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Buona fede e giustizia contrattuale (*)
Andrea D'Angelo
SOMMARIO: 1. Giustizia contrattuale. - 2. L'equilibrio contrattuale tra giustizia distributiva e commutativa. - 3. Apprezzamento di giustizia contrattuale indipendente da criteri economici. - 4. Criteri economici di valutazione dello scambio e sindacato giudiziario sull'equilibrio contrattuale. Criteri indipendenti dai dati di mercato. - 5. (Se-gue). Criteri fondati sui dati di mercato. - 6. Opportunità pratiche e ragioni di policy relative al controllo giudiziario sulla giustizia del contratto. - 7. Giustizia contrattuale, clausole e principî generali, "ambiente codicistico". - 8. Equilibrio contrattuale e disciplina della rescissione. - 9. Giustizia contrattuale e disciplina dell'annullamento per incapacità naturale, dolo ed errore. - 10. Giustizia contrattuale e altre indicazioni codicistiche. - 11. Giustizia contrattuale e causa. - 12. Equilibrio contrattuale e rilevanza codicistica dell'equità nei contratti. - 13. Clausole generali, formule normative a contenuto inde-terminato e sindacato giudiziario sull'equilibrio contrattuale. - 14. Clausola generale codicistica di buona fede ed equilibrio contrattuale. - 15. Inderogabilità dell'art. 1375 c.c. e potenzialità cogenti della buona fede. - 16. Buona fede, autonomia privata e precetti costituzionali. - 17. Buona fede contrattuale e autonomia: "al di là e contro" le pattuizioni. - 18. Buona fede e giudizio di validità delle pattuizioni. - 19. Equilibrio economico-normativo e giustizia contrattuale nel diritto comune dei contratti.
1. "Giustizia contrattuale" è formula divenuta ormai di uso corrente nella dottrina civilistica
italiana, con
significative relazioni, di corri-spondenza o di derivazione, con analoghe espressioni usate da giuristi di altri paesi. Essa è certo stimolante e suggestiva, ma, nella sua generi-cità, può implicare significati differenti, evocare valori ed esprimere di-rettive non agevolmente riducibili a termini univoci. Il suo impiego è spesso ambiguo anche rispetto allo stesso ordine di riferimento delle proposizioni che la contengono: etico, ideologico, economico, sociolo-gico, giuridico. Così, nel discorso che su di essa svolgono i giuristi, non è agevole discernere, l'una dalle altre: la pura e semplice rivendicazione di un primato dei valori etici rispetto alle soluzioni del diritto positivo; la sintesi descrittiva di regole legali del diritto contrattuale; la proposta ermeneutica, costruttiva di una più ampia direttiva dell'ordinamento; la critica ideologica di tendenze dominanti, presentate come, a loro volta, ideologicamente orientate; l'indicazione di linee di politica legislativa ovvero di politica giudiziaria.
L'argomento interessa lo studio della buona fede in quanto questa è spesso considerata come possibile strumento di attuazione, in àmbito contrattuale, di valori di giustizia. È questa l'interferenza tra i due temi ed esulano dalla nostra trattazione approfondimenti di più vasta porta-ta. Si tratta, in particolare, di discernere i significati della formula che possono assumere, ai nostri fini, rilievo, e di identificare l'àmbito pro-priamente giuridico dei problemi ai quali essa allude.
Conviene tuttavia soffermarsi su alcune considerazioni preliminari che, per la stessa ricchezza di implicazioni della formula e per la com-plessità delle connessioni tematiche, non potranno essere circoscritte in termini di stretta aderenza alle indicate finalità.
Si riduce ad un mero esercizio retorico, è sterile o, peggio, distorsivo ogni impiego della formula che vada disgiunto dalla identificazione dei problemi di disciplina dei rapporti cui essa dovrebbe pur riferirsi, la va-rietà dei quali non consente alcun serio e attendibile discorso o ragio-namento indifferenziato. Si pensi soltanto
all'ineludibile articolazione problematica che riguarda i diversi aspetti di un ipotetico sindacato di giustizia da esercitarsi dai giudici sul contratto; e così, il suo stesso og-getto, che potrebbe consistere nelle condizioni economiche dello scambio, in quelle normative del rapporto, ovvero in entrambe, nella loro integrata correlazione, ovvero anche nella valutazione di compati-bilità del contenuto del contratto con i valori della persona; i termini e i criteri del controllo, che potrebbero concernere valori etici di giustizia, commutativa o distributiva, e di solidarietà sociale, ovvero essere de-sunti da parametri economici e normativi consistenti negli stessi indici offerti dal mercato e dalle prassi contrattuali; gli elementi e le circostan-ze rilevanti, rispetto al giudizio, che potrebbero consistere nello stesso assetto economico-normativo risultante dalla convenzione in rapporto a un ideale modello di equilibrio giusto, ovvero potrebbero essere iden-tificati nella relazione causale che possa essere intercorsa tra le condi-zioni soggettive e oggettive in cui ciascuna delle parti si trovava e le condotte da esse tenute nella fase negoziale e formativa, da un lato, e, dall'altro, il contenuto delle pattuizioni che ne sia stato l'effetto; l'àmbito dei rapporti rispetto al quale il controllo di giustizia possa e-sperirsi, e cioè quello corrispondente a determinate categorie di con-tratti e di contraenti, ovvero quello, illimitato, della generalità dei rap-porti contrattuali.
Pur con queste avvertenze, ed anzi proprio in vista delle indispen-sabili articolazioni problematiche, può cogliersi un significato unitario e comprensivo di "giustizia contrattuale". Questa, nella sua letteralità, po-trebbe ricomprendere la stessa forza vincolante del contratto e le regole che la assicurano, assumendosi lo stesso pacta sunt servanda quale precet-to etico espressivo di valori di giustizia. Ma il significato che appare im-plicato dall'uso corrente della formula sembra piuttosto esprimere una contrapposizione, o quantomeno una tensione, una conflittualità po-tenziale, tra vincolo contrattuale e giustizia, tra osservanza del contenu-to delle pattuizioni e salvaguardia di interessi che sono da esse pregiu-dicati e che sia invece giusto proteggere.
Questo ampio significato è tale da accogliere la stessa descrizione sintetica - e un loro comune fondamento - delle regole, e delle esigen-ze che le ispirano, che in vario modo limitano o escludono la forza vin-colante dei patti in presenza di determinate situazioni tipiche previste dalla legge; e ciò con riguardo a settori tradizionali della disciplina dei contratti: regime delle incapacità, dei vizi della volontà, della rescissio-ne, regole che impongono lo scioglimento del vincolo a ragione di cir-costanze sopravvenute considerate con esso incompatibili.
Questi rimedi sono tutti volti alla rimozione del vincolo su iniziativa del contraente da essi protetto, il quale però spesso non dispone di strumenti che gli consentano di soddisfare, invece, il suo positivo inte-resse alla realizzazione dell'operazione contrattuale a condizioni ricon-dotte a giustizia. Solo il regime della rescissione implica un sindacato sul contenuto del contratto, che è invece estraneo alla disciplina degli altri rimedi; ma anche per la rescissione occorrono presupposti ulteriori rispetto alla considerazione dell'equilibrio economico contrattuale.
A ragione di questi caratteri, non ha avuto modo di affermarsi nella nostra tradizione la costruzione, dall'insieme di queste regole, di un principio generale, di una portata che le trascendesse, sul quale fondare un controllo circa la conformità del contratto a un modello ideale di giusto equilibrio economico-normativo e un conseguente controllo e adeguamento giudiziale delle condizioni convenute dalle parti. Al con-trario, se ne è tratto argomento - in particolare dalla disciplina della re-scissione - per negare l'ammissibilità di operazioni siffatte.
Pertanto, rispetto a tali regimi, la formula "giustizia contrattuale" non sembra possa avere altro significato che quello di una loro sintesi descrittiva.
Più problematico appare il contenimento della formula nei limiti di un significato descrittivo di regole e rimedi specifici stabiliti dall'ordinamento riguardo alle direttive evolutive che si sono affermate con la disciplina delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, dell'abuso di dipendenza economica nei contratti tra imprese, dei ter-mini di pagamento dei corrispettivi contrattuali. Questi nuovi regimi implicano infatti, a differenza dei rimedi tradizionali, un sindacato sull'equilibrio contrattuale. E, seppur esso è circoscritto a determinati contenuti pattizi e non è per lo più di per sé rilevante, disgiunto dalla considerazione delle condizioni dei contraenti e della loro condotta nel-la fase negoziale e formativa, tuttavia appare legittimo l'interrogativo se sia ricostruibile una direttiva di più generale portata, o mutuabile al di-ritto comune dei contratti, e in quali termini.
La verifica dell'esistenza di un fondamento di diritto positivo di un supposto principio di giustizia contrattuale, e di sindacabilità e modifi-cabilità giudiziaria, alla stregua di esso, dei contenuti delle private con-venzioni, può prospettarsi, oltre che riguardo all'attendibilità di una ge-neralizzazione di regole e rimedi specifici stabiliti dalla legge, anche nel senso della ricerca di enunciati normativi da cui possa direttamente de-sumersi, in via ermeneutica, costruttiva, una direttiva siffatta. Ed è na-turale che i fautori di tendenze innovative, in mancanza di precetti più definiti dai quali trarre il principio, si siano volti al valore costituzionale di solidarietà economica e sociale (art. 2 Cost.) e alla clausola generale di buona fede, onde fruire di più estesi spazi di argomentazione.
Di questi profili giuridici ci occuperemo più avanti, nella specifica loro connessione con la prospettiva della buona fede. Conviene però brevemente intrattenerci su altri aspetti, anche non propriamente giuri-dici, che di quelli costituiscono in certo senso il contorno e in vario modo possono con essi interferire.
Innanzitutto, la stessa formulazione dell'interrogativo circa la sussi-stenza nel nostro ordinamento di un principio di giustizia contrattuale impone di discernere diversi possibili significati del medesimo. Si ricer-ca un precetto di contenuto etico, pur destinato ad essere trasferito nell'ordine giuridico, ovvero un precetto da mutuarsi dall'ordine eco-nomico? ovvero un valore etico destinato ad essere attuato mediante il riferimento a parametri economici? E - secondo la distinzione aristote-lica, che nei discorsi dei giuristi, oltre che in quelli degli studiosi di filo-sofia morale e di teoria della giustizia, mostra una persistente attualità - vuole assumersi una qualificazione di giustizia in senso distributivo o commutativo?
Rispetto a queste alternative si prospettano differenti problematiche con riguardo: alla stessa teorica legittimità e attendibilità di un sindacato sul contratto in termini di sua conformità a giustizia, a seconda che es-so attenga soltanto all'oggettiva valutazione dell'equilibrio contrattuale o si estenda anche all'apprezzamento delle circostanze e delle condotte inerenti alla fase delle trattative e della formazione del vincolo; alle con-siderazioni circa le condizioni, i modi e i criteri di pratica esperibilità di un intervento del giudice di controllo e conformazione dell'affare pri-vato; alle ragioni di policy che possono rispettivamente sostenere l'affermazione o la negazione del principio, o, nel primo caso, orientar-ne i criteri di attuazione.
2. L'equilibrio contrattuale tra giustizia distributiva e commutativa
L'esigenza di salvaguardare un giusto equilibrio economico e nor-mativo tra le prestazioni e tra le prerogative e i vincoli rispettivi dei contraenti è certo più attendibile e di più immediata comprensione se ricondotta alla formula della giustizia commutativa. Non pare invero sensato assumere il contratto, e il suo controllo e adeguamento giudi-ziale, a strumento per modificare gli assetti distributivi della ricchezza in senso perequativo. In primo luogo, si affiderebbe la funzione distri-butiva alla spontaneità, occasionalità dei contatti contrattuali, alla varie-tà delle loro circostanze, anche relative alle consistenze patrimoniali dei singoli contraenti e alla dimensione economica dei singoli scambi, oltre che alla natura dei beni che ne costituiscono l'oggetto, e ne derivereb-bero quindi effetti redistributivi casuali, non uniformi, disordinati, e quindi in senso generale iniqui oltre che inefficienti. Inoltre, poiché la salvaguardia di valori di giustizia commutativa si riflette in effetti con-servativi della consistenza patrimoniale dei contraenti anteriore alla sti-pulazione, piegare indiscriminatamente il contratto al perseguimento di finalità redistributive implicherebbe il paradosso di interventi impositivi di effetti economici contrattuali in senso commutativo sperequati.
Naturalmente, la specifica inidoneità del sindacato giudiziale sul contratto all'attuazione di finalità di giustizia distributiva non significa che a queste ultime non possano servire - oltre che normative di ordine fiscale, previdenziale o simili, anche - regole di diritto dei contratti che impongano imperativamente prezzi e condizioni normative.
Non mancano tuttavia tentativi di stabilire connessioni tra giustizia contrattuale commutativa e distributiva e di valorizzare la seconda an-che rispetto a un sindacato giudiziale sui contenuti del contratto.
Certo, l'effetto cumulativo di una indefinita pluralità di contratti sperequati può nuocere a una giusta distribuzione della ricchezza tra i consociati, particolarmente a ragione della probabilità statistica che le singole sperequazioni si manifestino in pregiudizio di soggetti e ceti già penalizzati dall'assetto distributivo preesistente alle operazioni contrat-tuali. Ma tale considerazione può solo indurre ad assumere che la salva-guardia della giustizia commutativa possa contrastare il deterioramento ulteriore delle sperequazioni distributive, non già che essa sia strumento efficace per correggere queste ultime.
Se si precisa, e limita, il significato distributivo della giustizia con-trattuale nel senso della salvaguardia delle cosiddette "quote distributive minime", ovvero della soglia del "tenore di vita minimo che il contenu-to contrattuale non può ledere", le finalità che vi corrispondono non sembra possano essere efficacemente né equamente perseguite median-te un sindacato giudiziario sull'equilibrio dei singoli contratti. Una volte escluse - per le ragioni già indicate, valide anche nel caso in cui sia in questione il tenore di vita minimo di uno dei contraenti - la ragionevo-lezza e l'equità, oltre che l'efficienza, di un generalizzato sistema redi-stributivo realizzato mediante il sindacato giudiziario correttivo dei contratti, potrebbe immaginarsi che questo sia, invece, attendibilmente esperibile quando lo scambio concerne beni o servizi cruciali rispetto alla salvaguardia del tenore di vita minimo (locazione della casa di abi-tazione, erogazione di acqua ed energia, beni di consumo primario). E possono al riguardo ipotizzarsi due proposte alternative: quella di un intervento del giudice che prescinda dalla ricorrenza in concreto di condizioni economiche dell'acquirente o utente che pongano in que-stione il suo tenore di vita minimo, e quella che invece lo subordini a tale ricorrenza.
Nel primo caso, il sindacato giudiziario dovrebbe presupporre una direttiva di controllo autoritativo generalizzato delle condizioni econo-miche di scambio di determinati beni e servizi. Tale direttiva può però esprimersi in modo più appropriato mediante discipline legislative o amministrative di prezzi e tariffe, le quali, operando in modo uniforme per categorie di beni e servizi scambiati, e per categorie di contraenti, assicurano un'applicazione omogenea. In mancanza di una direttiva sif-fatta, l'intervento del giudice assumerebbe un ruolo di supplenza che si porrebbe in contrasto con l'opzione non interventista dell'ordinamento. Mentre, in tal modo, non sarebbe assicurata l'omogeneità delle determinazioni autoritative dei contenuti contrattua-li, con evidenti conseguenze di disuguaglianza nell'àmbito di entrambe le categorie di contraenti: quella dei venditori-esercenti e quella degli acquirenti-utenti.
Nel secondo caso, l'onere dell'intervento distributivo verrebbe a gravare in modo causale sui venditori ed esercenti che si trovino a con-trattare con soggetti le cui condizioni economiche pongano in causa il loro tenore di vita minimo, mentre ne resterebbero immuni coloro che contrattino con soggetti che non versino in tali situazioni. Ne consegui-rebbe il rischio che ne restino pregiudicate le stesse categorie che si vorrebbero proteggere, ben potendo immaginarsi il ricorso a cautele precontrattuali e a rifiuti di contrarre da parte dei venditori ed esercenti; e per ovviarvi occorrerebbe apprestare strumenti di coercizione a con-trarre, certo più coerenti a normative autoritative che non ad un siste-ma di controlli affidati ai giudici.
In tal senso, dunque, il perseguimento di finalità di realizzazione di valori di giustizia distributiva sembra poter essere attendibilmente de-mandato solo a interventi legislativi e di governo che, in materia con-trattuale, possono esprimersi in termini di definizione autoritativa dei corrispettivi di beni e servizi ovvero in limitazioni dell'autonomia in ordine alla pattuizione di determinate tipologie di clausole. Possono, a quest'ultimo riguardo, configurarsi àmbiti valutativi del giudice definiti dalla stessa disciplina
autoritativa, come accade nella legislazione in ma-teria di contratti dei consumatori; ma, per le ragioni già accennate, non sembra attendibile - perché non realistico, non efficace, casuale, non omogeneo, e quindi in definitiva non equo - un sindacato giudiziario, generalizzato e svincolato da direttive legislative, volto a piegare il con-tratto a strumento di realizzazione di valori di giustizia distributiva in-terpretati e attuati secondo un'autonoma valutazione del giudice.
Se ci si volge all'eventualità di un sindacato giudiziario sul contenuto del contratto orientato all'attuazione di valori di giustizia commutativa, sorge innanzitutto un'alternativa: si tratta di valutare la conformità a giustizia del l'equilibrio economico e normativo considerato di per se stesso, ovvero in rapporto a circostanze del negoziato, a condizioni dei contraenti e alla loro condotta nella fase precontrattuale e formativa? è, in tal senso, in questione una substantive fairness o una procedural
fairness? Interessa qui soffermarsi sulla prima alternativa, essendo la seconda meno problematica rispetto ai profili che andiamo ora considerando, perché più agevolmente riconducibile a un più solido terreno di valuta-zioni giuridiche, orientate da definizioni normative di fattispecie o, quantomeno, da collaudate clausole generali riferite a comportamenti.
3. Apprezzamento di giustizia contrattuale indipendente da criteri economici
Riguardo alla valutazione di conformità a giustizia (commutativa) del-l'equilibrio economico-normativo stabilito dai contraenti, conside-rato indipendentemente dalle circostanze della formazione dell'accordo e dalle inerenti condizioni e condotte dei contraenti, può, alternativa-mente, assumersi a criterio di giudizio o il parametro costituito da valo-ri e standards economici e normativi espressi dal mercato, ovvero quello squisitamente etico-equitativo costituito da un ideale modello di equili-brio contrattuale giusto, che ben potrebbe contrastare con i dati rileva-bili dal mercato.
Nel primo caso - sul quale mi soffermerò più diffusamente nel suc-cessivo paragrafo - risulterebbe impoverita la stessa giustificazione eti-ca,
solidaristica, del perseguimento della giustizia contrattuale: "è il mercato che fa da metro allo squilibrio, e perciò anche alla "giustizia", alla "morale" che vengono chiaramente a fondarne la repressione". E verrebbero sottratte a un sindacato di conformità a giustizia le condi-zioni rilevabili nel mercato, a loro volta espresse da una pluralità di sin-gole contrattazioni il cui assetto è determinato dalle posizioni socio-economiche, di potere e di bisogno, dei contraenti, da circostanze cioè che i valori di giustizia richiederebbero fossero controllate o modificate piuttosto che omologate. Per altro verso, un sindacato giudiziario sul contratto che lo conformi alle condizioni rilevabili nel mercato intro-durrebbe in quest'ultimo un elemento di interna contraddizione: se es-so è il luogo di spontanea formazione delle condizioni dello scambio, come possono queste essere rese coercitive assumendosi lo stesso mer-cato a criterio della loro imposizione? Come può questo elemento di fissazione essere compatibile con un fenomeno la cui spontanea dina-micità è assunta come suo carattere naturale?
Altri, non meno delicati, problemi si pongono se il criterio del sin-dacato giudiziario sul contratto è identificato con la conformità a un ideale modello di equilibrio contrattuale giusto, non mediato dai dati offerti dal mercato, né da altri criteri di ordine economico (si dirà nel paragrafo successivo della non fruibilità di quelli che si volessero for-mulare indipendentemente dalla considerazione delle condizioni prati-cate nel mercato).
Anche a voler accantonare ogni considerazione specificamente atti-nente al trattamento giuridico dei contratti e alle opportunità che lo concernono, è lecito dubitare della stessa legittimità etica e della intrin-seca attendibilità di una valutazione di giustizia che sia avulsa tanto dal-la considerazione dei comportamenti dei contraenti nella fase precon-trattuale e formativa e delle circostanze ad essa inerenti (dalla c.d. proce-dural
fairness), quanto dall'apprezzamento delle condizioni di scambio alla stregua di criteri economici. In tal caso, infatti, il giudizio non po-trebbe che avere un fondamento e un criterio
"intuizionistici". La mate-ria dell'apprezzamento, così depurata, ne risulterebbe inerte e amorfa, inespressiva rispetto a qualsiasi principio di giustizia volesse adottarsi, a qualsiasi regola di priorità e comparazione ponderale tra diversi principî di giustizia volesse assumersi, e alla cui stregua volessero svilupparsi ar-gomentazioni razionali.
Tali elementi di precarietà della valutazione sono esaltati nella tra-sposizione dalla dimensione morale a quella giuridica, la quale implica un definito intervento coercitivo nella soluzione dei conflitti di interes-si. In tal caso, infatti, la stessa evanescenza del parametro di giudizio, la difficoltà di tradurlo in concreti riferimenti a dati empirici, la sua indi-pendenza rispetto ad ogni altra più circostanziata indicazione normati-va, lascerebbero al giudice spazi indefiniti di apprezzamento soggettivo, che neanche le clausole generali, in virtù della loro inserzione nella tra-ma di norme che ne costituiscono il contesto, gli attribuiscono.
In tal senso risulterebbe precaria la stessa giustificabilità motivazio-nale del sindacato, e, quindi, la sua controllabilità, non solo endopro-cessuale in termini di impugnazione, ma anche in senso sociale e politi-co. E si porrebbero al riguardo problemi molto gravi di legalità di un sistema di generale soggezione degli affari privati ad una omologazione, ed eventuale
ridefinizione, giudiziaria, i criteri della quale non sarebbero legalmente fondati.
Inoltre, l'indipendenza del giudizio da criteri economici lo privereb-be di strumenti di misurazione quantitativa, tanto più indispensabili nel-la fase dell'intervento riequilibrativo che dovrebbe seguire all'eventuale apprezzamento negativo circa la conformità a giustizia del contratto.
Infine, l'inevitabile varietà dei soggettivi apprezzamenti dei giudici alla stregua di un criterio così indefinito comporterebbe irrimediabili e incontenibili effetti di disomogeneità e imprevedibilità dei giudicati.
Per quanto specificamente concerne l'equilibrio normativo, e cioè l'assetto contrattuale allocativo di diritti, obbligazioni, oneri, responsa-bilità e rischi, pare più agevole legittimare un controllo giudiziario sul medesimo a fondamento
equitativo, basato sull'apprezzamento della sua vessatorietà, sproporzione, irragionevolezza. Ma se si considera la comunicazione e compenetrazione tra le condizioni economiche e quelle normative in un equilibrio complessivo, così da non potersi giu-dicare isolatamente della conformità a giustizia delle prime indipenden-temente dalle seconde, e viceversa, i rilevati profili problematici che ri-guardano i valori economici di scambio si riflettono sul giudizio circa la conformità a giustizia dell'assetto normativo
(continua.)
(*)Per cortese autorizzazione dell'editore si pubblicano pagine di un capitolo della monogra-fia A. D'ANGELO,Il contratto in generale.La buona fede,Torino 2004 ,che è volume com-preso nel Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone e in corso di pubblicazione pres-so l 'editore Giappichelli