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IL “GIUSTO PROCESSO” NELL’ART. 111, COMMA 1, COST.: NOZIONE E FUNZIONE

 

GIUSEPPE VIGNERA
Magistrato



SOMMARIO: 1. Le modifiche apportate all’art. 111 Cost. dall’art. 1 l. cost. 23 novembre 1999 n. 2. – 2. Le interpretazioni “minimalista” e “massimalista” del “nuovo” art. 111, commi 1 e 2, Cost. – 3. La nozione di “giusto processo” ex art. 111, comma 1, Cost. – 4. (Segue) Nostra opinione: la clausola del “giusto processo” quale “norma di apertura” del sistema delle garanzie costituzionali della giurisdizione.


1. – Le modifiche apportate all’art. 111 Cost. dall’art. 1 l. cost. 23 novembre 1999 n. 2.
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L’art. 111 Cost. nella sua formulazione originaria constava di tre commi, divisanti:
a) il primo la garanzia della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali [1];
b) il secondo quella del ricorso (c.d. straordinario) in Cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale [2];
c) il terzo, infine, i limiti (“per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”) del ricorso in Cassazione avverso le decisioni delle Supreme magistrature amministrative (Consiglio di Stato e Corte dei conti) [3].

L’art. 1 l. cost. 23 novembre 1999 n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione) ha lasciato immutato il testo dei commi predetti, dei quali è cambiata solamente la collocazione nell’ambito dell’art. 111 Cost. (diventandone, rispettivamente, i commi sesto, settimo ed ottavo) a seguito dell’aggiunta di cinque nuovi commi allo stesso articolo.
Di questi nuovi commi, il terzo, il quarto ed il quinto si riferiscono esclusivamente al processo penale [4], mentre il primo ed il secondo riguardano qualsiasi procedimento [5] giurisdizionale (penale, civile, amministrativo, contabile e tributario) [6], attesa la loro formulazione in termini generalissimi.
Infatti, il “nuovo” comma 1 dell’art. 111 Cost. stabilisce che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” [7] ed il “nuovo” comma 2, a sua volta, prevede che “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.


2. – Le interpretazioni “minimalista” e “massimalista” del “nuovo” art. 111, commi 1 e 2, Cost. 
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L’art. 111, commi 1 e 2, Cost. (nuovo testo) ha creato tra gli studiosi del processo civile una strana contrapposizione: a compensare quasi l’altrettanto strana (attesa la materia interessata dall’intervento normativo: quella della giustizia) [8] concordia politica, che “ha condotto il parlamento ad approvare con singolare rapidità ed in assenza di un approfondito dibattito vuoi nelle sedi istituzionali, vuoi nell’ambito scientifico e tra gli operatori della giustizia una riforma costituzionale destinata ad incidere sull’assetto complessivo del sistema giudiziario” [9] [10].
Annichilita da alcuni con un perentorio “niente di nuovo” [11], la riforma de qua è stata, invece, da altri esaltata a tal punto da essere considerata foriera di “nuovi principi costituzionali” concretanti un nuovo “modello processuale” (quello del “giusto processo”), contrapposto alle preesistenti “garanzie procedimentali minime costituzionalmente dovute”[12].
L’abisso esistente tra queste due impostazioni è evidente.
Per la prima, infatti, la formula “giusto processo” ha solo una “intenzione polemica” (“quasi ad insinuare che il processo finora sia stato ingiusto”), “appartiene al folklore delle istituzioni e sarà presto dimenticata” [13], dato che “dall’art. 24, comma 2° Cost., anche nella sua connessione con l’art. 3, sono ricavabili tutte le garanzie enunciate dalla prima parte del nuovo art. 111”: con la conseguenza “che non esiste un solo caso in cui, oggi, si dovrebbe dichiarare l’illegittimità di norme ordinarie per violazione di garanzie costituzionali che non si sarebbe potuta (e dovuta) dichiarare prima. Non esistono norme del processo civile legittime prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 e illegittime dopo” [14].
Alla stregua della seconda impostazione, di contro, “la introduzione nella Carta fondamentale della Repubblica, cinquantadue anni dopo la sua emanazione, di nuovi principi in materia di <<giusto processo>> implica che, in questo periodo il processo, quello penale, quello civile, quello amministrativo, quello tributario e quello contabile, non fossero <<giusti>>” [15] (sic!): con la conseguenza che “non appare scientificamente corretto e, quindi, ammissibile, invocare la giurisprudenza costituzionale anteriore in funzione del giudizio di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87. Quella giurisprudenza, infatti, aveva quale termine di riferimento la Costituzione nel testo anteriore alla legge costituzionale n. 2 del 1999” [16].
A dimostrare l’erroneità di quest’ultima interpretazione basta la considerazione che già prima della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 la nozione di “giusto processo” era ben “presente e vitale” all’interno del nostro sistema costituzionale [17].
Tanto in dottrina [18] quanto in giurisprudenza [19], invero, era stata in più occasioni ravvisata nella norma ex art. 24, comma 2, Cost. (assicurante ex professo il diritto alla difesa) la garanzia dello svolgimento di un “processo giusto”, assegnandosi ad essa (norma) una funzione corrispondente a quella della due process of law clause della Costituzione nordamericana [20].
Quanto testè detto, nondimeno, non ci porta affatto a condividere la prima prospettiva: quella, cioè, del “niente di nuovo”, alla cui stregua l’art. 111, comma 1, Cost. rappresenterebbe una disposizione dal “contenuto innovativo totalmente inesistente”, che “può interessare a breve termine il commentatore politico o lo studioso dei costumi”, ma che invece “non può interessare il giurista positivo” [21].
A nostro avviso, infatti, l’art. 111, comma 1, Cost. è destinato ad avere una funzione centrale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, trattandosi di disposizione dalle indubbie potenzialità espansive.
Per rendersi conto di tutto ciò, occorre ricostruire esattamente la nozione di “giusto processo”, recepita dalla disposizione in parola.


3. – La nozione di “giusto processo” ex art. 111, comma 1, Cost. 
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A tale scopo va osservato, per cominciare, che “<<giusto>> non è qualunque processo che si limiti ad essere <<regolare>> sul piano formale” [22].
Così intesa, per vero, la nuova nozione divisata dall’art. 111, comma 1, Cost. si risolverebbe in una mera tautologia, in una formula retorica priva di qualsivoglia significato e di ogni giustificazione.
Infatti, poiché solo nei confronti di specifici e determinati procedimenti già esauritisi è possibile stabilire se gli stessi siano stati o meno regolari sul piano formale, nel significato suindicato il “giusto processo” null’altro sarebbe che un inutile criterio di valutazione di (concrete) esperienze processuali già compiute.
E’ innegabile, viceversa, che il valore della “giustizia” ex art. 111, comma 1, Cost. deve connotare il modello costituzionale (generale ed astratto) del processo, il quale (data la posizione primaria occupata dalle norme costituzionali nella gerarchia delle fonti) è destinato a condizionare la fisionomia dei singoli procedimenti giurisdizionali elaborati (sempre in via generale ed astratta) dal legislatore ordinario.
In secondo luogo, poi, va detto che non appare condivisibile neppure la tesi, secondo cui il processo può considerarsi “giusto” ex art. 111, comma 1, Cost., “solo in quanto la sua <<regolamentazione per legge>> realizzi pienamente le condizioni previste nel 2° comma, facendo sì che qualsiasi processo si svolga <<nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale>>, con le garanzie <<legali>> di <<ragionevole durata>>”  [23].
Ed invero, se presa alla lettera, codesta nozione di “giusto processo” [24] si rivela incompleta perché estrania da sé tutte quelle garanzie contemplate da altre disposizioni costituzionali [per esempio: quella della motivazione ex art. 111, comma 6 [25], quella del ricorso in cassazione ex art. 111, comma 7 [26], quella del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25, comma 1 [27], il diritto alla prova [28] e il diritto alle misure cautelari [29] ex art. 24, comma 1, Cost.].
Se, di contro, viene intesa estensivamente quale “formula in cui si compendiano i principi che la Costituzione detta in ordine tanto ai caratteri della giurisdizione, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, quanto ai diritti di azione e difesa in giudizio” [30], questa stessa nozione di “giusto processo” si rivela un’inutile superfetazione priva di ogni contenuto normativo [31], rappresentando non già un principio costituzionale autonomo, ma una semplice espressione sintetica del complesso dei valori costituzionali inerenti all’attività giurisdizionale [32].


4. – (Segue) Nostra opinione: la clausola del “giusto processo” quale “norma di apertura” del sistema delle garanzie costituzionali della giurisdizione. 
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La nozione di “giusto processo” espressa dal “nuovo” art. 111, comma 1, Cost., invece, secondo noi ha una portata ben più ampia.
Con essa il legislatore ha voluto introdurre una vera e propria clausola generale destinata a funzionare – per così dire – come “norma di apertura” del sistema delle garanzie costituzionali della giurisdizione, in forza della quale (norma) è destinato a trovare ingresso all’interno di quel sistema qualsiasi principio o potere processuale ritenuto (secondo l’esperienza e la coscienza collettiva) necessario per un’effettiva e completa tutela delle ragioni delle parti [33].
In virtù di tale clausola, quindi, quello delle garanzie costituzionali del processo non può e non deve essere un hortus conclusus, non può né deve essere concepito come un “catologo chiuso” suscettibile tutt’al più di un’auto-integrazione analogica o estensiva: essa (clausola), infatti, rappresenta lo strumento dato alla Corte costituzionale per “arricchire” la gamma delle garanzie processuali, aggiungendo a quelle “tipiche” (enumerate o desumibili dal testo costituzionale positivo) delle componenti garantistiche enucleabili attraverso un’operazione di etero-integrazione [o, se si preferisce, di “giusnaturalismo processuale” [34]], recettiva non tanto o non solo dei principi del processo “equo” disegnati dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950 [35] e dagli altri Accordi internazionali in materia [36], ma anche di quegli eventuali “nuovi” valori di civiltà [o, se si preferisce, “di natura etico-morale e tecnica, insieme” [37]] espressi e/o condivisi dalla collettività (o, se si preferisce, dal Popolo, in nome del quale la giustizia è amministrata: art. 101, comma 1, Cost.).
E’ ben vero che pure in questo significato la garanzia del “giusto processo” e le altre ex art. 111, comma 2, Cost. avrebbero potuto erano desunte in via interpretativa dalle norme della Costituzione [38] e, in modo particolare, dalla direttiva generale di razionalità dell’ordinamento ex art. 3 Cost. [39].
Tuttavia, “la loro cristallizzazione per tabulas, in una sorta di interpretazione autentica, … consente di identificare in modo chiaro ed esplicito i canoni ai quali dichiaratamente intende ispirarsi il nostro ordinamento” [40], evitando per il futuro che il loro riconoscimento venga a dipendere esclusivamente ed estemporaneamente dall’ispirazione di qualche illuminato giurista o dalla saggezza dell’occasionale estensore di qualche sentenza della Consulta.
Per rendere più concreto il discorso testè fatto, infine, possiamo esemplificativamente menzionare il principio del doppio grado di giurisdizione.
Com’è noto, tale principio non solo è generalmente considerato privo di “copertura” costituzionale [41], ma gode di un riconoscimento incompleto pure nel sistema della CEDU, all’interno del quale è esplicitamente previsto in materia penale dall’art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 del 22 settembre 1984, mentre in materia civile è soltanto oggetto di una Raccomandazione del Comitato dei Ministri del 7 febbraio 1995.
Orbene:
Proprio attraverso la “mediazione” della clausola del “giusto processo” il principio de quo potrebbe in futuro “transustanziarsi” in una vera e propria garanzia costituzionale del processo [42], se la Consulta lo riterrà rispondente ad un’istanza eventualmente espressa in tal senso dall’opinione pubblica e/o da concrete esperienze giudiziarie.
Giustamente, pertanto, è stato osservato che, “senza voler predire il futuro, oggi sarebbe comunque sbagliato non dare alcuna valenza all’espressione <<giusto processo>>, come se questa fosse solo un modo sintetico per richiamare le singole garanzie esplicitate nell’art. 111 Cost. In realtà la costruzione della norma impone all’interprete di dare a quell’espressione il valore di un’autonoma garanzia, ancorché indeterminata, solo in una certa misura sostanziata dalle restanti parti dell’art. 111 Cost.” [43].
 

 

 

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 [1] Su tale garanzia rinviamo alle osservazioni da noi fatte in ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino, 1997, 191 ss., dove [previo esame critico della c.d. concezione democratica dell’obbligo costituzionale della motivazione (ravvisante in esso lo strumento per il controllo popolare sull’attività giurisdizionale: in questo senso v. specialmente TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, 370 ss.,
405 ss.) e della c.d. concezione istituzionale dell’obbligo stesso (individuante il profilo funzionale di codesto obbligo nell’effettività del sindacato di legittimità conferito alla Corte di cassazione dallo stesso art. 111 Cost., sindacato che “non sarebbe possibile se le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale non consentissero di ricostruire l’iter logico-giuridico attraverso il quale il giudice è pervenuto alla decisione”: DENTI, La magistratura, IV, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, art. 111-113, Bologna-Roma, 1987, 1, 8-9)] l’obbligo in discorso viene configurato quale condizione minima di effettività del principio di legalità dell’attività giurisdizionale ex art. 101, comma 2, Cost.
[2] Sulla funzione di tale mezzo d’impugnazione (consistente nel garantire pienamente il valore della legalità ex art. 101, comma 2, Cost. nei confronti dei provvedimenti decisori e sulla libertà personale), sul suo oggetto (rappresentato dalla sentenza in senso sostanziale, caratterizzata a sua volta dalla coesistenza dei requisiti della decisorietà e della definitività) e sui motivi deducibili con esso [rappresentati da quelli ex art. 360, nn. 1-4, c.p.c., nonché dal vizio della motivazione sotto i profili dell’inesistenza, della contraddittorietà o della mera apparenza, limitatamente ai casi in cui esso (vizio) risulta dal testo del provvedimento impugnato] rinviamo sempre ad ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 205 ss.
[3] Sul ricorso per cassazione nel sistema della giustizia amministrativa v. BERLATI, “Limiti esterni” della giurisdizione amministrativa e ricorso in Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato, in Arch. civ., 1997, 241; MARINO, Corte di cassazione e giudici “speciali” (Sull’interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 111 Cost.), in Giur. it., 1993, IV, 14.
[4] Le norme attuative di questa parte della riforma costituzionale sono state date con la l. 1° marzo 2001 n. 63 (Modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 Cost.).
[5] Precisiamo subito che nella nostra esposizione il concetto di “procedimento” e quello di “processo” verranno usati promiscuamente, poiché non ci sembra fondata su dati normativi positivi la loro distinzione incentrata sulla mancanza nel primo e sulla presenza nel secondo del contraddittorio tra le parti [in questo senso v. particolarmente FAZZALARI, Diffusione del processo e compiti della dottrina, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 861; Valori permanenti del processo, in Riv. dir. proc., 1989, 10; Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1996, passim, spec. 73 ss.; Processo (teoria generale), Noviss. dig. it., XIII, 1067; “Procedimento e processo (Teoria generale), in Enc. dir., XXXV, 819, spec. 827 ss.; Procedimento e processo (teoria generale), in Digesto, Disc. priv., Sez. civ., XIV, 648, spec. 653 ss. La distinzione tra procedimento e processo nei termini predetti è recepita da PICARDI, Dei termini, in Commentario del codice di procedura civile diretto da Allorio, I, 2, Torino, 1973, 1532 ss., spec. 1544 ss.; La dichiarazione di fallimento dal procedimento al processo, Milano, 1974, passim, spec. 133 ss., 154 ss.].
Assolutamente condivisibile ci pare, infatti, l’osservazione di MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 7, secondo cui “l’unico dato certo, che abbia rilievo per l’interprete del diritto positivo, … par quello che tale diritto non usa la parola <<processo>> per definire procedimenti che non siano giudiziari, più precisamente ove non operi il giudice, e la riserva, prevalentemente, a quei procedimenti giudiziari, le cui funzioni sono giurisdizionali necessarie” (sulle quali v. pag. 17 e ss.).
Per più approfonditi rilievi critici ci permettiamo rinviare a quanto da noi scritto in ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 113-114, nota 7.
[6] Per questa (indiscussa ed indiscutibile, peraltro) opinione v. esemplificativamente BOVE, Art. 111 Cost. e <<giusto processo civile>>, in Riv. dir. proc., 2002, 479, 483-484, secondo cui anzi ai canoni del “giusto processo” devono attenersi pure “la giurisdizione privata, ossia l’arbitrato (rituale), e la giurisdizione straniera, perché esse hanno ormai assunto nel nostro ordinamente piena ed autonoma rilevanza nel momento in cui il legislatore ha statuito l’efficacia del lodo arbitrale e della sentenza straniera a prescindere da ogni atto di recezione del giudice pubblico” (v. per l’arbitrato gli artt. 823, comma 4, 827, comma 2, e 828, commi 1 e 2, c.p.c.; e per le sentenze straniere l’art. 64 della l. 31 maggio 1995 n. 218).
[7] Sulle “imprecisioni od incertezze semantiche” caratterizzanti le disposizioni costituzionali del 1999 v. le perspicue osservazioni di COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, in Riv. dir. proc., 2002, 702, 739-740, il quale esattamente rileva (tra l’altro) che la giurisdizione “non si <<attua>>, ma semmai <<si esercita>> o viene <<esercitata>> dai giudici che ne siano titolari, come è possibile argomentare dall’art. 1 c.p.c.”.
[8] E’ inutile rammentare come attualmente, in tale materia, il dibattito tenda quasi sempre a degenerare nello scontro tra gli opposti schieramenti politici.
[9] COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, in La tutela dei crediti nel giusto processo di fallimento, a cura di Didone e Filippi, Milano, 2002, 1 ss., 5-6.
[10] Sulla genesi ideologico-politica e culturale del “nuovo” art. 111 Cost. v. per tutti COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 710 ss.; TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il <<giusto processo>> in materia civile: profili generali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 381, 383 ss.
[11] V. paradigmaticamente CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di Civinini e Verardi, Milano, 2001, 13 ss.
Nello stesso senso DIDONE, La Corte costituzionale, la ragionevole durata del processo e l’art. 696 c.p.c., in Giur. it., , 2000, 1127, 1128-1129, che tra i sostenitori di tale tesi menziona pure LUISO, Relazione svolta al convegno Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo” in materia civile, Campobasso, 26 febbraio 2000.
[12] V. esemplificativamente COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, cit., 8-9.
[13] CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, cit., 16.
E’ facile rilevare come tale previsione sia stata smentita dai fatti: dopo circa tre anni, invero, sulla riforma in questione il dibattito è pienamente in corso!
[14] CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, cit., 14.
[15] COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, cit., 6.
[16] COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, cit., 9.
[17] Avevamo segnalato tale fenomeno in ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 186-187 (e già prima ne Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino 1990, 167-168).
[18] Cfr. BALLERO, Tutela sostanziale del diritto di difesa e nuovo corso della giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1972, 996, 997; BARILE, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1982, 360; CAPPELLETTI, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale. (Art. 24 Costituzione e “due process of law clause”), in Giur. cost., 1961, 1284, 1286 ss.; MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., 1986, I, 591, 597-598; ID., “Dovuto processo” su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915, 917 ss.; SCAPARONE, Rapporti civili, in Commentario della Costituzione a cura di Branca, art. 24-26, Bologna-Roma, 1981, 82, 84; SERGES, Il principio del “doppio grado di giurisdizione” nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1993, 115 ss.
[19] V. Corte cost. 31 maggio 1996 n. 177, in Foro it., 1996, I, 2278; 20 maggio 1996 n. 155, ivi, 1996, I, 1898; 15 settembre 1995 n. 432, ivi, 1995, I, 3068; 30 aprile 1986 n. 120, ivi, 1986, I, 1753; 22 aprile 1986 n. 102, ivi, 1986, 1762; 26 marzo 1986 n. 66, ivi, 1986, 1496.
Per una completa elencazione delle decisioni della Corte costituzionale richiamanti la nozione di “giusto processo” v. CECCHETTI, Giusto processo (Diritto costituzionale), in Enc. dir., Aggiornamento, V, 595, 597 ss.
[20] In tal senso v. specificamente l’articolo di Cappelletti richiamato nella nota 18.
Sul principio in parola v. COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 714 ss.; RE, Due process of law, in Enc. giur., XII; VIGORITI, Due process of law, in Digesto, Disc. priv., Sez. civ., VII, 228
[21] Così CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, cit., 16.
[22] TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il <<giusto processo>> in materia civile: profili generali, cit., 386, il quale così contesta (giustamente) l’esattezza della nozione divisata da SCOTTI, Il testo sulla giustizia approvato dalla commissione bicamerale, in Doc. giust., 1997, 2183, 2184 (per la stessa nozione v. pure LOZZI, Lezioni di procedura penale, Torino, 2000, 17).
Per analogo rilievo v. pure COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 740.
[23] Son parole di COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 740.
[24] Tale nozione è fatta propria da COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, cit., 8-9; FERRUA, Il “giusto processo” in Costituzione, in Diritto e giustizia, 2000, f. 1, 5.
[25] V. nota 1.
[26] V. nota 2.
[27] V. ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 21 ss., dove vengono esaminati il profilo sostanziale della garanzia de qua (rappresentato dalla parte della norma che impone la precostituzione del giudice) ed il suo profilo formale (rappresentato dalla parte della norma che copre la materia della precostituzione stessa con una riserva di legge).
[28] Sul diritto alla prova, sulla sua correlazione con la garanzia costituzionale dell’azione e sulle sue proiezioni sulla disciplina positiva delle prove civili v. ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 97 ss.
[29] Sul diritto alla tutela cautelare quale condizione di effettività della garanzia costituzionale dell’azione e sulle “oscillazioni” giurisprudenziali in subiecta materia v. ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 66 ss.
[30] V. Corte cost. 24 aprile 1996 n. 131, in Foro it., 1996, I, 1489.
[31] Per analogo rilievo v. pure BOVE, Art. 111 Cost. e <<giusto processo civile>>, cit., 493.
[32] Ci stupisce, pertanto, l’entusiasmo manifestato nei confronti di tale nozione da CECCHETTI, Giusto processo (Diritto costituzionale), cit., 598, secondo cui la surricordata formula espressa da Corte cost. 24 aprile 1996 n. 131 “è divenuta punto di riferimento essenziale per l’interprete”.
[33] Per questo significato del “giusto processo” (già da noi intravisto in ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 187, anche sulla base delle considerazioni di SCAPARONE, Rapporti civili, in Commentario della Costituzione a cura di Branca, art. 24-26, cit., 84, che a proposito dell’art. 24, comma 2, Cost. parla icasticamente di “disposizione generica ed <<aperta>> cosicchè, qualora l’esperienza dimostrasse e la coscienza collettiva riconoscesse l’utilità, ai fini di una più efficace difesa dell’imputato, di un qualsiasi altro diritto, potere o facoltà, anche questo dovrebbe immediatamente dirsi compreso nella garanzia offerta dalla norma in esame”) v. BOVE, Art. 111 Cost. e <<giusto processo civile>>, cit., 493 ss. (che parla di “autonoma garanzia, ancorchè indeterminata”, dalla quale la Corte costituzionale può trarre “la necessità di rispettare garanzie ulteriori rispetto a quelle esplicitate nel 2° comma dello stesso articolo” 111 Cost.); COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., passim, spec. 751 ss. [dove si rileva in particolare che la nozione de qua “si configura quale sintesi superiore (e, sul piano tecnico, quale <<categoria ordinante>>) di più valori sottesi ad una ben determinata ideologia di giustizia – con forti componenti etico-deontologiche, basate sull’inviolabile rispetto dei diritti fondamentali della persona – nonché quale risultante di talune scelte fondamentali di civiltà e di democrazia, che appartengono per millenaria tradizione alla natural justice”]; CONTI, Giusto processo (Diritto processuale penale), in Enc. dir., Aggiornamento, V, 627, 628 (“Preferibile appare la tesi secondo cui la locuzione allude ad un concetto ideale di Giustizia, preesistente rispetto alla legge e direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo che lo Stato, in base all’art. 2 cost., si impegna a riconoscere”); TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il <<giusto processo>> in materia civile: profili generali, cit., 386 (“giusto è il processo che si svolge nel rispetto dei parametri fissati dalle norme costituzionali e dei valori condivisi dalla collettività”); nonché sostanzialmente PIVETTI, Per un processo civile giusto e ragionevole, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di Civinini e Verardi, cit., 55 ss., 61-61 (“il principio del giusto processo è stato reso comando autonomo, il cui significato – in mancanza di prescrittive definizioni normative – non può che essere ricavato dall’interprete in base ad una molteplicità di elementi non definita a priori”).
Lo stesso COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, cit., 7, dopo avere scritto nel testo che “il processo <<giusto>> è quello che la legge, nel caso di specie la Costituzione, definisce tale”, riconosce (alla fine della nota 10) che “la effettiva portata dei nuovi principi costituzionali è destinata ad essere definita dalla giurisprudenza”.
Del tutto ambigua si rivela, infine, la posizione di CECCHETTI, Giusto processo (Diritto costituzionale), 605 ss., secondo cui “la corretta ricostruzione della nozione di <<giusto processo>>, come formula di sintesi, <<aperta>> e suscettibile di espansioni e integrazioni (rispetto al testo dell’art. 111, ma pur sempre rigorosamente nell’ambito di quanto si può ricavare dal sistema del diritto costituzionale positivo, impone di respingere non soltanto ogni riferimento a concezioni che in qualche modo riecheggino il <<diritto naturale>>, ma anche quelle posizioni (manifestatesi da più parti) tendenti a <<svalutare>> la portata autenticamente normativa dell’espressione <<giusto processo>>”: la superiore puntualizzazione da noi trascritta in corsivo, invero, non solo mal si concilia con il riconoscimento della “portata autenticamente normativa dell’espressione <<giusto processo>>”, ma ci sembra pure pericolosamente indonea a comprimere quelle che abbiamo sopra definito “potenzialità espansive” della norma de qua.
[34] V., anche per indicazioni, COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 715.
[35] Tale Convenzione, com’è noto, è stata ratificata in Italia con la l. 4 agosto 1955 n. 848.
[36] Per un quadro panoramico di tali Accordi e delle relative garanzie processuali v. sempre COMOGLIO, Il <<giusto processo>> civile nella dimensione comparatistica, cit., 721 ss.
[37] Così, icasticamente, COMOGLIO, Le garanzie fondamentali del <<giusto processo>>, in Nuova giur. civile commentata, 2001, II, 1, 6.
[38] V. gli scritti e le decisioni ricordati alle note 18 e 19.
[39] Di “direttiva di razionalità tutelata dall’art. 3, comma 1, Cost.” la Corte costituzionale ha incominciato a parlare ex professo verso la metà del 1980 (v. in particolare Corte cost. 28 giugno 1985 n. 190, in Foro it., 1985, 1, 1881; 23 aprile 1987 n. 146, ivi, 1987, 1, 1349).
Alla stregua di questo “principio di razionalità”, com’è noto, la Consulta riesce “a sindacare l’intrinseca ragionevolezza delle scelte legislative, anche indipendentemente dalla comparazione di singole norme” (son parole di SAJA, La giustizia costituzionale nel 1988, in Foro it., 1989, V, 175).
Su codesto “giudizio di ragionevolezza assoluto” v. le nostre osservazioni in ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 131 ss.; nonché SILVESTRI, Legge (controllo di costituzionalità), in Digesto, Disc. pubbl., IX, 128, 145 (dove si fa esattamente notare che “la natura della Corte tende a trasformarsi ancora per assumere la veste di <<custode della razionalità>> dell’ordinamento. Piaccia o non piaccia, così sta avvenendo”); ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 147 ss.; ID., Processo costituzionale, in Enc. dir., XXXVI, 521, 555 ss.
Per più complete informazioni v. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, 145 ss. (dove si parla al riguardo di “giudizio di razionalità”).
[40] CONTI, Giusto processo (Diritto processuale penale), cit., 627-628.
[41] V. esemplificativamente ALLORIO, Sul doppio grado nel processo civile, in Riv. dir. civ., 1982, I, 317; BELLOMIA, Corte costituzionale e doppio grado di giurisdizione, in Giur. cost., 1982, I, 43; CERRI, Il principio del doppio grado di giurisdizione e la sua irrilevanza costituzionale, ivi, 1965, 628; FERRI, Appello nel diritto processuale civile, in Digesto, Disc. priv., Sez. civ., XII, 555, 557; MELE, Doppio grado di giurisdizione (principio del) (diritto processuale penale), in Enc. giur., XII, 5; PIZZORUSSO, Doppio grado di giurisdizione e principi costituzionali, in Riv. dir. proc., 1978, 33; RICCI, Doppio grado di giurisdizione (principio del) (diritto processuale civile), in Enc. giur., XII, 9-10; VERDE, Profili del processo civile. Parte generale, Napoli, 1991, 21.
In giurisprudenza v. ex plurimis Corte cost. 22 giugno 1963 n. 110, in Giur. cost., 1963, 875; 23 aprile 1965 n. 36, ivi, 1965, 323; 31 maggio 1965 n. 41, ivi, 1965, 626; 4 luglio 1977 n. 125, ivi, 1977, I, 1087; 15 aprile 1981 n. 62, in Foro it., 1981, I, 1497; 21 luglio 1983 n. 224, ivi, 1984, I, 925; 7 marzo 1984 n. 52, ivi, 1984, I, 625; 29 marzo 1984 n. 78, ivi, 1984, I, 1151; 22 novembre 1985 n. 299, ivi, 1986, I, 1516; 18 luglio 1986 n. 200, ivi, 1987, I, 342; 31 dicembre 1986 n. 301, ivi, 1987, I, 2962; 26 gennaio 1988 n. 80, ivi, 1989, I, 1058; 31 marzo 1988 n. 395, in Cons. stato, 1988, II, 569; 14 dicembre 1989 n. 543, in Foro it., 1990, I, 366; 3 ottobre 1990 n. 433, Cons. stato, 1990, II, 1377; 23 dicembre 1994 n. 438, in Foro it., 1995, I, 754.
Ammettono, di contro, la costituzionalizzazione del principio del doppio grado di giurisdizione soltanto LIEBMAN, Il giudizio d’appello e la Costituzione, in Riv. dir. proc., 1980, 401 [che basa le sue convinzioni sull’art. 125, secondo comma, Cost. e sulla situazione di diritto positivo presupposta dal Costituente: argomentazioni puntualmente confutate da RICCI, Doppio grado di giurisdizione (principio del) (diritto processule civile), cit., 9-10]; e più recentemente SERGES, Il principio del “doppio grado di giurisdizione” nel sistema costituzionale italiano, cit., spec. 115 ss. (dove si riconduce il principio in esame alla sfera di operatività dell’art. 24, comma 2, Cost., inteso come norma corrispondente alla clausola del due process of law), 197 ss. [dove, riprendendosi la nota tesi di Cerino-Canova sulla garanzia costituzionale del giudicato ex art. 111, comma 2° (oggi 7°), Cost., si assume che quest’ultima disposizione deve essere valutata quale norma postulante un modello procedimentale articolato in almeno due gradi (perché?) e concluso dalla ricorribilità in Cassazione: ragionamento, codesto, privo di forza dimostrativa in quanto meramente apodittico].
Contraddittoria pare la posizione di PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1994, 530-531, il quale, dopo aver osservato che il principio del doppio grado di giurisdizione “non è stato costituzionalizzato, almeno per quanto riguarda il processo civile”, assume nondimeno che del diritto di difesa ex art. 24, secondo comma, Cost. “una componente essenziale è indubbiamente costituita dalla possibilità di ottenere il riesame della causa da parte di un giudice diverso da quello che ha emanato la sentenza” [conclusione, a nostro avviso, tutt’altro che “indubbia” perché l’art. 24 Cost., “stabilendo che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, precisa l’implicito riferimento alla” possibile “esistenza di più di un grado, ma non ne determina né il numero né la consistenza e deve leggersi pertanto come diritto alla difesa in ogni momento in cui sussista il processo, essendo evidente che non si può ledere tale diritto se non è previsto il grado in cui la difesa stessa deve esercitarsi”: così esattamente MELE, Doppio grado di giurisdizione (principio del) (diritto processuale penale), cit., 5].
La revisione dell’esclusione del doppio grado di giudizio dalle garanzie costituzionali è auspicata da DENTI, La magistratura, IV, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, art. 111-113, cit., 27 ss.
Sembra (isolatamente) ammettere la rilevanza costituzionale del principio de quo Corte cost. 12 luglio 1965 n. 70, in Giur. cost., 1965, 863, secondo cui è “manifestamente in contrasto col diritto di difesa il non potere interloquire sui motivi di un provvedimento, da cui dipende l’ulteriore svolgimento del processo, e non poter proporre contro di esso alcun gravame”.
Sulla costituzionalizzazione del principio del doppio grado in relazione alla giurisdizione amministrativa v. in dottrina GALLO, Appello nel processo amministrativo, in Digesto, Disc. pubbl., I, 316; SERGES, Il principio del “doppio grado di giurisdizione” nel sistema costituzionale italiano, cit., 233 ss.; ed in giurisprudenza Corte cost. 15 aprile 1981 n. 62, cit.; 1° febbraio 1982 n. 8, in Foro it., 1982, I, 329.
Va ricordato, però, che Corte cost. 31 dicembre 1986 n. 301, cit., e Corte cost. 31 marzo 1988 n. 395, cit., hanno circoscritto la portata della garanzia del doppio grado di giurisdizione nel giudizio amministrativo, assumendo che l’art. 125, secondo comma, Cost. “comporta soltanto l’impossibilità di attribuire al Tar competenza giurisdizionale in unico grado e la conseguente necessaria appellabilità di tutte le sue pronunce, e, quindi, una garanzia del doppio grado riferita alle controversie che il legislatore ordinario attribuisce agli organi locali della giustizia amministrativa”: donde la (ritenuta) legittimità di competenze giurisdizionali attribuite in unico grado al Consiglio di Stato.
[42] Conf. BOVE, Art. 111 Cost. e <<giusto processo civile>>, cit., 494-495, il quale, tra i principi suscettibili di “essere riconosciuti come imprescindibili dalla nostra Corte costituzionale appunto passando attraverso lo sviluppo interpretativo del <<giusto processo>>”, annovera anche quello della pubblicità dei giudizi.
A proposito di quest’ultimo principio, nondimeno, mette conto osservare come già da tempo esso sia stato considerato munito di copertura costituzionale dalla Consulta, che peraltro negli ultimi anni tende ad affermarne il carattere non assoluto e la conseguente derogabilità giustificata da esigenze ragionevoli (quali la moralità, l’ordine pubblico, la dignità umana, la sicurezza nazionale, il rapido funzionamento del processo): cfr. ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, cit., 227 ss.
[43] Così esattamente BOVE, Art. 111 Cost. e <<giusto processo civile>>, cit., 495.