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IL CANONE PER L'EROGAZIONE D'ACQUA POTABILE AD USO DOMESTICO.

Nota a sentenza del Giudice di Pace di Castellamare del Golfo del 16.07.2004

Gaetano Spatafora

 

 

 

Il contratto di erogazione di acqua è un normale contratto di somministrazione, avente natura privatistica e pertanto soggetto alla disciplina del codice civile, con la conseguenza che la pretesa del Comune, basata su un consumo minimo presunto o a “forfait” è illegittima.


Lo ha stabilito il Giudice di Pace di Castellammare del Golfo, Prof. Francesco Ditta, con la sentenza del 16/07/2004, accertando la condotta illegittima del Comune di Calatafimi Segesta, di far pagare indistintamente per ogni utenza idrica, lo stesso importo indipendentemente dal fatto che vi sia o meno un consumo di acqua.


Con la suddetta sentenza, l’attento Giudice, ha statuito che il prezzo della fornitura deve essere commisurato all’effettivo consumo e non può essere fissato secondo criteri meramente presuntivi che prescindano totalmente dalla situazione reale e si appalesino, pertanto, illogici.


Inoltre, il Giudice di Pace, ha stabilito che i canoni di depurazione e fognatura e il canone per la fornitura di acqua potabile hanno natura privatistica costituendo il corrispettivo del servizio idrico integrato.


Il Giudice adito, uniformandosi alle pronunzie della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 38 del 5/2/1999), ha ritenuto che anche le controversie attinenti al quantum dei canoni di depurazione e fognatura, pur se precedenti al 31/12/1998, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario ove il debitore si limiti, a contestare l’an e il quantum della pretesa senza investire direttamente i provvedimenti inerenti alla formazione ed alla modificazione delle relative tariffe.

 

 

Con riferimento al canone per l'erogazione d'acqua potabile ad uso domestico, si rileva che il corrispondente credito del Comune non può trovare titolo in una potestà impositiva, ancorché sia esercitabile con gli strumenti propri delle entrate tributarie (ruolo e cartella esattoriale), ma configura il corrispettivo pattuito in un rapporto contrattuale su basi paritetiche.


A conforto di tale principio, con il quale si è dato continuità ad univoco e consolidato indirizzo delle Sezioni unite (v., fra, sent. 30 giugno 1999 n. 371, 25 ottobre 1999 n. 752, 13 aprile 2000 n. 133 e 24 luglio 2000 n. 520,) le stesse hanno osservato:


- che la fornitura di acqua potabile per impiego domestico ha origine negoziale, ricollegandosi la formazione del consenso alla richiesta del singolo utente ed all'accettazione dell'ente che espleta il servizio;
- che la natura del canone di corrispettivo contrattuale, non di prelievo tributario, non viene meno per il fatto che il relativo ammontare sia soggetto, oltre che alle clausole del singolo rapporto d'utenza, alle regole generali fissate da norme di legge e di regolamento e da provvedimenti amministrativi in tema di predisposizione delle tariffe, trattandosi di situazione compatibile con il carattere privatistico del rapporto, e peraltro tipica dell'inserimento di esso nell'ambito di un servizio di pubblico interesse; Cassazione civile, SEZIONI UNITE, 9 agosto 2001, n. 10976.


Con le modifiche intervenute nella disciplina del canone o diritto di fognatura e depurazione delle acque (l. n. 36 del 1994, n. 172 del 1995 e 549 del 1995), l'ente gestore dell'acquedotto ha il compito di rilevare i volumi del consumo dell'acqua potabile, sia ai fini del relativo canone, che di quello di fognatura e di depurazione, con la potestà di procedere alla riscossione di tutti i canoni sopraindicati nei termini e secondo le modalità previste per il canone dell'acqua. (Comm.trib. prov.le Novara, sez. II, 21 gennaio 2000, n. 1).


Tra l’utente ed il Comune, intercorre un contratto di somministrazione di acqua potabile, con prestazione continuativa, art. 1559 C.C., posto in essere con adesione ad un contratto con moduli prestampati predisposti da una parte contraente (artt. 1341-1342 C.C.), a cui il soggetto è obbligato a sottostare per potere avere la fornitura del servizio. A detto contratto si applicano anche gli artt. 1560-1562-1563 C.C.. Intercorre, quindi, tra le parti, un contratto di natura privata, con prestazioni corrispettive (art. 1553 C.C.): alla somministrazione dell’acqua potabile da parte del Comune corrisponde il pagamento del dovuto da parte dell’utente. Il canone per la fornitura dell’acqua potabile, quindi, rappresenta il corrispettivo di un servizio commerciale reso dal Comune in regime di privativa ed i canoni e le tariffe sono determinate nella misura da coprire i relativi costi di gestione del sevizio. I canoni dell’acquedotto vengono qualificati ai sensi della circolare 4/4675 del 10.12.1998 come “corrispettivo di un servizio commerciale reso dal comune in regime di privativa” quindi si esclude la loro natura tributaria e si qualificano come entrate patrimoniali.


Ne discende che le prestazioni di acqua non possono essere quantificate con metodi induttivi, ad abbonamento, o con sistema “consumo presunto”, poiché così facendo verrebbe alterato il vincolo di sinallagma, sottoso ai contratti con prestazioni corrispettive.


La circolare 2.10.2000 n. 177 del ministero, richiamando il d.lgs 152 dell'11.05.1999 precisa che, per quanto concerne la tariffa di depurazione, essa ha natura tributaria fino al 31.12.1998. Pertanto fino a tale data essa sola è dovuta indipendentemente dal servizio prestato(tariffa di depurazione e non acqua consumata, in quanto quest’ultima viene già considerata in se tariffa e dovuta solo se ed in quanto consumata).


Dal 01.01.1999 il canone diventa tariffa a tutti gli effetti, e può essere addebitato solo in presenza della effettiva erogazione del servizio.


Violazione e falsa applicazione dell’art 3 cost.:

Facendo pagare a tutti i cittadini uguale importo per il consumo di acqua, il Comune viola la norma citata in quanto non ha attuato il principio di uguaglianza che la Carta costituzionale impone, anzi lo ha stravolto. Invero, il principio non può significare assoluta parità di trattamento anche perché, se così fosse, contraddirebbe se stesso. E’ evidente che intanto il principio può dirsi integralmente applicato in quanto la legge tratti in maniera uguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni diverse. Nel caso sottoposto all’attenzione del Giudice di Pace di Castellammare del Golfo, invece, il Comune trattava situazioni diverse, ovvero consumi di acqua differenti, in maniera uguale facendo pagare a tutti lo stesso importo, finendo così per violare anche l’obbligo di giustizia.


Il principio di uguaglianza sostanziale richiamato dal II° comma della norma costituzionale violata, ha carattere programmatico, ciò vuol dire che esso si indirizza non soltanto al legislatore ma anche agli altri Enti, nel caso che a noi interessa agli enti locali, e li impegna a porre in essere tutte le misure idonee a conseguire i fini da esso indicati. Per cui i destinatari della norma sono chiamati ad osservarla, nell’esercizio del loro potere discrezionale.


Violazione degli obblighi contrattuali:
Nel caso di specie tra l’attore ed il Comune, intercorre un contratto di somministrazione di acqua potabile, con prestazione continuativa, art. 1559 C.C., posto in essere con adesione ad un contratto con moduli prestampati predisposti da una parte contraente (artt. 1341-1342 C.C.), a cui il soggetto è obbligato a sottostare per potere avere la fornitura del servizio. A detto contratto si applicano anche gli artt. 1560-1562-1563 C.C.. Intercorre, quindi, tra le parti, un contratto di natura privata, con prestazioni corrispettive (art. 1553 C.C.): alla somministrazione dell’acqua potabile da parte del Comune corrisponde il pagamento del dovuto da parte dell’utente. Il canone per la fornitura dell’acqua potabile, quindi, rappresenta il corrispettivo di un servizio commerciale reso dal Comune in regime di privativa ed i canoni e le tariffe sono determinate nella misura da coprire i relativi costi di gestione del sevizio.I canoni dell’acquedotto vengono qualificati ai sensi della circolare 4/4675 del 10.12.1998 come “corrispettivo di un servizio commerciale reso dal comune in regime di privativa” quindi si esclude la loro natura tributaria e si qualificano come entrate patrimoniali.


Ne discende che le prestazioni di acqua non possono essere quantificate con metodi induttivi, ad abbonamento, o con sistema “consumo presunto”.


L’erogazione dell’acqua è considerata ai fini IVA attività commerciale anche se esercitata da Enti Pubblici, con conseguente necessità di procedere alla fatturazione dei consumi reali, all’applicazione del controvalore dei medesimi dell’IVA, nonché ad altre conseguenze formali e sostanziali derivanti dall’inserimento della somministrazione di acqua tra le operazioni imponibili.(art. 4 comma quinto del DPR 26/10/72 n. 633).


Con le modifiche intervenute nella disciplina del canone o diritto di fognatura e depurazione delle acque (l. n. 36 del 1994, n. 172 del 1995 e 549 del 1995), l'ente gestore dell'acquedotto ha il compito di rilevare i volumi del consumo dell'acqua potabile, sia ai fini del relativo canone, che di quello di fognatura e di depurazione, con la potestà di procedere alla riscossione di tutti i canoni sopraindicati nei termini e secondo le modalità previste per il canone dell'acqua. (Comm.trib. prov.le Novara, sez. II, 21 gennaio 2000, n. 1).

 

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Ufficio del Giudice di Pace di Castellammare del Golfo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice di Pace di Castellammare del Golfo, prof. Francesco Ditta ha emesso la seguente


SENTENZA


Nella causa civile iscritta al n. 96 del Ruolo Generale – Affari Contenziosi Civili – dell’anno 2003, avente per oggetto “Opposizione avverso ordinanza ingiunzione di pagamento Prot. N. 682 e 683 del 18/06/2003 Comune di Calatafimi Segesta”, promossa
DA
S.V., nato a Calatafimi il ***, ivi residente, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Lentini del foro di Marsala, giusta delega a margine dell’atto introduttivo del giudizio
Opponente
Contro
Comune di Calatafimi Segesta, in persona del Sindaco pro tempore
Convenuto contumace
All’udienza del 9/07/2004 il solo procuratore dell’opponente ha così concluso: “Ritenere e dichiarare, con ogni e qualsiasi statuizione, nulli i provvedimenti impugnati per tutti i motivi indicati nel corso del giudizio o anche per uno solo di essi, e conseguentemente statuire che il Comune di Calatafimi Segesta nulla vanta nei confronti del ricorrente. In via subordinata e senza recedere dalla superiore, ritenere e dichiarare che il credito vantato per gli anni che arrivano fino la 1998 è prescritto.


Con vittoria di spese, competenze ed onorari come da nota spese allegata ”


Fatto e svolgimento del giudizio


Con atto depositato in cancelleria in data 17/09/2003, S.V. proponeva ricorso avverso le ingiunzioni in epigrafe emesse dal Comune di Calatafimi Segesta per la riscossione dei canoni relativi al servizio ifrico integrato degli anni 1994 – 1995 – 1996 – 1997 – 1998.


All’udienza di prima comparizione delle parti, il convenuto Comune restava contumace né si costituiva tardivamente alle successive udienze.


Il ricorrente eccepiva la prescrizione per i canoni relativi agli anni 1994 – 1995 e 1996.


Rappresentava altresì che il Comune non aveva effettuato alcuna fornitura di acqua in quanto la pretesa del Comune riguardava una di civile abitazione disabitata da tempo e veniva fatta valere sulla base di consumi presuntivi o a “forfait” e non sulla base delle “letture” del contatore.


Acquisiti al fascicolo di parte i documenti prodotti dal ricorrente ed assunte le prove testimoniali ammesse con ordinanza del 19/03/2004, il solo procuratore dell’attore concludeva come in epigrafe e la causa veniva posta in decisione all’udienza del 9/07/2004.


Motivi della decisione


Va preliminarmente dichiarata la contumacia del convenuto Comune di Calatafimi Segesta che non si è costituito in giudizio.


Ciò premesso deve essere rilevato che, nel sistema attuale, i canoni di depurazione e fognatura e il canone per la fornitura di acqua potabile hanno natura privatistica costituendo il corrispettivo del servizio idrico integrato. Fino alla data del 31/12/1998, invece, i canoni di depurazione e fognatura assumevano natura tributaria e potrebbe pertanto sorgere il dubbio che la controversia non rientri nella giurisdizione del giudice ordinario.


Tuttavia, conformemente all’insegnamento della Suprema Corte (Cass. Sez. unite 5/2/1999 n. 38), è da ritenere che anche le controversie attinenti al quantum dei canoni di depurazione e fognatura, pur antecedenti al 31/12/1998, rientrino nella giurisdizione del giudice ordinario ove il debitore si limiti, come nel caso de quo, a contestare l’an e il quantum della pretesa senza investire direttamente i provvedimenti inerenti alla formazione ed alla modificazione delle relative tariffe.


Affermata la propria giurisdizione a conoscere della lite così come incardinata dall’attore, il giudicante rileva che la sollevata eccezione di prescrizione dei canoni relativi agli anni 1994-95 e 96 deve essere rigettata.


Dalla documentazione versata in atti, risulta infatti provato che il Comune di Calatafimi Segesta ha provveduto ad interrompere il corso della prescrizione quinquennale con apposite diffide di pagamento notificate in data 3/09/99 e in data 7/06/2001.


Nel merito, le prove versate in atti hanno confermato che la casa di civile abitazione in cui sarebbe stata effettuata la fornitura di acqua, pervenuta al ricorrente per successione ereditaria, è disabitata da almeno sette o otto anni (testi***) e che il Comune non ha mai accertato l’effettivo consumo di acqua di ogni singola utenza facendo pagare a tutti i cittadini lo stesso importo (testimonianza di **, dipendente comunale responsabile della gestione delle entrate dell’acquedotto del Comune di Calatafimi Segesta).


È però del tutto pacifico in giurisprudenza che il contratto di di erogazione di acqua sia un normale contratto di somministrazione, avente natura privatistica e pertanto soggetto alla disciplina del codice civile, con la conseguenza che la pretesa del Comune, basata su un consumo minimo presunto o a “forfait” è illegittima.


Il prezzo della fornitura deve infatti essere commisurato all’effettivo consumo e non può essere fissato secondo criteri meramente presuntivi che prescindano totalmente dalla situazione reale e si appalesino, pertanto, illogici.


Ora l’ingiunzione di pagamento è stata effettuata al ricorrente nella qualità di erede di ** ed è certamente doveroso che egli debba rispettare gli impegni assunti dalla sua dante causa, tuttavia quand’anche il contratto di fornitura a suo tempo stipulato su formulario predisposto dal comune (testimonianza del dipendente comunale), contenesse una apposita clausola per il pagamento di un minimo contrattuale, questa clausola sarebbe da considerare inefficacie a norma dell’art. 1469 bis c.c..


Per quanto su esposto la domanda attorea è fondata e deve pertanto essere accolta.


Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio


P.Q.M.


IL Giudice di Pace accoglie la domanda attorea; dichiara non dovuto il pagamento di cui alle ingiunzioni del Comune di Calatafimi Segesta prot. 682 Rag. E 683 Rag. Del 18/06/2003, notificate al ricorente nella qualità di erede della sua dante causa.


Compensa tra le parti le spese del giudizio.


Così deciso in Castellammare del Golfo il 16/07/2004
Il Giudice di Pace
Prof. Francesco Ditta