condividere perlomeno l’assurdità della pretesa che tali escamotage
precauzionali vengano estesi ad ogni parte di quella proprietà e,
conseguentemente, in ognuna delle proprietà riconducibili a quel certo soggetto.
Tenendo ben presente che tutto ciò può valere per ciascuno dei – grandi e
piccoli – proprietari immobiliari italiani; i quali, senza alcun’ombra di
dubbio, non bramano certo di attivarsi preventivamente per (o di esser chiamati
a): cartellonare, recintare, o dotare di accorgimenti dissuasivi, ogni tratto ed
ogni angolo dei propri possedimenti, sol per evitare (o tentare inutilmente di
farlo!) che a qualcuno, prima o poi, passi per la mente la malsana idea di
prenderli di mira per scaricarvici dei rifiuti, a mo’ di omaggio natalizio; che
potrebbe avere una certa attinenza con le festività da poco trascorse.
3 – Cosa si chiede al proprietario dell’area
Occorre tener presente che solitamente, nella comunicazione di avvio
procedimento amministrativo – che il proprietario incolpevole potrebbe vedersi
recapitare –, l’Ente locale indica che gli agenti, accertatori del verificatosi
misfatto, non sono stati in grado di identificare il vero responsabile
dell’abbandono e ricorda, altresì, che l’obbligo di rimozione e smaltimento dei
materiali abbandonati incombe solidalmente sul proprietario…al quale tale
violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Nonostante il peculiare contenuto della significativa precisazione contenuta in
quest’ultimo lemma9, capita spesso che sia proprio il padrone di casa –
indipendentemente dalla sussistenza a suo carico del necessario elemento
soggettivo della colpa – ad essere “invitato” ad attivarsi per la rimozione dei
rifiuti giacenti nel proprio cespite immobiliare, oltre che, naturalmente, a
ripulire il tutto …con le modalità previste dalla normativa vigente. Ma non
basta, in quanto, non raramente, l’invito consiste in un vero e proprio
ordine
“sotto mentite spoglie”, essendo quasi sempre accompagnato dalla precisazione:
«In caso di inottemperanza il Sindaco disporrà con ordinanza le operazioni di
cui sopra…»; la quale attribuisce a quella garbatissima esortazione una
connotazione “appena appena” coercitiva.
4 – I primi dubbi
Ci chiediamo, e – tanto per rendere partecipe il lettore – invitiamo a
domandarsi, quanto sia logico e ragionevole che, al proprietario10 di un’area
divenuta oggetto di uno scarico abusivo di rifiuti, possa essere richiesto tout
court di provvedere a rimediare alle altrui scelleratezze; oltre ad esigere,
sempre con una certa non-scialans, addirittura il ripristino dei luoghi,
perpetuamente e soltanto – su questo non c’è dubbio!– a proprie spese.
Eppure ci “par di ricordare” che gli articoli 7.2 e 21.2, lettera g), del D.Lgs.
5 febbraio 1997, n. 22, definiscono e/o «considerano» come “urbani”: i rifiuti
di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o
sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge
marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua. Su tale scorta, quelli in
tal modo individuati non sono altro che rifiuti il cui smaltimento costituisce
obbligo per il comune ex-art. 21.1 del citato decreto.
Non ci è dato però di poter trattare in maniera esaustiva il concetto di area
privata comunque11 soggetta ad uso pubblico. La storia si allungherebbe troppo,
visto che dovremmo cominciare col rilevare come già nel testo dell’art. 2, terzo
comma punto 3)12, del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, ci si riferiva ad aree
private comunque soggette ad uso pubblico, e, di aree private
soggette ad uso
pubblico, ne trattava il successivo art. 913 dello stesso decreto. Ma non sarebbe
sufficiente, perché anche nel vigente decreto Ronchi si parla di aree private
comunque soggette ad uso pubblico, agli articoli 7, comma 2 lettera d), e 21,
comma 2 lettera g); mentre le aree soggette ad uso pubblico sono menzionate al
successivo art. 49, comma 2.
Non potendo fare di meglio, ci limiteremo a farne un breve accenno nel
prosieguo, onde risparmiare sia energie che spazio, a tutto vantaggio
dell’argomento principale che si intende trattare. Oltretutto, potrebbe
risultare imprudente trarre conclusioni premature e fors’anche inutili, dal
momento in cui già altri – e più accreditati – autori14 hanno esaustivamente
trattato dell’argomento nel suo complesso.
Detto ciò, inizieremo ad analizzare – puntualmente – alcune fra le più
significative decisioni giurisprudenziali che, nel passato a noi prossimo, sono
intervenute in merito all’argomento de quo. Se non altro, per cercare di
ridurre
ai minimi termini il possibile dubbio che, in mezzo ad esse, dimorino delle
contraddizioni; la cui palesata sussistenza, oltretutto, potrebbe determinare
uno smarrimento “di non poco conto” sia fra gli operatori delle pubbliche
amministrazioni, sia nei privati, sia in coloro che sono chiamati a giudicare, o
fornire assistenza, in contenziosi concernenti la materia in esame.
5 – Esempi caratteristici
CdS, Sez. V, 08 marzo 2001 n. 1347
Paradigmatica al riguardo è la sentenza CdS, Sez V, 08 marzo 2001 n. 134715, nella
quale è fin troppo facile comprendere la ragione per cui, nel giudizio di primo
grado, il T.A.R. lombardo abbia annullato il provvedimento sindacale che poneva
obblighi di asporto e smaltimento, a carico di certi soggetti, per il solo fatto
di essere i titolari del diritto di proprietà sull’area interessata da un
verificatosi abbandono di rifiuti (in quel caso, indipendentemente e/o senza che
fosse stato predisposto alcun accertamento circa la loro effettiva
responsabilità al riguardo). Infatti, nella motivazione del provvedimento –
annullato dal Giudice di prime cure, con sopravvenuta debita conferma in secondo
grado – non veniva svolta alcuna considerazione circa le ragioni per cui i
proprietari dell’area sarebbero stati tenuti, in quanto tali, a provvedere allo
smaltimento dei rifiuti.
Fin qui, pertanto, si tratta di conclusioni piuttosto scontate e quindi non
troppo utilizzabili – per carente adattabilità – per approfondire e comprendere
meglio quelle situazioni in cui, viceversa, i provvedimenti impugnati non
appaiono così palesemente illegittimi.
Per tale ragione, adesso, ci dedicheremo all’esame di altre e più recenti
sentenze dello stesso Giudice d’Appello, le quali, sempre trattando l’argomento
in esame, hanno determinato impressioni anche “di segno opposto” fra gli
operatori del diritto. Il nostro fine è sempre lo stesso: verificare – come
annunziato – se effettivamente, fra queste, si celi una qualche recondita
contrapposizione, oppure se si possa veramente e finalmente confidare
nell’esistenza di un leitmotiv comune a tutti16 gli organi giudicanti; quantomeno
– non potendo pretendere che sia unico ed immutato nel tempo – con variazioni
secondarie e/o contenute entro limiti ragionevoli.
T.a.r. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041
Altro stereotipo può essere individuato nella sentenza T.A.R. Sicilia, Palermo,
sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041, con la quale è stato considerato illegittimo
l’ordine di provvedere alla rimozione dei rifiuti presenti in un’area, impartito
da un comune – in forza dell’art. 14 D.Lgs. 22/97 – direttamente ai proprietari
della medesima, con comminatoria, per il caso d’inosservanza, di esecuzione
d’ufficio in danno e con rivalsa di spese, fatta salva l’applicazione di
sanzioni amministrative e penali….
Anche in questo caso, dall’istruttoria svolta in sede giurisdizionale, è
risultato come l’Amministrazione soccombente non si fosse fatta minimamente
carico di svolgere gli opportuni e congrui accertamenti volti a verificare la
sussistenza di fatti suscettivi di integrare le necessarie fattispecie di
responsabilità dolosa o colposa a carico del proprietario dell’area, e di
esplicitarne compiutamente le ragioni. Così operando – nonostante gli
interessati avessero esposto, in proposito, di aver fatto tutto quanto fosse
possibile (segnalazione alle autorità competenti, recinzione del terreno) per
impedire l’abbandono di rifiuti su quel terreno – alla proprietà dell’area è
stata imputata una sorta di responsabilità oggettiva, notoriamente
non prevista
dalla legge.
Per ragioni di completezza potremmo altresì citare, con risultato del tutto
analogo, anche le altre sentenze: T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile
2005, n. 6348; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 840.
CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153 e n. 154
Non sarebbero da meno le vicende riconducibili alle sentenze CdS, Sez. V, 25
gennaio 2005, n. 153 (che annulla la sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20
dicembre 2003, n. 888) e CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 154 (che annulla la
sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 gennaio 2004, n. 12), dato che
avrebbero astrattamente potuto costituire un ulteriore e valido esempio
dell’insana abitudine di rivolgersi per default al proprietario del terreno.
Difatti – per quanto si tratti di sentenze annullate17 – il provvedimento
sindacale, sul quale si sono incardinati i due distinti giudizi di primo grado,
imponeva il ripristino dello stato dei luoghi (con rimozione del materiale ivi
depositato) direttamente al proprietario dell’area, oltre che ad una società
incaricata della gestione della servitù – gravante su parte del fondo – per le
sistemazioni riguardanti una pista di sci esistente in loco. Nel corso delle
istruttorie relative ai due separati ricorsi – presentati, rispettivamente, da quest’ultima società e poi anche dal proprietario del terreno – è stato
accertato che nulla, a questi, poteva essere imputato a titolo di dolo o colpa
grave18.
Non vale però la pena intrattenersi troppo su questo caso, visto che il
Consiglio di Stato – pur se per tutt’altre questioni –, decidendo
definitivamente sugli appelli presentati dal comune, li ha accolti annullando le
sentenze di primo grado e rinviando le cause al T.A.R. Friuli19, con obbligo che
lo stesso provvedesse anche alle spese dei giudizi d’appello.
6 – La tesi da verificare
Forse conviene – anche per tracciare una determinata linea di riferimento ed
individuare un alveo in cui far confluire la fiumana di fatti ed atti di cui ci
apprestiamo a trattare – dichiarare quale sia la tesi di cui vorremmo verificare
la fondatezza. In pratica, essa consiste nel cercare riscontro al fatto che, in
caso di abbandono o di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo20,
il proprietario e/o i titolari di diritti reali o personali di godimento
sull’area interessata, siano davvero tenuti a procedere alla rimozione,
all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti, oltre che al ripristino
dello stato dei luoghi (in solido con l’autore effettivo), solo e
soltanto ove
tale violazione sia imputabile anche ad essi a titolo di dolo o di
colpa. Ergo,
acclarare che al proprietario, ecc. ecc., incolpevole non possa mai essere
indirizzato l’ordine di rimozione dei rifiuti, salvo eccezionali,
limitati e particolari casi. Precisando fin da ora come non possano assolutamente essere
considerati tali quelli caratterizzati da:
√ il generale obbligo giuridico di impedire un evento; in quanto lo stesso è
configurabile solo a carico di chi sia, al riguardo, investito di una posizione
di garanzia21, e non risulta sussistere alcuna disposizione che ponga a carico
del proprietario (o del titolare di altri diritti reali o di godimento)
l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva da terzi posta in essere;
√ la responsabilità causalmente fatta discendere dall’omissione di obblighi
generici di custodia, che comunque non sono affatto previsti, e dunque
non sono
rilevanti, al fine di impedire l’evento del formarsi di un abbandono/discarica
abusiva di rifiuti.
A tutto vantaggio dell’anzidetta verifica, le sentenze che a breve verranno
richiamate, sono state deliberatamente classificate come “favorevoli” o
“contrarie” alla tesi suesposta.
▪ Un piccolo contributo per accostarsi adeguatamente agli artt. 14 e 17 del
D.Lgs. 22/97
In ragione del fatto che – come abbiamo già visto inizialmente – anche nel
prosieguo si parlerà di ordini di “bonifica” (nonostante che il tema da trattare
sia soltanto quello che stanzia nel contesto dell’art. 1422 del decreto in
oggetto), appare utile riportare un breve accenno alla differente posizione
assunta, nei riguardi del proprietario di un’area, dalle disposizioni dell’art.
14, rispetto a quelle contenute nel successivo art. 17 dello stesso D.Lgs.
22/97.
Per quanto attiene al contesto in cui ci troviamo risulterà sufficiente
precisare che il citato art. 1423 è informato al principio secondo cui – in linea
di massima – l’obbligo dell’asportazione dei materiali e del ripristino dello
stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione (verificatasi
mediante commissione od omissione, sia essa volontaria o colposa), dovendosi
escludere qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario; il quale
viene chiamato a rispondere –solidalmente con l’autore – solo e soltanto in
ragione degli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di
famiglia) che è alla base della nozione di colpa.
Questa – che è la tipica fattispecie del mero abbandono o deposito di rifiuto –
va nettamente distinta da una situazione di vero e proprio inquinamento di un
determinato sito; caso diverso, che risulta disciplinato dall’art. 17 dello
stesso decreto legislativo.
Nell’articolo 1724, infatti, per la posizione del proprietario25
incolpevole, si
attua un principio diverso, in quanto – nell’ipotesi in cui il responsabile
della contaminazione resti ignoto o non provveda, tanto da rendere necessario
l’intervento dell’amministrazione comunale – viene previsto26 che gli interventi
“di bonifica”, per quanto effettuati d’ufficio, costituiscano onere reale sulle
aree inquinate e27 che, conseguentemente, le spese sostenute dall’Ente siano
assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime – ai sensi e
per gli effetti dell’articolo 2748, comma 2, c.c. – oltre che da privilegio
generale mobiliare.
In questo caso, pertanto, pur non essendoci astrattamente alcun obbligo diretto,
è impossibile nascondere la pratica sussistenza di una forma di responsabilità
limitatamente “oggettiva” a carico del proprietario; sulla cui situazione
patrimoniale, di fatto, si va, indirettamente, ad incidere per quanto e
nonostante che lo stesso possa dimostrare di essere del tutto incolpevole.
Per quanto sia da ritenere molto discutibile28, non manca chi è riuscito ad
intravedere una logica che spieghi la diversa struttura assunta dalla
fattispecie dell’articolo 17 rispetto a quella tipica del 14. Si è evidenziato,
infatti, che nella prima non è richiesta semplicemente la rimozione di una
quantità confinata e ben individuata di rifiuti (cosa che caratterizza la
seconda), bensì si rende necessaria l’attuazione di: • diversi livelli di
progettazione, • articolate operazioni di caratterizzare del sito, oltre che
l’individuazione di specifiche, • complesse ed adeguate metodologie di bonifica.
Sembra che questa possa essere la ragione29 per cui la posizione del proprietario
venga considerata in modo differenziato, e meno impegnativo, nel caso in cui si
tratta di fenomeni consistenti nel mero abbandono incontrollato di rifiuti ex-art. 14 (di regola caratterizzato da ridotte dimensioni e dal fatto che
l’attività illecita non è di per sé destinata a prolungarsi molto nel tempo).
Dal nostro punto di vista – condividendo le affermazioni di autorevoli giuristi30– la riteniamo una clamorosa illegittimità, dal momento in cui, mentre in forza
di quanto stabilito dall’art. 14 – in caso di proprietario incolpevole – è
previsto l’intervento del comune e….. tutto finisce lì, viceversa, nelle
fattispecie riconducibili all’articolo 1731 il comune interviene ma solo “in
astratto”, in quanto lo fa avvalendosi del previsto e concreto onere reale e
privilegi vari, in base ai quali, di fatto, è “proprio il proprietario
incolpevole” a farne le spese32, risultando evidentemente “colpevole” di
esser
tale.
Per rafforzare l’illogica disparità di trattamento operata da queste due
fattispecie normative nei riguardi del proprietario dell’area, ci permettiamo di
riprodurre un estratto della risposta al quesito : «E’ consentito adottare una
ordinanza d’urgenza per disporre la "messa in sicurezza" di un sito, senza aver
prima accertato l’avvenuto sfondamento (o pericolo di sfondamento) dei valori
limite di accettabilità consentiti dal D.M. 471/1999? Come si assolve l’obbligo
di motivazione di siffatta ordinanza?», magistralmente fornita dal Prof. Avv.
Pasquale Giampietro:33
L’art. 14 abilita il sindaco (o un suo delegato ovvero il responsabile del
servizio) ad estendere gli obblighi imposti dall’ordinanza a soggetti diversi
dall’autore del fatto qualora l’abbandono sia imputabile anche al proprietario
e/o al titolare del diritto reale o personale sul bene immobile i quali devono
aver cooperato consapevolmente con l’autore del fatto, secondo un atteggiamento
della volontà da qualificare tecnicamente come doloso (o "secondo l’intenzione",
ex art. 43, del codice penale) o colposo (dovuto a negligenza, imprudenza o
imperizia, ecc.). In definitiva, la solidarietà nell’obbligo (di rimozione,
recupero, smaltimento) del proprietario attuale dell’area e degli altri soggetti
cit., sorge e si fonda – per l’art. 14 …. – sul concorso colposo o doloso dei
medesimi nell’illecito abbandono da parte dell’esecutore materiale. Si è visto,
infatti, che l’art. 14 colpisce, in via diretta l’autore dell’abbandono (nel
caso: dei rifiuti di ….) e, in via estensiva, il "concorrente", solo se
imputabile dello stesso illecito (penale o amministrativo), a titolo colposo o
doloso….. .
Chiedendoci quale sia la ragione per cui tutto ciò non dovrebbe valere anche per
l’art. 17 dello stesso decreto, abbandoniamo la questione che, diversamente, ci
porterebbe veramente fuori strada!
7 – Le decisioni del Consiglio di Stato
Fra le più recenti decisioni del Consiglio di Stato ci è sembrato opportuno
analizzarne alcune, il cui contenuto viene di seguito concisamente illustrato e
analizzato.
CdS, Sez. V, 08 marzo 2005, n. 935
Questa sentenza34 può considerarsi favorevole alla tesi esposta nella sezione
precedente.
Nell’anno 1999 il Sindaco del Comune di Campi Bisenzio – richiamandosi all’art.
14 del D.Lgs 5.2.1997, n. 22 – intimava, ad una società, di provvedere (entro 20
giorni) alla rimozione di rifiuti abbandonati da terzi ignoti su area antistante
il proprio stabilimento, ritenendola comunque “responsabile” dell’accaduto, sul
rilievo che questa avrebbe dovuto accorgersi del misfatto, essendo dotata di un
particolare sistema di sorveglianza esterno35. Nel caso di specie, l’omissione di
tale vigilanza era stata interpretata – dall’Ente locale – come elemento
costituente il comportamento colposo di cui al citato articolo e quindi
presupposto della responsabilità solidale del proprietario del terreno con
l’autore dell’abbandono.
Il T.A.R. Toscana, viceversa, nella propria sentenza – n° 619/2002, che ha
annullato la citata ordinanza – ha considerato quel sistema di sorveglianza come
semplice misura funzionale ad impedire l’accesso di intrusi nello stabilimento e
non certamente atta a vigilare anche sui terreni contigui; giungendo a ritenere
insussistenti, in capo alla società ricorrente, sia l’imputabilità “a titolo di
dolo o colpa” dell’abbandono dei rifiuti de quo, così come qualsiasi altro
elemento di cooperazione colposa nella violazione alle norme vigenti.
Nel successivo grado di giudizio, l’Ente locale – appare opportuno precisarlo –
è giunto perfino a richiamare il principio generale, desumibile dall’art. 205136
del codice civile, per il quale graverebbe sul proprietario di un immobile, o
del soggetto che lo ha in custodia, un generale onere di vigilanza “in quanto
responsabile dello stato di conservazione dell’immobile stesso e dei danni che
derivano dalla sua omessa custodia, salvo che non provi che i danni medesimi
siano dovuti a caso fortuito”. Cionostante, il Consiglio di Stato, nella
sentenza in esame, ha ritenuto tale rilievo del tutto inconferente; tant’è che,
con riguardo all’art. 2051 c.c., il Supremo Giudice Amministrativo ha ribadito
come lo stesso non sia affatto espressione di un principio di carattere generale
dell’ordinamento. Al contrario – lungi dal poterlo considerare tale – da Palazzo
Spada si è precisato che si tratta di un’eccezione; quindi, di uno specifico
caso di responsabilità aggravata – in cui l’evento dannoso è posto a carico di
chi ha in custodia la cosa – che deroga, in favore del danneggiato (in ragione
della difficoltà di stabilire come sia stato causato il danno), al principio
generale per il quale, viceversa, spetta a quest’ultimo provare – oltre al
danno
e al rapporto di causalità – anche l’elemento soggettivo del dolo o della
colpa
del soggetto che il danno ha provocato (salvo la prova del caso fortuito ovvero
del fatto del terzo o dello stesso danneggiato).
A ben vedere, poi, riteniamo sia alquanto claudicante la tesi secondo cui il
proprietario possa essere chiamato a rispondere in ragione della responsabilità
oggettiva conseguente agli obblighi connessi con la custodia, dal momento in cui
è lo stesso articolo 2051 c.c. a prevedere che “non si risponde” del caso
fortuito ovvero del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Quindi, il
cercare di “affibbiare” al proprietario incolpevole quella responsabilità
oggettiva è veramente una forzatura che ci porta tragicamente al di fuori dei
principi dell’ordinamento giuridico.
A parte ciò, la Quinta Sezione del CdS ha proprio evidenziato come il fatto
(all’origine di tale controversia) configurasse piuttosto una figura specifica
di atto illecito, punito dall’ordinamento37 solo in base all’elemento soggettivo
del dolo o della colpa.
Riteniamo fondamentale l’asserzione contenuta nella sentenza in esame, secondo
cui, in ogni caso: “…il dovere di diligenza, che fa carico al titolare del
fondo,non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da
esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e, per
quanto riguarda la fattispecie regolata dall’art. 14 citato, di abbandonarvi dei
rifiuti. La richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe oltremodo gli
ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia) che è
alla
base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico, come
nella specie, senza ulteriori specificazioni…”
Sempre con riguardo alla condotta della società resistente, il Giudice d’Appello
aggiunge e precisa che: “…in tale quadro,
le modalità con le quali si è
verificato l’abbandono di rifiuti nella fattispecie in esame sono state tali da
escludere del tutto la configurabilità di un comportamento colposo addebitabile
alla società appellata….. Infatti i rifiuti sono stati abbandonati durante le
ore notturne, dopo avere forzato un cancello che bloccava l’accesso alla strada
e quindi al luogo in cui i rifiuti sono stati versati (secondo quanto denunciato
dalla società appellata alle forze dell’ordine)….”.
In tale contenzioso quindi38 è stata fornita una grande rilevanza anche alle
modalità39 con le quali si verifica l’abbandono di rifiuti; elemento cui verrà
dato il giusto rilievo nel prosieguo.
CdS, Sez. V, 21 giugno 2005,ORDINANZA n. 2959
Si tratta di un’ordinanza40 che, a prima vista, può sembrare contraria alla tesi
che stiamo testando, ma che, da una più attenta analisi, ne conferma
favorevolmente tutti gli elementi sostanziali.
La considerazione circa le modalità, con cui si è concluso il punto precedente,
risulta utile a comprendere come mai questo provvedimento n. 2959, ugualmente
proveniente dalla stessa sezione V del CdS, non costituisca – in alcun modo –
elemento di contraddizione nella logica seguita, in due diverse occasioni, dal
Giudice d’Appello amministrativo.
Si tratta, in questo caso, di un ricorso, presentato dall’Amministrazione
Provinciale di Potenza – avverso un’ordinanza del Sindaco di Melfi con cui era
stata imposta, alla stessa Provincia, la rimozione di rifiuti giacenti nelle
aree di pertinenza di strade di proprietà provinciale –, che ha visto accolta41 in
primo grado, con ordinanza del T.A.R. per la Basilicata, l’istanza cautelare
proposta dall’Ente provinciale; cui, però, è seguita la riforma della decisione
del Giudice di prime cure, operata dalla Quinta Sezione del CdS, che ha respinto
l’istanza cautelare proposta in primo grado.
Di fatto, come inizialmente annunciato, nelle due pronunce provenienti da
Palazzo Spada, non si è verificata alcuna contraddizione, in quanto non si è
preteso (dalla Provincia de qua) una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e
notte, per impedire ad estranei di scaricare rifiuti nelle aree di propria
pertinenza. Il ragionamento e la logica seguiti sono altri e concernono proprio
le richiamate modalità di formazione degli scarichi abusivi. Il CdS, difatti, in
questo caso, ha individuato la colpa della Provincia nella reiterata
trascuratezza scaturente dalla pluralità dei depositi abusivi di rifiuti, dalla
loro entità e dal lasso di tempo non breve in cui i depositi sono venuti a
formarsi. Questi sono gli elementi posti a fondamento dell’insufficiente azione
di vigilanza (sia preventiva che postuma), che, per tale Sezione, ha determinato
insuperabili esigenze di salvaguardia dell’igiene42 ed ha costituito indice di
colpevolezza (resta il fatto che, a nostro avviso, quelli abbandonati in loco,
potevano essere considerati rifiuti urbani; ma di questo tratteremo nella
sezione rubricata «Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di
abbandono»).
CdS, Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3596
Pure questa decisione43 potrebbe apparentemente mostrarsi
contraria alla tesi da
noi prospettata; viceversa ne conferma a pieno la validità, tanto da doversi
considerare pienamente favorevole.
Si ravvisa una certa assonanza fra l’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n.
2959 (precedentemente trattata) e questa sentenza CdS, Sez V, 01 luglio 2002, n.
3596. In entrambe i casi il giudice di primo grado aveva respinto i ricorsi,
lasciando immuni i provvedimenti sindacali – che imponevano ai proprietari
incolpevoli la rimozione di rifiuti – mentre invece il Giudice dell’Appello li
ha cassati, riformando le decisioni che li avevano salvati. Nonostante tutto
ciò, anche stavolta non sussiste alcuna antinomia. Difatti, mentre il T.A.R.
Lombardia del ‘97 aveva astrattamente ritenuto che, nella specie, non
sussistesse alcuna responsabilità dei proprietari44 – sia perché non accertata,
sia perché attivatisi richiedendo l’autorizzazione per la recinzione dell’area –
il CdS, in via astratta, non si è affatto discostato dal principio generale45
dell’improcedibilità verso il proprietario incolpevole, dovendo però, nella
fattispecie concreta, ritenere i proprietari di quell’area non del tutto esenti
da responsabilità, perlomeno a titolo di colpa.
Il Supremo Giudice Amministrativo, infatti, ha rilevato (dalla realtà degli atti
processuali) che, in passato, quell’area – divenuta oggetto dell’abusivo
abbandono di rifiuti – era stata affittata dai proprietari ad un
terzo soggetto
(v. amplius successiva sezione 11, «casi particolari di colpa»), il quale vi
aveva attivato, fin da subito, un deposito abusivo per l’ammasso di pneumatici.
Deposito che, anche dopo la cessazione dell’affitto, ha continuato ad essere
ancora abusivamente utilizzato da altri soggetti, dato che nessuno – neppure i
proprietari ! – aveva provveduto a ripristinarne l’originaria recinzione
precedentemente divelta. In tal senso e per tale ragione la Sezione Quinta ha
sottolineato come i proprietari, in quel caso, fossero, da anni, necessariamente
a conoscenza dell’utilizzazione “come discarica” del loro terreno, concorrendo,
grazie alla loro negligenza, ad aggravare la situazione e risultando incuranti
della necessità di ripristinare la preesistente recinzione46, fino al momento in
cui – tardivamente ! – non vi sono stati costretti dall’intervento
dell’Autorità.
Due ulteriori particolarità caratterizzano il caso in esame. In primo luogo,
sussistono effettivamente i presupposti per l’adozione di un provvedimento
contingibile ed urgente, stante il periodico verificarsi di incendi di grosse
proporzioni – dei pneumatici ivi abbandonati –, con emissione di fumi acri e
tossici, determinanti gravi inconvenienti ambientali ed igienico-sanitari.
Subito dopo rileviamo – sempre dalla sentenza in esame – un riscontrato concorso
di responsabilità anche a carico dell’Amministrazione comunale47, per non aver
tempestivamente provveduto al riguardo; pur dovendo rilevare come tale aspetto
non sia stato specificamente dedotto dagli interessati e quindi non abbia
trovato la debita rilevanza nel giudizio de quo. La ragione di quest’ultima
considerazione è evidente. Non dimentichiamo, infatti, che l’ultimo periodo del
terzo comma dell’art. 14 del D.Lgs. 22/97 prevede che: « …Il sindaco dispone con
ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui
provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti
obbligati ed al recupero delle somme anticipate….», tanto che la mancanza del
dovuto intervento (CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 1904) da parte
dell’amministrazione comunale è da considerare negligenza a tutti gli effetti e,
quindi, colpevolezza.
▪ Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di abbandono
Ricondotta “ad unità” la logica che la Quinta Sezione ha seguito in occasioni
diverse, vorremmo sommessamente fornire un nostro contributo riguardo all’evento
che sta alla base dell’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959;
cominciando col ricordare che il convincimento del Giudice si forma in base agli
elementi addotti dalle parti in causa.
Se ne può ragionevolmente dedurre che, nel caso di specie, nessuno abbia pensato
ad “orientare” l’attenzione del giudice di prime cure (prima) e del Supremo
Giudice Amministrativo (poi) su quanto disposto degli articoli 7.2 e 21.2,
lettera g), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Nel senso che nessuno deve aver
portato il Giudicante a “riflettere” sul fatto che, mutatis mutandis, i rifiuti
oggetto del contendere, altro non erano che rifiuti urbani. D’altronde è
inequivocabile – e vale la pena ripeterlo – che per il nostro ordinamento
giuridico : «Sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta,
del trasporto e dello stoccaggio, tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento
delle strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed
aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico
o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua».
Sulla giacenza di rifiuti in aree pubbliche non c’è molto da dire: o si
individuano i responsabili dell’abbandono, oppure, essendo «rifiuti urbani» a
tutti gli effetti, questi debbono essere rimossi dal soggetto istituzionalmente
deputato a gestirne la raccolta nell’ambito del territorio48. Riguardo alle
aree
private non vorremmo spendere troppe parole sull’argomento dell’uso pubblico di
un’area privata – in quanto ridondanti rispetto a quelle di chi49 ne ha trattato
con competenza ed esaustività – ritenendo sufficiente limitarsi ad evidenziare
che quel “comunque” (posto quasi in mezzo alla dizione: aree private
comunque
soggette ad uso pubblico) dovrebbe potersi leggere come: in qualsiasi modo.
Visto che la nozione di uso pubblico deve essere intesa nel senso – ampio e
generico – di utilizzazione “di fatto” della stessa, tale peculiare
caratteristica viene a dipendere dal fatto che una certa area (anche privata)
sia interessata dalla “circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato
di persone”. E’ altrettanto evidente che debba ugualmente considerarsi
di uso
pubblico quell’area privata cui vi si possa accedere, oppure vi si possa
entrare, senza che vi siano elementi qualificanti che ne limitino
l’accessibilità alla sola fruizione – e quindi in funzione esclusiva –
dell’attività o dei servizi che in essa vengono svolti. Addirittura, anche
l’assenza di una recinzione, in fregio ad un’area privata, è stata ritenuta
sufficiente a farla considerare «comunque di uso pubblico»50.
Quale ulteriore conferma preme evidenziare che anche nello schema del nuovo
Decreto Unico Ambientale51, all’art. 184, secondo comma, si legge che sono
rifiuti urbani (lettera d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti
sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette
ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi
d’acqua.
Per tutto quanto sopra esposto, quale mai potrebbe essere la ragione per cui –
ove il proprietario dell’area privata sia incolpevole e la stessa sia comunque
soggetta ad uso pubblico – i rifiuti abbandonativi da ignoti non dovrebbero
essere rimossi dall’istituzionale gestore della raccolta dei rifiuti urbani ? A
nostro avviso: nessuna! (Cfr. anche CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 1904).
In ogni modo, tornando al caso interessato dall’ordinanza CdS, Sez. V, 21 giugno
2005, n. 2959, è facilmente deducibile che i terreni interessati da quell’abbandono
di rifiuti fossero addirittura qualificabili come area pubblica (aree di
pertinenza di strade di proprietà provinciale). Onde per cui, fin dal
verificarsi dei primi scarichi abusivi (effettuati da autori ignoti) i materiali
derelitti avrebbero dovuto essere considerati «rifiuti urbani»; il cui
smaltimento – per il dettato dell’articolo 7.2 del decreto Ronchi – costituiva
obbligo per il comune ex-art. 21.1 del citato decreto. Questo lo si riscontra
anche nella previsione di cui all’art. 49, comma 2, dello stesso D.Lgs. 22/97;
secondo la quale è prevista, per i Comuni, la copertura dei costi per i servizi
relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o
provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e aree
private soggette ad
uso pubblico.
Nessuno vuol negare che poi, in un secondo momento, ai deprecabili fatti
iniziali possa essersi addizionata anche l’inerzia dell’amministrazione
provinciale “proprietaria” delle aree. Questa però è altra cosa. E’ nostra ferma
convinzione che, in ogni caso, ciò non sopprime né attenua l’iniziale “mancanza
di reazione” da parte del soggetto istituzionalmente tenuto alla raccolta dei
rifiuti urbani, di fatto, formatisi (anche nel caso di specie) sul territorio di
specifica competenza.
CdS, Sez. V, 08 febbraio 2005, n. 323
Si tratta di una decisione52 nettamente favorevole alla nostra tesi.
Il caso si origina dall’ordinanza dell’ottobre del 1993 con cui il Sindaco di
Urbino ha imposto ad un privato (ex-art. 9 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915) di
provvedere alla rimozione dei rifiuti depositati su terreno di sua proprietà ed
alla bonifica (sic!) dell’area.
Anche in questo caso il CdS rileva sia la non configurabilità di un’ipotesi di
responsabilità oggettiva del proprietario del terreno, sia l’omessa valutazione
– da parte del comune – dell’effettiva responsabilità del succitato
proprietario. La Sezione Quinta, inoltre, evidenzia che anche con riferimento
all’art. 9 del DPR 915/1982: «…L’orientamento giurisprudenziale assolutamente
maggioritario, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, infatti,
era nel senso che, secondo il disposto dell’art. 9 citato, l’ordine di
smaltimento dei rifiuti non potesse essere rivolto al proprietario come tale, se
non in quanto egli potesse ritenersi “obbligato” a causa di un comportamento –
anche omissivo – di corresponsabilità con l’autore dell’abbandono illecito dei
rifiuti….in considerazione della natura dell’ordine di smaltimento, configurato
quale sanzione avente carattere ripristinatorio, che presuppone l’accertamento
della responsabilità da illecito in capo al destinatario. »
Viceversa, nel caso posto all’esame di Palazzo Spada, il provvedimento sindacale
scaturigine del contenzioso – passato al vaglio del giudice di prime cure ma
arrestatosi nella rete del successivo grado d’Appello – risultava essersi
fondato solo e soltanto sull’accertamento …..che l’area occupata dai suddetti
rifiuti fosse catastalmente di proprietà di quella persona fisica. Il
proprietario, pertanto, è stato direttamente interessato da un procedimento
amministrativo per il solo fatto di esserlo; senza la necessaria indicazione di
suoi comportamenti – quantomeno colposi – causalmente collegati all’evento
dannoso – al quale si è preteso vi ponesse rimedio –, ed anche senza che fosse
svolta alcuna valida attività istruttoria tesa ad accertarne la responsabilità
con riguardo all’illecito stesso.
Il cliché è sempre lo stesso ! Lo potremmo considerare un manuale di come “non”
comportarsi (quindi una sorta di anti-manuale) e ci fornisce lo spunto per
approfondire un elemento che, già inizialmente, avevamo visto, trattando delle
sentenze CdS 3596/2002 e T.A.R. Sicilia 1041/2005.
▪ La necessità di un’approfondita attività istruttoria
La necessità di una valida
attività istruttoria tesa ad accertare l’effettiva o
eventuale responsabilità del proprietario dell’area riguardo all’illecito, ci
offre lo spunto per rilevare come tale ed imprescindibile elemento – fondante la
legittimità di un provvedimento ex-art. 14 D.Lgs. 22/97 – sia espressamente
previsto anche nel nuovo schema di DECRETO UNICO AMBIENTALE53, nel quale
(perlomeno all’attuale stato crisalideo), al terzo comma di quello che oggi è
l’articolo 19254, si legge che l’obbligo della rimozione dei rifiuti abbandonati,
anche da terzi, in un’area, è da intendersi come imposto solidalmente con il
proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento
sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa
“grave”. Questo è un primo elemento di novità: deve trattarsi di colpa “grave”!
Ma, del grado della colpa tratteremo nell’apposita sezione 11, alla quale
facciamo rimando.
La nuova norma (lo ribadiamo: ancora in bozza) prosegue precisando: “…in base
agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai
soggetti preposti al controllo…”. Quindi – e siamo al punto che volevamo
trattare ! – nel caso in cui tale novella sia confermata in via definitiva,
non
solo ci vorranno sempre degli accertamenti da parte dei soggetti preposti al
controllo, ma gli stessi dovranno addirittura essere condotti “in
contraddittorio” con gli interessati (alias: i proprietari).
CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136
Altro giudicato55, favorevole alla tesi esaminata, è quello formatosi da una
vertenza scaturita dopo l’emanazione di provvedimenti del Sindaco di Grado, con
i quali, nel febbraio 2000, è stato intimato ad una società – in quanto
proprietaria – di provvedere alla pulizia di certe aree, in quanto interessate
da numerose discariche abusive di rifiuti, ed anche di realizzare la recinzione
dell’intero sedime di proprietà, con comminatoria, in caso di inadempienza,
delle previste sanzioni.
In tal caso, nonostante che detta società fosse stata esplicitamente autorizzata
– in relazione a talune delle particelle interessate dagli scarichi abusivi – al
deposito temporaneo di rifiuti e che nei provvedimenti, da questa impugnati, non
risultasse essere stata spesa una parola per dimostrare la sussistenza
dell’elemento soggettivo nell’operato di tale società56, il T.A.R. Friuli ha
ritenuto ugualmente di dover respingere il ricorso.
Decisione di primo grado assunta in base al fatto che l’abusivo abbandono di
rifiuti durava “indisturbato” da lungo tempo e che la recinzione preesistente
fosse stata abbattuta (n.d.r.: da ignoti!) per un tratto così ampio, da
consentire il passaggio anche di automezzi pesanti; il tutto interpretato e
considerato come fattore di negligenza imputabile alla società proprietaria,
tacciata, oltretutto, di aver trascurato le più elementari misure di
sorveglianza dell’area, a niente valendo l’apposizione di numerosi cartelli di
divieto, a fronte del fatto che (secondo il T.A.R.) la stessa avrebbe avuto
l’obbligo di adoperarsi attraverso misure efficaci e non “meramente simboliche”.
Il Consiglio di Stato, in maniera – a nostro avviso – del tutto corretta, ha
censurato l’operato del comune, sotto il particolare profilo dell’omessa
valutazione della responsabilità della ricorrente, ed ha “dato contro” al
Giudice di prime cure, rilevando come lo stesso si sia sostituito
all’Amministrazione comunale (fra l’altro non costituitasi in giudizio!!) in
tale valutazione, giungendo a preoccuparsi di verificare autonomamente se da
parte della società proprietaria – poi divenuta appellante – vi fosse stata
negligenza nella gestione della proprietà.
Anche in questo caso, la Quinta Sezione di Palazzo Spada, rilevando l’assoluta
mancanza – nel provvedimento originariamente impugnato di fronte al T.A.R.
Friuli – di quella necessaria indicazione di comportamenti quanto meno colposi
(del proprietario dell’area) e causalmente collegati all’evento dannoso chiamato
a riparare, ha voluto ribadire come l’art. 14 del D.Lgs. 22/97 escluda, in linea
di principio, qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario,
essendo necessario l’accertamento di un suo comportamento, anche omissivo, di
corresponsabilità e quindi di un suo coinvolgimento doloso o quantomeno colposo
(in tal senso, richiamando la propria decisione Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile
2001 n. 1904).
Non avendo niente da obiettare in tal senso, ci limitiamo ad osservare quanto
risulti insensato l’aver preteso che il proprietario dovesse sopperire,
riparando e ripristinando continuamente l’ apposita recinzione – di cui era
stata munita la propria area – reiteratamente divelta da ignoti, giungendo
persino a qualificare la sua umana e naturale desistenza come indice di
negligenza (altro caso da aggiungere alla raccolta citata in calce al primo
capoverso della precedente sezione 2).
CdS, Sez. V, 30 dicembre 2004, n. 8295
Si tratta di una sentenza57, favorevole al nostro asserto (per quanto con
necessità di qualche spiegazione), che pone fine ad una vicenda generatasi da
una determinazione della Regione Piemonte del 2002, recante ingiunzione –
rivolta ai titolari di un’impresa di demolizioni e scavi – di ripristino dello
stato dei luoghi, a seguito dell’avvenuto scarico abusivo di materiali inerti in
un avvallamento del terreno lungo il torrente Sangone; con obbligo di rimozione
completa dei materiali scaricati nell’area. L’impresa, negando di essere
proprietaria dell’area interessata dallo scarico abusivo, così come di essere
autrice materiale di quest’ultimo, non ha ottenuto tutela dal T.A.R. Piemonte,
il quale ha respinto il ricorso in quanto – per contro – sarebbe risultato
confermato che il deposito dei materiali inerti fosse situato, per la maggior
parte, su proprietà dei ricorrenti stessi. Fra le altre cose, nel corso del
giudizio di primo grado, sembra sia emerso che alcuni dei depositi di rifiuti
fossero stati effettuati (sì) da terzi, ma su indicazione dell’impresa, ed anche
che un ultimo episodio di scarico fosse stato (addirittura) realizzato per il
tramite di un mezzo di trasporto di proprietà della stessa impresa ricorrente.
Viene dunque da chiedersi come mai il CdS abbia riformato la decisione del
giudice di prime cure, apparentemente ineccepibile !
A ben vedere, in sede di Appello, è stato accertato come, per una parte, l’area
interessata dagli scarichi fosse effettivamente situata “al di fuori” della
proprietà dell’impresa, ma che, per un’altra parte, viceversa, i rifiuti si
trovassero effettivamente nella disponibilità della stessa. Quindi, nel caso di
specie, il CdS ha recepito solo in parte l’appello, ritenendo parzialmente
accoglibile anche il ricorso esperito in primo grado. Il provvedimento regionale
fonte di tutto è pertanto in parte legittimo ed in parte no!
Ciò potrebbe sottendere una logica diversa da quelle seguite, dalla stessa
Sezione Quinta, nei casi precedentemente illustrati; ma così non è! Si tratta di
un caso avente particolari peculiarità. Infatti, il provvedimento de quo risulta
essere stato assunto in applicazione della L.R. Piemonte 17 aprile 1990, n. 28,
con cui – nelle zone di salvaguardia della Fascia Fluviale del Po – è previsto
uno specifico divieto di «modificazione dello stato dei luoghi» senza una
preventiva autorizzazione (art. 12, 2° c., L.R. cit.); divieto che ricade in
capo al soggetto che, avendo la disponibilità dell’area, compia atti idonei a
modificarne l’assetto, ovvero (anche) consenta ad altri di farlo, omettendo la
necessaria vigilanza. Quindi, è per quest’ultima particolare evenienza che
l’ordine di rimozione è stato e deve considerarsi legittimamente impartito nei
confronti dell’impresa proprietaria; per quanto limitatamente ai materiali
depositati sulle particelle di propria competenza58.
E’ evidente come, dal testo della sentenza d’Appello, non risulti dimostrata la
colpevolezza dell’impresa riguardo alla fase di formazione degli scarichi
abusivi de quibus, tanto da aver acquisito rilevanza solo l’obbligo direttamente
ricadente – stavolta – sul proprietario, ma non tanto in forza dell’art. 14 del
D.Lgs. 22/97, quanto per le particolari previsioni di cui all’art. 12.2 della L.R. Piemonte 17 aprile 1990, n. 28.
Alla fine dei giochi, appunto per questo, non risulta sussistere alcuna
incongruenza.
CdS, Sez. V, 12 agosto 2004, n. 5549
Si tratta di un verdetto59, sostanzialmente in linea con l’indicazione di cui
alla precedente sezione 6, che riguarda un provvedimento sindacale, rivolto a
proprietari di un’area al fine di sgomberarla dai rifiuti ivi depositati da
ignoti, confermato dal giudice di primo grado – nonostante i ricorrenti abbiano
evidenziato al T.A.R. Lombardia un’alternanza di disponibilità dell’area fra i
legittimi proprietari ed un affittuario – il quale ha respinto il ricorso.
Da un esame del contenzioso de quo non risulta acclarata la colpevolezza di
coloro che hanno avuto la disponibilità effettiva dell’area, tanto che, anche in
questo caso – avendo il CdS confermato la scelta operata dal Giudice di primo
grado –, potrebbe sorgere il dubbio che vi sia incoerenza tra questa decisione e
le precedenti assunte dalla stessa Sezione Quinta. Anche stavolta, però, il
motivo “celato” è un altro e consente di confermare – anche in questo caso e
senza alcuna contraddizione – l’inesistenza di una responsabilità oggettiva in
capo al proprietario ed ai titolari di diritti reali o personali di godimento
sull’area.
Emerge infatti, dall’analisi delle decisioni, come i proprietari dell’area in
questione fossero stati interessati da un precedente ed identico ordine, contro
il quale non era stato esperito alcun mezzo di impugnazione; così che,
quand’anche si fosse voluto ritenere compreso – nell’impugnativa esperita in
primo grado – anche tale precedente provvedimento (notificato quasi un anno
prima di quello impugnato), il ricorso originario avrebbe dovuto essere comunque
dichiarato inammissibile dal Giudice lombardo, in relazione alla mancata
impugnativa dell’ordinanza precedente e, quanto meno, tardivo (rispetto
all’ordinario termine di 60 giorni per la notifica del ricorso). Questa è la
ragione che sta alla base della negativa evoluzione del giudizio riguardo alla
posizione dei proprietari.
▪ Sentenze solo apparentemente contraddittorie
Sono due le recenti e significative sentenze che potrebbero sembrare elementi di incongruenza rispetto a quanto finora detto. E qui arriviamo a trattare anche della recentissima decisione del Consiglio di Stato, Sez V, 16 novembre 2005, n. 6406, inizialmente richiamata e la cui massima, già riportata in premessa, potrebbe far giungere a conclusioni opposte alla nostra tesi.
CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 6406
Ma è proprio vero che il Consiglio di Stato ha cambiato idea ? Questo è
l’interrogativo che ci siamo posti con grande scrupolo e, nel farlo, la risposta
è risultata ancora una volta univoca: no! Non c’è alcuna contraddizione, dal
momento in cui, nel caso sottoposto al giudizio di Palazzo Spada, sussistono
tutti i fondati presupposti necessari all’adozione di un provvedimento
contingibile ed urgente appartenente alla competenza esclusiva del sindaco quale
ufficiale di governo. Quindi il provvedimento – che chiama in causa direttamente
il proprietario dell’area interessata dalla presenza di rifiuti – è legittimo
perché esistono tali presupposti, ed occorre altresì notare come la realtà dei
fatti (prodromici all’adozione del provvedimento stesso) sia ben diversa da
quella che si potrebbe eventualmente dedurre o interpretare dalla descrizione
fattane in massima: si tratta di un caso molto particolare e non del “classico”
abbandono di rifiuti su di un terreno – affrontabile normalmente ricorrendo
all’impiego dell’art. 14 D.Lgs. 22/1997 –.
Il Consiglio di Stato, nello scorso novembre, ha respinto l’appello60 dei soggetti
cui era stata notificata un’ordinanza del vicesindaco del comune di Barletta,
volta anche a rimuovere rifiuti presenti nell’area di una ditta fallita, ma,
soprattutto, finalizzata ad eliminare una situazione divenuta potenzialmente
inquinante a seguito, ed a causa, di un incendio doloso del capannone di tale
ditta, ad opera di ignoti.
In primo luogo, pertanto, si rileva un uso improprio del termine “bonifica”
(utilizzato nel provvedimento), al quale, nel caso di specie, non deve
assolutamente essere attribuito il significato di cui all’art. 17 del D.Lgs.
22/97 ed al D.M. 471/99. Occorre poi, come già detto, prendere le distanze dai
meri casi di “abbandono di rifiuti da parte di terzi ignoti, nell’area di un
proprietario incolpevole” ex-art. 14 D.Lgs. 22/97. Qui ci troviamo di fronte ad
una situazione “grave”, per far fronte alla quale il provvedimento del comune è
stato dotato di un’ampia motivazione sul danno ambientale che si sarebbe potuto
generare, nell’area interessata, a causa della presenza di fibre di amianto e di
fusti contenenti materiale chimico decomposto, nonché sul pericolo per la salute
pubblica connesso alla necessità di eliminare strutture pericolanti.
E’ ovvio che, così dettagliatamente illustrata, la questione si pone su di un
piano completamente diverso. Il CdS ha infatti sostenuto che, in quel caso,
l’ordinanza con cui l’Autorità preposta ha imposto al proprietario dell’area “di
bonificarla” (sic!!)61 in relazione a rifiuti speciali tossici e nocivi su essa
giacenti, non è stata adottata ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997,
trattandosi di una vera e propria ordinanza extra-ordinem, che, in quanto tale,
si adotta ogni qual volta non ci si possa avvalere degli strumenti offerti
dall’ordinamento. Quello impugnato era un provvedimento che non ha carattere
sanzionatorio – nel senso che non è diretto ad individuare e punire i soggetti
ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione
abusiva – ma solo ripristinatorio, essendo rivolto essenzialmente ad ottenere la
rimozione di un attuale stato di pericolo e prevenire ulteriori danni
all’ambiente circostante e alla salute pubblica (queste sono le dizioni più
corrette, alternative a “bonificare”).
E’ solo per tali ragioni che l’ordinanza è stata considerata legittima pur se
indirizzata all’incolpevole proprietario dell’area; essendo egli, il solo a
trovarsi, con quest’ultima, in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli
interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di
pericolo, per quanto notoriamente non imputabile a lui, bensì ad altro soggetto
ignoto o al precedente proprietario. Per questa ragione, infatti, il Giudice di
Appello si è preso la briga di evidenziare come resti del tutto impregiudicata
ogni rivalsa – da parte del proprietario dell’area – nei confronti
dell’effettivo responsabile. Nelle more di tale individuazione, però, ed a
fronte di una situazione di concreto pericolo per l’ambiente e per la salute
pubblica, l’Autorità sanitaria locale ha ritenuto che il soggetto destinatario
del provvedimento contingibile ed urgente potesse anche essere l’attuale
proprietario incolpevole.
▪ Una parentesi con il CdS, Sez VI, 05 settembre 2005, n. 4525, e le misure
urgenti
A questo punto vorremmo rilevare come, in un diverso contenzioso, la VI sezione
del Consiglio di Stato (CdS, Sez VI, 05 settembre 2005, n. 4525) si sia espressa
in maniera ancor più opportuna – delineando adeguatamente il corretto uso del
termine “bonifica” – affermando la legittimità di rivolgere un provvedimento
(analogo a quello di cui al punto precedente) direttamente al proprietario
dell’area, non tanto per il fatto che questo sia l’unico soggetto che, in tal
caso, avrebbe il potere di intervenire sul sito, bensì in quanto ed
a condizione
che l’ordine si limiti ad imporre l’adozione di sole misure urgenti (messa in
sicurezza). In relazione a queste ultime, e solo a queste, possono essere
esercitati i poteri del Sindaco – ex-art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 – anche
prescindendo dall’individuazione dell’effettivo responsabile dell’inquinamento
(accertamento i cui tempi sarebbero, in molti casi, come quello in esame,
incompatibili con l’urgenza di garantire la sicurezza del sito). Il Consiglio di
Stato del settembre 2005, addentrandosi, stavolta, nel vero e proprio ambito
della disciplina sulle bonifiche (che, come già detto, è ben diverso da quello
in esame), giunge a precisare che l’ordinanza di messa in sicurezza e bonifica
può ben essere notificata al proprietario (solo e soltanto) al fine di renderlo
edotto dell’onere cui va incontro (che egli ha facoltà di assolvere per liberare
l’area dal vincolo correlativo), ma non può imporre misure di bonifica
(qualificabili come) ulteriori rispetto alla mera messa in sicurezza, salvo un
preventivo ed adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità,
del proprietario per l’inquinamento del sito (abbiamo già visto che il
proprietario “ne busca ugualmente” da un punto di vista economico, ma anche
questa….è un’altra storia!).
▪ Ancora sul CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 6406
Tornando a trattare della sentenza 6406/05, abbiamo visto che neppure quel contesto è riferibile all’art. 14 D.Lgs. 22/97. Si tratta, in ogni caso, di una fattispecie utile a capire che quanto ordinato dal comune di Barletta non è certamente l’imposizione di una bonifica, e neppure la mera asportazione di rifiuti, bensì l’adozione di urgenti misure di messa in sicurezza dell’area devastata da un incendio (Così come si è verificato nel caso della sentenza T.A.R. Emilia, Bologna, Sez II,29 giugno 2004, n. 1531). Ci preme aver chiarito che non si trattava del “solito e, purtroppo, “incivilmente routinario” abbandono di rifiuti!
CdS, Sez. V, 02 aprile 2003, n. 1678
A ben vedere la decisione CdS, Sez V, 16 novembre 2005 n. 6406 – poco sopra
commentata – non differisce molto dalla precedente del 02 aprile 2003, n. 167862, tant’è che, anche quest’ultima, si riferisce ad un particolare caso di
ordinanza contingibile ed urgente, resasi necessaria a seguito di un principio di
incendio.
▪ Provvedimenti contingibili ed urgenti
Ciò significa che anche nel caso divenuto poi oggetto della sentenza 1678 del
2003 è possibile riscontrare:
• il presupposto della necessità di provvedere con immediatezza in ordine a
situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, che giustifica la legittimità
di provvedimenti contingibili ed urgenti anche e soprattutto – alla stregua
dell’art. 32 Cost. – per evitare che tali danni abbiano a verificarsi (Cons.
Stato, V, 19 febbraio 1996, n. 220);
• il concetto in base al quale l’art. 14 del D.Lgs. 22/97 sia informato al
principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato
dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione (mediante commissione od
omissione, volontaria o colposa), dovendosi escludere qualsiasi forma di
responsabilità oggettiva del proprietario;
• l’affermazione che tutto ciò, comunque, non impedisce che il sindaco – ove ne
sussistano i peculiari presupposti – possa imporre specifici comportamenti a
carico del proprietario incolpevole (chiaramente scevri da qualsiasi carattere
sanzionatorio, bensì solo ripristinatorio), tutte le volte in cui
l’individuazione e la ricerca del soggetto effettivamente obbligato di diritto –
implicando accertamenti complessi e laboriosi – potrebbe:
√ essere incompatibile con la necessità di rimuovere celermente un attuale stato
di pericolo e prevenire ulteriori danni all’ambiente circostante e alla salute
pubblica (e, quindi)
√ svuotare di contenuto l’intrinseca natura e funzione dei provvedimenti contingibili ed urgenti63.
Permanendo in ogni caso impregiudicata, ragionevole e legittima ogni successiva
rivalsa, da parte del proprietario, nei confronti dell’effettivo e concreto
responsabile.
▪ Confini fra provvedimenti ordinari e provvedimenti d’urgenza
Tuttavia, quella che risulta decisiva per giungere ad un concreto discrimine fra le condizioni necessarie e sufficienti all’adozione di un provvedimento ex-art. 14 D.Lgs. 22/97 a carico del proprietario colpevole (ed ovviamente anche dell’autore dello scarico di rifiuti in una certa area) e quelle da porre a fondamento di un’ordinanza contingibile ed urgente, extra ordinem, che va ad interessare il proprietario incolpevole, è certamente la sentenza CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 190464.
CdS, Sez. V, 02 aprile 2001 n. 1904
Nella fattispecie affrontata in tale giudizio, il T.A.R. aveva accolto il
ricorso esperito, dai proprietari di un’area, contro un ordine di “messa in
sicurezza” e di bonifica della stessa, in quanto adibita – secondo
l’amministrazione procedente – a “discarica abusiva”.
Nonostante si tratti di un caso più affine alle disposizioni ex-art. 17 del D.
Lgs. 22/97 piuttosto che alla fattispecie di scarico abusivo di rifiuti di cui
all’art. 14 stesso decreto, la sentenza affronta ugualmente, in maniera
esemplare ed esaustiva, quest’ultima disposizione.
La Quinta Sezione del 2001, infatti, conferma che, in base alla formula
legislativa del citato art. 14, l’ordine di sgombero di un’area – interessata
dallo scarico di rifiuti – può avere quali destinatari soltanto i soggetti
inadempienti all’obbligo di non abbandonare, scaricare o depositare rifiuti; non
potendo riguardare i proprietari della stessa, a meno che non venga accertata la
loro responsabilità, eventualmente anche solo colposa. Ne consegue che, nel caso
in cui, nonostante un’adeguata istruttoria, non vengano individuati gli autori
della condotta illecita e, nel contempo, non risulti accertata una specifica
responsabilità del proprietario dell’area, di regola spetta all’amministrazione
comunale il compito (con i relativi oneri organizzativi ed economici) di avviare
le idonee procedure di ripristino della situazione ambientale degradata dallo
scempio.
Quindi, Palazzo Spada – anche in tale occasione – ribadisce come la norma in
oggetto esprima il principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di
ripristino dello stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione –
commessa mediante commissione od omissione, volontaria o colposa –, non potendo
chiamare in causa il proprietario, salvo che venga individuato a suo carico
l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Solo in quest’ultimo caso egli può
essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino
ex-art. 14 e 50 D.Lgs. n. 22/97, con irrogazione di sanzione penale in caso di
inosservanza. In antitesi, si tratterebbe di un caso di responsabilità oggettiva
del proprietario , che, viceversa, deve essere drasticamente esclusa.
Il Consiglio di Stato prosegue rinsaldando il concetto secondo cui tutto ciò
costituisce la regola, ma non impedisce che il Sindaco possa ugualmente imporre
specifici comportamenti anche a carico del proprietario incolpevole, nel caso in
cui – solo e soltanto nel caso in cui ! – emerga, con sufficiente chiarezza,
l’indifferibilità di un’apposita attività, resasi necessaria e volta ad
eliminare un pericolo per la tutela della salute pubblica. In tali eventualità,
che potremmo considerare l’eccezione, è però necessario che l’amministrazione
procedente appuri scrupolosamente il carattere effettivamente urgente ed
indifferibile dell’intervento da richiedere al proprietario “innocente”, proprio
con specifico riguardo alla incidenza che la situazione, venutasi a creare, può
avere sull’igiene e sulla salute pubblica. E’ solo questo il caso in cui il
proprietario (o comunque titolare in uso di fatto del terreno), per quanto
incolpevole, può ugualmente essere destinatario della ordinanza sindacale emessa
secondo i principi generali «extra» D.Lgs. n. 22/97; non certo quale autore
dello scempio, bensì quale parte lesa di un eventuale procedimento a carico dei
terzi autori del fatto (ove e se individuati).
Le realtà in cui ci si imbatte presso alcune pubbliche amministrazioni ci
consigliano di ribadire che il presupposto necessario per poter dare legittima
attuazione a tale eccezione consiste nella ricorrenza di un grave pericolo
di danno imminente, che emerga da inequivoci accertamenti tecnici e risulti da una
congrua e dettagliata motivazione del provvedimento adottato (repetita iuvant).
Nel caso di specie il Supremo Giudice Amministrativo ha respinto l’appello del
comune, confermando così la decisione del giudice di prime cure con cui era
stato accolto il ricorso e, quindi, annullata l’ordinanza. Tutto ciò proprio
perché il provvedimento non evidenziava, in modo adeguato, né concreti pericoli
attuali né dannosità per la salute pubblica, tanto da non poter essere
considerato sufficientemente motivato. Oltretutto, nel caso di specie, era pure
stata individuata una traccia di collegamento con i concreti autori del
misfatto.
Se il provvedimento sindacale non avesse presentato tutte queste carenze,
l’appello avrebbe potuto essere accolto e la sentenza di primo grado revisionata
a tutto vantaggio dell’Ente locale.
T.A.R. FRIULI, 01 settembre 2005, n. 750
Quanto appena adesso sostenuto è confermato dalla sentenza del T.A.R. Friuli
Venezia Giulia, 01 settembre 2005, n. 750 (favorevole) ove si afferma che: «… il
potere esercitato dall’autorità comunale (in base al precetto contenuto
nell’art. 14, comma 3, del D.L.vo n. 22/97, qualora venga violato il divieto di
abbandono di rifiuti sul suolo di cui al comma 1), riveste natura sanzionatoria
di un illecito commesso, non presuppone necessariamente l’incombere di
situazioni di pericolo o di urgenza (a differenza di quello previsto dall’art.
13 stesso decreto)…». Per questa ragione l’adozione dell’ordinanza per la
rimozione ed il ripristino di cui all’ultimo periodo, terzo comma dell’art. 14
prima menzionato: «… rientra tra le normali attribuzioni del comune in quanto
tale e non costituisce, in definitiva, ordinanza contingibile ed urgente:
di qui…».
Il tutto viene confermato dalla recentissima sentenza T.A.R. Veneto, Sez. III,
15 dicembre 2005, n. 4243 di cui si tratta all’inizio della successiva sezione 7
(vds. anche in sezione 11: «La competenza per l’adozione dei provvedimenti»).
▪ Una piccola polemica anche sui provvedimenti d’urgenza
Quindi, abbiamo visto che, ove sussistano effettivamente i presupposti della
contingibilità e dell’urgenza, può concretizzarsi quell’eccezione in base alla
quale viene ad essere direttamente interessato il proprietario dell’area,
nonostante incolpevole. A ben vedere, però, non è detto che in tali particolari
situazioni, sia sempre per forza soltanto “lui” a poter/dover agire. Riteniamo,
infatti, che non sia affatto da escludere un intervento diretto da parte dello
stesso Comune; il quale potrebbe certamente autorizzare propri agenti ad
introdursi nella proprietà privata al fine di prelevare i rifiuti, asportarli e
provvedere alla ripulitura straordinaria del sito. Anche in questo caso
occorrerà l’ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco – emanata
nell’esercizio di specifici poteri a tutela dell’igiene, del decoro e della
salute pubblica65 –, che sarà ugualmente indirizzata al proprietario dell’area, in
quanto, essendo privata66, non sarebbe possibile intromettervisi – per quanto al
fine di rimuovere rifiuti ivi abbandonati da terzi – se non in forza di un atto
dell’Autorità.
La differenza “significativa” consiste nel fatto che, stavolta, saranno
direttamente gli incaricati del Comune a dover eliminare il pericolo,
legalizzati ad agire – anche in ambito privato – proprio in forza dell’ordine
impartito al legittimo proprietario; il quale – in tal caso – avrà come unica e
gradita incombenza quella di non potersi opporre!
Al di là della parentesi perniciosa, che possiamo considerare conclusa, quella
che a questo punto ci si pone davanti è un’alternativa imprescindibile: o il
provvedimento è un’ordinanza contingibile ed urgente (potere atipico), oppure si
tratta di un provvedimento ex art. 14 D. Lgs. 22/1997 (potere tipico). Ma di
questo tratteremo in maniera più adeguata in calce alla successiva sezione 11.
CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n. 4224
Risale invece alla scorsa estate la sentenza CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n.
422467, con cui il Supremo Giudice Amministrativo ha sostenuto che: «Il sindaco
può ordinare al proprietario dell’area, mediante ordinanza contingibile e
urgente e a prescindere dalla sussistenza di alcuna responsabilità del medesimo,
di provvedere allo smaltimento qualora ciò sia necessario per fronteggiare una
situazione di urgenza».
In questo caso, a maggior ragione, potrebbero sorgere dei dubbi sulla continuità
e costanza dei ragionamenti fatti presso la stessa Sezione del CdS; si tratta
però di mera apparenza. E’ stato infatti possibile appurare come l’ordine
impartito dal comune, per bonificare (sic!!) una certa area e per recingerla, si
fondasse sulla descrizione fatta dai vigili urbani di “area ricoperta da
sterpaglie ed erbacce di considerevole altezza ed aggrovigliate, costituendo in
tal modo un ideale habitat per insetti e ratti”. Quindi si trattava sì, anche
stavolta, di un’ordinanza contingibile ed urgente, motivata però da ragioni
igienico-sanitarie più legate all’insalubrità della stessa come “ricettacolo di
insetti e ratti”, piuttosto che per la riscontrata presenza di rifiuti, di cui
non si fa alcuna menzione.
Un altro falso allarme! Per giunta accompagnato dall’utilizzazione di quell’ambiguo
termine «bonificare» che, istintivamente, ci potrebbe indurre ad attraccare al
famoso molo dell’art. 17.
CdS, Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328
Questa deliberazione68 (decisamente favorevole) si riferisce ad un distinto caso
in cui il Sindaco del comune di Monselice, nel gennaio 2002, ha ordinato – ai
sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 – anche
alla curatela di una società fallita, di provvedere alla rimozione dei rifiuti
presenti in una certa area e di eseguire altri interventi di “bonifica” (da
intendersi come rimozione di rifiuti e disinfestazione). Al riguardo, il comune
ha sostenuto che la responsabilità imputabile al fallimento derivava dalla
inottemperanza ai precedenti provvedimenti adottati nei confronti della società
fallita. Il T.A.R. Veneto ha annullato tale provvedimento e, in sede di appello,
la Quinta Sezione del CdS – confermando la decisione del giudice di prime cure –
non ha riscontrato la sussistenza di quei presupposti69 cui si è fatto cenno
trattando delle sentenze CdS, Sez V, 16 novembre 2005 n. 6406 e 02 aprile 2003,
n. 1678. Anzi, ha chiaramente precisato come tutta la questione vertesse solo
sullo stabilire se la curatela fallimentare potesse davvero essere destinataria
di ordinanze sindacali dirette alla “bonifica” (sic!!) di siti, inquinati per
effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita
(nella specie si trattava dell’imposta rimozione di migliaia di tonnellate di
pneumatici). Al riguardo, il Giudice d’Appello ha statuito che la disponibilità
giuridica degli oggetti presenti in loco (pneumatici) – per quanto qualificati
dal comune come “rifiuti inquinanti” – non è sufficiente per imporre
l’adempimento di un obbligo gravante sull’impresa fallita né tantomeno sulla
curatela. Di questo particolare argomento, però, preferiamo trattare in una
parte specifica – inserita nella successiva sezione 8 – dedicata, appunto, alla
esigibilità di intervento da parte di una curatela fallimentare.
CdS, Sez. V, 20 gennaio 2003, n. 168
Si tratta di una decisione70 molto particolare, ma, in definitiva,
favorevole alla
tesi in esame. In primo luogo la vertenza riguarda un provvedimento – adottato
nel 1988 dal Sindaco di Santhià –, concernente la presenza di rifiuti (carcasse
di animali, legname, lattine e rifiuti domestici) sulla superficie delle acque
scorrenti nel Canale Cavour, volto ad impartire, alla Coutenza Canali Cavor,
l’ordine di provvedere all’immediata rimozione e successivo smaltimento degli
stessi. Esimendoci dall’approfondire il fatto che il T.A.R. Piemonte, in primo
grado, abbia respinto il ricorso in base alla considerazione che il corso
d’acqua non sarebbe qualificabile come luogo pubblico, resta da dire che il
Consiglio di Stato ha riscontrato una carenza nelle ragioni – in fatto ed in
diritto – richiamate d quel comune per imporre, alla citata Coutenza, l’obbligo
di asporto e smaltimento dei rifiuti, pur non essendo questa proprietaria del
canale (demanio regionale) ma solo mera consegnataria; senza poi contare che,
oltretutto, trattavasi di rifiuti abbandonati sicuramente da altri.
Anche nella sentenza del gennaio 2003 il Collegio ha ritenuto che non
sussistessero motivi per discostarsi dal principio secondo cui l’ordine
sindacale d’urgenza per motivi d’igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento
dei rifiuti, debba essere impartito, in linea di massima, al produttore dei
rifiuti che li abbia abbandonati in aree pubbliche o private (anche non aperte
al pubblico) o in acque pubbliche o private (in forza dell’art. 9 D.P.R.
10.9.1982 n.915) e non al proprietario dell’area in quanto tale (o al titolare
della disponibilità del bene), salvo che non sia configurabile una
compartecipazione del proprietario – anche soltanto colposa – a titolo di
mancata vigilanza. In tale occasione – riferita al D.P.R. 915/82 – viene
precisato come lo stesso principio sia stato poi confermato dall’art. 14 del
decreto legislativo 5.02.1997 n.22 (successivo alla vicenda in esame), in cui si
continua a prevedere la responsabilità solidale del proprietario, o dei titolari
di diritti reali o personali di godimento, solo nel caso in cui tale violazione
sia loro addebitabile a titolo di dolo o colpa.
▪ Sono queste le uniche decisioni veramente contrarie ?
Ci apprestiamo, adesso, ad indicare quali siano quelle decisioni del Consiglio di Stato che, in alcune occasioni, vengono richiamate dai Tribunali Amministrativi Regionali come indicanti posizioni chiaramente contrapposte alla tesi di cui alla precedente sezione 6:
Ordinanza CdS, Sez. V, 06 maggio 2003, n.1740
In primo luogo occorre rilevare come il provvedimento scaturigine dell’intero
contenzioso fosse volto ad ottenere la presentazione di un progetto di bonifica,
che è questione ben diversa dal valutare un mero ordine di rimozione di rifiuti
abbandonati da ignoti. Subito dopo non si può nascondere come – a seguito
dell’annullamento dell’ordinanza da parte del giudice di prime cure71 –, in
appello, il comune di Follo abbia avuto ampio spazio per controdedurre,
legittimamente ed a proprio piacimento, tutto quanto ritenuto favorevole alla
conservazione del proprio atto, non essendosi costituito in giudizio l’appellato
proprietario dell’area.
Quanto affermato, se non altro, traspare dal fatto che la Quinta Sezione si è
così espressa: «… Rilevato che la mancanza di responsabilità personale in ordine
alla determinazione dello stato di inquinamento del terreno non appare idonea ad
escludere l’obbligo del proprietario di rimuovere i rifiuti…» . Quindi è del
tutto evidente che la fattispecie trattata inerisca ad uno stato di
contaminazione del suolo, più che ad un abbandono di rifiuti sullo stesso. Ci
chiediamo come mai l’ordinanza venga a volte richiamata dai TT.AA.RR. per
dirimere situazioni di mero abbandono di rifiuti.
Ordinanza CdS, Sez. IV, 9 dicembre 2003, n. 5432
In questo caso, viceversa, è il comune di Brioso a non essersi costituito nel
giudizio di appello e la Quarta Sezione del CdS ha concisamente definito la
faccenda ritenendo: «… in questa fase, prevalente l’interesse pubblico alla
rimozione dei rifiuti dal bene gestito dall’ANAS, indipendentemente dalla
eventuale responsabilità dell’Ente (cfr V 6/5/2003 n. 1740)…». Così facendo,
però, la Quarta Sezione ha richiamato l’ordinanza 1740/2005 della Quinta Sezione
che, come abbiamo avuto modo di vedere, si riferiva ad un (sostanzialmente
diverso) provvedimento, volto ad ottenere la presentazione di un
progetto di
bonifica!
In conclusione, se sono solo queste le decisioni cui capita che certi TT.AA.RR.
facciano riferimento per avallare posizioni antitetiche alla congettura
illustrata nella precedente sezione 6, tutto ciò non fa altro che confermare la
mancanza di qualsiasi soluzione di continuità decisionale nella Quinta Sezione
del Consiglio di Stato fra l’aprile del 2003 ed il novembre 2005 e,
conseguentemente, la fondatezza della nostra tesi.
8 – Le decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali
E’ scontato che non tutte le decisioni adottate dal Giudice amministrativo di
prime cure siano poi sfociate in un conseguente appello di fronte al Consiglio
di Stato, quindi, per avere una panoramica più completa riteniamo conveniente
scorrerne – velocemente e con descrizioni del tutto sommarie ed anche parziali –
alcune fra le più significative dell’anno appena adesso conclusosi, sconfinando
lievemente in quello ancora precedente. L’ intento resta immutato e continua ad
essere quello di testare la solidità, o meno, della tesi inizialmente esposta,
limitandoci ad una brevissima descrizione delle parti (a tal scopo) più
significative delle sentenze prese in esame.
T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243
(favorevole): Il T.A.R. Veneto, pochi giorni or sono, ha accolto un ricorso in
quanto il provvedimento comunale impugnato, pur imponendo – ad un Consorzio – la
messa in sicurezza, bonifica e ripristino di aree inquinate72, quale innegabile
ed “…univoca attuazione delle disposizioni di cui all’art. 17 del d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22…” (potere tipico), si riferiva contemporaneamente anche
all’ art. 14 dello stesso decreto (potere tipico), nonché all’art. 54, secondo
comma, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (potere atipico), senza che mai
fossero ben definiti gli ipoteticamente palesati “gravi pericoli che minacciano
l’incolumità dei cittadini”, unici a poter giustificare il ricorso al potere di
ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco; in assenza dei quali la
competenza sarebbe dovuta rimanere al dirigente ex-art. 107 D.Lgs. 267/2000 (v.
amplius in sezione 11: «La competenza per l’adozione dei provvedimenti»).
Oltretutto, dalla sentenza emerge come non fossero state specificate – a seguito
di un’accurata istruttoria – le ragioni per le quali il Consorzio ricorrente era
stato ritenuto obbligato a partecipare all’attività di ripristino ambientale
imposta dal Sindaco.
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 settembre 2005, n. 15623
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso in quanto in nessuna parte del
provvedimento impugnato sono stati anche solo dedotti i necessari profili di
dolo o colpa che potessero giustificare l’obbligo imposto, dal comune all’ANAS,
di procedere alla rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 14 D. Lgs. n. 22/97.
T.A.R. Friuli, 01 settembre 2005, n. 750
(favorevole): A differenza di quanto verificatosi nei primi due giudizi
incardinatisi sulla stessa questione di fronte al Giudice friulano (T.A.R.
Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre 2003, n. 888 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia,
26 gennaio 2004, n. 12, di cui si è incidentalmente trattato nella precedente
sezione 5), questa volta la colpevolezza del proprietario è stata provata e, da
quel punto di vista, il provvedimento ritenuto giustamente legittimo; il
ricorso, però, è stato ugualmente accolto ed il provvedimento comunale
annullato, per non aver – il comune – avviato correttamente un procedimento
amministrativo ex-legge 241/90 (ma questa è una questione ben diversa).
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 luglio 2005, n. 10383
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso ed annullato il provvedimento
comunale con cui era stato imposto, all’ente proprietario di un’area, il
ripristino dello stato dei luoghi in base alla mera titolarità di tale diritto
reale, senza che risultasse esperita alcuna valida attività istruttoria tesa ad
accertare l’identità dei veri responsabili dell’abbandono dei rifiuti, né in
qualche modo indicata l’imputabilità, di tale condotta vietata, in capo al
proprietario, né a titolo di dolo né di colpa. In questo caso il giudice di
prime cure ha aggiunto che le caratteristiche del bene, ed in particolare la sua
estensione e la sua difficile controllabilità, erano tali da non far emergere,
in termini obiettivi, i necessari elementi di colpevolezza dell’ente
proprietario.
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041
(favorevole): A fronte del provvedimento comunale con cui è stato imposto a dei
soggetti, in qualità di proprietari, di provvedere alla rimozione dei rifiuti
presenti in una loro area, il T.A.R. ha precisato come l’Amministrazione avrebbe
dovuto farsi carico di svolgere gli opportuni e congrui accertamenti del caso,
intesi a verificare la sussistenza di fatti suscettivi di integrare le
fattispecie di responsabilità dolosa o colposa a carico del proprietario stesso,
esplicitandone compiutamente le ragioni. Diversamente, risulta essere stata
imputata, a carico della proprietà, una responsabilità oggettiva non prevista
dalla legge (in spregio a tutto quanto fatto dai proprietari – segnalazione alle
autorità competenti, recinzione del terreno – per impedire l’abbandono di
rifiuti sul terreno).
T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso ed annullato il provvedimento
comunale, escludendo l’esistenza, in capo ai proprietari incolpevoli, di un
obbligo giuridico di provvedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati da terzi,
derivante esclusivamente dalla loro qualità di titolari del diritto reale
sull’area interessata dall’abbandono. Il comune resistente, oltretutto, non
aveva neppure contestato il fatto che i ricorrenti fossero le “vittime” e
non
gli “autori” dell’abbandono dei rifiuti; anche se, nel farlo, non ha tenuto
conto che l’obbligo di rimozione dei rifiuti presupponesse una condotta commissiva, dolosa o colposa, circa l’abbandono dei rifiuti stessi.
T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263
(favorevole): Il T.A.R. ha respinto il ricorso dei proprietari dell’area in
quanto – pur riconoscendo che, in relazione a situazioni in cui non vi è alcun
nesso tra la condotta commissiva consistente nell’abbandono dei rifiuti e la
posizione del proprietario, possessore o detentore del suolo, il parametro della
colpa non può che essere quello ordinario, consistente nella diligenza del buon
padre di famiglia – ha ritenuto diverso il caso in cui l’abbandono incontrollato
di rifiuti sia la conseguenza dell’esercizio (secondo modalità illecite) di
un’attività economica consentita dal proprietario stesso (Vds. anche la parte
rubricata «casi particolari di colpa» nella sezione 11). In tale specifico caso,
per il Giudice di prime cure, è risultato impossibile negare che vi fosse un
nesso tra il comportamento illecito posto in essere dall’imprenditore
conduttore
dell’immobile e l’utilità che il proprietario locatore ritraeva (di regola, a
titolo di canone di affitto) dalla concessione dei diritti di utilizzazione
dell’immobile; risultando facilmente attribuibile al proprietario la negligenza
di non aver sentito il bisogno di “stare accorto” circa la possibile insorgenza
di problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal locatario,
quale tipico effetto largamente prevedibile nell’esercizio di un’attività
economica (sia per difficoltà tecnico-gestionali, se non per la tentazione di
ampliare i margini di profitto riducendo i costi legati alla protezione
ambientale).
T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso della società – proprietaria
dell’area destinata a verde pubblico ed accessibile a terzi – alla quale il
comune aveva imposto di provvedere all’asporto dei rifiuti ivi rinvenuti73 ed il
ripristino dello stato dei luoghi. Il Giudice per il Lazio ha negato qualsiasi
rilevanza alla palesata inadeguata sorveglianza dell’area, così come all’assenza
di recinzione e mancata apposizione di cartelli, non ritenendole affatto
condotte omissive – causa di un eventuale danno ambientale commesso da terzi –
ma reputandoli meri deterrenti contro eventuali scarichi abusivi operati da
altri. E’ stato ribadito – sulle orme della sentenza CdS, Sez V, 08 marzo 2005,
n. 935– che il dovere di diligenza, che fa carico al titolare di un fondo,
non
può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da esercitarsi
giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e – per quanto
riguarda la fattispecie regolata dall’art. 14 più volte citato – di abbandonarvi
dei rifiuti; tanto da esser stato riconosciuto che la richiesta di un impegno di
tale entità travalicherebbe oltremodo gli ordinari canoni della diligenza media
(o del buon padre di famiglia), che è alla base della nozione di colpa, quando
questa è indicata in modo generico e senza ulteriori specificazioni, come
risulta nel caso esaminato.
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 aprile 2005, n. 5318
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso presentato dall’ente proprietario
di un’area, che si era visto notificare dal comune un provvedimento volto ad
imporre la pulizia del fondo mediante la rimozione dei rifiuti ivi
abbandonatati, osservando che gli adempimenti concernenti il ripristino
dell’area oggetto dell’abbandono dei rifiuti non potevano essere addossati
indiscriminatamente al proprietario per tale sua qualità, essendo necessario un
comportamento anche omissivo di corresponsabilità e quindi un coinvolgimento
(doloso o quantomeno colposo) del proprietario nell’inquinamento. Inoltre il
Giudice ha rilevato che si sarebbe resa necessaria una specifica valutazione che
evidenziasse concreti aspetti di corresponsabilità del titolare del fondo, anche
in termini di comportamento omissivo specificamente e causalmente correlato, in
funzione agevolatrice, alla realizzazione della condotta vietata. Il Tribunale
ha inoltre precisato che l’obbligo giuridico di impedire un evento è, in
generale, configurabile a carico di chi sia al riguardo investito di una
posizione di garanzia, in presenza della quale il soggetto, qualora l’evento
abbia a verificarsi, può esserne ritenuto responsabile (dell’evento) anche a
titolo di concorso con l’autore materiale. Non esiste però alcuna disposizione
che ponga a carico del proprietario (o del titolare di altri diritti reali o di
godimento) l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva posta in essere
da terzi, nè la responsabilità può causalmente farsi discendere dall’omissione
di obblighi generici di custodia che comunque non sono affatto finalizzati, e
dunque non sono rilevanti, al fine di impedire l’evento, nella specie, appunto,
la discarica abusiva.
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile 2005, n. 6348
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso in quanto, nell’atto impugnato, il
Comune non ha minimamente dedotto alcun profilo di dolo o colpa della ricorrente
A.N.A.S. s.p.a., che fosse idoneo a giustificare la diffida alla rimozione dei
rifiuti, limitandosi ad accollare tale onere all’ente “quale diretto
proprietario e gestore del Raccordo”.
▪ Una breve parentesi sulla responsabilità della curatela fallimentare
Due delle sentenze74 destinate ad essere richiamate subito di seguito, ci
consentono di riprendere l’argomento accennato – nella sezione 7 – mentre
trattavamo della sentenza CdS, Sez V, 29 luglio 2003, n. 4328. In quel caso (del
CdS del luglio 2003), mentre il comune sosteneva che “il fallimento” –
subentrando negli obblighi facenti capo all’impresa fallita – fosse tenuto
all’adempimento dei doveri derivanti dall’accertata responsabilità della stessa
impresa, Palazzo Spada aveva statuito che il potere di disporre dei beni
fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto
il controllo del giudice delegato) non comportava necessariamente il dovere di
adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria
degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (intesa come
rimozione di rifiuti e disinfestazione). Sempre in tal caso – abbiamo già visto
che – la Quinta Sezione del CdS ha evidenziato come la disponibilità giuridica
degli oggetti presenti in un certo sito non sia sufficiente, di per sé, a
legittimare l’imposizione autoritativa dell’adempimento di un obbligo gravante
sull’impresa fallita né tantomeno sulla curatela. Inoltre, proprio il
verificatosi richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei
contratti, ha consentito al Giudice d’Appello di evidenziare che la curatela
fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla
responsabilità dell’imprenditore fallito, soprattutto quanto – come nel caso
specifico – il fallimento non viene neppure autorizzato a proseguire l’attività
precedentemente svolta dall’impresa fallita. Quindi, nella vertenza trattata,
non sussistevano neppure i presupposti per poter collegare l’obbligo di
“bonifica” del sito con l’attuale svolgimento di operazioni potenzialmente
inquinanti.
Del tutto in linea con queste conclusioni del Giudice superiore, risultano
essere anche le due sentenze appresso richiamate; le quali, oltretutto, devono
considerarsi favorevoli nel confermare la tesi di cui trattasi.
T.A.R. Lazio, Latina - 12 marzo 2005, n. 304
(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso di un curatore fallimentare cui
era stata imposta, dal comune territorialmente competente, la rimozione e
smaltimento dei rifiuti abbandonati sull’area della società fallita. La ragione delll’accoglimento è duplice: sia perché i rifiuti prodotti dall’imprenditore
fallito non costituiscono “beni” da acquisire alla procedura fallimentare (e,
quindi non formano oggetto di apprensione da parte del curatore)75, sia perché –
in ogni caso – il comune non si era fatto carico di provare il dolo o la colpa
del curatore ai fini dell’abbandono dei rifiuti stessi.
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398
(favorevole): Anche in questo caso il T.A.R. ha accolto il ricorso, proposto
dalla curatela di un fallimento, avverso l’ordine – impartitole – di bonificare,
dai rifiuti speciali ivi depositati, l’area dello stabilimento già in uso alla
società fallita. Le ragioni dell’accoglimento sono molteplici:
√ il comune aveva già ingiunto alla ditta fallita lo stesso ordine senza
ottenere alcun risultato, evidenziando con ciò, in maniera del tutto palese,
l’estraneità della curatela fallimentare riguardo alla determinazione degli
inconvenienti sanitari riscontrati in quell’area;
√ insussistenza di una corresponsabilità del fallimento, anche meramente
omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall’impresa fallita, in
quanto il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari
regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato)
non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti
attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica
da fattori inquinanti imputabili alla società fallita;
√ il fatto che – come già detto in precedenza – la curatela fallimentare non
subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità
dell’imprenditore fallito;
√ l’aver appurato che il fallimento non sia stato autorizzato a proseguire
l’attività precedentemente svolta dall’impresa fallita, tanto da non poter
neppure collegare l’obbligo di bonifica del sito allo svolgimento di operazioni
potenzialmente inquinanti da parte della curatela;
√ l’insussistenza di un rapporto causale tra l’operato della curatela e i fatti
che hanno dato luogo al procedimento di cui l’atto impugnato costituisce
l’epilogo;
√ in ultimo – ma non per importanza – l’ impossibilità di ricondurre anche solo
a colpa della curatela il comportamento inquinante posto in essere dall’impresa
fallita.
Unico rimedio esperibile da parte dell’amministrazione procedente sarebbe stata
l’esecuzione d’ufficio dello smaltimento, in danno dei soggetti obbligati (art.
14, comma 3 del D.Lgs. n. 22/1997), mediante insinuazione al passivo
fallimentare (cfr. art. 18, comma 5, D.M. 25 ottobre 1999, n. 471)76.
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 839 e 840
(favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento del comune di Caivano77
trattandosi di un ordine indiscriminatamente rivolto al proprietario, o comunque
al soggetto che aveva la disponibilità dell’area, senza verificarne
l’imputabilità “a titolo di dolo o colpa” per i verificatisi fatti di abbandono
e/o di deposito incontrollato di rifiuti. Il T.A.R. è giunto a specificare che,
non risultando accertato alcun comportamento, anche omissivo, specificamente e causalmente
correlato, in funzione agevolatrice, alla realizzazione della
condotta vietata, manca qualsiasi indizio di corresponsabilità – e quindi un
coinvolgimento doloso o quantomeno colposo – del proprietario all’inquinamento,
così come manca qualsiasi disposizione che ponga a carico del proprietario (o
del titolare di altri diritti reali o di godimento) l’obbligo giuridico di
impedire la discarica abusiva posta in essere da terzi.
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 03 febbraio 2005, n. 120
(favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento emanato dal Comune di
Castellammare del Golfo per una situazione – speculare alla precedente – che ha
visto ordinare al proprietario di aree, ubicate a ridosso del lato sud del
cimitero comunale, di procedere “al ripristino dello stato dei luoghi, alla
rimozione e bonifica” delle stesse, senza accertarne assolutamente
l’imputabilità a titolo, quantomeno, di colpa. Dalla sentenza risulta
addirittura che l’abbandono dei rifiuti in questione, in qualche modo, avrebbe
potuto essere imputato anche al comune, resosi responsabile dell’apertura di un
ingresso secondario nella recinzione dell’ampliamento in itinere dell’area
cimiteriale.
T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 02 febbraio 2005, n. 435
(contraria): Si denota, in primo luogo, una certa assonanza con l’ordinanza CdS,
Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959 (fin qui più volte citata), ma anche una
presumibile contraddizione con la sentenza dello stesso Giudice: T.A.R. PUGLIA,
Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368 (di cui si dirà nel prosieguo).
In questo caso del febbraio 2005, il T.A.R. ha respinto il ricorso presentato
dal Consorzio speciale per la bonifica di Arneo che (in questa occasione!) viene
considerato titolare di diritti “…in tutto assimilabili a quelli del titolare di
diritti di consistenza reale ovvero assimilabili a quelli personali di
godimento…” su di una pista carrabile (una strada asfaltata lunga circa 65 km.)
posta al servizio della condotta adduttrice “Irrigazione Salento”, avente la
primaria funzione di consentirne la manutenzione78. Il provvedimento
sopravvissuto – non sappiamo se giustamente – all’empasse di “primo grado”, era
stato emanato dal Comune di Sava ed imponeva al predetto Consorzio, “in quanto
concessionario”, di provvedere a bonificare (con le modalità previste dalla
legge vigente in materia) le zone interessate dai materiali e rifiuti ivi
abbandonati, ed inoltre a: sistemare ed integrare la segnaletica stradale,
proteggere con opportuni sistemi di chiusura la struttura e la viabilità del
servizio e, infine, incrementare la vigilanza con personale all’uopo incaricato.
A ben vedere si tratta di un caso limite, ma non si comprende ugualmente la
ragione per cui il T.A.R., in questa occasione, abbia sottolineato – in maniera
enfatica – come le aree in questione non fossero adibite ad un uso pubblico79.
Male che vada – diciamo noi! – saranno state aree aree private comunque soggette
ad uso pubblico! Si tratta di un argomento, a nostro avviso, del tutto inconferente ed immeritevole di qualsiasi pregio, dal momento in cui,
trattandosi di un provvedimento risalente all’anno 2004, la questione dell’uso
pubblico o meno di un’area80 avrebbe potuto acquisire rilevanza ai fini della
qualificazione – come “urbani” o meno – dei rifiuti abbandonativi, ma non poteva
incidere in alcun modo riguardo alla previsione di cui all’art. 14 del D.Lgs.
22/97, nel quale ci si riferisce a: «…abbandono e il deposito incontrollati di
rifiuti sul suolo e nel suolo …» (senza l’attribuzione di alcuna qualificazione
o caratteristica limitativa) ed a «… il proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area …». Quindi, se effettivamente (ammesso
e non concesso) fosse stato possibile attribuire al Consorzio la titolarità di
diritti reali o personali di godimento81 sull’area, non si esclude affatto che lo
stesso potesse essere chiamato ad intervenire, ma solo e soltanto a condizione
di potergli attribuire la violazione a titolo di dolo o colpa.
Il T.A.R. in questione, giunge persino a definire “non pertinente” il richiamo
operato – dalla difesa del Consorzio – alla precedente sentenza, della stessa
sezione, n. 5368/2004 (sulla quale, poco più avanti, si riporteranno alcune
considerazioni) «…in quanto nel caso citato le risultanze del giudizio (n.d.r.
di quel giudizio) si erano basate sull’esito di una diversa istruttoria, da cui
era emerso come l’opera fosse adibita ad “uso pubblico quasi esclusivo”…» (n.d.r.:
così motiva il T.A.R.!!). In proposito, vogliamo far notare che (in quel
giudizio precedente) si trattava di un evento sempre riguardante lo stesso
Consorzio ed anche la stessa opera (stessa strada di circa 65 Km) interessata da
scarichi abusivi di rifiuti. Questo ci fa propendere per attribuire a tale
argomento (l’uso della strada e delle aree) una scarsa capacità discriminatoria!
Il T.A.R., inoltre, risulta anche aver assunto una posizione nettamente
minoritaria, considerando che: « …il grado di colpa richiesto dalla norma
richiamata al fine di individuare in capo al soggetto titolato l’obbligo di
recupero, smaltimento e ripristino (n.d.r. quindi l’art. 14 del D.Lgs. 22/97)
risulta essere quello della mera colpa lieve, con la conseguenza che sarà
possibile (anche) la sola verifica in concreto di tale tipo di colpa al fine di
confermare la sussistenza in capo a lui dei predetti obblighi…» (Vds. la parte
rubricata «il grado della colpa» nella sezione 11).
Infine e finalmente, il Giudice di prime cure risulta aver affrontato l’unico
aspetto cui riteniamo possa essere attribuita una qualche importanza: la
possibile colpevolezza del Consorzio. Il T.A.R. lo fa fornendo rilievo al fatto
che, nel corso degli anni, lo stesso Consorzio non abbia tenuto una condotta
connotata da quel minimum di diligenza che avrebbe consentito di evitare il (o,
almeno, di attenuare il rischio del) deposito ed accumulo indiscriminato di
rifiuti, individuando come elementi dimostrativi:
√ che gli accumuli di materiali erano di carattere pluridecennale;
√ che il Consorzio non risultava aver attivato alcuna iniziativa volta ad
attenuarne l’impatto o ad impedirne la formazione;
√ che i cartelli, indicanti il divieto di accesso alla pista82 quasi interamente
divelti, non sarebbero mai stati sostituiti nonostante la loro “evidente”
idoneità (n.d.r. a nostro avviso tutta da dimostrare!!) a prevenire (ed in
parte, ad attenuare) il lamentato, indiscriminato deposito di rifiuti.
Pur stazionando ancora nella “nostra mente” un forte dubbio circa l’evidente
“idoneità” attribuita dal T.A.R. alla cartellonatura (di cui si dirà nel
prosieguo), l’unico elemento che, in qualche modo – rifacendosi al contesto
dell’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959 – può essere letto in termini
di colpevolezza del Consorzio è costituito dal lungo periodo di giacenza dei
rifiuti.
In ogni caso, ammesso (ma non concesso): • che esista davvero una spiegazione
logica al fatto che, per la stessa strada e per lo stesso Consorzio – nella
sentenza che di seguito viene trattata –, la medesima Sezione del medesimo
T.A.R. sia giunta a conclusioni, a dir poco, antitetiche (Cfr. punti a, b e c
del successivo commento alla T.A.R. Puglia 5368/2004); • che forse, nel caso del
comune di Sava, i rifiuti non erano costituiti da elettrodomestici abbandonati;
e • che (forse), nel caso del comune di Avetrana (di cui vedremo subito dopo), i
rifiuti potevano essere stati scaricati da poco tempo; resta comunque
incomprensibile la ragione per cui una stessa strada, una volta, possa essere
ritenuta pubblica e/o aperta al pubblico ed impossibile da sorvegliare, mentre,
dopo solo sei mesi (non 6 lustri!), la si consideri, viceversa, privata ed anche
ben controllabile. Il tutto a parità di insussistenza di accertamenti concreti
circa la responsabilità dello stesso Consorzio. E’ evidente che ci mancano
elementi cognitivi importanti, senza i quali siamo costretti a porre termine al
nostro esame, ma non ai nostri legittimi dubbi.
T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez II, 22 luglio 2004, n. 5368
(inspiegabilmente favorevole): Lo stesso T.A.R. Puglia, circa sei mesi prima,
aveva accolto il ricorso esperito, dallo stesso Consorzio speciale per la
bonifica di Arneo, avverso un analogo provvedimento emanato, stavolta, dal
comune di Avetrana – ma sempre – con riguardo a rifiuti abbandonati nella stessa
pista carrabile (sempre una strada asfaltata lunga circa 65 km.) posta al
servizio della condotta adduttrice “Irrigazione Salento”.
In questa occasione il ricorso risulta essere stato accolto in base alle
seguenti considerazioni:
√ quando una strada – sia pure privata «…cosa che non è nel caso di specie…» (n.d.r.:
così si esprime il TAR in questa occasione!) – viene assoggettata in modo
continuativo ad uso pubblico (in modo che si ha una situazione corrispondente
all’esercizio di una servitù) «…incombe all’Ente esponenziale di quella
collettività curare la manutenzione della strada medesima…» (n.d.r.: comune
territorialmente competente) «… come il Collegio ha avuto modo di osservare in
alcune recenti pronunce (relative a fattispecie analoghe – T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, sentenze n. 818/04, n. 1183/04 e n. 2265/04)…». E’ per questa ragione
che, da parte del T.A.R., si è ritenuto venisse «… meno l’unico elemento che
avrebbe potuto (sia pure in presenza di altre condizioni, come si vedrà)
giustificare l’adozione dell’ordinanza impugnata…»; aggiungendo che «…l’art. 7,
comma 2, classifica come rifiuti urbani, fra gli altri “...d) i rifiuti di
qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle
strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico....”, mentre l’art. 21,
comma 1, prevede che siano i Comuni ad effettuare la gestione dei rifiuti
urbani, per cui già da ciò risulterebbe l’illegittimità in parte qua dell’ordine
di smaltimento intimato al Consorzio di Bonifica di Arneo…»83;
√ non è risultato che il Comune avesse, in qualche modo, proceduto ad accertare
eventuali responsabilità in capo al Consorzio… per cui, sul punto, l’ordinanza
impugnata è stata ritenuta carente, sia dal punto di vista istruttorio, sia da
quello motivazionale;
√ per il fatto che : «…la tipologia dei rifiuti abbandonati (lavatrici,
frigoriferi, etc.) fa pensare che l’area sia utilizzata da numerosi cittadini
incivili come discarica abusiva, approfittando del fatto che si tratta di area
aperta al pubblico e impossibile da sorvegliare da parte del Consorzio (il cui
personale si reca in loco solo quando deve eseguire lavori di manutenzione della
condotta)…»
Ogni ulteriore commento risulterebbe soltanto ridondante!
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 31 gennaio 2005, n. 559
(favorevole): il T.A.R. ha accolto il ricorso presentato da chi si è visto
notificare l’ordine (del Comune di Caivano) di provvedere alla pulizia di
proprie aree84, in quanto individuato proprietario dei fondi in stato di
abbandono e privi di recinzioni quanto meno adeguate. Il Tribunale
amministrativo per la Campania, in tale occasione, ha ribadito che l’ordine di
smaltimento rifiuti riveste natura di sanzione avente carattere ripristinatorio,
e, come tale, presuppone l’accertamento della responsabilità da illecito in capo
al destinatario (questione del tutto trascurata, vista la genericità della parte
narrativa del provvedimento cassato), non sussistendo, viceversa, alcun obbligo
a carico del proprietario incolpevole.
T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 gennaio 2005, n. 227
(favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento con cui il Comune di Monselice – dopo due precedenti provvedimenti censurati dallo stesso Giudice –
aveva ordinato, alla società proprietaria di un’area, la rimozione dei materiali
ivi presenti, senza che – ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n.22/97 – fossero
stati rinvenuti a carico della stessa elementi di dolo ovvero di colpa;
limitandosi, peraltro, ad elencare in narrativa una serie di mere
“preoccupazioni” per la salute e l’igiene pubblica. Il Collegio giudicante, in
questo caso, ha ribadito che l’onere posto – dal citato articolo 14 – a carico
delle amministrazioni è di carattere positivo, tanto che spetta ad esse
dimostrare la sussistente colpevolezza del proprietario dell’area interessata
dall’abbandono di rifiuti.
T.A.R. Sardegna, Sez. II, 24 gennaio 2005, n. 104
Il T.A.R. ha respinto il ricorso della società ricorrente, ma sol perché il
comune di Olbia aveva ordinato a questa di eliminare quella quantità di
pneumatici, depositati presso la propria sede, che risultassero “in eccedenza”
rispetto ai limiti di stoccaggio autorizzati dalla Regione, o dalla Provincia, o
dai Vigili del fuoco in materia di prevenzione incendi, vista la natura
pericolosa dei rifiuti che rendeva urgente tale l’intervento. Quindi nulla
quaestio rispetto alla tesi che stiamo esaminando, salvo il fatto che, per
questo tipo di pretesa l’amministrazione non avrebbe dovuto utilizzare l’art. 14
del D.Lgs. 22/97.
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 14 gennaio 2005, n. 114
(favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento del Comune di Caivano –
con cui, fra le altre cose, si imponeva alla proprietà di una certa area di “. .
. rimuovere i rifiuti non pericolosi ed avviarli al recupero e/o allo
smaltimento secondo la natura degli stessi…” – sempre per il fatto di non aver
dimostrato la colpevolezza del destinatario del provvedimento.
T.A.R. Basilicata, 20 dicembre 2004, n. 831
(favorevole): Il T.A.R. ha respinto il ricorso presentato dall’ANAS avverso
l’ordinanza dirigenziale di un comune, con cui, fra le altre cose, si imponeva
di provvedere alla rimozione e all’avvio a recupero/smaltimento di tutti i
rifiuti incautamente abbandonati sull’area utilizzata da una ditta appaltatrice
dell’ANAS, ritenendo quest’ultima solidalmente responsabile. L’A.N.A.S., in
qualità di appaltatrice dei lavori, è stata considerata colpevole per culpa in
vigilando, e quindi per aver “omesso di vigilare affinché, al termine
dell’esecuzione del contratto di appalto, la ditta appaltatrice provvedesse al
ripristino dello stato di fatto esistente prima dell’installazione e
dell’apertura del cantiere e, conseguentemente, ad eliminare lo stato di degrado igienico-ambientale”.
Il fatto che, nel caso di specie, il provvedimento del comune sia scaturito da
un “ordine”, del Sostituto Procuratore della Repubblica del Tribunale
territorialmente competente, precipuamente rivolto all’emissione del
provvedimento ex art. 14, terzo comma, D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, ci stimola
una digressione, sostanzialmente fondata su di un’attenta analisi condotta da un
caposcuola della materia85.
▪ Quando la "richiesta" proviene dall’Autorità giudiziaria
Un provvedimento amministrativo volto ad imporre la rimozione di rifiuti
abbandonati non può trovare una sua legittimità, o autonomo titolo giuridico,
per il solo fatto di essere stato formalmente “richiesto” dalla Procura della
Repubblica. L’autorevole provenienza di una tale richiesta non può giustificare
ex se l’iniziativa di adottare un provvedimento amministrativo – appunto ai
sensi dell’art. 14 D.Lgs. 22/97 – che non trovi comunque, nella realtà fattuale,
i necessari presupposti idonei a renderlo correttamente “motivato”.
Ne consegue che, anche nel caso in cui sia proprio la Magistratura ad
interessare un’amministrazione comunale per gli adempimenti amministrativi di
competenza, c’è sempre per fortuna chi86, autorevolmente, ci ricorda come – alla
luce del sistema costituzionale vigente, fondato sui principi della divisione o
separazione dei poteri (legislativo, giurisdizionale e potere esecutivo e della
funzione amministrativa; che pure prevedono norme specifiche di coordinamento
e/o collaborazione) – qualunque invito/richiesta, di cotal provenienza, debba
intendersi come riferita all’eventuale adozione dei provvedimenti (e non
“adempimenti”) amministrativi di rispettiva competenza. Tanto che il comune deve
ritenersi interessato non tanto da una richiesta di “adempiere” ad un obbligo,
bensì di esercitare una funzione (alla bisogna, in forma di atti di urgenza)
cioè di una «potestà pubblica» (e quindi di un potere/dovere) caratterizzata da
discrezionalità sull’an e/o sul quando e/o quomodo87.
Si tratta di un potere che si estrinseca – appunto – nel dare applicazione a
quella norma giuridica che l’amministrazione comunale ritenga sia da individuare
come la più idonea a soddisfare, in quel caso specifico, l’interesse pubblico
(nel caso: ambientale/sanitario), di cui è intestataria quale ente investito di
autonomia, ex art. 114 e 117 della Costituzione. In tale assetto costituzionale88
– fondato sull’autonomia del poteri pubblici indicati – non compete certamente
alla magistratura (inquirente o giudicante) rivolgere alcuna sollecitazione o
suggerimento alla Pubblica amministrazione89 e, ancor meno, fare richieste di
“adempimenti amministrativi” (con indicazione di tipologie di provvedimenti da
assumere e/o norme da applicare), fermo restando il potere/dovere di collaborare
e/o coordinarsi con la stessa, così come di perseguire le eventuali inerzie o le
omissione dei pubblici funzionari, ove tali condotte costituiscano reato
(appunto nell’esercizio della propria ed autonoma funzione giurisdizionale).
A conclusione della breve parentesi appositamente plasmata, possiamo ribadire
che, per quanto possa essere stato l’Organo Giudiziario ad aver richiesto
adempimenti amministrativi, il comune è sempre e comunque tenuto a svolgere i
previsti e preliminari atti istruttori di indagine (sopralluoghi, ispezioni,
valutazioni, ecc. – anche se urgenti –) per acquisire i minimi e indispensabili
elementi di fatto (dati tecnici) che gli consentano sia di adottare
l’atto più
idoneo, tipico o atipico, a fronteggiare – in via ordinaria o d’urgenza – la
vicenda, sia di motivare conseguentemente, su tali acquisizioni istruttorie –
sul piano della discrezionalità tecnico/amministrativa –, l’autonoma scelta
operata (che potrebbe anche non coincidere con quanto indicato nella
“comunicazione” ricevuta)90.
T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004, n. 365
(contraria, ma riferita al DPR 915/82 e ad un “presunto” potere di ordinanza contingibile ed urgente): Il T.A.R.
ha respinto il ricorso del proprietario
dell’area deducendo, dal testo dell’art. 8 (rectius: articolo 9)91 del previgente
D.P.R. n. 915/82 (in forza del principio “tempus regit actum”) che:
a) all’epoca dei provvedimenti impugnati, «…leggi ordinarie ponevano infatti
limiti agli aspetti che concorrono a formare la sostanza del diritto dominicale;
tra tali limiti spiccavano quelli rivolti alla tutela dell’ambiente. Il
proprietario, quindi, non poteva concorrere con il godimento del suo bene ad
arrecare danno all’ambiente, e quindi nel caso di specie – pur in presenza
dell’assoluzione penale – il proprietario non poteva lasciare il suo bene in
condizioni tali da nuocere alla salute pubblica…La responsabilità penale
risponde a canoni diversi dalla responsabilità civilistica del proprietario nei
confronti della collettività, per cui doveva essere il proprietario stesso a
rimuovere i rifiuti in questione, salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti
dei responsabili diretti….»;
b) il Comune di Poirino si era avvalso dei poteri riconosciutigli dalla
normativa in vigore all’epoca, e quindi dell’art. 9 D.P.R. n. 915/82, il quale,
secondo il T.A.R., «… non esplicita il carattere sanzionatorio del rimedio ivi
contenuto – a differenza di quanto accade per il sopravvenuto art. 14 D.Lgs. n.
22/97… – portando a ritenere che il legislatore non intendesse (n.d.r.: chissà
da cosa lo si è dedotto!!) ancorare l’intervento di ripristino a principi legati
all’individuazione dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, nell’ipotesi
in cui l’ordine conseguente fosse indirizzato al proprietario… »;
c) «… Non è dunque un provvedimento orientato verso il passato, a colpire i
responsabili di un determinato fatto storico, ma verso il futuro, per eliminare
una situazione di pericolo in atto. Ne consegue che la detta ordinanza può
essere legittimamente indirizzata al proprietario attuale dell’area, vale a dire
a colui che si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di
eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata
situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi a terzi, quali ignoti o
finanche il precedente proprietario, salvo, ovviamente, il diritto di rivalsa
nei confronti di questi (Cons. Stato, Sez. V, 2.4.2003, n. 1678 e Sez. V, ord.
6.5. 2003, n. 1740).…»
Tutta la questione, per quanto appena adesso riportato, ci preoccupa
relativamente, essendo riferita ad una norma oramai abrogata. Ciò non elimina,
tuttavia, l’opportunità di rilevare che:
√ il fatto che la giurisprudenza prevalente, richiamata già nella sentenza
T.A.R. Toscana, sez. II, 01 agosto 2001, n. 1318 (cfr., in tal senso, T.A.R.
Lombardia, Milano, sez. I, 7 dicembre 1995, n. 1442, T.A.R. Lombardia, Brescia,
17 ottobre 1994, n. 580 e 21 dicembre 1993, n. 1051, T.A.R. Emilia-Romagna,
Bologna, sez. I, 10 luglio 1992, n. 230; T.A.R. Sicilia, Catania, 15 dicembre
1994, n. 2773, T.A.R. Toscana, sez. I, 1 luglio 1994, n. 414 e 16 gennaio 1990,
n. 13), aveva da tempo riconosciuto come: «…Già nel vigore dell’art. 9, D.P.R.
n. 915/1982, ……. maturato un orientamento in base al quale l’ordine di
smaltimento, in tali ipotesi, non poteva essere volto indiscriminatamente nei
confronti del proprietario o del soggetto che avesse la disponibilità dell’area
interessata, in quanto in capo ai soggetti destinatari deve individuarsi una
responsabilità basata su un comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità
con l’autore dell’abbandono illecito…»92, rivelando una consolidata
controtendenza rispetto a quanto appena sopra indicato alla lettera b); con
tanto di postuma, e risolutiva, conferma che ci viene offerta dalla sentenza CdS,
Sez V, 08 febbraio 2005, n. 323, di cui si è già ampiamente trattato.
√ Il T.A.R. Piemonte, per confermare le proprie deduzioni, ha richiamato la
sentenza del CdS, Sez V, 02 aprile 2003, n. 1678, già vista in precedenza
(l’inconsistente affinità con il caso trattato dal CdS nel 2003 ci lascia
veramente perplessi, in quanto – come si è già visto – quello del 2003 era un
evidente e particolare caso di ordinanza contingibile ed urgente, resasi
necessaria anche a seguito di un principio di incendio, con riscontrata
sussistenza del presupposto della necessità di provvedere con immediatezza in
ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, riconoscendo – in tal
caso, ma non in quello affrontato dal T.A.R. Piemonte – la legittimità di
provvedimenti extra ordinem).
√ anche l’essersi riferito (il T.A.R.), a scopo convalidante, all’ordinanza CdS,
Sez V, 06 maggio 2003, n.174093 non fa che accentuare la nostra perplessità, ma
non staremo a ripeterne le ragioni in questa sede.
T.A.R. Veneto, Sez. III, 14 gennaio 2004, n. 51
(favorevole, ma questione certamente particolare): Il T.A.R. dichiara
inammissibile il ricorso presentato dal proprietario per nullità della
procura
ad litem rilasciata al difensore e – riferendosi esplicitamente al provvedimento
con cui veniva ordinata la rimozione dei rifiuti esistenti nell’area della
ricorrente – stranamente, anche per «… difetto di giurisdizione:
siffatta misura ripristinatoria, che trova la sua fonte normativa nell’art. 14 del DLgs n.
22/97, si configura, infatti, come sanzione amministrativa – così è stata
qualificata dalla Suprema Corte di legittimità con una pronuncia delle sezioni
unite (26.6.2001 n. 8746) che il collegio condivide –, il cui sindacato
giurisdizionale è attribuito dall’art. 22 bis della legge n. 689/81 (introdotto
dal DLgs n. 507/99) al Tribunale civile….» (n.d.r.: probabilmente ci sta
sfuggendo qualcosa!!)
T.A.R. Veneto, Sez. III, 14 gennaio 2004, n. 39
(favorevole, ma questione particolare): si tratta di un caso in cui
l’amministrazione comunale ha annullato in autotutela i provvedimenti impugnati,
rendendo così improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il relativo
ricorso proposto in via giurisdizionale dal proprietario dell’area.
Sono molte altre le sentenze che sarebbe stato possibile analizzare e valutare
ma dobbiamo limitarci ad elencarle (rimanendo nel biennio 2004-2003): T.A.R.
Liguria, Sez. I, 18 novembre 2004, n. 1555; T.A.R. Campania, Salerno, 17
novembre 2004, n. 2033; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez I, 08 novembre 2004, n.
5681; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 28 ottobre 2004; T.A.R. Sicilia, Palermo,
Sez. I, 14 ottobre 2004, n. 2287; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez I, 08 ottobre
2004, n. 5473; T.A.R. Veneto, Sez. III, 05 ottobre 2004, n. 3594; T.A.R.
Sicilia, Catania, sez I, 29 settembre 2004, n. 2715; T.A.R. Puglia, Bari,
sez.III, 23 settembre 2004, n. 4178; T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004,
n. 3256; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 05 agosto 2004, n. 2040; T.A.R.
Puglia, Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368; T.A.R. Sardegna, Sez. II –
Sentenza 19 luglio 2004, n.1076; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II,29 giugno 2004,
n. 1531; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez II,29 giugno 2004, n. 1529; T.A.R. Puglia,
Bari, sez III, 28 giugno 2004, n. 2823; T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2004,
n. 1016; T.A.R. Sicilia, Catania, 19 giugno 2004, n. 1765; T.A.R. Campania,
Napoli, Sez. I, 19 marzo 2004, n. 3042; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004,
n. 365; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I - 27 febbraio 2004, n. 2445; T.A.R.
Puglia, Bari, Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 504; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez.
II – 6 febbraio 2004, n. 193; T.A.R. Friuli 26 gennaio 2004, n. 12; T.A.R.
Campania, Napoli, Sez. I, 19 gennaio 2004, n. 244; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 15
gennaio 2004, n 34; T.A.R. Veneto, Sez, III, 14 gennaio 2004, n. 51; T.A.R.
Veneto, Sez, III, 14 gennaio 2004, n. 39; T.A.R. Friuli, 20 dicembre 2003, n.
888; T.A.R. Trentino, Trento, 6 dicembre 2003, n. 466; T.A.R. Sicilia, Palermo,
Sez. II, 28 novembre 2003, n. 3552; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 16 ottobre
2003, n. 12822; T.A.R. Basilicata, 18 settembre 2003, n. 878; T.A.R. Campania,
Napoli, Sez. I, 15 settembre 2003, n. 11390; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 11
settembre 2003, n. 3317; T.A.R. Toscana, Sez. II, 1 agosto 2003, n. 3142; T.A.R.
Molise, 30 giugno 2003, n. 500; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 12 giugno 2003,
n. 7532; T.A.R. Toscana, 12 maggio 2003, n. 1548; T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003,
n. 290; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 16 aprile 2003, n. 3930; T.A.R.
Piemonte, Sez. I, 26 marzo 2003, n. 462; T.A.R. Veneto, sez III, 14 marzo 2003,
n. 1830; T.A.R. Veneto, sez III, 14 marzo 2003, n. 1830; T.A.R. Liguria, Sez I,
11 marzo 2003, n. 297; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 27 febbraio 2003, n. 872;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 febbraio 2003, n. 1830; T.A.R. Valle
d'Aosta, 20 febbraio 2003 n. 17; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, Ordinanza 22
gennaio 2003, n. 157: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 gennaio 2003, n. 33;
T.A.R. Emilia, Sez. Parma, 10 gennaio 2003 n. 15; ecc.
Concludendo questa sezione possiamo ritenere del tutto evidente come, le poche
decisioni contrarie possano in ogni caso considerarsi o dubbie, o motivatamente
instabili. Una statistica più accurata verrà riportata nell’apposita sezione 10,
amenamente rubricata “i buoni ed i cattivi”.
9 – La Suprema Corte di Cassazione
Si rende necessario un brevissimo e certamente incompleto accenno anche a
decisioni adottate dalla Suprema Corte di Cassazione che, in qualche modo, si
attagliano all’argomento in esame:
Cassazione Penale, Sez. III, 26 settembre 2002, n. 32158
Risulta importante che anche il Giudice di Legittimità abbia statuito che, in
tema di gestione di rifiuti: «… la consapevolezza da parte del proprietario del
fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente
ad integrare il concorso nel reato di cui all’art. 51, comma secondo, del
decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, (abbandono o deposito incontrollato
di rifiuti), atteso che la condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di
responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo
dell’art. 40 c.p., ovvero [quando] sussista l’obbligo giuridico di impedire
l’evento…»
Cassazione Penale, Sez. III, 30 marzo 2001, n. 20930
Secondo cui: «…In tema di gestione dei rifiuti, integra la contravvenzione di
inottemperanza all’ordinanza del sindaco, legalmente data ai sensi dell’art. 14
comma 3 (e punita dall’art. 50 comma 2) d.l.gs. n. 22 del 1997, la condotta
omissiva del concessionario per l’esecuzione di lavori pubblici su un’area di
proprietà altrui, il quale non abbia provveduto a sgomberare la medesima dai
rifiuti che ivi risultino (anche ad opera di terzi) abbandonati, atteso che
il
concessionario ha l’obbligo di conservazione, manutenzione e ripristino dei
suoli di cui abbia la disponibilità o il godimento (nella specie per il solo
periodo temporale della esecuzione di opere pubbliche), anche nell’ipotesi che
il degrado sia stato determinato da un terzo. Imp. Morizio –- rv. 219012 –-…»
Cassazione Penale, Sez. III, 27 gennaio 2004, n. 2662
Solo per dire che – con riguardo all’argomento da noi trattato – la Suprema
Corte di Cassazione, riferendosi al proprietario di un’area interessata dallo
scarico abusivo di rifiuti, evidenzia come la giurisprudenza94 non esclude la
possibilità di concorso con condotta omissiva, ove (n.d.r.: e, quindi, anche
se)
sussista per questi uno specifico obbligo di agire95.
Cassazione Penale, Sez. III, 17 settembre 2002, n. 31003
In questa occasione la Corte ha precisato che : «…In tema di smaltimento dei
rifiuti, la sanzione di cui all’art. 50, comma secondo, del decreto legislativo
5 febbraio 1997 n. 22, per violazione dell’ordinanza sindacale di rimozione dei
rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, va applicata a chiunque
non
ottemperi a tale ordinanza e che sia stato nella stessa individuato quale
responsabile dell’abbandono dei rifiuti o proprietario del terreno,
indipendentemente dalla effettività di tale qualifica. Compete in tal caso ai
soggetti interessati, al fine di evitare di rendersi responsabili
dell’inottemperanza in questione,l’ottenimento dell’annullamento del
provvedimento sindacale o la dimostrazione in sede penale dell’assenza della
ritenuta condizione soggettiva onde determinare la disapplicazione dell’atto da
parte del giudice ordinario. Si veda: Cass. 2000 n. 1783; Cass. 2001n. 930… »
Tutto ciò risulta palesemente conforme a quanto statuito con l’altra sentenza
Cass Pen., Sez. III, 14 maggio 2004, n. 22791, concernente un caso in cui i
provvedimenti di carattere amministrativo emanati a carico dell’imputato sono
stati considerati «legalmente intimati». Quindi, non avendoli impugnati per via
amministrativa, il proprietario dell’area (per quanto incolpevole) avrebbe
dovuto osservarli, posto che: «… l’addebito riguardava un reato omissivo, punito
dall’art. 50 co. 2° D.lgs. 22/97, integrato dall’inosservanza dei provvedimenti
di rimozione dei rifiuti, legalmente intimati, ai sensi dell’art. 14 co. 3°
parte seconda, dal sindaco all’attuale proprietario o possessore (quale era
l’imputato all’epoca delle due ordinanze) dell’immobile interessato dal deposito
incontrollato dei rifiuti, indipendentemente dalla risalenza della relativa
giacenza, dalle personali ascrivibilità dei depositi e della provenienza dei
materiali….»
Cassazione Penale, Sez. III, 09 ottobre 2002, n. 1594
La Cassazione del 2002, in questo caso, conferma la sentenza del giudice di
prime cure, evidenziando come il giudice di merito non ha affatto espresso la
condanna degli imputati a titolo di responsabilità oggettiva, precisando che
quand’anche i rifiuti fossero stati abbandonati sul posto da altre persone,
incaricate o dipendenti degli imputati, questi ultimi ne avrebbero comunque
dovuto rispondere a titolo di culpa in eligendo o in vigilando, in qualità di
“titolari d’impresa” dell’agente; il che è sufficiente ai fini dell’integrazione
dell’elemento soggettivo del reato contravvenzionale, punibile anche a titolo di
colpa.
Cassazione Penale, Sez. III, 11 novembre 2004, n. 43955
La Corte di Legittimità sottolinea come: «…il fatto che il soggetto proprietario
del terreno, su cui altri abbia illegalmente formato il deposito di rifiuti, sia
abilitato a rimuovere il deposito stesso, non può costituire una sorta di causa
di esenzione da responsabilità per l’autore dell’illecito…»
Cassazione Penale, Sez. III, 18 luglio 2005, n. 26398
In quest’ultimo caso la Suprema Corte non nega che uno dei
criteri per
l’individuazione del responsabile di un abbandono incontrollato dei rifiuti
possa essere la titolarità del diritto di proprietà del terreno divenuto oggetto
dello scarico abusivo. Dovendo però rilevare che la decisione di confermare la
condanna inflitta in primo grado al ricorrente si sia basata anche sulla
riscontrata costante presenza dell’imputato sul terreno stesso, determinata
dallo svolgimento di una attività imprenditoriale e sul fatto che, comunque, gli
organi comunali lo avevano individuato come effettivo responsabile
dell’abbandono de quo.
10 – I “buoni” ed i “cattivi”
Quale mera elencazione, atta a creare uno stacco dai ragionamenti cui fin qui è
stato costretto l’impavido lettore, si ritiene utile ed ameno provvedere ad una
separazione fra “buoni” e “cattivi”:
Le decisioni favorevoli alla tesi in esame
CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 640696;
CdS, Sez. V, 02 aprile 2003, n. 167897;
CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n. 422498;
CdS, Sez. V, 21 giugno 2005, Ordinanza n. 295999;
CdS, Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3596100;
CdS, Sez. V, 08 marzo 2005, n. 935101;
CdS, Sez. V, 08 febbraio 2005, n. 323102;
CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136103;
CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153104;
CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 154105;
CdS, Sez. V, 30 dicembre 2004, n. 8295106;
CdS, Sez. V, 12 agosto 2004, n. 5549107;
CdS, Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328108;
CdS, Sez. V, 20 gennaio 2003, n. 168109;
CdS, Sez. V, 02 aprile 2001 n. 1904110;
T.A.R. Friuli, 01 settembre 2005, n. 750;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 luglio 2005, n. 10383;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II - 22 giugno 2005, n. 1041;
T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263;
T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582;
T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 aprile 2005, n. 5318;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile 2005, n. 6348;
T.A.R. Lazio, Latina, 12 marzo 2005, n. 304;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 840;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 839;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 03 febbraio 2005, n. 120;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 31 gennaio 2005, n. 559;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 gennaio 2005, n. 226 e n. 227;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 14 gennaio 2005, n. 114;
T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 novembre 2004, n. 1555;
T.A.R. Campania, Salerno, 17 novembre 2004, n. 2033;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 08 novembre 2004, n. 5681;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 ottobre 2004, n. 2287;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 08 ottobre 2004, n. 5473;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 05 ottobre 2004, n. 3594;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 29 settembre 2004, n. 2715;
T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 23 settembre 2004, n. 4178111;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 05 agosto 2004, n. 2040;
T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368;
T.A.R. Sardegna, Sez. II, 19 luglio 2004, n.1076;
T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 29 giugno 2004, n. 1529 e n. 1531112;
T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 28 giugno 2004, n. 2823;
T.A.R. Sicilia, Catania, 19 giugno 2004, n. 1765;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 marzo 2004, n. 3042;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 27 febbraio 2004, n. 2445;
T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 504;
T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 06 febbraio 2004, n. 193;
T.A.R. Friuli, 26 gennaio 2004, n. 12113;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 gennaio 2004, n. 244;
T.A.R. Abruzzo, Pescara, 15 gennaio 2004, n. 34;
T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 6 dicembre 2003 n. 292;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 28 novembre 2003, n. 3552;
T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003, n. 290;
T.A.R. Umbria, 21 maggio 2002, n. 301;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 09 maggio 2002, n. 2118;
T.A.R. Toscana, Sez. II, 22 marzo 2002, n. 619114;
T.A.R. Sardegna, Sez. II, 13 febbraio 2002, n. 667;
T.A.R. Toscana, Sez. II, 7 giugno 2001, n. 1034;
T.A.R. Umbria, 10 marzo 2000, n. 253;
T.A.R. Lombardia, Sez. I, 4 gennaio 1999, n. 25.
Le decisioni contrarie alla tesi in esame
CdS, Sez IV, 9 dicembre 2003, Ordinanza n. 5432115;
CdS, Sez V, 06 maggio 2003, Ordinanza, n.1740116 ;
T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II, 02 febbraio 2005, n. 435117;
T.A.R. Sardegna, Sez. II, 19 luglio 2004 ,n.1076118;
T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2004, n. 1016119;
T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004, n. 365120;
T.A.R. Piemonte, Sez. I, 26 marzo 2003, n. 462121 ( riformata );
T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n. 692122 ( riformata );
T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n. 452123 ( riformata );
T.A.R. Piemonte, Sez. II, 27 settembre 1994, n.407124 (
riformata );
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 28 aprile 1994, n. 899125 (
riformata );
11 – Alcuni aspetti particolari
Prima di giungere alle conclusioni riteniamo necessario dedicare un po’ di
spazio ad alcuni particolari aspetti di cui si è fatto cenno nel corso della
trattazione fin qui condotta.
La colpa
In ambito civile la colpa – assieme al dolo – è l’elemento soggettivo che,
integrando la fattispecie dell’atto illecito, deriva dalla violazione
di doveri di diligenza, perizia o prudenza ovvero dall’inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline nell’esercizio di una attività, e si
sostanzia nella non volontarietà dell’evento; il quale, appunto, deve risultare cagionato da un
comportamento meramente negligente, imprudente o imperito. Il danno derivante da
tale comportamento colposo è fonte di responsabilità.
In ambito penale – sulla scorta della previsione ex-art. 43 c.p. – il delitto si
definisce colposo (o contro l’intenzione)126 quando l’evento, anche se preveduto,
non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o
imperizia, ovvero, per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline,
e quindi viene a porsi in contrasto con determinate regole di condotta.
Con negligenza si intende la mancata adozione di regole cautelari; spesso
identificata con la trascuratezza e/o con la mancanza di attenzione e/o di
sollecitudine. L’imprudenza, invece, si sostanzia nel porre comunque in essere
un comportamento, quando – al contrario – determinate regole cautelari lo
avrebbero palesemente sconsigliato; si tratta quindi di avventatezza e/o scarsa
considerazione degli interessi altrui. Resta in ultimo l’imperizia, che è una
sorta di imprudenza qualificata, definibile anche come inettitudine o incapacità
professionale “generica” o “specifica”; la quale, per quanto nota all’agente,
non viene da questo tenuta in minima considerazione nel proprio agire.
Ai fini della presente trattazione acquista particolare rilievo la negligenza,
chiaramente antitetica alla diligenza. Su tale scorta la colpa – nel nostro
caso, del proprietario del terreno – può assumere connotazioni diverse in
relazione al grado di diligenza richiesto (o meglio esigibile) in determinate
occasioni. Solitamente si usa distinguere fra:
√ colpa grave : che deriva dalla inosservanza di quel minimo di diligenza che
tutti dovrebbero avere;
√ colpa lieve : determinata dalla violazione della diligenza media (art. 1176 c.c.)127;
√ colpa lievissima : che si ha quando, per legge o per accordo, si pretenda una
diligenza superiore alla media.
▪ Il grado della colpa
Per quanto concerne il
grado della colpa (grave, lieve, lievissima), il terzo
comma dell’art. 14 in oggetto, non deve essere interpretato come se riproducesse
il tipico schema che caratterizza l’articolo 2050128 o l’articolo 2054129 del codice
civile. Vale a dire che non può esser letto come se imponesse al proprietario (o
soggetto assimilato) la rimozione dei rifiuti «se non prova di avere adottato
tutte le misure idonee a evitare il danno», ovvero « se non prova di avere fatto
tutto il possibile per evitare il danno». E’ di tutta evidenza che in tal caso:
«… il legislatore avrebbe ben potuto usare esplicitamente una formula analoga a
quelle degli artt. 2050 e 2054 cod. civ., se avesse voluto aggravare la
responsabilità del proprietario oltre la soglia della colpa ordinaria,
imponendogli l’onere della prevenzione attiva, e per di più invertire l’onere
della prova. Poiché, invece, la norma è scritta come è scritta, si deve
ritenere:
a) che non vi è presunzione di colpa, o inversione dell’onere della prova, e
pertanto grava sul Comune l’onere di dimostrare che, in concreto, vi è stato un
comportamento colposo; b) che non vi è un aggravamento di responsabilità oltre
la soglia della colpa ordinaria né l’imposizione di un dovere di prevenzione
attiva: per essere qualificato “colposo” il comportamento del proprietario deve
risultare contrario alla normale diligenza dell’uomo medio, o, se si vuole, del
“buon padre di famiglia”…» (T.A.R. Umbria, 21 maggio 2002, n. 301).
Il proprietario, pertanto, risponde per colpa lieve (oppure, ovviamente, per
colpa grave) e non per colpa lievissima, in quanto gli viene richiesto di dover
adottare una normale diligenza media e non una diligenza superiore alla media (CdS,
Sez V, 08 marzo 2005, n. 935). Risulta in tal senso acclarato che la colpa
necessaria perché sussista la responsabilità ex-art. 14, comma 3°, D. Lgs. n.
22/97, deve essere valutata secondo i normali canoni di imputabilità,
senza
alcun aggravamento nel dovere di diligenza incombente sul proprietario
dell’area, così come senza alcun obbligo di prevenzione attiva130. Esula quindi,
dal novero delle esigibilità, l’obbligo di adottare misure particolari
(installazione di recinzioni, utilizzazione di servizio di vigilanza armata 24
ore su 24, apposizione di cartelli di divieto) che, per il loro costo, la loro
scarsa efficacia e la difficile praticabilità – soprattutto in ragione
dell’estensione che possono assumere le aree interessate dall’abbandono di
rifiuti – non risulterebbero affatto congrue rispetto al fine perseguito (ovvero
impedire l’abbandono di rifiuti).
▪ L ‘ordinaria diligenza
A proposito di quale sia l’ordinaria diligenza, esigibile dall’uomo medio (o
dal “buon padre di famiglia”) e quindi dal proprietario di un’area (interessata
dallo scarico di rifiuti), occorre in primo luogo ricordare:
√ che l’abbandono abusivo di rifiuti si verifica in genere casualmente e
sicuramente senza alcun preavviso;
√ che, per lo più, vengono prescelti – a tal fine – terreni remoti dall’abitato;
√ che, ad ogni modo, qualsivoglia terreno – anche impervio – è suscettibile di
divenire ricettacolo di rifiuti131;
√ che un singolo soggetto può essere proprietario di terreni molto estesi e
dispersi e, per ciò solo, più difficilmente sorvegliabili;
√ che è da escludere l’esistenza di un obbligo giuridico del proprietario
alla
rimozione dei rifiuti deposti sul proprio terreno da altri, derivante
esclusivamente dalla qualità di proprietario dello stesso (Cosa diversa deve
considerarsi l’esistenza di una norma locale che – pur indirettamente – lo
preveda, come visto in occasione della sentenza CdS, Sez V, 30 dicembre 2004, n.
8295).
√ che non esiste per il proprietario di un’area un obbligo giuridico positivo
di
impedire che altri vi abbandonino dei rifiuti (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I,
29 aprile 2005, n. 5318; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 7 febbraio 2005, n.
839 e 840; T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217; Cassazione Penale, Sez. III,
26 settembre 2002, n. 32158).
Quindi – sempre sulle orme della saggezza del Giudice per l’Umbria, 21 maggio
2002, n. 301– deve escludersi che nell’ordinaria diligenza possa esser fatto/a
rientrare:
a. il costante e continuativo controllo dei terreni da parte dei rispettivi
proprietari affinché, né di giorno né di notte, vi vengano abbandonati rifiuti
di vario genere;
b. il dover istituire un servizio di vigilanza che, per essere efficace,
dovrebbe essere svolto da apposite guardie (probabilmente armate) presenti sul
posto ventiquattrore su ventiquattro, con un onere economico insostenibile;
c. l’installazione di idonee132 recinzioni (visto che, come già detto, l’abuso
si può verificare dovunque e che l’installazione di recinzioni, oltre che
dispendiosa, non sempre è compatibile con la destinazione del terreno, senza
contare eventuali vincoli urbanistici, ambientali, etc.)133;
d. l’apposizione di tabelle con scritte dissuasive (potendo, tutto sommato,
considerarla superflua e, nello stesso tempo, inutile, dal momento in cui il
divieto è già insito nella legge e perché la comune esperienza insegna che i
trasgressori se ne fanno beffe, le divelgono….se non peggio!)
e. l’iniziativa ex-se di “togliere” i rifiuti abbandonati da altri.
Con particolare riguardo a quest’ultimo punto (lettera e.) non può pertanto
considerarsi colpa del proprietario il non aver provveduto alla rimozione dei
rifiuti scaricati da altri (in un proprio terreno), «…perché sarebbe logicamente
aberrante dire che un soggetto non è, di principio, tenuto a fare una certa cosa
(nella specie: rimuovere i rifiuti abbandonati da terzi) ma diviene tenuto a
farla in quanto ha omesso di farla. In altre parole: dire che il comportamento
colposo, che fa sorgere l’obbligo di rimuovere i rifiuti, consiste nel non aver
rimosso i rifiuti, equivale a dire che vi è un obbligo incondizionato di
rimuoverli - il che peraltro è escluso dalla norma…» (T.A.R. Umbria, 21 maggio
2002, n. 301).
Da ciò si può altresì dedurre un altro importante principio, in base al quale il
comportamento eventualmente colposo che da’ luogo ad una possibile
responsabilità del proprietario (o soggetto assimilato) e, conseguentemente
all’obbligo di rimozione dei rifiuti, non può che essere antecedente o
contemporaneo alla violazione, e mai successivo.
In definitiva non si può imputare al proprietario la responsabilità di fatti che
non avrebbe potuto/dovuto prevenire, adottando la sola diligenza da lui
esigibile: quella ordinaria del “buon padre di famiglia” (CdS, Sez V, 08 marzo
2005, n. 935; T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582).
Non manca, come abbiamo avuto modo di vedere, qualche posizione contraria e
nettamente minoritaria134, in base alla quale sarebbe sufficiente una sorta di
“mera colpa lieve” che, di fatto – nonostante sia così testualmente indicata – è
da tradursi in una colpa lievissima (viste le pretese che si avanzano nei
riguardi del proprietario, in assonanza con la richiamata ordinanza CdS, Sez V,
21 giugno 2005, n. 2959), sulla cui scorta si pretenderebbe dal proprietario una
diligenza superiore alla media, quasi si trattasse di un professionista del
bisturi nel corso di un difficile intervento chirurgico.
Ciò non è esigibile, mentre invece – tanto per sgombrare il campo da quel
pericoloso e ricorrente frainteso in cui, si è visto, non è poi così difficile
incorrere – risulta possibile e legittimo che l’autorità possa pretendere che il
proprietario provveda alla mera “bonifica”135 del sedime. Da
non intendersi, però,
come rimozione dei rifiuti ivi abbandonati, bensì come «buon governo dell’area»;
consistente, quindi, nel taglio e nella rimozione della vegetazione selvatica.
Comportamento che può considerarsi usuale e quindi tipicamente doveroso del
“buon padre di famiglia”.
Se poi, l’omissione di “questo” comportamento dovuto (ben diverso
dall’asportare rifiuti regalati da altri) risultasse addirittura pericolosa per
l’igiene, la sicurezza e il decoro pubblico, è del tutto legittimo che
l’Autorità locale intimi al proprietario del terreno di provvedervi e, in caso
d’inadempienza, vi provveda d’ufficio addebitandogli le spese. Ma questo non ha
niente a che vedere con l’articolo in oggetto.
▪ Cosa dice il nuovo schema di Decreto Unico Ambientale
Non si dimentichi, in ultimo, che l’art. 192136 del nuovo schema di TU Ambiente –
per quanto non ancora dotato alcuna efficacia – prevede esplicitamente la colpa
grave del proprietario, tanto che a questo potrà esser richiesto solo e soltanto
quel minimo di diligenza che tutti dovrebbero avere; niente di più, niente di
meno.
Appunto per questo non possono esserci dubbi sul fatto che il proprietario
incolpevole possa considerarsi solo e soltanto come soggetto passivo
dell’illecito altrui e, come tale, un danneggiato e non certo un danneggiante
(perché, in ogni caso, se da tale scarico abusivo deriva una contaminazione del
suolo ed il responsabile continua a rimanere ignoto, sarà il proprietario
dell’area che, per quanto indirettamente, verrà ad essere costretto – se vuol
continuare ad utilizzare il terreno – ad accollarsi le spese della eventuale
bonifica in forza dell’onere reale e dei privilegi di cui si è già detto).
▪ Casi particolari di colpa
Nel confermare – da un lato – che l’articolo 14 del D. Lgs. 22/97 non implica,
in linea di principio, alcuna responsabilità oggettiva del proprietario, non si
può affatto escludere – dall’altro – la colpa di quel proprietario che, nei
riguardi dell’operato dell’affittuario di un proprio fondo, si sia
disinteressato di qualsiasi vigilanza ed intervento circa la gestione dei
rifiuti da quest’ultimo operata; posto che, in tal caso, l’abbandono
incontrollato di rifiuti – da parte del conduttore del fondo – è la conseguenza
dell’esercizio (secondo modalità illecite) di un’attività economica che risulta
– non solo conosciuta, ma anche – consentita dal proprietario, il quale,
oltretutto, ne trae vantaggio tramite la riscossione del previsto canone (T.A.R.
Umbria, 11 maggio 2005, n. 263 e CdS, Sez V, 01 luglio 2002, n. 3596). Quello
dei rifiuti abbandonati in loco dall’affittuario di una certa area, è un caso
particolare e quindi divergente dalla normalità, in quanto “prodottosi”
dall’esercizio (secondo modalità illecite) di un’attività economica consentita
dal proprietario; non potendo negare che, in tal caso, vi sia un evidente nesso
tra il comportamento illecito posto in essere dall’imprenditore/conduttore e
l’utilità che il locatore ritrae (di regola, a titolo di canone di affitto)
dalla concessione dei diritti di utilizzazione dell’immobile. D’altronde non si
può nascondere che in tal caso, senza la concessione a terzi della disponibilità
dell’area, probabilmente, l’illecito non si sarebbe verificato, e che – nella
prospettiva di una valutazione a priori – l’insorgenza di problematiche legate
allo smaltimento dei rifiuti prodotti sia uno degli effetti, dell’esercizio di
un’attività economica137, che il proprietario
non avrebbe potuto permettersi il
lusso di trascurare, essendo noto e largamente prevedibile. L’averlo fatto non
può che essere qualificato come sua negligenza.
Perciò, mentre la responsabilità del proprietario, di fronte all’abbandono di
rifiuti sulla sua proprietà da parte di terzi ignoti, non può che essere
disciplinata continuando ad utilizzare il parametro della colpa lieve, il
parametro stesso assume una diversa e specifica configurazione quando l’autore
dell’illecito non è un terzo estraneo, bensì il soggetto che ha la disponibilità
del fondo in forza di un contratto stipulato con il proprietario stesso. Tanto è
vero che – alla luce della rilevanza che l’ordinamento attribuisce alla
posizione di colui che ritrae un vantaggio, anche indiretto, dall’esercizio da
parte di altri di un’attività (oltretutto inquinante) –, in tal caso, il
proprietario dell’immobile viene gravato di un dovere di prevenzione attiva –
quindi una diligenza qualificata – che si concretizza sia nell’esercizio di una
attenta vigilanza su come il proprio bene viene gestito dal conduttore, sia
nella tempestiva segnalazione all’autorità dei comportamenti dannosi o
pericolosi del terzo.
Riconoscendo che la colpa del proprietario vada comunque commisurata
all’inosservanza di detti doveri – debitamente graduati sotto il profilo
quantitativo e temporale, con aderenza alle caratteristiche delle singole
situazioni – resta il fatto che, già nella fase negoziale, si ritiene che il
locatore (verosimilmente a conoscenza del tipo di attività svolta
dall’affittuario) abbia il dovere di inserire nel contratto apposite clausole
dirette a garantire la puntuale osservanza degli obblighi in materia di
protezione ambientale. D’altronde risulta saldamente consolidato che la colpa
del proprietario può consistere anche nel mero favorire l’illegittimo abbandono
dei rifiuti (in questo senso T.A.R. Campania – Napoli n. 6348/05; T.A.R. Veneto
n. 1830/03; T.A.R. Liguria n. 297/03; T.A.R. Puglia – Bari n. 872/03; T.A.R.
Emilia Romagna – Parma n. 872/02).
Ovviamente la stessa cosa vale per il caso (visto trattando del T.A.R.
Basilicata, 20 dicembre 2004, n. 831) in cui l’abbandono di rifiuti sia
effettuato da una ditta appaltatrice, da ritenersi solidalmente responsabile con
il committente: colpevole per culpa in vigilando, e per il caso di “titolari
d’impresa” che rispondono per i fatto dei propri dipendenti (Cassazione Penale, Sez. III, 09 ottobre 2002, n. 1594).
Le sanzioni
Con riguardo all’abbandono di rifiuti ed all’inosservanza del sopravvenuto
(legittimo) ordine di rimozione degli stessi, attualmente sono previste le
sanzioni stabilite dall’art. 50138 del D. Lgs. 22/1997 e quindi: sanzione
amministrativa pecuniaria da € 103,29 a € 619,75, in caso di abbandono di
rifiuti pericolosi e rifiuti ingombranti, e da € 25,82 a € 154,94, per
l’abbandono di rifiuti non pericolosi e rifiuti non ingombranti. Sanzioni che
risultano pressoché immutate anche nello schema del nuovo Testo Unico, così come
risulta da quello che attualmente prevede il proprio art. 255139.
A torto o a ragione, non esiste più il “timore” provocato da quanto conteneva il
vecchio testo dell’art. 1, comma 312 del “disegno di legge della Finanziaria
2006” (all’epoca dell’approvazione del giorno 11.11.2005 da parte del Senato),
visto che nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (testo definitivo della
Finanziaria 2006), non c’è più alcuna traccia del previsto incremento delle
sanzioni amministrative, provenienti da illeciti ambientali, di dieci volte nel
minimo e di cinquanta volte nel massimo.
La comunicazione di avvio del procedimento amministrativo
Per quanto concerne la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo
occorre ribadire che il potere esercitato dall’autorità comunale, in base al
precetto contenuto nell’art. 14, terzo comma, del D.L.vo n. 22/97 – nel caso in
cui venga violato il divieto di abbandono di rifiuti al suolo di cui al proprio
comma 1 –, riveste natura sanzionatoria di un illecito commesso e non presuppone
necessariamente l’incombere di situazioni di pericolo o di urgenza (a differenza
di quanto si verifica in base alla previsione dell’art. 13 stesso decreto).
Quindi, rientrando tra le “normali attribuzioni del comune”, non costituisce
ordinanza contingibile ed urgente. Per tale ragione è sempre necessario140 – al
pari di quanto è generalmente previsto per ogni provvedimento discrezionale
destinato ad incidere negativamente su situazioni giuridiche dei privati – dar
seguito al preventivo avvio di procedimento, di cui all’art. 7 della legge 7
agosto 1990, n. 241; onde consentire e garantire che il privato possa apportare
il proprio contributo ad un corretto esercizio del potere (T.A.R. Friuli, 01
settembre 2005, n. 750, T.A.R. Toscana, 16 giugno 2005, n. 2859 , T.A.R.
Lombardia, Milano, 15 gennaio 2003 n. 33 e 13 maggio 2002 n. 2039; T.A.R.
Basilicata, 11 dicembre 2001 n. 873).
La competenza per l’adozione dei provvedimenti
Riguardo alla competenza per l’adozione di un provvedimento volto ad imporre la
rimozione di rifiuti abbandonati in una certa area, siamo sicuramente di fronte
ad un’alternativa imprescindibile: o il provvedimento è un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di salute pubblica, adottabile – ex art. 54.2
del D.Lgs. 267/2000 – dal Sindaco in veste di Ufficiale di Governo (se ed in
quanto ne sussistono i necessari presupposti!), oppure si tratta di un normale
provvedimento ex art. 14 D. Lgs. 22/1997, per il quale, la competenza non è
affatto del sindaco, appartenendo il relativo potere al dirigente comunale di
settore in forza di quanto stabilito dall’art. 107, quinto comma, dello stesso
D. Lgs. 267/2000 (T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256 ed anche
T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 06 febbraio 2004, n. 193).
Decisiva, a tal riguardo, appare la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. III, 15
dicembre 2005, n. 4243 (vista in testa alla sezione 8) in cui, riferendosi ad un
provvedimento emanato dal Sindaco per gli effetti ex-art. 17 D.Lgs. 22/97, si
evidenzia che: «… il provvedimento fa bensì riferimento, nell’epigrafe, anche
all’ art. 14 dello stesso d. lgs. 22/97, nonché all’art. 54, II comma, del d.
lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Peraltro, quanto al primo, esso disciplina la
diversa materia dell’abbandono e del deposito incontrollati di rifiuti sul suolo
e nel suolo, e non quello della bonifica di aree contaminate, situazione che
invece si assume sussistere nella fattispecie; quanto al secondo, poi, nel
provvedimento non vengono adeguatamente definiti gli ipotetici “gravi pericoli
che minacciano l’incolumità dei cittadini”, i quali potrebbero giustificare il
ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente: e, comunque, l’esercizio
di un potere ordinatorio atipico si prospetta per definizione come residuale,
sicché, nell’incertezza, il provvedimento emesso dall’Amministrazione deve
intendersi come espressione dell’esercizio di un potere tipico e nominato, come
appunto quello di cui all’ art. 17 cit.;….. che, ciò posto, trovano qui
applicazione le comuni prescrizioni in tema di competenza per gli atti degli
Enti territoriali, e, così, l’art. 107 del d. lgs. 267/00, il quale attribuisce
ai dirigenti, tra l’altro, l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi
che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente
dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo
politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente (e tali non sono
evidentemente gli atti emessi ex art. 17 cit…»
Per questa ragione – al di là dei problemi di promiscuità di cui si tratterà
poco appresso – occorre ribadire (anche se abbiamo la vaga impressione di averlo
già detto!) che soltanto quando (e se) ricorrono i presupposti per l’adozione di
un atto urgente ed atipico la competenza del Responsabile del servizio – ex art.
107 del T.U. D. Lgs. n. 267/2000 – deve cedere il posto a quella del Sindaco,
cui, fra l’altro, compete anche l’esercizio della potestà provvedimentale extra
ordinem a fronte di emergenze ambientali/sanitarie a carattere esclusivamente
locale (ex-art. 50.5 stesso T.U.): “Le ordinanze contingibili ed urgenti sono
adottate dal sindaco quale rappresentante della comunità locale”.
La natura composita di certe ordinanze
In alcuni casi (come quelli connessi con le sentenze: CdS, Sez V, 08 febbraio
2005, n. 323; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 3 febbraio 2005, n. 120; in un
certo qual modo anche il T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243)
abbiamo visto come, avvalendosi di un unico provvedimento, l’Ente locale abbia
inteso imporre la rimozione di rifiuti e, contemporaneamente, impartire la
diffida per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area interessata dalla
presenza degli stessi. Si tratta di ordinanze a «natura composita»141: un unico
atto che realizza due interventi142 normativamente differenziati (e dunque
diversamente disciplinati), riferiti e rivolti sempre allo stesso soggetto (il
proprietario incolpevole dell’area). Un’unica ordinanza comunale che non si
limita a prescrivere una mera operazione di rimozione dei rifiuti posti “fuori
terra”, ex-art. 14 (più volte citato), ma giunge anche ad imporre misure di
effettiva “messa in sicurezza” e di “caratterizzazione preliminare del sito”,
quindi una vera e propria procedura di bonifica (ex-art. 17 dello stesso decreto
Ronchi).
Così facendo, tale provvedimento entra – promiscuamente e indebitamente – anche
nella sfera di operatività degli artt. 8 e 10 del D.M. 471/99, senza però (di
norma) poterne osservare i precetti sostanziali e le precipue regole procedimentali; tanto da restarne “confuso”, avendo la pretesa di risolvere
“troppo” senza invece riuscire a rispettare neppure il contenuto più elementare
dell’art. 8.2143 del citato regolamento di esecuzione.
Lì per lì, potrebbe anche sembrare una “buona idea”; se non altro, volta ad
ottenere un risultato concreto, snello, lineare e scevro da inutili pedanterie.
Si può anche essere liberi di pensarlo, ma, di fatto, ciò che si ottiene è
semplicemente un’ordinanza affetta da violazione di legge e contraddittorietà di
motivazione. D’altronde tale provvedimento non potrebbe conformarsi alle vigenti
prescrizioni ex-art. 8.2 citato, che vedono, quale destinatario della diffida,
“il responsabile dell’inquinamento” e non certo il proprietario del sito (o il
titolare di diritti reali o personali su di esso); al quale, viceversa,
l’ordinanza andrebbe notificata144 solo a mero titolo
informativo145, o meglio, per
poi poter legittimamente costituire sulle aree inquinate un onere reale ed un
privilegio speciale, segnatamente previsti a copertura delle spese di ripristino
affrontate dall’Amministrazione comunale, qualora i responsabili non provvedano
ovvero non siano individuabili. A ciò si aggiunge anche che l’articolo 14, oltre
a non coinvolgere mai il proprietario incolpevole, non configura alcuna
obbligazione propter rem (gravante sulla cosa)146.
12 – Conclusioni
L’intenzione sarebbe stata quella di stilare una trattazione piuttosto
light, ma
il non aver resistito alla bramosia di dedicarsi a peculiari risvolti della
materia affrontata, ci ha portato fino a moltissime righe “di distanza” dal
primo capoverso.
La tesi dichiarata e sviscerata sembra aver retto a scossoni ed urti, tanto che
saremmo tentati di riassumere, in questa specifica sezione, l’essenza di quanto
– bene o male – fin qui illustrato e sostenuto. Vogliamo tuttavia desistere
dall’impegnare ulteriormente la sopportazione dell’ardimentoso lettore –
faticosamente giunto a questa pagina solo in forza della propria perseveranza –
ritenendo facilmente reperibili nel corpo dell’elaborato tutti gli elementi
essenziali appositamente enumerati anche nel sommario iniziale.
In alternativa però – facendo, per un attimo, capolino in un contesto più
generale – vorremmo richiedere un ultimo sforzo, ricordando che, con
l’introduzione – Atto Unico Europeo del 1986 – dell’art. 130/R del Trattato
dell’Unione Europea, è stato sancito il noto principio «chi inquina paga». Su
tale scorta – senza neppure andare a scomodare l’art. 18 della legge n. 349/1986
o la Direttiva 35/2004/CE – qualsiasi responsabilità per danno ambientale
consegue al compimento di fatti dolosi o colposi e non alla mera qualità di
proprietario di una certa area. Questo significa una cosa sola: è tenuto “a
rimediare” quel soggetto che ha provocato l’inquinamento.
Dalla realtà italiana, invece, potrebbe anche risultare l’esatto contrario,
visto che147 si rischia di far pagare lo scotto a chi
non ha inquinato; dando così
vita all’altro principio – tanto assurdo quanto astrattamente inesistente – che,
nella realtà dei fatti, può tranquillamente essere ricapitolato con un
buffissimo, ma tragico, adagio: «chi non inquina paghi!».
Per non dare sfogo e fondamento a questo “aberrante” ed “insensato” principio148,
il proprietario incolpevole non può e non deve rispondere per i rifiuti
abbandonati nel suo terreno da altri vandali; non può e non deve esser chiamato
a “pagare al posto di altri”!
_____________________________
(*) Avvocato, Consulente Legale Ambientale in Vinci (FI) silvanodiros@email.it
1 Che,
notoriamente, è cosa ben diversa dal mero abbandono di rifiuti su di un terreno.
2 Sempre che il comune si ricordi di ricorrervi e predisporla.
3 Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10, comma 1 lettera
b), della citata legge 7 agosto 1990, n. 241
4 Perché, se risultasse in qualche modo o maniera colpevole, la
questione cambierebbe radicalmente!
5 A parte le situazioni più gravi e di maggior consistenza.
6 Che, magari, era stata utilizzata, per decenni, a mo’ di
copertura di immobili e che – ovviamente anche prima di essere smantellata– se
ne stava ugualmente ben esposta alle intemperie ed all’azione degli agenti
atmosferici.
7 Riconducibile ad altre eventuali e deprecabili (ma purtroppo
non escludibili) reiterazioni di analoghe condotte da parte dei soliti ignoti.
8 Molto spesso solo in teoria e non in pratica.
9 Fedelmente ripresa dall’art. 14, terzo comma, del D.Lgs.
22/1997.
10 “incolpevole” o, quantomeno, non sottoposto ad adeguati
accertamenti che ne possano stabilire l’eventuale ed effettiva colpevolezza.
11 Che nella nostra madre lingua significa: in ogni modo, in
ogni caso, in qualunque modo, in qualsiasi modo
12 Art. 2 (Classificazione rifiuti):
Per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane
o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono.
Ai sensi del presente decreto i rifiuti sono classificati in: urbani, speciali,
tossici e nocivi.
Sono rifiuti urbani:
1) i residui non ingombranti provenienti dai fabbricati o da altri insediamenti
civili in genere (2/a);
2) i rifiuti ingombranti, quali beni di consumo durevoli, di arredamento, di
impiego domestico, di uso comune, provenienti da fabbricati o da altri
insediamenti civili in genere;
3) i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree
pubbliche o sulle strade ed aree private, comunque soggette ad uso pubblico o
sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi……
13 Art. 9 (Divieto di abbandono dei rifiuti):
È vietato l’abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in
aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico.
In caso di inadempienza il sindaco, allorché sussistano motivi sanitari,
igienici od ambientali, dispone con ordinanza, previa fissazione di un termine
per provvedere, lo sgombro di dette aree in danno dei soggetti obbligati.
Ferme restando le disposizioni contenute nella legge 10 maggio 1976, n. 319, e
successive modificazioni, è fatto divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi
genere nelle acque pubbliche e private.
14 V. PAONE, Il divieto di abbandono dei rifiuti, Ambiente,
IPSOA, 1998, n. 2, pag. 137; S. D’ANGIULLI, La responsabilità del proprietario
di un’area inquinata tra il D.P.R. n. 915/82 e D.Lgs. n. 22/97, Ambiente,IPSOA,
1999, n. 3, pag. 270; S. RUFFILLI, Siti inquinati: Quali responsabilità per
l’acquirente? , Ambiente,IPSOA, 1999, n. 7, pag. 628; P. GIAMPIETRO, Rimozione
dei veicoli abbandonati da parte degli enti competenti, Ambiente, IPSOA, 2000,
n. 10, pag. 1040; L. PRATI, Danno ambientale, inquinamento da rifiuti e
responsabilità ripristinatorie, Ambiente, 1999, n. 5, pag. 443; F. GIAMPIETRO,
Bonifica dei siti contaminati: prime note sul regolamento n. 471/99,
Ambiente,IPSOA, 2000, n. 2, pag. 270; M. SANTOLOCI, La responsabilità soggettiva
nella procedura per la bonifica dei siti contaminati, Ambiente&Sicurezza, Il
Sole24Ore Pirola, 2000, n. 11, pag. 25; L. MASIA, La corretta applicazione degli
articoli 14 e 17 del D.Lgs. n. 22/97, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola,
2000, n. 13, pag. 83; T. MAROCCO, Bonifica e ripristino ambientale dei siti
inquinati: la giurisprudenza delimita i criteri di imputazione della
responsabilità, Riv. Giur. Amb., 2001, pag. 490; C. PARODI, Gestione dei rifiuti
e responsabilità dei proprietari, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola, 2001,
n. 12, pag. 87; R. MANGANO, Abbandono dei rifiuti nelle aree protette, Ambiente,
IPSOA, 2002, n. 4, pag. 344; L. BUTTI F. PERES, Abbandono illecito di rifiuti
sul terreno: quali conseguenze per il proprietario?, Ambiente&Sicurezza, Il
Sole24Ore Pirola, 2005, n. 13, pag. 25.
15 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 21
dicembre 1993, n. 1051
16 Disposti ad accontentarci anche di una stragrande
maggioranza.
17 Ma solo e soltanto per errori procedurali, in cui è incorso
il giudice di prime cure.
18 E su questo aspetto torneremo nel prosieguo, alla sezione
11.
19 A mero titolo di completezza, con la successiva sentenza del
settembre 2005 lo stesso tribunale ha individuato e riconosciuto la colpevolezza
dei proprietari.
20 Così come per l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere,
allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee
21 In presenza della quale il soggetto, qualora l’evento abbia
a verificarsi, può esserne ritenuto responsabile (dell’evento) anche a titolo di
concorso con l’autore materiale
22 Art. 14 (Divieto di abbandono).
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono
vietati.
2. E’ altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato
solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51,
chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla
rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le
operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il
quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero
delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito di cui al comma 1 sia imputabile
ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica, ai sensi e per gli
effetti del comma 3 sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che
subentrano nei diritti della persona stessa.
23 Concernente la rimozione di rifiuti abbandonati o
incontrollatamente depositati sul suolo.
24 Concernente la bonifica ed il ripristino di siti inquinati.
25 Dell’immobile che, in questo caso, è da “bonificare” e non
solo da “rimettere in pristino”.
26 Al comma 10 di tale articolo.
27 Al successivo comma 11
28 Dato che il rimedio ad un danno cagionato da soggetti non
identificabili dovrebbe far capo alla collettività e non al singolo soggetto
che, forse, più di altri viene ad essere pregiudicato dalla contaminazione
riscontrata.
29 Concisamente deducibile dalla sentenza T.A.R. UMBRIA, 11
maggio 2005, n. 263.
30 Prof. Avv. Paolo Dell’Anno
31 Sempre nel caso di proprietario incolpevole ed autore ignoto
32 Limitatamente al valore dell’immobile
33 Reperibile sul sito del proprio Studio Legale Ambientale
www.giampietroambiente.it
34 Che costituisce conferma della sentenza T.A.R. Toscana, sez
II, 22 marzo 2002, n. 619.
35 Trattatasi di stabilimento presidiato giorno e notte e
dotato anche di telecamere per la vigilanza all’esterno.
36 «Danno cagionato da cosa in custodia»: ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi
il caso fortuito.
37 Con sanzioni amministrative, in quanto viola una norma di
tutela ambientale in danno della collettività che ripone la responsabilità del
proprietario o del conduttore di un’area per il danno causato all’ambiente
dall’abbandono incontrollato di rifiuti.
38 Oltre ad aver negato che l’art. 14 prima richiamato,
interpretato alla stregua dei principi comunitari, possa determinare, quanto al
dovere di vigilanza, un’inversione dell’onere della prova che si andrebbe a
collocare in capo al proprietario del terreno.
39 E su questo torneremo a trattare nel commentare la sentenza
che di seguito viene riportata.
40 Che ha statuito la riforma dell’ordinanza T.A.R. Basilicata,
09 febbraio 2005, n. 53
41 Motivando con il fatto che il comune non avesse provato uno
specifico comportamento colposo da parte della Provincia e non ritenendo
sufficiente la generica “culpa in vigilando”.
42 E questa è la connotazione che attribuisce carattere di
specialità a questo caso rispetto al precedente
43 Con cui è stata riformata la sentenza T.A.R. Lombardia, sez.
I, 23 giugno 1997, n. 1026.
44 Che, senza alcuna ombra di dubbio, non erano i produttori
dei rifiuti.
45 Valevole già per il D.P.R. 915/82 e riconfermato dall’art.
14 del decreto legislativo 5.2.1997 n.22 (che risulta successivo alla vicenda in
esame).
46 Che in questo caso avrebbe avuto una funzione concreta e
specifica e non astrattamente preventiva come si intende nell’asserto riportato
alla lettera “c.” della parte dedicata all’ordinaria diligenza, in sezione 11.
47 Con potenziale conseguente riduzione delle spese da porre a
carico dei proprietari
48 Si pensi che anche un rifiuto speciale pericoloso,
abbandonato da ignoti di fianco ad un cassonetto per la raccolta dei rifiuti
solidi urbani, deve essere considerato, ai fini della raccolta, come rifiuto
urbano, da smaltirsi, successivamente, in tutta conformità alle precipue e
specifiche caratteristiche di pericolosità.
49 V. PAONE, Il divieto di abbandono dei rifiuti, Ambiente,
IPSOA, 1998, n. 2, pag. 138
50 TA.R. Abruzzo, 1° dicembre 1994, n. 816
51 Ci riferiamo allo schema unico di decreto legislativo per il
riordino della legislazione in materia di gestione dei rifiuti, bonifiche, VIA/VAS/IPPC
e danno ambientale in fase di approvazione.
52 Che riforma la sentenza T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n.
452
53 Riguardo al famoso TESTO UNICO AMBIENTALE (ovvero lo schema
di decreto legislativo recante norme in materia ambientale) si ricorda come
tutto abbia preso il via con l’approvazione della legge 15 dicembre 2004 n. 308,
sulla cui scorta – attraverso una serie di passaggi che volutamente si omettono
in questa sede – si è giunti alla stesura di un unico schema di decreto
legislativo, di 318 articoli e 45 allegati. Schema licenziato dall’apposita
Commissione ed approvato, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri lo
scorso 18 novembre 2005. Nella scaletta delle previsioni, sarà poi la volta
della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, delle Commissioni
ambiente di Camera e Senato, per poi tornare nuovamente al Governo che, entro 45
giorni dal parere delle Commissioni, dovrà apportarvi le modifiche ed ottenere,
entro ulteriori 20 giorni, il parere definitivo delle stesse, al fine di poter
provvedere all’approvazione finale per consentirne l’emanazione.
Tutti i riferimento a tale T.U. si basano sulla bozza reperita in concomitanza
del comunicato stampa, diramato il 18 novembre 2005 dal Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio, in cui lo stesso viene definito come la “Magna
Charta” dell’ Ambiente.
54 Situato nella Parte IV, «norme in materia di gestione dei
rifiuti e di bonifica dei siti inquinati», al Titolo I «Gestione dei rifiuti»,
Capo I «disposizioni generali». – ARTICOLO 192 - DIVIETO DI ABBANDONO
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono
vietati.
2. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato
solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256,
chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla
rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa grave, in base agli accertamenti effettuati,
in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al
controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie
ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in
danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad…….
55 Che riforma la sentenza T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n.
692
56 Mostrando l’Ente locale, di non aver ricercato i
responsabili degli abusi nonostante l’azienda avesse in passato provveduto alla
denunzia alle autorità competenti di detti episodi e avesse debitamente
recintato i fondi
57 Che riforma quella del T.A.R. Piemonte, sez I, 26 marzo
2003, n. 462.
58 Senza che però sia da considerare legittima l’imposizione
alla stessa della rimozione dell’intera discarica formatasi, gravando, l’obbligo
di ripristino della restante area, anche sui proprietari delle aree adiacenti
59 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez I, n. 25 del
4.1.1999
60 Confermando la sentenza T.A.R. Puglia, sez. III, 23
settembre 2004, n. 4178, con cui, a propria volta, in primo grado, era stato
respinto il ricorso
61 Sarebbe stato preferibile che ci si fosse riferiti
all’eliminazione di un pericolo, costituito dai rifiuti, dalle fibre di amianto
e dalle strutture pericolanti
62 Che conferma il T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 13 agosto
1997, n. 869
63 Cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1991, n. 1137, che riprende
la Sez. V, 16 luglio 1960, n. 520; v. anche Cons. Stato, I, parere 7 aprile
1993, n. 2032/90
64 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez I, 28 aprile
1994, n. 899
65 T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003, n. 290
66 A parte gli obblighi di ordinaria e straordinaria
manutenzione (questi sì, sicuramente gravanti sul proprietario del fondo)
67 Conferma della sentenza n.761/1997 del T.A.R. Veneto sezione
prima
68 Che conferma la sentenza T.A.R. VENETO, Sez. III - 09 maggio
2002, n. 2118
69 Di contingibilità ed urgenza
70 Che riforma la sentenza T.A.R. Piemonte, sez II, 27
settembre 1994, n.407
71 T.A.R. Liguria, Genova, Sez I, n. 731/2002
72 Site sulle carreggiate stradali del sovrappasso della linea
ferroviaria Mantova
73 Carcasse di elettrodomestici, lavandini, calcinacci,
ferraglie, carcasse e resti di veicoli, materiali di risulta, cumuli di
immondizia, siringhe usate
74 T.A.R. Lazio, Latina - 12 marzo 2005, n. 304 e T.A.R.
Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398
75 Risultando esclusa la legittima sussumibilità dei rifiuti
stessi nel compendio fallimentare (rispetto alla quale potrebbero venire in
considerazione eventuali profili di responsabilità di carattere meramente
gestorio in capo al curatore)
76 Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 01 agosto 2001, n. 1318.
77 Con cui era stato imposta, al soggetto risultante avere la
qualità di proprietario di una certa area, la pulizia del fondo mediante la
rimozione dei rifiuti abbandonati, nonché l’esecuzione di tutti gli interventi
necessari per il ripristino dell’igienicità e salubrità dello stesso
78 Anche attraverso un complesso di aree di servizio, stazioni
di comando, pozzetti di accesso, vasche di regolamentazione del flusso d’acqua,
etc.
79 Avendo rilevato che il loro utilizzo era consentito ad un
limitato novero di soggetti (in primo luogo, gli addetti del Consorzio ed in
secondo luogo i proprietari dei fondi interclusi)
80 Come accennato in precedenza nell’apposita parte dedicatavi
nella sezione 7
81 Definiti dal T.A.R. un complesso di poteri e di diritti in
tutto assimilabili a quelli del titolare di diritti di consistenza reale ovvero
assimilabili a quelli personali di godimento
82 “Consorzio speciale per la bonifica di Arneo – Strada di
servizio – Divieto di accesso”
83 N.d.r.: e noi siamo tanto d’accordo da averlo ben motivato
nella parte «Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di abbandono»
situata nella precedente sezione 7
84 “mediante la rimozione dei rifiuti ivi abbandonati previa
caratterizzazione degli stessi”, nonché “all’esecuzione di tutti gli interventi
necessari per il ripristino dell’igienicità e della salubrità degli stessi”
85 Prof. Avv. Pasquale Giampietro
86 E continuiamo a riferirci alla risposta fornita, dal Prof.
Pasquale Giampietro, al quesito : «E’ consentito adottare una ordinanza
d’urgenza per disporre la "messa in sicurezza" di un sito, senza aver prima
accertato l’avvenuto sfondamento (o pericolo di sfondamento) dei valori limite
di accettabilità consentiti dal D.M. 471/1999? Come si assolve l’obbligo di
motivazione di siffatta ordinanza?», reperibile sul sito del proprio Studio
Legale Ambientale www.giampietroambiente.it
87 Continuano ad essere considerazioni mutuate dal pregevole
lavoro di cui alla nota precedente
88 Continua a dirci il precitato Giurista e Maestro
89 Atti dei quali essa non potrebbe rispondere e contro cui non
vi sarebbero rimedi a tutela del destinatario
90 Questo è quanto si ricava dalle rigorose ed encomiabili
conclusioni del Prof. Pasquale Giampietro
91 Si deduce dal testo della sentenza che si sia trattato di un
lapsus calami
92 Solo un orientamento nettamente minoritario aveva invece
sostenuto – nella vigenza del DPR 915/1982– la sufficienza del rapporto tra il
soggetto ed il bene (cfr., ad es., T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 22 maggio 1995,
n. 241 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 9 giugno 1983, n. 237)
93 Di cui si è riferito al punto « Sono queste le uniche
sentenze veramente contrarie ?» della precedente sezione 7.
94 E si riferisce alla Cass. sez. 3^ 26 settembre 2002 n.
32158. Ponzio rv. 222420
95 Cfr. Cass. sez. 3a 9 gennaio 2003 n. 2054 in Ambiente 2003,
882, e Cass. sez. 1a 15 dicembre 1995 n. 12431, Insinua rv. 203332 cui adde
Cass. sez. 3 a 3 ottobre 1997 n. 8984, Gangemi rv. 208624 fra tante
96 Che conferma T.A.R. Puglia, Bari, sez.III, 23 settembre
2004, n. 4178, concernente un caso particolare di ordinanza contingibile ed
urgente a seguito di incendio.
97 Che conferma T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 13 agosto 1997,
n. 869, concernente un caso particolare di ordinanza contingibile ed urgente a
seguito di un principio di incendio.
98 Che conferma T.A.R. Veneto, sez. I, n.761/1997, concernente
la presenza di sterpaglie e ratti in un’area
99 Che riforma l’ordinanza T.A.R. Basilicata, 09 febbraio 2005,
n. 53, apparentemente contraria ma spiegabile;
100 Che riforma T.A.R. Lombardia, sez I, 23 giugno 1997, n.
1026. apparentemente contraria ma spiegabile;
101 Che riforma T.A.R. Toscana, sez II, 22 marzo 2002, n. 619;
102 Che riforma T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n. 452:
103 Che riforma T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n. 692;
104 Che annulla T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre
2003, n. 888;
105 Che annulla T.A.R. Friuli Venezia Giulia 26 gennaio 2004,
n. 12;
106 Che riforma T.A.R. Piemonte, sez I, 26 marzo 2003, n. 462;
107 Che conferma T.A.R. Lombardia, sez I, 4 gennaio 1999, n.
25;
108 Che conferma T.A.R. Veneto, Sez. III, 09 maggio 2002, n.
2118;
109 Che riforma T.A.R. Piemonte, sez II, 27 settembre 1994, n.407;
110 Che riforma T.A.R. Lombardia, sez I, 28 aprile 1994, n.
899;
111 Concernente provvedimento contingibile ed urgente e
confermata da CdS;
112 Concernente provvedimento contingibile ed urgente e
confermata da CdS;
113 Sostanzialmente favorevole, cfr. con quanto detto in
occasione del commento a CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153.
114 Confermata da CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935.
115 Il Comune di Brioso non si è costituito nel giudizio di
appello.
116 Concernente l’ordine di presentazione di un progetto di
bonifica, senza che l’appellato proprietario dell’area si sia costituito in
giudizio.
117 Di cui si è ampiamente trattato nella sezione 8;
118 Che richiama però le stesse motivazioni della sentenza
T.A.R. Friuli, 29 settembre 2000, n. 692 (che, ricordiamo, è stata riformata
dalla sentenza CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136)
119 Concernente provvedimenti considerati, a torto o a
ragione, contingibili ed urgenti per tutela della salute ed incolumità delle
persone.
120 Che si rifà a sentenze del CdS riferibili a casi ben
diversi, di cui si è ampiamente trattato.
121 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V,
30 dicembre 2004, n. 8295
122 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez.
V, 25 gennaio 2005, n. 136.
123 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V,
08 febbraio 2005, n. 323.
124 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V,
20 gennaio 2003, n. 168.
125 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V,
02 aprile 2001 n. 1904.
126 Per la sussistenza del reato colposo occorre: • che la
condotta sia attribuibile alla coscienza e volontà del soggetto (art. 42, comma
1); • che manchi la volontà dell’evento, in quanto tale volontà caratterizza il
dolo; • che il fatto sia dovuto ad imprudenza, negligenza, imperizia o
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
127 Art. 1176: Diligenza nell’adempimento. — Nell’adempiere
l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività
professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura
dell’attività esercitata.
128 Art. 2050: Responsabilità per l’esercizio di attività
pericolose. — Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività
pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al
risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il
danno.
129 Art. 2054: Circolazione di veicoli. — Il conducente di un
veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a
persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto
tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno
dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli
veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con
patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non
prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei
danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
130 CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935; T.A.R. Umbria, 11
maggio 2005, n. 263; T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582; T.A.R.
Toscana n. 2147/02; T.A.R. Sicilia – Palermo n. 1314/02; T.A.R. Piemonte n.
27/02), di talchè non rientra (T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582
131 Come può testimoniare chiunque ama an¬da¬re per campi e
boschi
132 T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582
133 A tale proposito, è sufficiente ricordare che la chiusura
di un fondo costituisce una facoltà e non un obbligo del proprietario (art. 841
c.c.)
134 T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 2 febbraio 2005, n. 435, di
cui si è ampiamente trattato
135 Adeguandosi all’improprio uso del termine da considerare
in senso atecnico rispetto alla previsione ex-art. 17 D.Lgs. 22/97.
136 Il cui testo è riportato nella nota 54.
137 Per difficoltà tecnico-gestionali, se non per la
tentazione di ampliare i margini di profitto riducendo i costi legati alla
protezione ambientale
138 ART. 50 (Abbandono di rifiuti)
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 51, comma 2, chiunque, in
violazione dei divieti di cui agli articoli 14, commi 1 e 2, 43, comma 2, 44,
comma 1, e 46, commi 1 e 2 abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle
acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa
pecuniaria da € 103,29 a € 619,75. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda
rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione amministrativa
pecuniaria da € 25,82 a € 154,94.
1 bis. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della
succursale della casa costruttrice, che viola le disposizioni di cui
all’articolo 46, comma 5, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
€ 258,23 a € 1549,37.
2. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 14,
comma 3, o non adempie all’obbligo di cui agli articoli 9, comma 3, è punito con
la pena dell’arresto fino ad un anno. Con la sentenza di condanna per tali
contravvenzioni, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice
di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può
essere subordinato all’esecuzione di quanto stabilito nell’ordinanza o
nell’obbligo non eseguiti.
139 ARTICOLO 255 ABBANDONO DI RIFIUTI
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in
violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma
2 e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque
superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
centocinque euro a seicentoventi euro. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo
riguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da venticinque euro a centocinquantacinque euro.
2. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della
succursale della casa costruttrice che viola le disposizioni di cui all’articolo
231, comma 5 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro
duecentosessanta a euro millecinquecentocinquanta.
3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192,
comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito
con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella
sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il
beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla
esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3,
ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.
140 Come ben ci ricorda il Prof. Avv. Pasquale Giampietro
141 Così le qualifica, in maniera ineccepibile, il Prof. Avv.
Pasquale Giampietro nel lavoro richiamato alla nota 86.
142 • rimozione ed avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti
– ai sensi dell’art. 14 più volte rammentato –; • imposizione di operazioni di
messa in sicurezza, caratterizzazione dei luoghi e bonifica del sito ai sensi
del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (art. 8).
143 “diffida alla adozione dei necessari interventi di messa
in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale”
144 Come si è visto trattando della sentenza CdS, Sez VI, 05
settembre 2005, n. 4525.
145 Gravando su di lui l’onere reale e l’esposizione al
privilegio speciale immobiliare e generale mobiliare che garantisce il credito
del comune – ex-art. 17, comma 9, del decreto Ronchi – per le spese di bonifica
affrontate in sostituzione dei “responsabili della contaminazione” ove questi
non provvedano o non siano individuabili
146 T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 26 gennaio 2000, n. 292;
T.A.R. Basilicata, 23 settembre 1999, n. 385; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 5
febbraio 1999, n. 286 e 3 dicembre 1998, n. 3640; T.A.R. Emilia-Romagna,
Bologna, sez.I, 19 febbraio 1998, n. 64 e sez. II, 4 ottobre 1999, n. 490;
T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488.
147 Rifacendosi all’interessantissimo intervento del Prof.
Avv. Paolo Dell’Anno, presentato al convegno dell’Associazione GIURISTI
AMBIENTALI «Bonifica dei siti contaminati e responsabilità per danno
all’ambiente – alla luce della Direttiva 35/2004/CE e del Decreto Unico
Ambientale» tenutosi in Roma, Melià Roma Aurelia Antica, lo scorso 15 dicembre
2005.
148 Il quale, a dire il vero, più che di un principio assume
le sembianze di una « fine»….. per la logica e per il buon senso.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 11/1/2006